n on serve inorridire né tantomeno indignarsi dinanzi alla nuova ferula donata a Papa Francesco. Ferula che non sappiamo, e neppure ci interessa più di tanto saperlo, se il Papa userà stabilmente o meno.  In realtà il problema resta sempre il medesimo: quel “tragico” assente o, se preferite, quel “tragico assente”, il Crocifisso. L’opera dell’orefice Maurizio Lauri è espressione di una serie di equivoci. Vediamo quali.

1. L’equivoco dell’equo-solidale: che la famiglia Colaiacovo, proprietaria di una delle prime tre aziende cementifere italiane, abbia deciso di implementare tecnologie rispettose dell’ambiente per estrarre oro in una valle di cui ha ottenuto in concessione 10.500 ettari, grazie anche all’interessamento del Card. Maradiaga, è un fatto sicuramente interessante. Ma interessa il mercato e le sue regole, non la Chiesa né tantomeno l’etica cattolica. Il belletto dell’equo solidale infatti è utile a vendere quest’oro e.g. a Cartier; così, quando la milionaria sessantenne acquisterà il suo gioiello da svariate migliaia di euro potrà non sentirsi in colpa con le sue amiche: “sai cara, questo è oro equo-solidale!”. Ma sulla bolla dell’equo solidale ha già espresso il suo valido parere Serge Latouche. Inutile dilungarsi.

2. La nuova ferula non fa altro poi che riproporre al massimo livello della Cattolicità errori e vezzi dell’artigianato seriale e devozionale che si incontra nelle bancarelle di San Giovanni Rotondo, nelle librerie Paoline o nello shopping online di ebay. Quel Cristo risorto sì, ma sulla croce. Un modo per edulcorare il tragico insito nella crocifissione e nei patimenti di Cristo che non a caso furoreggia non solo fra il popolino cattolico – che pure non avrebbe nulla da obiettare in merito alle piaghe della Passione – ma anche nelle chiese di periferia. Fateci caso: da almeno vent’anni in numerose chiese di periferia si assiste alla progressiva sostituzione del Cristo crocifisso, con nuove iconografie. Si va dal Cristo appeso direttamente al muro, senza la croce, al Cristo semplicemente risorto, al Cristo risorto sulla croce.

3. Il kitsch. Il kitsch cattolico è un interessante modello perché combina non solo espressioni “popolari” di arte o artigianato, quanto stili riprodotti con dubbia cura e affiancati con nonchalance. In questo caso abbiamo uno splendido Cristo risorto dalle movenze ducrotiane che tuttavia ricorda altre immagini note realizzate secondo lo stesso schema. A questo Cristo si sovrappone una ferula che non si sa se sia più degna del Mago Otelma o di Gandalf il Bianco.

In sintesi si riproduce una modalità di guardare alla Croce che nega inconsapevolmente la Croce stessa. Vogliamo vedere un Cristo bello, vitale, salvatore, potente, gioioso, glorioso. Ma sembriamo non voler capire che quella bellezza, quella vitalità, quella capacità di salvare, quella potenza, gioia e gloria vengono dalla Croce, vengono dalla sofferenza, dal sangue, dalle piaghe, vengono dalla morte. Questo cattolicesimo edulcorato potrà anche essere affascinante e di sicuro appeal, ma in ogni caso rischia di annullarsi da solo, perché se non comprendiamo l’origine della salvezza e non contempliamo la sua dura prova, non capiamo più né il senso del peccato, né quello della redenzione. Sempre ammesso che la cosa ci interessi ancora…

In copertina: Tiziano Vecellio, Crocifisso dell’Escorial. L’opera commissionata da Carlo V manifesta pienamente il senso del “tragico” cattolico. Non ci mostra né un Cristo muscolare e atletico, riproduzione di qualche antico Apollo, né tantomeno un gotico Cristo la cui sofferenza e le cui piaghe rasentano la deformità. Il dolore e la tragedia assurgono qui ad una nuova dimensione che coinvolge l’intero creato. E Cristo è solo, di una solitudine solenne e drammatica. Il Suo volto ci è nascosto dall’ombra della morte. Senza contemplare la morte per Croce di Cristo come potremmo comprendere la salvezza che quel sacrificio ci ha dischiuso?