A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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CONCILIO ED ANTI-CONCILIO: le false interpretazioni

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2010 00:45
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28/01/2009 12:03
 
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Segnalo da Rinascimento Sacro la pubblicazione di questo articolo che interessa il tema fin qui trattato:

http://www.rinascimentosacro.com/2008/11/itinerario-verso-il-fatto-compiuto.html

ITINERARIO VERSO IL FATTO COMPIUTO ossia l'abuso della comunione alla mano....[SM=g1740730]

Si legge:

Non è un caso, del resto, che proprio in uno dei primi luoghi dove la Comunione sulla mano s’introdusse abusivamente fosse stato pubblicato poco tempo prima un “Nuovo Catechismo” (il noto “Catechismo Olandese”) al quale la Santa Sede dovette imporre numerose modifiche (14 principali e 45 minori).

In questo testo, commissionato dall’episcopato olandese e presentato mediante una “lettera pastorale collettiva”, si metteva in dubbio la presenza reale e sostanziale di Cristo nell’Eucaristia, si dava una spiegazione inammissibile della transustanziazione e si negava qualsiasi forma di presenza di Gesù Cristo nelle particelle o frammenti staccatisi dall’Ostia dopo la Consacrazione. D’altra parte si faceva confusione fra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio gerarchico.

********************

...... mi chiedo se a fronte di queste che erano e sono VERE ERESIE sia stato sufficiente "imporre" solo delle correzioni o non fosse stato più utile BANDIRLO INSIEME AGLI AUTORI se non avessero ritrattato.... Occhi al cielo

L'insieme di un episcopato caduto nell'eresia....mi fa tornare a mente il periodo ariano: il medico pietoso fa imputridire la piaga....davvero NON riesco a capire in quale modo si possa difendere un tale SILENZIO attraverso il quale vi fu l'infiltrazione di una falsa interpretazione del Concilio SPACCAIATA PER DOGMA, negarlo non fa bene a nessuno....[SM=g1740729]


Che cosa accadde durante il Concilio V.II e cosa accadde negli anni successivi?

ne più ne meno di ciò che accadde negli altri Concilii.... Occhiolino non dimentichiamo che prima e durante ed anche dopo il Concilio di Trento, molti sacerdoti e Vescovi ABBANDONARONO LA CHIESA rifugiandosi nell'anglicanesimo e nel protestantesimo... [SM=g1740729]

Un esempio di cosa ha sempre vissuto la Chiesa durante e dopo un Concilio ce lo dice san Cipriano...[SM=g1740721]

Così disse a ragione :


3. - Ora, bisogna guardarsi non solo dai pericoli aperti e manifesti, ma pure dalle insidie tese con l’astuzia sottile dell’imbroglio. Ed ecco, cosa può esserci di più astuto e sottile? Il nemico, smascherato e abbattuto dalla venuta di Cristo, dopo che la luce venne alle genti e irraggiò il suo splendore per la salvezza degli uomini sicché i sordi ricuperavano l’udito della grazia spirituale e i ciechi aprivano gli occhi al Signore e gli infermi si rinvigorivano della sanità eterna e gli zoppi accorrevano alla Chiesa e i muti articolavano con chiara voce le loro preghiere: quel nemico, vedendo i suoi idoli abbandonati, e disertati i suoi templi e le sue sedi a causa del gran numero dei credenti, ha escogitato un nuovo inganno quello cioè di far cadere gli imprudenti presentandosi con l’etichetta del nome cristiano. Ha inventato, cosi, le eresie e gli scismi per sovvertire la fede, per corrompere la verità, per spezzare l’unità.

In questo modo, coloro che egli non può più tenere nel vicolo cieco dell’antico errore, li raggira e li inganna per una nuova via. Strappa gli uomini proprio dalla Chiesa e, mentre essi credono di essersi già accostati alla luce sfuggendo alla notte del mondo, li avvolge ancora in altre tenebre senza che essi se ne accorgano. Cosi costoro finiscono per chiamarsi cristiani senza però osservare la legge del Vangelo di Cristo; e mentre camminano nelle tenebre, pensano di stare nella luce. Tutto ciò è opera appunto dell’avversario, il quale attira con lusinghe nell’errore, e — come dice l’Apostolo (2 Corinzi 11,14) — si trasforma in angelo di luce, e spaccia i suoi ministri per ministri di giustizia: costoro chiamano giorno la notte, salvezza la morte, e insinuano la disperazione con l’appannaggio della speranza, e l’incredulità sotto il pretesto della fede, e dicono Cristo l’Anticristo, cosicché frustrano sottilmente la verità con menzogne verosimili. Ma ciò accade, fratelli carissimi, quando non ci si rifà all’origine della verità, quando non se ne ricerca il principio, quando non si osserva la dottrina del magistero celeste...(...)


6. - La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura. Ha conosciuto una sola casa, ha custodito con casto pudore la santità di un sol talamo. Lei ci conserva per Dio, lei destina al regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre. Se avesse potuto salvarsi chi restò fuori dell’arca di Noé, allora potremmo dire che si salverà chi è fuori della Chiesa (Genesi 7,1). Ecco quanto il Signore ci dice ammonendoci: «Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Matteo 12,30). Colui che spezza la concordia, la pace di Cristo, è contro Cristo; e colui che raccoglie fuori della Chiesa, disperde la Chiesa di Cristo. Il Signore dice: «Io e il Padre siamo uno» (Giovanni 10,30). E ancora sta scritto del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: «E i tre sono uno» (1 Giovanni 5,7). Ebbene, può forse esserci qualcuno che creda si possa dividere l’unità nella Chiesa, questa unità che viene dalla stabilità divina e che è legata ai misteri celesti, e penserà che si possa dissolvere per la divergenza di opposte volontà? Chi non si tiene in questa unità, non si tiene nella legge di Dio, non si tiene nella fede del Padre e del Figlio, non si tiene nella vita e nella salvezza.


san Cipriano martire da "L'Unità della Chiesa" (reperibile nelle librerie, Edizioni Studio Domenicano)



Vissuto nel 200 d.C. vescovo di Cartagine nel 248

Questo celebre testo venne letto dallo stesso Cipriano di fronte al concilio che si tenne in aprile nel 251, quello in cui poté ottenere il supporto dei vescovi contro lo scisma originato da Felicissimo e da Novato, che avevano un grande seguito. L'unità di cui san Cipriano si stava occupando non era tanto l'unità dell'intera chiesa, la necessità della quale comunque postulava, quanto l'unità da mantenere all'interno di ogni diocesi tramite l'unione con il vescovo; l'unità della chiesa, infatti, era garantita dall'unione dei vescovi che "sono incollati l'uno all'altro", quindi chiunque non è con il suo vescovo è fuori dalla chiesa e non può essere unito a Cristo; il prototipo del vescovo è San Pietro, il primo vescovo al quale tutti gli altri devono essere legati attraverso l'obbedienza....Il testo rituonò nell'aula conciliare e fu accolto con fragorosi applausi e arginò lo scisma novaziano che nel frattemo era stato nominato antipapa a fronte della legittima nomina diel vescovo Cornelio a successore di Pietro.....

ecc....eccc....ecc.....tanti c'hanno provato a distruggere la Chiesa o a volerla cambiare, ma hanno ottenuto solo divisioni e scismi.....hanno diviso la Chiesa.....
C'è stato chi ha regalato a Giovanni Paolo II niente meno che un libro sul
come CAMBIARE IL RUOLO PETRINO...
.Giovanni Paolo II LO CESTINO'...[SM=g1740745] [SM=g1740739]

Benedetto XVI spiega tre chiavi di lettura del primato petrino

Nell’omelia in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 30 giugno 2006 (ZENIT.org).- Pronunciando l’omelia della celebrazione eucaristica che ha presieduto questo giovedì in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha indicato tre chiavi di lettura del primato petrino, riferite ai Vangeli di Matteo, Luca e Giovanni.

Il Pontefice ha voluto approfondire il significato della frase “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16, 18): “che cosa dice propriamente il Signore a Pietro con queste parole? Quale promessa gli fa con esse e quale incarico gli affida? E che cosa dice a noi – al Vescovo di Roma, che siede sulla cattedra di Pietro, e alla Chiesa di oggi?”, ha chiesto.

“Se vogliamo comprendere il significato delle parole di Gesù, è utile ricordarsi che i Vangeli ci raccontano di tre situazioni diverse in cui il Signore, ogni volta in un modo particolare, trasmette a Pietro il compito che gli sarà proprio”, ha spiegato.

Nel Vangelo di Matteo (16, 13-19) letto in occasione della solennità, “Pietro rende la propria confessione a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio. In base a ciò gli viene conferito il suo particolare compito mediante tre immagini: quella della roccia che diventa pietra di fondamento o pietra angolare, quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere”.

Il Pontefice ha voluto richiamare l’attenzione “sul luogo geografico e sul contesto cronologico” delle parole di Cristo: “la promessa avviene presso le fonti del Giordano, alla frontiera della terra giudaica, sul confine verso il mondo pagano”, e il suo momento “segna una svolta decisiva nel cammino di Gesù”, che ora “s'incammina verso Gerusalemme e, per la prima volta, dice ai discepoli che questo cammino verso la Città Santa è il cammino verso la Croce”.

“Ambedue le cose vanno insieme e determinano il luogo interiore del Primato, anzi della Chiesa in genere – ha spiegato il Papa –: continuamente il Signore è in cammino verso la Croce”, “ma al contempo è sempre anche in cammino verso la vastità del mondo, nella quale Egli ci precede come Risorto”.

“La Chiesa – ed in essa Cristo – soffre anche oggi – ha riconosciuto il Pontefice –. In essa Cristo viene sempre di nuovo schernito e colpito; sempre di nuovo si cerca di spingerlo fuori del mondo”.

Nonostante questo, “proprio nella Chiesa sofferente Cristo è vittorioso”, e “la fede in Lui riprende forza sempre di nuovo”.

Questo si constata “anche nel ministero di Pietro”, in cui “si rivela, da una parte, la debolezza di ciò che è proprio dell'uomo, ma insieme anche la forza di Dio: proprio nella debolezza degli uomini il Signore manifesta la sua forza; dimostra che è Lui stesso a costruire, mediante uomini deboli, la sua Chiesa”.

Benedetto XVI ha quindi ricordato il racconto dell’Ultima Cena riportato nel Vangelo di San Luca (22, 31-33): Gesù si rivolge a Pietro subito dopo l'istituzione dell’Eucaristia, che rappresenta “il vero e proprio atto fondativo della Chiesa”.

In questa situazione, Gesù “parla di ciò che l'essere discepoli, il ‘ministero’, significa nella nuova comunità: dice che esso è un impegno di servizio, così come Egli stesso si trova in mezzo a loro come Colui che serve. E allora si rivolge a Pietro”, pregando affinché non venga meno la sua fede.

Il compito di Pietro, ha proseguito il Vescovo di Roma, è “non lasciare mai che questa fede diventi muta, rinfrancarla sempre di nuovo, proprio anche di fronte alla croce e a tutte le contraddizioni del mondo”.

Cristo “non prega soltanto per la fede personale di Pietro, ma per la sua fede come servizio agli altri. È proprio questo che Egli intende dire con le parole: ‘E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli’”.

“Il Signore affida a Pietro il compito per i fratelli attraverso la promessa della sua preghiera. L'incarico di Pietro è ancorato alla preghiera di Gesù. È questo che gli dà la sicurezza del suo perseverare attraverso tutte le miserie umane”.

Il terzo riferimento al primato petrino si ritrova nel Vangelo di San Giovanni (21, 15-19), nel brano in cui il Signore risorto affida a Pietro il suo gregge.

“Anche qui si compenetrano a vicenda la Croce e la Risurrezione. Gesù predice a Pietro che il suo cammino andrà verso la croce. In questa Basilica eretta sopra la tomba di Pietro – una tomba di poveri – vediamo che il Signore proprio così, attraverso la Croce, vince sempre”.

Il potere divino, infatti, non è “secondo le modalità di questo mondo. È il potere del bene – della verità e dell'amore, che è più forte della morte”.

“Sì, è vera la sua promessa – ha concluso il Papa –: i poteri della morte, le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa che Egli ha edificato su Pietro e che Egli, proprio in questo modo, continua ad edificare personalmente”.

[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]

Ritornando agli abusi dopo il Concilio.....[SM=g1740730]

TE DEUM LAUDAMUS....
non siamo una voce fuori del coro...quanto segue conferma le denuncie sollevate da questo forum Ghigno....
 
Speciale Sinodo dei Vescovi - La denuncia di Monsignor Burke:
I fedeli non rispettano la liturgia e le altre Leggi della Chiesa
 
posterò solo un passo....il resto leggetelo dal collegamento
 
http://www.papanews.it/news.asp?IdNews=9856
 
CITTA’ DEL VATICANO

                                         
 
I fedeli spesso ignorano o disattendono le norme relative alla liturgia e piu' in generale le leggi della Chiesa costituite dal diritto canonico, a sua volta fondato sulla legge naturale. E' del resto il diritto canonico strumento attraverso il quale ''la vita di Cristo puo' crescere e diffondersi''.

E' questo il severo richiamo rivolto al Sinodo generale dei Vescovi da Monsignor Raymond Burke, Prefetto del Supremo tribunale della segnatura apostolica; Monsignor Burke (nella foto), gia' Arcivescovo di Saint-Louis, di recente e' stato chiamato a ricoprire l'incarico in Curia da Benedetto XVI.

(..)


In merito poi ''al rapporto fra la Parola di Dio e la legge, e' importante sottolineare il servizio che il diritto canonico svolge nella Chiesa, mediante il quale la vita di Cristo puo' crescere e diffondersi nell'intera Chiesa. Nella sua Costituzione Apostolica ‘Sacrae disciplinae leges’, Papa Giovanni Paolo II, descrivendo il servizio del Diritto Canonico nella Chiesa, si e' riferito a un lontano patrimonio di diritto contenuto nei libri del Vecchio e Nuovo Testamento dal quale, come dalla sua prima sorgente, proviene tutta la tradizione giuridico-legislativa della Chiesa''.

Quindi, ha sottolineato Monsignor Burke, ''nella Chiesa, come nella societa', la comprensione della legge e' stata oscurata e, in alcuni casi, ha condotto a effetti gravemente dannosi come, per esempio, la diffusa inosservanza delle leggi liturgiche e l'insuccesso dei procedimenti attraverso i quali i fedeli rivendicano i propri diritti e i reati ecclesiastici non vengono dovutamente puniti''.

Al contrario, ''una maggior conoscenza del servizio della legge nella Chiesa, mediante lo studio della Parola di Dio, non solo aiuta la Chiesa a comprendere e a far tesoro del dono della disciplina canonica per il compimento della missione divina, ma aiuta tutta la societa' in generale a comprendere e a far tesoro del servizio insostituibile della legge per il compimento del bene comune''.
 
 
  GRAZIE MONS. BURKE...[SM=g1740721] ...

 Ghigno oserei dire che "qualcuno....ci legge"......... Felice

riporto da:
http://www.rinascimentosacro.com/2008/10/dal-culto-divino-osservazioni-piene-di.html


Mons. Ranjith, lucido osservatore della realtà: dal Culto Divino un ottimo servizio al Papa e alla Chiesa.
L’innovazione controproducente delle “ministranti femmine”, ministri straordinari dell’Eucaristia fuori controllo, sacerdoti “attori”: Monsignor Malcom Ranjith, segretario della Congregazione del Culto Divino, fotografa alcune diffuse derive liturgiche.


di Andrea Galli

«In molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un'autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile». Così Benedetto XVI descriveva, nella lettera di accompagnamento al motu proprio Summorum Pontificum, il clima che accompagnò in molte chiese locali la riforma liturgica. Un clima che i - ne parliamo con monsignor Malcolm Ranjith, numero due della Congregazione che si i occupa di liturgia e disciplina dei sacramenti - è lungi dall'essere scomparso.




Eccellenza, qual'è è la posizione della Chiesa riguardo alle ministranti femmine, alle chierichette, che nel giro di pochi anni si sono diffuse a macchia d'olio in tutte le diocesi italiane?

«Si tratta di una prassi diffusasi in diversi Paesi, nata nell'atmosfera di una rivendicazione di pari diritti tra uomo e donna, un movimento di opinione che accanto a punti condivisibili ne presenta altri che possono essere problematici. La Congregazione ha pubblicato nella sua rivista Notitiae, nel numero di gennaio-febbraio 2002, una lettera inviata ad un vescovo in cui non si opponeva a tale prassi, ma ne parlava con toni cauti. Voleva che il vescovo, esercitando il suo ruolo di moderatore della liturgia nella sua diocesi, giudicasse bene la situazione locale, la sensibilità dei fedeli e le ragioni per introdurre le chierichette.

Nei Paesi in cui questa abitudine si è radicata si è infatti notato negli anni un aumento delle femmine fra i ministranti e una corrispondente diminuzione dei maschi. Questo probabilmente perché durante l'infanzia e la prima adolescenza molti maschi non si sentono a loro agio nello svolgere il servizio all'altare insieme alle coetanee femmine. Ma se si pensa che il servizio all'altare è sempre stato un momento molto importante per la nascita di vocazioni - è lì che un bambino percepisce, spesso in modo molto profondo, l'importanza dell'Eucaristia e il mistero della liturgia - si può capire quale sia l'effetto negativo di questo allontanamento dei maschi dall'altare. Difatti nella lettera sopra citata la Congregazione, alludendo ad una sua precedente lettera circolare sull'argomento, ricordava «l'obbligo di promuovere gruppi di fanciulli ministranti, non da ultimo, per il ben noto aiuto che, da tempo immemorabile, tali iniziative hanno assicurato nell'incoraggiamento di future vocazioni sacerdotali» (Litterae Congregationis, Prot. N. 2451/00/L del 27 luglio 2001, in Notitiae 38 [2002] 48). Essa raccomandava di consultare la Conferenza Episcopale, anche se il parere di quest'ultima non doveva togliere «la necessaria libertà di azione del singolo vescovo diocesano» (Ibid. p. 47). Inoltre, non si può dire che il maggior protagonismo delle bambine incrementi le vocazioni femminili alla vita consacrata: al contrario, l'esperienza insegna che dove si è diffusa questa pratica le vocazioni femminili sono calate ancor più della norma. In sostanza, anche solo per una ragione di prudenza o lungimiranza pastorale, direi che questa prassi è da scoraggiare».




Accanto alla "novità" delle chierichette, si nota sempre più spesso una sciatteria nel servizio all'altare dei chierichetti in generale.

«Questo è un riflesso della crisi del senso della liturgia fra il clero, che è il vero problema. Non sono ovviamente i ministranti a decidere come devono vestirsi, come devono atteggiarsi, cosa devono fare. Il servizio del ministrante, quando io ero un ministrante, era curato con grande scrupolo dai sacerdoti. Si organizzavano dei ritiri appositi, c'erano prove rigorose prima delle cerimonie, ecc. Se un sacerdote ama il proprio sacerdozio si impegnerà nel curare la liturgia in tutti i suoi aspetti, compresa la formazione dei ministranti. Se non ama il proprio sacerdozio, che è incentrato sull'evento eucaristico, avrà un atteggiamento superficiale e approssimativo per quanto riguarda la liturgia. E ciò è una vera disgrazia per la Chiesa».



Un'abitudine che si è diffusa tra i sacerdoti che celebrano con il Novus Ordo è quella di intercalare con propri commenti o battute qualsiasi momento della Messa.

«Qui c'è un problema che va al di là del protagonismo o del carattere estroso del singolo sacerdote: l'essere rivolto verso il popolo fa sì che il sacerdote si senta e sia percepito come il protagonista principale della Messa. È un po' come se salisse su un palcoscenico e si mettesse di fronte al pubblico: l'esigenza di soddisfare la platea diventa spontanea, è una dinamica psicologica. A questo punto, però, l'assemblea rischia di trasformarsi in un raduno puramente umano, dove l'elemento divino passa in secondo o terzo piano.

D'altronde quella di celebrare rivolti verso il popolo non è stata un'indicazione del Concilio e si può dire, dopo ormai molti anni, che ha causato diversi problemi per la liturgia. Penso che bisognerà fare qualcosa a questo riguardo. Ci possono essere certamente delle parti della Messa in cui il sacerdote si rivolge al popolo, come le letture o l'omelia, ma bisogna recuperare quell'orientamento al Signore che il Santo Padre ci sta indicando con la reintroduzione del crocifisso sopra l'altare. Nell'essere rivolto al Signore insieme all'assemblea, il sacerdote smette di essere l'attore principale sul palcoscenico e diventa un umile servo di fronte a Dio. Se non si fa questo cambiamento, il problema del celebrante che cerca di accattivarsi la simpatia dei fedeli e che improvvisa, insomma il problema di una liturgia "do it yourself" (fai da te) continuerà. Allo stesso tempo, mi permetta una sottolineatura, è necessario tornare ad insegnare anche ai fedeli cos'è la liturgia, è necessario spiegare loro perché il sacerdote attore o presentatore, che va di qua e di là durante la Messa con la chitarra al collo o il microfono in mano, e che magari a loro piace, è una figura che non ha nulla a che fare con la liturgia cattolica. Il protagonista principale di ogni atto liturgico non è nessun altro che Cristo, perché, come definisce la Sacrosanctum Concilium, la costituzione liturgica del Concilio Vaticano II, la liturgia è "Actio Christi Sacerdotis" (SC 7)».




Può dirci qualcosa sugli avvisi dopo la Messa, che sembrano diventati a tutti gli effetti una parte della liturgia romana?

«Qui va seguito il buon senso. Direi che la cosa migliore è verificare se questi avvisi possono essere fatti appena prima dell'inizio della Messa, magari da un laico, oppure attraverso l'uso di notiziari o bollettini parrocchiali. Se non si possono adottare queste soluzioni, nel leggere gli avvisi dopo la comunione bisognerà usare sobrietà e poche parole».



In molte parrocchie si nota un uso regolare dei ministri straordinari dell'Eucaristia nel distribuire la comunione durante la Messa. Non si tratta di un abuso?

«Le norme emanate dalla Congregazione nel gennaio 1973, Immensae Caritatis, sono chiarissime: il ministro ordinario della comunione è il vescovo, a seguire il sacerdote e il diacono, (C/C 910 §1). Ministro straordinario può essere un accolito o un lettore, un seminarista, un religioso o una religiosa. Il catechista o un fedele, uomo o donna, lo possono diventare solo dopo un'apposita formazione e uno speciale permesso/mandato del vescovo. Ma, una volta che lo sono diventati, devono attenersi al loro ruolo, che è appunto straordinario. Intanto devono presentarsi all'altare vestiti in modo decoroso, ma soprattutto non devono distribuire la Comunione là dove non ce ne sia strettamente bisogno. Come dice il documento sopra citato, tale ministero viene esercitato solo se manchino il presbitero, il diacono o l'accolito, se non possono distribuire la Santa Comunione perché impediti da un altro ministero pastorale, o perché vecchi o malati, e se i fedeli desiderosi di comunicarsi sono talmente tanti da far prolungare in modo eccessivo la Messa. Devo dire che a questo riguardo spesso non si vede molta serietà. Capita di assistere a Messe con 50 parrocchiani e 4 o 5 ministri straordinari dell'Eucaristia che corrono all'altare al momento della distribuzione della Comunione, con il sacerdote che magari delega a loro il compito: una prassi completamente erronea. I ministri straordinari, lo dice il nome, devono essere impiegati in occasioni davvero eccezionali. E non tutti insieme».



Ci può ricordare quali sono i modi opportuni per comunicarsi?

«Quando ci si comunica stando in piedi, le norme stabiliscono che prima di ricevere il sacramento si faccia un atto di reverenza (Institutio Generate Missalis Romani, 160), per esempio un inchino o una genuflessione: perché non si sta andando a prendere un pezzo di pane, ma a ricevere Cristo in persona. La prassi più opportuna resta comunque quella di ricevere la comunione in bocca e preferibilmente in ginocchio, come il Santo Padre ci sta mostrando nelle liturgie che presiede. Quando un thailandese va dal suo re. deve andarci in ginocchio, anche se è il primo ministro del Paese. Così se un giapponese viene ricevuto dall'imperatore, gli si avvicina con un alto senso di riverenza, dopo aver fatto inchini su inchini. Gesù Cristo è il Re dei re, il Signore Onnipotente. Ci si domanda: non si merita lui più di tutti un gesto di amore e riverenza?».



Fonte Il Timone settembre-ottobre 2008


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aggiungo la lettera di Ratzinger del 1992:


Communionis Notio - Lettera, Congregazione per la Dottrina della Fede


orbene in essa viene spiegata l'erronea interpretazione di molti testi del Concilio... [SM=g1740733]
facciamo dunque attenzione anche noi a non interpretare forzatamente nei testi del Concilio, una volontà atta a distruggere il Primato di Pietro, perchè non è così... Occhiolino

suggerisco di approfondire l'argomento, munendovi di un bel tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità DEL PAPA per la Chiesa universale" ....in questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle FALSE INTERPRETAZIONI che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi...

a pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.....Ratzinger fa emergere e denuncia I MALINTESI sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di COMUNIONE BASTEREBBE ACCOGLIERE LA TRINITà......si dice Ratinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma NON è sufficiente per parlare di COMUNIONE..... Occhi al cielo

e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiatita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di POPOLO DI DIO e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."

Così Ratinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....

Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "SI ABBATTE' UNA GRANDINATA DI CRITICHE, DA CUI BEN POCO RIUSCI' A SALVARSI".... ..in sostanza ci fu un AMMUTINAMENTO DI TUTTI I VESCOVI...nè Giovanni Paolo II nè Ratzinger nulla poterono.... Occhi al cielo

Ratzinger rispose allora provando il suo testo sulla Scrittura e sulla Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora: " potebbero sembrare possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la GRANDE CHIESA IDEATA DA DIO CON A CAPO CEFA, per rifugiarsi in una immagine empirica DELLE CHIESE nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:

"Questo però significa che la Chiesa come tema teologico VERREBBE CANCELLATA. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto DESOLAZIONE. Ma allora non è abbandonato solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."

Un altra denuncia portata da Ratzinger nel chiarire i vari aspetti dell'Ecumenismo, è quella secondo la quale basterebbe la presenza di un vescovo e di una chiesa-comunità per stabilire una qualche forma di unità senza soffermarsi sull'essenza dottrinale!
Ratzinger denuncia quel relativismo secondo il quale non pochi teologi, erroneamente, si sono posti la domanda " Con quale diritto la Chiesa cattolica si pesenta quale unica Chiesa di Cristo?"
La replica di Ratzinger è precisa: la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità...
(...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa NON è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle cominità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussite pertanto UNA E INDIVISA NELLA CHIESA CATTOLICA CON A CAPO PIETRO....".. Occhiolino

E come venne eletto Pontefice, successore di questo Pietro, Cefa, Benedetto XVI disse il 23 agosto 2005 all'incontro ecumenico di Colonia:
"Non può esserci un vero dialogo a prezzo della VERITA'; il dialogo deve svolgersi nella carità, certamente, ma soprattutto nella VERITA'.."

Il suo modo di applicazione della LG(=Lumen Gentium) lo stiamo vedendo: egli ASCOLTA i Vescovi, poi emana le conclusioni alle quali i Vescovi devono sforzarsi di applicare ognuno nel proprio contesto diocesano...un esempio lo abbiamo visto con il Nuovo Lezionario Ambrosiano... Occhiolino

Per ritornare nel tema....metto qui un breve articolo messo da Sandro Magister per ricordare il rapporto fra l'allora Ratzinger e il Guardini....sulla questione LITURGICA E GLI ABUSI... [SM=g1740729]

LA QUESTIONE LITURGICA



Un punto cruciale d'incontro tra l'attuale papa e Guardini è indubbiamente la liturgia. Entrambi sono uniti dalla comune passione per essa. Per chiarire il suo debito nei confronti di Guardini, Ratzinger titolò il suo libro sul tema liturgico, uscito nella festa di sant'Agostino del 1999 e che ebbe uno straordinario successo (4 edizioni in un anno), "Introduzione allo spirito della liturgia", proprio ricordando il celebre "Lo spirito della liturgia" di Guardini uscito nel 1918.

Scrive lo stesso Ratzinger nella premessa al suo libro: "Una delle mie prime letture dopo l'inizio degli studi teologici, al principio del 1946, fu l'opera prima di Romano Guardini 'Lo spirito della liturgia', un piccolo libro pubblicato nella Pasqua del 1918 come volume inaugurale della collana 'Ecclesia orans', a cura dell'abate Herwegen, più volte ristampato fino al 1957. Quest'opera può, a buon diritto, essere ritenuta l'avvio del movimento liturgico in Germania. Essa contribuì in maniera decisiva a far sì che la liturgia, con la sua bellezza, la sua ricchezza nascosta e la sua grandezza che travalica il tempo, venisse nuovamente riscoperta come centro vitale della Chiesa e della vita cristiana. Essa diede il suo contributo perché si celebrasse la liturgia in maniera 'essenziale' (termine assai caro a Guardini); la si voleva comprendere a partire dalla sua natura e dalla sua forma interiori, come preghiera ispirata e guidata dallo stesso Spirito Santo, in cui Cristo continua a divenire a noi contemporaneo, a fare irruzione nella nostra vita".

E il confronto prosegue. Ratzinger paragona il proprio intento a quello di Guardini e lo ritiene del tutto coincidente nello spirito anche se in un contesto storico radicalmente diverso: "Vorrei arrischiare un paragone, che come tutti i paragoni è in gran parte inadeguato, ma che aiuta a capire. Si potrebbe dire che la liturgia era allora — nel 1918 — per certi aspetti simile a un affresco che si era conservato intatto, ma che era quasi coperto da un intonaco successivo: nel messale, con cui il sacerdote la celebrava, la sua forma era pienamente presente, così come si era sviluppata dalle origini, ma per i credenti essa era ampiamente nascosta da istruzioni e forme di preghiera di carattere privato. Grazie al movimento liturgico e — in maniera definitiva — grazie al Concilio Vaticano II, l'affresco fu riportato alla luce e per un momento restammo tutti affascinati dalla bellezza dei suoi colori e delle sue figure".

Dopo la ripulitura dell'affresco, però, il problema dello "spirito della liturgia" per Ratzinger oggi si ripropone.
Rimanendo nella metafora: per l'attuale papa diversi ed errati tentativi di restauro o di ricostruzione, disturbo arrecato dalla massa dei visitatori, hanno fatto sì che l'affresco sia stato messo gravemente a repentaglio e minacci di rovinare se non si prendono le misure necessarie per porre fine a tali dannosi influssi.
Non si tratta per Ratzinger di tornare al passato e infatti egli dice: «Naturalmente non si deve tornare a coprirlo di intonaco, ma è indispensabile una nuova comprensione del messaggio liturgico e della sua realtà, così che l'averlo riportato alla luce non rappresenti il primo gradino della sua definitiva rovina. Questo libro vorrebbe proprio rappresentare un contributo a tale rinnovata comprensione. Le sue intenzioni coincidono quindi sostanzialmente con ciò che Guardini si era proposto a suo tempo; per questo ho volutamente scelto un titolo che ricorda espressamente quel classico della teologia liturgica". E anche nel prosieguo del testo, soprattutto nel primo capitolo, egli si confronta con le tesi di Guardini e con la sua celebre definizione della liturgia come "gioco".

Nell'intervento commemorativo del 1985 Ratzinger si soffermava invece sulla fondazione storico-filosofica del rinnovamento liturgico proposto da Guardini. Nell'opera "Formazione liturgica" del 1923 il filosofo salutava con spirito liberatorio la fine dell'epoca moderna giacché essa aveva rappresentato lo sfacelo dell'essere umano e, più in generale, del mondo, una divaricazione schizofrenica tra una spiritualità disincarnata e menzognera e una materialità abbrutita che è solo uno strumento nelle mani dell'uomo e dei suoi obiettivi. Si aspirava al "puro spirito" e si incappò nell'astratto: il mondo delle idee, delle formule, degli apparati, dei meccanismi e delle organizzazioni.
 
L'allontanamento dal moderno coincideva in Guardini – sottolineava Ratzinger – con l'entusiasmo rivolto al paradigma medievale ben illustrato nel libro del martire del nazismo Paul Ludwig Lansberg, "Il Medioevo e noi", uscito nel 1923. Ciò non significava per Guardini abbandonarsi a un romanticismo del Medioevo ma coglierne la permanente lezione. Nell'atto liturgico è il vero autocompimento del cristiano e allora nella lotta sul simbolo e sulla liturgia ciò che è in gioco – annota Ratzinger sulla scia della lezione di Guardini – è il divenire stesso dell'uomo nella sua dimensione essenziale.

Il futuro papa andrà poi anche a soffermarsi sulle affermazioni espresse da Guardini nella famosa sua lettera inviata nel 1964 ai partecipanti al terzo Congresso liturgico di Magonza, che conteneva la celebre domanda: "L'atto liturgico, e con esso soprattutto quello che si chiama 'liturgia', è forse tanto storicamente vincolato all'antichità o al Medioevo che per onestà lo si dovrebbe oggi abbandonare del tutto?". Una domanda che nascondeva in realtà un quesito drammatico: l'uomo del futuro sarà ancora in grado di compiere l'atto liturgico che richiede un senso simbolico-religioso ormai in estinzione oltre che la sola obbedienza della fede?

Senza più il pàthos ottimistico della prima ora, Guardini intravedeva il volto del postmoderno con tratti ben diversi da quelli da lui in precedenza auspicati. Un vero e proprio choc spirituale dovuto alla civilizzazione tecnica invasiva di tutto, come già testimoniavano le sue "Lettere dal Lago di Como" del 1923. Per questo, sottolinea Ratzinger, "qualcosa della difficoltà degli ultimi tempi si trova, nonostante la gioia per la riforma liturgica del Concilio sviluppatasi a partire dal suo lavoro, nella sua lettera del 1964. Guardini esorta i liturgisti radunati a Magonza a prendere sul serio l'estraneità di coloro che considerano la liturgia come non più eseguibile e a riflettere su come si possa — se la liturgia è essenziale — avvicinarli a essa".


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Un supporto dell'amico Daniele D.S.[SM=g1740722]

A proposito di quanto affermato da Ratzinger nel 1965 occorre osservare due cose.

Primo, che il futuro pontefice, in quel periodo, aderì effettivamente a correnti di ispirazione progressista (senza però mai arrivare all'eresia vera e propria, come molti suoi colleghi), dalle quali poco tempo dopo prese le distanze. Non è corretto, quindi, fare uso di tali citazioni come se esse esprimessero il pensiero dell'attuale Pontefice.

Secondo, che nel caso in questione l'affermazione di Ratzinger è corretta: la Chiesa è sì monarchica, nel senso che la sua forma di governo (si allude ovviamente al governo spirituale, non a quello temporale dello Stato del Vaticano) ha al vertice un solo capo (il Papa, vicario visibile del Capo invisibile, Cristo), ma non nella forma della monarchia assoluta. In nessun documento pontificio o conciliare promulgato prima del Concilio Vaticano II si troverà scritto che il Papa è sovrano della Chiesa nello stesso modo in cui Luigi XIV lo era della Francia. La differenza tra le due forme di governo è essenziale. Nella monarchia assoluta la totalità del potere è detenuta dal sovrano, il quale di fatto identifica se stesso con la società che governa (Luigi XIV diceva "Lo Stato sono io"). La società, in altre parole, esiste in funzione del sovrano. Ai sudditi, qualunque sia il loro ordine e grado, non spetta di diritto alcun potere: e se essi esercitano una qualche forma di autorità (ministri della corona, governatori locali, ecc.), lo fanno solo per concessione del sovrano, che delega ad essi una parte del proprio potere.

Un regime del genere, secondo la dottrina cattolica, è dannosa per lo Stato civile, nel quale se la forma di governo è monarchica, il sovrano deve essere capo e guida della società, e non esaurire in sé la società stessa (cfr. Raimondo Spiazzi, Contributi tomistici alla politica, Presbyterium 1960). Per la Chiesa sarebbe addirittura impensabile. La dottrina del Corpo Mistico, distinguendo tra un capo e un corpo, non intende affatto assorbire il corpo nel capo o affermare che quello esista in funzione di questo. Non si è mai detto, in altre parole, che la Chiesa è il Papa.

La Chiesa, come affermano tutti i manuali di teologia dogmatica, è una società monarchica e gerarchica al tempo stesso. Il che significa che in essa il potere è detenuto ed esercitato in grado supremo e assoluto dal Papa e soltanto dal Papa, in grado inferiore e subordinato da altre persone, che nella fattispecie sono i Vescovi. Ora, se la Chiesa fosse una società solo monarchica, sarebbe errato parlare di gerarchia: in tal caso, infatti, i Vescovi sarebbero soltanto dei rappresentati locali del Papa, senza possedere di diritto nessun potere. Questo modo di pensare è del tutto estraneo alla dottrina cattolica di ieri, di oggi, di sempre.

Il passo citato del Concilio Vaticano I non si oppone in nulla alla dottrina della Lumen gentium e quindi non risponde al mio precedente intervento. La Lumen gentium, infatti, ribadisce e conferma (se mai ce ne fosse stato bisogno) che il Papa possiede ed esercita un vero e proprio primato di giurisdizione su tutto l'episcopato (cfr. anche il nuovo codice di diritto canonico, che a proposito del primato del Papa usa le stesse espressioni del vecchio), tanto che il collegio episcopale non esiste senza il Papa. Tale primato è di diritto divino e non deriva affatto al Papa per concessione del resto della Chiesa. In nessun passo della Lumen gentium si afferma una cosa del genere.

Tuttavia, il Concilio Vaticano I afferma che il Papa detiene un primato, non un'esclusiva. Ciò implica che i poteri che il Papa detiene in forma eminente e in grado supremo (di ordine e di giurisdizione) sono detenuti in forma circoscritta e in grado subordinato anche dai Vescovi. Questo - lo ripeto - non significa che i Vescovi, considerati da soli o riuniti in collegio, abbiano lo stesso potere del Papa, ma che essi possiedono per diritto una parte di questo potere e lo esercitano a norma dei sacri canoni e subordinatamente al Papa.

Fare dei Vescovi dei semplici delegati del Papa, dal quale deriverebbero tutti i loro poteri, significa di fatto eliminare la dignità conferita da Gesù Cristo agli Apostoli e ai loro successori. E sostenere una dottrina che, in questa forma, non esiste in alcun testo, né magisteriale né teologico, scritto prima del Concilio.

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L'amico Fufi:

Non sono ancora convinto, anche perchè non penso che si possa liquidare così facilmente l'opposizione che vi fecero 35 Cardinali e 5 Superiori generali, tra cui Mons. Lefebvre.

Anche perchè penso di saper leggere.


Lumen gentium
Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli. Infatti il romano Pontefice, in forza tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D'altra parte, l'ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa [63] sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice. Il Signore ha posto solo Simone come pietra e clavigero della Chiesa (cfr. Mt 16,18-19), e lo ha costituito pastore di tutto il suo gregge (cfr. Gv 21,15 ss); ma l'ufficio di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro (cfr. Mt 16,19), è noto essere stato pure concesso al collegio degli apostoli, congiunto col suo capo (cfr. Mt 18,18; 28,16-20) [64]. Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l'unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi, rispettando fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mente lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia. La suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata in modo solenne nel Concilio ecumenico. Mai può esserci Concilio ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è prerogativa del romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e confermarli [65]. La stessa potestà collegiale insieme col papa può essere esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.


Concilio Vaticano I
Al solo Simone Pietro, inoltre, dopo la resurrezione, Gesù conferì la giurisdizione di sommo pastore e rettore su tutto il suo ovile, dicendo: Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecore (41). A questa dottrina così chiara delle sacre scritture, com’è stata sempre intesa dalla chiesa cattolica, si oppongono apertamente le false opinioni di coloro che, fraintendendo la forma di governo istituita da Cristo signore nella sua chiesa, negano che il solo Pietro, rispetto agli altri apostoli, sia presi singolarmente che tutti insieme, abbia ricevuto un vero e proprio primato di giurisdizione da Cristo;o quanti affermano che questo primato immediatamente e direttamente sarebbe stato conferito non allo stesso beato Pietro, ma alla chiesa e, per mezzo di essa, a lui, come a suo ministro.



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Si vede come il Vaticano I dica chiaramente che "...il solo Pietro, [...], abbia ricevuto un vero e proprio primato di giurisdizione da Cristo". Solo il Papa ha la pienezza del potere supremo. Non si parla di questo collegio, tranne nel caso eccezzionale in cui il Papa decida di convocare un concilio ecumenico e quindi lo rendesse partecipe del suo potere supremo.


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Risposta di Daniele:


Non si può sostenere una tesi per il solo principio di autorità: "siccome la persona X, che io stimo, si è espressa a favore (o contro), anch'io mi esprimo a favore o contro". Oltre tutto, gli stessi Prelati menzionati da fufi, dopo una prima obiezione, finirono poi per firmare il documento. Si può credere che l'avrebbero fatto, se vi fossero contenuti espliciti errori? Si può credere che la totalità dei Vescovi cattolici fosse tanto sciocca o tanto traviata da mettere la firma in calce a un documento nel quale si enunciava l'eresia?

Ho già risposto alle tue obiezioni nei miei interventi. Ne sintetizzo i punti fondamentali.

1) Il collegio dei Vescovi unito al Papa gode della suprema potestà su tutta la Chiesa ed ha la prerogativa dell'infallibilità. Virtualmente il collegio detiene sempre questo potere (Casali parla giustamente anche di "Vescovi sparsi per il mondo"), ma realmente lo esercita solo nel Concilio Ecumenico (Codice di diritto canonico del 1917).

2) Il collegio non esiste senza il Papa (Nota explicativa praevia della Lumen gentium), quindi l'esercizio dei suoi poteri deriva di fatto da Lui.

3) Solo il Papa detiene l'effettivo primato di giurisdizione su tutta la Chiesa, potendo esercitarlo come e quando vuole, ed essendo causa efficiente dell'esistenza del corpo episcopale. Il Tanquerey, infatti, precisa che Papa e collegio episcopale non sono due soggetti distinti del potere supremo, ma un unico soggetto che può agire in due modi distinti (Papa da solo o Papa insieme al collegio episcopale).

4) I Vescovi, tuttavia, hanno un potere di giurisdizione limitato e condizionato che deriva loro per diritto divino. Non sono semplici rappresentati del Papa (come i nobili di un sovrano assoluto), tant'è vero che gli stessi Vescovi scismatici mantengono, com'è sempre stato riconosciuto, certi poteri di giurisdizione. Ovviamente la pienezza di questo potere e l'autorità di regolare, accrescendo o aumentando, le prerogative dei Vescovi, è propria solo ed esclusivamente del Papa.

Piccola chiosa. Ragioniamo per assurdo.

Noi sappiamo che a un Concilio Ecumenico hanno sempre avuto diritto di voto soltanto i Vescovi (anche quelli senza alcuna giurisdizione territoriale) e i Prelati tradizionalmente equiparati ai Vescovi (Cardinali, Abati, Superiori religiosi).

Ora, se il Papa possedesse non la pienezza, ma la totalità del potere giurisdizione (come un sovrano assoluto del XVII secolo), potrebbe demandarlo come vuole a qualunque persona, non importa se vescovo, sacerdote o laico.

Quindi, mantenendosi in quest'ordine di idee, domani il Papa potrebbe convocare un'assemblea di laici, dire che egli le attribuisce la suprema potestà su tutta la Chiesa, approvarne l'operato, e tale assemblea avrebbe di fatto la stessa autorità di un Concilio ecumenico. Per quanto la cosa non abbia precedenti storici, se sosteniamo che i Vescovi, per quanto riguarda i loro poteri di giurisdizione (non di ordine), sono identici ai laici, una simile ipotesi non dovrebbe apparire strana.



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la mia osservazione:


 Ghigno Daniè...tu però me le fai strappare le cose.....[SM=g1740725]

il tuo esempio non è tanto assurdo....abbiamo un laico anzi due, che nella Chiesa da 40 anni hanno inventato una liturgia e nessuno riesce a fargliela smettere.... Ghigno anzo, sono stati approvati, MA NON LA LORO LITURGIA seppur in passato trovò consensi e altri prelati vi hanno concelebrato quando ancora NON erano stati riconosciuti...
furono convocati dal Papa si, il quale li accarezzò ma li ha anche ammoniti circa la Liturgia con una lettera specifica, ma ancora ad oggi nessun risultato....le giurisdizioni le hanno, sono le parrocchie e in certe Diocesi hanno il governo locale della chiesa....[SM=g1740732]

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Il Pap nel ricevere  il personale del Cetro Televisivo Vaticano, fra le altre cose e le congratulazioni, ha detto esplicitamente:


Nel vostro servizio siete chiamati molto frequentemente a riprendere e diffondere le immagini di importanti e splendide celebrazioni liturgiche che hanno luogo al centro della cristianità. La liturgia è veramente il culmine della vita della Chiesa, tempo e luogo di rapporto profondo con Dio. Seguire l'evento liturgico attraverso l'occhio attento della telecamera, per permettere una vera partecipazione spirituale anche a coloro che non possono essere fisicamente presenti, è compito alto e impegnativo, che richiede anche da voi una preparazione seria e una vera sintonia spirituale con ciò di cui siete - in certo modo - il tramite. La buona collaborazione con l'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche, che coltivate da molto tempo, vi aiuterà a crescere sempre più in questo prezioso servizio spirituale ai telespettatori di tutto il mondo.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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