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Enciclica sui PRECETTI CRISTIANI di Leone XIII e sulla ricerca dell'autentica LIBERTA'

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2018 17:17
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11/08/2010 09:20
 
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libertà vo cercando, ch'è sì cara

LIBERTAS

LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

La libertà, nobilissimo dono di natura, proprio unicamente di creature dotate d’intelletto e di ragione, attribuisce all’uomo la dignità di essere "in mano del proprio arbitrio" e di essere padrone delle proprie azioni. Tuttavia è molto importante stabilire in che modo tale dignità debba manifestarsi, poiché dall’uso della libertà possono derivare grandi vantaggi ma anche grandi mali. Infatti è facoltà dell’uomo ubbidire alla ragione, seguire il bene morale, tendere direttamente al suo fine ultimo. Ma egli può anche deviare verso tutt’altri scopi e, perseguendo false immagini del bene, può turbare l’ordine prestabilito e precipitare in volontaria rovina. Gesù Cristo, liberatore del genere umano, restaurando ed elevando la primitiva dignità di natura, giovò moltissimo alla volontà dell’uomo e la innalzò verso miglior segno, ora soccorrendola con la sua grazia, ora proponendo la sempiterna felicità nei cieli.

Per tale motivo la Chiesa cattolica ha giovato e gioverà sempre a questo eccellente bene di natura, poiché è sua missione diffondere in tutto il corso dei secoli i benefici recati a noi da Gesù Cristo. Eppure sono molti coloro che considerano la Chiesa contraria alla libertà umana. La causa di tale pregiudizio proviene da un perverso e confuso concetto di libertà, che viene snaturato nella sua essenza o allargato più del giusto, in modo da coinvolgere situazioni nelle quali l’uomo non può essere libero, se si vuol giudicare rettamente.

In altre occasioni, e soprattutto nella Enciclica Immortale Dei, discorremmo delle cosiddette libertà moderne, facendo distinzione tra ciò che è onesto e il suo contrario; dimostrammo ad un tempo che ciò che vi è di buono in quelle libertà è tanto antico quanto la verità e che la Chiesa lo ha sempre favorevolmente approvato e messo in pratica. Ciò che vi aggiunse di nuovo, a dire il vero, consiste nella parte più corrotta che provenne da tempi turbolenti e da eccessiva brama di novità. Ma poiché vi sono molti che si ostinano nella opinione che quelle libertà, anche quando siano segnate dal male, sono da considerare come il sommo vanto della nostra età e il necessario fondamento delle formazioni statali, così che, senza di quelle, negano che si possa concepire un perfetto governo dello Stato, Ci sembra sia necessario trattare specificamente tale argomento, avendo come obiettivo il pubblico bene.

Noi perseguiamo direttamente la libertà morale, sia che riguardi le singole persone, sia il civile consorzio. Prima però è opportuno trattare brevemente della libertà naturale poiché, sebbene si distingua affatto da quella morale, tuttavia costituisce la fonte e il principio donde scaturisce spontaneamente ogni forma di libertà. La ragione e il generale senso comune, autentica voce di natura, riconoscono la libertà soltanto in quegli esseri che sono dotati d’intelligenza o di razionalità, e in ciò sta il motivo per cui l’uomo è considerato giustamente responsabile delle sue azioni. Infatti, mentre gli altri animali sono guidati soltanto dai sensi e per solo istinto di natura cercano ciò che loro giova, e fuggono da quanto loro nuoce, l’uomo invece ha come guida la ragione nelle singole vicende della vita. La ragione giudica se tutti e i singoli beni che esistono sulla terra hanno o non hanno carattere di necessità e perciò, constatando che nessuno di essi è da considerare necessario, concede alla volontà il potere di scegliere ciò che preferisce.

Ma l’uomo può giudicare il carattere contingente (come suol dirsi) dei beni sopraddetti per il motivo che ha un’anima semplice per natura, spirituale, dotata di pensiero; e proprio perché siffatta, non trae origine dalla materia né dipende da essa per sussistere, ma creata direttamente da Dio e trascendendo di gran lunga la comune condizione dei corpi, ha un suo proprio genere di vita e di azione; ne deriva che, conosciute le immutabili e necessarie ragioni del vero e del bene, si rende conto che quei beni particolari non sono necessari. Pertanto, quando si stabilisce che l’anima umana è separata da ogni concrezione mortale e ha facoltà di pensare, nello stesso tempo si colloca la naturale libertà sul suo più saldo fondamento.

Invero, la natura semplice, spirituale e immortale dell’anima umana, e la libertà non sono state proclamate a gran voce, né con maggiore costanza da nessuno come dalla Chiesa cattolica, la quale insegnò in ogni tempo l’uno e l’altro principio e lo sostenne come un dogma. Non solo: contro i predicatori di eresie e i fautori di nuove dottrine, la Chiesa assunse il patrocinio della libertà e preservò dalla distruzione un così grande bene dell’uomo. A questo proposito, opere letterarie testimoniano con quale vigore essa respinse gl’insani attacchi dei Manichei e di altri; nessuno ignora con quanto zelo e con quanta energia, in epoca più recente, sia nel Concilio di Trento, sia poi contro i seguaci di Giansenio, essa abbia combattuto a favore del libero arbitrio dell’uomo, non consentendo in alcun tempo o in alcun luogo che potesse sussistere il fatalismo.

Pertanto la libertà, come abbiamo detto, appartiene a coloro che sono dotati di ragione o d’intelligenza; se si considera la sua natura, essa non è altro che la facoltà di scegliere i mezzi idonei allo scopo che ci si è proposti, in quanto chi ha la facoltà di scegliere una cosa tra molte, è padrone dei propri atti. Invero, poiché ogni cosa che sia assunta come causa di desiderio, ha carattere di bene che prende il nome di utile, il bene è tale per natura in quanto sollecita un desiderio e perciò il libero arbitrio appartiene alla volontà, o piuttosto è la volontà stessa, in quanto nell’agire ha facoltà di scelta. Ma la volontà non si manifesta, se prima non si accese la cognizione intellettuale, quasi come una fiaccola; cioè, il bene desiderato dalla volontà, è necessariamente un bene in quanto riconosciuto tale dalla ragione. Tanto più che in tutti gli atti volontari, la scelta è sempre preceduta dal giudizio sulla verità dei beni e sul bene da anteporre agli altri. Nessun filosofo dubita che l’atto di giudicare appartenga alla ragione e non alla volontà. Dunque, se la libertà è tutt’uno con la volontà che per sua natura è desiderio sottomesso alla ragione, ne consegue che anch’essa, come la volontà, inclini al bene conforme a ragione.

Sennonché, poiché entrambe le facoltà sono lontane dalla perfezione, può accadere, e spesso accade, che la mente proponga alla volontà ciò che in realtà non è affatto un bene, ma ha solo un’apparenza di bene e che ad esso la volontà si adegui. Ma come la possibilità di errare, e l’errare di fatto, è un vizio che denuncia l’imperfezione della mente, similmente l’appigliarsi a beni fallaci e apparenti è una prova di libero arbitrio, come la malattia è prova di vita, e tuttavia denota un vizio di libertà. Così la volontà, in quanto dipende dalla ragione, quando desidera alcunché di difforme dalla retta ragione, inquina profondamente la libertà e fa un uso perverso di essa. Per questo motivo Dio infinitamente perfetto, essendo sommamente intelligente e solo bontà, è anche sommamente libero e perciò in nessun modo può volere il male della colpa; né lo possono i beati celesti in quanto contemplano il bene supremo. Saggiamente Agostino ed altri, contro i Pelagiani, avvertivano che se il sottrarsi al bene era conforme alla natura e alla perfezione della libertà, allora Dio, Gesù Cristo, gli Angeli, i Beati, nei quali non sussiste quel potere, o non sarebbero liberi o certamente lo sarebbero meno perfettamente dell’uomo pellegrino e imperfetto. Su questo argomento il Dottore Angelico disserta spesso ampiamente e da lui si può evincere che la facoltà di peccare non significa libertà ma schiavitù.

Acutamente egli dice, commentando le parole di Gesù Cristo "chiunque commette il peccato è schiavo del peccato" (Gv 8,34): "Ogni cosa è ciò che le conviene secondo la propria natura. Quando dunque è mossa per impulso estraneo, non agisce in modo autonomo, ma per influenza altrui, cioè servilmente. Ora, l’uomo è ragionevole per natura. Quando dunque agisce secondo ragione, agisce di propria iniziativa e secondo la propria natura: questa è libertà. Quando invece commette peccato, agisce contro ragione e allora egli è sospinto quasi da un altro e imprigionato entro limiti altrui; "perciò chiunque commette il peccato è schiavo del peccato"". Questa verità era stata individuata chiaramente anche dagli antichi filosofi, e soprattutto da coloro che per principio ritenevano essere libero soltanto il sapiente; definivano sapiente, come è noto, chi avesse appreso a vivere costantemente secondo natura, cioè onestamente e virtuosamente.

Poiché tale è nell’uomo la condizione della libertà, era necessario proteggerla con idonei e saldi presidi che indirizzassero al bene tutti i suoi impulsi e la ritraessero dal male; altrimenti il libero arbitrio avrebbe recato grave danno all’uomo. Dapprima fu necessaria la legge, vale a dire una norma che regolasse le azioni e le omissioni; legge che in senso proprio non può esistere tra gli animali che agiscono per necessità comunque si comportino: agiscono per impulso di natura e non possono seguire altro modo di agire. Invece, coloro che godono della libertà, hanno facoltà di agire, di non agire, di agire in un modo o altrimenti poiché scelgono ciò che vogliono, facendo precedere quel giudizio razionale a cui già accennammo. In virtù di tale giudizio non solo si stabilisce che cosa sia onesto e che cosa sia turpe, ma anche che cosa in concreto sia il bene da compiere e il male da evitare; la ragione cioè prescrive alla volontà ove dirigere il desiderio e da dove rimuoverlo, in modo che l’uomo possa raggiungere il suo fine ultimo, in vista del quale si deve agire in ogni momento. Ora, questo ordinamento della ragione si chiama legge.

Perciò la causa prima della necessità della legge va ricercata, come in radice, nello stesso libero arbitrio dell’uomo, ossia nel fatto che le nostre volontà non siano in disaccordo con la retta ragione. Nulla si potrebbe dire o pensare di più perverso e assurdo che il considerare l’uomo esente da legge in quanto libero per natura: se così fosse, ne conseguirebbe che per essere libero dovrebbe sottrarsi alla ragione; invece è assai evidente che deve sottostare alla legge proprio perché libero per natura. Dunque la legge è guida all’uomo nell’azione, e con premi e castighi lo induce al ben fare e lo allontana dal peccato. Sovrana su tutto: tale è la legge naturale, scritta e scolpita nell’anima di ogni uomo, poiché essa non è altro che l’umana ragione che ci ordina di agire rettamente e ci vieta di peccare.

Invero questa norma della ragione umana non può avere forza di legge se non perché è voce ed interprete di una ragione più alta, a cui devono essere soggette la nostra mente e la nostra libertà. La forza della legge infatti consiste nell’imporre doveri e nel sancire diritti; perciò si fonda tutta sull’autorità, ossia sul potere di stabilire i doveri e di fissare i diritti, nonché di sanzionare tali disposizioni con premi e castighi; è chiaro che tutto ciò non potrebbe esistere nell’uomo, se, legislatore sommo di se stesso, prescrivesse a sé la norma delle proprie azioni. Dunque ne consegue che la legge di natura sia la stessa legge eterna, insita in coloro che hanno uso di ragione, e che per essa inclinano all’azione e al fine dovuto: essa è la medesima eterna ragione di Dio creatore e reggitore dell’intero universo.

A questa regola nell’agire e alle remore nel peccare sono stati aggiunti, per grazia di Dio, altri speciali soccorsi, adattissimi a rafforzare e a regolare la volontà umana. Sovrasta tra essi ed eccelle la virtù della divina grazia; essa illumina la mente; sospinge sempre la volontà, rinvigorita da salutare costanza, verso il bene morale; rende più facile e insieme più sicuro l’uso della libertà naturale. È ben lontano dalla verità il supporre che l’intervento di Dio renda meno liberi gl’impulsi volontari: infatti è intima nell’uomo e conforme alle sue naturali inclinazioni la forza della divina grazia, poiché deriva dallo stesso Autore dell’anima e della volontà nostra; da Lui ogni cosa è mossa in conformità della propria natura. Anzi, la grazia divina, come afferma il Dottore Angelico, per il motivo che deriva dal Creatore della natura, è mirabilmente concepita ed idonea a tutelare ogni creatura, a conservare i costumi, la forza, l’efficienza degl’individui.

Quanto si è detto circa la libertà dei singoli uomini può essere facilmente riferito agli uomini tra loro uniti in civile consorzio. Infatti, ciò che la ragione e la legge naturale operano nei singoli uomini, del pari agisce nella società la legge umana promulgata per il bene comune dei cittadini. Tra le leggi degli uomini alcune riguardano ciò che per natura è bene o male; esse, corredate dalla debita sanzione, insegnano a seguire l’uno e a fuggire l’altro. Ma siffatte disposizioni non traggono origine dalla società umana, poiché come la stessa società non ha generato la natura umana, così del pari non crea il bene che conviene alla natura, né il male che ripugna alla natura; piuttosto precorrono la stessa società civile e sono assolutamente da ricondurre alla legge naturale e perciò alla legge eterna. Dunque i precetti di diritto naturale contenuti nelle leggi umane, non hanno solo la forza di legge umana ma soprattutto comprendono quell’autorità molto più alta e molto più augusta che proviene dalla stessa legge di natura e dalla legge eterna. In questo genere di leggi, il dovere del legislatore civile è comunemente quello di condurre all’obbedienza i cittadini, dopo aver adottato una comune disciplina, reprimendo i malvagi inclini ai vizi, affinché, distolti dal male, perseguano la rettitudine o almeno non siano d’impedimento e danno alla società.

Invero, altre ordinanze del potere civile non derivano subito e direttamente dal diritto naturale, ma da più lontano e in modo obliquo, e definiscono varie questioni che la natura non ha definito se non in generale e in modo indeterminato. Così la natura comanda che i cittadini contribuiscano alla tranquillità e alla prosperità pubblica: ma quanto, come, in quali occasioni non è stabilito da natura, bensì dalla saggezza degli uomini. Ora, in queste particolari regole di vita suggerite dalla prudenza della ragione e introdotte dal legittimo potere, consiste la legge umana propriamente detta. Questa legge impone a tutti i cittadini di concorrere al fine indicato dalla società e vieta di abbandonarlo; la stessa legge, finché segue dolcemente e consenziente i dettami di natura, conduce alla rettitudine e distoglie dal male. Da quanto detto si comprende che sono tutte riposte nella eterna legge di Dio la norma e la regola della libertà dei singoli individui, non solo, ma anche della comunità e delle relazioni umane.

Dunque nella società umana la libertà nel vero senso della parola, non è riposta nel fare ciò che piace, nel qual caso subentrerebbe il maggior disordine che si risolverebbe nella oppressione della cittadinanza, ma consiste nel vivere agevolmente in virtù di leggi civili ispirate ai dettami della legge eterna. D’altra parte la libertà di coloro che governano non risiede nel poter comandare in modo sconsiderato e capriccioso, il che sarebbe parimenti dannoso e deleterio per lo Stato: per contro, la forza delle leggi umane deve derivare dalla legge eterna e non deve sancire alcuna norma che sia estranea ad essa, fonte del diritto universale. Scrive il sapientissimo Agostino : "Penso che in quella (legge) temporale tu non possa vedere alcunché di giusto e di legittimo che gli uomini non abbiano derivato a proprio beneficio da questa (legge) eterna". Se dunque un qualunque potentato sancisce una norma che sia in contrasto con i principi della retta ragione e sia funesto per lo Stato, essa non ha nessuna forza di legge, poiché non è regola di giustizia e allontana gli uomini dal bene, per il quale la società è nata.

Pertanto la natura della libertà umana, comunque la si consideri, tanto nelle persone singole quanto consociate, e non meno in coloro che comandano come in coloro che ubbidiscono, presuppone la necessità di ottemperare alla suprema ed eterna ragione, che altro non è se non l’autorità di Dio che comanda e vieta. Questa sacrosanta sovranità di Dio sugli uomini è ben lontana dal sopprimere la libertà o dal limitarla in alcun modo, tanto che, se mai, la protegge e la perfeziona. Infatti la vera perfezione di tutte le creature consiste nel perseguire e conseguire il proprio fine; il fine supremo a cui deve tendere la libertà umana, è Dio.

La Chiesa, ammaestrata dagli esempi e dalla sapienza del divino Fondatore, ovunque diffuse e affermò questi precetti di una veritiera e sublime dottrina, da noi conosciuta soltanto alla luce della ragione; né mai desistette dal prenderli a norma della propria missione e di inculcarli nei popoli cristiani. Per quanto riguarda i costumi, le leggi evangeliche non solo sovrastano di gran lunga tutta la sapienza pagana, ma apertamente chiamano ed educano l’uomo a una santità ignota agli antichi, e nell’avvicinarlo a Dio lo rendono capace di più perfetta libertà. Pertanto apparve sempre grandissima l’influenza della Chiesa nel custodire e proteggere la libertà civile e politica dei popoli. A tal riguardo, non è questo il momento di enumerare i suoi meriti. Basti ricordare l’abolizione della schiavitù, antica vergogna delle genti pagane, soprattutto per opera ed interessamento della Chiesa. Primo fra tutti, Gesù Cristo affermò l’imparzialità del diritto e la vera fratellanza tra gli uomini: a Lui fece eco la voce dei suoi Apostoli, per cui non esiste né Giudeo, né Greco, né Barbaro, né Sciita, ma tutti sono fratelli in Cristo. A questo proposito è tanto grande e tanto conosciuta la forza della Chiesa, che in qualunque plaga della terra imprima la sua orma, è certo che i rozzi costumi non possono resistere a lungo; in breve la mansuetudine dovrà succedere alla crudeltà, la luce della verità alle tenebre della barbarie. Parimenti la Chiesa non desistette mai dal recare grandi benefici ai popoli ingentiliti dalla civiltà, o resistendo all’arbitrio dei prepotenti o allontanando le offese dal capo degli innocenti e dei più deboli, o infine facendo in modo che prevalesse l’ordinamento statale preferito dai cittadini per la sua equità, e temuto dagli stranieri per la sua potenza.

Inoltre, uno dei doveri più ragionevoli sta nel rispettare l’autorità e nell’obbedire alle leggi giuste: ne deriva che i cittadini sono tutelati contro la violenza dei malvagi, dall’equità e dalla vigilanza delle leggi. Il potere legittimo deriva da Dio e chi resiste al potere, resiste all’ordine di Dio; in tal modo l’obbedienza acquista molto in nobiltà, divenendo ossequio verso un’autorità giustissima ed elevata in sommo grado. Invero, dove il diritto di comandare è assente o dove si prescrive alcunché di contrario alla ragione, alla legge eterna, alla sovranità di Dio, è giusto non obbedire agli uomini per obbedire a Dio. Precluso in tal modo l’adito alla tirannide, lo Stato non dovrà avocare tutto a sé: sono salvi i diritti dei singoli cittadini, della famiglia, di tutti i componenti la società, concedendo ampiamente a tutti la vera libertà che consiste, come dimostrammo, nel poter vivere ciascuno secondo le leggi e la retta ragione.



 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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