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Non ho capito un passo del Vangelo (chiarimenti e approfondimenti sulla Scrittura)

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2018 19:20
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07/11/2014 19:20
 
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    Un sacerdote risponde


Secondo il padre Lagrange Giuda non ricevette il corpo del Signore, ma un boccone intinto nel sugo; poi si pentì, ma non al punto da domandare perdono


Carissimo Padre Angelo,
con la presente sono a sottoporle alcune riflessioni nonché dei dubbi, dopo aver letto ed ascoltato il Vangelo in questi giorni, riguardo la figura di Giuda Iscariota, ai quali le chiedo gentilmente ed umilmente di poter dare una risposta.

1) il primo riguarda l'Ultima Cena e cioè, perchè dopo il boccone che Gesù diede a Giuda, Satana entrò in lui? E perchè Gesù conoscendo e sapendo che l'avrebbe tradito gli diede ugualmente il pezzo di pane Simbolo (presumo) dell'Eucaristia? Faccio un esempio, non so se appropriato, per far capire meglio l'interrogativo. Es. Padre Pio che scrutava i cuori non dava la Comunione se vedeva che la persona che la stava ricevendo fosse in peccato....  E' chiaro che Padre Pio è un uomo mentre Gesù è Dio però perchè offre il pezzo di pane a una persona che aveva già deciso di tradirlo?

2) Si dice che per essere perdonati bisogna essere pentiti. Nel Vangelo è scritto che Giuda si pentì e poi si suicidò ora quel pentimento cade a vuoto? Ossia il pentimento per essere "valido" deve essere associato alla richiesta di perdono? Perchè lui dice "....ho tradito sangue innocente..." per cui (mi corregga se sbaglio) forse vede in Gesù una persona normale, ossia sangue innocente e non il Figlio di Dio? Quindi non crede che Gesù è Dio?

Ringraziandola anticipatamente le chiedo una benedizione e una preghiera particolare per me e la mia famiglia e le faccio i miei migliori auguri di Buona Pasqua.

Massimo


Risposta del sacerdote

Caro Massimo, 
1. sul primo punto il padre Lagrange, fondatore della Scuola biblica di Gerusalemme, dice che Gesù non comunicò Giuda, ma in quel boccone gli diede verdura intinta nell’intingolo.
Ecco che cosa scrive questo noto studioso, di cui è in corso il processo di beatificazione:

2.  “Rimessisi dall'emozione i discepoli avevano ripreso il pasto. Si era portato in tavola il piatto dei legumi con quello dell’intingolo, nel quale dovevano essere bagnati. C’è qui una coincidenza perfetta col rito pasquale, poiché tutti si servono nel medesimo piatto e Gesù offriva a Giuda un
boccone bagnato nell'intingolo. Si era quindi alla prima portata. Le prime allusioni fatte dal
Maestro al tradimento non erano state comprese, o almeno i discepoli non ne erano restati molto
commossi. Gesù era turbato nel profondo del cuore e rattristato dalla infedeltà di colui che, ammesso alla sua intimità, correva in quel modo alla propria rovina. Forse un ultimo avvertimento lo poteva arrestare, e, senza voler intralciare i disegni del Padre, essendo venuto per salvare gli uomini, volle realmente salvare anche Giuda, qualora la volontà di costui avesse acconsentito a darsi per vinta. Egli deve alla sua missione, deve sopratutto al suo amore corrisposto di
prevenire il traditore senza denunziarne il nome, e lasciargli così un'ultima ancora di pentimento e di salvezza. Non era però dignitoso per lui passare per ingenuo, e denunzia davanti a tutti più che il traditore il tradimento: «In verità vi dico che uno di voi mi tradirà, uno che mangia con me». i discepoli rattristati formularono la protesta sotto una forma
interrogativa: «Sono io forse quegli che tu hai designato?» e indicarono ancora come respingessero una simile idea; ma Gesù non rispose per non finire di denunziare il traditore.
Ma quando Giuda a sua volta, e forse anche uno dei primi, domandò: «Sarei io?» Gesù con voce bassissima gli rispose: «tu l'hai detto».
Nessuno l'intese e mentre i discepoli irrequieti si scambiavano a vicenda i loro commenti sopra il penoso incidente (Lc 22,23), Gesù procurò ancora di scuotere il traditore: «Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo ciò che è stato scritto a proposito di lui, ma guai a colui per cui il Figlio dell'uomo è tradito! Sarebbe stato meglio per lui che non fosse nato!».
(…)
Non può mettersi in dubbio che Gesù avesse occupato un posto press'a poco centrale di fronte allo spazio che nella disposizione delle tavole restava libero per il servizio. Egli aveva a destra il discepolo prediletto che gli stava coricato sul seno, vale a dire accanto, un po' avanti per rapporto alla tavola colla testa all’altezza del gomito sinistro del Maestro appoggiato sopra un cuscino. Giuda Iscariota gli era
anch'esso vicinissimo, tanto che poté essergli offerto un boccone bagnato nel condimento. Egli si trovava dal lato opposto e occupava il primo posto dell'altra serie di convitati. Appoggiato
anch'egli col gomito sinistro aveva i piedi rivolti nell'altro senso in modo da non essere nè sul
seno di Gesù, nè Gesù sul seno di lui e così da potersene andare senza molestare alcuno.
Quanto a Pietro nè era accanto a Gesù nè avrebbe potuto interrogarlo direttamente. Egli era accanto a Giovanni e in qualche maniera sul seno di costui. Degli altri discepoli non sappiamo nulla e sarebbe ozioso fare delle congetture.
Dopo la denunzia del tradimento le proteste degli apostoli, i propositi vivaci scambiatisi vicendevolmente, le parole minacciose contro il traditore che continuava a mantenersi impassibile, una grave atmosfera di sospetti pesava sopra i cuori
fedeli. Pietro, non rassegnato a questa incertezza, fece colla testa a Giovanni un cenno per attirarne l'attenzione su ciò che sta per dirgli a bassa voce. Pensando che il Maestro gli abbia fatto qualche confidenza o che sia giunto a penetrar qualche cosa del mistero, lo interroga ansiosamente: «Dimmi dunque chi è colui di cui parla». Giovanni, che non ne sapeva nulla e che era coricato colla testa contro il cuore di Gesù, osò scrutarne il secreto: Signore, chi è costui?». Sicuro di un sentimento d'affezione che vuol essere rischiarato per essergli più utile, Gesù risponde: «È per colui per il quale io intingerò questo boccone e al quale Io darò». Il banchetto era arrivato al momento in cui il padrone di casa e i suoi convitati mangiavano la lattuga bagnata nel condimento giacchè il boccone che presso i greci era di pane o di carne, può evidentemente dirsi di qualsiasi commestibile. L'ospite era onorato quando chi lo aveva invitato gli offriva con le estremità delle dita un pezzo qualunque di vivanda bagnata nel brodo, e quest'uso esiste tuttavia presso i beduini. Gesù, trovandosi vicino a Giuda, potè agevolmente mettergli in bocca un boccone inzuppato, ultimo segno di intima famigliarità; ma Giuda si ostinò e fu in seguito a questo indurimento che Satana si rese padrone della sua anima. Da questo momento Giuda ne seguirà le suggestioni fino alla fine.
Egli era incaricato di provvedere ai bisogni materiali della piccola comunità il che forse spiega il suo posto vicino al Maestro per essere più facilmente in grado di prenderne gli ordini e di eseguirli. Gesù, quasi non potesse più a questo momento sopportarne la presenza, essendo sul punto di effondere l'anima sua in quella di coloro che lo amavano, disse a Giuda: «Ciò di stai per fare, fallo al più presto». Valeva assai meglio finirla che continuar a fingere. Nessuno però si rese conto del senso vero di quelle parole, all'infuori di chi aveva ricevuto la confidenza, e di Pietro a cui dall'amico era stata già comunicata.
I più avvisati pensarono che Gesù avesse dato a voce bassa le sue istruzioni a Giuda, come economo della comunità, per comperare ciò di cui si aveva bisogno per prender parte alla festa ufficiale dell'indomani, o per fare in tale occasione qualche modesta elargizione ai poveri.
Era la notte, e il potere delle tenebre era scatenato. Secondo l'ordine da noi seguito è chiaro che Giuda non si comunicò, e tale è pure il sentimento di tutti i moderni.
Dopo questi preparativi, o piuttosto questi preliminari, si portava l’agnello pasquale e si serviva la seconda coppa. Se gli evangelisti sinottici non ne hanno parlato bisogna credere che la loro attenzione si sia portata sopra l'atto solenne che avrebbe poi reso inutile l'antico rito” (M.-J. Lagrange, L’evangelo di Gesù Cristo, pp. 496-499).

3. Sul secondo punto, è vero che Giuda si pentì, ma si pentì malamente perché non è andato a chiedere perdono al Signore, ma ai capi e ai sommi sacerdoti.
Ecco ancora quanto scrive il nostro padre Lagrange:

4. “La condanna del Maestro scosse profondamente l'anima d Giuda. Vi sono delle coscienze tenebrose che non comprendono la gravità di un delitto prima di averlo compiuto. Giuda non poteva ignorare l'intenzione dei capi di far morire Gesù e dovette accettare anticipatamente questa conseguenza del suo atto. Pure inorridì quando comprese essere inevitabile la morte di colui che era stato amato e sul punto di divenire un fatto compiuto. Il denaro del tradimento gli divenne troppo pesante e senz'altro riportò le trenta monete d'argento a quelli dei sacerdoti e degli anziani che avevano mercanteggiato con lui. Era vicino al pentimento tanto da riconoscere il proprio misfatto: «Ho peccato tradendo il sangue innocente». Una volta soddisfatto il proprio odio i Sinedriti, che non volevano più aver a fare col traditore, seccamente risposero: «Che ci importa? è affar tuo».
Quel denaro era stato troppo bene impiegato per riprenderlo dopo che Giuda aveva prestato l'opera per cui era stato pagato e quelle coscienze scrupolose non vollero privarlo del suo beneficio. Spinto da questa vergogna, Giuda, come se un resto d'onore si risvegliasse in lui di fronte a tanta ipocrisia, gettò le trenta monete d'argento nel tempio. Era dunque a costoro che egli aveva venduto il Maestro! Il suo rimorso non lo portò più in là: per ottenere pietà avrebbe dovuto domandare perdono, e Gesù gliel'avrebbe accordato riguardandolo come Pietro se il suo sguardo colpevole e supplicante si fosse incontrato con quello del Maestro; ma Giuda dubitò della misericordia di lui, si allontanò da Dio in preda a una feroce disperazione e andò a impiccarsi” (M.-J. Lagrange,L’evangelo di Gesù Cristo, pp. 538-539).

5. Certo Giuda non ha voluto chiedere perdono a Gesù.
Se non credeva più in lui come a Figlio di Dio, almeno come ad uomo innocente avrebbe dovuto farlo.
Ma non l’ha voluto fare.
Era accecato dal suo orgoglio.

Ti assicuro volentieri la mia preghiera e la mia benedizione e contraccambio gli auguro di una serena e Santa Pasqua.
Padre Angelo


Pubblicato 07.11.2014







Un sacerdote risponde

Il significato delle parole in cui si dice che Dio punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione

Quesito

Caro Padre Angelo, 
ho scoperto da pochissimo questa sua pagina in cui dispensa insegnamenti e consigli preziosi per cui voglio rivolgerle anche un mio quesito. 
Premetto che ho sempre avuto un sentimento di religiosità latente, nonostante che il Signore non abbia mai smesso di chiamarmi da lontano, che in sostanza mi ha portato a vivere una vita abbastanza sregolata soprattutto dal punto di vista del comportamento sessuale. 
Poi un bel giorno superati i cinquant'anni ho deciso di cambiare in maniera sostanziale la mia vita e, senza chiedere nulla in cambio ma solo decidendo di donare me stesso a Gesù, mi sono confessato e partecipo alle funzioni non solo della domenica ma anche di tutti i giorni nei momenti di possibilità. 
La mia vita ora è fatta di preghiera ma soprattutto di pensieri e comportamenti che ricalcano in ogni momento della giornata ogni insegnamento del Vangelo. 
Ci tengo a sottolineare che in brevissimo tempo dal momento del mio assenso a Gesù ho potuto sperimentare una pace interiore e la risoluzione di tanti problemi sicuramente per opera dello Spirito Santo. 
Data l'occasione e leggendo di persone molto preoccupate per la confessione io credo che nel momento in cui ci si pente per davvero dei peccati commessi, e si ha la VERA intenzione di non commetterli più pregando in ginocchio davanti al Signore, si venga perdonati. 
La confessione davanti al sacerdote è ovviamente determinante e imprescindibile ma se ci si scorda di qualche particolare non credo che a Dio interessi più di tanto. Egli sa già benissimo cosa abbiamo e non abbiamo fatto e quello che a Lui  importa è che si decida dal profondo del cuore e della fede di non commettere più i peccati che ci fanno vergognare. 
A poco servirebbe una confessione ricca di particolari se poi siamo poco convinti, o per nulla, nel non ripetere le stesse cose sbagliate e che ci allontanano da Dio. 
Ma la vera cosa che volevo chiederle è che leggendo nella Bibbia dei rapporti di matrimonio non consacrati, cioè considerati adulteri, le colpe ricadrebbero sui figli. Io sono figlio di una coppia non sposata in chiesa perchè a quel tempo andava di moda la filosofia comunista-anticlericale che faceva ritenere la religiosità cosa inutile e Dio un'invenzione a beneficio dei preti (più o meno).
Nonostante questo i miei genitori sono sempre stati esempio di onestà e di fedeltà e non posso certo dire che mi abbiano ostacolato nella fede o insegnato cose sbagliate. 
Le chiedo dunque ma davvero chi nasce da un rapporto non ufficializzato davanti a Dio porta dentro una colpa che comunque in definitiva non è sua?? 
Che dire dei figli nati da rapporti sbagliati, o per violenza, o qualsiasi altro caso??
In cuor mio mi sento creatura di Dio, con un grandissimo amore nei Suoi confronti, e non smetterò mai di lodarlo e di testimoniarlo nel mondo. Posso sentirmi ben accetto e a quello che ho letto ho dato un'interpretazione troppo letterale o sbagliata?? 
La ringrazio e la saluto fraternamente. 
Giovanni.


Risposta del sacerdote

Caro Giovanni, 
1. le osservazioni che hai fatto sulla confessione sono giuste.
L’elemento principale consiste nella contrizione, e cioè nel pentimento dei peccati e nella risoluzione di non più commetterli.
L’accusa è importante, è necessaria, è di diritto divino e pertanto la Chiesa non può dispensare dal farla. Tuttavia se uno dimentica un peccato, ma aveva la volontà di confessarlo, deve ritenersi assolto. 
Se poi gli torna in mente, lo accuserà nella successiva confessione. E nel frattempo, se non ha commesso altri peccati gravi, può fare la Santa Comunione.

2. La seconda domanda che mi hai posto trae la sua ispirazione da quello che si legge nel libro dell’Esodo nel momento in cui Dio sta per consegnare i dieci comandamenti a Mosè e ne chiede l’osservanza: “Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (Es 20,5-6).

3. Il linguaggio del castigo e del premio è evidentemente allegorico.
La pena che colpisce i figli fino alla terza e alla quarta generazione sta a ricordare che come i figli sono il bene più prezioso per i genitori, i quali preferirebbero piuttosto soffrire loro stessi pur di risparmiarne i figli, così la trasgressione dei divini comandamenti priva l’uomo del bene più caro, che è il possesso di Dio dentro di sé per il tempo e per l’eternità.

4. Gli antichi tuttavia non intendevano queste parole solo in senso allegorico, ma anche materiale.
Qui allora vi si trovano altri significati.
Non va dimenticato che nell’Antico Testamento il ceppo famigliare o il clan avevano grande importanza.
In una società in cui non vi era minimamente il concetto di uno stato sociale che garantisse il minimo di beni a tutti i cittadini, l’appartenenza ad un clan o ad una famiglia era un elemento di difesa e di protezione.
Va ricordato anche che a quei tempi vigeva la pena del taglione: quella che si esprime nell’occhio per occhio e nel dente per  dente. 
Va ricordato anche che la pena di morte veniva data con molta facilità. La bestemmia e la trasgressione del riposo del sabato erano, ad esempio, causa di pena di morte. 
Questa pena di morte evidentemente cooperava all’impoverimento del clan o del nucleo famigliare e questo si sarebbe fatto sentire per diverso tempo. 
Ecco perché si parla di punizione fino alla terza e quarta generazione. Ma a dire il vero è un’auto punizione.
Pertanto il significato letterale delle parole della Sacra Scrittura va inteso secondo le condizioni di vita dell’Antico Testamento e non può essere applicato a noi.

5. Inoltre rimane sempre vero che talvolta si fanno pagare le conseguenze dei propri peccati anche i figli.
Questo è un dato testimoniato anche dalla scienza medica, che parla di  trasmissione di tare dovute al proprio comportamento. Si pensi ad esempio agli effetti dell’alcoolismo o dell’aids sui figli.

6. Noi oggi, in queste parole della Sacra Scrittura, possiamo vedervi anche una nascosta solidarietà che lega gli uomini nel bene e nel male, a seconda che vivano in grazia o siano privi della grazia.
È quella legge della solidarietà cui alludeva Giovanni Paolo II in Reconciliatio et poenitentia quando scriveva: “Riconoscere che in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri. È, questa, l’altra faccia di quella solidarietà che, a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che “ogni anima che si eleva, eleva anche il mondo”.
A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione nel peccato per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche modo, il mondo intero. In altri termini, non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana. Secondo questa prima accezione, a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale” (RP 16).

 7. Con tutto questo non dobbiamo dimenticare le parole successive proferite da Dio: “che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni”.
Il premio promesso (la misericordia e la benevolenza divina) si riversano sull’umanità in maniera più ampia (mille generazioni) che i castighi. 
Per i meriti di Abramo, Isacco e Giacobbe (e noi possiamo dire per i meriti di Cristo, della Beata Vergine e dei santi) Dio benefica l’umanità in maniera straordinaria, perché vuole che il bene compiuto in grazia vada a beneficio di tutti e per tutta l’eternità.

Ti ricordo al Signore nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


   


Un sacerdote risponde

Sono un appassionato cultore di storia dell'antica Roma, e, da cristiano, mi sono spesso chiesto dove riposino le anime dei Romani

Quesito

Caro Padre Angelo,
In primis ringrazio per la disponibilità a rispondere alle domande dei fedeli. 
Sono un appassionato cultore di storia dell'antica Roma, e, da cristiano, mi sono spesso chiesto dove riposino le anime dei Romani, dagli imperatori ai comuni legionari. So che essi credevano nei campi elisi e nell'Ade, ma agli occhi della teologia mi saprebbe aiutare a capire che fine hanno fatto le anime dei giusti e dei meno giusti di quel tempo. 
La ringrazio, 
Cordialmente


Risposta del sacerdote

Carissimo, 
1. la tua domanda può essere applicata, oltre che ai romani, anche ai greci, a tutti gli antichi e a tutti quelli che ancor oggi muoiono senza aver conosciuto Gesù Cristo.
Per risolvere il problema dobbiamo partire dalla volontà di nostro Signore che “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4).
In virtù del sacrificio di Cristo che ha versato il suo sangue per la salvezza di tutti e non vuole che sia stato versato invano Dio mette a disposizione di tutti gli uomini i mezzi per potersi salvare.
Pertanto ci troviamo dinanzi ad una volontà salvifica che non è una volontà platonica, ma vera, efficace.

2. Ora i mezzi ordinari della salvezza sono costituiti dai sacramenti, i quali comunicano la grazia santificante.
La grazia santificante è una partecipazione della vita divina che mentre purifica dal peccato rende adatti alla comunione con Colui che è tre volte Santo.
Senza la grazia santificante non si può entrare in Dio e nel suo Regno.
La parabola di colui che era sprovvisto degli abiti nuziali è molto eloquente (Mt 22,12). È vero che quel tale era stato chiamato dai crocicchi delle strade. Ma a quei tempi chi invitava alle nozze, soprattutto se era una persona di alto rango, si preoccupava di fornire lui stesso le vesti, facendo passare dal guardaroba. 
Potrei dire che il guardaroba dove il Signore ci fa passare per presentarci senza macchia e risplendenti davanti a Lui è costituto dai sacramenti.

3. Tuttavia i teologi e la Chiesa hanno sempre insegnato che i sacramenti sono i mezzi ordinari per la salvezza. 
Dio, oltre i mezzi ordinari, possiede anche dei mezzi straordinari per salvare gli uomini. 
Per questo in teologia si afferma che “la grazia non è legata ai sacramenti” (gratia non alligatur sacramentis).
Dio la dona anche al di fuori dei sacramenti, A noi può dare un aumento di grazia mentre preghiamo o compiamo un’opera buona.
Perché non potrebbe farlo anche con chi non ha avuto la “fortuna” di essere battezzato?

4. Poiché Dio vuole salvi tutti gli uomini dobbiamo pensare che il Signore approfitti di ogni momento per bussare al cuore di ognuno perché accolga la sua grazia.
Lo farà molto probabilmente mentre ispira a compiere il bene e a fuggire il male e vi acconsente. Così pensava San Tommaso- 
Ora se si accoglie tale mozione santificante da parte di Dio vengono rimessi i peccati e viene donata la grazia, sebbene non lo si sappia.

5. Così allora si risolve molto facilmente il tuo problema.
Se gli antichi Romani sono morti in grazia di Dio si sono salvati, magari passando dal purgatorio secondo le proprie necessità.
Tuttavia, anche una volta purificati, non hanno potuto entrare in paradiso essendo questo ancora chiuso in seguito al peccato di Adamo. 
Il paradiso verrà riaperto solo con la risurrezione di Gesù Cristo, che è il primogenito dei risorti da morte.
Pertanto gli antichi Romani morti in grazia e ormai purificati hanno atteso nel Limbo, come vi attendevano i giusti di Israele.
L’esistenza del Limbo prima della venuta di Cristo è dogma di fede.
Mai poi, con la risurrezione di Cristo sono entrati in Paradiso.
San Gregorio Magno attesta di aver visto l’anima dell’imperatore Traiano in Paradiso.
Chi invece fra gli antichi Romani è morto col peccato mortale è andato all’inferno.

6. Gli antichi Romani credevano nell’Ade. Ma il Limbo è diverso dall’Ade, che era un luogo magari anche bello per le persone che si erano comportate virtuosamente.
Nel Limbo (cosiddetto dei Patriarchi) le anime potevano fruire della rivelazione di Dio e attendere la venuta di Cristo.
Questa rivelazione faceva sì che il Limbo fosse solo una condizione provvisoria e piena di speranza a differenza dell’Ade che secondo la concezione dei pagani era una condizione permanente e vissuta nell’ignoranza del vero Dio e della venuta del Redentore.

Ti ringrazio del quesito e della pazienza nell’attendere, ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo



[Modificato da Caterina63 01/06/2015 11:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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