A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

La Vergine Nostra Signora di Guadalupe

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2014 20:54
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
25/08/2012 22:51
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

La Madonna degli indios


Juan Diego, l’umile indio dell’apparizione della Madonna di Guadalupe del 1531, che diede il via a conversioni di massa tra gli indigeni, è a un passo dalla canonizzazione. Si riaccenderanno le polemiche da parte di quelli che non credono che sia mai esistito?


di Lorenzo Cappelletti


Una donna in pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe, il più grande fenomeno di devozione della storia del cristianesimo

Una donna in pellegrinaggio alla Madonna di Guadalupe, il più grande fenomeno di devozione della storia del cristianesimo

L’ultima novità riguardo la causa di canonizzazione dell’indio Juan Diego, il veggente di Guadalupe beatificato da papa Giovanni Paolo II, è che il miracolo a lui attribuito ha superato l’esame scientifico e teologico e presto sarà riconosciuto per decreto pontificio, forse ancora prima della fine di quest’anno in cui ricorre anche il venticinquesimo del nuovo santuario.
Il miracolo accadde il 6 maggio 1990 proprio mentre Giovanni Paolo II stava beatificando Juan Diego. Il giovane messicano Juan José Barragán, che a vent’anni, con una vita già fattasi troppo pesante per lo sfascio della sua famiglia, si era lanciato dal balcone e si era sfasciato il cranio qualche giorno prima, in quel giorno si risvegliò dal coma chiedendo da mangiare. La madre aveva invocato Juan Diego al momento del volo e di nuovo nei giorni successivi, mentre si stavano facendo i preparativi della beatificazione. A conforto di tutti i fedeli, c’è da credere, Juan Diego ascoltò.

L’accertamento del miracolo spianerà semplicemente la strada alla canonizzazione o riaccenderà anche le polemiche che sorsero nel decennio scorso in seguito alla sua beatificazione? Capofila di esse paradossalmente fu l’allora abate di Nostra Signora di Guadalupe Guillermo Schulemburg Prado (cfr. 30Giorni, maggio 1996, pp. 14-15), erede di una tradizione di scetticismo riguardo alla storicità dei fatti di Guadalupe che risale al XIX secolo. Scetticismo oscillante fra il semplice timore di alcuni che l’imponente devozione sia fondata su dati storici dubbi e il giudizio reciso di pura mitologia, da parte di altri, su tutto ciò che concerne Guadalupe. Lo scetticismo di Schulemburg, una via di mezzo fra questi due estremi, in quanto ritiene Guadalupe non più di una devozione mariana fondata su una immagine e leggendari i fatti attribuiti a Juan Diego, fu rafforzato dal fatto che Juan Diego nel 1990 fu dichiarato beato ratificando semplicemente un culto da sempre tributatogli. Anche perché la positio (la raccolta della documentazione in ordine alla attestazione della santità di Juan Diego) non aveva tagliato la testa al toro quanto al dubbio sulla storicità del personaggio.

Per la stima che la Chiesa deve avere della realtà storica, la canonizzazione di un santo che non fu santo perché neppure fu non è auspicabile. In essa entra in gioco il magistero solenne del papa e dunque la Congregazione delle cause dei santi ha provveduto a nominare all’inizio del 1998 una commissione storica che potesse dirimere la questione. A presiederla fu chiamato il comboniano Fidel González Fernández, consultore della medesima Congregazione e professore di Storia della Chiesa presso le Pontificie Università Urbaniana e Gregoriana, che a suo tempo era stato fra i più critici sul metodo storico seguito dagli estensori della positio.

I risultati più significativi del lavoro di tale commissione sono stati raccolti in un voluminoso tomo di oltre cinquecento pagine che, uscito in prima edizione alla fine del 1999 per i tipi della prestigiosa editrice messicana Editorial Porrúa, il mese scorso ha già toccato la quarta edizione. El encuentro de la Virgen de Guadalupe y Juan Diego ha per autori, oltre padre Fidel González Fernández, altri due membri della commissione, José Luis Guerrero Rosado e Eduardo Chávez Sánchez, che da pochi mesi è anche il nuovo postulatore della causa.
Già l’uso nel titolo della categoria “incontro” fa capire in sintesi quale sia il giudizio che emerge dallo studio. Prima di analizzarne le ragioni, ripercorriamo il racconto tramandatoci dalla tradizione che noi abbiamo attestata per iscritto non a partire dal 1649, come vuole la critica antiguadalupana, ma in oltre cento testimonianze anteriori a quella data e in particolare in un testo nella lingua degli indios (Nican Mopohua) che proviene dalla penna di Antonio Valeriano, un colto indio cristiano che lo scrisse fra il 1550 e il 1556, secondo il giudizio di Miguel Léon-Portilla, forse il più importante studioso vivente della lingua náhuatl. Ciò che risale al 1649 è solo la prima completa edizione a stampa del Nican Mopohua.
Ebbene, stando a questo testo, è l’alba di sabato 9 dicembre 1531 quando l’indio cristiano Juan Diego si dirige verso Tlatilolco per seguire la dottrina cristiana.

Arrivato nel bosco di Tepeyac ode a un certo punto un concerto di suoni melodiosi e, una volta terminati questi, una voce che lo chiama nella sua lingua náhuatl. Si dirige incontro a quella voce e gli appare una signora che gli si svela come la sempre Vergine Maria madre di Dio, desiderosa di veder eretto lì un tempio dove poter venire incontro col dono del suo amore, cioè del suo Figlio, alle pene di tutti gli uomini che vivono in quella terra. Perché questo desiderio si realizzi lo invia al vescovo di México Juan de Zumárraga. Il vescovo fa la sua parte, come in tante vicende similari, e non fa nessun conto di quanto gli dice Juan Diego, che quello stesso giorno torna abbattuto a dare questo triste responso alla Vergine chiedendole di inviare un altro al suo posto. Ma la Vergine Maria insiste e così la domenica egli torna alla carica dal vescovo che ora gli chiede un segno. La Vergine gli assicura che glielo avrebbe offerto il lunedì seguente ma nel frattempo uno zio di Juan Diego si era gravemente ammalato e Juan Diego non si può presentare a lei. La Regina del cielo però non solo lo rassicura sulla salute dello zio ma gli promette che sotto la sua protezione neanche a lui niente potrà accadere. Così Juan Diego si dispone a compiere quel che la Vergine gli suggerisce cioè di salire sulla cima del bosco a cogliere dei fiori e non portarli ad altri che al vescovo. In cima al Tepeyac, in pieno inverno, trova in effetti rose e fiori che raccoglie nel suo mantello (tilma) e che, dopo varie peripezie, riesce a portare al vescovo. Ma non appena Juan Diego apre il suo mantello davanti a lui, ecco che esso lascia apparire un’icona della Vergine Maria.

Il Nican Mopohua, suggestivo fra l’altro anche per l’evocazione del Santo Rosario in esso contenuta, è stato scritto, come abbiamo detto, intorno alla metà del XVI secolo. Resta però da spiegare il silenzio durato circa un ventennio sui fatti capitati a Juan Diego. Come mai, in particolare, il vescovo francescano Zumárraga non avrebbe fatto parola di quanto accaduto, quando fra l’altro a lui alcune fonti fanno risalire la costruzione della primitiva cappella?

«Il silenzio dei cronisti mendicanti è il grande argomento di coloro che impugnano la storicità di Guadalupe» (p. 243), scrivono i nostri storici. E onestamente riconoscono nella prefazione (p. XXVI) che anche la loro ricerca di fonti fin qui sconosciute non ha dato l’esito sperato (la documentata crisi della carta che investì in quel tempo il Messico può aver contribuito a rarefarle). Ma giustamente spiegano che il silenzio non costituisce mai argomento né a favore né contro la storicità di un fatto. Di fronte al silenzio si deve procedere inevitabilmente per via ipotetica. Ora, la raccolta e l’approfondimento sistematici delle fonti esistenti – è questo il vero merito del libro – permette loro di interpretare questo “silenzio guadalupano” sostanzialmente col forte sospetto di idolatria che vigeva fra i francescani riguardo a tutto quanto proveniva dal mondo indio. Farne tabula rasa era il loro metodo missionario. Tanto più se la Madonna si presentava a un indio come Vergine di Guadalupe, cioè col nome (di origine araba peraltro) con cui era venerata in un santuario dell’Estremadura, la terra da dove provenivano tanto Cortés quanto i primi missionari. Il sospetto che l’apparizione guadalupana e il suo contorno fosse una costruzione sincretistica inventata a bella posta per permanere nell’idolatria sorgeva spontaneo. Senza dimenticare peraltro la gelosia con cui quei missionari custodivano le loro prerogative di primi evangelizzatori della Nueva España, che li spingeva a opporsi al primo stabilirsi di una gerarchia ordinaria in terra messicana che quelle prerogative avrebbe inevitabilmente scalzato. Cosa di cui fecero le spese il primo successore di Zumárraga, Alonso de Montúfar, e la devozione guadalupana, criticata e “silenziata” perché da questi esplicitamente approvata.

L’antico e il nuovo santuario di Nostra Signora di Guadalupe; sotto, Juan Diego

L’antico e il nuovo santuario di Nostra Signora di Guadalupe; sotto, Juan Diego

Ma ancor prima della volontà di tacitare il fatto, forse il silenzio iniziale intorno ad esso suggerisce semplicemente che agli spagnoli la vicenda di Juan Diego e quell’immagine impressa sulla sua tilma apparvero come una fola. Non parlava la loro lingua. Non era a loro d’altronde che doveva parlare. «Di fronte all’avvenimento guadalupano, ci si aspetterebbe di riscontrare nei primi cronisti religiosi non solo ripetuti riferimenti, ma anche chiare lodi e fervide azioni di grazie. Questa aspettativa nasce da un anacronismo. [...] Nel Messico contemporaneo l’avvenimento guadalupano è qualcosa di così evidente e onnipresente che è difficile pensare non sia stato sempre così [...]. E invece è proprio quel che accadde: fu quasi invisibile agli spagnoli, perché, con tutto che gli indios gli corrisposero convertendosi in massa, nessuno spagnolo in quel momento poté rendersi conto dell’incredibile miracolo che Dio realizzava davanti ai loro occhi attraverso la sua santissima Madre e l’umile di lei messaggero Juan Diego Cuauahtlatoatzin» (p. 267).

Il nome impronunciabile di quell’indio rimanda in effetti a un mondo e a una lingua del tutto estranei agli europei, più del mondo e della lingua arabi, la cui incomprensibilità è diventata proverbiale e attualmente sospetta (ma slavi o tedeschi non lo furono meno a suo tempo, tanto che il “parlare ostrogoto” è rimasto proverbiale quanto il “parlare arabo”). Eppure anche il popolo indio e la sua lingua incomprensibile erano amati da Dio, che vuole che tutti siano salvi e che non permette che né la terra né il mare siano devastati finché tutti i suoi servi di ogni nazione razza popolo e lingua, per parafrasare la Scrittura, non abbiano ricevuto il sigillo del battesimo. È così vero che ogni popolo e lingua hanno diritto di cittadinanza nella Chiesa, che in quegli stessi anni del XVI secolo in cui l’Europa cattolica minava le basi del concetto e della celebrazione dei sacramenti, una stupefacente illustrazione ortodossa di “sacramento” viene proprio dal vocabolo forgiato in quella lingua náhuatl: «Si forgiò il vocabolo etlaceliliztli. Le sue componenti sono il verbo celilia che sta per “ricevere”, “albergare” e gli affissi te, che indica persona e tla che indica cose, oggetti. Per cui Te- tla- celiliztli significa “ricezione di qualcosa” (il segno sacramentale) che è anche “Qualcuno”» (p. 165 nota 39).

Ma l’immagine composta e raccolta della Vergine dal volto meticcio impressa in un mantello di fibra di agave parlava ancor meglio il náuhatl. Fu quell’immagine anzitutto il codice adeguato perché il Vangelo entrasse con facilità nel cuore indio. E l’analisi accurata di quel mantello – che non finisce di sorprendere gli studiosi, vuoi per la sua inspiegabile conservazione, vuoi per la sua colorazione che non si può far risalire ad alcun colorante né minerale né vegetale né animale, vuoi per la ricchezza dei suoi segnali tutti provvidenzialmente confacenti alla mentalità degli indios (cfr. pp. 193-214) – fa emergere fra l’altro che il personaggio alato che sta ai piedi della Vergine non poteva apparire agli occhi degli indios che come una rappresentazione di Juan Diego: l’angelo, cioè l’ambasciatore e messaggero di Santa Maria di Guadalupe, come lo chiamano le fonti.

Dio con un primo miracolo aveva già fatto breccia nel cuore di Juan Diego attraverso la predicazione dei missionari spagnoli, perché a sua volta, attraverso un secondo più clamoroso segno, egli diventasse il tramite per una conversione più agevole del suo popolo. «Il Vangelo risponde e compie i più profondi interrogativi degli uomini di qualsiasi cultura e in qualsiasi tempo, e Dio può concedere a alcuni eletti una grazia eccezionale per accoglierlo, anche attraverso la presentazione la più manchevole. Risulta che ci furono degli indios che così lo ricevettero e uno di questi fu Juan Diego» (p. 161).
Viene in mente la vicenda dell’imperatore Costantino, questo adoratore del sole, la cui clamorosa esperienza (attestata da lui medesimo e registrata da fonti molteplici e attendibili), di un segno adeguato alla sua sensibilità già prossima al cristianesimo, avrebbe spalancato la porta di Cristo alla conversione di interi popoli.

Se non fosse bastata la conversione e la devozione che ormai un intero continente tributa a Nuestra Señora de Guadalupe (il suo santuario è attualmente quello al mondo che conta il maggior afflusso di pellegrini, superiore a quello verso la Basilica vaticana, Lourdes e Fatima messe insieme, si dice) e, fin dall’inizio, anche al suo messaggero, come attestano le ricerche archeologiche sui luoghi guadalupani citate nel volume, ora c’è una ricerca che soddisfa tutti i crismi della metodologia storica e un miracolo scientificamente attestato.
Dovrebbe bastare perché tutti si possano rivolgere con fiducia all’intercessione di Juan Diego Cuauahtlatoatzin, anche senza invocarne necessariamente il cognome.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 04:57. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com