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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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I Messaggi del Papa al Mondo e sui temi sociali

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2013 16:35
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Messaggio del Papa alla Chiesa brasiliana: La vera pace è frutto della giustizia


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI FEDELI BRASILIANI IN OCCASIONE DELLA CAMPAGNA DI FRATERNITÀ 2009, 25.02.2009

Ha inizio oggi, mercoledì delle Ceneri, l’annuale Campagna di Fraternità della Chiesa in Brasile, dedicata quest’anno al tema "Fraternità e sicurezza pubblica" ed accompagnata dal motto "La pace è frutto della giustizia".
Per l’occasione, il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato a S.E. Mons. Geraldo Lyrio Rocha, Presidente della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB) e Arcivescovo di Mariana, il Messaggio che pubblichiamo di seguito:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Diamo di seguito una nostra traduzione in lingua italiana.

Al Venerabile Fratello nell'Episcopato
Gerardo Lyrio Rocha
Presidente della cnbb
Arcivescovo di Mariana (MG)


Nell'iniziare l'itinerario spirituale della Quaresima, il cammino della Pasqua della resurrezione del Signore, desidero ancora una volta aderire alla Campagna della Fraternità che, in questo anno 2009, è volta a esaminare il motto "La pace è frutto della giustizia". È un tempo di conversione e di riconciliazione di tutti i cristiani, affinché le aspirazioni più nobili del cuore umano possano essere soddisfatte e prevalga la vera pace fra i popoli e le comunità.

Il mio venerabile predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nella Giornata Mondiale della Pace 2002, sottolineando che la vera pace è frutto della giustizia, faceva notare che "la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta", dovendo essere "esercitata e in un certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati" (n. 3).

Il documento finale di Aparecida, nel parlare del Regno di Dio e la promozione della dignità umana, ricordava i segni evidenti della presenza del Regno nell'esperienza personale e comunitaria delle Beatitudini, nell'evangelizzazione dei poveri, nella conoscenza e nel compimento della volontà del Padre, nel martirio a causa della fede, nell'accesso di tutti ai beni del creato, e nel perdono reciproco, sincero e fraterno, accettando e rispettando la ricchezza della pluralità, e la lotta per non soccombere alla tentazione e non essere schiavi del male (n. 8.1).

La Quaresima ci invita a lottare senza perderci d'animo per fare il bene, proprio perché sappiamo com'è difficile che noi uomini decidiamo seriamente di praticare la giustizia, e manca ancora molto perché la convivenza s'ispiri alla pace e all'amore, e non all'odio e all'indifferenza. Non ignoriamo neppure che, sebbene si riesca a ottenere una ragionevole distribuzione dei beni e un'armoniosa organizzazione della società, non scomparirà mai il dolore della malattia, dell'incomprensione o della solitudine, della morte delle persone che amiamo, dell'esperienza dei nostri limiti.

Nostro Signore aborre le ingiustizie e condanna chi le commette. Rispetta però la libertà di ogni individuo e per questo permette che esistano, poiché fanno parte della condizione umana, dopo il peccato originale. Tuttavia, il suo cuore pieno di amore per gli uomini lo ha portato ad accogliere, insieme alla croce, di tutti questi tormenti: la nostra sofferenza, la nostra tristezza, la nostra fame e sete di giustizia. Gli chiediamo di saper testimoniare i sentimenti di pace e di riconciliazione che lo hanno ispirato nel Discorso della Montagna, per raggiungere l'eterna Beatitudine
. [SM=g1740721]

Con questi auspici, invoco la protezione dell'Altissimo, affinché la sua mano benefica si estenda su tutto il Brasile, e la vita nuova in Cristo raggiunga tutti nella loro dimensione personale, familiare, sociale e culturale, spargendo i doni della pace e della prosperità, risvegliando in ogni cuore sentimenti di fraternità e di viva cooperazione. Con una speciale Benedizione Apostolica.

BENEDICTUS PP. XVI

[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/11/2009 02:00
 
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Nel venticinquesimo del trattato tra Argentina e Cile il Papa ribadisce che la pace si fonda su salde convinzioni morali

Violenza e guerra non sono mezzi
per risolvere le controversie




Benedetto XVI torna a denunciare la "barbarie" e l'"assurdità" della violenza e della guerra come mezzi per risolvere le controversie internazionali. Lo fa durante l'udienza alle delegazioni di Argentina e Cile ricevute sabato mattina, 28 novembre, in occasione del venticinquesimo anniversario del trattato di pace e di amicizia tra le due nazioni.


Di seguito una nostra traduzione italiana del discorso del Papa.

Signore Presidenti
di Argentina e Cile,
Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell'Episcopato,
Signori Ambasciatori,
Amici tutti,

1. Con sommo piacere vi ricevo e vi do il benvenuto in questa Sede di Pietro, in occasione della celebrazione del 25º anniversario del Trattato di Pace e Amicizia, che ha posto fine alla controversia territoriale che i vostri rispettivi Paesi hanno mantenuto per lungo tempo nella zona australe. Di fatto, è un'opportuna e felice commemorazione di quegli intensi negoziati che, con la mediazione pontificia, si conclusero con una soluzione degna, ragionevole ed equanime, evitando così il conflitto armato che stava per contrapporre due popoli fratelli.

2. Il Trattato di Pace e Amicizia, e la mediazione che lo rese possibile, è inscindibilmente legato all'amata figura di Papa Giovanni Paolo II, il quale, mosso da sentimenti di affetto verso quelle amate Nazioni, e in sintonia con il suo instancabile lavoro di messaggero e artefice di pace, non esitò ad accettare il delicato e cruciale compito di essere mediatore in quel contenzioso. Con l'inestimabile aiuto del Cardinale Antonio Samoré, seguì personalmente tutte le vicissitudini di quei lunghi e complessi negoziati, fino alla definizione della proposta che portò alla firma del Trattato, alla presenza delle delegazioni di entrambi i Paesi, e dell'allora segretario di Stato di Sua Santità e Prefetto del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, il Cardinale Agostino Casaroli.

L'intervento pontificio fu anche una risposta a un'espressa richiesta degli Episcopati di Cile e Argentina, i quali, in comunione con la Santa Sede, offrirono la loro decisiva collaborazione per il raggiungimento di tale accordo. Bisogna inoltre essere grati per gli sforzi di tutte le persone che, nei Governi e nelle delegazioni diplomatiche di entrambi i Paesi, diedero il loro positivo contributo per portare avanti quel cammino di risoluzione pacifica, realizzando così i profondi aneliti di pace della popolazione argentina e di quella cilena.

3. A venticinque anni di distanza, possiamo constatare con soddisfazione come quello storico evento abbia contribuito beneficamente a rafforzare in entrambi i Paesi i sentimenti di fraternità, come pure una più decisa cooperazione e integrazione, concretizzata in numerosi progetti economici, scambi culturali e importanti opere di infrastruttura, superando in tal modo pregiudizi, sospetti e reticenze del passato. In realtà, il Cile e l'Argentina non sono solo due Nazioni vicine ma molto di più: sono due popoli fratelli con una vocazione comune di fraternità, di rispetto e di amicizia, che è frutto in gran parte della tradizione cattolica che è alla base della loro storia e del loro ricco patrimonio culturale e spirituale.

L'evento che oggi commemoriamo fa già parte della grande storia di due nobili Nazioni, ma anche di tutta l'America Latina. Il Trattato di Pace e Amicizia è un esempio luminoso della forza dello spirito umano e della volontà di pace di fronte alla barbarie e all'assurdità della violenza e della guerra come mezzo per risolvere le divergenze. Ancora una volta, occorre tener presente le parole che il mio Predecessore, Papa Pio xii, pronunciò in un momento particolarmente difficile della storia: "Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra" (Radiomessaggio, 24 agosto 1939). È quindi necessario perseverare in ogni momento, con volontà ferma e fino alle estreme conseguenze, nel cercare di risolvere le controversie con vera volontà di dialogo e di accordo, attraverso pazienti negoziati e necessari impegni, e tenendo sempre conto delle giuste esigenze e dei legittimi interessi di tutti.

4. Affinché la causa della pace si faccia strada nella mente e nel cuore di tutti gli uomini e, in modo particolare, di quelli che sono chiamati a servire i propri concittadini dalle più alte magistrature delle nazioni, è necessario che si fondi su salde convinzioni morali, nella serenità degli animi, a volte tesi e polarizzati, e nella ricerca costante del bene comune nazionale, regionale e mondiale. Il conseguimento della pace, in effetti, richiede la promozione di un'autentica cultura della vita, che rispetti pienamente la dignità dell'essere umano, unita al rafforzamento della famiglia come cellula primaria della società. Richiede anche la lotta contro la povertà e la corruzione, l'accesso a un'educazione di qualità per tutti, una crescita economica solidale, il consolidamento della democrazia e lo sradicamento della violenza e dello sfruttamento, soprattutto nei riguardi delle donne e dei bambini.

5. La Chiesa cattolica, che continua sulla terra la missione di Cristo, il quale con la sua morte sulla croce portò la pace al mondo (cfr Ef 2, 14-17), non smette di proclamare a tutti il suo messaggio di salvezza e di riconciliazione e, unendo i suoi sforzi a quelli di tutti gli uomini di buona volontà, si dedica con impegno a realizzare le aspirazioni di pace e di concordia di tutta l'umanità.
Eccellentissime Signore Presidenti, cari amici, ringraziandovi nuovamente per la vostra significativa visita, rivolgo il mio sguardo al Cristo delle Ande, sulla cima della Cordigliera, e gli chiedo che, come dono costante della sua grazia, suggelli per sempre la pace e l'amicizia fra argentini e cileni, e, nello stesso tempo, come pegno del mio affetto vi imparto una speciale Benedizione Apostolica.






Da Argentina e Cile un gesto di gratitudine
verso il Papa e la Santa Sede




Benedetto XVI ha ricevuto stamane, sabato 28 novembre, i presidenti delle Repubbliche argentina e cilena, Cristina Fernández de Kirchner e Michelle Bachelet, in visita in Vaticano per ringraziare la Santa Sede del ruolo di mediazione svolto venticinque anni fa, in occasione della firma del Trattato di Pace e Amicizia tra i due Paesi.

Le prime due donne elette democraticamente alla massima carica istituzionale dei due Paesi latinoamericani, il 30 ottobre scorso hanno sottoscritto il Trattato di Maipú, un accordo di integrazione e cooperazione che conferma lo spirito positivo nelle relazioni tra Argentina e Cile sancito il 29 novembre 1984 nella Sala Regia del Palazzo Apostolico.

A bordo di un'unica vettura, sulla quale sventolavano le bandierine di entrambe le nazioni, i due presidenti sono giunti intorno alle 11 al Cortile di San Damaso, dov'era ad attenderli il prefetto della Casa Pontificia, arcivescovo James Michael Harvey, che li ha presentati ai Gentiluomini di Sua Santità e accompagnati alla Seconda Loggia.

Qui hanno avuto luogo due udienze separate. Il Papa ha dapprima accolto il presidente di Argentina nella Biblioteca privata, per un colloquio protrattosi venti minuti, mentre il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, riceveva nella Sala d'Angolo il presidente del Cile. Successivamente, sempre per venti minuti, il Pontefice si è intrattenuto nella biblioteca con il capo di Stato cileno, mentre quello argentino incontrava il cardinale Bertone.

Nel corso dei cordiali colloqui - riferisce un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede - si è ricordata con gratitudine la meritoria opera di mediazione compiuta da Giovanni Paolo II e dal compianto cardinale Antonio Samorè, i quali aiutarono i due Paesi, attraverso la via del dialogo, a dissipare un'annosa controversia territoriale. In particolare, ci si è soffermati sul fatto che, nel corso di questo quarto di secolo, l'intesa ha portato frutti concreti di bene e di prosperità a due popoli fratelli e continua a essere d'esempio e di modello per i Paesi dell'America Latina e per l'intera comunità internazionale. Non è mancato uno scambio di vedute sull'attuale situazione nel mondo.

Infine, nella Sala Clementina, Benedetto XVI ha ricevuto in un'unica udienza i due presidenti con le rispettive delegazioni. Accompagnato dal prefetto Harvey, dal vescovo Paolo De Nicolò, reggente della Prefettura, e da monsignor Georg Gänswein, segretario particolare, il Papa ha fatto il suo ingresso accolto dall'applauso dei presenti.

Hanno inoltre partecipato all'incontro nella Clementina il segretario di Stato vaticano, con i cardinali Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio, Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e Achille Silvestrini, prefetto emerito; gli arcivescovi Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, e Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati; il vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali; e, tra gli altri, i monsignori Peter Brian Wells, assessore per gli Affari generali; Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati; Fortunatus Nwachukwu, capo del Protocollo; Guillermo Karcher, del protocollo della Segreteria di Stato; Nicolas Henry Marie Denis Thevenin e Lech Piechota, segretari particolari del segretario di Stato.

Dopo aver pronunciato il discorso, il Pontefice ha ricevuto il saluto dei membri delle due delegazioni presidenziali. Tra i ventinove di quella argentina, il ministro degli Esteri Jorge Enrique Taiana, l'ambasciatore presso la Santa Sede Juan Pablo Cafiero, l'arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, José Maria Arancedo, vice presidente della Conferenza episcopale, il segretario generale della Confederazione del lavoro, Hugo Moyano, e una rappresentante delle vedove di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto. Tra i 27 di quella cilena, il ministro degli Esteri Mariano Fernández, l'ambasciatore presso la Santa Sede Pablo Cabrera, il cardinale Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo di Santiago de Chile, il vescovo di Rancagua Alejandro Goic Karmelic, presidente della Conferenza episcopale, due rappresentanti dell'associazionismo per i diritti umani, Ana González e Viviana Díaz.

Quindi ha avuto luogo lo scambio di doni tra il Pontefice e i capi di Stato, che hanno offerto un medaglione sul quale sono ritratti i profili di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, con lo sguardo rivolto sul disegno dei due Paesi.

Dopo essersi congedati, i due presidenti sono scesi dalla Scala Nobile al cortile di San Damaso, da dove hanno raggiunto largo Braschi. Accolti dal cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica di San Pietro, hanno partecipato a un momento di preghiera nelle Grotte Vaticane, conclusosi con la deposizione di due corone di fiori sulla tomba del servo di Dio Giovanni Paolo II. "Un gesto di sentita gratitudine - ha spiegato il cardinale Comastri - verso un vero artefice della pace. Un pastore che avvertì come propria la necessità di pace dei due popoli, e che, con un amore appassionato per Dio e per gli uomini, scelse come norma di condotta la frase evangelica "beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio"".

Lasciata la basilica i due capi di Stato, in automobile, hanno visitato i Giardini Vaticani, quindi hanno raggiunto le rispettive delegazioni nella Casina Pio IV. Ad attenderle i vertici della Segreteria di Stato, i cardinali Sodano e Sandri, ai quali si sono uniti il cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, con il segretario generale, arcivescovo Carlo Maria Viganò; il cancelliere delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali - che hanno la loro sede proprio nella Casina - e rappresentanti diplomatici di Paesi dell'Unione delle nazioni sudamericane (Unasur).

Nella sala delle conferenze il cardinale Tarcisio Bertone ha rivolto un discorso ai due capi di Stato, che hanno risposto sottolineando la gratitudine dei loro popoli verso il Papa e la Santa Sede. Al termine, nella sala attigua hanno scoperto la targa marmorea commemorativa del xxv anniversario della firma del Trattato di pace e di amicizia tra Argentina e Cile.

Il discorso del cardinale Tarcisio Bertone durante l'incontro nella Casina Pio IV

Esempio di buonsenso
e di volontà pacificatrice




"Un esempio di buonsenso e di volontà pacificatrice" offerto al mondo: così il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha sottolineato il valore del Trattato di pace e amicizia tra Argentina e Cile durante l'incontro con le delegazioni dei due Paesi svoltosi al termine dell'udienza nella Casina Pio IV.

Eccellentissime Signore Presidenti di Argentina e Cile,
Eminenze Reverendissime,
Cari Fratelli nell'Episcopato,
Eccellentissimi Signori Ambasciatori,
Cari amici,
Il 18 ottobre 1984, in questo stesso luogo della Casina Pio IV, alla presenza del Cardinale Agostino Casaroli, fu consegnato ai Rappresentanti delle Delegazioni delle Repubbliche di Argentina e Cile il testo ufficiale del Trattato che, per la risoluzione del contenzioso australe, era stato previamente concordato in diverse sessioni di studio.

In seguito, il 29 novembre di quello stesso anno, nell'incomparabile cornice della Sala Regia del Palazzo Apostolico, fu firmato il suddetto Trattato di Pace e Amicizia che, sotto l'egida morale della Santa Sede, poneva fine a tale controversia.

Nella giornata odierna, trascorsi venticinque anni da quello storico Trattato, desideriamo rendere omaggio a tutte quelle persone che, con generosa dedizione e ferma volontà di pace, riuscirono a portarlo felicemente a termine, nonostante le difficoltà in apparenza insormontabili che si presentarono lungo il loro cammino. Ricordiamo, in particolare, l'amato Papa Giovanni Paolo II che, confidando nella grande esperienza diplomatica e nella prudenza del Cardinale Antonio Samorè, avviò il processo di mediazione, come risposta alla richiesta degli Episcopati argentino e cileno, i quali si fecero così interpreti dell'angoscia e dell'inquietudine sia dei fedeli delle loro rispettive Chiese locali sia della popolazione in generale di entrambi i Paesi. Dobbiamo altresì riconoscere il lavoro determinante dei membri dei due Governi e delle loro rispettive delegazioni diplomatiche, che, in un momento di particolare gravità e tensione, offrirono al mondo un esempio di buonsenso e di volontà pacificatrice.

Il Cile e l'Argentina, sebbene separati fisicamente dalle Ande, sono due nazioni sorelle strettamente unite da un identico patrimonio religioso, culturale e linguistico. Questa insondabile ricchezza spirituale, insieme all'incrollabile anelito di pace, d'integrazione e di concordia dei loro popoli, è la base di questo storico Trattato di Pace e Amicizia. In effetti il testo dell'Accordo inizia con le parole: "Nel nome di Dio Onnipotente", alludendo così a quel tesoro comune di fede e di valori morali che costituisce una continua fonte d'ispirazione per non lasciarsi vincere dagli ostacoli, né permettere che le discordie, la rivalità e la chiusura abbiano l'ultima parola, ma che l'abbia l'instancabile perseveranza nella ricerca della convivenza, del rispetto e dell'intesa reciproca.

Signore Presidenti, vorrei concludere rinnovando l'impegno della Santa Sede a continuare a offrire il suo sincero e umile apporto a tutto ciò che contribuirà a incrementare e a consolidare i frutti del Trattato di Pace e Amicizia che oggi commemoriamo, auspicando inoltre che il clima di cooperazione e la concordia raggiunta nell'area australe si estendano a tutto il Continente americano e al mondo intero.





(©L'Osservatore Romano - 29 novembre 2009)





[Modificato da Caterina63 30/11/2009 02:05]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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L'auspicio di Benedetto XVI durante l'udienza a otto nuovi Ambasciatori

Accordi internazionali vincolanti
per la salvaguardia dell'ambiente


Il Papa ribadisce la forza di riconciliazione e di pace delle religioni

Accordi internazionali vincolanti per la salvaguardia dell'ambiente sono stati auspicati dal Papa durante l'incontro con otto nuovi Ambasciatori, che giovedì mattina, 17 dicembre, hanno presentato le lettere con cui vengono accreditati presso la Santa Sede. Durante l'udienza, svoltasi nella Sala Clementina, il Pontefice ha ricevuto le Credenziali da ciascun Ambasciatore, alla presenza del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato. Con ogni rappresentante ha poi scambiato i testi dei discorsi che tradizionalmente vengono pronunciati durante l'udienza. Infine, rivolgendosi agli Ambasciatori, ai loro collaboratori e ai familiari, ha pronunciato il seguente discorso.


**********************************************

Di seguito pubblichiamo una nostra traduzione italiana del discorso pronunciato dal Papa durante l'udienza a otto nuovi Ambasciatori, che nella mattina di giovedì 17 dicembre hanno presentato le lettere credenziali.

Signori Ambasciatori,
Sono lieto di ricevervi questa mattina nel Palazzo Apostolico. Siete venuti qui per presentarmi le Lettere che vi accreditano come Ambasciatori straordinari e plenipotenziari dei vostri rispettivi Paesi:  la Danimarca, l'Uganda, il Sudan, il Kenya, il Kazakhstan, il Bangladesh, la Finlandia e la Lettonia.

Siate i benvenuti e vogliate gentilmente presentare i miei cordiali saluti ai vostri capi di Stato ringraziandoli per le parole cortesi che avete avuto la gentilezza di trasmettermi da parte loro. Formulo voti deferenti per l'Alta Missione al servizio del loro Paese. Desidero anche salutare, attraverso di voi, le Autorità civili e religiose delle vostre nazioni, come pure tutti i vostri concittadini. Vogliate assicurarli della mia preghiera. Il mio pensiero si rivolge anche naturalmente alle comunità cattoliche presenti nei vostri Paesi. Voi sapete che esse desiderano unirsi fraternamente all'edificazione nazionale, alla quale contribuiscono al meglio delle loro possibilità.
 
Nella mia ultima Enciclica, Caritas in veritate, ho ricordato la necessità di ristabilire un giusto rapporto fra l'uomo e il creato in cui egli vive e opera. Il creato è il dono prezioso che nella Sua bontà Dio ha fatto agli uomini. Essi ne sono gli amministratori e devono dunque assumersi tutte le conseguenze di questa responsabilità. Gli uomini non possono rifiutarla né evitarla riversandola sulle generazioni future.

Diviene evidente che questa responsabilità ambientale non può essere opposta all'urgenza di porre fine agli scandali della miseria e della fame. Non è più possibile, al contrario, dissociare queste due realtà, poiché il degrado continuo dell'ambiente costituisce una minaccia diretta alla sopravvivenza dell'uomo e al suo stesso sviluppo; e rischia persino di minacciare direttamente la pace fra le persone e i popoli.
Sia a livello individuale sia sul piano politico, è ormai necessario assumere impegni più decisi e più largamente condivisi nei confronti del creato. In tal senso, incoraggio vivamente le Autorità politiche dei vostri rispettivi Paesi, e dell'insieme delle Nazioni, non solo a rafforzare la loro azione a favore della salvaguardia dell'ambiente, ma anche - poiché il problema non può essere affrontato unicamente a livello di ogni singolo Paese - a essere una forza di proposta e d'incitamento, al fine di giungere ad accordi internazionali vincolanti, che siano utili e giusti per tutti.

Le sfide a cui l'umanità deve oggi far fronte richiedono certamente una mobilitazione delle menti e della creatività dell'uomo, un'intensificazione della ricerca applicata in vista di una più efficace e più sana utilizzazione delle energie e delle risorse disponibili. Questi sforzi non possono dispensare da una conversione o da una trasformazione del modello di sviluppo attuale delle nostre società.

La Chiesa propone che questo cambiamento profondo, che è da scoprire e da vivere, sia orientato dalla nozione di sviluppo integrale della persona umana. In effetti, il bene dell'uomo non consiste in un consumismo sempre più sfrenato e nell'accumulazione illimitata di beni, consumismo e accumulazione riservati a un piccolo numero di persone e proposti come modelli alla massa. A tale proposito, spetta non solo alle diverse religioni sottolineare e difendere il primato dell'uomo e dello spirito, ma anche allo Stato. Quest'ultimo ha il dovere di farlo, soprattutto attraverso una politica ambiziosa che favorisca per tutti i cittadini - in ugual modo - l'accesso ai beni dello spirito. In effetti essi valorizzano la ricchezza del legame sociale e incoraggiano l'uomo a proseguire la sua ricerca spirituale.
 
La scorsa primavera, durante il mio viaggio apostolico in vari Paesi del Medio Oriente, ho proposto in più occasioni di considerare la religione, in generale, come "nuovo inizio" per la pace. È vero che nella storia le religioni sono state spesso un fattore di conflitto. Ma è anche vero che le religioni vissute secondo la loro essenza profonda sono state e sono una forza di riconciliazione e di pace. In questo momento storico le religioni devono anche, attraverso il dialogo franco e sincero, cercare il cammino della purificazione per corrispondere sempre più alla loro vera vocazione.

La nostra umanità desidera la pace e, se possibile, la pace universale. Occorre tendervi senza utopia e senza manipolazioni. Noi tutti sappiamo che la pace per stabilirsi ha bisogno di condizioni politiche ed economiche, culturali e spirituali. La coesistenza pacifica delle diverse tradizioni religiose all'interno di ogni nazione è talvolta difficile. Più che un problema politico, questa coesistenza è anche un problema che si pone all'interno di esse stesse. Ogni credente è chiamato a interrogare Dio sulla Sua volontà rispetto a ogni situazione umana.

Riconoscendo Dio come l'unico creatore dell'uomo - di ogni uomo, quali che siano la sua confessione religiosa, la sua condizione sociale o le sue opinioni - ognuno rispetterà l'altro nella sua unicità e nella sua diversità. Non esiste dinanzi a Dio nessuna categoria o gerarchia di uomo, inferiore o superiore, dominante o protetto. Per Lui esiste solo l'uomo che ha creato per amore e che vuole veder vivere, in famiglia e in società, in un'armonia fraterna. La scoperta del saggio progetto di Dio per l'uomo porta quest'ultimo a riconoscere il Suo amore. Per l'uomo di fede o per l'uomo di buona volontà, la risoluzione dei conflitti umani, come la delicata coabitazione delle diverse religioni, può trasformarsi in una coesistenza umana in un ordine pieno di bontà e di saggezza che ha la sua origine e il suo dinamismo in Dio.

Questa coesistenza nel rispetto della natura delle cose e della sua saggezza intrinseca che viene da Dio - la tranquillitas ordinis - si chiama pace. Il dialogo interreligioso apporta il suo contributo specifico a questa lenta genesi che sfida gli interessi umani immediati, politici ed economici. È a volte difficile per il mondo politico ed economico dare all'uomo il primo posto; e gli risulta ancora più difficile considerare e ammettere l'importanza e la necessità della dimensione religiosa e garantire alla religione la sua vera natura e il suo posto nel versante pubblico.

La pace, tanto desiderata, nascerà solo dall'azione congiunta dell'individuo - che scopre la sua vera natura in Dio - e dei dirigenti delle società civili e religiose che - nel rispetto della dignità e della fede di ognuno - sapranno riconoscere e conferire alla religione il suo nobile e autentico ruolo di realizzazione e di perfezionamento della persona umana. Si tratta qui di una ricomposizione globale, nello stesso tempo dell'ambito temporale e di quello spirituale, che permetterà un nuovo inizio verso la pace che Dio desidera universale.
 
Signori Ambasciatori, la vostra missione presso la Santa Sede è appena cominciata. Presso i miei collaboratori troverete il sostegno necessario per il suo felice compimento. Vi porgo nuovamente i miei auguri più cordiali per l'eccellente riuscita della vostra tanto delicata funzione. Possa l'Onnipotente sostenere e accompagnare voi, i vostri familiari, i vostri collaboratori e tutti i vostri concittadini!

Che Dio vi colmi dell'abbondanza delle sue Benedizioni!


(©L'Osservatore Romano - 18 dicembre 2009)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/07/2010 17:45
 
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COMUNICATO: TEMA DELLA 44a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE: “LIBERTÀ RELIGIOSA, VIA DELLA PACE”

COMUNICATO: TEMA DELLA 44a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2011) , 13.07.2010

«Libertà religiosa, via per la pace ». Questo il tema scelto da Benedetto XVI per la celebrazione della Giornata Mondiale per la Pace del 2011. La giornata – che si celebra dal 1968 il primo giorno di ogni anno – porrà dunque l’accento sul tema della libertà religiosa. Ciò, mentre nel mondo si registrano diverse forme di limitazione o negazione della libertà religiosa, di discriminazione e marginalizzazione basate sulla religione, fino alla persecuzione e alla violenza contro le minoranze.

La libertà religiosa, essendo radicata nella stessa dignità dell’uomo, ed orientata alla ricerca della « immutabile verità », si presenta come la « libertà delle libertà ». La libertà religiosa è quindi autenticamente tale quando è coerente alla ricerca della verità e alla verità dell’uomo.

Questa impostazione ci offre un criterio fondamentale per il discernimento del fenomeno religioso e delle sue manifestazioni. Essa consente infatti di escludere la « religiosità » del fondamentalismo, della manipolazione e della strumentalizzazione della verità e della verità dell’uomo. Poiché tutto ciò che si oppone alla dignità dell’uomo si oppone alla ricerca della verità, e non può essere considerato come libertà religiosa. Essa ci offre inoltre una visione profonda della libertà religiosa, che amplia gli orizzonti di « umanità » e di « libertà » dell’uomo, e consente a questo di stabilire una relazione profonda con se stesso, con l’altro e con il mondo. La libertà religiosa è in questo senso una libertà per la dignità e per la vita dell’uomo.

Come hanno insegnato i Padri del Concilio Vaticano II infatti: « Dio rende partecipe l’essere umano della sua legge, cosicché l’uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l’immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa » (Dichiarazione Dignitatis Humanae, 3). Una vocazione questa che va quindi riconosciuta come diritto fondamentale dell’uomo, presupposto per lo sviluppo umano integrale (Caritas in veritate, 29) e condizione per la realizzazione del bene comune e l’affermazione della pace nel mondo.

Come ha affermato lo stesso Benedetto XVI all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: « i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente » (Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, 18 aprile 2008).

Un tema attuale, quello scelto per la Giornata Mondiale del 2011, e che rappresenta il compimento di un « cammino della pace » nel quale Benedetto XVI ha preso per mano l’umanità, conducendola passo dopo passo ad una riflessione sempre più profonda.

Dal 2006 ad oggi i temi sono stati:
la verità (« Nella verità, la pace », 2006),
la dignità della persona umana ( «La persona umana, cuore della pace », 2007),
l’unità della famiglia umana (« Famiglia umana, comunità di pace », 2008),
la lotta contro la povertà (« Combattere la povertà, costruire la pace», 2009)
e infine la custodia del creato (« Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato », 2010).

Un percorso che affonda le radici nella vocazione alla verità dell’uomo (capax Dei), e che, avendo come stella polare la dignità umana, giunge alla libertà di ricercare la verità stessa.

Oggi sono molte le aree del mondo in cui persistono forme di limitazione alla libertà religiosa, e ciò sia dove le comunità di credenti sono una minoranza, sia dove le comunità di credenti non sono una minoranza, eppure subiscono forme più sofisticate di discriminazione e di marginalizzazione, sul piano culturale e della partecipazione alla vita pubblica civile e politica. « È inconcepibile – ha rimarcato Benedetto XVI – che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva » (Discorso alle nazioni Unite, cit.)

L’uomo non può essere frammentato, diviso da ciò che crede, perché quello in cui crede ha un impatto sulla sua vita e sulla sua persona. « Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto – per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone – privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona » (Discorso alle Nazioni Unite, cit.). Per questo: « Libertà religiosa, via per la pace ».

Bollettino Ufficiale Santa Sede
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il messaggio di Benedetto XVI: la sorgente di ogni libertà (Piero Coda)

La sorgente di ogni libertà

Il messaggio di Benedetto XVI

Piero Coda – preside dell’Istituto universitario Sophia

La pace e la libertà religiosa camminano insieme”. Si potrebbe sintetizzare con queste parole il forte e attualissimo
messaggio che Benedetto XVI lancia alla comunità internazionale in occasione della celebrazione della Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2011. Il fatto è che mai come oggi il mondo ha bisogno di pace. I terribili episodi di persecuzione, di violenza e d’intolleranza religiosa che hanno insanguinato gli ultimi mesi dell’anno lo stanno a testimoniare. Basti pensare all’efferato attacco, il 31 ottobre scorso, contro i cristiani raccolti nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad, in Iraq. Ed è proprio questo lancinante bisogno di pace e questa inaudita furia omicida che denunciano l’urgente bisogno di Dio, spesso camuffato o represso, che sale dal nostro mondo. Bisogno di Dio, sì, perché solo in Lui è la nostra vera pace: quella che, invadendo il cuore e illuminando la mente, ispira pensieri e progetti efficaci di verità e di giustizia. Ma perché il bisogno di Dio possa trovare risposta, è necessario garantire e promuovere ovunque quella libertà che permette d’incontrare e riconoscere il Suo volto per camminare sotto il Suo sguardo e guardare agli altri e al nostro comune destino con la volontà tenace e perseverante di realizzare solo e sempre ciò che è buono e conforme al Suo disegno d’amore.
Ecco perché la libertà religiosa – argomenta con vigore Benedetto XVI, rilanciando l’insegnamento del Concilio Vaticano II – è “via alla pace”. Non si tratta di un di più che ci può essere o no: la libertà religiosa, infatti, “è radicata nella dignità stessa della persona umana”. L’uomo trova se stesso solo quando sperimenta lo stupore di vedersi guardato, sostenuto e indirizzato dall’amore di Dio. È di fronte a Dio, nel libero e insondabile colloquio di risposta al Suo amore, che l’uomo scopre la sua straordinaria vocazione. Tra tutti i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona umana, la libertà religiosa gode perciò di uno statuto singolare. Di tali diritti e di tali libertà è in qualche modo la sorgente, la garanzia e “la cartina di tornasole”, come scriveva Giovani Paolo II. Si tratta di un bene essenziale, di un’acquisizione della civiltà politica e giuridica cui la coscienza umana è pervenuta con sicura certezza nel nostro tempo, non senza la luce ad essa venuta dalla rivelazione cristiana.

A motivo di questa nativa singolarità, che la eleva a baluardo di difesa e a principio di promozione della dignità umana, la libertà religiosa non può essere capziosamente relegata nella sfera del privato. “Una libertà senza relazione – sottolinea il Papa con incisività – non è libertà compiuta”. La libertà religiosa, per definizione, deve potersi esprimere ed esercitare nella sfera pubblica, esplicandosi nella condivisione e nella solidarietà entro la comunità di fede che da essa principia e si alimenta e di qui offrendo il proprio contributo a tutta la società. In tal modo, la libertà religiosa, quando vissuta nella sincerità del cuore e garantita a livello pubblico, è il più formidabile antidoto alle due forme speculari ed estreme di rifiuto del legittimo pluralismo e della sana laicità: il fondamentalismo religioso e il laicismo.

Positivamente coltivata e socialmente esplicata, la libertà religiosa è piuttosto garanzia del riconoscimento della vera dignità e della giusta libertà di ciascuno. Le comunità religiose, infatti, per loro intima natura, sono chiamate non solo a promuovere il bene dell’altro, ma a riconoscere in esso quanto di buono viene alla comune ricerca della fraternità e della giustizia. Lungi dall’essere fautrici di esclusione o conflitto, le comunità religiose, in quanto fedeli al volere di Dio, sono chiamate piuttosto a farsi promotrici di giustizia, solidarietà e pace. Non è un caso che – con penetrante intuito – Benedetto XVI leghi strettamente la sincera ricerca e la rigorosa tutela della libertà religiosa al compito ineludibile del dialogo tra le religioni. Ricordando, tra l’altro, che nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, voluta ad Assisi da Giovanni Paolo II.

Quello che il Papa propone è un serio esame di coscienza che tutti ci coinvolge. Non solo, in primis, le comunità religiose per verificare la qualità e la misura della loro fedeltà al Dio in cui credono; ma anche i regimi politici di quei Paesi, specie in Asia e in Africa, dove viene impedito ai membri delle minoranze religiose di professare la propria fede o di cambiarla. Senza dimenticare, infine, quei Paesi occidentali dove una cultura laicista tende a emarginare e comprimere pubblicamente l’esercizio della fede. “La violenza – conclude il Papa – non si supera con la violenza”. La libertà religiosa è la più formidabile arma della pace e ha oggi da svolgere, a tutto campo, “una missione storica e profetica”.

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TEMA DELLA 45a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2012): "EDUCARE I GIOVANI ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE"

TEMA DELLA 45a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2012), 19.05.2011


COMUNICATO: TEMA DELLA 45° GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2012), 19.05.2011

TESTO IN LINGUA ITALIANA

Il Santo Padre Benedetto XVI ha scelto il seguente tema per la celebrazione della 45° Giornata Mondiale della Pace del prossimo 1° gennaio 2012: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace».
Il tema entra nel vivo di una questione urgente nel mondo di oggi: ascoltare e valorizzare le nuove generazioni nella realizzazione del bene comune e nell’affermazione di un ordine sociale giusto e pacifico dove possano essere pienamente espressi e realizzati i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo.

Risulta quindi un dovere delle presenti generazioni quello di porre le future nelle condizioni di esprimere in maniera libera e responsabile l’urgenza per un "mondo nuovo". La Chiesa accoglie i giovani e le loro istanze come il segno di una sempre promettente primavera ed indica loro Gesù come modello di amore che rende «nuove tutte le cose» (Ap 21,5).

I responsabili della cosa pubblica sono chiamati ad operare affinché istituzioni, leggi e ambienti di vita siano pervasi da umanesimo trascendente che offra alle nuove generazioni opportunità di piena realizzazione e lavoro per costruire la civiltà dell’amore fraterno coerente alle più profonde esigenze di verità, di libertà, di amore e di giustizia dell’uomo.

Di qui, allora, la dimensione profetica del tema scelto dal Santo Padre, che si inserisce nel solco della "pedagogia della pace" tracciato da Giovanni Paolo II nel 1985 («La pace ed i giovani camminano insieme»), nel 1979 («Per giungere alla pace, educare alla pace») e nel 2004 («Un impegno sempre attuale: educare alla pace»).

I giovani dovranno essere operatori di giustizia e di pace in un mondo complesso e globalizzato. Ciò rende necessaria una nuova "alleanza pedagogica" di tutti i soggetti responsabili. Il tema preannuncia una preziosa tappa del Magistero proposto da Benedetto XVI nei Messaggi per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, iniziato nel segno della verità (2006: «Nella verità la pace»), proseguito con le riflessioni sulla dignità dell’uomo (2007: «Persona umana, cuore della pace»), sulla famiglia umana (2008: «Famiglia umana, comunità di pace»), sulla povertà (2009: «Combattete la povertà, costruire la pace»), sulla custodia del creato (2010: «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato») e sulla libertà religiosa (2011: «Libertà religiosa, via per la pace»), e che ora si rivolge alle menti e ai cuori pulsanti dei giovani: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace».

Bollettino Ufficiale Santa Sede


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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16/12/2011 16:54
 
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CITTA' DEL VATICANO, 16 DIC. 2011 (VIS). Questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la XLV Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2012), sul tema: "Educare i giovani alla giustizia e alla pace". Alla Conferenza Stampa sono intervenuti il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ed il Vescovo Mario Toso, S.D.B., Segretario del medesimo Dicastero. Di seguito riportiamo alcuni estratti del Messaggio di Benedetto XVI:

  "Inizio di un nuovo anno, dono di Dio all'umanità, mi invita a rivolgere a tutti, con grande fiducia e affetto, uno speciale augurio per questo tempo che ci sta dinanzi, perché sia concretamente segnato dalla giustizia e dalla pace".

  "È vero che nell'anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l'economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche. (...) Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace in una prospettiva educativa: 'Educare i giovani alla giustizia e alla pace', nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo".

  "Il mio Messaggio si rivolge anche ai genitori, alle famiglie, a tutte le componenti educative, formative, come pure ai responsabili nei vari ambiti della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della comunicazione". (...)

  "Educare (...) richiede la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell'educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; (...) Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone".

  "Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustizia? Anzitutto la famiglia, poiché i genitori sono i primi educatori. (...) 'È nella famiglia che i figli apprendono i valori umani e cristiani che consentono una convivenza costruttiva e pacifica. È nella famiglia che essi imparano la solidarietà fra le generazioni, il rispetto delle regole, il perdono e l'accoglienza dell'altro'. Essa è la prima scuola dove si viene educati alla giustizia e alla pace".

  "Viviamo in un mondo in cui la famiglia, e anche la vita stessa, sono costantemente minacciate e, non di rado, frammentate. Condizioni di lavoro spesso poco armonizzabili con le responsabilità familiari, preoccupazioni per il futuro, ritmi di vita frenetici, migrazioni in cerca di un adeguato sostentamento, se non della semplice sopravvivenza, finiscono per rendere difficile la possibilità di assicurare ai figli uno dei beni più preziosi: la presenza dei genitori (...). Ai genitori desidero dire di non perdersi d'animo! Con l'esempio della loro vita esortino i figli a porre la speranza anzitutto in Dio, da cui solo sorgono giustizia e pace autentiche".

  "Vorrei rivolgermi anche ai responsabili delle istituzioni che hanno compiti educativi: veglino con

grande senso di responsabilità affinché la dignità di ogni persona sia rispettata e valorizzata in ogni circostanza. (...) Ogni ambiente educativo possa essere luogo di apertura al trascendente e agli altri; luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane si senta valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e impari ad apprezzare i fratelli". (...)

  "Mi rivolgo poi ai responsabili politici, chiedendo loro di aiutare concretamente le famiglie e le istituzioni educative ad esercitare il loro diritto-dovere di educare. Non deve mai mancare un adeguato supporto alla maternità e alla paternità. (...) Offrano ai giovani un'immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti". (...)

  "Nell'odierna società, i mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo particolare: non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari e quindi possono dare un apporto notevole all'educazione dei giovani". (...)

  "L'educazione (...) riguarda la formazione integrale della persona, inclusa la dimensione morale e spirituale dell'essere, in vista del suo fine ultimo e del bene della società di cui è membro. Perciò, per educare alla verità occorre innanzitutto sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura. (...)

L'uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità - non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita - perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. (...) Perciò, la prima educazione consiste nell'imparare a riconoscere nell'uomo l'immagine del Creatore e, di conseguenza, ad avere un profondo rispetto per ogni essere umano". (...)

 "Solo nella relazione con Dio l'uomo comprende anche il significato della propria libertà. Ed è compito dell'educazione quello di formare all'autentica libertà. (...) La libertà è un valore prezioso, ma delicato; può essere fraintesa e usata male. (...)  Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso. Per questo, l'esercizio della libertà è intimamente connesso alla legge morale naturale, che ha carattere universale, esprime la dignità di ogni persona, pone la base dei suoi diritti e doveri fondamentali, e dunque, in ultima analisi, della convivenza giusta e pacifica fra le persone".

  "Il retto uso della libertà è dunque centrale nella promozione della giustizia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per l'altro". (...)

  "È importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall'identità profonda dell'essere umano. È la visione integrale dell'uomo che permette di non cadere in una concezione contrattualistica della giustizia e di aprire anche per essa l'orizzonte della solidarietà e dell'amore". (...)

  "'La 'città dell'uomo' non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione". (...)

  "'La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l'equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l'assidua pratica della fratellanza'. La pace è frutto della giustizia ed effetto della carità. La pace è anzitutto dono di Dio". (...)

  "Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità". (...) 

  "La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere questo impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie competenze e responsabilità. Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare controcorrente". (...)

  "Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e dedizione". (...)

  "Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace". (...)

  "Guardiamo con maggiore speranza al futuro, incoraggiamoci a vicenda nel nostro cammino, lavoriamo per dare al nostro mondo un volto più umano e fraterno, e sentiamoci uniti nella responsabilità verso le giovani generazioni presenti e future, in particolare nell'educarle ad essere pacifiche e artefici di pace".

********************




MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2012): EDUCARE I GIOVANI ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE



CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE (1° GENNAIO 2012)

Vedi anche:

Il Papa: Nel 2011 "è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l'economia"

Giornata della Pace 2012. Una "movida" esigente. Un Papa che trasmette ai giovani la gioia di vivere (Cristiana Dobner)

Giovani non siete soli. Presentato il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale per la pace (Gagliarducci)

Il Papa ai giovani: il vostro impegno è la risposta alla crisi (Tornielli)

Il Papa: “Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società” (Sir)

Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace: giovani non scoraggiatevi mai, la Chiesa ha fiducia in voi (Radio Vaticana)

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1° GENNAIO 2012


EDUCARE I GIOVANI ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE

1. L'inizio di un nuovo anno, dono di Dio all’umanità, mi invita a rivolgere a tutti, con grande fiducia e affetto, uno speciale augurio per questo tempo che ci sta dinanzi, perché sia concretamente segnato dalla giustizia e dalla pace.

Con quale atteggiamento guardare al nuovo anno? Nel Salmo 130 troviamo una bellissima immagine. Il Salmista dice che l’uomo di fede attende il Signore « più che le sentinelle l’aurora » (v. 6), lo attende con ferma speranza, perché sa che porterà luce, misericordia, salvezza. Tale attesa nasce dall’esperienza del popolo eletto, il quale riconosce di essere educato da Dio a guardare il mondo nella sua verità e a non lasciarsi abbattere dalle tribolazioni. Vi invito a guardare il 2012 con questo atteggiamento fiducioso. È vero che nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche. Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno.

In questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere l’aurora di cui parla il Salmista. Tale attesa è particolarmente viva e visibile nei giovani, ed è per questo che il mio pensiero si rivolge a loro considerando il contributo che possono e debbono offrire alla società. Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace in una prospettiva educativa: « Educare i giovani alla giustizia e alla pace », nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo.

Il mio Messaggio si rivolge anche ai genitori, alle famiglie, a tutte le componenti educative, formative, come pure ai responsabili nei vari ambiti della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della comunicazione. Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace.

Si tratta di comunicare ai giovani l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene. È un compito, questo, in cui tutti siamo impegnati in prima persona.

Le preoccupazioni manifestate da molti giovani in questi ultimi tempi, in varie Regioni del mondo, esprimono il desiderio di poter guardare con speranza fondata verso il futuro. Nel momento presente sono molti gli aspetti che essi vivono con apprensione: il desiderio di ricevere una formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di lavoro, l’effettiva capacità di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell’economia per la costruzione di una società dal volto più umano e solidale.

È importante che questi fermenti e la spinta ideale che contengono trovino la dovuta attenzione in tutte le componenti della società. La Chiesa guarda ai giovani con speranza, ha fiducia in loro e li incoraggia a ricercare la verità, a difendere il bene comune, ad avere prospettive aperte sul mondo e occhi capaci di vedere « cose nuove » (Is 42,9; 48,6)!

I responsabili dell’educazione

2. L’educazione è l’avventura più affascinante e difficile della vita. Educare – dal latino educere – significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà, quella dell’adulto e quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell’educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone.

Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustizia? Anzitutto la famiglia, poiché i genitori sono i primi educatori. La famiglia è cellula originaria della società. « È nella famiglia che i figli apprendono i valori umani e cristiani che consentono una convivenza costruttiva e pacifica. È nella famiglia che essi imparano la solidarietà fra le generazioni, il rispetto delle regole, il perdono e l’accoglienza dell’altro » [1]. Essa è la prima scuola dove si viene educati alla giustizia e alla pace.

Viviamo in un mondo in cui la famiglia, e anche la vita stessa, sono costantemente minacciate e, non di rado, frammentate. Condizioni di lavoro spesso poco armonizzabili con le responsabilità familiari, preoccupazioni per il futuro, ritmi di vita frenetici, migrazioni in cerca di un adeguato sostentamento, se non della semplice sopravvivenza, finiscono per rendere difficile la possibilità di assicurare ai figli uno dei beni più preziosi: la presenza dei genitori; presenza che permetta una sempre più profonda condivisione del cammino, per poter trasmettere quell’esperienza e quelle certezze acquisite con gli anni, che solo con il tempo trascorso insieme si possono comunicare. Ai genitori desidero dire di non perdersi d’animo! Con l’esempio della loro vita esortino i figli a porre la speranza anzitutto in Dio, da cui solo sorgono giustizia e pace autentiche.

Vorrei rivolgermi anche ai responsabili delle istituzioni che hanno compiti educativi: veglino con grande senso di responsabilità affinché la dignità di ogni persona sia rispettata e valorizzata in ogni circostanza. Abbiano cura che ogni giovane possa scoprire la propria vocazione, accompagnandolo nel far fruttificare i doni che il Signore gli ha accordato. Assicurino alle famiglie che i loro figli possano avere un cammino formativo non in contrasto con la loro coscienza e i loro principi religiosi.

Ogni ambiente educativo possa essere luogo di apertura al trascendente e agli altri; luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane si senta valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e impari ad apprezzare i fratelli. Possa insegnare a gustare la gioia che scaturisce dal vivere giorno per giorno la carità e la compassione verso il prossimo e dal partecipare attivamente alla costruzione di una società più umana e fraterna.

Mi rivolgo poi ai responsabili politici, chiedendo loro di aiutare concretamente le famiglie e le istituzioni educative ad esercitare il loro diritto-dovere di educare. Non deve mai mancare un adeguato supporto alla maternità e alla paternità. Facciano in modo che a nessuno sia negato l’accesso all’istruzione e che le famiglie possano scegliere liberamente le strutture educative ritenute più idonee per il bene dei propri figli. Si impegnino a favorire il ricongiungimento di quelle famiglie che sono divise dalla necessità di trovare mezzi di sussistenza. Offrano ai giovani un’immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti.

Non posso, inoltre, non appellarmi al mondo dei media affinché dia il suo contributo educativo. Nell’odierna società, i mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo particolare: non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari e quindi possono dare un apporto notevole all’educazione dei giovani. È importante tenere presente che il legame tra educazione e comunicazione è strettissimo: l’educazione avviene infatti per mezzo della comunicazione, che influisce, positivamente o negativamente, sulla formazione della persona.

Anche i giovani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano. È una grande responsabilità quella che li riguarda: abbiano la forza di fare un uso buono e consapevole della libertà. Anch’essi sono responsabili della propria educazione e formazione alla giustizia e alla pace!

Educare alla verità e alla libertà

3. Sant’Agostino si domandava: « Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem? – Che cosa desidera l’uomo più fortemente della verità? ». [2] Il volto umano di una società dipende molto dal contributo dell’educazione a mantenere viva tale insopprimibile domanda. L’educazione, infatti, riguarda la formazione integrale della persona, inclusa la dimensione morale e spirituale dell’essere, in vista del suo fine ultimo e del bene della società di cui è membro. Perciò, per educare alla verità occorre innanzitutto sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura. Contemplando la realtà che lo circonda, il Salmista riflette: « Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? » (Sal 8,4-5). È questa la domanda fondamentale da porsi: chi è l’uomo? L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita – perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Riconoscere allora con gratitudine la vita come dono inestimabile, conduce a scoprire la propria dignità profonda e l’inviolabilità di ogni persona. Perciò, la prima educazione consiste nell’imparare a riconoscere nell’uomo l’immagine del Creatore e, di conseguenza, ad avere un profondo rispetto per ogni essere umano e aiutare gli altri a realizzare una vita conforme a questa altissima dignità. Non bisogna dimenticare mai che « l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione » [3], inclusa quella trascendente, e che non si può sacrificare la persona per raggiungere un bene particolare, sia esso economico o sociale, individuale o collettivo.

Solo nella relazione con Dio l’uomo comprende anche il significato della propria libertà. Ed è compito dell’educazione quello di formare all’autentica libertà. Questa non è l’assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio, non è l’assolutismo dell’io. L’uomo che crede di essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare tutto ciò che vuole, finisce per contraddire la verità del proprio essere e per perdere la sua libertà. L’uomo, invece, è un essere relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio. L’autentica libertà non può mai essere raggiunta nell’allontanamento da Lui.

La libertà è un valore prezioso, ma delicato; può essere fraintesa e usata male. « Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune » [4].

Per esercitare la sua libertà, l’uomo deve dunque superare l’orizzonte relativistico e conoscere la verità su se stesso e la verità circa il bene e il male. Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso [5]. Per questo, l’esercizio della libertà è intimamente connesso alla legge morale naturale, che ha carattere universale, esprime la dignità di ogni persona, pone la base dei suoi diritti e doveri fondamentali, e dunque, in ultima analisi, della convivenza giusta e pacifica fra le persone.

Il retto uso della libertà è dunque centrale nella promozione della giustizia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e di vivere. Da tale atteggiamento scaturiscono gli elementi senza i quali pace e giustizia rimangono parole prive di contenuto: la fiducia reciproca, la capacità di tessere un dialogo costruttivo, la possibilità del perdono, che tante volte si vorrebbe ottenere ma che si fa fatica a concedere, la carità reciproca, la compassione nei confronti dei più deboli, come pure la disponibilità al sacrificio.

Educare alla giustizia

4. Nel nostro mondo, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità, del profitto e dell’avere, è importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall’identità profonda dell’essere umano. È la visione integrale dell’uomo che permette di non cadere in una concezione contrattualistica della giustizia e di aprire anche per essa l’orizzonte della solidarietà e dell’amore [6].

Non possiamo ignorare che certe correnti della cultura moderna, sostenute da principi economici razionalistici e individualisti, hanno alienato il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti, separandolo dalla carità e dalla solidarietà: « La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo » [7].

« Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati » (Mt 5,6). Saranno saziati perché hanno fame e sete di relazioni rette con Dio, con se stessi, con i loro fratelli e sorelle, e con l’intero creato.

Educare alla pace

5. « La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza » [8]. La pace è frutto della giustizia ed effetto della carità. La pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c’è un’unica famiglia riconciliata nell’amore.

Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio », dice Gesù nel discorso della montagna (Mt 5,9).

La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere questo impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie competenze e responsabilità. Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare controcorrente.

Alzare gli occhi a Dio

6. Di fronte alla difficile sfida di percorrere le vie della giustizia e della pace possiamo essere tentati di chiederci, come il Salmista: « Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? » (Sal 121,1).

A tutti, in particolare ai giovani, voglio dire con forza: « Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero… il volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore? » [9]. L’amore si compiace della verità, è la forza che rende capaci di impegnarsi per la verità, per la giustizia, per la pace, perché tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,1-13).

Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e dedizione. Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di amore vero! Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo.

Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace.

A voi tutti, uomini e donne che avete a cuore la causa della pace! La pace non è un bene già raggiunto, ma una meta a cui tutti e ciascuno dobbiamo aspirare. Guardiamo con maggiore speranza al futuro, incoraggiamoci a vicenda nel nostro cammino, lavoriamo per dare al nostro mondo un volto più umano e fraterno, e sentiamoci uniti nella responsabilità verso le giovani generazioni presenti e future, in particolare nell’educarle ad essere pacifiche e artefici di pace. È sulla base di tale consapevolezza che vi invio queste riflessioni e vi rivolgo il mio appello: uniamo le nostre forze, spirituali, morali e materiali, per « educare i giovani alla giustizia e alla pace ».

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2011

BENEDICTUS PP XVI

[1] BENEDETTO XVI, Discorso agli Amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma (14 gennaio 2011): L’Osservatore Romano, 15 gennaio 2011, p. 7.

[2] Commento al Vangelo di S. Giovanni, 26,5.

[3] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 11: AAS 101 (2009), 648; cfr PAOLO VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 14: AAS 59 (1967), 264.

[4] BENEDETTO XVI, Discorso in occasione dell’apertura del Convegno ecclesiale diocesano nella Basilica di san Giovanni in Laterano (6 giugno 2005): AAS 97 (2005), 816.

[5] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Gaudium et spes, 16.

[6] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso al Bundestag (Berlino, 22 settembre 2011): L’Osservatore Romano, 24 settembre 2011, p. 6-7.

[7] ID., Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 6: AAS 101 (2009),644-645.

[8] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2304.

[9] BENEDETTO XVI, Veglia con i Giovani (Colonia, 20 agosto 2005): AAS 97 (2005), 885-886.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il Papa al Corpo Diplomatico: Davvero il mondo è oscuro, laddove l’uomo non riconosce più il proprio legame con il Creatore e, così, mette a rischio anche i suoi rapporti con le altre creature e con lo stesso creato. Il momento attuale è segnato purtroppo da un profondo malessere e le diverse crisi: economiche, politiche e sociali, ne sono una drammatica espressione

UDIENZE DEL SANTO PADRE AL CORPO DIPLOMATICO: LO SPECIALE DEL BLOG

FESTIVITA' NATALIZIE: LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA AL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI PER IL NUOVO ANNO, 09.01.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.
Dopo le parole introduttive del Decano del Corpo Diplomatico, S.E. il Signor Alejandro Emilio Valladares Lanza, Ambasciatore di Honduras presso la Santa Sede e l’indirizzo augurale del Vice-Decano, S.E. il Signor Jean-Claude Michel, Ambasciatore del Principato di Monaco presso la Santa Sede, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eccellenze,
Signore e Signori!

È per me sempre un’occasione particolarmente gradita potervi accogliere, distinti Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, nella splendida cornice di questa Sala Regia, per formularvi personalmente fervidi auguri per l’anno che inizia.
Ringrazio anzitutto il vostro Decano, l’Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, come pure l’Ambasciatore Jean-Claude Michel, per le deferenti parole con cui si sono fatti interpreti dei vostri sentimenti, e saluto in modo speciale quanti partecipano per la prima volta a questo nostro incontro. Attraverso di voi, il mio augurio si estende a tutte le Nazioni che rappresentate, con le quali la Santa Sede mantiene relazioni diplomatiche.

E’ una gioia per noi che la Malesia si sia aggiunta a questa comunità nel corso dell’anno appena concluso. Il dialogo che voi intrattenete con la Santa Sede agevola la condivisione di impressioni e di informazioni, come pure la collaborazione in ambiti di carattere bilaterale o multilaterale che sono di particolare interesse. La vostra presenza odierna ricorda l’importante contributo della Chiesa alle vostre società, in settori quali l’educazione, la sanità e l’assistenza. Segni della cooperazione tra la Chiesa Cattolica e gli stati sono gli Accordi stipulati nel 2011 con l’Azerbaigian, il Montenegro e il Mozambico.

Il primo è già stato ratificato; auspico che rapidamente accada lo stesso per gli altri due e che si giunga alla conclusione di quelli che sono in via di negoziazione. Ugualmente, la Santa Sede desidera tessere un dialogo fruttuoso con le Organizzazioni internazionali e regionali e, in questa prospettiva, rilevo con soddisfazione che i Paesi membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (A.S.E.A.N.) hanno accolto la nomina di un Nunzio Apostolico accreditato presso questa Organizzazione. Non posso omettere di menzionare che, nello scorso mese di dicembre, la Santa Sede ha rafforzato la sua lunga collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, diventandone membro a pieno titolo. Si tratta di un attestato dell’impegno della Santa Sede e della Chiesa Cattolica al fianco della Comunità internazionale, nella ricerca di soluzioni adeguate a questo fenomeno che presenta molteplici aspetti, dalla protezione della dignità delle persone alla cura del bene comune delle comunità che le ricevono e di quelle da cui provengono.

Nel corso dell’anno appena terminato ho incontrato personalmente numerosi Capi di Stato e di Governo, come pure Autorevoli rappresentanti delle vostre Nazioni che hanno partecipato alla cerimonia di Beatificazione del mio amato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II.

Rappresentanti dei vostri Paesi si sono poi resi gentilmente presenti in occasione del 60° anniversario della mia Ordinazione sacerdotale.

A tutti loro, come pure a quanti ho incontrato nei miei viaggi apostolici in Croazia, a San Marino, in Spagna, in Germania ed in Benin, rinnovo la mia gratitudine per la delicatezza che mi hanno manifestato. Inoltre, indirizzo un particolare pensiero ai Paesi dell’America Latina e dei Caraibi che, nel 2011, hanno festeggiato il bicentenario della loro indipendenza.


Il 12 dicembre scorso, essi hanno voluto sottolineare il loro legame con la Chiesa Cattolica e con il successore del Principe degli Apostoli partecipando, con alti esponenti della comunità ecclesiale e autorità istituzionali, alla solenne celebrazione nella Basilica di San Pietro, nella quale ho annunciato l’intenzione di recarmi prossimamente in Messico e a Cuba. Desidero, infine, salutare il Sud Sudan che, nel luglio scorso, si è costituito quale Stato sovrano. Mi rallegro che questo passo sia stato compiuto pacificamente. Purtroppo, tensioni e scontri si sono succeduti in questi ultimi mesi ed auspico che tutti uniscano i loro sforzi affinché, per le popolazioni del Sudan e del Sud Sudan, si apra infine un periodo di pace, di libertà e di sviluppo.

Signore e Signori Ambasciatori!
L’incontro odierno avviene tradizionalmente alla fine delle festività natalizie, in cui la Chiesa celebra la venuta del Salvatore. Egli viene nel buio della notte, eppure la sua presenza è immediatamente fonte di luce e di gioia (cfr Lc 2,9-10). Davvero il mondo è buio, laddove non è rischiarato dalla luce divina!

Davvero il mondo è oscuro, laddove l’uomo non riconosce più il proprio legame con il Creatore e, così, mette a rischio anche i suoi rapporti con le altre creature e con lo stesso creato. Il momento attuale è segnato purtroppo da un profondo malessere e le diverse crisi: economiche, politiche e sociali, ne sono una drammatica espressione.

A tale proposito, non posso non menzionare, anzitutto, gli sviluppi gravi e preoccupanti della crisi economica e finanziaria mondiale. Questa non ha colpito soltanto le famiglie e le imprese dei Paesi economicamente più avanzati, dove ha avuto origine, creando una situazione in cui molti, soprattutto tra i giovani, si sono sentiti disorientati e frustrati nelle loro aspirazioni ad un avvenire sereno, ma ha inciso profondamente anche sulla vita dei Paesi in via di sviluppo. Non dobbiamo scoraggiarci ma riprogettare risolutamente il nostro cammino, con nuove forme di impegno.

La crisi può e deve essere uno sprone a riflettere sull’esistenza umana e sull’importanza della sua dimensione etica, prima ancora che sui meccanismi che governano la vita economica: non soltanto per cercare di arginare le perdite individuali o delle economie nazionali, ma per darci nuove regole che assicurino a tutti la possibilità di vivere dignitosamente e di sviluppare le proprie capacità a beneficio dell’intera comunità.

Desidero poi ricordare che gli effetti dell’attuale momento di incertezza colpiscono particolarmente i giovani. Dal loro malessere sono nati i fermenti che, nei mesi scorsi, hanno investito, talvolta duramente, diverse Regioni. Mi riferisco anzitutto al Nord Africa e al Medio Oriente, dove i giovani, che soffrono tra l’altro per la povertà e la disoccupazione e temono l’assenza di prospettive certe, hanno lanciato quello che è diventato un vasto movimento di rivendicazione di riforme e di partecipazione più attiva alla vita politica e sociale. E’ difficile attualmente tracciare un bilancio definitivo dei recenti avvenimenti e comprenderne appieno le conseguenze per gli equilibri della Regione.

L’ottimismo iniziale ha tuttavia ceduto il passo al riconoscimento delle difficoltà di questo momento di transizione e di cambiamento, e mi sembra evidente che la via adeguata per continuare il cammino intrapreso passa attraverso il riconoscimento della dignità inalienabile di ogni persona umana e dei suoi diritti fondamentali.

Il rispetto della persona dev’essere al centro delle istituzioni e delle leggi, deve condurre alla fine di ogni violenza e prevenire il rischio che la doverosa attenzione alle richieste dei cittadini e la necessaria solidarietà sociale si trasformino in semplici strumenti per conservare o conquistare il potere.

Invito la Comunità internazionale a dialogare con gli attori dei processi in atto, nel rispetto dei popoli e nella consapevolezza che la costruzione di società stabili e riconciliate, aliene da ogni ingiusta discriminazione, in particolare di ordine religioso, costituisce un orizzonte più vasto e più lontano di quello delle scadenze elettorali. Sento una grande preoccupazione per le popolazioni dei Paesi in cui si susseguono tensioni e violenze, in particolare la Siria, dove auspico una rapida fine degli spargimenti di sangue e l’inizio di un dialogo fruttuoso tra gli attori politici, favorito dalla presenza di osservatori indipendenti. In Terra Santa, dove le tensioni tra Palestinesi e Israeliani hanno ripercussioni sugli equilibri di tutto il Medio Oriente, bisogna che i responsabili di questi due popoli adottino decisioni coraggiose e lungimiranti in favore della pace. Ho appreso con piacere che, in seguito ad un’iniziativa del Regno di Giordania, il dialogo è ripreso; auspico che esso prosegua affinché si giunga ad una pace duratura, che garantisca il diritto di quei due popoli a vivere in sicurezza in Stati sovrani e all’interno di frontiere sicure e internazionalmente riconosciute. La Comunità internazionale, da parte sua, deve stimolare la propria creatività e le iniziative di promozione di questo processo di pace, nel rispetto dei diritti di ogni parte. Seguo anche con grande attenzione gli sviluppi in Iraq, deplorando gli attentati che hanno causato ancora recentemente la perdita di numerose vite umane, e incoraggio le sue autorità a proseguire con fermezza sulla via di una piena riconciliazione nazionale.
Il Beato Giovanni Paolo II ricordava che «la via della pace è la via dei giovani», poiché essi sono «la giovinezza delle nazioni e delle società, la giovinezza di ogni famiglia e dell’intera umanità».

I giovani, dunque, ci spronano a considerare seriamente le loro domande di verità, di giustizia e di pace. Pertanto è a loro che ho dedicato l’annuale Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, intitolato Educare i giovani alla giustizia e alla pace.

L’educazione è un tema cruciale per ogni generazione, poiché da essa dipende tanto il sano sviluppo di ogni persona, quanto il futuro di tutta la società. Essa, perciò, costituisce un compito di primaria importanza in un tempo difficile e delicato. Oltre ad un obiettivo chiaro, quale è quello di condurre i giovani ad una conoscenza piena della realtà e quindi della verità, l’educazione ha bisogno di luoghi. Tra questi figura anzitutto la famiglia, fondata sul matrimonio di un uomo con una donna.

Questa non è una semplice convenzione sociale, bensì la cellula fondamentale di ogni società. Pertanto, le politiche lesive della famiglia minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità. Il contesto familiare è fondamentale nel percorso educativo e per lo sviluppo stesso degli individui e degli Stati; di conseguenza occorrono politiche che lo valorizzino e aiutino così la coesione sociale e il dialogo. È nella famiglia che ci si apre al mondo e alla vita e, come ho avuto modo di ricordare durante il mio viaggio in Croazia, «l’apertura alla vita è segno di apertura al futuro». In questo contesto dell’apertura alla vita, accolgo con soddisfazione la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che vieta di brevettare i processi relativi alle cellule staminali embrionali umane, come pure la Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che condanna la selezione prenatale in funzione del sesso.

Più in generale, guardando soprattutto al mondo occidentale, sono convinto che si oppongano all’educazione dei giovani e di conseguenza al futuro dell’umanità le misure legislative che non solo permettono, ma talvolta addirittura favoriscono l’aborto, per motivi di convenienza o per ragioni mediche discutibili.
Continuando la nostra riflessione, un ruolo altrettanto essenziale per lo sviluppo della persona è svolto dalle istituzioni educative: esse sono le prime istanze a collaborare con la famiglia e faticano a compiere il compito loro proprio se viene a mancare un’armonia di intenti con la realtà familiare.

Occorre attuare politiche formative affinché l’educazione scolastica sia accessibile a tutti e che, oltre a promuovere lo sviluppo cognitivo della persona, curi la crescita armonica della personalità, compresa la sua apertura al Trascendente. La Chiesa Cattolica è sempre stata particolarmente attiva nel campo delle istituzioni scolastiche ed accademiche, svolgendo un’opera apprezzata accanto a quella delle istituzioni statali. Auspico, quindi, che tale contributo sia riconosciuto e valorizzato anche dalle legislazioni nazionali.


In tale prospettiva, ben si comprende come un’efficace opera educativa postuli pure il rispetto della libertà religiosa. Questa è caratterizzata da una dimensione individuale, come pure da una dimensione collettiva e da una dimensione istituzionale. Si tratta del primo dei diritti umani, perché essa esprime la realtà più fondamentale della persona. Troppo spesso, per diversi motivi, tale diritto è ancora limitato o schernito.

Non posso evocare questo tema senza anzitutto salutare la memoria del ministro pachistano Shahbaz Bhatti, la cui infaticabile lotta per i diritti delle minoranze si è conclusa con una morte tragica. Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. In non pochi Paesi i cristiani sono privati dei diritti fondamentali e messi ai margini della vita pubblica; in altri subiscono attacchi violenti contro le loro chiese e le loro abitazioni.

Talvolta, sono costretti ad abbandonare Paesi che essi hanno contribuito a edificare, a causa delle continue tensioni e di politiche che non di rado li relegano a spettatori secondari della vita nazionale. In altre parti del mondo, si riscontrano politiche volte ad emarginare il ruolo della religione nella vita sociale, come se essa fosse causa di intolleranza, piuttosto che contributo apprezzabile nell’educazione al rispetto della dignità umana, alla giustizia e alla pace. Il terrorismo motivato religiosamente ha mietuto anche l’anno scorso numerose vittime, soprattutto in Asia e in Africa, ed è per questo, come ho ricordato ad Assisi, che i leaders religiosi debbono ripetere con forza e fermezza che «questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione». La religione non può essere usata come pretesto per accantonare le regole della giustizia e del diritto a vantaggio del “bene” che essa persegue.

In questa prospettiva, sono fiero di ricordare, come ho fatto nel mio Paese natale, che per i Padri costituenti della Germania la visione cristiana dell’uomo è stata la vera forza ispiratrice, come, del resto, lo è stata per i Padri fondatori dell’Europa unita. Vorrei inoltre menzionare segnali incoraggianti nel campo della libertà religiosa. Mi riferisco alla modifica legislativa grazie alla quale la personalità giuridica pubblica delle minoranze religiose è stata riconosciuta in Georgia; penso anche alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in favore della presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche italiane. E proprio all’Italia desidero rivolgere un particolare pensiero, al termine del 150° anniversario della sua unificazione politica. Le relazioni tra la Santa Sede e lo Stato italiano hanno attraversato momenti difficili dopo l’unificazione. Nel tempo, però, hanno prevalso la concordia e la reciproca volontà di cooperare, ciascuno nel proprio ambito, per favorire il bene comune. Auspico che l’Italia continui a promuovere un rapporto equilibrato fra la Chiesa e lo Stato, costituendo così un esempio, al quale le altre Nazioni possano riferirsi con rispetto e interesse.

Nel continente africano, che ho nuovamente visitato recandomi recentemente in Benin, è essenziale che la collaborazione fra le comunità cristiane e i Governi aiuti a percorrere un cammino di giustizia, di pace e di riconciliazione, in cui i membri di tutte le etnie e di tutte le religioni siano rispettati. E’ doloroso constatare che tale meta, in vari Paesi di quel continente, è ancora lontana. Penso in particolare alla recrudescenza delle violenze che interessa la Nigeria, come hanno ricordato gli attentati commessi contro varie chiese nel tempo di Natale, agli strascichi della guerra civile in Costa d’Avorio, alla persistente instabilità nella Regione dei Grandi Laghi e all’urgenza umanitaria nei Paesi del Corno d’Africa. Chiedo, ancora una volta, alla Comunità internazionale di aiutare con sollecitudine a trovare una soluzione alla crisi che dura da anni in Somalia.

Infine, mi preme sottolineare che una educazione rettamente intesa non può che favorire il rispetto del creato. Non si possono dimenticare le gravi calamità naturali che, nel 2011, hanno colpito varie zone del Sud-Est asiatico, e i disastri ambientali come quello della centrale nucleare di Fukushima in Giappone. La salvaguardia dell’ambiente, la sinergia tra la lotta contro la povertà e quella contro i cambiamenti climatici costituiscono ambiti rilevanti per la promozione dello sviluppo umano integrale. Pertanto auspico che, in seguito alla XVII sessione della Conferenza degli Stati Parte alla Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, da poco conclusasi a Durban, la Comunità internazionale si prepari alla Conferenza dell’ONU sullo sviluppo sostenibile (“Rio+20”) quale autentica “famiglia delle Nazioni” e, perciò, con grande senso di solidarietà e di responsabilità verso le generazioni presenti e per quelle future.

Eccellenze, Signore e Signori!

La nascita del Principe della pace ci insegna che la vita non finisce nel nulla, che il suo destino non è la corruzione, bensì l’immortalità. Cristo è venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cfr Gv 10,10). «Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente».


Animata dalla certezza della fede, la Santa Sede continua a dare il proprio contributo alla Comunità internazionale, secondo quel duplice intendimento che il Concilio Vaticano II – di cui quest’anno ricorre il 50° anniversario – ha chiaramente definito: proclamare la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino, nonché offrire all’umanità una cooperazione sincera, che instauri quella fraternità universale che corrisponde a tale vocazione. In questo spirito, rinnovo a tutti voi, ai membri delle vostre famiglie e ai vostri collaboratori i miei più cordiali auguri per il nuovo anno.






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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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BENEDETTO XVI: LA VIOLENZA È SEMPRE INACCETTABILE

Città del Vaticano, 9 novembre 2012 (VIS). Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina i partecipanti all'81ma Assemblea Generale dell'Interpol che ha riunito a Roma i rappresentanti degli organismi di polizia e di sicurezza ed esponenti della politica e delle Istituzioni dei 190 Stati membri, fra i quali, dall’anno 2008, vi è anche lo Stato della Città del Vaticano.

L'Assemblea è stata dedicata allo sviluppo della cooperazione internazionale nella lotta conto la criminalità ed in merito il Papa ha ribadito l'importanza di incrementare la collaborazione e lo scambio di esperienze "proprio nel momento in cui, a livello globale, assistiamo ad un’estensione delle fonti di violenza provocate da fenomeni transnazionali che frenano il progresso dell’umanità".

"L’evoluzione della violenza criminale - ha affermato il Pontefice - costituisce un aspetto particolarmente preoccupante per il futuro del mondo. Non meno importante è il fatto che questo sforzo di riflessione associa i responsabili politici della sicurezza e della giustizia, gli organismi giudiziari e le forze dell’ordine, in modo che ognuno, per quanto di propria competenza, possa compiere un efficace lavoro favorito da uno scambio costruttivo".

Nel constatare che la famiglia umana soffre nella nostra epoca "a causa di numerose violazioni del diritto e della legalità, che in non pochi casi sfociano in episodi di violenza e fatti criminosi", il Santo Padre ha ricordato che "è necessario tutelare i singoli e le comunità con un costante e rinnovato impegno e attraverso adeguati strumenti. Al riguardo, la funzione dell’Interpol, che possiamo definire un presidio di sicurezza internazionale, riveste notevole importanza in vista della realizzazione del bene comune, perché la società giusta esige anche l’ordine e il rispetto delle norme per una pacifica e serena convivenza civile. So che alcuni di voi compiono il loro dovere in condizioni talvolta di estremo pericolo e rischiano la loro vita per proteggere quella degli altri e permettere la costruzione di questa convivenza serena".

"Siamo consapevoli che la violenza oggi si manifesta sotto nuove forme. Alla fine della cosiddetta guerra fredda tra i due blocchi occidentale e orientale, sono nate grandi speranze, specialmente dove una forma di violenza politica istituzionalizzata è stata fermata da movimenti pacifici che rivendicavano la libertà dei popoli. Tuttavia, sebbene alcune forme di violenza sembrino diminuire, specialmente il numero di conflitti militari, ce ne sono altre che si sviluppano, come la violenza criminale, responsabile ogni anno della maggioranza dei decessi di morte violenta nel mondo. Oggi, questo fenomeno è così pericoloso che costituisce un grave fattore di destabilizzazione delle società e, talvolta, mette a dura prova la stessa supremazia dello Stato".

"La Chiesa e la Santa Sede - ha sottolineato il Pontefice - incoraggiano quanti si adoperano per combattere la piaga della violenza e del crimine, in questa nostra realtà che assomiglia sempre più ad un 'villaggio globale'. Le forme più gravi delle attività criminali possono essere individuate nel terrorismo e nella criminalità organizzata. Il terrorismo, una delle forme più brutali della violenza, semina odio, morte, desiderio di vendetta. Questo fenomeno, da strategia sovversiva tipica di alcune organizzazioni estremistiche finalizzata alla distruzione delle cose e all’uccisione delle persone, si è trasformato in una rete oscura di complicità politiche, utilizzando anche sofisticati mezzi tecnici, ingenti risorse finanziarie ed elaborando progetti su vasta scala. Dal canto suo, la criminalità organizzata prolifera nei luoghi della vita quotidiana e spesso agisce e colpisce al buio, al di fuori di ogni regola; realizza i suoi affari attraverso numerose attività illecite e immorali come la tratta delle persone – una forma moderna di schiavitù –, i traffici di beni o di sostanze, quali la droga, le armi, le merci contraffatte, giungendo anche al traffico di farmaci, utilizzati in gran parte dai poveri, che uccidono invece di curare. Questo commercio illecito diventa ancora più esecrabile quando riguarda gli organi umani di vittime innocenti: esse subiscono drammi e oltraggi che speravamo essere finiti per sempre dopo le tragedie del XX secolo ma che, purtroppo, ricompaiono attraverso le violenze generate dalle attività criminali di persone e organizzazioni senza scrupoli. Questi delitti infrangono le barriere morali progressivamente erette dalla civiltà e ripropongono una forma di barbarie che nega l’uomo e la sua dignità".

Nell'incontro con gli operatori della polizia internazionale, Benedetto XVI conferma ancora una volta che "la violenza, nelle sue diverse forme terroristiche e criminali, è sempre inaccettabile, perché ferisce profondamente la dignità umana e costituisce un’offesa all’intera umanità. È doveroso quindi reprimere il crimine, nell’ambito di regole morali e giuridiche, poiché l’azione contro la criminalità va sempre condotta nel rispetto dei diritti dell’uomo e dei principi di uno Stato di diritto. Infatti la lotta alla violenza deve mirare certamente ad arginare il crimine e a difendere la società, ma anche al ravvedimento e alla correzione del criminale, che rimane sempre persona umana, soggetto di diritti inalienabili e come tale non va escluso dalla società, ma recuperato".

"Al tempo stesso, la collaborazione internazionale contro la criminalità non può esaurirsi soltanto in operazioni di polizia. È essenziale che la pur necessaria opera repressiva sia accompagnata da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti a tali inaccettabili azioni criminose; occorre prestare speciale attenzione ai fattori di esclusione sociale e di indigenza che persistono nella popolazione e che costituiscono un veicolo di violenza e di odio. È necessario anche un particolare impegno sul piano politico e pedagogico per risolvere i problemi che possono alimentare la violenza e per favorire le condizioni affinché essa non nasca e non si sviluppi".

"Pertanto, la risposta alla violenza e al crimine non può essere delegata alle sole forze dell’ordine, ma richiede la partecipazione di tutti i soggetti che possono incidere su questo fenomeno. Sconfiggere la violenza è un impegno che deve coinvolgere non solo le istituzioni e gli organismi preposti, ma la società nel suo complesso: le famiglie, le agenzie educative tra cui la scuola e le realtà religiose, i mezzi di comunicazione sociale e tutti i singoli cittadini. Ciascuno ha la sua specifica parte di responsabilità per un futuro di giustizia e di pace".



Testo integrale

Distinte Autorità,

Illustri Signori e Signore,

sono lieto di accogliervi a conclusione dell’Assemblea generale dell’Interpol, che ha riunito a Roma i rappresentanti degli organismi di polizia e di sicurezza ed esponenti della politica e delle Istituzioni dei 190 Stati membri, fra i quali, dall’anno 2008, vi è anche lo Stato della Città del Vaticano. Vi saluto tutti cordialmente e attraverso di voi desidero inviare il mio deferente saluto alle Personalità istituzionali dei vostri Paesi e a tutti i vostri concittadini, per la cui sicurezza voi operate con professionalità e spirito di servizio. In particolare, saluto i Ministri - il Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana, che ci ha rivolto alcune parole - e i membri dei Governi che hanno voluto essere presenti, il Presidente dell’Interpol e il Segretario Generale, che ringrazio per il saluto che ci ha indirizzato.

In queste giornate di studio e di confronto avete focalizzato la vostra attenzione sullo sviluppo della cooperazione internazionale nella lotta contro la criminalità. In effetti, è importante incrementare la collaborazione e lo scambio di esperienze proprio nel momento in cui, a livello globale, assistiamo ad un’estensione delle fonti di violenza provocate da fenomeni transnazionali che frenano il progresso dell’umanità. Tra di essi, l’evoluzione della violenza criminale costituisce un aspetto particolarmente preoccupante per il futuro del mondo. Non meno importante è il fatto che questo sforzo di riflessione associa i responsabili politici della sicurezza e della giustizia, gli organismi giudiziari e le forze dell’ordine, in modo che ognuno, per quanto di propria competenza, possa compiere un efficace lavoro favorito da uno scambio costruttivo. Infatti, le istanze politiche, sulla base dell’opera delle forze dell’ordine, possono identificare più agevolmente le principali evoluzioni emergenti in riferimento ai rischi per la società, e, di conseguenza, sono messe nella condizione di poter dare adeguati orientamenti legislativi e operativi nell’ambito del contrasto alla criminalità.

Nella nostra epoca la famiglia umana soffre a causa di numerose violazioni del diritto e della legalità, che in non pochi casi sfociano in episodi di violenza e fatti criminosi. Pertanto, è necessario tutelare i singoli e le comunità con un costante e rinnovato impegno e attraverso adeguati strumenti. Al riguardo, la funzione dell’Interpol, che possiamo definire un presidio di sicurezza internazionale, riveste notevole importanza in vista della realizzazione del bene comune, perché la società giusta esige anche l’ordine e il rispetto delle norme per una pacifica e serena convivenza civile. So che alcuni di voi compiono il loro dovere in condizioni talvolta di estremo pericolo e rischiano la loro vita per proteggere quella degli altri e permettere la costruzione di questa convivenza serena.

Siamo consapevoli che la violenza oggi si manifesta sotto nuove forme. Alla fine della cosiddetta guerra fredda tra i due blocchi occidentale e orientale, sono nate grandi speranze, specialmente dove una forma di violenza politica istituzionalizzata è stata fermata da movimenti pacifici che rivendicavano la libertà dei popoli. Tuttavia, sebbene alcune forme di violenza sembrino diminuire, specialmente il numero di conflitti militari, ce ne sono altre che si sviluppano, come la violenza criminale, responsabile ogni anno della maggioranza dei decessi di morte violenta nel mondo. Oggi, questo fenomeno è così pericoloso che costituisce un grave fattore di destabilizzazione delle società e, talvolta, mette a dura prova la stessa supremazia dello Stato.

La Chiesa e la Santa Sede incoraggiano quanti si adoperano per combattere la piaga della violenza e del crimine, in questa nostra realtà che assomiglia sempre più ad un «villaggio globale». Le forme più gravi delle attività criminali possono essere individuate nel terrorismo e nella criminalità organizzata. Il terrorismo, una delle forme più brutali della violenza, semina odio, morte, desiderio di vendetta. Questo fenomeno, da strategia sovversiva tipica di alcune organizzazioni estremistiche finalizzata alla distruzione delle cose e all’uccisione delle persone, si è trasformato in una rete oscura di complicità politiche, utilizzando anche sofisticati mezzi tecnici, ingenti risorse finanziarie ed elaborando progetti su vasta scala (cfr Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 513). Dal canto suo, la criminalità organizzata prolifera nei luoghi della vita quotidiana e spesso agisce e colpisce al buio, al di fuori di ogni regola; realizza i suoi affari attraverso numerose attività illecite e immorali come la tratta delle persone – una forma moderna di schiavitù –, i traffici di beni o di sostanze, quali la droga, le armi, le merci contraffatte, giungendo anche al traffico di farmaci, utilizzati in gran parte dai poveri, che uccidono invece di curare. Questo commercio illecito diventa ancora più esecrabile quando riguarda gli organi umani di vittime innocenti: esse subiscono drammi e oltraggi che speravamo essere finiti per sempre dopo le tragedie del XX secolo ma che, purtroppo, ricompaiono attraverso le violenze generate dalle attività criminali di persone e organizzazioni senza scrupoli. Questi delitti infrangono le barriere morali progressivamente erette dalla civiltà e ripropongono una forma di barbarie che nega l’uomo e la sua dignità.

Cari amici, l’odierno incontro con voi, operatori della polizia internazionale, mi offre l’opportunità di ribadire ancora una volta che la violenza, nelle sue diverse forme terroristiche e criminali, è sempre inaccettabile, perché ferisce profondamente la dignità umana e costituisce un’offesa all’intera umanità. È doveroso quindi reprimere il crimine, nell’ambito di regole morali e giuridiche, poiché l’azione contro la criminalità va sempre condotta nel rispetto dei diritti dell’uomo e dei principi di uno Stato di diritto. Infatti la lotta alla violenza deve mirare certamente ad arginare il crimine e a difendere la società, ma anche al ravvedimento e alla correzione del criminale, che rimane sempre persona umana, soggetto di diritti inalienabili e come tale non va escluso dalla società, ma recuperato. Al tempo stesso, la collaborazione internazionale contro la criminalità non può esaurirsi soltanto in operazioni di polizia. È essenziale che la pur necessaria opera repressiva sia accompagnata da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti a tali inaccettabili azioni criminose; occorre prestare speciale attenzione ai fattori di esclusione sociale e di indigenza che persistono nella popolazione e che costituiscono un veicolo di violenza e di odio. È necessario anche un particolare impegno sul piano politico e pedagogico per risolvere i problemi che possono alimentare la violenza e per favorire le condizioni affinché essa non nasca e non si sviluppi.

Pertanto, la risposta alla violenza e al crimine non può essere delegata alle sole forze dell’ordine, ma richiede la partecipazione di tutti i soggetti che possono incidere su questo fenomeno. Sconfiggere la violenza è un impegno che deve coinvolgere non solo le istituzioni e gli organismi preposti, ma la società nel suo complesso: le famiglie, le agenzie educative tra cui la scuola e le realtà religiose, i mezzi di comunicazione sociale e tutti i singoli cittadini. Ciascuno ha la sua specifica parte di responsabilità per un futuro di giustizia e di pace.

Rinnovo ai dirigenti e all’intera Interpol l’espressione della mia gratitudine per la sua azione, non sempre facile e non sempre compresa da tutti nella sua giusta finalità. Non può mancare il mio pensiero riconoscente per l’apprezzata collaborazione che l’Interpol offre alla Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, specialmente in occasione dei miei Viaggi internazionali. Dio onnipotente e misericordioso vi illumini nell’esercizio delle vostre responsabilità, vi sostenga nel servizio alla collettività, protegga voi, i vostri collaboratori e le vostre famiglie. Vi ringrazio per la vostra presenza; il Signore vi benedica.







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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15/12/2012 11:51
 
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PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL PAPA PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Città del Vaticano, 14 dicembre 2012 (VIS). Questa mattina presso la Sala Stampa della Santa Sede si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la XLVI Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio, sul tema quest'anno: "Beati gli operatori di pace". Alla conferenza stampa sono intervenuti il Cardinale Peter K.A. Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ed il Monsignor Mario Toso, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

Il Cardinale ha rilevato, come primo punto, "la concretezza del Messaggio". "L'espressione evangelica del titolo può far pensare ad un Messaggio di carattere piuttosto spirituale, per così dire, teorico. Invece l'argomentazione del Papa è estremamente aderente alla realtà. Constata un fatto, l'esistenza, in mezzo a conflitti, tensioni e violenze, dell'esistenza di molteplici operatori di pace; nella spiegazione della beatitudine evangelica sottolinea come si tratti di una promessa che è certezza, in quanto proviene da Dio, non legata al futuro, ma che già si realizza in questa vita; indica chiaramente cosa devono fare gli operatori di pace: promuovere la vita in pienezza, nella sua integralità, quindi in tutte le dimensioni della persona umana; richiama l'attenzione sui problemi più urgenti, la retta visione del matrimonio, il diritto all'obiezione di coscienza, la libertà religiosa (...), la questione del lavoro e della disoccupazione, la crisi alimentare, la crisi finanziaria, il ruolo della famiglia nell'educazione".

In un secondo punto il Cardinale Turkson ha sottolineato la "positività del Messaggio" che "oltre ad aprire alla speranza, riflette l'amore alla vita e alla vita in pienezza, per cui accanto ai temi della difesa della vita, il Papa mette in luce quelli legati alla giustizia, necessari per una vita degna, in pienezza, cioè nella quale tutti abbiano la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità".

Un terzo punto è "l'aspetto educativo-pedagogico del Messaggio. "È questo un aspetto che sta sempre a cuore alla Chiesa la quale ha fra i suoi compiti quello di 'formare le coscienze'. Sotto questo aspetto, forte è il richiamo del Pontefice alla responsabilità della varie istanze educative chiamate a formare classi dirigenti adeguate e studiare modelli economici e finanziari nuovi. Ciò è necessario per superare la fase particolarmente grave che sta vivendo il mondo globalizzato, una fase di profonda cristi spirituale e morale in cui sanguinosi sono ancora i conflitti e le molteplici minacce di pace".

"Il Messaggio di Benedetto XVI - ha affermato Monsignor Toso - è invito ad essere operatori di pace a trecentosessanta gradi, tutelando ed implementando tutti i diritti e doveri dell'uomo e delle comunità".

"Sintomatico di questo modo di sentire e di vedere del Pontefice - ha continuato Monsignor Toso - è il passaggio in cui egli, in un contesto di recessione economica - provocata anche dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007 -, polemizzando con le ideologia del liberismo radicale e della tecnocrazia secondo le quali sarebbe possibile lo sviluppo senza il progresso sociale e democratico, invita a non erodere i diritti sociali, tra i quali soprattutto il diritto al lavoro. Questo è un diritto fondamentale, non marginale. Senza la difesa e la promozione dei diritti sociali - lo insegnavano già liberali, comunisti, socialisti e cattolici nel secolo scorso - non si realizzano adeguatamente i diritti civili e politici. La stessa democrazia sostanziale, sociale e partecipativa sarebbe messa a repentaglio".

In breve, il Messaggio è per la crescita di una famiglia umana che non sia divisa tra gruppi e popoli a favore della vita e gruppi e popoli che militano, invece, per la pace, senza tuttavia un'uguale 'passione' per la difesa della vita umana, dal suo sbocciare al suo tramonto", ha concluso il Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace".



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA

XLVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 

1° GENNAIO 2013

 

BEATI GLI OPERATORI DI PACE

 

1. Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore. In tale prospettiva, prego Dio, Padre dell’umanità, di concederci la concordia e la pace, perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di una vita felice e prospera.

A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, che ha consentito di rafforzare la missione della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra gli uomini, si impegnano nella storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed angosce [1], annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la pace per tutti.

In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.

E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.

Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).

La beatitudine evangelica

2. Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse. Nella tradizione biblica, infatti, quello della beatitudine è un genere letterario che porta sempre con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito nell’altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura felicità. La beatitudine consiste, piuttosto, nell’adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle sue promesse appaiono spesso agli occhi del mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma già in questa scopriranno di essere fi gli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la verità, la giustizia e l’amore. Gesù, rivelazione dell’amore del Padre, non esita ad offrirsi nel sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un dono immenso: la condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita della grazia, pegno di un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in particolare, ci dona la pace vera che nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio.

La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri. L’etica della pace è etica della comunione e della condivisione. È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza. Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in termini razionali e morali, poggiando su un fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace », ricorda il Salmo 29 (v. 11).

La pace: dono di Dio e opera dell’uomo

3. La pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris, di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia [2]. La negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace. Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio.

Per diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.

La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un « noi » comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare [3].

La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34), dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26).

Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani.

Da questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace.

Operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità

4. Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita.

Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.

Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.

Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace.

Perciò, è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia.

Tra i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In questo momento storico, diventa sempre più importante che tale diritto sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria religione.

L’operatore di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici.

Tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si continui « a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti » [4]. In vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo è precondizione una rinnovata considerazione del lavoro, basata su principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società. A un tale bene corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti.

Costruire il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di economia

5. Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune esigono una corretta scala di beni-valori, che è possibile strutturare avendo Dio come riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a disposizione molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur apprezzabili. Tanto i molteplici beni funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di scelta devono essere usati secondo la prospettiva di una vita buona, di una condotta retta che riconosca il primato della dimensione spirituale e l’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli.

Per uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività. In un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono [5]. Concretamente, nell’attività economica l’operatore di pace si configura come colui che instaura con i collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli esercita l’attività economica per il bene comune, vive il suo impegno come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un lavoro dignitoso.

Nell’ambito economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati, politiche di sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del progresso sociale e dell’universalizzazione di uno Stato di diritto e democratico. È poi fondamentale ed imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a considerare la crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere centrale nell’agenda politica internazionale, a causa di crisi connesse, tra l’altro, alle oscillazioni repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a comportamenti irresponsabili da parte di taluni operatori economici e a un insufficiente controllo da parte dei Governi e della Comunità internazionale. Per fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal livello locale a quello internazionale, con l’obiettivo di mettere gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.

Educazione per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni

6. Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida educazione sociale.

Nessuno può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico. Essa ha una naturale vocazione a promuovere la vita: accompagna le persone nella loro crescita e le sollecita al mutuo potenziamento mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia cristiana reca in sé il germinale progetto dell’educazione delle persone secondo la misura dell’amore divino. La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore [6].

In questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in particolare le comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli operatori di pace impegnandoli alla comunione e al superamento dell’ingiustizia.

Una missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle istituzioni culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole contributo non solo alla formazione di nuove generazioni di leader, ma anche al rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali e internazionali. Esse possono anche contribuire ad una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e finanziarie in un solido fondamento antropologico ed etico. Il mondo attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune. Esso, considerato come insieme di relazioni interpersonali ed istituzionali positive, a servizio della crescita integrale degli individui e dei gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla pace.

Una pedagogia dell’operatore di pace

7. Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una pedagogia della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace concorrono a realizzare il bene comune e creano l’interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una cultura della pace, un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità. Bisogna, allora, insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza. Incoraggiamento fondamentale è quello di « dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare » [7], in modo che gli sbagli e le offese possano essere riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince col bene, e la giustizia va ricercataimitando Dio Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario, la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza.

Gesù incarna l’insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al dono totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr Mt 10,39; Lc 17,33; Gv 12,25). Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio, il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini. In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. Da parte nostra, insieme al beato Giovanni XXIII, chiediamo a Dio che illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace [8].

Con questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e costruttori di pace, in modo che la città dell’uomo cresca in fraterna concordia, nella prosperità e nella pace.

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2012

 

BENEDICTUS PP XVI

  


[1] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 1.

[2] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 265-266.

[3] Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266.

[4] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32: AAS 101 (2009), 666-667.

[5] Cfr ibid., 34 e 36: AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672.

[6] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994 (8 dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162.

[7] BENEDETTO XVI, Discorso in occasione dell’Incontro con i membri del Governo, delle istituzioni della Repubblica, con il corpo diplomatico, i capi religiosi e rappresentanze del mondo della cultura, Baabda-Libano (15 settembre 2012): L’Osservatore Romano, 16 settembre 2012, p. 7.

[8] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 304.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] Introvigne sul Messaggio del Papa: ecco perché aborto, unioni gay ed eutanasia feriscono la ragione

intervista a Massimo Introvigne

sabato 15 dicembre 2012

La pace non è un’utopia, non è un sogno. La pace è possibile. Per diventare “autentici operatori di pace”, scrive Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2013, sono fondamentali l'attenzione alla dimensione trascendentale e il colloquio costante con Dio. In questo modo l’uomo “può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste”. Il Pontefice aggiunge che proprio l’attuale periodo storico, caratterizzato dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclama più che mai un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.
Benedetto XVI affronta tematiche centrali, dai principi non negoziabili (la difesa della vita umana, la difesa del matrimonio monogamico tra uomo e donna e la difesa della libertà di educazione) fino ai diritti sociali e le soluzioni per uscire dalla crisi. Massimo Introvigne, contattato da IlSussidiario.net, comincia ad analizzare le parole del Papa parlando del riferimento al Concilio Ecumenico Vaticano II, “di cui ha ribadito la capacità di aver rafforzato la missione della Chiesa nel mondo”, fino al riferimento alla Pacem in Terris sulla tematica delle beatitudini, “secondo cui non basta essere in pace con gli altri ma è necessario essere in pace con sé stessi, con il Creato e con Dio".


Cosa può dirci in più rispetto a questo tema?

Vi sono in particolare due grandi temi che è necessario approfondire: il primo è generale, di fondo, secondo cui le beatitudini non parlano soltanto dell’altra vita, perché altrimenti non avrebbero niente da dire a chi non ci crede, ma sono anche una “ricetta” per una vita sociale ordinata, pacifica e felice su questa Terra. Nello stesso tempo, però, questa e l’altra vita sono strettamente collegate e il Papa afferma chiaramente che senza un’apertura alla trascendenza non è possibile costruire nessuna cultura di pace.

Quindi la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza?

Certo. Naturalmente, per conoscere questo, afferma il Papa con una’altra decisa e fondamentale espressione, occorre lo “smantellamento della dittatura del relativismo”, che intende continuamente imporci l’idea che non è lecito né opportuno aprirsi alla trascendenza. Questa dittatura però, dice ancora il Santo Padre, possiede in sé caratteristiche e conseguenze catastrofiche.

Dal tema generale passiamo quindi a quello più particolare: i tre principi non negoziabili.

Il Papa si riferisce ovviamente alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione. Benedetto XVI afferma che chiunque è favorevole all’aborto, o lo liberalizza con le sue leggi, forse non si rende conto che in tal modo propone l’inseguimento di una pace illusoria. Non è quindi possibile alcuna pace e alcuna felicità in presenza di leggi abortiste che tollerano l’uccisione di un essere inerme e innocente.

Allo stesso modo parla anche dell’eutanasia.

Esatto. Afferma lo stesso in parallelo anche sull’eutanasia e le leggi che riconoscono questa pratica, ispirate a falsi diritti che minacciano quello vero e fondamentale alla vita. Il secondo principio non negoziabile analizzato da Benedetto XVI è poi quello della famiglia: afferma quindi che se si vuole la pace andrà riconosciuta la struttura naturale del matrimonio rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione. Questo riconoscimento, con chiaro riferimento alle unioni omosessuali, destabilizza la pace ed è inoltre necessario riconoscere la libertà di educazione come diritto dei genitori e diritto essenziale alla valorizzazione della famiglia. Riguardo i principi non negoziabili, il Papa fa inoltre una considerazione molto importante.

Quale?

Che tali principi non sono verità di fede, ma sono iscritti nella natura umana, riconoscibili dalla ragione e comuni a tutte le persone. La violazione di questi principi, quindi, non rappresenta un’offesa alla Chiesa, ma alla stessa verità della persona umana.

Il Papa affronta poi il tema della libertà religiosa.

Rispetto a questo tema il Santo Padre dice tre cose molto importanti. Innanzitutto che non è più sufficiente promuovere la libertà religiosa come diritto negativo, come libertà da (ad esempio da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione) ma anche come diritto positivo nelle sue varie articolazioni, quindi come libertà di (ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi). Si legge inoltre che non è più sufficiente affermare che la libertà religiosa è minacciata in Africa o in Asia, perché in realtà è minacciata anche in Occidente, e infine spiega che fa parte della stessa libertà religiosa il diritto all’obiezione di coscienza di fronte a leggi che attentano contro la dignità umana, come l‘aborto o l’eutanasia.

Il messaggio di Benedetto XVI si rivolge poi anche ai diritti sociali.

Il Papa critica in particolare quella che torna a chiamare “tecnocrazia”, cioè l’idea secondo cui dalla crisi economica si possa uscire semplicemente attraverso misure per l’appunto “tecniche”. Tali misure, secondo il Pontefice, sono certamente essenziali, ma rischiano di perdere la loro giusta valenza, finendo per assurgere a “nuovi idoli”.  

In conclusione, Benedetto XVI parla della cosiddetta “pedagogia della pace”. Cosa può dirci?

Il Papa si rende conto che affinché un progetto di questo tipo possa davvero affermarsi nella società, è necessario un lento lavoro per assumere una visione nuova sulla storia umana che è difficile proporre in un periodo “che porta verso il ripiegamento su se stessi”. Però, dice ancora il Santo Padre, mentre si compie questo lungo lavoro che richiede appunto una lunga pedagogia della pace, bisogna anche tener conto del fatto che i principi richiamati in precedenza devono essere promossi immediatamente e che non è possibile aspettare ancora.  

(Claudio Perlini)
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J’ACCUSE/ D’Agostino: l’Ue dell’aborto e dei diritti gay sta creando solo odio
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[SM=g1740733] Approfondiamo il Messaggio per la Pace dell'anno 2013 di Papa Benedetto XVI. Non ci sono bacchette magiche per risolvere i drammi, ma di certo vi è contenuto un programma per aprire la porta alla vera Pace....

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