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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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22 Febbraio: LA CATTEDRA DI PIETRO

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2014 23:18
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Per ricordare due importanti tappe della missione compiuta dal principe degli apostoli, S. Pietro, e lo stabilirsi del cristianesimo prima in Antiochia, poi a Roma, il Martirologio Romano celebra il 22 febbraio la festa della cattedra di S. Pietro ad Antiochia e il 18 gennaio quella della sua cattedra a Roma.

La recente riforma del calendario ha unificato le due commemorazioni al 22 febbraio, data che trova riscontro in un'antica tradizione, riferita dalla Depositio mar rum. In effetti, in questo giorno si celebrava la cattedra romana, anticipata poi nella Gallia al 18 gennaio, per evitare che la festa cadesse nel tempo di Quaresima.

In tal modo si ebbe un doppione e si finì per introdurre al 22 febbraio la festa della cattedra di S. Pietro ad Antiochia, fissando al 18 gennaio quella romana.

La cattedra, letteralmente, è il seggio fisso del sommo pontefice e dei vescovi.

E’ posta in permanenza nella chiesa madre della diocesi (di qui il suo nome di "cattedrale") ed è il simbolo dell'autorità del vescovo e del suo magistero ordinario nella Chiesa locale. La cattedra di S. Pietro indica quindi la sua posizione preminente nel collegio apostolico, dimostrata dalla esplicita volontà di Gesù, che gli assegna il compito di "pascere" il gregge, cioè di guidare il nuovo popolo di Dio, la Chiesa.

Questa investitura da parte di Cristo, ribadita dopo la risurrezione, viene rispettata. Vediamo infatti Pietro svolgere, dopo l'ascensione, il ruolo di guida. Presiede alla elezione di Mattia e parla a nome di tutti sia alla folla accorsa ad ascoltarlo davanti al cenacolo, nel giorno della Pentecoste, sia più tardi davanti al Sinedrio. Lo stesso Erode Agrippa sa di infliggere un colpo mortale alla Chiesa nascente con l'eliminazione del suo capo, S. Pietro. Mentre la presenza di Pietro ad Antiochia risulta in maniera incontestabile dagli scritti neotestamentari, la sua venuta a Roma nei primi anni dell'impero di Claudio non ha prove altrettanto evidenti.

Lo sviluppo del cristianesimo nella capitale dell'impero attestato dalla lettera paolina ai Romani (scritta verso il 57) non si spiega tuttavia senza la presenza di un missionario di primo piano. La venuta, qualunque sia la data in cui ciò accadde, e la morte di S. Pietro a Roma, sono suffragare da tradizioni antichissime, accolte ora universalmente da studiosi anche non cattolici. Lo attestano in maniera storicamente inoppugnabile anche gli scavi intrapresi nel 1939 per ordine di Pio XII nelle Grotte Vaticane, sotto la Basilica di S. Pietro, e i cui risultati sono accolti favorevolmente anche da studiosi non cattolici.


Autore:
Piero Bargellini


                        

Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.
Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam.



Il 22 febbraio gli antichi romani veneravano la memoria dei defunti e mangiavano presso le loro tombe.

Ognuna d'esse era una 'cattedra', ossia un seggio riservato al defunto, supponendo che egli fosse commensale al banchetto.

Dal secolo IV in poi i cristiani presero a onorare una 'cattedra' molto più spirituale: quella di Pietro, capo della Chiesa di Roma. Significato della festa e quindi la celebrazione del ministero di Pietro. Un carisma unico e infallibile che rivive nei successori di Pietro, ogni papa è 'servo dei servi di Dio' in qualità di maestro e di guida, assistito dallo Spirito Santo.


Tu sei Pietro... e a te darò le chiavi del regno dei cieli
 .
Tu es Petrus...et tibi dabo claves regni caelorum.


Questo brano si regge su tre simboli: la roccia, le chiavi il 'legare-sciogliere'.

Il ministero di Pietro è di 'fondamento', di roccia per l'intera costruzione degli eletti di Dio.

Le chiavi sono il simbolo del potere in azione sia nel campo amministrativo sia in quello giuridico o di insegnamento, è associabile per noi in quel potere Temporale (il governo della Chiesa visibile) indiscutibile.

Pietro d'ora innanzi dovrà anche essere il canale attraverso il quale la parola del Cristo e la sua azione salvifica continuano a effondersi nella comunità cristiana. Il legare e sciogliere diventa la concretizzazione del potere delle 'chiavi'. Gli interventi dell'apostolo sono interpretazioni e attualizzazioni nel tempo e negli uomini della volontà salvifica del Cristo. Non è soltanto un'evocazione del potere di perdonare i peccati, ma una più vasta dichiarazione sulla funzione di ammonizione, di esortazione, di formazione e di salvezza che Pietro e la Chiesa devono offrire ai fedeli.

 


Secondo l'espressione semitica, LEGARE-SCIOGLIERE, significa il potere di PERMETTERE-VIETARE, ACCOGLIERE-RESPINGERE, RIMETTERE-NON RIMETTERE I PECCATI. Questo era anche l'uso di questa terminologia che facevano anche i dottori del tempo di Gesù.

Il testo è chiaro per noi cattolici. Il Vangelo è di una chiarezza estrema, tutti lo dicono, ma poi pochi lo ammettono di fatto quando si tratta di riconoscere che Cristo ha conferito ad un uomo questo potere.

Si continua a dire: io obbedisco a Cristo soltanto e ci si dimentica che proprio Lui ha anche detto ai Dodici: "chi ascolta voi ascolta me", tuttavia in questo "ascoltare voi" Gesù avverte insieme che esistono FALSI MAESTRI...ci chiede di avere e chedere in preghiera IL DISCERNIMENTO..questa è la tendenza di oggi: vado da Gesù da SOLO.... non mi ci deve portare un prete......però poi anche gli altri hanno le loro chiese, i pastori e i vescovi..... e non si rendono conto che anche loro hanno, a loro volta teologi e supporti dottrinali, libri e testi di catechesi.....tuttavia l'importante è che non siano della Chiesa Cattolica.......
 
Ci sono evangelici che USANO I PADRI DELLA CHIESA per testimoniare che essi erano contro il primato di Pietro..........leggiamo e buona meditazione....
 
Ho pregato per te, Simon Pietro, che non venga meno la tua fede; * e tu, superata la prova, conferma i tuoi fratelli.
Non ti fu rivelato il mio mistero dalla carne e dal sangue, ma dal Padre mio che è nei cieli;e tu, superata la prova, conferma i tuoi fratelli. (Lc 22,32; Mt 16,17b)


      

Dai "Discorsi" di san Leone Magno, papa
(Disc. 4 sul suo anniversario di elezione, 2-3; PL 54,149-151)
La Chiesa di Cristo s'innalza sulla salda fede di Pietro

Tra tutti gli uomini solo Pietro viene scelto per essere il primo a chiamare tutte le genti alla salvezza e per essere il capo di tutti gli apostoli e di tutti i Padri della Chiesa. Nel popolo di Dio sono molti i sacerdoti e i pastori, ma la vera guida di tutti è Pietro, sotto la scorta suprema di Cristo. Carissimi, Dio si è degnato di rendere quest'uomo partecipe del suo potere in misura grande e mirabile.

E se ha voluto che anche gli altri prìncipi della Chiesa avessero qualche cosa in comune con lui, è sempre per mezzo di lui che trasmette quanto agli altri non ha negato.

A tutti gli apostoli il Signore domanda che cosa gli uomini pensino di lui e tutti danno la stessa risposta fino a che essa continua ad essere l'espressione ambigua della comune ignoranza umana. Ma quando gli apostoli sono interpellati sulla loro opinione personale, allora il primo a professare la fede nel Signore è colui che è primo anche nella dignità apostolica.

Egli dice: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"; e Gesù gli risponde: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,16-17). Ciò significa: tu sei beato perché il Padre mio ti ha ammaestrato, e non ti sei lasciato ingannare da opinioni umane, ma sei stato istruito da un'ispirazione celeste.
 La mia identità non te l'ha rivelata la carne e il sangue, ma colui del quale io sono il Figlio unigenito.

Gesù continua: "E io ti dico": cioè come il Padre mio ti ha rivelato la mia divinità, così io ti manifesto la tua dignità. "Tu sei Pietro". Ciò significa che se io sono la pietra inviolabile, la pietra angolare che ha fatto dei due un popolo solo (cfr. Ef 2,14. 20), il fondamento che nessuno può sostituire, anche tu sei pietra, perché la mia forza ti rende saldo.

Così la mia prerogativa personale è comunicata anche a te per partecipazione. "E su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18). Cioè, su questa solida base voglio costruire il mio tempio eterno. La mia Chiesa, destinata a innalzarsi fino al cielo, dovrà poggiare sulla solidità di questa fede.

Le porte degli inferi non possono impedire questa professione di fede, che sfugge anche ai legami della morte. Essa infatti è parola di vita, che solleva al cielo chi la proferisce e sprofonda nell'inferno chi la nega. È per questo che a san Pietro viene detto: "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,19). Certo, il diritto di esercitare questo potere è stato trasmesso anche agli altri apostoli, questo decreto costitutivo è passato a tutti i prìncipi della Chiesa. Ma non senza ragione è stato consegnato a uno solo ciò che doveva essere comunicato a tutti.

Questo potere infatti è affidato personalmente a Pietro, perché la dignità di Pietro supera quella di tutti i capi della Chiesa.



RESPONSORIO Cfr. Mt 16,19

R Simon Pietro prima di chiamarti dalla barca, ti ho conosciuto; ti ho messo a capo del mio popolo, ti ho consegnato le chiavi del regno dei cieli.
V Ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, ciò che scioglierai, sarà sciolto:
R ti ho consegnato le chiavi del regno dei cieli.

[Modificato da Caterina63 20/02/2014 23:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Da una vecchia discussione del 2001....riporto questa meditazione di Teofilo.....

leggiamo in Mc.9,38


Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri
". 39Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. 40 Chi non è contro di noi è per noi.


Vorrei fare una riflessione su questo brevissimo dettaglio evangelico.

In esso troviamo che Giovanni (l'apostolo della Carità e dell'unità) si preoccupa di riferire a Gesù che un tale si permetteva di agire in nome SUO, ma di averlo vietato perchè, egli precisa, : "NON ERA DEI NOSTRI".


Giovanni, insieme al gruppo apostolico aveva determinato di escludere quel tale da una qualsiasi azione, fosse pure prodigiosa, per il fatto che non agiva UNITARIAMENTE col gruppo ufficiale fondato da Gesù.

Ma Gesù rettifica la loro determinazione, senza rimproverarli, ma semplicemente dando loro un metro di giudizio anche in questa occasione.


Dicendo NON GLIELO PROIBITE, è come se avesse voluto da una parte riconfermare loro il potere di VIETARE, mentre dall'altra avesse voluto indicare loro di usare il potere di PERMETTERE , lasciando che quel tale facesse ciò che già lo Spirito Santo stava facendo per suo mezzo, e di cui essi non si stavano preoccupando: la loro premura principale era l'UNITA', che non riuscivano a scorgere nell'azione separata di quel tale. Oggi grazie al Concilio Vaticano II la Chiesa "permette" molto più che in passato e tuttavia con questo pontificato, giustamente non ha rinnegato una sola dottrina dell'unità della Chiesa per mezzo soprattutto dei SACRAMENTI RINNEGATI DA ALTRI CRISTIANI.

La motivazione conclusiva addotta da Cristo è molto significativa:

Chi non è contro di noi è per noi.


Gesù ha pronunciato diverse volte la parola NOI.


Ora è molto solenne ed indica Lui stesso insieme agli Apostoli, la prima Chiesa visibilmente formata (comprendente Giuda); quel NOI sta a dire IO E VOI.

Dice dunque che chi non è CONTRO quel determinato gruppo da Lui scelto e che forma quel NOI , è come se agisse a suo favore, in quanto pur non appartenendovi, le resta unito invisibilmente.


Ecco che trovo qui una indicazione valida a quanto è stato ribadito dal Concilio Vat.II e da altri atti della Chiesa; e cioè che, se è vero che vi è una Chiesa visibile ed ufficiale, mediante la quale Cristo ci dona i mezzi ordinari per la nostra salvezza, tuttavia non si può escludere che la Grazia di Dio possa debordare al di fuori di essa e condurre le anime alla salvezza, ma è sempre dalla Chiesa che tale azione PARTE, in tal senso si leggeva della Dominus Jesus "senza la Chiesa NON CE' salvezza" perchè da Lei partono le grazie fin anche debordando.


Troviamo una espressione simile ma non identica nel Vangelo, quando Gesù dice: "chi non è con me è contro di me".


In questo caso esclude categoricamente che si possa essere a suo favore se si è contro di Lui, direttamente.


Ma nel caso del gruppo apostolico Gesù autorizza a pensare che si possa essere per Lui senza essere direttamente uniti a loro.


Naturalmente, però resta necessaria la condizione posta da Cristo:

non bisogna essere CONTRO di loro, altrimenti si rischia di "correre invano" (Gal.2,2) e di disperdere i propri sforzi al di fuori dell'unità, comunque ardentemente desiderata dal Signore, e dagli apostoli.

E in tal caso la salvezza rimane fortemente vincolato alla partecipazione diretta o indiretta alla vita della Chiesa.


In questo senso vanno pure interpretate le parole, spesso ripetute dai Padri: al di fuori della Chiesa non vi è salvezza.....

La Cattedra di Pietro è un segno VISIBILE DI QUESTO "NOI"...



               [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]

Pur essendo grata a Lutero per aver sollevato certe dispute....rimango grata di più alla Chiesa[SM=g1740727] , A QUESTA CATTEDRA DI PIETRO... che ha saputo superare questo  ostacolo...del resto quando al Concilio di Trento venivano sottoposte le questioni dottrinali di Lutero, egli  ebbe a dire:
" Io non ammetto che la mia dottrina possa venire giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza..." (WeimarX, 2, 107,pp.8-11)
[SM=g1740729]

non credo ci sia bisogno di ulteriori commenti all'atteggiamento di Lutero nei confronti di un Concilio......
Il punto è che mentre le Chiese Storiche nate da Lutero hanno effettivamente fatto un passo indietro rispetto alla rigidità del loro fondatore.....oggi abbiamo i pentecostali che usano questa stessa espressione....: Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza ...[SM=g1740725] .. concetto di chiusura superato anche dalla Chiesa che solo in termine di Chiesa sostiene che in Essa vi è la salvezza perchè Essa la distribuisce in ogni angolo della terra mediante la predicazione e i Sacramenti...specialmente la Riconciliazione e l'Eucarestia[SM=g1740734] ..mentre ha spiegato a fondo il concetto :  che fuori della Chiesa Cattolica non c'è salvezza......
Insomma, l'ha dove con umiltà si tenta di andare avanti per tentare la comprensione e altre strade meno perniciose...altrove si continuano ad alzare muri e barriere.....
La Dominus Iesus tanto attaccata duramente in quella espressione "FUORI DELLA CHIESA NON C'E' SALVEZZA" è completamente ignorata in questo particolare...  di Chiesa ne abbiamo UNA SOLA...ragione vuole che con tutta onestà si cerchi LA RADICE COMUNE CHE CI DEVE UNIRE IN QUALCHE MODO.......per noi il cuore di unione resta L'EUCARESTIA con tutti e 7 i Sacramenti....

Ma veniamo ad un altro brano del Vangelo.....
analizziamo di Luca:
Lc 13, 22-30....
dove leggiamo alcuni passi:
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Rispose: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! .....
.........
dunque: Signore, sono pochi quelli che si salvano?
.........

secondo gli evangelici-pentecostali  i SALVATI  saranno coloro che...ENTRANDO A FAR PARTE DI UNA DELLE LORO COMUNITA'.....BATTEZZANDOSI NON TANTO IN ACQUA, MA NELLO SPIRITO SANTO....E DUNQUE NASCENDO DI NUOVO SECONDO LA LORO DOTTRINA......saranno fra gli eletti....[SM=g1740732] ...

Ora se leggiamo questo vangelo di Luca le cose non stanno propriamente così.....[SM=g1740733]

In questa risposta il Signore non menziona una sola di queste pratiche
indispensabili invece per l'insegnamento evangelico-pentecostale....così come per Matteo 25 Gesù non dice "venite benedetti dal Padre mio perchè voi siete "nati di nuovo" e avevate il Battesimo nello Spirito Santo ed eravate evangelici-pentecostali...."[SM=g1740727]
Gesù parla di....PORTA STRETTA.......la qual chiave per aprirla intanto è la virtù dell'umiltà......dell'obbedienza ALLA FEDE DI PIETRO CHE DEVE CONFERMARE....e soprattutto della CARITA'......la fede infatti per l'apostolo Paolo NONè superiore alla Carità..tuttavia la Carità nell'esprimere la Verità è la più grande fra le virtù[SM=g1740733] ...del resto a scuola posso anche NON avere fede nell'insegnamento di un professore, tuttavia per conseguire una promozione nella sua materia devo semplicemente attenermi ALL'OBBEDIENZA di ciò che insegna.....imparare l'argomento applicando un grado di umiltà, ricnoscendomi ALUNNO E NON MAESTRO...in parole povere devo passare per una porta stretta se vorrò conseguire dei risultati.
La porta larga....quale sarebbe, o quale potrebbe essere?
Il non applicare alcuna virtù elencata da Paolo quale l'obbedienza e l'umiltà e la carità.... e limitarmi al solo concetto della fede......come dire: " Signore io ho fiducia cieca in te e so che mi hai salvato perchè ho creduto in TE sempre...attendo la TUA parola, NON quella di "Pietro" "

PUNTO E STOP...facendo diventare L'OBBEDIENZA ALLA CHIESA L'UMILTA' E LA CARITA' UN OPCIONAL oppure un atto di pietà intesa come GESTUALITA' che seppur buona, però...finisce per non produrre frutti DI COMUNIONE CON LA CHIESA...
In questo caso....e dal momento che coloro che insegnano che questo è sufficiente alla salvezza senza valutare le opere....rischieremmo di sentirci dire come il Vangelo di Luca:

Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete.
...

.....

questa risposta fa il pari con Matteo 25: "Signore, quando ti abbiamo visto...???".....ora poichè "vedere" il Signore come realmente è non è cosa di tutti i giorni, va da sè che questo "vedere" implica UN CONOSCERE IL SIGNORE conoscerlo INTELLETTUALMENTE-SCRITTURALMENTE poichè la fede in Cristo è L'INCONTRO CON LUI e non con una ideologia o una immagine..........eppure Gesù fa risaltare che chi aveva fatto del bene NON SAPEVA che il bisognoso era LUI stesso.....a rigor di logica per un cristiano questo è impossibile, cioè è impossibile NON sapere, per noi che il bisognoso rappresenta  il Cristo da amare e servire......gioco forza tale situazione può tranquillamente riferirsi sia al cristiano quanto al NON CRISTIANO.....

Infatti sia in Matteo 25 quanto il Luca che abbiamo appena letto in nessuno dei due casi Gesù parla di SALVATI PERCHE' CRISTIANI, O PERCHE' NATI DI NUOVO, O PERCHE' AVEVANO ACCETTATO GESU' COME SALVATORE
..[SM=g1740733]  e rammentiamo che loro sono per la Sola Scriptura.

Questo brano termina dicendo:

 
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi.....
......

Mi sembra che in qusta sorta di primeggiare fra primi ed ultimi....calzi a pennello con l'errato insegnamento evangelico-pentecostale......secondo tale loro dottrina infatti....i primi sarebbero a questo punto i NATI DI NUOVO......coloro che hanno accettato Cristo come loro Salvatore confinando tutto il resto, cioè la questione delle opere, in fondo al cassetto come cosa inutile e superflua.....

Insomma....mi pare che la comodità dell'accettare solo Gesù come Salvatore per dire e gridare di avere la salvezza in tasca.....assomiglia più ad una porta larga....anzichè ad una porta stretta alla quale si accede solo con la Carità, l'umiltà e l'obbedienza.....
Indubbiamente la "porta stretta" è anche quella RICERCA DELL'UNITA'...
troviamo che Giovanni (l'apostolo della Carità e dell'unità) si preoccupa di riferire a Gesù che un tale si permetteva di agire in nome SUO, ma di averlo vietato perchè, egli precisa, : "NON ERA DEI NOSTRI".


Giovanni, insieme al gruppo apostolico aveva determinato di escludere quel tale da una qualsiasi azione, fosse pure prodigiosa, per il fatto che non agiva UNITARIAMENTE col gruppo ufficiale fondato da Gesù.

Ma Gesù rettifica la loro determinazione, senza rimproverarli, ma semplicemente dando loro un metro di giudizio anche in questa occasione.


Dicendo NON GLIELO PROIBITE, è come se avesse voluto da una parte riconfermare loro il potere di VIETARE, mentre dall'altra avesse voluto indicare loro di usare il potere di PERMETTERE , lasciando che quel tale facesse ciò che già lo Spirito Santo stava facendo per suo mezzo, e di cui essi non si stavano preoccupando: la loro premura principale era l'UNITA', che non riuscivano a scorgere nell'azione separata di quel tale.

Oggi grazie al Concilio Vaticano II la Chiesa "permette" molto più che in passato e tuttavia con questo pontificato, giustamente non ha rinnegato una sola dottrina dell'unità della Chiesa per mezzo soprattutto dei SACRAMENTI RINNEGATI DA ALTRI CRISTIANI.


La motivazione conclusiva addotta da Cristo è molto significativa:

Chi non è contro di noi è per noi.

La Cattedra di Pietro è la visibilità concreta di questo "NOI" apostolico!

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Riflessione di don Paolo Curtaz:

In tutta la Chiesa cattolica, oggi, siamo chiamati a fissare lo sguardo su Pietro e il suo ministero; è un forte richiamo alla sua figura e al suo ruolo all'interno della comunità cristiana.

Pietro e la sua cattedra, cioè il suo insegnamento, la sua funzione, il suo ministero. Il vangelo, letto qualche giorno fa', ci introduce a questa delicata e ricca questione: cosa rappresenta Pietro all'interno della comunità cristiana? Il suo compito è chiaro, nel progetto del Maestro: diventare tutore, garante, essere punto di riferimento per i fratelli.

Chi vi garantisce, amici, che il mio modo di leggervi la Parola sia autentico? Chi vi garantisce che il mio modo di interpretarla sia secondo ciò che gli apostoli hanno vissuto? Chi vi dice che io non sia l'ennesimo guru mediatico che abilmente vi infatua propinandovi un Dio fatto a mia immagine e somiglianza?

Sempre, nella storia, sono apparsi uomini di Dio che hanno accusato la Chiesa di interpretare arbitrariamente la parola del Signore e che si sono inventati un modo diverso di essere fedeli a Dio. Ebbene il compito di Pietro è stato proprio quello di conservare la fede, di custodirla, di preservarla da interpretazioni soggettive. Io ho la certezza che ciò che vi dico a proposito di Gesù, che ciò in cui credo, è esattamente ciò che da duemila anni la Chiesa sperimenta e annuncia nella fatica del suo limite.

Pietro diventa allora scoglio a cui aggrapparsi in questo tempo di immense incertezze, riferimento umile e saldo del Vangelo vissuto e custodito in questa lunga storia di gioie e di persecuzioni. Questo oggi celebriamo: l'unità della fede custodita creativamente da Pietro, per lui oggi preghiamo e lui affidiamo al suo e nostro Maestro, che lo assista nel difficile compito di tenere sempre orientata la barca della fede verso la luce.

Pietro diventa segno visibile di unità per i tuoi discepoli, Signore. Sostieni lui e noi nella splendida avventura della fede.

                   


CATTEDRA DI SAN PIETRO APOSTOLO
(Bianco)

I Lettura 1 Pt 5,1-4
Pietro, testimone delle sofferenze di Cristo
Salmo (Sal 22)
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Vangelo Mt 16,13-19
Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli


Pechino (Agenzia Fides) - Oggi, durante la Messa mattutina, diversi sacerdoti cinesi hanno ricordato ai fedeli che si celebrava la festa della Cattedra di San Pietro Apostolo ed hanno invitato a pregare per il Successore di Pietro e per la Chiesa universale. Secondo quanto alcuni cattolici cinesi hanno riferito a Fides, i fedeli sono stati esortati a conservare la fedeltà al Successore di Pietro ed a mantenere la comunione con la Chiesa Universale. Come ha detto un cattolico cinese, “questa esortazione può sembrare quasi ovvia per i cattolici delle altre Chiese sorelle, ma per noi assume un significativo importante. Oltre alla riconferma della fedeltà e della comunione con il Papa e con la Chiesa universale, abbiamo anche visto con grande soddisfazione la maturità ed il coraggio delle nuova generazioni di sacerdoti, religiosi e religiose. Penso che sia per noi un motivo di fiducia”
(Agenzia Fides 22/2/2005 )

                      [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]


AD PETRI CATHEDRAM
La Cattedra di Pietro


Conoscenza della verità, restaurazione dell’unità e della pace nella carità

29 giugno 1959 (1)

Del Beato Pontefice Giovanni XXIII


Giovanni XXIII il giorno dell'incoronazione


Sin da quando siamo stati elevati non per Nostro merito alla cattedra di san Pietro, sempre Ci torna di ammaestramento e di conforto il ricordo del cordoglio generale che si è manifestato nel mondo, in occasione della scomparsa del Nostro immediato predecessore. Altrettanto Ci accade, se ripensiamo allo spettacolo che Ci si è offerto dopo la Nostra ascesa al supremo pontificato, quando, con l’animo pieno di fiduciosa attesa, le moltitudini si sono rivolte verso la Nostra persona, non distolte da altri avvenimenti, né dalle loro gravi difficoltà e angustie. La chiesa cattolica non muore: è il vessillo innalzato sulle nazioni (cf. Is 11,12). Essa è sorgente di viva luce e di soave amore per tutti i popoli.



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(1): IOANNES PP. XXIII, Litt. enc. Ad Petri cathedram de veritate, unitate et pace caritatis afflatu provehendis, [Ad venerabiles fratres Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes, itemque ad universum Clerum et christifideles catholici orbis], 29 iunii 1959: AAS 51(1959), pp. 497-531. - Versione italiana: L’Osservatore Romano, 3 luglio 1959; La Civiltà cattolica, 110(1959), III, pp. 113-139.
Prologo: Perenne giovinezza della chiesa e motivi di consolazione e di speranza. -
I. La verità, con particolare riferimento a quella rivelata;
1 doveri della stampa (e della radio, del cinema, della televisione) in ordine alla verità; L’indifferentismo religioso. –
II. Vantaggi recati dalla verità alla causa della pace; La concordia fra le classi sociali; Riflessioni circa importanti problemi nel campo del lavoro; La concordia e l’unione in seno alle famiglie. –
III. L’unità della chiesa, nell’unità della fede, di regime, di culto; Invito all’unione rivolto ai fratelli separati; Esortazione alla preghiera in unione di spirito. –
IV. Paterne esortazioni ai vescovi, al clero, ai fedeli, ai sofferenti, ai poveri, agli emigrati e alla chiesa perseguitata.

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Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti, causa e radice è l’ignoranza della verità. E non l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato disconoscimento del vero.
 

Di qui errori d’ogni genere, che penetrano negli animi e si infiltrano nelle strutture sociali, tutto sconvolgendo con grave rovina dei singoli e dell’umana convivenza. Eppure Dio ci ha dato una ragione capace di conoscere le verità naturali. Seguendo la ragione seguiamo Dio stesso, che ne è l’autore e insieme legislatore e guida della nostra vita; se invece o per insipienza o per infingardaggine o, peggio, per cattivo animo, deviamo dal retto uso della ragione, con ciò stesso ci allontaniamo dal sommo bene e dalla legge morale.

Possiamo, certamente, attingere con la ragione le verità naturali, come si è detto; questa conoscenza però - soprattutto per quanto concerne la religione e la morale - non tutti possono facilmente conseguirla, e se la conseguono, ciò spesso avviene non senza mescolanza di errori. Le verità poi che trascendono la capacità naturale della ragione non possiamo in alcun modo raggiungerle senza l’aiuto di una luce soprannaturale. Per questo il Verbo di Dio, che «abita una luce inaccessibile» (1Tm 6,16), per amore e compassione del genere umano, «si è fatto carne e abitò fra noi» (Gv 1,14), per illuminare «ogni uomo che viene al mondo» (Gv 1,9) e condurre tutti non solo alla pienezza della verità, ma ancora alla virtù e all’eterna beatitudine. Tutti perciò sono tenuti ad abbracciare la dottrina dell’evangelo. Se la si rigetta, vengono messi in pericolo i fondamenti stessi della verità, dell’onestà e della civiltà.


(Beato Giovanni XXIII)



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Pietro annunziatore di Cristo.

2. Di conseguenza, solo affidandogli le sue pecore, il Signore gli preannunciò la passione che oggi celebriamo. Disse: Quando eri più giovane, ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio 9.

Così avvenne, Pietro negò, Pietro pianse, Pietro lavò nelle lacrime la sua negazione. Cristo risuscitò, Pietro fu esaminato sull'amore: ricevette le pecore affidategli, non sue, ma di Cristo.
 
Non gli disse infatti: Pasci le tue pecore, ma: pasci le mie pecore: pasci quelle che ho acquistato, perché ho riscattato anche te. Quindi, Cristo Signore si trattenne quaranta giorni con i suoi discepoli; una nube lo sollevò sotto i loro occhi ed egli ascese al cielo. Lo accompagnarono con i loro sguardi mentre ascendeva: si fermarono poi in città, al compiersi di cinquanta giorni ricevettero lo Spirito Santo, ne furono ripieni.

In quell'istante appresero le lingue di tutti i popoli, cominciarono ad esprimersi in esse tra lo stupore e l'ammirazione di coloro che avevano ucciso Cristo. Il negatore di un tempo, l'amante qual è ora, solo fra tutti, perché il primo di tutti, si precipitò dai Giudei e intraprese ad annunziare Cristo agli uccisori di Cristo. Sparse in mezzo a loro il seme della fede di Cristo, e dispose a morire per Cristo molti di quelli dai quali aveva temuto di essere ucciso per lui.


Sant'Agostino: DISCORSO 299/B


*******


  


Benedetto XVI ha affermato che “il papa non deve proclamare la proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all'obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte a ogni opportunismo”.

Questo dunque è il programma enunciato fin dall’inizio da papa Benedetto: restituire alla verità – che in definitiva è Cristo – il suo primato e il suo splendore.
(San Giovanni in Laterano, la cattedrale del vescovo di Roma, sabato 7 maggio 2005 )

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/02/2009 12:30
 
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ANGELUS del 22.2.2009


Cari fratelli e sorelle!

La pagina evangelica, che la liturgia ci fa meditare in questa settima Domenica del tempo ordinario, riferisce l’episodio del paralitico perdonato e guarito (Mc 2,1-12). Mentre Gesù stava predicando, tra i tanti malati che gli venivano portati, ecco un paralitico su una barella. Al vederlo il Signore disse: "Figlio, ti sono perdonati i peccati" (Mc 2,5). E poiché alcuni dei presenti, all’udire queste parole, erano restati scandalizzati, aggiunse: "Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua" (Mc 2,10-11). E il paralitico se ne andò guarito. Questo racconto evangelico mostra che Gesù ha il potere non solo di risanare il corpo malato, ma anche di rimettere i peccati; ed anzi, la guarigione fisica è segno del risanamento spirituale che produce il suo perdono. In effetti, il peccato è una sorta di paralisi dello spirito da cui soltanto la potenza dell’amore misericordioso di Dio può liberarci, permettendoci di rialzarci e di riprendere il cammino sulla via del bene.


Nell’odierna domenica cade anche la festa della Cattedra di san Pietro, importante ricorrenza liturgica che pone in luce il ministero del Successore del Principe degli Apostoli. La Cattedra di Pietro simboleggia l’autorità del Vescovo di Roma, chiamato a svolgere un peculiare servizio nei confronti dell’intero Popolo di Dio. Subito dopo il martirio dei santi Pietro e Paolo, alla Chiesa di Roma venne infatti riconosciuto il ruolo primaziale in tutta la comunità cattolica, ruolo attestato già nel II secolo da sant’Ignazio di Antiochia (Ai Romani, Pref.: Funk, I, 252) e da sant’Ireneo di Lione (Contro le eresie III, 3, 2-3). Questo singolare e specifico ministero del Vescovo di Roma è stato ribadito dal Concilio Vaticano II. "Nella comunione ecclesiastica, - leggiamo nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa - vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità (cfr S. Ign. Ant., Ad Rom., Pref.), tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva" (Lumen gentium, 13).[SM=g1740734]


Cari fratelli e sorelle, questa festa mi offre l’occasione per chiedervi di accompagnarmi con le vostre preghiere, perché possa compiere fedelmente l’alto compito che la Provvidenza divina mi ha affidato quale Successore dell’apostolo Pietro. [SM=g1740717] Invochiamo per questo la Vergine Maria, che ieri qui, a Roma, abbiamo celebrato con il bel titolo di Madonna della Fiducia. A Lei chiediamo anche di aiutarci ad entrare con le dovute disposizioni d’animo nel tempo della Quaresima, che inizierà mercoledì prossimo con il suggestivo Rito delle Ceneri. Ci apra Maria il cuore alla conversione e all’ascolto docile della Parola di Dio.


[00323-01.01] [Testo originale: Italiano]

www.vatican.va

Fraternamente CaterinaLD

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23/02/2009 17:46
 
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CHI ASCOLTA NELLE PARROCCHIE GLI ANGELUS DEL PONTEFICE?
  Occhi al cielo
Chi si premunisce di trasmettere nelle Parrocchie queste Lectio del Papa?

Leggiamo questa ricostruzione una delle poche, pochissime, forse l'unica, che ho magistralmente apprezzato.... Occhiolino

BENEDETTO XVI - Il passaggio necessario

Per entrare nella comunità cristiana


Fabio Zavattaro

L’episodio del paralitico perdonato e guarito, che Benedetto XVI commenta nelle parole che precedono l’Angelus di questa settima domenica del tempo ordinario, ci offre una lettura particolare dell’evento che il Papa stesso evidenzia e che si lega con il pensiero che occupa la seconda parte del discorso domenicale: il tema del primato di Pietro.

Cosa ci dice allora questo brano che ha al centro Gesù, la sua missione? Che c’è un luogo in cui Gesù è presente, probabilmente la casa di Pietro a Cafarnao; c’è una moltitudine di persone che si raduna davanti la porta; e c’è la Parola, Gesù che predica. Una comunità, dunque, nella quale ci si ritrova per ascoltare, per pregare e tante sono le persone che desiderano varcare quella soglia. Entrare per incontrare Gesù, per accogliere i suoi insegnamenti, la parola potente, autorevole, capace di cambiare l’uomo, di risanarlo non solo nel corpo malato ma anche nello spirito, rimettendogli i peccati. Dice il Papa: “La guarigione fisica è segno del risanamento spirituale che produce il suo perdono”.

Ricordate? Domenica 15 febbraio, aveva parlato della lebbra considerata non solo malattia ma anche la forma più grave di impurità, e l’aveva paragonata al peccato.

In questa domenica sottolinea che “il peccato è una sorta di paralisi dello spirito da cui soltanto la potenza dell’amore misericordioso di Dio può liberarci, permettendoci di rialzarci e di riprendere il cammino sulla via del bene”.

Quella porta è il passaggio necessario per entrare nella comunità e ascoltare la parola. Si è chiamati – la fede è incontro con Cristo – come Gesù chiama il paralitico; ma questi, non potendo passare dalla porta è fatto calare dal tetto della casa, e, dunque, si è chiamati ma c’è anche una comunità che è solidale e sostiene, aiuta l’uomo immobilizzato, incapace di muoversi e di reagire, di tornare alla vita. È la fede della comunità che si fa carico delle sofferenze dell’altro e lo accompagna verso la Parola che salva. Solo l’amore di Dio libera. Ed è bella l’immagine legata alle parole rivolte al paralitico: “Ti sono perdonati i peccati” e “alzati, prendi la barella e va’ a casa tua. E il paralitico se ne andò guarito”.

Quel perdono dei peccati è talmente radicale che l’uomo può prendere la sua barella e compiere il viaggio verso casa con le proprie gambe. Parole che anticipano di qualche giorno l’inizio della Quaresima, il tempo liturgico che precede la Pasqua, tempo di perdono e di penitenza, di riscoperta della propria realtà di peccatori.

Papa Benedetto, come dicevamo, aggiunge un altro tema alla riflessione, e cioè la ricorrenza liturgica della Cattedra di Pietro, il mistero del successore del principe degli apostoli. Proprio la Cattedra “simboleggia l’autorità del vescovo di Roma, chiamato a svolgere un peculiare servizio nei confronti dell’intero popolo di Dio”.

Singolare e specifico ministero, quello del vescovo di Roma, ribadito anche dal Concilio nella Costituzione dogmatica Lumen gentium: “Nella comunione ecclesiastica vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il Primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità, tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva”.

Nelle parole di Benedetto XVI c’è forse un implicito riferimento alle voci dissonanti che in questi ultimi tempi si sono levate all’interno di una parte della Chiesa.

Forse c’è anche chi, come ricordava venerdì 20 febbraio ai seminaristi romani “invece di inserirsi nella comunione con Cristo, nel Corpo di Cristo che è la Chiesa”, vuole essere “superiore all’altro e con arroganza intellettuale vuol far credere che lui sarebbe migliore. E così nascono le polemiche che sono distruttive, nasce una caricatura della Chiesa, che dovrebbe essere un’anima sola e un cuore solo”.

Turbamenti e tempeste non devono scuotere la Chiesa, afferma ancora il Papa parlando in lingua tedesca.

Il Papa chiede che turbamenti e tempeste non facciano venir meno la saldezza nella fede genuina, la fedeltà all’unità. “Nella discontinuità degli eventi esteriori, c’è una grande continuità dell’unità della Chiesa in tutti i tempi” aveva detto sempre ai seminaristi romani. Ed è proprio l’unità della Chiesa il punto sul quale il Papa insiste, ed è per questo che, sempre all’Angelus, chiede ai fedeli di accompagnarlo con la preghiera “perché possa adempiere fedelmente l’alto compito che la Provvidenza divina mi ha affidato quale successore dell’apostolo Pietro”.

Da cardinale Joseph Ratzinger scriveva che “il potere conferito da Cristo a Pietro e poi ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire... Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge.
Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte a ogni opportunismo”.

Agenzia Sir
Pubblicato dal Blog Raffaella
Fraternamente CaterinaLD

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31/08/2009 11:17
 
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Sulle note del Maestro mons. Bartolucci in "Tu es Petrus", lasciamoci avvolgere dalla maternità della Chiesa che si esprime attraverso Petrus, i Pontefici con il loro ricco Magistero.

Impariamo ad AMARE LA CHIESA, innamoriamoci di questa Madre, abbracciamo il Magistero Pontificio senza interpretazioni arbitrarie, superbe, contorte... le parole dei Pontefici sono così talmente chiare e limpide che o si amano e le si mettono in pratica oppure le si odiano....a grave danno dell'unità della Chiesa e degli Uomini...





[SM=g1740733]


Sulle note di Bach immagini e parole di una Chiesa meravigliosamente Madre e saggiamente Maestra....
Un invito a tutti i Sacerdoti per riscoprire ed amare la propria identità Cattolica; un invito ai Laici per esercitare ed amare la virtù dell'Obbedienza verso questa Madre....
Buon Anno Sacerdotale a tutti





[SM=g1740717] [SM=g1740720]

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Sorriso Ricordiamo oggi di Pregare per Pietro aggiungendo al Thread la Catechesi del Mercoledì di Benedetto XVI


 


 
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 22 febbraio 2006


Meditazione sul tema: “La Cattedra di Pietro, dono di Cristo alla sua Chiesa”

Cari fratelli e sorelle!

La Liturgia latina celebra oggi la festa della Cattedra di San Pietro. Si tratta di una tradizione molto antica, attestata a Roma fin dal secolo IV, con la quale si rende grazie a Dio per la missione affidata all'apostolo Pietro e ai suoi successori. La “cattedra”, letteralmente, è il seggio fisso del Vescovo, posto nella chiesa madre di una Diocesi, che per questo viene detta “cattedrale”, ed è il simbolo dell'autorità del Vescovo e, in particolare, del suo “magistero”, cioè dell'insegnamento evangelico che egli, in quanto successore degli Apostoli, è chiamato a custodire e trasmettere alla Comunità cristiana. Quando il Vescovo prende possesso della Chiesa particolare che gli è stata affidata, egli, portando la mitra e il bastone pastorale, si siede sulla cattedra. Da quella sede guiderà, quale maestro e pastore, il cammino dei fedeli, nella fede, nella speranza e nella carità.

Quale fu, dunque, la “cattedra” di san Pietro? Egli, scelto da Cristo come “roccia” su cui edificare la Chiesa (cfr Mt 16, 18), iniziò il suo ministero a Gerusalemme, dopo l'Ascensione del Signore e la Pentecoste. La prima “sede” della Chiesa fu il Cenacolo, ed è probabile che in quella sala, dove anche Maria, la Madre di Gesù, pregò insieme ai discepoli, un posto speciale fosse riservato a Simon Pietro. Successivamente, la sede di Pietro divenne Antiochia, città situata sul fiume Oronte, in Siria, oggi in Turchia, a quei tempi terza metropoli dell'impero romano dopo Roma e Alessandria d'Egitto. Di quella città, evangelizzata da Barnaba e Paolo, dove “per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani” (At 11, 26), dove quindi è nato il nome cristiani per noi, Pietro fu il primo vescovo, tanto che il Martirologio Romano, prima della riforma del calendario, prevedeva anche una specifica celebrazione della Cattedra di Pietro ad Antiochia. Da lì, la Provvidenza condusse Pietro a Roma.

Quindi abbiamo il cammino da Gerusalemme, Chiesa nascente, ad Antiochia, primo centro della Chiesa raccolta dai pagani e ancora unita con la Chiesa proveniente dagli Ebrei. Poi Pietro si recò a Roma, centro dell'Impero, simbolo dell'“Orbis” - l'“Urbs” che esprime l'“Orbis” la terra - dove concluse con il martirio la sua corsa al servizio del Vangelo. Per questo la sede di Roma, che aveva ricevuto il maggior onore, raccolse anche l'onere affidato da Cristo a Pietro di essere al servizio di tutte le Chiese particolari per l'edificazione e l'unità dell'intero Popolo di Dio.

La sede di Roma, dopo queste migrazioni di San Pietro, venne così riconosciuta come quella del successore di Pietro, e la “cattedra” del suo Vescovo rappresentò quella dell'Apostolo incaricato da Cristo di pascere tutto il suo gregge. Lo attestano i più antichi Padri della Chiesa, come ad esempio sant'Ireneo, Vescovo di Lione, ma che veniva dall'Asia Minore, il quale, nel suo trattato Contro le eresie, descrive la Chiesa di Roma come “più grande e più antica, conosciuta da tutti; ... fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo”; e aggiunge: “Con questa Chiesa, per la sua esimia superiorità, deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque” (III, 3, 2-3). Tertulliano, poco più tardi, da parte sua, afferma: “Questa Chiesa di Roma, quanto è beata! Furono gli Apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta” (La prescrizione degli eretici, 36). La cattedra del Vescovo di Roma rappresenta, pertanto, non solo il suo servizio alla comunità romana, ma la sua missione di guida dell'intero Popolo di Dio.

Celebrare la “Cattedra” di Pietro, come facciamo oggi, significa, perciò, attribuire ad essa un forte significato spirituale e riconoscervi un segno privilegiato dell'amore di Dio, Pastore buono ed eterno, che vuole radunare l'intera sua Chiesa e guidarla sulla via della salvezza. Tra le tante testimonianze dei Padri, mi piace riportare quella di san Girolamo, tratta da una sua lettera scritta al Vescovo di Roma, particolarmente interessante perché fa esplicito riferimento proprio alla “cattedra” di Pietro, presentandola come sicuro approdo di verità e di pace. Così scrive Girolamo: “Ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa” (Le lettere I, 15, 1-2).

Cari fratelli e sorelle, nell'abside della Basilica di san Pietro, come sapete, si trova il monumento alla Cattedra dell'Apostolo, opera matura del Bernini, realizzata in forma di grande trono bronzeo, sorretto dalle statue di quattro Dottori della Chiesa, due d'occidente, sant'Agostino e sant'Ambrogio, e due d'oriente, san Giovanni Crisostomo e sant'Atanasio. Vi invito a sostare di fronte a tale opera suggestiva, che oggi è possibile ammirare decorata da tante candele, e pregare in modo particolare per il ministero che Iddio mi ha affidato. Alzando lo sguardo alla vetrata di alabastro che si apre proprio sopra la Cattedra, invocate lo Spirito Santo, affinché sostenga sempre con la sua luce e la sua forza il mio quotidiano servizio a tutta la Chiesa. Di questo, come della vostra devota attenzione, vi ringrazio di cuore.
 
[…]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/02/2011 18:36
 
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Dall'Angelus di oggi 20.2.2011, così ci rammenta il Pontefice:



Cari amici, dopodomani, 22 febbraio, celebreremo la festa della Cattedra di San Pietro. A lui, primo degli Apostoli, Cristo ha affidato il compito di Maestro e di Pastore per la guida spirituale del Popolo di Dio, affinché esso possa innalzarsi fino al Cielo.

Esorto, pertanto, tutti i Pastori ad «assimilare quel "nuovo stile di vita" che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli» (
Lettera Indizione Anno Sacerdotale). Invochiamo la Vergine Maria, Madre di Dio e della Chiesa, affinché ci insegni ad amarci gli uni gli altri e ad accoglierci come fratelli, figli dello stesso Padre celeste.


******************************


Il primato di Pietro riletto attraverso la "Crocifissione" dipinta nel 1605 da Guido Reni

Con la grazia di Raffaello
e la potenza di Caravaggio



di MARCO AGOSTINI

Nel Rinascimento e nell'età barocca, come già in età romanica, le immagini della vita e del martirio del Principe degli Apostoli sono frequenti. Soprattutto nella basilica-reliquiario che ne custodisce la tomba, mosaici, dipinti, bronzi, marmi e stucchi narrano l'intero ciclo del pescatore di Galilea divenuto pescatore di uomini, della sua predicazione, come ci è narrato dai Vangeli, dagli Atti degli Apostoli, dagli storici, dai Padri della Chiesa e dalla tradizione: si racconta anche della figlia Petronilla, dei soldati Processo e Martiniano. Sono soprattutto alcuni episodi a essere replicati: san Pietro nella navicella, la consegna delle chiavi, la liberazione dal carcere, il martirio.

Sul primo degli altari del braccio sud del corpo michelangiolesco della Basilica Vaticana vi è la copia musiva settecentesca della Crocifissione di san Pietro di Guido Reni (1575-1642). L'originale olio su tavola, realizzato tra il 1604 e il 1605 su commissione del cardinale Pietro Aldobrandini per la basilica di San Paolo alle Tre Fontane, dopo l'esilio francese, si trova ora nella Pinacoteca Vaticana.
Se della vita e della predicazione dell'Apostolo le narrazioni canoniche offrono elementi importanti, della sua morte non dicono nulla. Su questa le fonti storiche e gli interpreti non concordano. Essa sarebbe da collocarsi tra il 64 e il 67, un po' dopo l'incendio di Roma per opera di Nerone, come narra Tacito (Annales, XV, 44); secondo san Girolamo sarebbe avvenuta nell'anno 67, due anni dopo quella di Seneca (De viris illustribus, I).

Il primo autore cristiano a parlare di crocifissione per san Pietro è Tertulliano (De praescriptione haereticorum, 36, 2) e san Girolamo specifica che avvenne con il capo all'ingiù, reputandosi l'apostolo indegno di essere martirizzato come il suo Signore. Era questa una modalità di esecuzione abbastanza comune se Seneca dice di averla osservata in altri casi (Consolatio ad Marciam, 20), ma Origene specifica che fu Pietro a chiederla al carnefice (Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, III, 1, 2).

Circa il luogo del martirio le notizie dallo pseudo Lino nel Martyrium Petri sono precise: ad locum qui vocatur Naumachiae, iuxta obeliscum Neronis, in montem in Vaticano. La sepoltura avvenne non molto lontana dal luogo dell'esecuzione, nel sepolcreto sul colle Vaticano, lo confermano il passo del prete Gaio riportato da Eusebio e gli scavi archeologici condotti negli anni Cinquanta del Novecento: "Se tu vai al Vaticano o sulla via di Ostia, io ti posso mostrare i trofei dei fondatori di questa chiesa" (Historia ecclesiastica, II, 25). Petrus sepultus est via Aurelia, in templum Appollinis, iuxta locum ubi crucifixus est, iuxta palatium Neronianum, in Vaticanum (Liber Pontificalis, I, 118). È lì che l'apostolo, come scrive san Girolamo, ora è venerato da tutto il mondo.

La Crocifissione di san Pietro è la prima affermazione pittorica romana di Guido Reni, "uno degli artisti più "difficili" della nostra storia artistica" (Andrea Emiliani). Bolognese come Domenichino, e suo compagno di apprendistato nella bottega del fiammingo Denijs Calvaert, Guido fece della bellezza e della grazia di Raffaello il fondamento della propria poetica; studiò Correggio, Dürer incisore e la cultura emiliana e veneta. Poi aderì alla scuola dei Carracci, ma nel clima di ritorno al "naturale" mostrò la sua indipendenza e la sua propensione al classicismo idealizzante.

E prima che, nel 1599, la scuola divenisse l'Accademia degli Incamminati, il nostro pittore si era già messo in autonomia. Nel 1602 scese a Roma, dove la sua robusta personalità ebbe modo di misurarsi da vicino con la scultura antica e le forme più ellenizzanti dell'ultimo Raffello, e subì il forte impatto della straordinaria concezione della pittura di Caravaggio.

L'influsso caravaggesco è manifesto nella Crocifissione di san Pietro: il soggetto proviene direttamente dall'analogo dipinto per la chiesa romana di Santa Maria del Popolo. Reni è impressionato dal suo modo di raccontare gli episodi drammatici della religione. Anch'egli limita gli attori del dramma all'apostolo e ai carnefici, facendone quasi un gruppo scultoreo il cui virtuosistico schema piramidale evoca esplicitamente la scultura antica. Li veste con abiti contemporanei, evidenzia la plastica dei corpi, fissa la gestualità in movimenti lenti, composti e simmetrici. Mostra innegabile interesse per la balenante essenzialità del lume caravaggesco; è affascinato dai contrasti della luce, una luce indefinibile che, diversamente da Caravaggio, illumina anche il paesaggio.
Ma il clamore caravaggesco è mitigato dal "decoro" bolognese come conviene a un pittore nato nella capitale settentrionale dello Stato Pontificio. Il registro edificatorio e patetico è calibrato dalla ricerca idealizzante e da un magistero tecnico di alta qualità.

Tutto è intenzionalmente perfetto, acutamente deliberato e pervaso da una grande poesia drammatica. Pietro è solo al patibolo: i carnefici non sono una grande compagnia. La solitudine aumenta il silenzio che per un istante sembra non essere infranto neppure dal martello e dai chiodi. Solo una corda legata ai piedi sostiene il condannato al palo.

Aspirazione, necessità, frattura, isolamento forzato, memoria: l'eredità della Riforma cattolica ha qui un capolavoro severo, quasi puritano, dominato dalla forza del classicismo cristiano, della sacralità e religiosità del sublime formale. La rappresentazione del naturale è depurata da ogni crudezza; dal martirio è assente il patimento.

I carnefici paiono attendere a un innocuo lavoro di artigiani: l'uno issa il condannato alla croce, l'altro accompagna il suo rovesciamento, quello in cima s'apparecchia a conficcare il chiodo. Ma è, per il momento, un esercizio senza dolore e spargimento di sangue. Il supplizio di Pietro appare come il semplice realizzarsi della profezia di Gesù: "Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Giovanni, 21, 18), la celebrazione interiore e calma del suo mistero.

L'apostolo aiutato dal carnefice si "adegua" alla croce o s'inarca in uno sforzo senza fatica. Da uomo semplice e schietto, diremmo sanguigno, agisce d'impeto: anche qui sembra voler dare istruzione, come un tempo obiettò che non conveniva che il Maestro gli lavasse i piedi (cfr. Giovanni, 13, 6-9). Il "dopo" annunciato da Gesù è giunto. Il significato di quella purificazione contrastata ora gli è divenuto chiaro: il suo sacrificio ha da unirsi a quello di Cristo che ha acquisito per tutti e definitivamente la vera purificazione. Di lì a poco "non solo i piedi, ma anche le mani e il capo" saranno lavati, non dall'acqua, ma dal sangue: il suo come quello del Maestro!

Se nel dipinto l'aspetto sanguinoso manca, non è assente il dilemma della coscienza, la meditazione morale: più d'una volta Pietro era stato rimproverato da Gesù ed egli pur non comprendendo aveva sempre ubbidito e accettato consapevole di trovarsi innanzi alla Verità. Ora la Verità gli chiede l'abbraccio della passione, gli dona la beatitudine del martirio: è qui che Pietro impara pienamente ciò che "né la carne né il sangue gli hanno rivelato" (Matteo, 16, 17). L'apostolo resta fedele fino in fondo: "Simone, Simone ho pregato per te, che non venga meno la tua fede" (Luca, 22, 32). La Chiesa fondata su Cristo "pietra angolare" poggia su Pietro come roccia, sulla sua testimonianza. La roccia sarà solida, ben ferma e fondata in profondità per poter reggere un edificio stabile in grado di sfidare le bufere della storia (cfr. Agostino d'Ippona, Discorso 20/A, 7).

Il dipinto di Guido Reni mostra Pietro che con la sua croce, con il suo essere capovolto, spinge in profondità la fondazione fin là dove "le porte degli inferi non prevarranno" (Matteo, 16,18). "Il mistero della croce non è forse da nessuna parte così tangibilmente presente come nella storia del primato" (Joseph Ratzinger, La Chiesa, Città del Vaticano, 2006, p. 63). La compenetrazione di idealità classica e moralità cristiana offre a Reni i mezzi per esprimere adeguatamente l'avvenimento e il suo mistero.

L'età in cui Reni operò fu di passioni e sentimenti spesso contrastanti. Quei sentimenti e passioni si raccolgono ancora innanzi al suo dipinto in una convergenza quasi corale, in un commento nobile e misurato, che sembra non conoscere il trascorrere dei secoli. Constatando che in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi Benedetto XVI nel 2009 - nella Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della Scomunica dei quattro Vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre del 10 marzo) - scrive: "La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: Tu... conferma i tuoi fratelli (Luca, 22, 32)".



(©L'Osservatore Romano - 21-22 febbraio 2011)

[Modificato da Caterina63 21/02/2011 18:13]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Grazie al puntuale lavoro della nostra Gemma leggiamo questo attualissimo testo dell'allora card. Ratzinger sull'altare della Cattedra di San Pietro a Roma.
E' un brano illuminante ancora piu' prezioso perche' siamo alla vigilia della Festa della Cattedra di San Pietro.

IMMAGINI DI SPERANZA

Le feste cristiane in compagnia del Papa, Ed. San Paolo

IV. CATHEDRA PETRI

Primato nell’amore.

L’altare della Cattedra di San Pietro a Roma

Chi, dopo aver percorso tutta la grandiosa navata centrale della basilica di San Pietro giunge finalmente all’altare che chiude l’abside, potrebbe aspettarsi una raffigurazione trionfale di San Pietro, sulla cui tomba è stata costruita questa chiesa.
E invece nulla di ciò: la figura dell’Apostolo non appare tra le opere scultoree di questo altare. Al suo posto ci troviamo davanti a un trono vuoto, che sembra quasi librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro figure dei grandi Padri della Chiesa d’Occidente e d’Oriente. La luce tenue, che giunge sul trono, proviene dalla finestra sovrastante, che è circondata da angeli sospesi nell’aria, che, a loro volta, conducono il flusso della luce verso il basso.
Che significato può avere questo complesso scultoreo?
Che cosa ci dice? Mi pare che esso racchiuda una profonda intepretazione dell’essenza della Chiesa e, con essa, un’interpretazione del magistero petrino.

Cominciamo dalla finestra, che con i suoi tenui colori raccoglie ciò che sta all’interno e lo apre verso l’esterno e verso l’alto. Essa collega la Chiesa con la creazione nella sua totalità: mediante la rappresentazione della colomba dello Spirito Santo interpreta Dio come la vera fonte di ogni luce. Ma ci dice anche un'altra cosa: la Chiesa stessa è, nella sua essenza, una finestra, lo spazio in cui il mistero trascendente di Dio si fa incontro al nostro mondo; essa rappresenta il farsi trasparente del mondo allo splendore della sua luce. La Chiesa non esiste per se stessa, non è una fine, ma un inizio che rinvia oltre sé e al di sopra di noi. Essa corrisponde alla propria essenza nella misura in cui diventa trasparente per l’altro da cui proviene e a cui conduce. Attraverso la finestra della sua fede, Dio entra in questo mondo e desta in noi il desiderio di ciò che è più grande.
La Chiesa è arrivo e partenza: di Dio verso di noi, di noi verso Dio. Il suo compito è spalancare oltre se stesso un mondo che si chiude in se stesso, donargli quella luce senza la quale esso sarebbe inabitabile.

Vediamo ora il livello successivo di questo altare: la cattedra vuota di bronzo dorato, che racchiude un seggio ligneo del secolo IX, a lungo ritenuto la cattedra dell’apostolo Pietro e che, per tale ragione, fu collocato in questo luogo. Si chiarisce già così il significato di questa parte dell’altare.
Il seggio di san Pietro dice quel che più di un’immagine potrebbe dire. Esprime la presenza permanente dell’Apostolo, che è presente, come magistero docente, nei suoi successori.
Il seggio dell’Apostolo è un simbolo di sovranità, è il trono della verità, che nell’ora di Cesarea divenne il mandato suo e dei suoi successori. Il seggio magisteriale rinnova in noi la memoria delle parole pronunciate dal Signore nel cenacolo: "Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32).

Ma il seggio dell’Apostolo si lega anche a un altro ricordo: le parole di Ignazio di Antiochia, che nella sua lettera ai Romani, scritta intorno all’anno 110, chiamava la Chiesa di Roma "quella che presiede nella carità".
Per presiedere nella fede bisogna presiedere nell’amore : le due cose non sono affatto separabili. Una fede senza amore non sarebbe la fede di Gesù Cristo. Ma l’immagine di Sant’Ignazio era ancora più concreta: la parola “carità” nel linguaggio della Chiesa delle origini indicava anche l’eucaristia. L’eucaristia nasce infatti dall’amore di Cristo, che ha dato la sua vita per noi.
In essa egli continua a comunicarsi a noi, mette se stesso nelle nostre mani. Mediante essa continua ad adempiere alla sua promessa di attirarci tutti a sé, nelle sue braccia aperte sulla croce (cfr. Gv 12,32). Nell’abbraccio di Cristo veniamo condotti gli uni verso gli altri. Veniamo accolti nell’unico Cristo e, in tal modo, ora ci apparteniamo vicendevolmente: io non posso più considerare come un estraneo colui che, come me, sta nell’unico abbraccio di Cristo.
Ora questi non sono remoti pensieri mistici.

L’eucaristia è la forma fondamentale della Chiesa: essa si attua nell’assemblea eucaristica. E poiché tutte le assemblee in tutti i luoghi e in tutti i tempi appartengono sempre e soltanto all’unico Cristo, esse, nella loro totalità, formano un’unica Chiesa. Si può dire che, in qualche modo, esse stendano sul mondo una rete di fraternità e che leghino tra loro i vicini e i lontani, così che mediante Cristo essi sono tutti vicini. Ora, però, nel nostro modo di pensare abituale c’è spesso l’idea che l’amore e l’ordine siano in contrapposizione: dove c’è amore, non c’è più bisogno di ordine, dal momento che ormai tutto è chiaro. Ma si tratta di un equivoco, tanto riguardo all’ordine che riguardo all’amore. Il giusto ordine umano è ben altra cosa dalla gabbia in cui si chiudono le bestie feroci per tenerle a bada. L’ordine autentico è attenzione all’altro e a se stesso, tanto più oggetto d’amore, quanto più è compreso nel suo vero significato.

Per questo l’ordine appartiene all’eucaristia e il suo ordine è il nucleo autentico dell’ordine della Chiesa. Il seggio vuoto, che rinvia al primato nell’amore, ci parla quindi dell’accordo tra amore e ordine. Nella sua dimensione più profonda ci rinvia a Cristo, come a colui che in maniera più propria e autentica presiede nell’amore.


Ci rinvia al fatto che la Chiesa ha il suo centro nella messa. Ci dice che la Chiesa può rimanere una cosa sola a partire dalla comunione con il Cristo crocifisso. Non c’è abilità organizzativa che possa garantire la sua unità. Essa può essere e rimanere Chiesa universale solo se la sua unità è più che organizzazione, se vive di Cristo. Solo la fede eucaristica, solo il radunarsi intorno al Signore presente può renderle duratura. E da qui acquista senso il suo ordine.
La Chiesa non è governata da decisioni prese a maggioranza, ma dalla fede, che matura nell’incontro con Cristo nella celebrazione eucaristica. Il ministero petrino è primato nell’amore, ovvero preoccupazione perché la Chiesa riceva la sua dimensione dall’eucaristia.
Essa sarà tanto più unita, quanto più vivrà del criterio eucaristico e nell’eucaristia si manterrà fedele al criterio della tradizione della fede
.

Tanto più allora, dall’unità crescerà anche l’amore che si rivolge al mondo: l’eucaristia si fonda infatti sull’atto d’ amore di Gesù Cristo fino alla morte. D’altra parte, è chiaro che questo significa anche che non può amare chi vede il dolore come qualcosa da eliminare o, in ogni caso, da lasciare agli altri. “Primato nell’amore”: all’inizio abbiamo parlato del trono vuoto, ma è ormai chiaro che il “trono” dell’eucaristia non è il trono del potere,ma la dura e scomoda sedia di chi è servitore.

Guardiamo ora al terzo livello di questo altare: ai Padri, che sostengono il trono del servizio. I due maestri dell’Oriente, Giovanni Crisostomo e Atanasio, insieme con i latini, Ambrogio e Agostino, incarnano la totalità della tradizione e, quindi, la pienezza della fede dell’unica Chiesa.
Due riflessioni sono qui importanti. L’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola dove l’uomo è privo di orientamenti; si sgretola dove l’uomo non è più in grado di sentire Dio. Come l’amore e con l’amore, anche l’ordine e il diritto poggiano sulla fede, anche l’autorità nella Chiesa poggia sulla fede. La Chiesa non può pensare da se stessa come vuole ordinarsi; può solo tentare di comprendere sempre meglio la voce interiore della fede e di vivere secondo essa. Non ha bisogno del principio di maggioranza, che ha sempre in sé qualcosa di rigido: in nome della pace la parte perdente deve piegarsi alla decisione della maggioranza, anche qualora questa decisione fosse stolta o addirittura dannosa. Negli ordinamenti sociali le cose forse non possono andare diversamente.

Ma nella Chiesa il legame con la fede ci tutela tutti: ognuno è legato a essa e, proprio per questo, l’ordine sacramentale garantisce più libertà di quella che potrebbero garantire coloro che vogliono sottomettere anche la Chiesa al principio di maggioranza.
A ciò si aggiunge la seconda riflessione. I Padri della Chiesa appaiono come i garanti della fedeltà alla Sacra Scrittura. Le ipotesi dell’esegesi umana vacillano. Non possono sostenere il trono. La forza vitale della parola sciritturistica è spiegata e fatta propria nella fede che i Padri e i grandi concili hanno tratto da essa. Chi vi si attiene, ha scoperto quello che dà un fondamento stabile nel mutare dei tempi.

Alla fine, però, al di là delle singole parti, non possiamo dimenticarci dell’insieme. Infatti i tre livelli dell’altare ci trasportano in un movimento che è contemporaneamente di ascesa e di discesa. La fede porta all’amore. Proprio da questo si vede se è veramente fede. Una fede tenebrosa, brontolona, egoistica è una fede falsa. Chi scopre Cristo, chi scopre la rete universale dell’amore che egli ha gettato nell’eucaristia, deve essere lieto e deve a sua volta diventare una persona che sa donare. La fede porta all’amore, e solo mediante l’amore raggiungiamo l’altezza della finestra, lo sguardo sul Dio vivente, il contatto con la luce fluttuante dello Spirito Santo.

Così le due direzioni si compenetrano: da Dio viene la luce, si destano e scendono verso il basso la fede e l’amore, per poi accoglierci sulla scala che dalla fede porta nuovamente all’amore e alla luce dell’Eterno.
La dinamica interna in cui l’altare ci inserisce lascia intendere ancora un ultimo elemento: la finestra dello Spirito Santo non è isolata in se stessa. E’ circondata dalla traboccante pienezza degli angeli, da un coro di gioia. Il messaggio che questa immagine vuole comunicarci è che Dio non è mai solo. Ciò sarebbe in contraddizione con la sua essenza. L’amore è partecipazione, comunione, gioia. Questa percezione fa emergere anche un’altra considerazione: la luce si accompagna con la musica. Pare davvero di sentirli cantare questi angeli, dal momento che non riusciamo a immaginare in silenzio questi flussi di gioia , e neppure come parole o come grida, ma solo come celebrazione di lode, in cui armonia e molteplicità divengono un’unica cosa. "Tu abiti nelle lodi di Israele", si dice nel salmo (22.4).

La celebrazione di lode è per così dire la nube della gioia attraverso cui Dio giunge e che lo accompagna in questo mondo. Per questo nella celebrazione eucaristica la luce eterna entra nel nostro mondo e vi lascia echeggiare il suono della gioia di Dio. In essa procediamo a tastoni verso il consolante splendore di questa luce , uscendo dal profondo delle nostre domande e della nostra confusione e salendo sulla scala che porta dalla fede all’amore e apre così lo sguardo della speranza.

Da Joseph Ratzinger, "Immagini di speranza. Le feste cristiane in compagnia del Papa", San Paolo 1999
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Come san Pietro salì in Cattedra

di Ruggero Sangalli
19-02-2011




La vicenda di Simone figlio di Jonas, diventato Pietro e designato da Gesù guida della Chiesa, merita una panoramica storica nell’occasione fornita dalla memoria liturgica della Cattedra di San Pietro, il 22 febbraio. 

Il pescatore del lago di Tiberiade, domiciliato a Cafarnao, sulla costa settentrionale di tale specchio d’acqua, era sposato: il vangelo di Marco (Mc 1,30-31) cita un episodio che ne coinvolge la suocera. L’episodio data posteriormente all’arresto di Giovanni il Battista: siamo già nella seconda metà del 31 d.C., come desumibile da una serie di circostanze cronologiche comuni a tutti e quattro i vangeli.

Tra i primi a seguire Gesù, Simone, poi detto in aramaico Kefa (pietra, da cui Petros in greco), si distinse per intraprendenza, generosità e saltuaria avventatezza.
La lettura dei Vangeli e degli Atti permette di seguire anche cronologicamente le tappe principali della sua vicenda.

L’autorevolezza di Papa Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret (cap. 9, par. 1 e 2) avvalora la sottolineatura che la data della Trasfigurazione (un episodio certamente indelebile nella memoria di chi lo visse) vada strettamente correlata con la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo, con lo yom kippur e con la festa delle Capanne. Siamo dunque all’inizio dell’autunno e l’anno è il 32 d.C., a ridosso degli eventi decisivi della nostra redenzione.

La Pasqua ebraica del 33 vede Pietro segnato dalla drammatica situazione del rinnegamento di Gesù, che culmina nella terribile morte di croce del Salvatore; ma è anche il momento dell’esperienza della sconvolgente gioia della resurrezione, che Pietro dapprima indaga (Gv 20,6) e poi vive (Lc 24,34), sfociando in un mandato entusiasmante e pesantissimo, se non fosse che è “alleggerito” dalla presenza di Dio, allora come oggi: disporre delle chiavi del regno dei cieli (Mt 16,19), dover confermare la fede (Lc 22,32), aver la responsabilità di condurre il gregge (Gv 21,15-17).

Dagli Atti, dopo la Pentecoste del 33, rileviamo l’attività coraggiosa di Pietro coerente con un mandato tanto esigente. Non mancano minacce, interrogatori ed arresti. C’è il martirio di Stefano, prima della conversione di Paolo, quindi ancora nel 33.  Una prima tappa decisiva è segnata dalla vicenda che vede Pietro resuscitare una morta (At 9,36-41) e battezzare Cornelio (At 10), aprendo l’evangelizzazione ai Gentili. Siamo nel bel mezzo degli anni Trenta del primo secolo della storia cristiana.

Durante il periodo di Erode Agrippa (41-44) la persecuzione causa il martirio di Giacomo il maggiore e Pietro è protagonista una liberazione clamorosa (At 12,7) e la fuga precipitosa, probabilmente a Roma (At 12,17): la presenza di Pietro a Roma, con Marco, è alla base della tradizione che riconosce al vangelo secondo Marco una genesi romana: il testo redatto in greco (e con un substrato culturale semitico, rilevabile anche da retroversioni in aramaico del testo greco), costituisce in realtà il vangelo del memorie di Pietro, di cui Marco fu prezioso collaboratore. Si era sotto il regno di Claudio (41-54 d.C.) e a Roma Pietro si adoperò alla sconfessione di un tale Simon Mago (lo troviamo anche in Atti 8,9-24) e citato espressamente sia da Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica, II, 14) sia da Girolamo (Gli uomini illustri, I).

Girolamo scrive che Pietro resse la cattedra episcopale di Roma fino all’ultimo anno di Nerone (il 67-68), e che lo fece per 25 anni, quindi facendo risalire l’inizio al 42, coerentemente con la ricostruzione della persecuzione di Erode Agrippa, il martirio di Giacomo il Maggiore, l’arresto, la liberazione e la fuga di Pietro. Non necessariamente per questi 25 anni Pietro ha avuto residenza stabile a Roma. E anzi, proprio il suo viaggiare avrà suggerito che rimanesse qualcosa di scritto, da lui garantito: la cultura romana non era “orale” come quella orientale. Infatti Clemente Alessandrino (150-215) è citato da Eusebio in un ricordo attestante che quando Pietro predicò il vangelo a Roma, la gente chiese a Marco di mettere per iscritto le sue parole (Eusebio, Storia Ecclesiastica, VI, 14).

Ritroviamo Pietro a Gerusalemme per il Concilio del 49 d.C., ancora coraggioso decisore, capace di assecondare le tesi di Paolo, di confermare Giacomo e di correggere se stesso (At 5,7-11) dopo qualche screzio con Paolo a proposito dei Gentili. Questo accadde ad Antiochia, città nella quale la tradizione ecclesiale ricorda una lunga presenza di Pietro.

L’uomo stabilito da Gesù quale roccia su cui fondare la Chiesa ci ha lasciato due lettere apostoliche dalle quali si desume che all’epoca c’erano in circolazione le lettere  di Paolo, e che esse erano reputate degnissime di ascolto. Non manca un cenno all’indimenticabile episodio della Trasfigurazione, (2 Pt 1,16-18), che vide in Pietro uno dei tre testimoni oculari (e uditivi…). Il tema centrale di tutte le lettere apostoliche, databili tra il 60 e la distruzione di Gerusalemme (mai menzionata, nemmeno con vaghe allusioni) del 70, è la presenza crescente di “falsi maestri”. Nella seconda lettera di Pietro e in quella di Paolo a Timoteo c’è il sentore di un prossimo appuntamento con la morte.

Siamo probabilmente sul finire del 66. La data è desumibile da una serie di circostanze e da un accenno nella lettera di Giuda, coeva, ma leggermente posteriore alla seconda di Pietro. Attorno a quei mesi convergono infatti una serie di rivoli della storia che poi ingrossano fino a farne tracimare il fiume in immani tragedie. Giacomo il minore è morto martire, attorno al 61-62. La tradizione orientale pone in quegli anni anche il martirio di Andrea, fratello di Pietro. L’incendio di Roma nel luglio del 64 dà la stura alle persecuzioni anticristiane di Nerone.

La prima lettera di Pietro fotografa bene il clima della seconda parte del 64. Vi troviamo un’allusione a Babilonia (1 Pt 5,13) e può trattarsi solo di due città: Roma o Gerusalemme. Il dibattito è aperto, anche a proposito di “Babilonia la grande” di cui parla (ancora profeticamente) Apocalisse 18,2. Molti commentatori propendono per un’identificazione di questa città con Gerusalemme; in questo caso Pietro nel 64 era andato a Gerusalemme e di là scrisse la sua prima lettera.  

Nel 66, stante la ricostruzione possibile tramite Giuseppe Flavio, accade un fatto inquietante proprio a Gerusalemme, mentre il procuratore romano Gessio Floro innesca una serie di provvedimenti contro gli ebrei a seguito di una rivolta iniziata nella pasqua di quell’anno: nel giorno di pentecoste (metà maggio) una voce scuote il tempio (“Noi ce ne andiamo di qui”) e subito dopo, avvenute le prime ribellioni e rappresaglie, ancora in maggio Gessio Floro attacca la città. Un tentativo di conciliazione di Berenice ed Erode Agrippa II non va a buon fine. Ribellioni esplodono ovunque, contrapponendo giudei e gentili, mescolando rabbia per le tassazioni, credo religioso, voglia di indipendenza e rancori personali. Un’intera legione romana, la XII Fulminata, viene sbaragliata a Beth Horon. Devono essere ritornate in mente le parole di Gesù: in moltissimi lasciano la città.

Pietro tornò a Roma e vi morì martire, sul colle Vaticano, sul finire della primavera del 67, negli stessi giorni del martirio di Paolo, prima del suicidio dell’imperatore romano avvenuto nel 68 e prima che Nerone, dal luglio del 67, si recasse in Grecia per partecipare a quella edizione dei giochi olimpici, usati anche politicamente per far sembrare “tutto sotto controllo”.

Pietro resse la Chiesa per quasi 34 anni, a partire dal 33. Solo il Papa Pio IX, 31 anni e 7 mesi di papato, ha vissuto un periodo paragonabile a guida della Chiesa. Con buona pace di ogni distinguo ed il dovuto rispetto per gli eredi di ogni divisione prodottasi, la Chiesa di Gesù, cristiana, è indissolubilmente legata al primato (umile ed umiliato) di San Pietro ed al mandato ricevuto proprio dal Figlio di Dio (Mt 16,18-19 e Gv 21, 15-19). Chi non guardi a quella cattedra, volente o nolente, fa il gioco di qualcun altro.


fonte da LaBussolaQuotidiana

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22/02/2011 10:29
 
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VATICANO - "Ubi Petrus ibi Ecclesia" a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello.

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Il primato del papa: responsabilità personale per la Chiesa universale.

1. “Mi ami tu più di costoro?”

Il Catechismo della Chiesa cattolica ricorda che il Vescovo di Roma, Pastore di tutta la Chiesa, è oggetto di speciale assistenza divina nel suo insegnamento ordinario, (che) aiuta a comprendere meglio la Rivelazione circa la fede da credere, la carità da praticare nella vita e la beatitudine da sperare[1] ed i fedeli sono chiamati ad aderirvi “col religioso ossequio dello spirito”[2], che diventa ossequio di fede quando infallibilmente il Papa si pronuncia in modo definitivo circa verità dottrinali e morali[3].

Si può dire che lo Spirito Santo metta a disposizione di ogni fedele la chiave ermeneutica per verificare l’autenticità dell’insegnamento cattolico: poiché unico è il collegio episcopale succeduto al collegio degli apostoli, uno solo è l’insegnamento autentico dei vescovi, quello che scaturisce dalla loro unità col Papa.

Il Papa, Vescovo di Roma e Successore di san Pietro “è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità, sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli”[4] e questo si manifesta nell’esercizio libero della potestà piena, suprema, universale ed immediata[5] per il bene delle anime nell’intero popolo di Dio. In tal modo sono espresse ad un tempo: nel collegio episcopale l’universalità e, nell’unico capo, l’unità della Chiesa.

C’è in modo speciale un luogo indicato come “sede teologica del primato”: è l’Eucaristia. Perché? Il Sommo Pontefice è ricordato nell’anafora e spesso nella preghiera universale di ogni Santa Messa[6]. Questa menzione non è di natura affettiva, ma ontologica, in quanto “segno e servo dell’unità della Chiesa universale”[7]; come la menzione del Vescovo, che segue, lo è per la Chiesa particolare.

Si comprende che la comunione della Chiesa deve esistere prima che si celebri l’Eucaristia, onde consolidarla e portarla a perfezione; l’Eucaristia non è il punto d’avvio della comunione ecclesiale[8]: lo spiega il fatto che c’è bisogno del battesimo per entrare nella Chiesa e della comune professione di fede per tornare a comunicare allo stesso calice.

Tutto questo è più o meno acquisito in campo ecumenico, ma deve essere ancora approfondito all’interno della Chiesa cattolica.

I fedeli hanno, in genere, una percezione molto immediata della Chiesa come corpo universale in cui si entra col battesimo; invece, capita di incontrare nel clero e tra i “laici impegnati” una riduzione particolaristica della Chiesa, fatta oggetto di una gestione soggettiva. Immaginiamo per un attimo che la Chiesa di Roma avesse seguito coloro che si rinchiudevano in circoli specialistici continuamente scontenti della Chiesa: essi, giudicavano la crisi del mondo, specialmente dopo il concilio Vaticano II, come totalmente buona e conseguentemente postulavano l’inutilità della Chiesa, in un mondo in se stesso buono e non bisognoso di salvezza.

Per grazia la Chiesa cattolica ha un antivirus che agisce contro ogni tentazione conformista, che si rende visibile - lo ha riconosciuto il sommo poeta Dante Alighieri - nell’amore grande al Pastor della Chiesa che la guida[9].

Gregorio Magno ne mostra consapevolezza quando sostiene che: “Gli uomini santi […] all’interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l’insegnamento illuminato, all’esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione”[10].

Benedetto XVI, al suo insediamento nella papale arcibasilica lateranense, ebbe a confermare la necessità di vegliare sulla sana dottrina, perché

Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle

dispute degli esperti. Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire[11].

2. “Un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi”

La responsabilità personale del Papa per la Chiesa diffusa nel mondo è strutturata in modo da essere e comportare il martirio; infatti espone quotidianamente chi la porta a testimoniare Cristo senza accomodamento alcuno, a rischio della vita.

Così facendo, il papa assicura la trasmissione della Tradizione e della conoscenza della fede: questione fondamentale della “civiltà cristiana”; infatti, è questo a mettere in moto la libertà in ogni essere umano, aiutandolo a pensare e a decidere in modo personale, al di là delle mode. E’ la parresia evangelica a rendere impossibile, o almeno molto più difficile, l’indifferenza.

Prima della libertà del pensiero, anzi perché essa ci sia, c’è bisogno della coscienza. Gli Atti degli Apostoli riportano episodi che testimoniano come la coscienza si metta in moto quando l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio si incontrano, superando così la mera soggettività; Pietro grazie all’incontro con Cristo, decisivo per la sua maturità umana, può affermare di dover obbedire più alla verità riconosciuta che al proprio gusto, in contrasto non solo con l’autorità costituita, ma anche con i propri sentimenti e con i legami dell’amicizia umana.

Il primato della verità tra tutte le virtù e in specie sul consenso sociale, fu riaffermato da John Henry Newman, celebre teologo e porporato inglese, nella Lettera al duca di Norfolk. E’ infatti in relazione alla coscienza cristiana che si possono comprendere le direttive della gerarchia e lo stesso primato del Papa.

La Chiesa non è una specie di parlamento, ma è un unico corpo mistico, organico, con a capo Gesù Cristo. E’ un corpo tenuto insieme visibilmente grazie al ministero di unità del vescovo di Roma.

Ignazio, diceva di Pietro, a cui era succeduto ad Antiochia, che era pro-estòs, - parola che significa presiedere, stare a capo, essere in posizione preminente - nell’agape, termine che indica l’amore che si fa concreto, visibile come in un convito che è la Chiesa, dove si è accolti con amore. Dunque, il capo della Chiesa, cioè la testa visibile del capo invisibile Gesù Cristo, detiene il primato dell’unità e dell’amore.

La Chiesa non è una diarchia, un corpo con due teste o due capi, uno ad oriente ed uno ad occidente, come da un certo ecumenismo si vorrebbe: se così fosse, sarebbe un monstrum.

Benedetto XVI, in un passaggio del discorso al termine della divina liturgia nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Fanar, ribadisce questo servizio che Pietro e i suoi successori sono chiamati a svolgere nella Chiesa: “Simone, nonostante la sua personale fragilità, fu chiamato ‘Pietro’, la ‘roccia’ sulla quale sarebbe stata edificata la Chiesa; a lui in maniera particolare furono affidate le chiavi del Regno dei Cieli[12]. Il suo itinerario lo avrebbe condotto da Gerusalemme ad Antiochia, e da Antiochia a Roma, così che in quella città egli potesse esercitare una responsabilità universale”[13].

Joseph Ratzinger, nel saggio Il primato del papa e l’unità del popolo di Dio (apparso in italiano tra i nuovi saggi di ecclesiologia in: Chiesa, ecumenismo e politica, Cinisello Balsamo 1987, pp. 33-48) aveva illustrato coerentemente che il servizio petrino, nella Chiesa cattolica e universale, poggia sulla testimonianza della risposta personale nominale del Papa al Signore, cosa che strutturalmente significa martirio ordinario.

E’ difficile prescindere da questo argomento quando si riflette sulla collegialità e sul primato o, come nel dialogo ecumenico, allorché si affronta il tema della conciliarità e dell’autorità.

Oggi che abbiamo sperimentato la comunità nei suoi valori come nei suoi limiti, comprendiamo di più che il ‘noi’ ecclesiale non è una massa indistinta, ma il popolo santo di Dio, il quale non sostituisce, ma presuppone ed implica, la risposta della persona, dell’io che si apre alla verità del rapporto con Cristo.

Proprio un “primato” così concepito, porta a chiarire, come ricorda il concilio ecumenico Vaticano II, che l’unità visibile dei cristiani, che viene ricercata con l’ecumenismo, non è un’altra cosa rispetto all’unità cattolica della Chiesa; semmai la ricerca ecumenica dell’unità tende a manifestare visibilmente ciò che già sussiste, l’unità voluta da Cristo, non ne esiste una parallela.

Le ambiguità però vi sono e vanno chiarite con realismo, anche riflettendo sulle divisioni come “inevitabili potature” perché appaia più chiaramente la verità. E’ necessario evitare con ogni attenzione di avvallare la tesi e la pratica, di “due ecumenismi”, di una unità diversa dall’unità cattolica della Chiesa. Tesi e pratica, queste, destinate al fallimento.

3. “Tu lo sai che io ti amo”

La Chiesa si riunisce in sinodi e concili ma non è un concilio permanente. Come pure si articola in istituzioni venerabili e provvidenziali, antiche e nuove, nessuna delle quali può sostituire il primato petrino e romano. Il primato costituisce un vincolo essenziale per poter parlare di comunione piena e ancor più di vere chiese particolari.

Si comprende che il Vescovo di Roma sia il Successore di Pietro studiando in profondo gli atti compiuti da Gesù Cristo, che configurano il concetto di successione apostolica. Tuttavia il primato del Vescovo di Roma non è un munus solitario da monarca assoluto, esso va letto nel concerto dell’amicizia di Cristo con Simon Pietro e poi con Giacomo, con Giovanni e Andrea e, infine, con gli altri apostoli.

Così per il papa e per i vescovi: continuano, secondo l’immagine celebre della “costellazione” di von Balthasar, ad essere gli amici di Cristo che si fa Eucaristia e tra essi ha un posto speciale Maria santissima, la Donna verso la quale il primato deve sempre orientarsi.

L’alternativa a tale “costellazione” è l’autonomia e l’autocefalia del singolo cristiano o della singola comunità, che isteriliscono la comunione, oltre che riprodurre la diatriba sorta tra gli apostoli su chi debba avere il primato. Questa discussione sui “primati dal basso”, onorifici e mondani, fu troncata sul nascere da Cristo che divinamente affidò ad uno solo, primo Simone, come dicono gli evangelisti, il primato dell’unità e dell’amore.

Su questo poggia l’equilibrio della communio gerarchica della Chiesa cattolica. Un equilibrio che è alimentato con l’obbedienza del Papa e dei vescovi al Signore, che naturalmente diventa obbedienza vicendevole ma diversificata, come esprimono i due termini unità e comunione, simili ma diversi.

A questa opera di riconciliazione sul ministero petrino sono chiamate le chiese orientali cattoliche, che hanno la ragion d’essere per aver scelto la sede di Roma come criterio della communio. Il loro “ruolo-ponte” indicato dal concilio è, in sinergia con la sede di Roma, quello di accordare l’ecclesiologia orientale con la sinfonia della cattolica. In certo senso, si deve andare oltre l’oriente e l’occidente, oltre le rivendicazioni lontane del territorio canonico legate al cuius regio eius religio, perché, come ha detto il concilio, non c’è ecumenismo possibile senza il rispetto della libertà religiosa.

Non ci sarà bisogno di rincorrere a effimere globalizzazioni o ad imitazioni di unità ecumeniche, perché c’è già la Chiesa di Gesù Cristo una, santa, cattolica e apostolica che unisce in sinfonia, il locale e il particolare, all’universale.

E’ più che mai necessario tornare all’universalità cattolica, affinché sempre di nuovo accada il “che siano una sola cosa” del Signore, attraverso l’unità e l’amore al cui servizio reale è il primato romano, in cui continua a vivere Pietro “perché il mondo creda”.

4. “Sempre pronti a dare risposta”

Un servizio essenziale il Papa lo compie in difesa della dignità e della libertà della persona. Benedetto XVI, nel discorso al convegno della Chiesa italiana a Verona, ha ricordato:

Dio rispetta e salva la nostra libertà. Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande, ma […] preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell’amore e racchiude una promessa di salvezza.

Per i cristiani costituisce dunque l’invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé: come Cristo che è “segno di contraddizione”, noi cristiani dobbiamo “essere sempre pronti a dare risposta (apo-logia) a chiunque ci domandi ragione (logos) della nostra speranza”, come ci invita a fare la prima Lettera di San Pietro (3,15), “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (3,15-16), con quella forza mite che viene dall’unione con Cristo.

Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell’azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica. Per i laici non credenti quest’invito è una proposta utile, anche sul piano della sola ragione.

Tutto questo è riaffermato recentemente da Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata della Pace 2007:

La Chiesa si fa paladina dei diritti fondamentali di ogni persona. In particolare, essa rivendica il rispetto della vita e della libertà religiosa di ciascuno […]. Il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell'uomo. La pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è: saranno così evitate intromissioni inaccettabili in quel patrimonio di valori che è proprio dell'uomo in quanto tale […] l’umanità che ha a cuore la pace deve tenere sempre più presenti le connessioni tra l’ecologia naturale, ossia il rispetto della natura e l’ecologia umana […]. Ogni atteggiamento irrispettoso verso l’ambiente reca danni alla convivenza umana e viceversa.

Come trasmettere tutto questo da una generazione all’altra? Il Papa indica innanzitutto alla Chiesa, ma a chiunque abbia a cuore il bene dell’uomo, la priorità delle priorità: l’educazione della persona che avviene, dice, con la “formazione della sua intelligenza, senza trascurare quella della sua libertà e capacità di amare”, e per chi crede, ricorrendo all’aiuto della grazia di Dio.

Il credente, ma anche chi non crede, si rende conto che a questo punto la verità ha la sua massima manifestazione nell’amore.

Joseph Ratzinger, parlando del momento di crisi che attraversa l’umanità, e spiegando in che senso il Cristianesimo sia la vera religione, diceva testualmente:

Al livello più profondo il suo contenuto dovrà consistere, oggi - come sempre, in ultima analisi -, nel fatto che l’amore e la ragione coincidono in quanto veri e propri pilastri fondamentali del reale: la ragione vera è l’amore e l’amore è la ragione vera. Nella loro unità essi sono il vero fondamento e il fine di tutto il reale[14].

Amore e ragione, dunque.

E in un altro passaggio affermava:

Il concetto biblico di Dio riconosce Dio come il Bene, come il Buono (cfr. Mc 10,18). Questo concetto di Dio raggiunge il suo culmine nell’affermazione giovannea: “Dio è Amore” (1Gv 4,8). Verità e amore sono identici. Questa affermazione - se ne si coglie tutto quanto esso rivendica - è la più alta garanzia della tolleranza; di un rapporto con la verità, la cui unica arma è essa stessa e quindi l’amore[15].

Così la verità va a coincidere con l’amore.

La Chiesa cattolica, in tal modo, costituisce l’alternativa al sistema, ad ogni sistema che si succede nella storia; anzi la Chiesa resiste ad ogni sistema ed infligge ad esso il compito di perseguitarla. Alla Chiesa oggi è chiesto di riscoprire il senso e il valore della libertas che porta in sé e che propone a tutti gli uomini.

Come diceva Hans Urs von Balthasar nel suo “Chi è il cristiano?”, si tratta “ora come sempre del coraggio cristiano che rischia”.

E’ questa la dimensione etica e sociale della communio, perché “Il cristianesimo non è una religione di “spirito ed acqua”, ma di “spirito, acqua e sangue” che inseparabilmente uniti, rendono assieme testimonianza (1Gv 5,6-8). Dove il cristianesimo è soltanto interiore e spirituale, non può vivere a lungo”[16].

La Chiesa, come Cristo, è inerme e come tale resta esposta al mondo, per la libertà di tutti, anche del figliol prodigo o del dissipatore nietzscheano. A costo del martirio.

Ogni giorno, al centro della Chiesa universale, quale principio necessario e insostituibile della sua unità e quale risposta personale al Signore, il primato del vescovo di Roma sta ad attestarlo. (Agenzia Fides 5/1/2007)


Note
[1] Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica n. 2034, Città del Vaticano 1992.
[2] Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium , n. 25; cfr. Catechismo della Chiesa cattolica n. 892.
[3] Cfr. Ivi., n. 891.
[4] Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, n. 23.
[5] Cfr. Christus Dominus, n. 2.
[6] Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica n. 1369.
[7] Ivi.
[8] Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Ecclesia de Eucaristia, n. 35.
[9] Dante Alighieri, Paradiso, V, v. 77.
[10] Gregorio Magno, Commento sul libro di Giobbe, 3, 39; PL 75, 619.
[11] Benedetto XVI, Omelia nella Santa Messa per l’insediamento nell’arcibasilica lateranense, 7 maggio 2005.
[12] Cfr. Mt 16,18.
[13] L’Osservatore Romano, 1 Dicembre 2006, p. 6.
[14] Cfr. J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Siena 2003, p. 192.
[15] Ivi, p. 244.
[16] H.U. von Balthasar, Cordula ovverosia il caso serio, Brescia 1968, p. 56.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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"Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Luca 22, 32).


"Credo del popolo di Dio"


Paolo VI mentre proclama il Credo del popolo di Dio


Tra il 1967 e il 1968, papa Paolo VI dedicò un anno di celebrazioni agli apostoli Pietro e Paolo, in occasione del diciannovesimo centenario del loro martirio. Lo chiamò "Anno della Fede". E lo concluse in piazza San Pietro, il 30 giugno 1968, pronunciando una solenne professione di fede, il "Credo del popolo di Dio". Il testo di questo Credo ricalcò quello formulato al Concilio di Nicea, che si recita in ogni messa, con importanti spiegazioni.
Ecco il testo integrale del Credo del popolo di Dio pronunciato solennemente da Paolo VI il 30 giugno 1968, nella traduzione ufficiale in lingua italiana:


"Νοi crediamo in un solo Dio..."

Νοi crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Creatore delle cose visibili, come questo mondo ove trascorre la nostra vita fuggevole, delle cose invisibili quali sono i puri spiriti, chiamati altresì angeli, e Creatore in ciascun uomo dell'anima spirituale e immortale.

Νοi crediamo che questo unico Dio è assolutamente uno nella sua essenza infinitamente santa come in tutte le sue perfezioni: nella sua onnipotenza, nella sua scienza infinita, nella sua provvidenza, nella sua volontà e nel suo amore. Egli è Colui che è, com'egli stesso ha rivelato a Mosè; e egli è Amore, come ci insegna l'Apostolo Giovanni: cosicché questi due nomi, Essere e Amore, esprimono ineffabilmente la stessa realtà divina di colui, che ha voluto darsi a conoscere a noi, e che abitando in una luce inaccessibile è in se stesso al di sopra di ogni nome, di tutte le cose e di ogni intelligenza creata. Dio solo può darci la conoscenza giusta e piena di se stesso, rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo, alla cui eterna vita noi siamo chiamati per grazia di lui a partecipare, quaggiù nell'oscurità della fede e, oltre la morte, nella luce perpetua, l'eterna vita. I mutui vincoli, che costituiscono eternamente le Tre Persone, le quali sono ciascuna l'unico e identico Essere divino, sono la beata vita intima di Dio tre volte santo, infinitamente al di là di tutto ciò che noi possiamo concepire secondo l'umana misura. Intanto rendiamo grazie alla bontà divina per il fatto che moltissimi credenti possono attestare con noi, davanti agli uomini, l'Unità di Dio, pur non conoscendo il mistero della Santissima Trinità.

Νοi dunque crediamo al Padre che genera eternamente il Figlio; al Figlio, Verbo di Dio, che è eternamente generato; allo Spirito Santo, Persona increata che procede dal Padre e dal Figlio come loro eterno Amore. In tal modo, nelle tre Persone divine, coeterne e coeguali, sovrabbondano e si consumano, nella sovraeccellenza e nella gloria proprie dell'Essere increato, la vita e la beatitudine di Dio perfettamente uno; e sempre deve essere venerata l'Unità nella Trinità e la Trinità nell'Unità.

Noi crediamo in nostro signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri; e per mezzo di lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l'umanità, ed egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature, ma per l'unità della persona.

Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in sé ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo comandamento nuovo, di amarci gli uni gli altri com'Egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo sangue redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Risurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all'Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all'ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto. E il suo Regno non avrà fine.

Noi crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dona la vita; che è adorato e glorificato col Padre e col Figlio. Egli ci ha parlato per mezzo dei Profeti, ci è stato inviato da Cristo dopo la sua Risurrezione e la sua Ascensione al Padre; egli illumina, vivifica, protegge e guida la Chiesa, ne purifica i membri, purché non si sottraggano alla sua grazia. La sua azione, che penetra nell'intimo dell'anima, rende l'uomo capace di rispondere all'invito di Gesù: Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste.

Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre Vergine, del Verbo Incarnato, nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo, e che, a motivo di questa singolare elezione, essa, in considerazione dei meriti di suo Figlio, è stata redenta in modo più eminente, preservata da ogni macchia del peccato originale e colmata del dono della grazia più che tutte le altre creature.

Associata ai misteri della Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e indissolubile, la Vergine Santissima, l'Immacolata, al termine della sua vita terrena è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i giusti; e noi crediamo che la Madre Santissima di Dio, nuova Eva, Madre della Chiesa, continua in cielo il suo ufficio materno riguardo ai membri di Cristo, cooperando alla nascita e allo sviluppo della vita divina nelle anime dei redenti.

Νοi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all'inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l'uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. Νοi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, non per imitazione, ma per propagazione, e che esso è proprio a ciascuno.

Νοi crediamo che Nostro Signor Gesù Cristo mediante il Sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che, secondo la parola dell'Apostolo, là dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.

Noi crediamo in un solo battesimo, istituito da Nostro Signor Gesù Cristo per la remissione dei peccati. Il battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che non hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano dall'acqua e dallo Spirito santo alla vita divina in Gesù Cristo.

Νοi crediamo nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, edificata da Gesù Cristo sopra questa pietra, che è Pietro. Essa è il Corpo mistico di Cristo, insieme società visibile, costituita di organi gerarchici, e comunità spirituale; essa è la Chiesa terrestre, Popolo di Dio pellegrinante quaggiù, e la Chiesa ricolma dei beni celesti; essa è il germe e la primizia del Regno di Dio, per mezzo del quale continuano, nella trama della storia umana, l'opera e i dolori della Redenzione, e che aspira al suo compimento perfetto al di là del tempo, nella gloria. Nel corso del tempo, il Signore Gesù forma la sua Chiesa mediante i Sacramenti, che emanano dalla sua pienezza. E con essi che la Chiesa rende i propri membri partecipi del mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, che le dona vita e azione. Essa è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l'irradiazione della Sua Santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui ha il potere di guarire i suoi figli con il Sangue di Cristo ed il dono dello Spirito Santo.

Erede delle promesse divine e figlia di Abramo secondo lo Spirito, per mezzo di quell'Israele di cui custodisce con amore le sacre Scritture e venera i Patriarchi e i Profeti; fondata sugli Apostoli e trasmettitrice, di secolo in secolo, della loro parola sempre viva e dei loro poteri di Pastori nel Successore di Pietro e nei Vescovi in comunione con lui; costantemente assistita dallo Spirito Santo, la Chiesa ha la missione di custodire, insegnare, spiegare e diffondere la verità, che Dio ha manifestato in una maniera ancora velata per mezzo dei Profeti e pienamente per mezzo del Signore Gesù. Noi crediamo tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelata sia con un giudizio solenne, sia con il magistero ordinarlo e universale. Νοi crediamo nell'infallibilità, di cui fruisce il Successore di Pietro, quando insegna ex cathedra come Pastore e Dottore di tutti i fedeli, e di cui è dotato altresì il Collegio dei Vescovi, quando esercita con lui il magistero supremo.

Noi crediamo che la Chiesa, che Gesù ha fondato e per la quale ha pregato, è indefettibilmente una nella fede, nel culto e nel vincolo della comunione gerarchica. Nel seno di questa Chiesa, sia la ricca varietà dei riti liturgici, sia la legittima diversità dei patrimoni teologici e spirituali e delle discipline particolari lungi dal nuocere alla sua unità, la mettono in maggiore evidenza.

Riconoscendo poi, al di fuori dell'organismo della Chiesa di Cristo, l'esistenza di numerosi elementi di verità e di santificazione che le appartengono in proprio e tendono all'unità cattolica, e credendo all'azione dello Spirito Santo che nel cuore dei discepoli di Cristo suscita l'amore per tale unità, noi nutriamo speranza che i cristiani, i quali non sono ancora nella piena comunione con l'unica Chiesa, si riuniranno un giorno in un solo gregge con un solo Pastore.

Noi crediamo che la Chiesa è necessaria alla salvezza, perché Cristo, che è il solo Mediatore e la sola via di salvezza, si rende presente per noi nel suo Corpo, che è la Chiesa. Ma il disegno divino della salvezza abbraccia tutti gli uomini: e coloro che, senza propria colpa, ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio e sotto l'influsso della sua grazia si sforzano di compiere la sua volontà riconosciuta nei dettami della loro coscienza, anch'essi, in un numero che Dio solo conosce, possono conseguire la salvezza.

Νοi crediamo che la Messa, celebrata dal sacerdote che rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel sacramento dell'Ordine, e da lui offerta nel nome di Cristo e di membri del suo Corpo Mistico, è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come il pane e il vino consacrati dal Signore nell'ultima Cena sono stati convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue che di lì a poco sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il pane e il vino consacrati dal sacerdote sono convertiti nel Corpo e nel Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel cielo; e crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale.



Pertanto Cristo non può essere presente in questo Sacramento se non mediante la conversione nel suo Corpo della realtà stessa del pane e mediante la conversione nel suo Sangue della realtà stessa del vino, mentre rimangono immutate soltanto le proprietà del pane e del vino percepite dai nostri sensi. Tale conversione misteriosa è chiamata dalla Chiesa, in maniera assai appropriata, transustanziazione. Ogni spiegazione teologica, che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad esser realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino, proprio come il Signore ha voluto, per donarsi a noi in nutrimento e per associarci all'unità del suo Corpo Mistico.

L'unica ed indivisibile esistenza del Signore glorioso nel cielo non è moltiplicata, ma è resa presente dal sacramento nei numerosi luoghi della terra dove si celebra la Messa. Dopo il sacrificio, tale esistenza rimane presente nel Santo Sacramento, che è, nel tabernacolo, il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese. Ed è per noi un dovere dolcissimo onorare e adorare nell'Ostia Santa, che vedono i nostri occhi, il Verbo incarnato, che essi non posso no vedere e che, senza lasciare il cielo, si è reso presente dinanzi a noi.

Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura passa; e che la sua vera crescita non può esser confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all'amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi non hanno quaggiù stabile dimora, essa li spinge anche a contribuire – ciascuno secondo la propria vocazione ed i propri mezzi – al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. L'intensa sollecitudine della Chiesa, Sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro Salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca l'ardore dell'attesa del suo Signore e del Regno eterno.

Noi crediamo nella vita eterna. Noi crediamo che le anime dl tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo, sia che debbano ancora esser purificate nel purgatorio, sia che dal momento in cui lasciano il proprio corpo siano accolte da Gesù in Paradiso, come egli fece per il Buon Ladrone, costituiscono il Popolo di Dio nell'aldilà della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime saranno riunite ai propri corpi.

Νοi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite intorno a Gesù ed a Maria in Paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com'è e dove sono anche associate, in diversi gradi, con i santi Angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo per noi ed aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine.

Noi crediamo alla comunione tra tutti i Fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la propria purificazione e dei beati del cielo, i quali tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l'amore misericordioso di Dio e dei suoi Santi ascolta costantemente le nostre preghiere, secondo la parola di Gesù: Chiedete e riceverete. E con la fede e nella speranza, noi attendiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.


Sia benedetto Dio santo, santo, santo. Amen.



Pronunciato davanti alla Basilica di San Pietro, il 30 giugno dell'anno 1968, sesto del Nostro Pontificato.



PAOLO PP. VI

Fraternamente CaterinaLD

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[SM=g1740717] [SM=g1740720] Festa della Cattedra di San Pietro. 22 febbraio

it.gloria.tv/?media=132299



[SM=g1740738]


[SM=g1740717] [SM=g1740720] Sulle note del Maestro mons. Bartolucci in "Tu es Petrus", lasciamoci avvolgere dalla maternità della Chiesa che si esprime attraverso Petrus, i Pontefici con il loro ricco Magistero. Impariamo ad AMARE LA CHIESA, innamoriamoci di questa Madre, abbracciamo il Magistero Pontificio senza interpretazioni arbitrarie, superbe, contorte... le parole dei Pontefici sono così talmente chiare e limpide che o si amano e le si mettono in pratica oppure le si odiano....a grave danno dell'unità della Chiesa e degli Uomini...
Chi fosse interessato alle diapositive separate dal video e dalla musica, può richiederle usando questo contatto.

it.gloria.tv/?media=31853



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[SM=g1740722]

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17/10/2011 21:59
 
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L'altare della Cattedra di San Pietro a Roma

J. Card. Ratzinger
(da Immagini di speranza, San paolo 1999)

http://4.bp.blogspot.com/_7nsAnYYy2Gs/TLn9ZPQABiI/AAAAAAAARz8/lPP2fVzy25s/s1600/altare1x.jpg

Chi, dopo aver percorso tutta la grandiosa navata centrale della basilica di San Pietro giunge finalmente all'altare che chiude l'abside, potrebbe aspettarsi una raffigurazione trionfale di san Pietro, sulla cui tomba è stata costruita questa chiesa. E invece nulla di ciò: la figura dell'Apostolo non appare tra le opere scultoree di questo altare. Al suo posto ci troviamo davanti a un trono vuoto, che sembra quasi librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro figure dei grandi Padri della Chiesa d'Occidente e d'Oriente. La luce tenue, che giunge sul trono, proviene dalla finestra sovrastante, che è circondata da angeli sospesi nell'aria, che, a loro volta, conducono il flusso della luce verso il basso.

Che significato può avere questo complesso scultoreo? Che cosa ci dice? Mi pare che esso racchiuda una profonda interpretazione dell' essenza della Chiesa e, con essa, un'interpretazione del magistero petrino. Cominciamo dalla finestra, che con i suoi tenui colori raccoglie ciò che sta all'interno e lo apre verso l'esterno e verso l'alto. Essa collega la Chiesa con la creazione nella sua totalità; mediante la rappresentazione della colomba dello Spirito Santo interpreta Dio come la vera fonte di ogni luce. Ma ci dice anche un'altra cosa: la Chiesa stessa è, nella sua essenza, una finestra, lo spazio in cui il mistero trascendente di Dio si fa incontro al nostro mondo; essa rappresenta il farsi trasparente del mondo allo splendore della sua luce. La Chiesa non esiste per se stessa, non è una fine, ma un inizio che rinvia oltre sé e al di sopra di noi. Essa corrisponde alla propria essenza nella misura in cui diventa trasparente per l'altro da cui proviene e a cui conduce. Attraverso la finestra della sua fede, Dio entra in questo mondo e desta in noi il desiderio di ciò che è più grande. La Chiesa è arrivo e partenza: di Dio verso di noi, di noi verso Dio. Il suo compito è spalancare oltre se stesso un mondo che si chiude in se stesso, donargli quella luce senza la quale esso sarebbe inabitabile.


Vediamo ora il livello successivo di questo altare: la cattedra vuota di bronzo dorato, che racchiude un seggio ligneo del secolo IX, a lungo ritenuto la cattedra dell'apostolo Pietro e che, per tale ragione, fu collocato in questo luogo. Si chiarisce già così il significato di questa parte dell' altare. Il seggio di san Pietro dice più di quel che un'immagine potrebbe dire. Esprime la presenza permanente dell'Apostolo, che è presente, come magistero docente, nei suoi successori. Il seggio dell'Apostolo è un simbolo di sovranità, è il trono della verità, che nell' ora di Cesarea divenne il mandato suo e dei suoi successori. Il seggio magisteri aIe rinnova in noi la memoria delle parole pronunciate dal Signore nel cenacolo: «Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32). Ma il seggio dell'Apostolo si lega anche a un altro ricordo: le parole di Ignazio di Antiochia, che nella sua lettera ai Romani, scritta intorno all'anno 110, chiamava la Chiesa di Roma «quella che presiede nella carità». Per presiedere nella fede bisogna presiedere nell' amore: le due cose non sono affatto separabili. Una fede senza amore non sarebbe la fede di Gesù Cristo. Ma l'immagine di sant'Ignazio era ancora più concreta: la parola «carità» nel linguaggio della Chiesa delle origini indicava anche l'eucaristia. L’ eucaristia nasce infatti dall'amore di Cristo, che ha dato la sua vita per noi. In essa egli continua a comunicarsi a noi, mette se stesso nelle nostre mani. Mediante essa continua ad adempiere alla sua promessa di attirarci tutti a sé, nelle sue braccia aperte sulla croce (cfr. Gv 12,32). Nell'abbraccio di Cristo veniamo condotti gli uni verso gli altri. Veniamo accolti nell'unico Cristo e, in tal modo, ora ci apparteniamo vicendevolmente: io non posso più considerare come un estraneo colui che, come me, sta nell'unico abbraccio di Cristo.

Ora questi non sono remoti pensieri mistici. L’ eucaristia è la forma fondamentale della Chiesa: essa si attua nell'assemblea eucaristica. E poiché tutte le assemblee in tutti i luoghi e in tutti i tempi appartengono sempre e soltanto all'unico Cristo, esse, nella loro totalità, formano un'unica Chiesa. Si può dire che, in qualche modo, esse stendano sul mondo una rete di fraternità e che leghino tra loro i vicini e i lontani, così che mediante Cristo essi sono tutti vicini. Ora, però, nel nostro modo di pensare abituale c'è spesso l'idea che l'amore e l'ordine siano in contrapposizione: dove c'è amore, non c'è più bisogno di ordine, dal momento che ormai tutto è chiaro. Ma si tratta di un equivoco, tanto riguardo all' ordine che riguardo all'amore. Il giusto ordine umano è ben altra cosa dalla gabbia in cui si chiudono le bestie feroci per tenerle a bada. L’ ordine autentico è attenzione all'altro e a se stesso, tanto più oggetto d'amore, quanto più è compreso nel suo vero significato. Per questo l'ordine appartiene all' eucaristia e il suo ordine è il nucleo autentico dell' ordine della Chiesa. Il seggio vuoto, che rinvia al primato nell'amore, ci parla quindi dell'accordo tra amore e ordine. Nella sua dimensione più profonda ci rinvia a Cristo, come a colui che in maniera più propria e autentica presiede nell' amore. Ci rinvia al fatto che la Chiesa ha il suo centro nella messa. Ci dice che la Chiesa può rimanere una cosa sola a partire dalla comunione con il Cristo crocifisso. Non c'è abilità organizzativa che possa garantire la sua unità. Essa può essere e rimanere Chiesa universale solo se la sua unità è più che organizzazione, se vive di Cristo. Solo la fede eucaristica, solo il radunarsi intorno al Signore presente può renderla duratura. E da qui acquista senso il suo ordine. La Chiesa non è governata da decisioni prese a maggioranza, ma dalla fede, che matura nell'incontro con Cristo nella celebrazione eucaristica.

Il ministero petrino è primato nell'amore, ovvero preoccupazione perché la Chiesa riceva la sua dimensione dall' eucaristia. Essa sarà tanto più unita, quanto più vivrà del criterio eucaristico e nell' eucaristia si manterrà fedele al criterio della tradizione della fede. Tanto più, allora, dall'unità crescerà anche l'amore che si rivolge al mondo: l'eucaristia si fonda infatti sull' atto d'amore di Gesù Cristo fino alla morte. D'altra parte, è chiaro che questo significa anche che non può amare chi vede il dolore come qualcosa da eliminare o, in ogni caso, da lasciare agli altri. «Primato nell'amore»: all'inizio abbiamo parlato del trono vuoto, ma è ormai chiaro che il «trono» dell'eucaristia non è il trono del potere, ma la dura e scomoda sedia di chi è servitore.

Guardiamo ora al terzo livello di questo altare: ai Padri, che sostengono il trono del servizio. I due maestri dell'Oriente, Giovanni Crisostomo e Atanasio, insieme con i latini, Ambrogio e Agostino, incarnano la totalità della tradizione e, quindi, la pienezza della fede dell'unica Chiesa. Due riflessioni sono qui importanti. L’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola dove l'uomo è privo di orientamenti; si sgretola dove l'uomo non è più in grado di sentire Dio. Come l'amore e con l'amore, anche l'ordine e il diritto poggiano sulla fede, anche l'autorità nella Chiesa poggia sulla fede. La Chiesa non può pensare da se stessa come vuole ordinarsi; può solo tentare di comprendere sempre meglio la voce interiore della fede e di vivere secondo essa. Non ha bisogno del principio di maggioranza, che ha sempre in sé qualcosa di rigido: in nome della pace la parte perdente deve piegarsi alla decisione della maggioranza, anche qualora questa decisione fosse stolta o addirittura dannosa. Negli ordinamenti sociali le cose forse non possono andare diversamente. Ma nella Chiesa il legame con la fede ci tutela tutti: ognuno è legato a essa e, proprio per questo, l'ordine sacramentale garantisce più libertà di quella che potrebbero garantire coloro che vogliono sottomettere anche la Chiesa al principio di maggioranza.

A ciò si aggiunge la seconda riflessione. I Padri della Chiesa appaiono come i garanti della fedeltà alla Sacra Scrittura. Le ipotesi dell'esegesi umana vacillano. Non possono sostenere il trono. La forza vitale della parola scritturistica è spiegata e fatta propria nella fede che i Padri e i grandi concili hanno tratto da essa. Chi vi si attiene, ha scoperto quello che dà un fondamento stabile nel mutare dei tempi.

Alla fine, però, al di là delle singole parti, non possiamo dimenticarci dell'insieme. Infatti i tre livelli dell' altare ci trasportano in un movimento che è contemporaneamente di ascesa e di discesa. La fede porta all'amore. Proprio da questo si vede se è veramente fede. Una fede tenebrosa, brontolona, egoistica è una fede falsa. Chi scopre Cristo, chi scopre la rete universale dell'amore che egli ha gettato nell'eucaristia, deve essere lieto e deve a sua volta diventare una persona che sa donare. La fede porta all'amore, e solo mediante l'amore raggiungiamo l'altezza della finestra, lo sguardo sul Dio vivente, il contatto con la luce fluttuante dello Spirito Santo. Così le due direzioni si compenetrano: da Dio viene la luce, si destano e scendono verso il basso la fede e l'amore, per poi accoglierci sulla scala che dalla fede porta nuovamente all'amore e alla luce dell'Eterno.

La dinamica interna in cui l'altare ci inserisce lascia intendere ancora un ultimo elemento: la finestra dello Spirito Santo non è isolata in se stessa. È circondata dalla traboccante pienezza degli angeli, da un coro di gioia. Il messaggio che questa immagine vuole comunicarci è che Dio non è mai solo. Ciò sarebbe in contraddizione con la sua essenza. L’ amore è partecipazione, comunione, gioia. Questa percezione fa emergere anche un'altra considerazione: la luce si accompagna con la musica. Pare davvero di sentirli cantare questi angeli, dal momento che non riusciamo a immaginare in silenzio questi flussi di gioia, e neppure come parole o come grida, ma solo come celebrazione di lode, in cui armonia e molteplicità divengono un'unica cosa. «Tu abiti nelle lodi di Israele», si dice nel salmo (22,4). La celebrazione di lode è per così dire la nube della gioia attraverso cui Dio giunge e che lo accompagna in questo mondo. Per questo nella celebrazione eucaristica la luce eterna entra nel nostro mondo e vi lascia echeggiare il suono della gioia di Dio. In essa procediamo a tastoni verso il consolante splendore di questa luce, uscendo dal profondo delle nostre domande e della nostra confusione e salendo sulla scala che porta dalla fede all' amore e apre così lo sguardo della speranza.

(J. Card. Ratzinger - Immagini di speranza - Ed. San Paolo )
Tratto da:
www-maranatha-it.blogspot.com/2010/10/iii-convegno-sul-motu-proprio-summo...

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/02/2012 21:42
 
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OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!


Nella solennità della Cattedra di san Pietro Apostolo, abbiamo la gioia di radunarci intorno all’Altare del Signore insieme con i nuovi Cardinali, che ieri ho aggregato al Collegio Cardinalizio . Ad essi, innanzitutto, rivolgo il mio cordiale saluto, ringraziando il Cardinale Fernando Filoni per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti.
Estendo il mio saluto agli altri Porporati e a tutti Presuli presenti, come pure alle distinte Autorità, ai Signori Ambasciatori, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli, venuti da varie parti del mondo per questa lieta circostanza, che riveste uno speciale carattere di universalità.

Nella seconda Lettura poc’anzi proclamata, l’Apostolo Pietro esorta i “presbiteri” della Chiesa ad essere pastori zelanti e premurosi del gregge di Cristo (cfr 1 Pt 5,1-2). Queste parole sono anzitutto rivolte a voi, cari e venerati Fratelli, che già avete molti meriti presso il Popolo di Dio per la vostra generosa e sapiente opera svolta nel Ministero pastorale in impegnative Diocesi, o nella direzione dei Dicasteri della Curia Romana, o nel servizio ecclesiale dello studio e dell’insegnamento. La nuova dignità che vi è stata conferita vuole manifestare l’apprezzamento per il vostro fedele lavoro nella vigna del Signore, rendere onore alle Comunità e alle Nazioni da cui provenite e di cui siete degni rappresentanti nella Chiesa, investirvi di nuove e più importanti responsabilità ecclesiali, ed infine chiedervi un supplemento di disponibilità per Cristo e per l’intera Comunità cristiana.

Questa disponibilità al servizio del Vangelo è saldamente fondata sulla certezza della fede. Sappiamo infatti che Dio è fedele alle sue promesse ed attendiamo nella speranza la realizzazione di queste parole dell’apostolo Pietro: “E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1 Pt 5,4).

Il brano evangelico odierno presenta Pietro che, mosso da un’ispirazione divina, esprime la propria salda fede in Gesù, il Figlio di Dio ed il Messia promesso. In risposta a questa limpida professione di fede, fatta da Pietro anche a nome degli altri Apostoli, Cristo gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la “pietra”, la “roccia”, il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19).

Tale denominazione di “roccia-pietra” non fa riferimento al carattere della persona, ma va compresa solo a partire da un aspetto più profondo, dal mistero: attraverso l’incarico che Gesù gli conferisce, Simon Pietro diventerà ciò che egli non è attraverso «la carne e il sangue».


L’esegeta Joachim Jeremias ha mostrato che sullo sfondo è presente il linguaggio simbolico della «roccia santa». Al riguardo può aiutarci un testo rabbinico in cui si afferma: «Il Signore disse: “Come posso creare il mondo, quando sorgeranno questi senza-Dio e mi si rivolteranno contro?”. Ma quando Dio vide che doveva nascere Abramo, disse: “Guarda, ho trovato una roccia, sulla quale posso costruire e fondare il mondo”. Perciò egli chiamò Abramo una roccia». Il profeta Isaia vi fa riferimento quando ricorda al popolo «guardate alla roccia da cui siete stati tagliati… ad Abramo vostro padre» (51,1-2). Abramo, il padre dei credenti, con la sua fede viene visto come la roccia che sostiene la creazione. Simone, che per primo ha confessato Gesù come il Cristo ed è stato il primo testimone della risurrezione, diventa ora, con la sua fede rinnovata, la roccia che si oppone alle forze distruttive del male.

Cari fratelli e sorelle! Questo episodio evangelico che abbiamo ascoltato trova una ulteriore e più eloquente spiegazione in un conosciutissimo elemento artistico che impreziosisce questa Basilica Vaticana: l’altare della Cattedra.

Quando si percorre la grandiosa navata centrale e, oltrepassato il transetto, si giunge all’abside, ci si trova davanti a un enorme trono di bronzo, che sembra librarsi, ma che in realtà è sostenuto dalle quattro statue di grandi Padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente. E sopra il trono, circondata da un trionfo di angeli sospesi nell’aria, risplende nella finestra ovale la gloria dello Spirito Santo. Che cosa ci dice questo complesso scultoreo, dovuto al genio del Bernini? Esso rappresenta una visione dell’essenza della Chiesa e, all’interno di essa, del magistero petrino.

La finestra dell’abside apre la Chiesa verso l’esterno, verso l’intera creazione, mentre l’immagine della colomba dello Spirito Santo mostra Dio come la fonte della luce. Ma c’è anche un altro aspetto da evidenziare: la Chiesa stessa è, infatti, come una finestra, il luogo in cui Dio si fa vicino, si fa incontro al nostro mondo.

La Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l’alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l’Altro - con la “A” maiuscola - da cui proviene e a cui conduce. La Chiesa è il luogo dove Dio “arriva” a noi, e dove noi “partiamo” verso di Lui; essa ha il compito di aprire oltre se stesso quel mondo che tende a chiudersi in se stesso e portargli la luce che viene dall’alto, senza la quale diventerebbe inabitabile.

La grande cattedra di bronzo racchiude un seggio ligneo del IX secolo, che fu a lungo ritenuto la cattedra dell’apostolo Pietro e fu collocato proprio su questo altare monumentale a motivo del suo alto valore simbolico.

Esso, infatti, esprime la presenza permanente dell’Apostolo nel magistero dei suoi successori. Il seggio di san Pietro, possiamo dire, è il trono della verità, che trae origine dal mandato di Cristo dopo la confessione a Cesarea di Filippo. Il seggio magisteriale rinnova in noi anche la memoria delle parole rivolte dal Signore a Pietro nel Cenacolo: “Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32).

La cattedra di Pietro evoca un altro ricordo: la celebre espressione di sant’Ignazio di Antiochia, che nella sua lettera ai Romani chiama la Chiesa di Roma “quella che presiede nella carità” (Inscr.: PG 5, 801). In effetti, il presiedere nella fede è inscindibilmente legato al presiedere nell’amore.

Una fede senza amore non sarebbe più un’autentica fede cristiana. Ma le parole di sant’Ignazio hanno anche un altro risvolto, molto più concreto: il termine “carità”, infatti, veniva utilizzato dalla Chiesa delle origini per indicare anche l’Eucaristia.

L’Eucaristia, infatti, è Sacramentum caritatis Christi, mediante il quale Egli continua ad attirarci tutti a sé, come fece dall’alto della croce (cfr Gv 12,32). Pertanto, “presiedere nella carità” significa attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico - l’abbraccio di Cristo -, che supera ogni barriera e ogni estraneità, e crea la comunione dalle molteplici differenze.

Il ministero petrino è dunque primato nell’amore in senso eucaristico, ovvero sollecitudine per la comunione universale della Chiesa in Cristo. E l’Eucaristia è forma e misura di questa comunione, e garanzia che essa si mantenga fedele al criterio della tradizione della fede.

La grande Cattedra è sostenuta dai Padri della Chiesa.

I due maestri dell’Oriente, san Giovanni Crisostomo e sant’Atanasio, insieme con i latini, sant’Ambrogio e sant’Agostino, rappresentano la totalità della tradizione e, quindi, la ricchezza dell’espressione della vera fede dell’unica Chiesa. Questo elemento dell’altare ci dice che l’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola se l’uomo non confida più in Dio e non obbedisce a Lui. Tutto nella Chiesa poggia sulla fede: i Sacramenti, la Liturgia, l’evangelizzazione, la carità.

Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere e di vivere. I Padri della Chiesa hanno nella comunità ecclesiale la funzione di garanti della fedeltà alla Sacra Scrittura. Essi assicurano un’esegesi affidabile, solida, capace di formare con la cattedra di Pietro un complesso stabile e unitario. Le Sacre Scritture, interpretate autorevolmente dal Magistero alla luce dei Padri, illuminano il cammino della Chiesa nel tempo, assicurandole un fondamento stabile in mezzo ai mutamenti storici.

Dopo aver considerato i diversi elementi dell’altare della Cattedra, rivolgiamo ad esso uno sguardo d’insieme. E vediamo che è attraversato da un duplice movimento: di ascesa e di discesa. E’ la reciprocità tra la fede e l’amore. La Cattedra è posta in grande risalto in questo luogo, poiché qui vi è la tomba dell’apostolo Pietro, ma anch’essa tende verso l’amore di Dio. In effetti, la fede è orientata all’amore. Una fede egoistica sarebbe una fede non vera. Chi crede in Gesù Cristo ed entra nel dinamismo d’amore che nell’Eucaristia trova la sorgente, scopre la vera gioia e diventa a sua volta capace di vivere secondo la logica di questo dono.

La vera fede è illuminata dall’amore e conduce all’amore, verso l’alto, come l’altare della Cattedra eleva verso la finestra luminosa, la gloria dello Spirito Santo, che costituisce il vero punto focale per lo sguardo del pellegrino quando varca la soglia della Basilica Vaticana. A quella finestra il trionfo degli angeli e le grandi raggiere dorate danno il massimo risalto, con un senso di pienezza traboccante che esprime la ricchezza della comunione con Dio. Dio non è solitudine, ma amore glorioso e gioioso, diffusivo e luminoso.

Cari fratelli e sorelle, a noi, ad ogni cristiano è affidato il dono di questo amore: un dono da donare, con la testimonianza della nostra vita. Questo è, in particolare, il vostro compito, venerati Fratelli Cardinali: testimoniare la gioia dell’amore di Cristo. Alla Vergine Maria, presente nella Comunità apostolica riunita in preghiera in attesa dello Spirito Santo (cfr At 1,14), affidiamo ora il vostro nuovo servizio ecclesiale. Ella, Madre del Verbo Incarnato, protegga il cammino della Chiesa, sostenga con la sua intercessione l’opera dei Pastori ed accolga sotto il suo manto l’intero Collegio cardinalizio.

Amen!
































LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 19.02.2012

Al termine della Concelebrazione eucaristica con i nuovi Cardinali creati nel Concistoro di ieri, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL'ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Questa domenica è particolarmente festosa qui in Vaticano, a motivo del Concistoro, avvenuto ieri, in cui ho creato 22 nuovi Cardinali. Con loro ho avuto la gioia, stamani, di concelebrare l’Eucaristia nella Basilica di San Pietro, intorno alla Tomba dell’Apostolo che Gesù chiamò ad essere la “pietra” su cui costruire la sua Chiesa (cfr Mt 16,18). Perciò invito tutti voi ad unire anche la vostra preghiera per questi venerati Fratelli, che ora sono ancora più impegnati a collaborare con me nella guida della Chiesa universale e a dare testimonianza al Vangelo fino al sacrificio della propria vita. Questo significa il colore rosso dei loro abiti: il colore del sangue e dell’amore. Alcuni di essi lavorano a Roma, al servizio della Santa Sede, altri sono Pastori di importanti Chiese diocesane; altri si sono distinti per una lunga e apprezzata attività di studio e di insegnamento. Ora fanno parte del Collegio che più strettamente coadiuva il Papa nel suo ministero di comunione e di evangelizzazione: li accogliamo con gioia, ricordando ciò che disse Gesù ai dodici Apostoli: “Chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,44-45).

Questo evento ecclesiale si colloca sullo sfondo liturgico della festa della Cattedra di San Pietro, anticipata ad oggi, perché il prossimo 22 Febbraio – data di tale festa – sarà il Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima.

La “cattedra” è il seggio riservato al Vescovo, da cui deriva il nome “cattedrale” dato alla chiesa in cui, appunto, il Vescovo presiede la liturgia e insegna al popolo. La Cattedra di San Pietro, rappresentata nell’abside della Basilica Vaticana da una monumentale scultura del Bernini, è simbolo della speciale missione di Pietro e dei suoi Successori di pascere il gregge di Cristo tenendolo unito nella fede e nella carità.

Già a agli inizi del secondo secolo, sant’Ignazio di Antiochia attribuiva alla Chiesa che è in Roma un singolare primato, salutandola, nella sua lettera ai Romani, come quella che “presiede nella carità”. Tale speciale compito di servizio deriva alla Comunità romana e al suo Vescovo dal fatto che in questa Città hanno versato il loro sangue gli Apostoli Pietro e Paolo, oltre a numerosi altri Martiri. Ritorniamo, così, alla testimonianza del sangue e della carità.

La Cattedra di Pietro, dunque, è sì segno di autorità, ma di quella di Cristo, basata sulla fede e sull’amore.

Cari amici, affidiamo i nuovi Cardinali alla materna protezione di Maria Santissima, perché li assista sempre nel loro servizio ecclesiale e li sostenga nelle prove. Maria, Madre della Chiesa, aiuti me e i miei collaboratori a lavorare instancabilmente per l’unità del Popolo di Dio e per annunciare a tutte le genti il messaggio di salvezza, compiendo umilmente e coraggiosamente il servizio della verità nella carità.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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23/02/2012 12:16
 
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[SM=g1740717] Cari Amici, il santo Padre Benedetto XVI, in occasione della nomina dei nuovi Cardinali e della Festa della Cattedra di Pietro, ci ha offerto una Catechesi davvero imponente e che ci aiuta anche ad interpretare correttamente l'Enc. del beato Giovanni Paolo II la Ut unum sint dedicata al ruolo petrino in campo ecumenico. Ascoltiamolo! E umilmente impariamo, applicando questo Magistero.
www.gloria.tv/?media=259536

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740738]

[SM=g1740757]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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25/08/2012 19:35
 
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La cattedra lignea di san Pietro


La tarda antichità e l’alto Medioevo ci hanno lasciato questo documento di grande valore artistico e storico, che ha assunto col tempo anche valore di reliquia


di Dario Rezza 30giorni ottobre 2000


Nello splendido monumento berniniano della Cattedra collocata nell’abside della Basilica vaticana, il 17 gennaio 1666, per desiderio di papa Alessandro VII, è stato racchiuso un cimelio che per secoli era stato oggetto di venerazione da parte di fedeli e pellegrini che accorrevano a Roma: la cattedra lignea di san Pietro, che però, così sottratta agli occhi dei devoti, ha perso la sua popolarità e il suo culto. Si tratta di un cimelio storico, trattato in passato come una reliquia, servito quale sedia papale per uso liturgico, simbolo anche dell’autorità del papa e della sua legittimità di pontefice. La festa della Cattedra di san Pietro il 22 febbraio, in uso a Roma già nel 336, anche se la sua origine e celebrazione non hanno alcun riferimento alla cattedra materiale, esprimeva infatti, ed esprime tuttora, la potestà di Pietro, radicata in Roma e lasciata ai suoi successori: la sede di Pietro è riferimento di unità per tutta la Chiesa, secondo la bella iscrizione classica che il papa san Damaso dettò per il fonte battesimale del Vaticano: Una Petri sedes, unum verumque lavacrum.

La cattedra lignea 
di san Pietro, conservata all’interno della custodia berniniana nella Basilica 
di San Pietro. Nelle foto piccole, due delle dodici formelle 
in avorio che ornano 
la fronte del sedile 
e che rappresentano 
le fatiche di Ercole (in alto), 
esseri mostruosi fantastici 
e uno scorpione (a destra)

La cattedra lignea di san Pietro, conservata all’interno della custodia berniniana nella Basilica di San Pietro. Nelle foto piccole, due delle dodici formelle in avorio che ornano la fronte del sedile e che rappresentano le fatiche di Ercole (in alto), esseri mostruosi fantastici e uno scorpione (a destra)

Di una sella pontificale oppure di un trono, cioè di un seggio su cui materialmente sedeva il papa nelle funzioni liturgiche, si parla fin dall’antichità con diverse espressioni; famosa quella di Ennodio di Pavia (†521): sella gestatoria apostolicae confessionis. Solo alla fine del secolo VI però viene attestata una devozione nei riguardi di tale cattedra materiale, ritenuta quella usata da san Pietro. Nulla però fa supporre che fosse la cattedra lignea che viene conservata nella Basilica vaticana, tanto più che per l’uso liturgico la sedia papale, trasportata per esempio nelle processioni stazionali, doveva essere un piccolo seggio mobile: solo quando i papi si insedieranno nel palazzo del Laterano si comincerà a parlare di un trono, legato all’insediamento del nuovo pontefice e garanzia della sua legittimità.

Notizie invece che riguardano la sedia lignea esistente in Vaticano risalgono all’incoronazione imperiale di Carlo il Calvo, avvenuta il 25 dicembre 875 per mano del papa Giovanni VIII. L’imperatore si era probabilmente portato dietro per la solenne cerimonia uno splendido trono imperiale, che lo rappresentava in effigie, e ne fece verosimilmente dono al Papa, insieme con altri oggetti di valore che furono offerti in onore di san Pietro, come attestano fonti franche, cioè gli Annali Bertiniani e Vedastini. Dal secolo X viene attestata l’usanza, dopo l’elezione del papa e la sua consacrazione, di una sua intronizzazione che avveniva nella Basilica vaticana, usanza che per alcuni secoli seguenti diventerà un atto costitutivo della procedura per l’elezione del papa. Nel 1037 alla parola intronizzare viene aggiunta, in una bolla papale, quella di incattedrare: un’endiadi rafforzativa o una cerimonia di natura diversa e che dice riferimento alla cattedra lignea?

Difficile pronunciarsi anche perché gli avvenimenti drammatici del papato e di Roma nel secolo XI impedirono lo svolgimento in San Pietro del rito liturgico dell’insediamento del pontefice. Sarà un canonico di San Pietro, di nome Benedetto, il primo a lasciarci, nel 1140, descrivendo le cerimonie liturgiche che si svolgevano nella Basilica, uno speciale riferimento alla cattedra lignea, adoperata in occasione della festa della Cattedra del 22 febbraio per l’incensazione all’altare sopra la tomba dell’apostolo: afferma che il papa deve sedere in cattedra durante la messa, un seggio diverso quindi dalla sede marmorea che si trovava nell’abside. Questo uso che si faceva di una cattedra mobile lignea sulla tomba dell’apostolo, ben attestato nel secolo seguente, fu certamente l’inizio della sua esaltazione e probabilmente della sua identificazione, attraverso un lento processo di attribuzione, con il seggio usato da san Pietro: dal 1237 la sedia lignea verrà chiamata espressamente Cattedra di san Pietro.

Durante il secolo XIII la cattedra perderà d’importanza, perché le elezioni papali avvenivano spesso fuori Roma, ma ormai il culto si era affermato: in un documento del 1350 si parla della consuetudine, riguardante i canonici di San Pietro, di accendere in diverse occasioni delle candele dinanzi alla cattedra e di distribuirle poi al clero e al popolo.

La cattedra veniva portata anche in processione all’interno della Basilica: per tale uso fu allora costruito un rivestimento ligneo che ricopriva quasi interamente l’antico trono. Pur non raggiungendo mai la celebrità della reliquia della Veronica, la cattedra divenne oggetto di venerazione popolare: non più quindi soltanto simbolo del papato, ma preziosa reliquia in se stessa. E si diffuse l’uso di cinture di stoffa (
brandea o mensure) che venivano fatte accostare alla cattedra, come già si faceva nell’alto Medioevo per la tomba della confessione, per poi applicarle a parti doloranti del corpo e ottenerne guarigione. Quando poi nel 1543 il riformatore ginevrino Giovanni Calvino negò il valore della cattedra, nell’intento di affermare che l’unico potere nella Chiesa era quello del ministero della Parola senza alcuna potestà ecclesiastica costituita, tale negazione portò paradossalmente maggior prestigio alla cattedra perché si tornò ad associare più fortemente la reliquia al suo valore simbolico di potestà papale.


Nel 1574 la cattedra fu rimossa dalla vecchia Basilica, ma non trovò subito un’adeguata sistemazione nella nuova San Pietro e finì in una cappella laterale, chiusa in un ampio armadio a porta. Ma il culto popolare non diminuì, favorito anche da uno speciale cerimoniale stabilito dai canonici vaticani: soprattutto nelle feste solenni della Cattedra, il 18 gennaio e il 22 febbraio, veniva estratta di buon mattino dal suo ripostiglio e collocata su una predella davanti al coro e poi portata solennemente in processione all’altare maggiore su un palco, dove i fedeli potevano accostarsi per far toccare le mensure e altri oggetti alla reliquia, affinché si impregnassero della sua virtù taumaturgica. Nel 1630 Urbano VIII pose il problema della sistemazione definitiva della cattedra nella nuova Basilica e incaricò Gian Lorenzo Bernini di approntare una custodia confacente. Fu però Alessandro VII a stabilire che fosse collocata definitivamente nell’abside tra i monumenti funerari di Paolo III e Urbano VIII: lì il Bernini progettò e fece realizzare il monumento reliquiario, che esaltava la Cathedra Petri, simbolo dei poteri papali, riconosciuti dai suoi massimi dottori dell’Oriente e dell’Occidente cristiani. La cattedra lignea scomparve così nel grande monumento berniniano e perse il suo fascino popolare di antica reliquia per cedere il posto alla sua esaltazione simbolica.

Ci fu un improvviso e imprevisto crollo del culto: si continuò ad estrarla nelle solennità omonime, ma l’impresa non era né facile né agevole. Fu anche proposto di apportare modifiche al monumento berniniano, ma non se ne fece nulla, finché nel 1681 si decise di non esporla più. Un’ostensione straordinaria fu quella del 1705, quando Clemente XI ne fece eseguire, sotto la direzione dell’architetto Carlo Fontana, una riproduzione fedele, oggi visibile nel Museo storico artistico del Capitolo vaticano. Altra estrazione della cattedra dalla custodia bronzea è avvenuta alla fine del XVIII secolo per iniziativa di Pio VI.


Un particolare della monumentale custodia realizzata da Gian Lorenzo Bernini nell’abside della Basilica di 
San Pietro per custodire la cattedra lignea

Un particolare della monumentale custodia realizzata da Gian Lorenzo Bernini nell’abside della Basilica di San Pietro per custodire la cattedra lignea

L’ultima esposizione della cattedra vaticana è avvenuta nel 1867, dal 28 giugno al 9 luglio, in occasione delle feste centenarie di san Pietro, volute da Pio IX: essa fu traslata dal monumento berniniano sull’altare della Madonna gregoriana e richiamò un flusso notevole di fedeli. Ma al di là di un certo interesse culturale oltre che devozionale, nulla si poté approfondire dal punto di vista archeologico nei riguardi della reliquia petrina. Solo un secolo dopo, nel 1968, la richiesta degli studiosi di procedere ad esami più approfonditi in considerazione dell’alto valore storico e artistico dell’oggetto, fu accolta da Paolo VI.

Estratta nuovamente dal monumento berniniano il 26 novembre e portata nel locale attiguo alla sacrestia dei canonici, il 30 dicembre si poté procedere ad un esame strutturale delle parti lignee, distinguendo la sedia interna, di acacia nerastra, da quella esterna di sostegno e protezione, di quercia giallastra, e da essa facilmente sfilabile. Inoltre si poterono constatare i danni arrecati dall’usura del tempo e le varie riparazioni apprestate nei secoli, sia prima che dopo l’ingabbiatura della cattedra nel rivestimento ligneo di quercia. E furono anche rilevate le misure esatte: larghezza di cm 85,50 sia della faccia anteriore che posteriore e cm 65 di quelle laterali, l’altezza di cm 75,60 dei montanti anteriori e di cm 107,50 di quelli posteriori, ai quali si aggiunge il timpano alto cm 29,50.


Furono anche effettuati in seguito due tipi di analisi per una probabile datazione: la prima di carattere dendrocronologico, l’altra con il metodo del carbonio 14. Nel primo caso, limitatamente a una tavoletta facente parte del timpano e presupponendo che fosse stata lavorata quercia caducifoglia, verosimilmente rovere o farnia, ancora fresca, si giunse a fissare l’età del reperto tra l’870 e l’880 d.C.; mentre dal secondo tipo di analisi, alcuni tipi di legni (quelli di sostegno delle formelle, di cui una fu provvisoriamente distaccata il 30 ottobre 1969 per procedere a tale analisi) sono risultati di alcuni secoli più antichi e quelli ritenuti invece propri della struttura originaria della sedia di un’età più tarda rispetto a quella del supposto trono carolingio. L’intervallo di tempo indicato dalle diverse datazioni è risultato comunque troppo ampio per procedere ad una corretta e concorde indicazione cronologica.

La decorazione in avorio che abbellisce la cattedra è costituita da fregi, che ornano i montanti, le traverse e lo schienale, e da dodici formelle. Queste ultime, lavorate con differente tecnica e sensibilità rispetto ai fregi, sono da considerarsi un’aggiunta posteriore. I fregi delle traverse e dei montanti, in campo traforato e racchiusi da fasce o strette cornici lisce, sono costituiti da figurazioni di esseri mostruosi semiumani e semibestiali che combattono tra loro. I fregi della traversa orizzontale del timpano invece mostrano nella parte centrale il busto di un sovrano con corona regale, che nella mano sinistra tiene un globo e nella destra un piccolo scettro. Non c’è dubbio, anche per un raffronto con analoghe rappresentazioni, che si tratti del re Carlo il Calvo, contornato da due angeli alati in tunica lunga fino ai piedi, che recano ciascuno nelle mani una corona simile a quella che porta il sovrano. Questo gruppo centrale è contornato da scene di combattimenti e da simboli cosmici. La decorazione in girali di acanto è di tradizione classica mentre la rappresentazione di animali ed esseri fantastici è tipica dell’epoca carolingia: gli artisti (più di uno, data la diversità delle tecniche dell’esecuzione), appartenenti tutti probabilmente alla scuola di Metz, città dove Carlo il Calvo ricevette la corona di Lorena, hanno comunque realizzato i fregi ripensandoli concettualmente e stilisticamente con spirito lontano da quello classico.

Le dodici formelle in avorio, che decorano la fronte del sedile, applicate su una tavoletta di legno di quercia di cm 68 per 38, non sono tutte della stessa grandezza: sei sono più grandi, di formato di circa cm 23 per 11, in doppio riquadro, e sei più piccole, di circa cm 14 per 10. Appaiono disposte senza ordine e alcune addirittura capovolte: tutte e dodici rappresentano le fatiche di Ercole, ma nel secondo riquadro di quelle più grandi, che costituiscono la parte inferiore del complesso, sono rappresentati cinque esseri mostruosi fantastici e uno scorpione. La figura di Ercole è sempre leggermente incavata, riempita forse in origine di laminette auree che ne disegnavano la figura, che ora risulta solo dal contorno senza particolari anatomici, mentre gli avversari di Ercole, sia esseri umani che animali con gli elementi decorativi accessori, e i mostri sono minutamente e finemente incisi nei particolari. La tecnica dell’incisione e del ravvivamento dell’avorio con altro materiale di colore era tipica dell’Egitto e della Nubia, ma il modo di rendere gli elementi paesistici trova facile confronto con le miniature di alcuni manoscritti del periodo carolingio.
L’origine quindi delle formelle, ma anche la loro primitiva destinazione rimangono incerte: probabilmente ornavano un mobile o una cassa e solo posteriormente sono state applicate alla cattedra.

La tarda antichità e l’alto Medioevo ci hanno lasciato nella cattedra lignea di san Pietro un documento di grande valore artistico e storico, che ha assunto col tempo anche valore di reliquia divenendo oggetto di culto e che, pur senza porre una stretta connessione concettuale con l’oggetto materiale in sé, rimane il simbolo del magistero papale.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Di Cristina Siccardi da: Corrispondenza Romana
                              





Per ricordare lo stabilirsi del Cristianesimo in Oriente e in Occidente il Martirologio Romano celebra il 22 febbraio la festa liturgica della Cattedra di san Pietro ad Antiochia e il 18 gennaio quella della Cattedra di San Pietro a Roma. La riforma del calendario ha unificato le due commemorazioni al 22 febbraio, quando si fa memoria della peculiare missione affidata da Gesù Cristo a Pietro.

La festa, spiega il Messale Romano, «con il simbolo della Cattedra pone in rilievo la missione di maestro e di pastore conferita da Cristo a Pietro, da lui costituito, nella sua persona e in quella dei successori, principio e fondamento visibile dell’unità della Chiesa». Il Papa, in qualità di Vicario di Cristo, risponde direttamente al Capo della Chiesa, che appartiene esclusivamente al Figlio di Dio: «Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam» (Mt. 16, 18), e dalla Cattedra di san Pietro si fa portavoce degli insegnamenti del Re che rappresenta. Tali insegnamenti sono stati consegnati dal Salvatore direttamente a san Pietro e si trasmettono grazie alla Tradizione, che tutti i Papi, di fronte alla Trinità, sono tenuti a ritrasmettere a loro volta.

La Cathedra Petri non è soltanto un concetto, ma un cimelio-reliquia, un vero e proprio trono ligneo risalente al IX secolo, donato nell’875 dal Re dei Franchi Carlo il Calvo (823-877) a Papa Giovanni VIII (820 ca.-882) in occasione della sua discesa a Roma per la propria incoronazione a Imperatore. Il seggio veniva utilizzato dal Papa per uso liturgico ed era simbolo esplicito dell’autorità del Papa e della sua legittimità di Pontefice. Esso viene conservato all’interno dello splendido monumento realizzato da Lorenzo Bernini (1598-1680) per desiderio di Papa Alessandro VII (1599-1667) e poi collocato nell’abside della Basilica vaticana il 17 gennaio del 1666. La Cattedra fu oggetto, per secoli, di venerazione da parte di fedeli e pellegrini, ma in seguito, sottratta agli occhi dei devoti, ha perso la sua popolarità e il suo culto.

Alquanto significativo è il fatto che la festa della Cattedra di san Pietro era già in uso a Roma nel 336, anche se la sua origine e celebrazione non hanno alcun riferimento alla Cattedra materiale, perché esprimeva ed esprime tuttora la potestà di Pietro, radicata in Roma e lasciata ai suoi successori: la sede petrina è riferimento di unità per tutta la Chiesa, secondo l’iscrizione che Papa san Damaso (305 ca.-384) dettò per il fonte battesimale del Vaticano: «Una Petri sedes unum verumque lavacrum vincula nulla tenet quem liquor iste lavat» («V’è un’unica Cattedra di Pietro ed un unico vero lavacro, non più alcun vincolo tiene chi da quest’onda è lavato»).

Quando nel 1543 Calvino negò il valore intrinseco della Cattedra, dichiarando che l’unico potere nella Chiesa è quello del ministero della Parola senza alcuna potestà ecclesiastica costituita, la Cattedra lignea acquisì un deciso incremento devozionale, proprio perché la Cathedra Petri rappresentava i poteri pontifici, riconosciuti dai suoi massimi Dottori della Chiesa, dell’Oriente e dell’Occidente. Ma quando la Cattedra lignea scomparve dalla vista, improvviso ed imprevisto fu il crollo del suo culto.

L’ultima esposizione della Cattedra vaticana ai fedeli è avvenuta nel 1867 (dal 28 giugno al 9 luglio), in occasione delle feste centenarie di San Pietro, volute dal beato Pio IX (1792-1878): fu traslata dal monumento berniniano sull’altare della Madonna gregoriana. Mentre nel 1968 Paolo VI (1897-1978) diede il permesso ad alcuni studiosi di procedere ad esami approfonditi sul sacro oggetto. Estratta nuovamente dal monumento il 26 novembre, fu portata nel locale attiguo alla sacrestia dei canonici e il 30 dicembre si procedette ad un esame strutturale delle parti lignee, distinguendo la sedia interna, di acacia nerastra, da quella esterna di sostegno e protezione, di quercia giallastra. Si constatarono i danni arrecati dall’usura del tempo, le varie riparazioni apportate lungo i secoli e vennero precisati datazione e dimensioni. Chissà se un giorno questo cimelio sacro tornerà ad essere mostrato e venerato?

Il seggio papale indica inequivocabilmente la posizione superiore del Papa nel collegio apostolico, dimostrata dalla esplicita volontà di Gesù nei suoi confronti, che assegna proprio e soltanto a Simon Pietro il compito di «pascere» le Sue «pecorelle» (Gv. 21, 15-23). Per ben tre volte gli domandò: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Con i tre terribili interrogativi, che Cristo rivolse ad un Pietro sconcertato e dolente, termina il racconto divino del Vangelo di san Giovanni. Tre domande che la Cattedra di San Pietro continua a rievocare a chi la eredita.



 

[Modificato da Caterina63 20/02/2014 23:17]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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