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La Chiesa Cattolica NON fu MAI antisemita!

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2016 00:20
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21/01/2010 19:09
 
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Alla vigilia dell'istituzione del ghetto

Quando il Papa e i cardinali indagano



Pubblichiamo la sintesi della relazione di apertura del colloquio organizzato dall'ambasciata di Israele presso la Santa Sede e dai Cattolici Amici d'Israele in occasione della visita di Benedetto XVI alla comunità ebraica.

di Anna Foa


Nella storia dei rapporti tra Papi ed ebrei compresa tra il vi secolo, con Gregorio Magno, e la caduta del potere temporale nel 1870, esiste una continuità di lungo respiro, interrotta però da momenti di crisi in cui muta in maniera più o meno sostanziale il rapporto teologico della Chiesa con la diversità ebraica e in cui i criteri stessi su cui si basa la convivenza sociale si modificano. Più che di una convivenza, infatti, si tratta di un equilibrio, quello tra la città e la piccola minoranza ebraica, che si fonda, ben più che sulle dinamiche sociali della città, sulla scelta del mantenimento della presenza ebraica attuata dalla Chiesa fin dal vi secolo per motivi sostanzialmente religiosi e a lungo mai rimessa in discussione.

In questo senso, la minoranza ebraica, quasi a condividere la doppia natura del potere papale, universalistica e statale, è da una parte una microsocietà minoritaria, simile sotto tanti aspetti alle microsocietà di altra natura di cui è popolata la città, in cui gli ebrei romani vivono a stretto contatto con il mondo cristiano, di cui condividono la lingua e della cui società sono in una certa misura partecipi, dall'altra una minoranza religiosa, l'unica tollerata dalla Chiesa in quanto minoranza e l'unica quindi con cui la Chiesa si misuri costantemente nel suo rapporto teologico con la diversità. I due fondamenti su cui si basa la convivenza sono da una parte la presenza, dall'altra, condizione ineliminabile che la consente, la subordinazione.

Uno dei periodi di maggior crisi del rapporto tra Chiesa ed ebrei è quello che copre gli ultimi decenni del Quattrocento - cioè il momento in cui nel vicino regno di Spagna si sceglie la strada della conversione più o meno forzata, dell'Inquisizione, delle leggi di limpieza de sangre e poi dell'espulsione, - per arrivare fino alla metà del Cinquecento, quando Roma attua la scelta di chiudere gli ebrei nel ghetto. Anzi, potremmo dire che proprio il ghetto è il risultato di questa trasformazione e che gli equilibri che si costituiscono nel ghetto e col ghetto non sono gli stessi di quelli del periodo che lo precede.

È stato detto da alcuni studiosi che la scelta del ghetto fu una scelta di compromesso, sia pur un compromesso diverso da quello che già nel 1516 a Venezia aveva dato origine al primo ghetto in Italia:  là, un compromesso tra presenza e assenza, qui tra espulsione e presenza.
E infatti, per la prima volta nella lunga storia della presenza ebraica a Roma, una presenza codificata nella sua inferiorità e sottomissione ma pur sempre fino ad allora mai rimessa in discussione, Roma sembra ripensare, sotto l'influsso della scelta spagnola, il fondamentale paradigma della presenza.
 
Certo, la politica iberica implicava molti aspetti che Roma non poteva accettare:  la conversione forzata, in Portogallo l'uso della forza assoluta e quindi la conversione canonicamente illegale, l'espulsione e la conseguente rinuncia alla conversione. Infatti, in Spagna non c'erano più ebrei da convertire, erano stati tutti cacciati, e il compito dell'Inquisizione non era quello di convertire gli ebrei bensì quello di controllare la sincerità dei conversos. Non solo, ma le leggi di limpieza avevano posto una pesante ipoteca sulla possibilità stessa di conversione, mettendo in discussione dal punto di vista del sangue quelle già avvenute.

Una scelta davvero radicale, che Roma non poteva condividere ma che non manca di esercitare attrattive oltre che reazioni negative, agitando così a Roma le acque fino ad allora più o meno tranquille del rapporto tra Chiesa ed ebrei e che, alla lunga, spinge Roma a scegliere di risolvere una volta per tutte la questione ebraica, come aveva fatto la Spagna, ma con strategie diametralmente opposte:  la conversione, la politica volta a convertire non gli ebrei, non alcuni ebrei, ma tutti gli ebrei, invece dell'espulsione, che della conversione rappresentava la negazione di principio.

Mentre la Spagna, infatti, aveva espulso i suoi ebrei al di fuori, disinteressandosi della loro sorte pur di salvaguardare la conversione di quanti avevano optato per il cristianesimo, Roma sceglieva di perseguire una politica di conversione mantenendo gli ebrei al suo interno, sia pur espellendoli preliminarmente dentro il ghetto. E se non pochi uomini di Chiesa, non ultimo l'illustre cardinal Caietano, sono ben consapevoli del carattere sostanzialmente anticonversionistico delle politiche spagnole, altri sentono invece la suggestione dell'esempio della penisola iberica, soprattutto nel momento in cui il peso della Spagna sul papato, a partire dal congresso di Bologna del 1530, diventa una vera e propria egemonia politica.

Ed ecco quindi nascere dubbi sulla possibilità di conversione degli ebrei "dalla dura cervice", discussioni giuridiche volte ad approfondire la presenza. Presenza sì, ma ovunque? e doveva essere, il cuore di questa presenza, proprio il cuore della cristianità? E così, la Roma che nel 1493 aveva accolto gli ebrei cacciati dalla Spagna, nonostante le proteste degli ambasciatori dei Re Cattolici, è percorsa da inquietudini e dubbi inusuali nella sua storia.

L'ombra onnipresente della Spagna si fa sentire, ad esempio, in un episodio avvenuto nel 1554, alle soglie della fondazione del ghetto:  l'unica accusa del sangue mai documentata a Roma, la scoperta del cadavere di un bambino crocefisso in Camposanto. Mentre un convertito ultrazelante, Chananel da Foligno, sparge il suo veleno affermando che è costume degli ebrei uccidere ritualmente un bambino a Pasqua, e il popolo si infiamma e invoca per la comunità arresti ed espulsioni collettive, il Papa e i cardinali indagano, finendo per scoprire alla fine che di un vile omicidio per denaro si trattava:  il bambino, spagnolo, era stato ucciso da due spagnoli a cui era stato affidato dal padre morente, per carpirne l'eredità e fare, contemporaneamente, accusare gli odiati ebrei del crimine. La comunità si salverà, così, dalle conseguenze di un'accusa ingiusta.

Come non ricordare l'accusa del sangue che aveva preceduto l'espulsione dalla Spagna del 1492, quel caso del Santo Niño de la Guardia, uno dei pochi casi di accusa di omicidio rituale in cui sia stato immaginario anche il bambino ucciso? Nei decenni che precedono il ghetto, l'ideologia spagnola esercita così un'influenza tanto profonda quanto sotterranea e offre un modello di rapporto con la diversità tutto differente da quello della Chiesa. Sono gli anni in cui si elaborano le riflessioni e le innovazioni che porteranno poi, nel 1555, nel momento in cui l'impero di Carlo si avviava alla fine, alla svolta netta e definitiva della politica papale verso gli ebrei:  l'istituzione del ghetto.


(©L'Osservatore Romano - 22 gennaio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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