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La Santa Messa

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2009 11:53
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05/03/2009 08:49
 
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Il Giorno del Signore: la Santa Messa

Capitolo 1

Michelangelo - Cappella Sistina

Dire Domenica significa pronunciare "Giorno del Signore" (dies Domini). Chiunque non sia proprio estraneo alla pratica religiosa, sovviene facilmente l'esclamazione gioiosa della Liturgia di Pasqua: "Questo è il giorno fatto dal Signore". In realtà c'è un'unione profonda tra la Pasqua e la domenica. La Domenica è, infatti, la "Pasqua settimanale" secondo la meravigliosa definizione che risale ai primi secoli, molto amata dai Padri della Chiesa e fortemente professata specialmente nelle Chiese d'Oriente.

Per sant'Agostino la Domenica è "sacramento della Pasqua".
Comunemente si afferma che arriva la Domenica e finalmente la settimana è finita. Invece la Domenica, leggiamo nei Vangeli, è il primo giorno dopo il sabato ebraico. Il giorno appunto della resurrezione di Gesù, che apre la nuova storia.

Quindi la Domenica è il "primo giorno" della settimana, essendo il memoriale della resurrezione ed apre il nuovo ciclo degli altri giorni. Questa è una verità quasi del tutto dimenticata. Si pensa alla Domenica e si augura buon fine settimana, secondo una formula derivata dal mondo anglosassone. E' uno dei sintomi della decadenza del concetto di Domenica nella società post-moderna. Probabilmente non è il più grave. Mostra ad ogni modo la necessità di una nuova cultura del "dies Domini", per la quale è bene iniziare dalla chiarezza del linguaggio, poiché la cultura non riguarda soltanto le singole coscienze, ma la società tutta.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica tratta quest'argomento dal nr. 2168 al 2195 e lo imposta sulla Bibbia. Cita due versetti, uno dell'Antico e l'altro del Nuovo Testamento. Il primo è tratto dal Libro dell'Esodo:
"Ricordati del giorno del sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro: ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro" (Es. 20,8-10). Il secondo è tratto dal Vangelo di Marco:
"Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'Uomo è Signore anche del sabato" (Mc.2,27-28).

L'accostamento dei due testi è letterariamente splendido ed è utile per risalire alle radici bibliche ebraiche e cristiane. Ma soprattutto ha il merito di mettere sulla strada per comprendere il significato e il contenuto ( dal punto di vista di Dio e di Cristo, quindi teologico e cristologico) del terzo comandamento: "Ricordati di santificare le feste".

Ho detto accostamento. In realtà i due testi non sono soltanto accostati. "Sono coordinati intimamente l'un l'altro". Se osserviamo con un po' d'attenzione il loro contenuto (ciò che Dio dapprima comanda e ciò che Gesù riprende e spiega) notiamo subito due cose unite e inseparabili:
1. Una certa continuità e una certa novità del terzo comandamento nella storia della salvezza;
2. Uno sviluppo graduale e unitario nel passaggio dall'alleanza antica alla nuova.

La storia della salvezza è una sola. Il giorno di Sabato, giustamente tanto caro ad Israele, rivela la sua pienezza nell'essere in qualche modo una prefigurazione e un'anticipazione del "Giorno del Signore". Vale a dire, un compimento e un superamento. E' sempre nello stile di Dio ( e sua preoccupazione educativa) rivelare un poco alla volta il proprio mistero. E la pienezza della sua rivelazione si ha nella persona di Cristo, anche quindi riguardo al precetto della santificazione della festa. L'affermazione di Gesù - "Il Sabato è stato fatto per l'uomo" - fa capire l'intento profondo di Dio nel chiedere di non fare alcun lavoro nel giorno di Sabato: "In onore del Signore tuo Dio".


Logicamente, anche questo, come ogni precetto, va visto non settorialmente, ma nell'animazione unificante del Decalogo. E' "Una delle dieci parole", le quali costituiscono un intreccio unico, che codifica l'alleanza di Dio col suo popolo.

"Dieci Parole" è, nell'A.T., l'altro nome del Decalogo. Non per nulla l'intestazione che campeggia in testa ai Dieci Comandamenti è "Io sono il Signore tuo Dio". Si tratta della presentazione che Dio fa di se stesso giacché autore della Legge. Si direbbe nel nostro linguaggio che mostra i "titoli" che gli danno diritto ad un tale intervento; e sono i titoli che risalgono all'amore di predilezione dimostrato al suo popolo con la liberazione dalla schiavitù egiziana. Nell'Esodo e nel Deuteronomio, leggiamo:

"Io sono il Signore tuo Dio
che ti ho fatto uscire
dal paese d'Egitto,
dalla condizione di schiavitù
" (Es.20,2; Dt.5,6)

Dunque il Liberatore. Perciò egli chiede di essere riconosciuto come tale e rivendica per sé un culto unico, con esclusione assoluta di altri dei. Un Dio "geloso", che punisce le colpe dei padri sui figli fino alla terza e quarta generazione per coloro che lo odiano:

"Ma che dimostra il suo favore
fino a mille generazioni, per coloro
che mi amano e osservano i miei comandamenti
" (Es.20,6)


Sono espressioni che fanno riflettere seriamente sulla potenza di Dio, notando che essa si coagula tanto nella giustizia quanto più nella comprensione. La chiave di lettura di questa severa dichiarazione la offriva già il salmo 118 - "elogio della legge divina" - considerato, dice la Bibbia di Gerusalemme, "uno dei monumenti più caratteristici della pietà israelita alla rivelazione divina". Tutta quanta la Legge, quindi anche le "dieci parole", è un tesoro che contiene enormi ricchezze e le versa sulle mani libere dell'uomo. Il pio israelita ha dunque ragione di pregare, e noi con lui:

"Aprimi gli occhi perché io veda
le meraviglie della tua Legge.
Io sono straniero sulla terra,
non nascondermi i tuoi comandi.
Io mi consumo nel desiderio
Dei tuoi precetti in ogni tempo
"
(Salmo 118,18-20)

Nella religiosità d'Israele era chiaro che il Decalogo costituiva il grande dono fatto da Dio all'interno dell'alleanza contratta con il suo popolo. E' bello e istruttivo anche per noi oggi rileggere i capitoli 19-34 dell'Esodo (vedi esodo meditato, sezione lettura), in cui l'alleanza, ossia il patto scaturito dall'iniziativa di Dio, è descritto accuratamente nelle sue due fasi: la proposta e la stipulazione. In mezzo, tra l'una e l'altra, sta la narrazione della rivelazione delle "Dieci parole". Si tratta della più gran teofonia (manifestazione), sul monte Sinai. Notiamo che il patto termina dopo che il popolo si è espressamente impegnato: "Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo" (Es.24,7).

All'interno di questo patto e nella ragione di questa alleanza che il Decalogo assume il suo più pieno significato. Il rivelarsi di Dio, il suo dialogare con il popolo eletto, sono espressioni dell'amore originario, direi fontale, di questa come delle altre sue innumerevoli iniziative.

"Io sono il Signore Dio tuo" è il principio di tutto, che tutto deve animare. I singoli Comandamenti vengono in secondo luogo. E dicono in modo concreto che cosa implica l'appartenenza a Dio attraverso quell'alleanza nata dalla sua bontà. Essi tracciano le vie da percorrere come risposta all'amore di Dio. Sull'onda di questa verità, non sorprende che il catechismo, nel trattare il Decalogo in generale, parte non dall'A.T., ma dal Vangelo, e precisamente dall'incontro di Gesù con il giovane ricco. E un'altra curiosità risulta evidente: quel giovane di duemila anni fa passerebbe per un post-moderno, dei nostri.

Educato: chiama Gesù Maestro e Maestro buono. Ma Gesù lo corregge: Solo Dio è buono.
Efficientista: interroga il maestro sul fare. E anche qui Gesù rettifica: lo dirotta sull'essere: se vuoi essere perfetto…Gli addita l'osservanza dei Comandamenti e gliene elenca la serie che riguarda l'amore al prossimo, con l'aggiunta dei consigli di povertà e castità.
Il ragazzo gli volta le spalle. Scompare dal mondo evangelico, perché era molto ricco. Post-moderno anche in questo.

In questo modo il Catechismo dà una risposta preliminare alla questione: i dieci Comandamenti sono stati donati nell'A.T.: che cosa c'entrano col Nuovo? La risposta è stata data espressamente da Gesù.con parole e opere. Egli ha fatto propri i Comandamenti, non li ha eliminati. Ha manifestato la forza dello Spirito che li anima. Non ha abolito, ha perfezionato. Ha portato a compimento l'antica legge, facendola confluire nella sua persona divina.

"Se mi amate, osservate i miei comandamenti.. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama" (Gv.14,15.21).
Quando gli è stato chiesto qual è il più grande Comandamento della Legge, ha risposto:
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei Comandamenti" (Mt. 22,37).
Tuttavia Gesù è andato oltre nella risposta:
"E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt.22,39).
Di più. Ha aggiunto un'affermazione che può considerarsi coordinata con la chiave di lettura del pio israelita in preghiera col Salmo appena citato:
"Da questi due Comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti" (Mt.22,40).

Le "Dieci Parole" sono parte integrante dell'intero patrimonio rivelato, tutto frutto dell'iniziativa amorevole di Dio, che in Cristo ha raggiunto l'espressione massima, umanamente inconcepibile fino alla donazione di se stesso in forma perenne nel pane eucaristico. Il Decalogo deve essere interpretato alla luce dell'unico e duplice comandamento della carità annunciato e spiegato da Gesù nella Nuova alleanza. Quelle parole che Dio ha deposto nel cuore dell'uomo, non sono un'imposizione forzata dall'esterno. Le ha scolpite sulla pietra quando gli uomini non le leggevano più nei loro cuori.

Anche il comando della santificazione del "Giorno del Signore" è un ramo di questo tronco. Rivela l'amore. Richiama amore. Con un timbro particolarmente esigente: RICORDATI!


Ritorniamo ancora alle parole di Gesù:
"Il Sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato. Perciò il Figlio dell'uomo è padrone anche del Sabato" (Mc.2,27-28).
Viene spontaneo chiedersi: di quale uomo si tratta? Riflettendo che siamo ormai nell'Alleanza Nuova e che questa è strettamente unita all'Antica con la quale costituisce una cosa sola, appare che l'uomo di cui parla Gesù è l'uomo creato da Dio, l'uomo redento sempre secondo il piano di Dio, l'uomo che in Cristo diventa "creatura nuova". Ed è di capitale importanza la dichiarazione di Gesù: "Sono padrone del Sabato, ho autorità sul Sabato".

E' su questa linea di pensiero che si può approfondire e recuperare il significato della Domenica, quindi la verità totale del Giorno del Signore, sul piano delle motivazioni sia dottrinali, sia morali. Ho già detto di una certa continuità e novità e di uno sviluppo graduale e unitario che contrassegnano, come tutta la storia della salvezza, il rapporto tra la versione antica e quella nuova del terzo comandamento: dal Sabato ebraico alla Domenica cristiana.

Resta chiaro e pacifico che la Domenica non è la continuazione del sabato. Ha un'identità propria. Il Sabato è una sua prefigurazione e anticipazione per alcuni aspetti, iniziando dalla sua origine divina. La formulazione letterale del terzo Comandamento tanto nell'Esodo quanto nel Deuteronomio, è particolarmente minuziosa.

"Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo" (Es.20,8).
La parola Sabato significa in radice: riposare, finire il lavoro. E' bene rammentare il racconto della creazione nel Libro della Genesi, in cui leggiamo: "Allora Dio, nel settimo giorno, portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto" (Gn.2,2-3).
Se non si tiene presente questa divina benedizione-consacrazione originale, non si può cogliere il senso delle minuziose prescrizioni sul riposo ebraico.

"Tu non farai alcun lavoro,
né tu, né tuo figlio, né tua figlia,
né il tuo schiavo, né la tua schiava,
né il tuo bestiame, né il tuo forestiero
che dimora presso di te.
Perché in sei giorni il Signore
Ha fatto cielo e terra…
Ma si è riposato il giorno settimo
".
(Es.20,8-11)

Dunque: giorno sacro e riposo sacro. Alla motivazione religiosa se ne aggiungeva una umanitaria: far riposare gli schiavi, i forestieri, gli animali. Tuttavia l'osservanza del sabato ha finito per assumere un'intonazione "legalista", schiava in pratica della lettera della Legge, distaccata dallo spirito che l'animava. Maestri in questo sono stati gli scribi e i farisei, con i quali Gesù ha intrattenuto le polemiche più aspre. A tale schiavitù legalista Gesù reagisce, e certe volte lo fa con molta energia, evidenziando le contraddizioni dei farisei.

A proposito del giorno del Sabato, non esita a sfidarli. Come nel racconto, cui fa riferimento il Vangelo, dei discepoli che attraversando con lui i campi di grano, iniziano a strappare alcune spighe. Apriti cielo! Un lavoro che infrange il riposo. Come se fosse mietitura. I farisei ne sono scandalizzati. E il maestro richiama il fatto di Davide che mangiò e fece mangiare ai suoi i pani riservati ai sacerdoti per placare la fame. In un altro momento Gesù guarisce di Sabato, nella sinagoga, un uomo che aveva una mano inaridita, suscitando apertamente l'ostilità dei farisei, i quali, dopo l'avvenuto segno miracoloso, tennero consiglio per ucciderlo. Il fatto è che li aveva colti di sorpresa. Di fronte a quell'infelice interpellò proprio loro in termini ironici e provocatori: "E' lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?" (Mc.3,4).

Nessuna risposta, evidentemente, da parte dei farisei. E Gesù, nell'atto di compiere il segno risanatore, li guarda "con indignazione", ed è "rattristato per la durezza dei loro cuori". E' importante osservare questo atteggiamento del Signore. Indignazione per la fredda aridità di una casistica, che va contro la verità della legge. Tristezza per la durezza di cuore che sacrifica ciò che di meglio è nell'uomo. Così è più facile comprendere la sentenza di Gesù, secondo cui il Sabato è stato fatto per l'uomo e non viceversa. E' il suo dichiararsi "Signore del Sabato".

Mi sono dilungato un po' sul senso del Sabato. Perché? Non è difficile dirlo e capirlo. La teologia biblica del Sabato ci fa risalire agli eventi misteriosi della creazione. A Dio che, nel suo amore preveniente, ha tratto il mondo dal nulla. Ora Dio alla conclusione della sua opera creatrice, la sigilla santificando il settimo giorno. E il settimo giorno, mentre chiude l'intera impresa creatrice, è strettamente legato al sesto, che è il giorno in cui Dio crea l'uomo "a sua immagine e somiglianza". (vedi primi capitoli della Genesi meditata, sezione lettura).

La relazione immediata tra "giorno di Dio" e "giorno dell'uomo" era presente ai Padri della Chiesa nelle loro meditazioni sul racconto biblico della creazione. Cito Sant'Ambrogio, il quale commenta così il riposo di Dio: "Fece il cielo, ma non leggo che ivi abbia riposato; fece le stelle, la luna, il sole e neppure qui leggo che abbia riposato. Leggo invece che fece l'uomo e che allora si riposò, avendo in lui uno al quale poteva perdonare i peccati".


Il Sabato dunque è stato fatto per l'uomo non come un'imposizione onerosa, ma come una sosta delle sue ordinarie occupazioni per onorare il riposo di Dio ed alimentare la sua relazione di dipendenza dal Creatore. Per l'uomo pre-cristiano, dunque, si tratta di uno degli aspetti del patto concluso e del dinamismo dell'alleanza, e come consapevolezza del dono della liberazione dalla schiavitù. Per l'uomo dell'alleanza nuova, per il seguace di Cristo. Sono cadute evidentemente le modalità legate alle antiche condizioni di vita, superate ormai dal compimento e dallo sviluppo. Sono rimasti i motivi essenziali, correlati con i fondamenti delle "Dieci Parole", da valutare nello spirito nuovo portato da Cristo "Signore del Sabato".

Per l'uomo di tutti i tempi, anche del nostro. Particolarmente per l'uomo d'oggi, poiché la transizione secolare e millenaria che attraversa il quadrante della nostra storia, più direttamente provoca a ripensare il senso del tempo. Questa transizione, inoltre, si dibatte in una crisi molteplice: di civiltà, di cultura, e di religione. Per cui è quanto mai necessario risalire alle radici della verità, alle motivazioni primarie.

Lo spirito non semplicemente la lettera del precetto ridotto in forma catechistica dalla Chiesa: "Ricordati di santificare le feste", consente di riscoprire la verità della Domenica e di accoglierla come tale. Non vi possono essere altre premesse per trovare i modi conciliabili con le attuali condizioni di vita - naturalmente quelle rispondenti ai canoni dell'onestà - e ridare alla Domenica il posto che le spetta, nell'economia della propria esistenza.

A noi uomini del terzo millennio, il catechismo offre una delle testimonianze più antiche della tradizione cristiana, quella di san Giustino: "Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro salvatore, risuscitò dai morti".

Per ripendere coscienza del valore della Domenica bisogna puntare l'obiettivo sulle motivazioni dottrinali. Il senso del dovere scaturisce da qui. Un puro e freddo "tu devi" è destinato a restare un precetto morale privo di contenuto e disatteso senza rimorso, come in genere gli imperativi categorici che vengono fatti cadere sulle sabbie del deserto.

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Capitolo 2

Riporto dal testo conciliare:
"Secondo la tradizione apostolica, che trae origine dal giorno stesso della resurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente giorno del Signore, o Domenica. In questo giorno, infatti, i fedeli si riuniscono in assemblea perché, ascoltando la parola di Dio e partecipando all'Eucaristia, facciano memoria della passione, della resurrezione e della gloria del Signore Gesù, e rendano grazie a Dio che li ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti. Per questo la Domenica è il giorno di festa primordiale che deve essere proposto e continuamente offerto alla pietà dei fedeli, in modo che divenga anche giorno di gioia e d'astensione dal lavoro" (Sacrosanctum Concilium, nr. 106).

Riti di introduzione

Nel momento in cui entriamo in Chiesa, consideriamo la grazia di Dio che ci ha condotto a quel momento. Rammentiamo la prima volta che abbiamo detto: "Signore, sei tu il Signore della mia vita?" Alcuni impiegano molto tempo, forse anni, per scoprire il Signore e la sua pienezza, la gioia, la pace, l'amore. Potremmo anche sentirci in colpa per questo. Non scordiamoci di San Pietro. Camminava accanto a Gesù ed era la pietra sulla quale il Signore aveva scelto di edificare la sua Chiesa. Nonostante ciò, fu sorpreso quando vide la tomba vuota. Gesù è infinitamente paziente con la nostra lenta capacità di apprendere e continua ad attirarci a sé.

Quando entriamo in Chiesa, ci segniamo con l'acqua benedetta nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo per guarirci e scacciare i demoni. Molti santi, tra cui Santa Teresa d'Avila, consigliano di usare l'acqua benedetta da porre sulle parti malate e di benedire la propria casa. Il fatto è che quando ci facciamo il segno della croce con quest'acqua dobbiamo attenderci un'abbondante benedizione dal Signore. Infatti, si benedice l'acqua per la guarigione e liberazione da tutto ciò che è nocivo, pericoloso e non appartenente al regno di Dio.

La preghiera per la benedizione dell'acqua dice:
"Sii benedetto, Dio Onnipotente, origine e fonte della vita; stendi la tua mano su di noi e su quest'acqua a sollievo del corpo e dell'anima; nella tua misericordia fa scaturire in noi l'acqua viva della salvezza, perché possiamo accostarci a te con cuore puro. Per Cristo nostro Signore. Amen."

Dopo il segno della croce inizia la liturgia. L'officiante dice:
"La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunicazione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2 Cor.13,13).

Qual è il significato?
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo.. La grazia è un favore gratuito e immeritato. Il catechismo della Chiesa cattolica afferma: "La grazia è il favore, il soccorso gratuito che Dio ci dà perché rispondiamo al suo invito: diventare figli di Dio, figli adottivi, partecipi della natura divina, della vita eterna. La grazia è una partecipazione alla vita di Dio; c'introduce nell'intimità della vita trinitaria. Mediante il Battesimo i cristiani partecipano alla grazia di Cristo, Capo del suo Corpo. Come figli adottivi ora possiamo chiamare Dio "Padre", in unione con il Figlio Unigenito. Riceviamo la vita dello Spirito Santo che infonde la carità e forma il popolo di Dio.


L'amore di Dio Padre..
Abbiamo un'idea chiara di Dio come Padre che ci ama? Come Padre che guarisce? Devo confessare pubblicamente che, dopo tanti anni, fino al momento in cui fui toccato dallo Spirito Santo consideravo Dio esclusivamente come un giudice. Ma, da allora in poi, ho iniziato a conoscere Dio sotto l'aspetto di un Padre buono. Allora prendiamo in considerazione il nostro rapporto personale e intimo con Dio nel rito d'introduzione della Messa.

Forse durante questa brevissima parte della celebrazione eucaristica, dovremmo chiedere la guarigione d'ogni nostro atteggiamento negativo nei confronti di Dio Padre, atteggiamento che potrebbe essersi formato nel corso degli anni e che potrebbe manifestarsi ancora oggi con pensieri quali: "Dio è responsabile della malattia", oppure "E' Dio che vuole che io abbia il tal problema". Forse ci rechiamo a Messa con qualche dolore fisico o emotivo. Il nostro Padre celeste è un Padre che guarisce, benedice e desidera farlo in mille modi. Quando parlo di guarigione, intendo la persona nella sua totalità: corpo, anima e spirito.

Dio Padre è amorevole e vuole guarire le nostre ferite, i sensi di colpa, le paure, l'odio, la tendenza al suicidio, le ossessioni, i vizi, il cuore lacerato, ecc. Il fatto è che noi temiamo Dio e pensiamo che amandolo come Padre e avvicinandoci a Lui, dobbiamo soffrire di più. E' chiaro che tali pensieri sono incompatibili con l'idea di un Padre che ci ama. Queste paure inconsce provengono, prima di tutto, da un'educazione religiosa che ci ha insegnato una teologia della sofferenza, perciò abbiamo ancora paura di Dio e associamo la religione al dolore. Invece, ed è bene metterselo in mente, Dio ci vuole gioiosi, sani e felici.


E la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi..
Il Catechismo spiega che la missione di Gesù e dello Spirito Santo si compie nella Chiesa, Corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo. Tale missione congiunta associa i seguaci di Cristo alla sua comunione con il Padre nello Spirito Santo: lo Spirito prepara gli uomini, li previene con la sua grazia per attirarli a Cristo. Manifesta loro il Signore Risorto, ricorda loro la sua parola, apre il loro spirito all'intelligenza della sua Morte e risurrezione. Rende loro presente il mistero di Cristo, soprattutto nell'Eucaristia, al fine di riconciliarli e di metterli in comunione con Dio perché portino "molto frutto".

In questo modo la missione della Chiesa non si aggiunge a quella di Cristo e dello Spirito Santo, ma ne è il sacramento: con tutto il suo essere e in tutte le sue membra essa è inviata ad annunciare e testimoniare, attualizzare e diffondere il mistero della comunione della Santa Trinità.

Con lo Spirito Santo abbiamo accesso a Gesù che ci porta al Padre. Se ci affidiamo al ministero dello Spirito Santo, permettendo al suo amore di penetrare fino alle radici più profonde del nostro essere, scopriamo un profondo risanamento nella relazione con Dio, con noi stessi e con la famiglia.


E con il tuo spirito.
Dio ci chiama a rispondere al suo amore. Proviamo a ricordare la Messa più bella alla quale abbiamo partecipato. Che cosa ci ha colpito? In quale modo la grazia di Dio ci ha toccato in quegli istanti? Chiediamo al Signore di ridonarci un poco di quella gioia, così che possiamo in futuro partecipare alla Messa con maggiore apertura dell'animo.

Rito penitenziale

"Fratelli, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati". Immaginiamo di trovarci seduti tranquillamente nel nostro "angolo" preferito, ed esaminiamo la nostra relazione intima col Signore. C'è qualcosa nel nostro cuore che trattiene la forza del suo amore? Esistono barriere che bloccano il flusso della grazia? Non ci amiamo? Chiediamo al Signore che cosa ci sta impedendo di conoscere il suo amore. Perché non riusciamo ad amarci come Lui ci ama!

Sono certo che la stragrande maggioranza di noi riesce ad individuare molte qualità negative, e pochi attributi corretti. La causa di ciò è che la maggior parte di noi ha problemi d'autostima. Sembra strano, ma è proprio così, anche se il Salmo 138 ci dice: "Voi siete fatti come un prodigio; siete imperfetti, limitati, pieni di difetti, privi di amore, sì, ma siete stati creati in modo straordinario e meraviglioso".

Abbiamo gran difficoltà ad accettare questa verità. Mentre confessiamo a Dio le nostre debolezze, i nostri fallimenti, chiediamogli il dono di comprendere la causa di ciò che facciamo. Dobbiamo essere pazienti con noi stessi, l'ansia ci distrae e c'induce al peccato. Più cresciamo nello Spirito, più vedremo le nostre miserie, le nostre colpe alla luce della sua misericordia e del suo amore. La pazienza reca con sé povertà e umiltà di spirito, virtù che apre la porta alla grazia di Dio.

"Confesso a Dio Onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro".

Dobbiamo veramente avere fiducia nella misericordia di Dio, e credere davvero che il Padre celeste perdona tutti i nostri errori. Noi tutti siamo limitati nella nostra capacità di perdonare, e il perdono pieno è frutto dell'azione divina che richiede l'aiuto di Gesù. Nell'invocare il suo aiuto, aumenta la nostra capacità di ricevere il suo perdono, ed aumenta anche il nostro perdono e la nostra accettazione degli altri (vedi preghiera del "Perdono", dal sito, sezione preghiera).

Gloria

Durante il rito penitenziale apriamo il nostro cuore al perdono di Dio. Sperimentiamo il suo divino perdono, il suo amore, la sua misericordia e la sua compassione. Di fronte alla sua straordinaria bontà, eleviamo i nostri cuori nella lode come fecero gli angeli alla nascita di Gesù:

Gloria a Dio nell'alto dei cieli
E pace in terra agli uomini di buona volontà.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo,
ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa,
Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente,
Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo,
Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre,
tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi;
tu che togli i peccati del mondo accogli la nostra supplica;
tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore,
tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo:
nella gloria di Dio Padre. Amen
.

Quando preghiamo, non chiediamo soltanto, altrimenti porremo noi stessi e non il Signore al centro della nostra preghiera. Portiamo al Signore i nostri bisogni, e nient'altro. Lodando Dio, al contrario, ci concentriamo unicamente in Gesù, facendo di Gesù il centro della nostra preghiera. Lodiamolo! Lodiamolo! Lodiamolo!

Lodiamo il Signore dalle profondità del nostro cuore. Con le lodi dirette esclusivamente a Lui, noi abbandoniamo il diritto di capire le circostanze difficili della nostra vita. Confidando in Lui è come se gli dicessimo: "Io non comprendo ciò che sta accadendo nella mia vita, ma credo nel tuo amore e ti lodo". Che opere meravigliose può realizzare il Signore in noi, per noi e attraverso noi, se prendiamo sempre più coscienza della sua bontà e del suo amore. Otterremo perdono e guarigione, perché il punto centrale del nostro sacrificio di lode è Gesù.

Letture dalla scrittura

Nel momento in cui il messaggio del Vangelo viene rivelato e spiegato all'assemblea, c'è spesso un pensiero, un'ispirazione o una provocazione che aiuterà l'ascoltatore ad aprirsi maggiormente all'amore che risana del Signore.

Nell'ascoltare l'officiante, molte volte la Parola della Scrittura sentita poco prima diventa "shema": giungiamo, cioè, a comprendere con chiarezza che il Signore ci sta dando personalmente un'indicazione e una direzione da eseguire. Attraverso la liturgia della Parola il Signore parla veramente al suo popolo, chiamando ciascuno di noi a diventare più consapevole della sua presenza e del suo amore.

L'omelia ha la gran facoltà di aprire il nostro cuore. Come accadde ai discepoli sulla via di Emmaus (vedi sezione parabole il brano meditato), i nostri occhi si aprono al vedere la presenza sonante di Gesù nella Scrittura... "In quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversando di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo…E iniziando da Mosé e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui… Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava la Scrittura?"

La potenza che scorre attraverso noi fino agli altri proviene dalla nostra intimità con Gesù molto più che da qualsiasi abilità appresa in un corso d'oratoria. Infatti, l'omelia, pare sempre più (purtroppo) una lezione mancante d'entusiasmo, mentre i fedeli avrebbero necessità di provarlo, di emozionarsi quando si proclama la Buona Novella di Gesù Cristo.

Quante volte ho sentito dire che i sacerdoti non collocano al loro stesso livello e non prendono in considerazione le necessità reali dei fedeli. Ecco perché prima dell'omelia dobbiamo dire al Signore: "Io credo che mi parlerai, attraverso il sacerdote…che le parole che ascolterò penetreranno nella mia mente e metteranno radici nel mio cuore. Sono certo che mi aiuteranno a sviluppare nuovi atteggiamenti giusti per ottenere guarigione e liberazione".

Il Signore Gesù è interessato a parlare con noi, ed è talmente vero che potremmo persino sentire cose che durante l'omelia non sono state dette.

Il Signore fa sentire ai suoi fedeli quello che può essere utile per noi in quel momento della nostra esistenza.

Nell'ascoltare l'omelia, poniamoci queste domande: "Che cosa mi sta dicendo Dio in questo momento? Che cosa ho io bisogno di ascoltare fa Lui? Chi è Gesù per noi?, perdono, fede, preghiera, accettazione di sé, amore?"

Ogni risposta che cattura la nostra attenzione durante la Messa, scriviamola e collochiamola in un luogo visibile e permettiamo al Signore di rivelare il suo significato nei giorni successivi. Le Parole della Sacra Scrittura donano la vita "Io sono venuto perché abbiano la vita e la abbiano in abbondanza" (Gv.10,10). E ancora: "Così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza avere operato ciò che desidero e senza avere compiuto ciò per cui l'ho mandata" (Is.55,11).

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05/03/2009 09:12
 
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Capitolo 3

Credo e preghiera dei fedeli

"Credo in un solo Dio,
Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili ed invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito
Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato, della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo si incarnato nel seno
della Vergine Maria e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,
è salito al cielo, siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi
E i morti, e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre
e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato
per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa,
una, santa, cattolica e apostolica.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita
Del mondo che verrà. Amen
.


Nell'istante in cui ci alziamo in piedi e proclamiamo il Credo, ci alziamo per testimoniare la nostra decisione per Gesù Cristo nella nostra vita. Allo stesso modo in cui, in varie denominazioni cristiane, le persone sono incoraggiate a prendere la decisione personale di accettare Gesù Cristo nella loro vita, noi cattolici, recitando il Credo nella Santa Messa, rinnoviamo ogni volta la nostra professione di fede. In altre parole proclamiamo pubblicamente che accettiamo Gesù Cristo come Signore. Occorre che noi cattolici siamo consapevoli di quello che diciamo. Quando recitiamo il Credo, stiamo esercitando il dono inestimabile del libero arbitrio. Dio ci ama tanto che ci fornisce uno dei doni più grandi, il dono della libertà. Certo, noi possiamo dirgli di no. Tutti noi probabilmente continuiamo a dirgli "no" in certe aree della nostra esistenza. Tuttavia quando siamo pronti a dirgli di "sì" e ad aprirgli la porta del nostro cuore, il nostro amorevole Padre celeste ci riempie col suo amore. Quando diciamo "sì, Signore", scende su di noi lo Spirito Santo e si muove in noi e per mezzo di noi in modo potente. Quando recitiamo il Credo, chiediamo al Padre la grazia di lasciarci possedere e usare da Lui.

"Signore, ti chiedo oggi di dirti di "sì". Signore, ho peccato, ma mi pento dei miei peccati. Tu mi hai perdonato. Ti chiedo oggi la grazia di perdonare me stesso. Ti chiedo, Signore, di riempirmi col tuo Santo Spirito e di riempirmi d'amore. Riempimi di guarigione, riempimi di pace, riempimi di gioia. Grazie, Signore, perché credo che se ti apro la porta del mio cuore, Tu entrerai meglio. Io ti chiedo di essere il Signore e il Salvatore della mia vita, della mia famiglia, di tutti i miei affari. Grazie, Padre celeste. Grazie Gesù. Grazie Spirito Santo".

Quando recitiamo il Credo, chiediamo la grazia di continuare a dire "sì" ad un livello sempre più profondo e intimo. Ogni giorno dobbiamo dire "sì" a nostro Padre. Ogni giorno dobbiamo dire: "Vieni, Spirito Santo, riempi il mio cuore, accendi in me il fuoco del tuo amore. Fondimi, plasmami, riempimi, usami. Vieni, Spirito Santo".

Quando diciamo il Credo, noi stiamo dicendo con l'apostolo Paolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal.2,20).

Quando professiamo la nostra fede per mezzo del Credo, diamo il nostro contributo per compensare gli insegnamenti pagani e ateistici nella nostra società.

Preghiera dei fedeli

In questo preciso momento il Signore sta dicendo alla Chiesa: "Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non l'ho trovato" (Ez.22,30).

In Galati 6,2, Paolo ci dice: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo".

Portare significa sollevare nel senso di rimuovere. Poiché intercessori, stiamo dando il nostro consenso ad aiutare a portare i pesi degli altri finché non ne saranno liberati. L'intercessione è una santa chiamata nel Corpo di Cristo. Infatti, Gesù ci chiama a pregare per il mondo in crisi; ad intercedere per i capi delle nazioni perché promulghino leggi di giustizia, per le autorità civili ed ecclesiastiche. Ci dice di implorare la conversione delle persone che dirigono cliniche dove si pratica l'aborto e l'eutanasia. Ci chiama a pregare per i mezzi di comunicazione, perché i loro responsabili presentino film e spettacoli edificanti. Ci chiama a pregare per coloro che hanno subito violenze sessuali, fisiche o verbali; perché non agiscano sulla base delle loro frustrazioni, del loro dolore e della rabbia nei confronti degli altri; perché siano guariti. Ci chiama a pregare per tutte le persone ammalate e bisognose. Ci chiama a pregare per la riconciliazione nelle famiglie, per i mariti, perché siano veri mariti per le loro mogli, senza atteggiamenti di superiorità, ma accettandosi come creature di Dio. Ci chiama a pregare per le mogli, perché siano donne di Dio, mogli fedeli, ispiratrici, amorevoli. Ci chiama a pregare per i genitori, perché sostengano i loro figli, insegnando con il loro stile di vita. Ci chiama a pregare per i figli, perché siano pieni dell'amore di Gesù e non corrotti o sedotti dal male del mondo. Ci chiama a pregare perché i nostri figli incontrino Gesù come Signore e Salvatore. Ci chiama a pregare per i sacerdoti, perché diventino sempre più uomini di profonda preghiera. Ci chiama a pregare per i consacrati, gli abbandonati, per i soli, perché tutti abbiano a trovare il conforto, la comprensione, la solidarietà degli uomini in Cristo Gesù.

Liturgia Eucaristica

L'equilibrio della celebrazione suppone che la Liturgia della Parola e quella Eucaristica si richiamino a vicenda. La Chiesa, infatti, si nutre alle due mense della Parola e dell'Eucaristia, secondo la felice espressione della "Dei Verbum":

"La Chiesa ha sempre venerato le Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non tralasciando mai, soprattutto nella Sacra Liturgia, di nutrirsi del pane di vita prendendolo dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli" (n. 21).

E' logico quindi che le due parti principali della Messa si corrispondano armonicamente, senza che una sia sviluppata a danno dell'altra. In realtà, il rischio più frequente è di accentuare la Parola e atrofizzare l'Eucaristia. E' necessario che, durante la Messa, l'importanza relativa delle parti e dei riti rendano evidente che la Preghiera eucaristica è il culmine di tutta l'azione sacra.

La preghiera eucaristica, come afferma chiaramente l'istruzione del Messale romano, è preceduta dalla preparazione dei doni e seguita dalla comunione. La strada che dobbiamo percorrere, pertanto, è indicata da questi tre momenti successivi: preparazione dei doni, preghiera eucaristica, riti.


La preparazione dei doni.


Il Messale romano di Paolo VI ha sostituito l'offertorio con la preparazione dei doni. Non si tratta di una semplice questione di parole. C'è di mezzo un cambio radicale di mentalità voluto dalla riforma liturgica.

Durante i dieci secoli che avevano preceduto il Vaticano II°, il canone era diventato "segreto", tranne il Prefazio e il "Per omnia saecula" finale. Contemporaneamente, l'offertorio si caricava di preghiere private, che esprimevano l'offerta del sacrificio e l'indegnità del celebrante.

Ora, l'unico e gran momento offertoriale della Messa è quello in cui il Cristo stesso si offre al Padre e offre noi con lui. Ed è la Preghiera Eucaristica che lo esprime e lo attualizza, e non l'offertorio.

"Celebriamo il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane di vita e il calice della salvezza"

Per questo motivo la riforma conciliare ha riabilitato, molto logicamente, la Preghiera eucaristica ed ha dato un nome ufficiale al primo momento della liturgia eucaristica: la presentazione dei doni. E' vero che, nonostante tutto, rimane in molti una certa nostalgia dell'offertorio. A questo proposito, vanno fatte almeno due osservazioni

-La nostalgia è destinata a cadere se si approfondisce il significato della Preghiera eucaristica. Se questo venisse meno, sarebbe una grave perdita per la fede cristiana! Solo la catechesi dell'offerta sacrificale della Preghiera eucaristica farà ritrovare la ricca spiritualità concentrata, un tempo, nell'offertorio.

-La Messa non è un mimo della Cena, ma la sua attualizzazione nella celebrazione del memoriale del Signore. Rompere l'ostia dicendo le parole della consacrazione è dell'ordine del mimo e non del memoriale.

Infatti, il memoriale distingue ritualmente i gesti del Cristo:
- Prese il pane: è la preparazione dei doni;
- Rese grazie : è la preghiera eucaristica;
- Lo spezzò : è la frazione del pane;
- Lo diede : è la comunione.


E' per questo motivo che tutta la liturgia eucaristica è celebrata come un'unica grande azione, senza indebite fratture o esagerate accentuazioni devozionali, che verrebbero a frantumare la sua intima continuità.

Durante la presentazione dei doni alcuni rappresentanti della comunità offrono il pane, il vino e altri doni, perché siano ricevuti insieme con la colletta. Sono tutti doni che abbiamo ricevuto da Dio e che gli restituiamo. I doni del pane e del vino, che rappresentano tutti noi, saranno trasformati nella presenza reale di Gesù Cristo, come suo Corpo e Sangue, anima e divinità.

In quegli istanti siamo chiamati a donare non solo il nostro sostegno concreto, ma tutto il nostro essere nell'offerta a Dio del pane e del vino. Prima di pregare sopra il vino che sarà offerto, il sacerdote, secondo l'usanza ebraica, aggiunge al calice alcune gocce d'acqua. E' un gesto simbolico del nostro fine ultimo: la trasformazione in Gesù Cristo nella Messa. Come l'acqua scompare nel vino, così noi veniamo assimilati in Cristo Gesù.

Noi offriamo tutto ciò che siamo: spirito, anima e corpo. Siamo presenti e partecipiamo alla Messa per unirci a Gesù nel suo gran sacrificio. C'è una guarigione incredibile quando offriamo noi stessi e facciamo uno sforzo sincero per essere in unità con Gesù. Più ci apriamo a Gesù, più il suo Santo Spirito ci possiede e riempie.


La Preghiera eucaristica.

"Rendiamo grazie al Signore nostro Dio"

Nel cuore della Messa la grande preghiera eucaristica emerge come l'espressione privilegiata della fede della Chiesa. In un modo di volta in volta lirico e supplicante, secondo uno sviluppo continuo, che integra una gran diversità di temi, la preghiera eucaristica è la parola fondamentale del sacramento dell'Eucaristia; si tratta della fede della Chiesa che esprime e permette l'azione di Cristo Risorto, che si dona sotto i segni del pane e del vino.

"Ascoltate oggi la sua voce: Non indurite il cuore…" (Salmo 94,8).

Siamo stati partecipi fino a questo momento solenne di un atto d'amore nella liturgia della Parola, e ora, mentre iniziamo la liturgia eucaristica, riconosciamo la nostra dipendenza da Dio per ogni cosa. Donando diciamo: "Signore, metto te al primo posto", ricevi Signore la mia libertà, accetta la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà. Tutto quanto sono, quanto possiedo, tu me lo hai dato; io rimetto tutto ciò nelle tue meni, per lasciarlo interamente a disposizione della tua volontà. Donami l'amore tuo con la tua grazia e sarò abbastanza ricco e non chiederò più nulla.

Alcuni predicatori parlano di seminare la fede e di attendersi una ricompensa nel dare. Possiamo imparare qualcosa da questo insegnamento. La fedeltà nel donare apre i nostri cuori a ricevere quello che Gesù ci vuole donare. Egli dice: "Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio" (Lc.6,38). Quindi noi offriamo tutto ciò che siamo. Il fatto è che noi andiamo a Messa per unirci a Gesù Cristo nel suo grande sacrificio.

Consacrazione

Prendete, e mangiatene tutti:
questo è il mio Corpo
offerto in sacrificio per voi.
Prendete, e bevetene tutti:
questo è il calice del mio Sangue
per la nuova ed eterna alleanza,
versato per voi e per tutti
in remissione dei peccati.
Fate questo in memoria di me.


Nella santa Messa, il momento della consacrazione dovrebbe essere visto alla luce del Vangelo di Giovanni, dai capitoli 14-16 che sono fra i più belli del Nuovo Testamento. In sostanza siamo chiamati non soltanto al servizio, ma anche alla consacrazione. Gesù ci ama: "IO vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io" (Gv.14,2-3).

"Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv.14,26).

Si tratta di qualcuna tra le tante consolazioni date da Gesù agli apostoli e di un preludio alla consacrazione del pane e del vino. Mentre il pane e i vino si trasformano nel Corpo e nel Sangue di Gesù, avviene contemporaneamente una trasformazione spirituale in ogni persona che partecipa al rito eucaristico. In quegli attimi si può percepire un'emozione di energia divina che produce una purificazione nelle persone, portando nuova vita.

E' durante questi momenti, per la sua perpetua immolazione in croce e per l'amore verso ciascuno che Gesù vince tutto il peccato e la morte che sono in noi. Inoltre sperimentiamo la partecipazione alla sua gloriosa risurrezione, mentre il suo Spirito dissolve nel nostro intimo le carenze d'amore per Dio e per il prossimo.

Mentre il sacerdote eleva al Signore quel pezzetto di pane, nella consacrazione, una brillante luce bianca si irradia dal pane, il Corpo di Cristo, al cuore delle persone raccolte intorno all'altare. Il raggio di luce di luce bianca dissolvendo ferite che si sono accumulate nel corso degli anni simile ad una crosta di ceralacca sui nostri cuori: le negatività, la rabbia, l'amarezza, il risentimento, l'invidia, la gelosia ecc…Gesù, al contrario ci sta liberando, sostituendo il nostro cuore di pietra con un cuore di carne.

Osserviamo i nostri cuori come li vede Gesù: affettuosi, dolci, aperti, abbondanti, puri, liberi. Guardiamoci come Gesù ci guarda: belli, amati, integri, accettati, redenti, lavati nel suo Sangue, nutriti del suo Corpo, un tutt'uno con Lui.

Che gioia immensa!

Riti di comunione

La preghiera del Signore:

Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male
.
TUO E' IL REGNO, TUA LA POTENZA
E LA GLORIA NEI SECOLI.
Amen.

A questo punto siamo tutti in piedi a pregare il nostro Padre celeste insieme a Gesù, Maria e i santi, come Lui ci ha insegnato. Tra poco esploreremo la bellissima preghiera del Padre Nostro con l'intento di aprire nuovi orizzonti alla meditazione e ad una partecipazione personale più completa al suo mistero. Il Padre Nostro è una preghiera di relazione. Oggi molte persone alzano le mani quando pregano (è un gesto meraviglioso ed espressivo), comunicando a Dio la loro apertura, il loro abbandono, il loro desiderio di essere toccati da Lui. Altre ancora si tengono per mano per costruire un senso ideale di comunità.

Ci rivolgiamo al Signore con un atteggiamento di pentimento e d'umiltà, consapevoli della nostra povertà spirituale e, nello stesso tempo, in pienezza di gioia e di gratitudine, perché ci riconosciamo figli e figlie dell'Altissimo, eredi del Regno. Noi siamo "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui e che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (1Pt.2,9).

Padre Nostro... Si tratta di un grido di libertà e pieno di fiducia. Mentre pronunciamo le parole "Padre Nostro", ci rivolgiamo a Dio unitamente ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo. Inoltre ci ricordiamo dei defunti nella nostra preghiera. Dio, infatti, è il Nostro Padre, il Padre dei vivi e dei morti.

Dio, il grande IO SONO del roveto ardente, ha scelto di essere nostro Padre: ha scelto di creare, nutrire, istruire, guarire, soccorrere, proteggere, educare e amare ciascuno di noi. Egli ci tiene nel palmo della sua mano e ci promette di non abbandonarci, di non scordarci. Lo stesso Dio che dimora nell'alto dei cieli ci chiede di chiamarlo Padre e ci invita a stabilire una relazione d'amore con lui. Non solo, il Padre Nostro ben più che un testo da recitare, contiene una serie di richiami che devono suscitare nei nostri cuori i pensieri stessi di Dio e disporli ad accogliere i suoi doni.

Che sei nei cieli... Queste parole ci rammentano che Egli non è come il nostro padre terreno. Il suo amore è perfetto e senza condizioni. Non ci farà mai del male. Non ci abbandonerà mai. E' tutto ciò di cui occorriamo. Vuole aiutarci in tutti i modi, anche nei piccoli problemi della vita quotidiana. Le sue risorse sono illimitate, perché a Lui nulla è impossibile. E' capace di realizzare atti di guarigione e di liberazione per esaudire ogni nostro bisogno. Le sue vie sono superiori alle nostre. Eppure lo possiamo conoscere e possiamo camminare con Lui nel Regno dei cieli. San Paolo ci consiglia: "Cercate le cose di lassù" (Col.3,1).

Sia santificato il tuo nome... Questo non significa che Dio sia santificato dalle nostre preghiere, Lui che è sempre santo. Dio è irraggiungibile da qualunque profanazione e degno di ogni onore. Con la frase chiediamo che il suo nome sia santificato in noi perché, santificati nel suo battesimo, perseveriamo in ciò che abbiamo già cominciato ad essere. Infatti, più sappiamo lodare la sua santità, la sua meravigliosa natura, più siamo aperti all'accoglienza e alla guarigione.

Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra... Dal racconto dell'orazione nel Getsemani, emerge ciò che fu il nucleo della preghiera di Gesù, così com'è l'espressione centrale del Padre Nostro. Gesù supplica Dio Padre perché ad ogni costo si adempia la volontà divina, sia in cielo che in terra. Nel regno entra solo chi fa la volontà del Padre (Mt.7,21).

Infatti, noi chiediamo a Dio di governare nella nostra vita personale e nel mondo che verrà. E' come se dichiarassimo: "Signore, conferma la tua signoria su di me". "Sei tu il mio re, Dio mio" (Salmo 43,5). Preghiamo affinché la sua giustizia e la sua pace regnino nel cuore di ogni essere umano. Preghiamo perché il suo regno venga tra i Paesi in guerra, tra i tossicodipendenti e nelle cliniche dove si abortisce, nelle famiglie divise e separate, nei corpi distrutti dalle malattie, per coloro che hanno fame, senza casa e senza lavoro, per tutti coloro che non hanno pace. Rammentando che lo scopo principale della nostra vita di cristiani è di collaborare all'edificazione di questo Regno, in ogni luogo dove ci troviamo. La nostra gioia è fare la volontà del Padre: "…che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero" (Salmo 39,9).

Dacci oggi il nostro pane quotidiano... Il senso dell'aggettivo "quotidiano" è duplice: pane "sostanziale" e pane "di domani". E' come se dicessimo: dacci il pane del regno che deve venire. Infatti, il regno che deve venire è paragonato ad un grande banchetto (Mt.22,1ss; Lc. 16,16ss). Il pane del regno futuro è l'eucaristia, che ci riporta all'ultima Cena.

Dio ha sempre provveduto alle necessità del suo popolo, con mezzi ordinari e straordinari. Ha provveduto agli Ebrei nel deserto (Es.16-17); ha fornito il cibo per Elia e per la vedova che lo ha servito (1Re 17,7-15); ha dato da mangiare alle cinquemila persone (Lc. 9,10-17).

Nella preghiera ci poniamo alla presenza del Signore con le necessità quotidiane del corpo, della mente e dello spirito. Preghiamo per i nostri bisogni fisici: casa, vestiario, cibo, salute. Preghiamo per i nostri bisogni psicologici; la conoscenza delle cose divine, l'educazione, l'istruzione, la guida e la saggezza nelle decisioni, le esigenze sociali, la salute emotiva e mentale. Preghiamo per i bisogni dello spirito: il rapporto con Dio, la grazia del perdono, l'accrescimento della fede e la conversione giornaliera, la capacità di realizzare la nostra vocazione di vita cristiana.

Rammentiamo sempre la parabola del vignaiolo che inviò a lavorare ad ore diverse e poi pagò a tutti la medesima cifra. Infatti, diede a ciascuno quello che serviva per il giorno. Similmente, Egli ci dà quello di cui occorriamo.

E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori... "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc.23,34). Il perdono è l'elemento chiave di guarigione del Padre Nostro. Chiediamo aiuto a Dio di aiutarci a perdonare e di avvertirne il desiderio. Per fare ciò è utile meditare sui brani delle Scritture che si riferiscono alla misericordia di Dio (per esempio: la parabola del "Figliol prodigo"), o alla Passione di Gesù Cristo. Dio Padre è sempre pronto ad accoglierci a braccia aperte.

E non ci indurre in tentazione... Cadere nella tentazione è un rischio contro di cui Gesù Cristo mette in guardia i discepoli all'inizio della passione (Mt.26,31), e poi tutti i credenti di ogni tempo. La scena del Getsemani è presentata come un "entrare nella tentazione". Solo la preghiera ci permette di non soccombere alla tentazione. La tentazione rimanda al Tentatore, che nella scena del Getsemani non è esplicitamente nominato, ma che ritroviamo nella frase conclusiva del Padre Nostro. Siamo quindi riportati all'episodio dei quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto, dove fu sottoposto a "ogni tentazione da Satana, che subito dopo si allontanò per ritornare al tempo fissato" (Lc.4,13), ossia il tempo della Passione. Ma significa anche che noi chiediamo a Dio di non permettere che noi siamo indotti dal tentatore, l'autore della corruzione. La Scrittura dice, infatti: "Dio non tenta nessuno al male". Il tentatore è il diavolo, ed è per vincerlo che il Signore ha detto: "Vigilate e pregate per non cadere in tentazione".

Ma liberaci dal male. Diciamo questo a motivo della parola dell'Apostolo: "Voi non sapete ciò che dovete domandare nelle vostre preghiere". Dobbiamo pregare l'unico Dio onnipotente in modo che egli nella sua misericordia ci conceda di lottare contro tutto ciò da cui la debolezza umana non ha la forza di difendersi né di allontanarsi. Per Gesù Cristo nostro Signore, nostro Dio, "che vive e regna nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli".


Quando preghiamo il Padre nostro, rammentiamo che siamo uniti a milioni di altre persone sparse in tutto il mondo, che pregano allo stesso modo, ogni giorno. Consapevoli di questa realtà, poniamoci davanti al Padre con umiltà, con Gesù, Maria e i santi, prendendo il nostro posto di figli e figlie dell'Altissimo.

Il segno della pace

Signore Gesù Cristo,
che hai detto ai tuoi apostoli:
"Vi lascio la pace, vi do la mia pace",
non guardare ai nostri peccati,
ma alla fede della tua Chiesa,
e donale unità e pace secondo la tua volontà.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

Cristo è l'alfa e l'omega, il fine della storia dell'umanità. Non solo il singolo uomo, ma anche la società è termine diretto dell'annuncio cristiano. L'universale fraternità è vocazione umana e divina insieme, posta nel cuore d'ogni uomo come un germe divino, per realizzare la quale i cristiani devono collaborare con ogni uomo di buona volontà, anche con i propri persecutori. La pace terrena non può essere che figura della pace di Cristo. Con la parola e il gesto, il segno della pace annuncia: "Io ti voglio bene. Voglio che il mio rapporto con Dio scorra anche attraverso ogni altra mia relazione".

Il fatto è che i rapporti fra gli uomini saranno relazioni di pace se saranno rapporti di dono: rapporti tali, in altre parole, che ciascuno consideri gli altri superiori a se stessi e come valore, termine del suo personale dono di sé. Questa è la carità di Dio; questo lo spirito di carità che ci urge. Tuttavia, a volte andiamo in Chiesa e preghiamo per la pace nel mondo, mentre non siamo in pace con noi stessi, con le nostre famiglie e con gli amici. Eppure, essa deve cominciare vicino a casa.

Vi è in realtà nell'annuncio cristiano una tensione irresolubile in formulazioni teoriche esatte: Dio ci chiama ad una donazione totale di noi a lui, e contestualmente ad una donazione totale di noi al prossimo. La risposta alla prima chiamata non ha senso se scisso dalla risposta alla seconda. Senza una vita spesa per il prossimo non ha senso una vita spesa per Dio.

Questa è la radice della pace di Gesù e di ciò che auguriamo. Vale a dire quando condividiamo con i fratelli e le sorelle di fede le nostre paure, i nostri dispiaceri, quando ci perdoniamo gli uni gli altri, quando vediamo in loro la bontà, quando amiamo, e siamo in pace con noi stessi e con le persone della nostra cerchia più intima, allora noi troviamo la pace di Cristo. E quando ci riuniamo insieme in comunità per la Messa o per quant'altro, si sviluppa un enorme potenziale di guarigione e di grazia.

Il segno della pace non è soltanto un momento sociale, un momento in cui correre per tutta la Chiesa a salutare gli amici. E' un momento in cui esprimere l'amore cristiano alle persone che abbiamo accanto, con affabilità, con rispetto, come rappresentanti di tutta la comunità. Poiché la comunione è un segno della nostra unione con Dio e tra noi, in quel momento offriamo un segno di pace a coloro che ci stanno intorno. Però le persone tendono ad essere distratte dalla solennità del momento durante lo scambio della pace.

Il gran comandamento lasciatoci da Gesù è di amarci gli uni gli altri, e nella Messa noi lo esprimiamo con il nostro segno di pace.

Lo spezzare del pane

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,
abbi pietà di noi.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,
abbi pietà di noi.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo,
dona a noi la pace.

Il passo da compiere, a questo punto della Messa, è un atto di fiducia e d'accettazione che l'Eucaristia è Cristo. Gesù stesso trasformerà i nostri cuori di pietra in cuori d'amore. Amore che l'uomo da solo non conosce perché si tratta di un amore che va di là d'ogni descrizione e immaginazione, un amore che noi tutti desideriamo, nell'intimo più profondo, un amore che emoziona, che fa piangere di gioia, che fa superare ogni ostacolo.

La più intima aspirazione del nostro cuore è ricevere questo amore perché siamo stati creati per riceverlo. Ognuno di noi ha un posto speciale nel cuore di Dio Padre. Lui ci ha voluto e desiderato; Lui ha progettato la nostra nascita, Lui ci ha atteso immaginando e formando il nostro volto, il nostro corpo, il nostro carattere. Lui ci ha accolto tra le braccia quando siamo nati; ci ha seguiti ogni giorno della nostra esistenza, ed era sempre presente quando ci ferivamo soffrendo con noi. Ci è sempre stato accanto anche se noi non ce ne accorgevamo, anche quando facevamo cose contrarie alla sua volontà.

Nell'Eucaristia, quel profondo bisogno d'amore può essere colmato. Con l'Eucaristia, il nostro cuore può essere purificato da ogni pena sofferta. Nell'Eucaristia, Gesù risana le ferite dell'infanzia. L'esperienza dell'Eucaristia è individuale, personale e destinata in maniera unica a ciascuno dei figli del Padre.

La comunione

Beati gli invitati alla Cena del Signore. Ecco
L'Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.

O Signore, non sono degno
Di partecipare alla tua mensa:
ma dì soltanto una parola
e io sarò salvato.

Il Corpo di Cristo…Amen.


Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv. 6,53-54).

Noi desideriamo la vita eterna perché Dio ha posto questo anelito nel nostro cuore. Si tratta dell'impulso dell'auto-conservazione. Gesù soddisfa questo desiderio dicendo che spiritualmente non moriremo mai, ma potremo vivere con Lui e con il Padre per sempre. Questo, di fatto, è il pensiero più consolante per ogni funerale cristiano. Quando ci accostiamo alla santa comunione, aspettiamoci che il Signore ci guarisca, ci riempia del suo amore. "…sia fatto secondo la tua fede" (Mt.8,13).

Mentre ci incamminiamo verso l'altare per ricevere Gesù, accettiamolo ed apriamogli il nostro cuore come nostro Signore e salvatore. Egli è il Signore del problema più grande che affligge la nostra vita. Che cosa ci sta rovinando la pace della nostra mente? Che cosa ci preoccupa? Che cosa ci sta agitando? I nostri figli? La nostra salute? La nostra incredulità? Un settore della nostra vita? Un impulso che non riusciamo a controllare? Le nostre finanze? La casa? Il problema portatelo al Signore. "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita" (Mt.9,21). Gesù ci dice che non dobbiamo toccare solo l'orlo del suo mantello; dice: "Prendete me! Prendete me tutto intero! Questo è il mio Corpo. Questo è il mio Sangue!"

Non scordiamo mai che Gesù è completamente presente sotto l'apparenza del pane, e completamente presente sotto l'apparenza del vino.

Ritornati al nostro posto, chiudiamo gli occhi e concentriamoci su Gesù. Visualizziamo Gesù che sta all'altare. Vediamo la luce che dalle mani di Gesù giunge nei nostri cuori, che ci tocca proprio in quel momento, guarendoci dalle ferite o dal bisogno. Abbandoniamoci, perdiamoci nella sua presenza interiore che ci pervade interamente: "…non sono più io che vive, ma Cristo vive in me" (Gal.2,20).

In questi istanti d'intimità con Gesù, egli sta operando una profonda guarigione dell'io interiore e sta ripristinando la stima, l'amore, l'accettazione di noi stessi, la gioia della vita. Ecco che allora sorge spontanea la lode al Signore, perché crediamo che ci sia fatto secondo la nostra fede.

Riti di conclusione

Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.
Vi benedica Dio onnipotente,
Padre, Figlio e Spirito santo.

La Messa è finita: andate in pace.
Rendiamo grazie a Dio.

Attraverso la Messa, noi possiamo entrare con potenza nella vita di Gesù e sperimentare che le maledizioni dell'esistenza sono cambiate in benedizioni. In Gioele 2,25 il Signore dice: "Vi compenserò delle annate che hanno divorato la locusta e il bruco, il grillo e le cavallette". Più ci poniamo alla presenza di Colui che benedice, più la benedizione entra in profondità negli strati di sofferenza della nostra vita. Egli è un Dio che sostiene e che benedice.

Signore Gesù, noi ti ringraziamo di averci chiamati alla Messa per guarirci, per riscattarci, per liberarci. Tu ci hai chiamato per darci il potere di guarire i cuori spezzati. Grazie, Padre celeste, perché ci ami tanto. Grazie, Gesù, perché non ci hai voluto abbandonare, ma ci hai donato lo Spirito Santo. Grazie, Spirito Santo, perché ci conduci alla libertà dei figli di Dio. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Amen.

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24/07/2009 16:38
 
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Allego un file pps riguardante l'EUCARESTIA, fatta dal mio parroco don Michele

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02/08/2009 11:53
 
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Scusa Mario, ma forse il tuo PPS non c'è   ^___^
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