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In tempo di crisi: il Papa e le banche nel III secolo

Ultimo Aggiornamento: 06/02/2009 15:09
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Economia del III secolo

Papa Callisto e la banca fallita


di Silvia Guidi

Uno sguardo ai libri contabili di una banca del III secolo, un'epoca di crisi che mostra dei sorprendenti punti in comune con la nostra; grazie al lavoro di ricerca del gesuita Francesco Paolo Rizzo - il suo articolo, "Un esempio di banca nella Chiesa antica", sarà pubblicato sul numero in uscita de "La Civiltà Cattolica" - sarà possibile farsi un'idea del sistema finanziario ed economico del tempo a partire dalla fine del ii secolo.

Gli episodi narrati si riferiscono in particolare all'età di Commodo (180-193) e della dinastia dei Severi (193-235), in concomitanza con i pontificati di Vittore (189-199), Zefirino (199-217) e Callisto (217-222). Ne offre lo spunto un testo patristico di grande interesse, i Philosophoumena (o Confutazione di tutte le eresie), là dove si narra la vicenda legata al fallimento di una banca. All'interno del composito corpus ippoliteo, quest'opera viene attribuita a Ippolito Romano, e questo ben si accorderebbe con lo spirito astioso che la pervade nei confronti del protagonista, quel Callisto divenuto poi Papa proprio in concorrenza con lo stesso Ippolito. Questa particolarità riveste importanza anche ai fini di una equilibrata interpretazione delle accuse esagerate che l'autore muove all'illustre avversario.

"Callisto era schiavo di un certo Carpoforo, cristiano facente parte della casa di Cesare - si legge all'inizio del testo - e giacché anche Callisto era cristiano, il padrone gli affidò una somma considerevole di denaro (...) con questi soldi fondò una banca nel quartiere della Piscina pubblica. Dopo un po' di tempo, grazie al credito di cui godeva Carpoforo, ricevette numerosi depositi da parte delle vedove e dei fratelli".

Fin qui il racconto può essere preso alla lettera. Carpoforo e la piscina sono perfettamente attestati:  il primo è il M. Aurelius Carpophorus citato in una testimonianza epigrafica; la seconda sorgeva nella parte sud di Roma tra la Porta Ardeatina e la Porta Ostiense. Le altre circostanze rispondono pienamente al costume invalso fra i cristiani di affidare a schiavi la conduzione delle proprie istituzioni bancarie.

Carpoforo era un cristiano liberto della casa di Commodo; Callisto era il suo institor, termine con cui nel diritto romano si indicava il soggetto che il dominus preponeva con espressa volontà alla gestione di un proprio esercizio commerciale, conservandone in solidum la responsabilità di fronte ai terzi.

"Avendo però sperperato tutto quel denaro - scrive Ippolito - Callisto si trovò in difficoltà. Mise allora al corrente della situazione Carpoforo, il quale gli chiese di fargli vedere i libri contabili, cosa che preoccupò a tal punto lo schiavo da indurlo a tentare la fuga. Ma poi fu consegnato al suo padrone e da lui riportato a Roma e gettato in un mulino, a girare la mola".

In verità, proprio nel periodo di Commodo, era tutt'altro che improbabile che una banca fallisse. Ciò si verificava indipendentemente dall'eventuale cattivo comportamento di chi la gestiva ed era conseguenza della congiuntura oggettivamente difficile provocata dalle riduzioni del contenuto argenteo del denarius. Tali riduzioni, infatti, producevano effetti negativi nelle operazioni correnti di una banca, consistenti principalmente nel ricevere denari in deposito e nel prestarne.

E giacché tratto caratteristico dell'epoca era il fatto che il valore reale delle somme non andasse intaccato, ne conseguiva che le banche si trovassero costrette a garantire i depositi con una quantità superiore di moneta divisionale, e a pretendere tassi di interesse sempre più alti dai debitori. Era quasi sempre inevitabile, pertanto, andare incontro al malcontento dei clienti, ragione per cui il padrone dell'institor era obbligato a mostrare al giudice i registri contabili, pena un procedimento giudiziario (la actio institoria).

Chiarito tutto questo, è facile capire come nel racconto di Ippolito la verità venisse mescolata a interpretazioni gratuite (sperpero dei depositi e atteggiamento punitivo del padrone):  le avventurose scene della fuga probabilmente ingigantivano il semplice fatto che Callisto avesse pensato di cambiare per qualche tempo aria, e le lunghe filippiche moraleggianti presenti nel testo hanno lo scopo di togliere credibilità alle capacità imprenditoriali di cui Callisto sembrò presto dar prova nel sovrintendere a quelle catacombe che porteranno poi il suo nome, e che Ippolito menziona come occasione di disonesti ricavi.

In realtà proprio il grande successo dell'impresa cimiteriale si doveva - e Ippolito lo sapeva bene - in primo luogo alle elargitiones delle ricchissime donne di rango senatorio e dei facoltosi uomini di affari che la Chiesa cominciò proprio in quel periodo ad annoverare in larga misura fra i propri adepti.

E da parte di Callisto non mancò certo l'accortezza di impiegare nel modo migliore quel denaro:  si pensi soltanto ai buoni acquisti di terreni da lui realizzati per le sepolture. Nella difficile contingenza economica, il tema dell'elemosina suonava alle orecchie dei ricchi convertiti come un'esortazione a non attribuire un valore assoluto al denaro:  la speculazione bancaria lo mandava in fumo, l'egoistico accumulo privato ne faceva un peso per l'anima, soltanto la destinazione caritativa lo rendeva prezioso.

Al tempo di Callisto per mezzo di questa saggezza si operava quella che è forse da ritenersi la più grande rivoluzione economica registrata nell'antichità:  un'economia del tutto estranea allo Stato, sia quanto alla provenienza delle entrate, sia quanto alla loro destinazione, che faceva perno sulle elargitiones e si riversava nei settori più sofferenti della vita civile e sociale, generalmente ignorati dalle autorità.
A Callisto la storia deve riconoscerne gran parte del merito.



(©L'Osservatore Romano - 6 febbraio 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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