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I Discorsi di Papa Luciani Giovanni Paolo I

Ultimo Aggiornamento: 28/08/2022 12:05
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Albino Luciani, Giovanni Paolo I, inizia il suo Discorso ai Cardinali elettori in LATINO
[SM=g1740733]



 

SANTA MESSA PER L’INIZIO DEL MINISTERO PETRINO
DEL VESCOVO DI ROMA

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO I

Sagrato della Basilica Vaticana
Domenica 3 settembre 1978


 

Venerabiles Fratres ac dilecti Filii,


In hac sacra celebratione, qua solemne fit initium ministerii Summi Ecclesiae Pastoris, humeris Nostris impositi, mentem imprimis adorantes orantesque convertimus ad Deum, infinitum et aeternum, qui consilio suo, humanis argumentis inexplicabili, et benignissima dignatione sua ad Cathedram beati Petri Nos evexit. Sponte quidem in haec verba Sancti Pauli Apostoli erumpimus: « O altitudo divitiarum et sapientiae et scientiae Dei: quam incomprehensibilia sunt iudicia eius et investigabiles viae eius » (1).


Cogitatione deinde complectimur et paterno amore salutamus totam Christi Ecclesiam: coetum istum, qui illam veluti repraesentans, congregatus est in hunc locum, pietatis, religionis, artis operum plenum, quo Principis Apostolorum sepulcrum studiose custoditur; salutamus deinde Ecclesiam, quae ope instrumentorum communicationis socialis, quae nostra aetas invexit, Nos hac ipsa hora aspicit et audit.


Salutem dicimus cunctis membris Populi Dei: Patribus Cardinalibus, Episcopis, Sacerdotibus, Religiosis viris et mulieribus, Missionariis, Seminariorum alumnis, Laicis apostolatum exercentibus et varia munera obeuntibus, hominibus versantibus in publica re, in ingenii cultu, in arte, in negotiis oeconomicis, patribus et matribus familias, operariis, peregre migrantibus, utriusque sexus adulescentibus, infantibus, aegrotis, dolore vexatis, pauperibus.

Salvere etiam iubemus, cum reverentia et cordis affectu, universos homines, qui sunt in mundo quosque habemus et amamus tamquam fratres, quoniam filii sunt eiusdem Patris caelestis et fratres in Christo Iesu(2).


Abbiamo voluto iniziare questa nostra omelia in latino, perché - come è noto - esso è la lingua ufficiale della Chiesa, della quale, in maniera palmare ed efficace, la universalità e la unità
.


La Parola di Dio, che abbiamo or ora ascoltato, quasi in un crescendo ci ha presentato anzitutto la Chiesa, prefigurata ed intravista dal profeta Isaia(3), come il nuovo Tempio, al quale affluiscono da tutte le parti le genti, desiderose di conoscere la Legge e di osservarla docilmente, mentre le terribili armi di guerra trasformate in strumenti di pace. Ma questo nuovo Tempio misterioso, polo di attrazione della nuova umanità, ci ricorda San Pietro, ha una sua pietra angolare, viva, scelta, preziosa(4), che è Gesù Cristo, il quale ha fondato la sua Chiesa sugli Apostoli e l'ha edificata sul beato Pietro, loro capo(5).


«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa »(6): parole gravi, grandi e solenni che Gesù, a Cesarea di Filippo rivolge a Simone, figlio di Giovanni, dopo la professione di fede non è stata il prodotto della logica umana del pescatore di Betsaida, o l'espressione di una sua particolare perspicacia, o l'effetto di una sua mozione psicologica, ma frutto misterioso e singolare di una autentica rivelazione del Padre celeste. E Gesù muta a Simone il nome in Pietro, significando con questo il conferimento di una speciale missione; gli promette di edificare su di lui la propria Chiesa, la quale non sarà travolta dalle forze del male o della morte; gli conferisce le chiavi del regno di Dio, nominandolo così massimo responsabile della sua Chiesa, e gli dà il potere di interpretare autenticamente la legge divina.

Dinanzi a questi privilegi, o per meglio dire, dinanzi a questi compiti sovrumani affidati a Pietro, S. Agostino ci avverte: « Pietro per natura era semplicemente un uomo; per grazia un cristiano; per una grazia ancora più abbondante, uno e, nello stesso tempo, il primo degli Apostoli »(7).

Con attonita e comprensibile trepidazione, ma anche con immensa fiducia nella potente grazia di Dio e nella ardente preghiera della Chiesa, abbiamo accettato di diventare il Successore di Pietro nella sede di Roma, assumendo il « giogo », che Cristo ha voluto porre sulle nostre fragili spalle. E ci par di sentire come indirizzate a Noi, le parole che S. Efrem fa rivolgere da Cristo a Pietro: « Simone, mio apostolo, io ti ho costituito fondamento della Santa Chiesa. Io ti ho chiamato già da prima Pietro perché tu sosterrai tutti gli edifici; tu sei il sovraintendente di coloro che edificheranno la Chiesa sulla terra;... tu sei la sorgente della fonte, da cui si attinge la mia dottrina; tu sei il capo dei miei apostoli;... ti ho dato le chiavi del mio regno »(8).


Fin dal primo momento della nostra elezione e nei giorni immediatamente successivi, siamo stati profondamente colpiti ed incoraggiati dalle manifestazioni di affetto dei nostri figli di Roma ed anche di coloro, che da tutto il mondo ci fan pervenire l'eco della loro incontenibile esultanza per il fatto che ancora una volta Dio ha donato alla Chiesa il suo Capo visibile. Riecheggiano spontanee nel nostro animo le commosse parole che il nostro grande e santo Predecessore, S. Leone Magno, rivolgeva ai fedeli romani: « Non cessa di presiedere alla sua sede il beatissimo Pietro, ed è stretto all'eterno Sacerdote in una unità che non viene mai meno... E perciò tutte le dimostrazioni di affetto, che per degnazione fraterna o pietà filiale avete rivolto a noi, riconoscete, con maggiore devozione e verità, di averle con me rivolte a colui, alla cui sede noi godiamo non tanto di presiedere, quanto di servire »(9).


Oui, notre présidence dans la charité est un service et, en l'affirmant, Nous pensons non seulement à nos Frères et Fils catholiques, mais à tous ceux qui essaient aussi d'être disciples de Jésus-Christ, d'honorer Dieu, de travailler au bien de l'humanité.

En ce sens, Nous adressons un salut affectueux et reconnaissant aux Délégations des autres Eglises et Communautés ecclésiales qui sont ici présentes. Frères non encore en pleine communion, nous nous tournons ensemble vers le Christ Sauveur, progressant les uns et les autres dans la sainteté où il nous veut, et ensemble dans l'amour mutuel sans lequel il n'y a pas de christianisme, préparant les voies de l'unité dans la foi, dans le respect de sa Vérité et du Ministère qu'il a confié, pour son Eglise, à ses Apôtres et à leurs Successeurs.


Par ailleurs, Nous devons une salutation particulière aux Chefs d'Etat et aux membres des Missions Extraordinaires. Nous sommes très touché de votre présence, soit que vous présidiez vous-mêmes aux hautes destinées de votre pays, soit que vous représentiez vos Gouvernements ou des Organisations internationales que Nous remercions vivement. Nous voyons dans cette participation l'estime et la confiance que vous portez au Saint-Siège et à l'Eglise, humble messagère de l'Evangile à tous les peuples de la terre, pour aider à créer un climat de justice, de fraternité, de solidarité et d'ésperance sans lequel le monde ne saurait vivre.


Que tous, ici, grands et petits, soient assurés de notre disponibilité à les servir selon l'Esprit du Seigneur!


Circondati dal vostro amore e sostenuti dalla vostra preghiera, iniziamo il nostro servizio apostolico invocando come splendida stella del nostro cammino la Madre di Dio, Maria, « Salus Populi Romani » e « Mater Ecclesiae », che la Liturgia venera in modo particolare in questo mese di settembre. La Vergine, che ha guidato con delicata tenerezza la nostra vita di fanciullo, di seminarista, di sacerdote e di Vescovo, continui ad illuminare e a dirigere i nostri passi, perché, fatti voce di Pietro, con gli occhi e la mente fissi al suo Figlio, Gesù, proclamiamo nel mondo, con gioiosa fermezza, la nostra professione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente »(10).

Amen.


(1) Rom. 11, 33.

(2) Cfr. Matth. 23, 8 ss.

(3) Cfr.Is. 2, 2-5.

(4) Cfr. 1 Petr. 2, 4-9.

(5) Cfr. Lumen Gentium, 19.

(6) Matth. 16, 18.

(7) S. AUGUSTINI In Ioannis Evang. tract., 124, 5: PL 35, 1973.

(8) S. EFREM Sermones in hebdomadam sanctam, 4, 1, in LAMY T. J., S.Ephraem Syri hymni et sermones, 1, 412.

(9) S. LEONIS MAGNI Sermo V, 4-5: PL 54, 155-156.

(10) Matth. 16, 16.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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CAPPELLA PAPALE PER LA PRESA DI POSSESSO
DELLA CATHEDRA ROMANA

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO I

Patriarcale Arcibasilica Lateranense
Sabato 23 settembre 1978


 

Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario per le delicate parole, con le quali - anche a nome del Consiglio Episcopale, del Capitolo Lateranense, del Clero, dei Religiosi, delle Religiose e dei fedeli - ha voluto esprimere la devozione ed i propositi di fattiva collaborazione nella diocesi di Roma. Prima testimonianza concreta di questa collaborazione vuol essere la somma ingente raccolta tra i fedeli della diocesi e messa a mia disposizione per provvedere di chiesa e di strutture parrocchiali una borgata periferica della Città, ancora priva di questi essenziali sussidi comunitari di vita cristiana. Ringrazio veramente commosso.

1. Il maestro delle cerimonie ha scelto le tre letture bibliche per questa solenne liturgia. Le ha giudicate adatte ed io cerco di spiegarvele.


La prima lettura (1) può venir riferita a Roma
. È noto a tutti che il Papa in tanto acquista autorità su tutta la Chiesa in quanto è vescovo di Roma, successore cioè, in questa città, di Pietro. Ed in grazia specialmente di Pietro, la Gerusalemme di cui parlava Isaia, può essere considerata una figura, un preannuncio di Roma. Anche di Roma, in quanto sede di Pietro, luogo del suo martirio e centro della Chiesa cattolica, si può dire: « sopra di te, risplenderà il Signore e la Sua gloria si manifesterà... i popoli cammineranno alla tua luce » (2). Ricordando i pellegrinaggi degli Anni Santi e quelli che continuano a svolgersi negli anni normali con costante afflusso, si può, col profeta, apostrofare Roma così: « Gira intorno gli occhi e guarda:... figli vengono a te da lontano... si riverserà sopra di te la moltitudine delle genti del mare e le schiere dei popoli verranno a te » (3).

È un onore questo per il Vescovo di Roma e per voi tutti. Ma è anche una responsabilità. Troveranno, qui, i pellegrini un modello di vera comunità cristiana? Saremo capaci, noi, con l'aiuto di Dio, vescovo e fedeli, di realizzare qui le parole di Isaia scritte sotto quelle citate prima, e cioè: « non si udrà più parlare di violenza nella tua terra... il tuo sarà un popolo tutto di giusti »? (4) Pochi minuti fa il Prof. Argan, sindaco di Roma, mi ha rivolto un cortese indirizzo di saluto e di augurio. Alcune delle sue parole m'hanno fatto venire in mente una delle preghiere, che fanciullo, recitavo con la mamma. Suonava così: « i peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio sono... opprimere i poveri, defraudare la giusta mercede agli operai ».

A sua volta, il parroco mi interrogava alla scuola di catechismo: « I peccati, che gridano vendetta al cospetto di Dio, perché sono dei più gravi e funesti? ». Ed io rispondevo col Catechismo di Pio X: « ... perché direttamente contrari al bene dell'umanità e odiosissimi tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio » (5). Roma sarà una vera comunità cristiana, se Dio vi sarà onorato non solo con l'affluenza dei fedeli alle chiese, non solo con la vita privata vissuta morigeratamente, ma anche con l'amore ai poveri. Questi - diceva il diacono romano Lorenzo - sono i veri tesori della Chiesa; vanno, pertanto, aiutati, da chi può, ad avere e ad essere di più senza venire umiliati ed offesi con ricchezze ostentate, con denaro sperperato in cose futili e non investito - quando possibile - in imprese di comune vantaggio.


2. La seconda lettura (6) adatta ai fedeli di Roma. L'ha scelta, come ho detto, il Maestro delle cerimonie. Confesso che parlando essa di obbedienza, mi mette un po' in imbarazzo. È così difficile, oggi, convincere, quando si mettono a confronto i diritti della persona umana con i diritti dell'autorità e della legge! Nel libro di Giobbe viene descritto un cavallo da battaglia: salta come una cavalletta e sbuffa; scava con lo zoccolo la terra, poi si slancia con ardore; quando la tromba squilla, nitrisce di giubilo; fiuta da lungi la lotta, le grida dei capi e il clamore delle schiere (7). Simbolo della libertà. L'autorità, invece, rassomiglia al cavaliere prudente, che monta il cavallo e, ora con la voce soave, ora lavorando saggiamente di speroni, di morso e di frustino, lo stimola, oppure ne modera la corsa impetuosa, lo frena e lo trattiene. Mettere d'accordo cavallo e cavaliere, libertà e autorità, è diventato un problema sociale. Ed anche di Chiesa. Al Concilio s'è tentato di risolverlo nel quarto capitolo della «
Lumen Gentium ».

Ecco le indicazioni conciliari per il « cavaliere »: « I sacri pastori, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all'opera comune » (8). Ed ancora: sanno anche, i pastori, che « nelle battaglie decisive è talvolta dal fronte che partono le iniziative più indovinate » (9). Ecco, invece, un'indicazione del Concilio per il « generoso destriero » cioè per i laici: al vescovo « i fedeli devono aderire come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre » (10). Preghiamo che il Signore aiuti sia il vescovo che i fedeli, sia il cavaliere che i cavalli. M'è stato detto che nella diocesi di Roma sono numerose le persone che si prodigano per i fratelli, numerosi i catechisti; molti anche aspettano un cenno per intervenire e collaborare.

Che il Signore ci aiuti tutti a costituire a Roma una comunità cristiana viva e operante. Non per nulla ho citato il capitolo quarto della «
Lumen Gentium »: è il capitolo della « comunione ecclesiale ». Quanto detto, però, riguarda specialmente i laici. I sacerdoti, i religiosi e le religiose, hanno una posizione particolare, legati come sono o dal voto o dalla promessa di obbedienza. Io ricordo come uno dei punti solenni della mia esistenza il momento in cui, messe le mie mani in quelle del vescovo, ho detto: « Prometto ». Da allora mi sono sentito impegnato per tutta la vita e mai ho pensato che si fosse trattato di cerimonia senza importanza. Spero che i sacerdoti di Roma pensino altrettanto. Ad essi ed ai religiosi S. Francesco di Sales ricorderebbe l'esempio di S. Giovanni Battista, che visse nella solitudine, lontano dal Signore, pur desiderando tanto di essergli vicino. Perché? Per obbedienza; « sapeva - scrive il santo - che trovare il Signore all'infuori dell'obbedienza significava perderlo » (11).


3. La terza lettura (12) ricorda al vescovo di Roma i suoi doveri. Il primo è di « ammaestrare », proponendo la parola del Signore con fedeltà sia a Dio sia agli ascoltatori, con umiltà ma con franchezza non timida. Tra i miei santi predecessori vescovi di Roma due sono anche Dottori della Chiesa: S. Leone, il vincitore di Attila, e S. Gregorio Magno. Negli scritti del primo c'è un pensiero teologico altissimo e sfavilla una lingua latina stupendamente architettata; non penso nemmeno di poterlo imitare, neppure da lontano.


Il secondo, nei suoi libri, è « come un padre, che istruisce i propri figlioli e li mette a parte delle sue sollecitudini per la loro eterna salvezza » (13). Vorrei cercare di imitare il secondo, che dedica l'intero libro terzo della sua « Regula Pastoralis » al tema « qualiter doceat », come cioè il pastore debba insegnare. Per quaranta interi capitoli Gregorio indica in modo concreto varie forme di istruzione secondo le varie circostanze di condizione sociale, età, salute e temperamento morale degli uditori. Poveri e ricchi, allegri e melanconici, superiori e sudditi, dotti e ignoranti, sfacciati e timidi, e via dicendo, in quel libro, ci sono tutti, è come la valle di Giosafat. Al Concilio Vaticano II parve nuovo che venisse chiamato « pastorale » non più ciò che veniva insegnato ai pastori, ma ciò che i pastori facevano per venire incontro ai bisogni, alle ansie, alle speranze degli uomini. Quel « nuovo » Gregorio l'aveva già attuato parecchi secoli prima, sia nella predicazione sia nel governo della Chiesa.


Il secondo dovere, espresso dalla parola « battezzare », si riferisce ai Sacramenti e a tutta la liturgia. La diocesi di Roma ha seguito il programma della CEI « Evangelizzazione e Sacramenti »; conosce già che evangelizzazione, sacramento e vita santa sono tre momenti di un unico cammino: l'evangelizzazione prepara al sacramento, il sacramento porta chi l'ha ricevuto a vivere cristianamente. Vorrei che questo grande concetto fosse applicato in misura sempre più larga. Vorrei pure che Roma desse il buon esempio in fatto di Liturgia celebrata piamente e senza « creatività » stonate.

Taluni abusi in materia liturgica hanno potuto favorire, per reazione, atteggiamenti che hanno portato a prese di posizione in se stesse insostenibili e in contrasto col Vangelo. Nel fare appello, con affetto e con speranza, al senso di responsabilità di ognuno di fronte a Dio e alla Chiesa, vorrei poter assicurare che ogni irregolarità liturgica sarà diligentemente evitata.


Ed eccomi all'ultimo dovere vescovile: « insegnare ad osservare »; è la diaconia, il servizio della guida e del governare
. Benché io abbia già fatto per vent'anni il vescovo a Vittorio Veneto e a Venezia, confesso di non aver ancora bene « imparato il mestiere ». A Roma mi metterò alla scuola di S. Gregorio Magno, che scrive: « sia vicino (il pastore) a ciascun suddito con la compassione; dimenticando il suo grado, si consideri eguale di sudditi buoni, ma non abbia timore di esercitare contro i malvagi i diritti della sua autorità. Ricordi: mentre tutti i sudditi levano al cielo ciò che egli ha fatto di bene, nessuno osa biasimare ciò che ha fatto di male; quando reprime i vizi, non cessi di riconoscersi con umiltà eguale ai fratelli da lui corretti; e si senta davanti a Dio tanto più debitore quanto più impunite restano le sue azioni davanti agli uomini » (14).


Qui finisce la Spiegazione delle tre letture bibliche. Mi sia permesso aggiungere una sola cosa: è legge di Dio che non si possa fare del bene a qualcuno, se prima non gli si vuole bene.

Per questo, S. Pio X, entrando patriarca a Venezia, aveva esclamato in S. Marco: « Cosa sarebbe di me, Veneziani, se non vi amassi? ». Io dico ai romani qualcosa di simile: posso assicurarvi che vi amo, che desidero solo entrare al vostro servizio e mettere a disposizione di tutti le mie povere forze, quel poco che ho e che sono.



Ed ecco il testo dell'indirizzo di saluto rivolto al Papa dal Cardinale Ugo Poletti
.


Beatissimo Padre,

Intimamente unito ai Vescovi del Consiglio Episcopale di Roma, e al Capitolo Lateranense, ho la gioia e la responsabilità di riassumere i sentimenti di fede, di amore, di devozione, di disponibile collaborazione che Clero, Religiosi e popolo della vostra Diocesi Romana oggi desiderano manifestarvi con limpidezza e sincerità assoluta.


Annunciando questa Vostra visita alla Patriarcale Arcibasilica del SS.mo Salvatore in Laterano, custode della Cattedra del Vescovo di Roma, ho osato dire che si trattava di un incontro tutto romano, non già per mancanza di riguardo o di considerazione ai Membri della Curia della Santa Sede, che pure si chiama Romana, o agli illustri Rappresentanti di tanti popoli fratelli qui presenti a farVi onore, bensì per ricordare a noi stessi una particolare dimensione di vita ecclesiale e una conseguente responsabilità, che deriva dal vincolo nostro con la Vostra Persona.


Siamo figli Vostri, come tutti i membri della Chiesa Cattolica, ma con una peculiarità che è unica: questa santa Chiesa diocesana di Roma appartiene solo a Voi e nessun Confratello nell'Episcopato può condividerne con Voi la paternità.

Siamo Vostra personale porzione ed eredità, rappresentata da quella Cattedra di Pietro, di cui il Laterano è spiritualmente custode, con la quale avete pure ereditato la paternità e il Magistero Universale nella Chiesa Cattolica.

Abbiamo un titolo personale a ricevere da Voi nutrimento e sostegno con la Parola di Dio, con l'esercizio della carità e pazienza paterna, con l'attenzione e sollecitudine immediata, affinché la nostra Fede non venga meno e la nostra vita cristiana non si illanguidisca.


Tuttavia se ci fermassimo a queste sole considerazioni saremmo figli inerti, gretti, meschini: non saremmo certo Vostra corona e gaudio.

Noi Vi ringraziamo per questo incontro, nella presa di possesso della Vostra Cattedra Episcopale, perché ci date la gioia di avvertire più acutamente e filialmente alcune nostre responsabilità attive, gravi e stimolanti.


Noi avvertiamo che, a causa dell'intima comunione del Popolo di Dio col suo Vescovo, siamo pure in qualche modo partecipi del grave compito Vostro della costruzione della Santa Chiesa nel mondo. Non solo in Roma noi dobbiamo dare spazio e corpo, avvertibile dovunque alla Vostra azione pastorale ed alla Vostra carità; non solo, come figli che abitano in casa, dobbiamo aiutare il Padre nell'accoglienza dei fratelli che vengono da lontano; ma dalla Vostra stessa presenza e missione siamo aiutati, come nessun altro, a crescere in una dimensione di Fede veramente cattolica, in una testimonianza di carità verso i poveri, gli umili, i piccoli, gli emarginati che sia palesemente percepita dalle altre Chiese sorelle.


Sono doveri che la Vostra presenza qui, oggi ci ricorda con una autorevolezza unica.


Profondamente consapevoli delle nostre debolezze, limitazioni e contraddizioni, che, nella vita ecclesiale della Città si mescolano alle singolari sue capacità di bene e a forze vive cristiane, operanti ad ogni livello, culturale, popolare, di dirigenza o di comunità, noi avvertiamo un'altra responsabilità della « comunione ecclesiale » con Voi, nostro Vescovo e Padre: noi costituiamo per Voi lo spazio di verifica di tutto il bene e il dolore che, in espressioni e dimensioni diverse, si muove e si estende nel mondo. Per usare un termine tecnico moderno, la Diocesi di Roma costituisce per il Papa l'« indagine campione » immediata, viva, gioiosa o dolorante, della vita umana e cristiana diffusa in tutto il mondo.


Forse per questo le tensioni, aspirazioni, possibilità operative, compensi e squilibri sociali, morali, religiosi che esistono inevitabilmente in ogni città, forse anche in proporzioni maggiori, tuttavia a Roma assumono un'eco singolare e mondiale, che viene immediatamente percepita. Cosicché, a mano a mano che conoscerete intimamente la Vostra Chiesa diocesana, Voi avvertirete misteriosamente la pulsazione del cuore del mondo.


Riflettendo su questa situazione, noi ci sentiamo impegnati a darVi un contributo, quanto più possibile vero, autentico, per facilitare la Vostra missione di Pastore e Padre universale.


Siamo presuntuosi? Compatiteci, Padre Santo, come deboli creature; comprendeteci come persone volenterose; amateci e sosteneteci come figli sinceri, che vogliono esservi fedeli.


Sul filo di queste considerazioni, la gioia esplosiva della Vostra Chiesa nell'incontro col suo Vescovo, si fa più riflessiva e consapevole. La gioia non può sostituire il dovere, ma dal dovere avvertito e compiuto si consolida la gioia portatrice di nuovi frutti.


Voi - in una continuazione dell'opera del venerato Papa Paolo VI, fatta così umana e sensibile negli ultimi anni - già ci avete dato molto in fiducia, in amabile paternità e ancor più ci darete in fortezza spirituale e in assistenza magisteriale e morale.

Noi, piccoli, che cosa possiamo offrirvi? Un dono che rientri nella collaborazione di Fede e di carità, in aiuto dei più poveri.


Parrocchie, Istituti Religiosi e fedeli hanno risposto generosamente all'invito, da me lanciato, di offrirvi la possibilità di costruire una « casa di Dio e di carità fraterna » in una borgata modesta di Roma: a Castelgiubileo sulla Salaria, dove la Parrocchia dei Santi Crisante e Daria è ancor priva di tutte le strutture parrocchiali.

Sono stati raccolti finora oltre cento milioni; il primo dono paterno che Papa Giovanni Paolo offre alla sua Diocesi di Roma.


Benedite, Padre Santo, il Cardinale Vicario e i Vescovi Vostri collaboratori, il Venerando Capitolo e Clero Lateranense, il Presbiterio diocesano coi Seminari e con gli Istituti; ma soprattutto la Città e Diocesi di Roma, con tutti i suoi responsabili religiosi e civili, e specialmente coi suoi figli, in particolare i più poveri e gli ammalati, con l'auspicio di Maria « Salus Populi Romani ».



(1) Is. 60, 1-6.

(2) Is. 60, 2.

(3) Ibid. 60, 4.5.

(4) Ibid. 60, 18. 21.

(5) Catechismo di Pio X, 154.

(6) Hebr. 13, 7-8. 15-17. 20-21.

(7) Cfr. Iob. 39, 15-25.

(8) Lumen Gentium, 30.

(9) Ibid. 37, nota 7.

(10) Ibid. 27.

(11) S. FRANCESCO DI SALES, OEuvres, éd. Annecy, 1896, p. 321.

(12) Matth. 28, 16-20.

(13) I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum, voi. I, Torino 1929, p. 46.

(14) S. GREGORII MAGNI Regula Pastoralis, Pars Secunda, cc. 5 et 6 passim

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO I 
AL SINDACO DI ROMA

Sabato, 23 settembre 1978



Onorevole Signor Sindaco,
 

Le sono vivamente grato per queste espressioni deferenti e sincere che Ella, facendosi interprete dei Colleghi della pubblica Amministrazione e dell'intera Cittadinanza Romana, ha voluto rivolgermi durante l'itinerario che dalla residenza Vaticana mi porta alla Cattedrale di San Giovanni in Laterano.

Questa sosta intermedia ai piedi del colle del Campidoglio ha per me un particolare significato non soltanto per il carico di memorie storiche che qui s'intrecciano e congiuntamente interessano la Roma civile e la Roma cristiana, ma anche perché mi consente un primo, diretto contatto con i Responsabili della vita cittadina e del suo retto ordinamento. Essa è, perciò, un'occasione propizia per porger loro il mio cordiale e beneaugurante saluto.


I problemi dell'Urbe, ai quali con motivata preoccupazione Ella ha accennato, mi trovano particolarmente attento e sensibile in ragione della loro urgenza, della loro gravità e, soprattutto, dei disagi e dei drammi umani e familiari, di cui non di rado sono il segno manifesto. Come Vescovo della Città, ch'è la sede primigenia del ministero pastorale affidatomi, più acutamente sento riflesse nel cuore queste sofferte esperienze, e sono da esse sollecitato alla disponibilità, alla collaborazione, a quell'apporto di ordine morale e spirituale, quale corrisponde alla specifica natura del mio servizio, per poterle almeno alleviare.

Questo dico, oltre che a titolo personale, anche a nome dei figli della Chiesa di Dio qui in Roma: dei Vescovi miei collaboratori, dei sacerdoti e dei religiosi, dei membri delle associazioni cattoliche e dei singoli fedeli, in vario modo impegnati nell'azione pastorale, educativa, assistenziale, scolastica.


La speranza, di cui ho con piacere sentito l'eco nel suo cortese indirizzo, è per noi credenti - come ho ricordato nell'udienza generale di mercoledì scorso - una virtù obbligatoria ed è un dono eletto di Dio. Valga essa a ridestare in ciascuno di noi e, come confido, in tutti i Concittadini di buona volontà, energie e propositi; valga ad ispirare iniziative e programmi, perché quei problemi abbiano la conveniente soluzione, e Roma resti fedele, nei fatti, a quegli ideali inconfondibilmente cristiani che si chiamano fame e sete di giustizia, attivo contributo alla pace, superiore dignità del lavoro umano, rispetto ed amore per i fratelli, solidarietà a tutta prova verso quelli più deboli.


**********
 

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO I 
AI RAPPRESENTANTI DELLA STAMPA INTERNAZIONALE

Venerdì 1° settembre 1978


 

Egregi Signori e cari figli,


Siamo lieti di poter accogliere già nella prima settimana del Nostro Pontificato una rappresentanza così qualificata e numerosa del « mondo » delle comunicazioni sociali, riunita a Roma in occasione di due avvenimenti che, per la Chiesa Cattolica e per il mondo intero, hanno avuto profondo significato: la morte del Nostro compianto Predecessore Paolo VI, e il recente Conclave, nel quale è stato imposto sulle Nostre umili e fragili spalle il formidabile peso del servizio ecclesiale di sommo Pastore.


Questo gradito incontro Ci permette di ringraziarvi per i sacrifici e le fatiche che avete affrontato durante il mese di agosto nel servire l'opinione pubblica mondiale - anche il vostro è un servizio, importantissimo - offrendo ai vostri lettori, uditori e telespettatori, con la rapidità e la immediatezza richieste dalla vostra responsabile e delicata professione, la possibilità di partecipare a questi storici avvenimenti, alla loro dimensione religiosa, alla loro profonda connessione con i valori umani e le attese della società di oggi.


Vogliamo esprimervi in particolare la Nostra gratitudine per l'impegno da voi posto in questi giorni, nel far meglio conoscere all'opinione pubblica la figura, l'insegnamento, l'opera e l'esempio di Paolo VI e per l'attenta sensibilità con cui avete cercato di cogliere e di tradurre nei vostri innumerevoli dispacci e nei vostri ampi commenti, come anche nella moltitudine di immagini che avete trasmesso da Roma, l'attesa di questa Città, della Chiesa Cattolica e di tutto il mondo per un nuovo Pastore che assicurasse la continuità della missione di Pietro.


La sacra eredità lasciataci dal Concilio Vaticano II e dai Nostri Predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, di cara e santa memoria, sollecita da Noi la promessa di un'attenzione speciale, di una franca, onesta ed efficace collaborazione con gli strumenti della comunicazione sociale, che voi qui degnamente rappresentate. E' una promessa che volentieri vi facciamo, consapevoli come siamo della funzione via via più importante che i mezzi della comunicazione sociale sono andati assumendo nella vita dell'uomo moderno.

Non Ci nascondiamo i rischi di massificazione e di livellamento, che tali mezzi portano con sé, con le conseguenti minacce per l'interiorità dell'individuo, per la sua capacità di riflessione personale, per la sua obiettività di giudizio. Ma sappiamo anche quali nuove e felici possibilità essi offrano all'uomo d'oggi, di meglio conoscere ed avvicinare i propri simili, di percepirne più da vicino l'ansia di giustizia, di pace, di fraternità, di instaurare con essi vincoli più profondi di partecipazione, di intesa, di solidarietà in vista di un mondo più giusto ed umano. Conosciamo, in una parola, la mèta ideale verso la quale ognuno di voi, nonostante difficoltà e delusioni, orienta il proprio sforzo, quella cioè di arrivare, attraverso la « comunicazione », ad una più vera ed appagante « comunione ». E la mèta verso la quale aspira, come ben potete comprendere, anche il cuore del Vicario di Colui, che ci ha insegnato ad invocare Dio come Padre unico ed amoroso di ogni essere umano.


Prima di dare a ciascuno di voi e alle vostre famiglie la Nostra speciale Benedizione, che vorremmo estendere a tutti i collaboratori degli Enti di informazione che rappresentate, Agenzie, Giornali, radio e televisioni, vorremmo perciò assicurarvi della stima che abbiamo per la vostra professione e della cura che porremo per facilitare la vostra nobile e difficile missione, nello spirito delle indicazioni del Decreto Conciliare «
Inter Mirifica » e dell'Istruzione Pastorale « Communio et Progressio ».


In occasione degli eventi di maggior rilievo o della pubblicazione di importanti Documenti della Santa Sede, voi dovrete spesso presentare la Chiesa, parlare della Chiesa, dovrete talvolta commentare il Nostro umile ministero; siamo sicuri che lo farete con amore della verità e con rispetto della dignità umana, perché tale è lo scopo di ogni comunicazione sociale. Vi chiediamo di voler contribuire anche voi a salvaguardare nella società odierna quella profonda considerazione per le cose di Dio e per il misterioso rapporto tra Dio e ciascuno di noi, che costituisce la dimensione sacra della realtà umana.

Vogliate comprendere le ragioni profonde per cui il Papa, la Chiesa e i suoi Pastori devono talvolta chiedere, nell'espletamento del loro servizio apostolico, spirito di sacrificio, di generosità, di rinuncia per edificare un mondo di giustizia, di amore, di pace.


Nella certezza di conservare anche nel futuro il legame spirituale iniziato con questo incontro, vi concediamo di gran cuore la Nostra Apostolica Benedizione.




Ed ecco il testo dell'indirizzo d'omaggio rivolto al Santo Padre da Monsignor Deskur


Beatissimo Padre,


A nome della Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali ho l'onore di presentare a Vostra Santità i qui presenti eccezionalmente numerosi e qualificati giornalisti e operatori dell'informazione televisiva, radiofonica e fotografica, provenienti da tutti gli angoli della terra, i quali, accolti ed assistiti dalla Sala Stampa della Santa Sede, dal Servizio Audiovisivo della Commissione stessa e dalla Radio Vaticana, hanno cercato di assolvere il difficile compito di far partecipare l'opinione pubblica mondiale ai luttuosi avvenimenti della morte e dei funerali del Vostro compianto Predecessore Paolo VI, e poi alla trepida attesa per l'elezione del nuovo Successore di Pietro, al gioioso annuncio « habemus Papam »ed infine, al
solenne inizio del Vostro Supremo Ministero.


Grazie alle loro corrispondenze da Roma le pagine di tutti i giornali, gli schermi delle televisioni e le voci delle radio di tutto il mondo hanno potuto offrire l'immagine e la figura del nuovo Papa, diffondendo il Suo primo Messaggio, i Suoi primi insegnamenti, il sempre nuovo Annuncio del Vangelo di Cristo.

Essi non volevano, né potevano ripartire da Roma senza aver visto da vicino Giovanni Paolo I, senza aver ascoltato una Sua prima parola indirizzata proprio a loro, senza aver chiesto una delle Sue prime Benedizioni per la loro difficile e responsabile professione, per i loro collaboratori, per le loro famiglie.

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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ALLOCUZIONE DI GIOVANNI PAOLO I
AL COLLEGIO CARDINALIZIO

Mercoledì, 30 agosto 1978


 


Venerabili Fratelli,

Con grande gioia vi vediamo raccolti intorno a noi per questo incontro, che abbiamo vivamente desiderato e del quale ora, grazie alla vostra cortesia, ci è consentito di gustare la dolcezza ed il conforto. Sentivamo, infatti, impellente il bisogno non soltanto di rinnovarvi l'espressione della nostra gratitudine per il consenso - che non cessa invero di sorprenderci e di confonderci - da voi riservato alla nostra umile persona, ma di testimoniarvi altresì la fiducia che nutriamo nella vostra fraterna ed assidua collaborazione.


Il peso, che il Signore negli imperscrutabili disegni della sua provvidenza ha voluto porre sulle nostre fragili spalle, ci apparirebbe davvero troppo gravoso, se non sapessimo di poter contare, oltre che sulla onnipotente forza della sua grazia, sulla affettuosa comprensione e sulla operante solidarietà di Fratelli tanto illustri per dottrina e per saggezza, tanto sperimentati nel governo pastorale, tanto addentro nelle cose di Dio e in quelle degli uomini.


Profittiamo, pertanto, di questa circostanza per dichiarare che contiamo innanzitutto sull'aiuto di quei Signori Cardinali, che resteranno accanto a noi, in quest'alma Città, alla direzione dei vari Dicasteri, di cui si compone la Curia Romana. Gli incarichi pastorali, a cui volta a volta la Provvidenza divina ci ha chiamati negli anni trascorsi, si sono svolti sempre lontani da questi complessi organismi, che offrono al Vicario di Cristo la possibilità concreta di svolgere il servizio apostolico di cui Egli è debitore a tutta la Chiesa, ed assicurano in tal modo l'organico articolarsi delle legittime autonomie, pur nell'indispensabile rispetto di quella essenziale unità di disciplina, oltre che di fede, per la quale Cristo pregò nell'immediata vigilia della sua Passione(1). Non ci costa fatica riconoscere la nostra inesperienza in un settore tanto delicato della vita ecclesiale. Noi ci ripromettiamo, quindi, di far tesoro dei suggerimenti che ci verranno da così valenti Collaboratori, mettendoci per così dire alla scuola di chi, per le benemerenze acquisite in un servizio di così grande importanza, ben merita la nostra piena fiducia e il nostro riconoscente apprezzamento.


Il nostro pensiero si rivolge, poi, a quanti fra voi, Venerabili Fratelli, si dispongono a tornare alle loro Sedi episcopali, per riprendere la cura pastorale delle Chiese, che lo Spirito ha loro affidato(2), e già pregustano nell'animo la gioia dell'incontro con tanti loro figli ormai ben noti e teneramente amati. È una gioia, questa, che a noi non sarà concessa. Il Signore conosce la mestizia che questa rinuncia ci pone nel cuore. Egli tuttavia, nella sua bontà, sa temperare l'amarezza del distacco con la prospettiva di una paternità più vasta.

In particolare, Egli ci conforta col dono inestimabile della vostra cordiale e sincera devozione, nella quale ci pare di sentir vibrare la devozione di tutti i Vescovi del mondo, uniti a questa Sede Apostolica con i vincoli saldi di una comunione, che travalica gli spazi, ignora le diversità di razza, si arricchisce dei valori autentici, presenti nelle varie culture, fa di popoli distanti fra loro per ubicazione geografica, per lingua e mentalità, un'unica grande famiglia. Come non sentirsi pervasi da un'onda di rasserenante fiducia dinanzi allo spettacolo meraviglioso, che si offre all'assorta contemplazione dello spirito, stimolato dalla vostra presenza a protendersi in direzione dei cinque continenti, ognuno dei quali ha in voi così significativi e degni rappresentanti?


Questa vostra splendida assise pone sotto i nostri occhi un'immagine eloquente della Chiesa di Cristo, la cui unità cattolica già commuoveva il grande Agostino e lo induceva a mettere in guardia i « ramusculi » delle singole Chiese particolari a non staccarsi « ex ipsa magna arbore quae ramorum suorum porrectione toto orbe diffunditur »(3). Di questa unità noi sappiamo di essere stati costituiti segno e strumento(4); ed è nostro proposito di dedicare ogni energia alla sua difesa ed al suo incremento, in ciò incoraggiati dalla consapevolezza di poter fare affidamento sull'azione illuminata e generosa di ognuno di voi. Non intendiamo qui richiamare le grandi linee del nostro programma, che sono a voi già note. Noi vorremmo soltanto riconfermare in questo momento, insieme con tutti voi, l'impegno di una disponibilità totale alle mozioni dello Spirito per il bene della Chiesa, che nel giorno dell'elevazione alla porpora cardinalizia ognuno di noi promise di servire « usque ad sanguinis effusionem ».


Venerabili Fratelli, quando nello scorso sabato ci trovammo di fronte alla perigliosa decisione di un « sì » che avrebbe posto sulle nostre spalle il formidabile peso del ministero apostolico, qualcuno di voi ci sussurrò all'orecchio parole di invito alla fiducia ed al coraggio. Ci sia lecito ora, fatti ormai Vicario di Colui che lasciò a Pietro la consegna di « confirmare fratres »(5), ci sia lecito rivolgere a voi, che vi accingete a riprendere le vostre rispettive mansioni ecclesiali, l'incoraggiamento a confidare con virile fermezza, pur nel travaglio dell'ora presente, nell'immancabile aiuto di Cristo, il quale ripete anche a noi, oggi, le parole pronunziate quando le tenebre della Passione si addensavano ormai su di Lui e sul primo nucleo dei credenti: « Confidite, ego vici mundum »(6).


Nel Nome di Cristo e quale pegno della nostra paterna benevolenza, noi impartiamo con effusione di sentimento a voi, ai vostri collaboratori ed a tutte le anime affidate alla vostra cura pastorale le primizie della nostra propiziatrice Benedizione Apostolica.




(1) Cfr. Io. 17, 11. 21-23.

(2) Cfr. Act. 20, 28.

(3) S. AUGUSTINI Epistola 185 ad Bonifacium, 8, 32.

(4) Cfr. Lumen Gentium, 22, 2; 23, 1.

(5) Luc. 22, 32.

(6 ) Io. 16, 33.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO I
AI VESCOVI DELLA XII REGIONE PASTORALE DEGLI STATI UNITI
IN VISITA “AD LIMINA APOSTOLORUM”


Giovedì, 21 settembre 1978

 

Cari fratelli in Cristo:

È un vero piacere per noi incontrare per la prima volta un gruppo di vescovi americani in visita ad limina . Vi accogliamo con tutto il cuore, vogliamo che vi sentiate a casa, per vivere la gioia di ritrovarvi insieme come una famiglia. Il nostro grande desiderio in questo momento è di confermarvi tutti nella fede e nel servizio al Popolo di Dio; vogliamo mantenere vivo il ministero di Pietro nella Chiesa.

Da quando sono diventato Papa, leggo con grande attenzione i saggi insegnamenti che il nostro amato predecessore Paolo VI ha impartito quest'anno ai Vescovi degli Stati Uniti sui temi del ministero della riconciliazione nella Chiesa, della protezione e della difesa della vita, e l'impulso della devozione all'Eucaristia. Facciamo nostri anche i suoi insegnamenti e rinnoviamo l'incoraggiamento e le linee guida che vi ha dato in quei discorsi.

Pur essendo nuovi al pontificato — appena alle prime armi —, vogliamo anche scegliere temi che toccano profondamente la vita della Chiesa e che vi sono di grande aiuto nel vostro ministero episcopale. Ci sembra che la famiglia cristiana sia un buon punto di partenza. La famiglia cristiana è così importante e il suo ruolo così fondamentale nella trasformazione del mondo e nella costruzione del Regno di Dio, che il Concilio l'ha chiamata "Chiesa domestica" ( Lumen gentium , 11).

Non stanchiamoci mai di proclamare che la famiglia è comunità di amore: l'amore coniugale unisce gli sposi ed è procreatore di vita nuova; è un riflesso dell'amore divino e dell'amore comunicato; Si tratta, secondo le parole della Gaudium et spes , di una partecipazione concreta all'alleanza d'amore tra Cristo e la Chiesa (n. 48) A tutti noi è stata concessa la grazia di nascere in tale comunità d'amore; Sarà facile per noi, quindi, difenderne i valori.

Per questo dobbiamo stimolare i genitori nel loro ruolo di educatori dei loro figli; sono i primi catechisti ei migliori. Che grande compito hanno e che sfida! Insegna ai tuoi figli ad amare Dio, a fare di questo amore una realtà nella loro vita. E, per grazia di Dio, con quanta facilità alcune famiglie riescono a compiere la missione di essere primum seminarium ( Optatam totius , 2); il seme della vocazione al sacerdozio si alimenta attraverso la preghiera della famiglia, l'esempio della loro fede e il sostegno del loro amore.

Che cosa meravigliosa è per le famiglie rendersi conto del potere che hanno nella santificazione dei coniugi e dell'influenza reciproca tra genitori e figli. Allora, e con la testimonianza dell'amore della propria vita, le famiglie possono portare il Vangelo agli altri. La percezione vitale della partecipazione dei laici — e specialmente della famiglia — alla missione salvifica della Chiesa, è uno dei grandi lasciti del Concilio Vaticano II. Non potremo mai ringraziare abbastanza Dio per questo dono.

Sta a noi mantenere forte questa convinzione, sostenendo e difendendo la famiglia, ogni famiglia e tutte le famiglie. Il nostro stesso ministero è così vitale! Predicare la Parola di Dio e celebrare i sacramenti. Il nostro popolo trae forza e gioia da qui.

È anche nostro compito incoraggiare le famiglie a rimanere fedeli alla legge di Dio e della Chiesa. Non dobbiamo mai temere di annunciare tutte le esigenze della Parola di Dio, perché Cristo è con noi e ci dice oggi come prima: «Chi ascolta voi, ascolta me» ( Lc 10,16 ).

Soprattutto è importante l'indissolubilità del matrimonio cristiano; Sebbene sia una parte difficile del nostro messaggio, dobbiamo proclamarlo fedelmente come parte della Parola di Dio e parte del mistero della fede. Allo stesso tempo dobbiamo rimanere vicini alla nostra gente nei suoi problemi e difficoltà. Deve sempre sapere che lo amiamo.

Oggi vogliamo esprimere la nostra ammirazione e lodarvi per gli sforzi che fate per salvaguardare e mantenere la famiglia come Dio l'ha fatta e come Dio vuole. Le famiglie cristiane di tutto il mondo cercano di rispondere alla sua meravigliosa vocazione e noi siamo molto vicine a ciascuna di loro. I sacerdoti ei religiosi si sforzano di sostenerli e aiutarli, e tutti questi sforzi sono degni della massima lode. Il nostro incoraggiamento va soprattutto a coloro che aiutano i futuri sposi a prepararsi al matrimonio cristiano, offrendo loro tutto l'insegnamento della Chiesa ed esortandoli ai più alti ideali della famiglia cristiana.

Vorremmo anche aggiungere una speciale parola di lode a quanti, specialmente i sacerdoti, operano così generosamente e disinteressatamente nei tribunali ecclesiastici e si adoperano, fedelmente alla dottrina della Chiesa, per salvaguardare il vincolo matrimoniale, per testimoniarne l'indissolubilità secondo gli insegnamenti di Gesù, e nell'aiutare le famiglie bisognose.

La santità della famiglia cristiana è senza dubbio il mezzo più idoneo per realizzare il sereno rinnovamento della Chiesa, tanto desiderato dal Concilio; Attraverso la preghiera familiare, l' ecclesia domestica diventa così realtà effettiva e porta alla trasformazione del mondo.

Tutti gli sforzi dei genitori per infondere l'amore di Dio nei loro figli e sostenerli con l'esempio della loro fede costituiscono uno degli apostolati più eccellenti del XX secolo. I genitori che hanno problemi particolari sono degni della nostra speciale attenzione pastorale e meritano tutto il nostro amore.

Cari fratelli:

Vogliamo che tu sappia dove stanno andando le nostre priorità.

Facciamo tutto il possibile per la famiglia cristiana, affinché il nostro popolo possa realizzare la sua grande vocazione con gioia cristiana e partecipare intimamente ed efficacemente alla missione di salvezza della Chiesa, la missione di Cristo.

Assicurati di avere il nostro pieno sostegno nell'amore del Signore Gesù.

Diamo a tutti voi la nostra Benedizione Apostolica.


ISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO I
A UN GRUPPO DI VESCOVI FILIPPINE
IN VISITA “AD LIMINA APOSTOLORUM”


Giovedì, 28 settembre 1978

 

Cari fratelli in Cristo:

Nell'accogliervi con grande affetto, desideriamo ricordarvi un brano del Breviario. È un testo che ci ha fortemente impressionato. Si riferisce a Cristo e queste sono le parole di Paolo VI durante la sua visita nelle Filippine: “Devo essere l'araldo del suo nome: Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente...; Egli è il re del nuovo mondo; è il segreto della storia; è la chiave del nostro destino» (XIII domenica dell'anno: omelia del 29 novembre 1970).

Da parte nostra, speriamo di sostenervi, rafforzarvi e incoraggiarvi nella grande missione dell'Episcopato, che consiste nell'annunciare Gesù Cristo e nell'evangelizzare il suo popolo.

Tra i diritti dei fedeli, uno dei più grandi è il diritto a ricevere la Parola di Dio in tutta la sua integrità e purezza, con tutte le sue esigenze e con la sua forza.

Una grande sfida del nostro tempo è la piena evangelizzazione dei battezzati. In questo i vescovi della Chiesa hanno la responsabilità primaria.

Il nostro messaggio deve essere il chiaro annuncio della salvezza in Gesù Cristo. Con Pietro dobbiamo dire a Cristo alla presenza del nostro popolo: "Tu hai parole di vita eterna". ( Gv 6, 69).

Per noi, l'evangelizzazione comprende insegnamenti espliciti sul nome di Gesù, la sua identità, i suoi insegnamenti, il suo regno e le sue promesse. E la sua principale promessa è la vita eterna. Veramente Gesù ha parole che ci guidano alla vita eterna.

Proprio di recente, in un'udienza generale, abbiamo parlato ai fedeli della vita eterna. Siamo convinti che sia necessario sottolineare questo tema, per completare il nostro messaggio e modellare i nostri insegnamenti su quelli di Gesù.

Fin dai tempi del Vangelo e imitando il Signore che «andava facendo il bene» ( At 10, 38), la Chiesa è chiamata irrevocabilmente a collaborare per alleviare la miseria e il bisogno fisici. Ma la sua carità pastorale sarebbe incompleta se non indicasse «bisogni ancora più elevati». Nelle Filippine Paolo VI fece proprio questo. In un momento in cui ha scelto di parlare di poveri, di giustizia e di pace, di diritti umani, di liberazione economica e sociale - e in un momento in cui ha anche affidato alla Chiesa il compito di alleviare ogni miseria -, non ha voluto e non poteva tacere sul “bene sommo”, la pienezza della vita del regno dei cieli.

Ora più che mai dobbiamo aiutare il nostro popolo a rendersi conto di quanto ha bisogno di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria. Egli è il tuo Salvatore, la chiave del tuo destino e del destino di tutta l'umanità.

Cari fratelli, vi siamo molto vicini in tutti gli sforzi che svolgete per l'evangelizzazione: quando preparate i catechisti, quando promuovete l'apostolato biblico, quando curate e incoraggiate i vostri sacerdoti nella loro grande missione di servizio alla Parola di Dio , e quando porti i tuoi fedeli a comprendere e rispondere alle esigenze della giustizia e dell'amore cristiani. Teniamo in grande considerazione questi tuoi sforzi e tutto ciò che fai per il regno di Dio. Soprattutto, incoraggiamo pienamente e in modo speciale l'affermazione della vocazione missionaria e speriamo fermamente che essa fiorisca tra i vostri giovani.

Non ignoriamo che le Filippine hanno la grande vocazione di essere la luce di Cristo in Estremo Oriente; vocazione ad annunciare la sua verità, il suo amore, la sua giustizia e salvezza, con la parola e con l'esempio davanti al prossimo, ai popoli dell'Asia.

E sappiamo che avete uno strumento eccezionale in tal senso: Radio Veritas . È nostra ferma speranza che le Filippine utilizzino questo magnifico mezzo, e tutti gli altri a sua disposizione, per annunciare con l'intera Chiesa che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e il Salvatore del mondo.

Inviamo un saluto a tutte le Chiese locali, specialmente ai sacerdoti e ai religiosi. Vi esortiamo ad una sempre maggiore santità di vita, come condizione per una soprannaturale efficienza del vostro apostolato.

Amiamo e benediciamo le famiglie delle vostre diocesi e tutti i laici.

Chiediamo ai malati e ai disabili di comprendere la portata del loro ruolo importante nel progetto di Dio e di rendersi conto di quanto l'evangelizzazione dipenda da loro.

A tutti voi, fratelli, impartiamo la nostra speciale benedizione apostolica chiedendovi gioia e forza in Gesù Cristo.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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LETTERA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO I
ALLE 
CONFERENZE EPISCOPALI DELL'ARGENTINA E DEL CILE

 

Venerabili Fratelli nell'Episcopato:

In questi momenti in cui, data la situazione esistente tra i vostri rispettivi Paesi, la vostra responsabilità di Pastori vi ha spinto a chiedere ai vostri fedeli di lavorare e pregare per la pace, desideriamo aprirvi la nostra mente come Sommo Pastore e Padre comune, per corrobora i tuoi sforzi in un compito così degno.

In effetti, le circostanze attuali, con le loro tensioni e minacce, richiedono la nostra attenzione e muovono il nostro proposito di sensibilizzare tutti i nostri figli e tutte le persone di buona volontà, affinché le differenze aperte non esacerbano gli animi e possano portare a conseguenze imprevedibili.

Senza entrare negli aspetti tecnici, che esulano dalle nostre intenzioni, vorremmo esortarvi, con tutta la forza morale a vostra disposizione, a compiere un'opera di pace, incoraggiando tutti, governanti e governati, verso obiettivi di reciproca comprensione e generosi comprensione per cui, al di là delle barriere nazionali, sono fratelli nell'umanità, figli dello stesso Padre, uniti a Lui da identici vincoli religiosi.

È necessario creare un clima generalizzato in cui, messi da parte tutti gli atteggiamenti o le animosità bellicose, le ragioni dell'armonia prevalgano sulle forze dell'odio o della divisione, che lasciano solo tracce distruttive.

Al Principe della Pace affidiamo queste intenzioni nella preghiera, alla quale siamo certi che voi ei vostri fedeli vi unirete. Per tutti coloro che collaborano a questa magnifica impresa di pace, imploriamo, con la nostra Benedizione Apostolica, il premio del Signore.

Vaticano, 20 settembre 1978 .

IOANNES PAULUS PP. 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO I
IN OCCASIONE DELL'85° GIORNATA CATTOLICA DELLA GERMANIA,
KATHOLIKENTAG (13-17 SETTEMBRE 1978)

 

Al nostro venerato fratello
Oskar Saier,
Arcivescovo di Friburgo (Germania).

Chiamati recentemente dalla grazia di Dio ad essere il Successore di San Pietro, rispondiamo con particolare gioia alla richiesta che avete rivolto al nostro predecessore, Papa Paolo VI, che ha già dato la sua benevola approvazione. Nel suo spirito, e con lo stesso apprezzamento e amore che aveva per i fedeli e per l'azione della Chiesa cattolica tedesca, rivolgiamo questo messaggio di saluto alle 85 giornate cattoliche tedesche, Katholikentag , che si celebrano nella sua città episcopale.

“Voglio darti un futuro e una speranza”; Sotto questa parola di Dio che il profeta Geremia ci annuncia pieno di promesse, migliaia e migliaia di cattolici tedeschi si radunano oggi a Friburgo. Questo evento è di per sé un segno di speranza e di fiducia. A volte può sembrare che la speranza cristiana si sia esaurita nel mondo di oggi. Da una parte c'è la paura di vivere e la disperazione; dall'altro, l'arroganza spietata dell'uomo che solo con le proprie forze vuole disegnare e assicurarsi il proprio futuro. Di fronte a qualsiasi forma di poca fede e stanchezza disorientante e di fronte a tutte le forme di cieca violenza, il KatholikentagOffre un segno di sicurezza e speranza. Contro l'arroganza e l'ingannevole autosufficienza dell'uomo, ancora il futuro e la speranza in Chi è l'unico capace di darli: in Dio, Signore della storia.

Venerabili fratelli e cari figli e figlie, che si sono radunati per questa solenne inaugurazione! Le Giornate cattoliche di Friburgo corrispondono con il loro motto a quel servizio ecclesiale che il Concilio Vaticano II sottolinea proprio quando nella Costituzione pastorale dice: «Le gioie e le speranze, i dolori e le ansie degli uomini del nostro tempo, specialmente dei poveri e dei che soffrono, sono insieme gioie e speranze, dolori e angosce dei discepoli di Cristo. Non c'è nulla di veramente umano che non trovi eco nel suo cuore» ( Gaudium et spes, 1). Dice la Costituzione sulla Chiesa: «Quel popolo messianico, quindi, anche se attualmente non comprende tutti gli uomini e spesso sembra un piccolo gregge, è tuttavia per tutto il genere umano un seme sicurissimo di unità, speranza e salvezza . » ( Lumen gentium , 9). Questo è ciò che speriamo e preghiamo Dio per il Katholikentag di Friburgo: che la Chiesa diventi un segno percettibile di speranza per il mondo.

Durante queste giornate di preghiera e meditazione studierete, alla luce del Vangelo e nella prospettiva della missione particolare della Chiesa, i diversi problemi attuali della vita religiosa, della vita sociale e la corresponsabilità dei cristiani nella costruzione di un futuro di speranza più grande. Ma il punto centrale delle nostre riflessioni e dichiarazioni deve essere sempre l'uomo. In mezzo alle dispute e alle aberrazioni del nostro tempo, l'uomo deve trovare nella fede nuova fiducia e speranza, e il coraggio di testimoniare un'autentica vita cristiana.

Dobbiamo anzitutto annunciare all'uomo, in modo credibile, l'immenso valore che l'uomo significa in se stesso, e come questo valore in tutta la sua profondità e pienezza non può che fondarsi sull'amore e la fedeltà di Dio nei nostri confronti.

Dobbiamo dimostrare che qualsiasi fondamento puramente mondano per la dignità dell'uomo equivale a valutarlo al di sotto del suo prezzo. Saremo liberi di raggiungere la nostra vera grandezza solo nella misura in cui saremo capaci di abbandonarci alla verità e di redimere l'amore di Dio, giudicando tutto solo secondo Lui. Il suo Figlio incarnato è, come ci dice San Paolo, l'Uno» dal quale, in virtù della fede, abbiamo anche ottenuto l'accesso a questa grazia nella quale stiamo e ci vantiamo, nella speranza e nella gloria di Dio, e non solo questo, ma ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, pazienza , una virtù provata e virtù provata, la speranza. E la speranza non sarà confusa, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori in virtù dello Spirito Santo,Rm 5, 2-5). In questo è radicata la nostra speranza cristiana; e in virtù di questa certezza di fede convinta abbiamo il diritto di agire con serena fiducia in tutte le situazioni della vita, nella controversia delle opinioni e anche nelle dolorose prove personali.

Questa speranza, che nasce dalla fiducia nella vicinanza di Dio e della sua Provvidenza, dà ai genitori il coraggio di procreare figli e guidarli in questo mondo. Quella stessa fiducia accompagna bambini e ragazzi, quando con occhi stupiti e insieme timorosi cercano il loro posto e accettano il rischio di crescere con tutti i cambiamenti che questo comporta. La speranza cristiana continuerà ad aiutare i giovani a credere nella forza della fedeltà al loro matrimonio; e permetterà anche a uomini e donne di dare il meglio di sé nelle rispettive professioni. La fede ci dà motivo di vedere il bene nel nostro concittadino e di cercare di vivere con lui in unione e in pace. Per quella stessa speranza cristiana, i nostri anziani sanno che il loro valore davanti a Dio non diminuisce quando non possono più lavorare per fatica e debolezza. Ed è quella fiducia che finalmente ci impedisce di precipitare nel panico, quando soffriamo di una grave malattia che può essere, forse, anche fatale. La speranza radicata in Cristo continua a produrre nelle persone con le quali viviamo la grazia di testimoniare la fede in Dio, anche nell'ora della morte.

Il tema di queste Giornate Cattoliche riguarda ogni cristiano, in modo molto personale, fino alle radici della sua esistenza. Dalla vita che conduciamo secondo la nostra fede, nella speranza e nella fiducia, nasce lo spirito di sacrificio e di perseveranza nell'amore che dobbiamo ai nostri concittadini. Quando ci amiamo come il Signore ci ha amato, gli altri ci conosceranno e ci riconosceranno suoi discepoli (cfr Gv 13, 34 s.). Nella misura in cui nella Chiesa si compie la volontà di Gesù, «che tutti formiamo un'unità», il cristianesimo risponderà alla sua missione di essere segno di speranza e di salvezza per il mondo intero, perché il mondo creda (cfr .Gv 17, 21) .

Il venerabile e compianto arcivescovo Hermane Sehäufele, quando l'arcivescovado di Friburgo ha celebrato il suo 150° anniversario, aveva pronunciato all'anno giubilare questo motto: "affinché credano anche al domani". Infatti, se l'uomo di oggi può credere anche domani in Colui che ama fino in fondo il mondo, nel suo Creatore e Redentore, nel Signore e padrone dei destini del mondo e di ogni umano destino in particolare, che vuole tutto gli uomini siano salvati (cfr 1 Tm 2, 4), allora ci sarà per l'umanità e per ogni uomo in particolare quel futuro e quella speranza a cui l'85 Katholikentag vuole preparare la strada.

Con la speranza che tutti i partecipanti vogliano collaborare alla riuscita di queste giornate spirituali attraverso la preghiera, la parola e i fatti, salutiamo cordialmente i Fratelli nell'Episcopato ivi presenti, i sacerdoti e i religiosi, i fedeli e in particolare i giovani, che sia per la Chiesa che per la società sono chiamati ad essere portatori di speranza. Parimenti, il nostro rispettoso saluto è rivolto ai rappresentanti delle Chiese cristiane e alle autorità civili che onorano con la loro presenza questo atto solenne.

A tutti coloro che si sono radunati a Friburgo per il Katholikentag , e a tutti i fedeli cattolici in Germania, rivolgiamo queste parole di san Paolo: «Il Dio della speranza vi riempia di piena gioia e di pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per opera dello Spirito Santo» ( Rm 15,13 ).

Questo ve lo conceda il Signore Iddio con la nostra Benedizione Apostolica, che vi impartiamo di tutto cuore: nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

IOANNES PAULUS PP. 

 

LETTERA DI SUA SANTITÀ PADRE GIOVANNI PAOLO I
AL CARDINALE JOSEPH RATZINGER INVIATO
SPECIALE
PER IL III CONGRESSO NAZIONALE MARIANO DELL'ECUADOR

 

Al nostro venerato fratello, il
Cardinale Joseph Ratzinger,
Arcivescovo di Monaco e Frisinga (Germania).

Il concerto di lode, con cui la Vergine Maria è abitualmente onorata in tutto il mondo, raggiungerà il suo culmine — come è facile immaginare — questo settembre in una città dell'Ecuador, Guayaquil, dove si riunirà un Congresso nazionale per chiudere l'Anno Mariano che in l'onore della Vergine è stato celebrato in tutto il paese. Un simile incontro si ricorda ancora lì che ebbe luogo nella stessa città vent'anni fa e fu molto importante per le sue cerimonie solenni e l'abbondanza di frutti spirituali.

Con una decisione davvero molto saggia, tenendo conto delle istanze e delle necessità dei tempi attuali, sono stati proposti due documenti del magistero del Romano Pontefice da studiare attentamente durante queste celebrazioni: le Esortazioni Apostoliche: Marialis cultus ed Evangelii nuntiandi . Con ciò si attende da questo Congresso un duplice frutto: l'accrescimento della devozione alla Madre di Dio e un accresciuto ardore per diffondere nel mondo il messaggio salvifico di Cristo.

Noi, che amiamo sinceramente il popolo ecuadoriano, vorremmo partecipare in qualche modo a queste solennità, per infondergli maggiore forza e splendore. Pertanto, con questa Lettera, ti eleggiamo, nomineremo e designiamo Nostro Inviato Straordinario, affidandoti a presiedere, in Nostro Nome e con Nostra Autorità; quelle celebrazioni mariane. E non dubitiamo che saprete svolgere correttamente, diligentemente e fruttuosamente questo nobile compito, data la densa dottrina che possiedi e la pura devozione che hai sempre dimostrato verso la Madre di Cristo Salvatore e Madre nostra.

lascialo brillare perciò, a Guayaquil, con nuovo splendore il mistero mariano, di cui sant'Agostino esclamava stupefatto: «Quale mente può pensare e quale linguaggio spiegano non solo che in principio era il Verbo, senza aver avuto alcun inizio, ma anche che il Verbo si fece carne, scegliendo una vergine per farla sua madre e facendosi madre mantenendola vergine...? Cos'è questo? Chi può parlarne? Chi può farlo tacere? È qualcosa di ammirevole: ciò che non siamo in grado di spiegare, non possiamo tacere; predichiamo parlando ciò che non comprendiamo neppure pensando» ( Sermo 215, 3; PL 38, 1073).

Augurando e chiedendo a Dio che queste solennità abbiano sane risonanze nella vita degli individui e della società, a Lei, Nostro Venerabile Fratello, nonché al Suo collega, l'eminentissimo Cardinale Pablo Muñoz Vega, Arcivescovo di Quito — che, con i suoi assistenti, hanno lavorato con grande cura alla preparazione di quel Congresso - così come agli altri prelati, autorità, sacerdoti, religiosi e fedeli che vi si riuniscono per questo motivo, impartiamo volentieri la benedizione apostolica, pegno dei doni celesti.

Roma, accanto a San Pietro, il 1° settembre 1978, anno I del nostro Pontificato.

IOANNES PAULUS PP.

 


[Modificato da Caterina63 28/08/2022 11:42]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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RADIOMESSAGGIO «URBI ET ORBI»
DI PAPA GIOVANNI PAOLO I

 

Venerabili Fratelli!
Diletti Figli e Figlie dell'intero orbe cattolico!

Chiamati dalla misteriosa e paterna bontà di Dio alla gravissima responsabilità del Supremo Pontificato, inviamo a voi il Nostro saluto; e subito lo estendiamo a tutti gli uomini del mondo, che in questo momento ci ascoltano, e nei quali, secondo gli insegnamenti del Vangelo, amiamo vedere unicamente degli amici, dei fratelli. A voi tutti, salute, pace, misericordia, amore: « Gratia Domini nostri Iesu Christi et caritas Dei et communicatio Sancti Spiritus sit cum omnibus vobis »(1).

Abbiamo ancora l'animo accasciato dal pensiero del tremendo ministero al quale siamo stati scelti: come Pietro, ci pare di aver posto il piede sull'acqua infida, e, scossi dal vento impetuoso, abbiamo gridato con lui verso il Signore: « Domine, salvum me fac »(2). Ma abbiam sentito rivolta anche a Noi la voce, incoraggiante e al tempo stesso amabilmente esortatrice del Cristo: « Modicae fidei, quare dubitasti? »(3). Se le umane forze, da sole, non possono essere adeguate a tanto peso, l'aiuto di Dio onnipotente, che guida la sua Chiesa attraverso i secoli in mezzo a tante contraddizioni e contrarietà, non mancherà certo anche a Noi, umile e ultimo Servus servorum Dei. Tenendo la Nostra mano in quella di Cristo, appoggiandoci a Lui, siamo saliti anche Noi al timone di questa nave, che è la Chiesa; essa è stabile e sicura, pur in mezzo alle tempeste, perché ha con sé la presenza confortatrice e dominatrice del Figlio di Dio. Secondo le parole di S.Agostino, che riprende un'immagine cara all'antica Patristica, la nave della Chiesa non deve temere, perché è guidata da Cristo: « Quia etsi turbatur navis, navis est tamen. Sola portat discipulos et recipit Christum. Periclitatur quidem in mari, sed sine illa statim peritur »(4). Solo in essa v'è salvezza: sine illa peritur!

Con questa fede, Noi procederemo. L'aiuto di Dio non Ci mancherà secondo la promessa indefettibile: « Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi »(5). La vostra rispondenza unanime e la collaborazione volonterosa di tutti Ci renderà più leggero il peso del quotidiano dovere. Ci accingiamo a questo terribile compito nella coscienza della insostituibilità della Chiesa Cattolica, la cui immensa forza spirituale è garanzia di pace e di ordine, e come tale è presente nel mondo, come tale è riconosciuta nel mondo. L'eco che la sua vita solleva ogni giorno è la testimonianza che essa, nonostante tutto, è viva nel cuore degli uomini, anche di quelli che non condividono la sua verità e non accettano il suo messaggio. Come ha detto il Concilio Vaticano II, « dovendosi estendere a tutta la terra, la Chiesa entra nella storia degli uomini, e insieme però trascende i tempi e i confini dei popoli. Tra le tentazioni e le tribolazioni del suo cammino, la Chiesa è sostenuta dalla forza della grazia di Dio, a lei promessa dal Signore, affinché per l'umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà, ma rimanga la degna sposa del suo Signore e non cessi di rinnovarsi sotto l'azione dello Spirito Santo, finché, attraverso la croce, giunga alla luce che non conosce tramonto »(6). Secondo il piano di Dio, che « ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace », la Chiesa è stata da Lui voluta « perché sia per tutti e per i singoli sacramento visibile di questa unità salvifica »(7).

In questa luce, Noi Ci poniamo interamente, con tutte le Nostre forze fisiche e spirituali, al servizio della missione universale della Chiesa, che è quanto dire al servizio del mondo: cioè al servizio della verità, della giustizia, della pace, della concordia, della collaborazione all'interno delle Nazioni come nei rapporti tra i popoli. Chiamiamo anzitutto i figli della Chiesa a prendere coscienza sempre maggiore della loro responsabilità: « Vos estis sal terrae, vos estis lux mundi »(8). Superando le tensioni interne, che qua e là si sono potute creare, vincendo le tentazioni dell'uniformarsi ai gusti e ai costumi del mondo, come ai titillamenti del facile applauso, uniti nell'unico vincolo dell'amore che deve informare la vita intima della Chiesa come anche le forme esterne della sua disciplina, i fedeli devono essere pronti a dare testimonianza della propria fede davanti al mondo: « Parati semper ad defensionem omni poscenti vos rationem de ea, quae in vobis est, spe »(9).

La Chiesa, in questo sforzo comune di responsabilizzazione e di risposta ai problemi lancinanti del momento, è chiamata a dare al mondo quel « supplemento d'anima » che da tante parti si invoca e che solo può assicurare la salvezza. Questo si attende oggi il mondo: esso sa bene che la sublime perfezione a cui è pervenuto con le sue ricerche e con le sue tecniche ha raggiunto un crinale oltre cui c'è la vertigine dell'abisso; la tentazione di sostituirsi a Dio con l'autonoma decisione che prescinde dalle leggi morali, porta l'uomo moderno al rischio di ridurre la terra a un deserto, la persona a un automa, la convivenza fraterna a una collettivizzazione pianificata, introducendo non di rado la morte là dove invece Dio vuole la vita.

La Chiesa, piena di ammirazione e amorevolmente protesa verso le umane conquiste, intende peraltro salvaguardare il mondo, assetato di vita e d'amore, dalle minacce che lo sovrastano; il Vangelo chiama tutti i suoi figli a porre le proprie forze, e la stessa vita, al servizio dei fratelli, nel nome della carità di Cristo: « Maiorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam quis ponat pro amicis suis »(10). In questo momento solenne, Noi intendiamo consacrare tutto quello che siamo e che possiamo a questo scopo supremo, fino all'estremo respiro, consapevoli dell'incarico che Cristo stesso ci ha affidato: « Confirma fratres tuos » (11).

Ci soccorre, a darCi forza nell'arduo compito, il ricordo soavissimo dei Nostri Predecessori, la cui amabile dolcezza e intrepida forza Ci sarà di esempio nel programma pontificale: ricordiamo in particolare le grandissime lezioni di governo pastorale lasciateci dai Papi a Noi più vicini, come Pio XIPio XIIGiovanni XXIII, che con la loro sapienza, dedizione, bontà e amore alla Chiesa e al mondo hanno lasciato un'orma incancellabile nel nostro tempo tormentato e magnifico. Ma è soprattutto al compianto Pontefice Paolo VI, Nostro immediato Predecessore, che va il trasporto commosso del cuore e della venerazione. La sua morte rapida, che ha lasciato attonito il mondo secondo lo stile dei gesti profetici di cui ha costellato il suo indimenticabile pontificato, ha messo nella giusta luce la statura straordinaria di quel grande e umile uomo, al quale la Chiesa deve l'irraggiamento straordinario, pur fra le contraddizioni e le ostilità, raggiunto in questi quindici anni, nonché l'opera immane, infaticabile, senza soste, da Lui posta nella realizzazione del Concilio e nell'assicurare al mondo la pace, tranquiltitas ordinis.

Il Nostro programma sarà quello di continuare il suo, nella scia già segnata con tanti consensi dal grande cuore di Giovanni XXIII:

- vogliamo cioè continuare nella prosecuzione dell'eredità del Concilio Vaticano II, le cui norme sapienti devono tuttora essere guidate a compimento, vegliando a che una spinta, generosa forse ma improvvida, non ne travisi i contenuti e i significati, e altrettanto che forze frenanti e timide non ne rallentino il magnifico impulso di rinnovamento e di vita;

- vogliamo conservare intatta la grande disciplina della Chiesa, nella vita dei sacerdoti e dei fedeli, quale la collaudata ricchezza della sua storia ha assicurato nei secoli con esempi di santità e di eroismo, sia nell'esercizio delle virtù evangeliche sia nel servizio dei poveri, degli umili, degli indifesi; e a questo proposito porteremo innanzi la revisione del Codice di Diritto Canonico, sia della tradizione orientale sia di quella latina, per assicurare, alla linfa interiore della santa libertà dei figli di Dio, la solidità e la saldezza delle strutture giuridiche;

- vogliamo ricordare alla Chiesa intera che il suo primo dovere resta quello dell'evangelizzazione, le cui linee maestre il Nostro Predecessore Paolo VI ha condensato in un memorabile documento: animata dalla fede, nutrita dalla Parola di Dio, e sorretta dal celeste alimento dell'Eucaristia, essa deve studiare ogni via, cercare ogni mezzo, « opportune importune »(12), per seminare il Verbo, per proclamare il messaggio, per annunciare la salvezza che pone nelle anime l'inquietudine della ricerca del vero e in questa le sorregge con l'aiuto dall'alto; se tutti i figli della Chiesa sapranno essere instancabili missionari del Vangelo, una nuova fioritura di santità e di rinnovamento sorgerà nel mondo, assetato di amore e di verità;

- vogliamo continuare lo sforzo ecumenico, che consideriamo l'estrema consegna dei Nostri immediati Predecessori, vegliando con fede immutata, con speranza invitta e con amore indeclinabile alla realizzazione del grande comando di Cristo: « Ut omnes unum sint »(13), nel quale vibra l'ansia del suo Cuore alla vigilia dell'immolazione del Calvario; le mutue relazioni fra le Chiese di varia denominazione hanno compiuto progressi costanti e straordinari, che sono davanti agli occhi di tutti; ma la divisione non cessa peraltro di essere occasione di perplessità, di contraddizione e di scandalo agli occhi dei non cristiani e dei non credenti: e per questo intendiamo dedicare la Nostra meditata attenzione a tutto ciò che può favorire l'unione, senza cedimenti dottrinali ma anche senza esitazioni;

- vogliamo proseguire con pazienza e fermezza in quel dialogo sereno e costruttivo, che il mai abbastanza compianto Paolo VI ha posto a fondamento e programma della sua azione pastorale, dandone le linee maestre nella grande Enciclica « Ecclesiam Suam », per la reciproca conoscenza, da uomini a uomini, anche con coloro che non condividono la nostra fede, sempre disposti a dar loro testimonianza della fede che è in noi, e della missione che il Cristo Ci ha affidata, « ut credat mundus »(14);

- vogliamo infine favorire tutte le iniziative lodevoli e buone che possano tutelare e incrementare la pace nel mondo turbato: chiamando alla collaborazione tutti i buoni, i giusti, gli onesti, i retti di cuore, per fare argine, all'interno delle nazioni, alla violenza cieca che solo distrugge e semina rovine e lutti, e, nella vita internazionale, per portare gli uomini alla mutua comprensione, alla congiunzione degli sforzi che favoriscano il progresso sociale, debellino la fame del corpo e l'ignoranza dello spirito, promuovano l'elevazione dei popoli meno dotati di beni di fortuna eppur ricchi di energie e di volontà.

Fratelli e figli carissimi,

In quest'ora trepida per Noi, ma confortata dalle divine promesse, Noi rivolgiamo il Nostro saluto a tutti i Nostri figli: li vorremmo qui tutti presenti per guardarli negli occhi, e per abbracciarli, infondendo loro coraggio e confidenza, e chiedendo per Noi comprensione e preghiera.

A tutti il Nostro saluto:

- ai Cardinali del Sacro Collegio, con i quali abbiamo condiviso ore decisive, e sui quali contiamo ora e in avvenire, ringraziandoli per il saggio consiglio e la forte collaborazione che vorranno continuare ad offrirCi, in prolungamento di quel loro consenso che, per volontà di Dio, Ci ha portato a questo culmine dell'ufficio apostolico;

- a tutti i Vescovi della Chiesa di Dio, « che rappresentano la propria Chiesa, e tutti insieme col Papa rappresentano tutta la Chiesa nel vincolo della pace, dell'amore e dell'unità »(15), e la cui collegialità vogliamo fortemente avvalorare, avvalendoCi della loro opera nel governo della Chiesa universale sia mediante l'organo sinodale, sia attraverso le strutture della Curia Romana, a cui essi partecipano di diritto secondo le norme stabilite;

- a tutti i Nostri collaboratori chiamati alla stretta esecuzione della Nostra volontà, e all'onore di una attività che li impegna a santità di vita, a spirito di obbedienza, a opera di apostolato e ad esemplare fortissimo amore alla Chiesa. Noi li amiamo ad uno ad uno; e chiedendo loro di continuare a prestare a Noi, come ai Nostri Predecessori, la loro provata fedeltà, siamo certi di poter contare sulla loro opera preziosissima che Ci sarà di grande giovamento;

- salutiamo i sacerdoti e i fedeli della diocesi di Roma, ai quali Ci lega la successione di Pietro e l'incarico unico e singolare di questa Cattedra Romana « che presiede alla carità universale »(16);

- salutiamo poi in modo particolare i membri della Nostra diocesi di origine Belluno e quelli di Venezia, che Ci sono stati affidati come figli affettuosissimi e carissimi, ai quali ora pensiamo con sincero rimpianto, ricordando le loro magnifiche opere ecclesiali e le comuni energie dedicate alla buona causa del Vangelo;

- e abbracciamo poi tutti i sacerdoti, in special modo i parroci e quanti si dedicano alla cura diretta delle anime, spesso in condizioni disagiate, o di vera povertà, ma sorretti luminosamente dalla grazia della vocazione e dell'eroica sequela del Cristo « pastore delle nostre anime »(17);

- salutiamo i Religiosi e le Religiose di vita sia contemplativa sia attiva, che continuano a irradiare sul mondo l'incanto dell'intatta adesione agli ideali evangelici, supplicandoli di continuare a « porre ogni cura affinché per loro mezzo la Chiesa abbia ogni giorno meglio da presentare Cristo ai fedeli e agli infedeli »(18);

- salutiamo tutta la Chiesa missionaria e inviamo agli uomini e alle donne, che sugli avamposti della evangelizzazione si dedicano alla cura dei fratelli, il Nostro incoraggiamento e il Nostro plauso più affettuoso: sappiano che, fra quanti abbiamo cari, essi Ci sono carissimi: non li dimenticheremo mai nelle Nostre preghiere e nelle Nostre sollecitudini, perché hanno un posto privilegiato nel Nostro cuore;

- alle associazioni di Azione Cattolica, come ai movimenti di varia denominazione che contribuiscono con energie nuove alla vivificazione della società e alla « consecratio mundi » come lievito nella pasta(19), va tutto il Nostro sostegno e il Nostro appoggio, perché siamo convinti che la loro opera, nella collaborazione con la sacra Gerarchia, è indispensabile per la Chiesa, oggi;

- e salutiamo i giovani, speranza di un domani più pulito, più sano, più costruttivo, affinché sappiano distinguere il bene dal male, e portarlo a compimento con le fresche energie di cui sono in possesso, per la vitalità della Chiesa e l'avvenire del mondo;

- salutiamo le famiglie, che sono « come il santuario domestico della Chiesa »(20), anzi sono una vera e propria « Chiesa domestica »(21) nella quale fioriscono le vocazioni religiose e le decisioni sante, e si prepara il domani del mondo; vogliano far argine alle ideologie distruttrici dell'edonismo che estingue la vita, e formare energie pulsanti di generosità, di equilibrio, di dedizione al bene comune;

- ma un particolare saluto vogliamo inviare a quanti soffrono nel presente momento; agli ammalati, ai prigionieri, agli esuli, ai perseguitati; a quanti non riescono ad avere un lavoro, o stentano nella dura lotta per la vita; a quanti soffrono per la costrizione a cui è ridotta la loro fede cattolica, che non possono liberamente professare se non al prezzo dei loro diritti primari di uomini liberi e di cittadini volonterosi e leali. In modo particolare pensiamo alla martoriata terra del Libano, alla situazione della Terra di Gesù, alla fascia del Sahel, all'India tanto provata, e a tutti quei figli e fratelli che subiscono dolorose privazioni sia per le condizioni sociali e politiche, sia per le conseguenze di disastri naturali.

Uomini fratelli di tutto il mondo!

Tutti siamo impegnati nell'opera di elevare il mondo ad una sempre maggiore giustizia, ad una più stabile pace, a una più sincera cooperazione: e perciò tutti invitiamo e scongiuriamo, dai più umili ordini sociali che formano il tessuto connettivo delle nazioni, fino ai Capi responsabili dei singoli popoli, a farsi strumenti efficaci e responsabili di un ordine nuovo, più giusto e più sincero.

Un'alba di speranza aleggia sul mondo, anche se una fitta coltre di tenebra, dai sinistri bagliori di odio, di sangue e di guerra, minaccia talora di oscurarla: l'umile Vicario di Cristo, che inizia trepido e fiducioso la sua missione, si pone a disposizione totale della Chiesa e della società civile, senza distinzione di razze o di ideologie, per assicurare al mondo il sorgere di un giorno più sereno e più dolce. Solo Cristo potrà far sorgere la luce che non tramonta, perché Egli è il « sole di giustizia »(22): ma Egli pure attende l'opera di tutti. La Nostra non mancherà.

Chiediamo a tutti i Nostri figli l'aiuto della preghiera, perché solo su questa contiamo; e Ci abbandoniamo fiduciosi all'aiuto del Signore, che, come Ci ha chiamati al compito di suo rappresentante in terra, così non Ci lascerà mancare la sua grazia onnipotente. Maria Santissima, Regina degli Apostoli, sarà la stella fulgida del Nostro pontificato. San Pietro, Ecclesiae frmamentum(23), Ci sorregga con la sua intercessione e col suo esempio di fede invitta e di umana generosità. San Paolo Ci guidi nello slancio apostolico dilatato verso tutti i popoli della terra; i Nostri santi Patroni Ci assistano.

E nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo impartiamo al mondo la Nostra prima, affettuosissima Benedizione Apostolica.

Domenica, 27 agosto 1978


(1) 2 Cor. 13, 13.

(2) Matth. 14, 30.

(3) Ibid. 14, 31.

(4) S. AUGUSTINI Sermo 75, 3: PL 38, 475.

(5) Matth. 28, 20.

(6) Lumen gentium, 9.

(7) Ibid.

(8) Matth. 5, 13 ss.

(9) 1 Petr. 3, 15.

(10) Io. 15, 13.

(11) Luc. 22, 32.

(12) 2 Tim. 4, 2.

(13) Io. 17, 21.

(14) Ibid.

(15) Lumen gentium23.

(16) Cfr. S. IGNATII ANTIOCHENI Epistola ad Romanos, Funk, I, 252.

(17) Cfr. 1 Petr. 2, 25.

(18) Lumen gentium, 46.

(19) Cfr. Matth. 13, 33.

(20) Apostolicam actuositatem, 11.

(21) Lumen gentium11.

(22) Cfr. Mal. 4, 2.

(23) S.AMBROSII Exp. Ev. sec. Lucam, IV, 70: CSEL 32, 4, p. 175.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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