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Etica e morale: gli articoli di Vincenzo Andreaus (aiutiamo i Carcerati a ritrovare se stessi)

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2013 09:56
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17/03/2009 21:57
 
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Amici.... nel vecchio forum del Difendere avevamo dedicato una rubrica all'amico Vincenzo Andreaus con i suoi articoli a riflettere sull'educazione giovanile, ma anche sull'etica e sulla morale degli adulti, i loro comportamenti (anche nostri) atti ad aiutare i giovani e non a deviarli....[SM=g1740730]

Il Carcere è una dura realtà che nessun giovane dovebbe conoscere, ma purtroppo non è così...ecco che le riflessioni di Vincenzo ci aiutano a riflettere....e chissà, magari anche a cambiare un pò senza dimenticarci di questo mondo tenebroso ma dove NON manca mai l'alba di un giorno migliore...[SM=g1740720]

Anche qui, dunque, vogliamo dedicare una rubrica con i testi che Vincenzo continua a mandarmi via emali...materiale prezioso per non condividerlo con tutti voi, facciamo tesoro di questi pensieri.....[SM=g1740722]

Grazie Vincenzo....[SM=g1740738]


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BULLISMO UNA VERA E PROPRIA CONTRAPPOSIZIONE CULTURALE

 Bullismo in percentuale accettabile, sento dire da qualche tempo, trasgressione da ragazzi, devianza che non è ancora diventata un dato esponenziale, insomma si tratta di una violenza addomesticabile, è tutto sotto controllo, come se la scuola innanzitutto e la famiglia in coda, avessero deciso di stendere un velo su questo argomento.

Bullismo che non è più riconducibile al solo disagio relazionale che assale gli adolescenti e pure qualche adulto idiota, ormai bisogna parlare di una vera e propria contrapposizione culturale: una parte non troppo marginale dei nostri giovani ha deciso di intraprendere un tragitto di vita senza servirsi degli strumenti salvavita che la prudenza e la pazienza impongono, l’esperienza che il  mondo adulto gli mette a disposizione.
E’ pesante la sensazione che di bullismo non si debba più parlare, quasi non si trattasse di  un cancro, una metastasi culturale da estirpare.

Qualcuno cita inopportunamente altri paesi, altre realtà e altri organigrammi sociali per fare intendere come si dovrebbe operare per risolvere definitivamente l’epidemia; durezza e galera, come in Inghilterra, in America, omettendo però di dire che si tratta di parallelismi assurdi. Infatti sono situazioni e problematiche che non è possibile fotocopiare, e soprattutto in questi paesi, dove si è cercato di “ridurre il danno” attraverso una dose robusta di castigo e punizione statuale, s’è venuta a creare una situazione insostenibile, minori morti ammazzati ai bordi delle strade, carceri stracolme di giovanissimi pronti a morire alla prima occasione.

Atti di bullismo zero, ma allora  come è possibile che a ogni corridoio di scuola,  angolo di classe, al centro di una piazzetta, dentro un raduno, l’odore della prepotenza si respira senza possibilità di errore.

Come è possibile dialogare sulle problematiche giovanili con un fare e dire sempre più isterico, sempre meno professionale, e di rimando con un uso improprio delle regole  e delle civicità calate dall’alto, autoassolvendo il mondo dei grandi da una responsabilità imperdonabile.
Chissà se forse non occorrono meno effetti speciali, mettendo davanti a quanti sono già futuri “carcerati”, persone lacerate dalla sofferenza, da quel  dazio pagato e ancora da pagare, testimoni senza più parola che potrebbero spiegare ciò attende coloro che si sentono stoltamente i più furbi.

Opporre alla violenza di un’età bloccata, la storia raccontata in prima persona da chi è diventato vecchio da giovane per quella prepotenza perpetrata, per il male fatto e per  la tragedia colpevole che ne è seguita, e non avrà a disposizione un’altra vita per provare a riconsegnare dignità alla propria esistenza.

Insegnanti assenti, educatori distratti, genitori dall’arringa aggressiva, disposti a sferrare schiaffi e gomitate pur di difendere a spada tratta i propri pargoli: forse è il caso di riformare il mondo della maturità diplomata e laureata, quella maturità raggiunta senza troppe fatiche, che quindi  reclama   altrettante  facilità operative, forse è più urgente “insegnare” dapprima ai grandi: per poter arrivare senza fraintendimenti ai più piccoli, l’importanza del rispetto per se stessi e per gli altri.

E questo rispetto non è possibile impararlo attraverso la solita formuletta disegnata alla lavagna, semmai con l’esempio autorevole di chi rimane un protagonista positivo del proprio destino.


[SM=g1740722]



[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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17/03/2009 22:04
 
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UNA DISCONNESSIONE  MENTALE E EMOZIONALE


 

Si violentano le donne, si umiliano, si offendono nella carne e nello spirito, poi si gettano via.

Si bruciano vivi i barboni con  una risata  sgarbata,  tutta l’indifferenza nei riguardi della dignità umana, un menefreghismo costruito a misura, verso quanti deboli e indifesi possono essere usati come divertimento contro la noia.


Donne e clochard, scagliati in faccia alle coscienze, sempre pronte a trovare un capro espiatorio, sempre quello, sempre uguale, sempre meno attendibile: siamo circondati dagli stranieri, oramai siamo in preda al panico, ridotti al filo spinato delle parole lanciate a grappolo, dei colpi di pistola sparati nel mucchio.


Come se tutti i guai fossero riconducibili ai comunitari indesiderati, certamente un fenomeno da riconsiderare nei numeri, nella qualità dei ruoli, ma altrettanto sicuramente non responsabili dei mali della nostra società.

La mattina osservo gli adolescenti fermi alle stazioni dei pulman, nei pressi delle scuole, solo bestemmie e pugni sul muso, spintoni e occhiatacce, gruppi che si fronteggiano, muscoli e odio che sale nei riguardi dei più deboli, per quanti non hanno, non posseggono, non potranno avere.

Nella famiglia, il microcosmo che costituisce-costitutivamente  il macrocosmo collettività, anche lì vedo calci e prepotenza, come se improvvisamente nelle nostre vene scorresse un liquido inquinato e inquinante, la peggiore espressione della nostra disumanità.

Primo levi ci ha lasciato in eredità che occorre credere nella ragione e nella discussione, che all’odio bisogna anteporre sempre e comunque la giustizia.

Forse proprio in queste parole c’è la chiave di accesso per scardinare l’oblio in cui ci siamo cacciati, la lentezza di un intervento educativo capace, la stanchezza per un’esistenza che non consente più pause, riflessione, ascolto, e un briciolo di pietà.

La pietà questa compagna di viaggio ripudiata, messa al bando, da un odio che cresce, che fa sponda alla paura, e rende invincibili i branchi in agguato, eroi i vigliacchi, leaders chi non potrà mai esserlo.

Ricordo qualche tempo fa quando ho sostenuto che non si trattava di mera sporadicità, né di accadimenti incredibilmente da fuori di testa in via di esaurimento, rammento bene le alzate di spalle, i comportamenti di spocchiosa alterità.

Qualcuno dirà che non siamo ancora a questi livelli di urbanizzazione incontrollata dell’odio, eppure se guardo negli occhi un adolescente, leggo oltre alla spavalderia dell’impunito, l’incapacità di accettare un’altra persona diversa da se stesso, in quello sguardo c’è lancinante l’assenza di un qualche dubbio, di contro ci sono gli sms che cristallizzano una società materializzata e livellatrice, al punto da disconoscere quel pudore essenziale per non dichiarare  fallita in partenza la nostra personalità, il nostro valore di esseri umani.

Un indiano bruciato vivo, un altro clochard dopo quello di Rimini, un’altra persona al macero che non faceva male a nessuno, ma rendeva inqualificabile l’arredo urbano.

Perdiamo tempo a domandarci se è xenofobia, razzismo, o  più semplicemente è il risultato di una disconnessione mentale e emozionale, e allora dalle università alle scuole secondarie non è più sufficiente arrancare sul compito dell’istruzione pura, ma bisogna affiancare un’azione educativa influente per autorevolezza, che trasmetta  l’importanza del legame tra un individuo e l’altro, anche quello solo apparentemente diverso, o spesso, unicamente meno fortunato.


[SM=g1740733] 
 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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IN RICORDO DI FABRIZIO DE ANDRE’

 


Caro Gesù [SM=g1740734] stasera voglio parlarti di un tuo figlio, uno di quelli lontani, uno di quelli che sono rimasti sempre là, dove si tributa onore al padre, amore alla madre, fede negli uomini e nelle loro capacità.


Voglio parlarti di uno di quelli che scriveva e cantava a molti, a tanti, forse per nessuno, o forse solo per se stesso, per me, anche per te.
Uno di quelli che viene additato e poi concluso in un saluto senza troppe pretese, giudicato e  messo di lato, senza conoscerne ideali e sentimenti e passioni.

Uno di quelli liberi dentro, come il suo cane, Libero di nome e di fatto, negli occhi che non conoscono pause, curiosi come te, che non manchi mai di guardare dove gli occhi si chiudono per lo sfinimento.

Voglio parlartene perchè da tempo ho disconosciuto il senso di quest’uomo, ho solamente contribuito a rafforzarne il mito, una verità di comodo, una affermazione di sollievo per le mie rese e le mie sconfitte, un moto di rabbia per quel che non ho, usandone maldestramente le parole, i suoni, le stesse inattaccabili speranze.

Voglio parlarti di questo tuo figlio ribelle, nella stalla a pensare, nella cantina a bere vino, nella vita a spalancare la porta a una imprecazione, uno di quelli che non accetta di tradire, uno dei tuoi figli grandi per cuore e per generosità, uno di quelli veri fino in fondo, per ciò che hanno lasciato in eredità, nei segni incerti sulla carta che incontrano lo sguardo Alto, uno di quelli che sta sulla Croce senza neppure accorgersene, ma che non lascia scampo all’anima più nera, a quella meno onesta.

Voglio parlarti di questo tuo figlio, nato contro, nato di lato agli inganni, alle trappole degli invidiosi, di quanti non hanno voluto rispettarlo, e stimarlo, uno di quelli dalla sofferenza nella carne, del pessimismo con spessore, della storia che non racconta giorni sognati, uno di quelli preso a botte, portato via, rilasciato più vecchio nella barba, ritornato meglio ancora della vita che gli è stata rubata.

Caro Gesù voglio parlarti  di questo tuo figlio, malcelato verso le conformità fittizie, quelle senza tradizioni, culture, uno di quelli che non  hanno voglia di mostrarsi, di mettersi in fila e attendere un commiato, una commozione di rimando a una tragedia consumata lentamente.

Uno di quelli con i palmi delle mani aperte, con il corpo esile a difendere un’idea, uno di quelli che ci ha sempre creduto, che non ha mai smesso un istante di credere di migliorare il mondo, attraverso una nota nascosta nelle tasche vuote, uno di quelli che forse non ti ha mai creduto, ma ti ha dato il fianco nudo.

Uno di quelli che non ha stentato di fronte al pericolo di parlare dei vinti, degli sconfitti, dei ladri e degli assassini, ne ha parlato con il dolore delle vittime inascoltate, con il coraggio di chi non teme di rimanere indietro.

Come te caro Gesù, non ha mai sperperato buone parole, immensi sentimenti, da te ha imparato a non credere a una realtà sognata, ma a una libertà di tutti i giorni, nei gesti quotidiani ripetuti, al fare e all’agire nel rispetto della dignità di ciascuno.

Caro Gesù ho voluto parlarti di uno di noi, uno di quelli andato via giovane, ma rimasto lì, come una preghiera che non stanca mai, che muove le labbra, spinge in avanti le gambe, per un po’ di pietà sincera.


               [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]


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Tra una lettura ed un altro dei testi stupendi di Vincenzo... vorrei informare quanti passano da qui, che esistono tanti posti dove tante persone aiutano i Giovani ad uscire fuori da certi tunnel....Se avete delle difficoltà e cercate un aiuto, cliccate qui:

                              

                                  http://www.centrodiascolto.org/


Il Sogno di un Sacerdote


Spesso sogno tante persone che si buttano nel servizio

e si lasciano divorare dai poveri.

Sogno tante case in tanti posti,

con tanti volontari e definitivi

pronti ad aprire il loro cuore alle miserie del mondo.

Sogno tanti fratelli e sorelle

che danno tutto e definitivamente al Signore,

danno tutto e non solo molto ai poveri e agli ultimi.

Vorrei, o caro Gesù,

che il mondo diventasse un cantiere di carità e di amore travolgente.

Sogno di diventare un uomo di Dio

pienamente libero e crocifisso dall’amore nel servizio

con la Chiesa e nella Chiesa per i fratelli...

ma quando si sogna con amore audace e con il cuore di Cristo

tante cose si realizzano.

Per cui, Gesù, ti chiedo di aiutarmi a sognare

per diventare sempre più piccolo e grande in amore e libertà.

 

(Diario 3 – 10 – 89, don Enzo Boschetti,

fondatore della Comunità Casa del Giovane)

COORDINAMENTO E PRIMI CONTATTI

 

CENTRO EDUCATIVO "D. ENZO BOSCHETTI"

Via Lomonaco 43 - 27100 Pavia

Area Adulti/Dipendenze - tel. 0382/384485 - fax. 0382/3814487

Area Minori - tel. 0382/3814490 - fax. 0382/3814454


[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]




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30/11/2009 12:03
 
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[SM=g1740733] Dall'amica Ester Maria Ledda su Facebook con fraternità vi segnalo quanto segue...

Preghiera del carcerato [SM=g1740717] [SM=g1740720]

(di Papa Paolo VI)

Signore!
Mi dicono che io devo pregare.
Ma come posso io pregare
che sono tanto infelice?
Come posso io parlare con te
nelle condizioni in cui mi trovo?
Sono triste, sono sdegnato,
alcune volte sono disperato.
Avrei voglia di imprecare,
piuttosto che di pregare.

Soffro profondamente:
perché tutti sono contro di me
e mi giudicano male;
perché sono qui, lontano dai miei,
tolto dalle mie occupazioni,
senza libertà e senza onore.
E senza pace:
come posso io pregare, o Signore?
Ora guardo a te, che fosti in croce.

Anche tu, Signore,
fosti nel dolore;
sì, e quale dolore!
Lo so: tu eri buono, tu eri saggio,
tu eri innocente,
e ti hanno calunniato,
ti hanno disonorato,
ti hanno processato,
ti hanno flagellato,
ti hanno crocifisso,
ti hanno ucciso.
Ma perché? Dov'è la giustizia?

E tu sei stato capace di perdonare
a chi ti ha trattato così ingiustamente
e così crudelmente?
Sei stato capace di pregare per loro?
Anzi mi dicono
che tu ti sei lasciato ammazzare a quel modo
per salvare i tuoi carnefici,
per salvare noi uomini peccatori:
anche per salvare me?

Se è così, Signore,
è segno che si può essere buoni nel cuore
anche quando pesa sulle spalle
una condanna dei tribunali degli uomini.
Anch'io, Signore, in fondo al mio animo
mi sento migliore
di quanto altri non credano:
so anch'io cos'è la giustizia,
che cos'è l'onestà,
che cos'è l'onore,
che cos'è la bontà.

Davanti a te mi sorgono dentro
questi pensieri:
tu li vedi?
Vedi che sono disgustato delle mie miserie?
Vedi che avrei voglia di gridare
e di piangere?
Tu mi comprendi, o Signore?
È questa la mia preghiera?
Sì, questa è la mia preghiera:
dal fondo della mia amarezza
io innalzo a te la mia voce;
non la respingere.

Almeno tu, che hai patito come me,
più di me, per me,
almeno tu, o Signore, ascoltami.
Ho tante cose da chiederti!
Dammi, o Signore, la pace del cuore,
dammi la coscienza tranquilla;
una coscienza nuova,
capace di buoni pensieri.

Ebbene, o Signore, a te lo dico:
se ho mancato, perdonami!
Tutti abbiamo bisogno di perdono
e di misericordia:
io ti prego per me!
E poi, Signore, ti prego per i miei cari,
che mi sono ancora tanto cari!
Signore, assistili;
Signore, consolali;
Signore, dì a loro che mi ricordino,
che ancora mi vogliano bene!
Ho tanto bisogno di sapere
che qualcuno ancora pensa a me
e mi vuol bene.

Ed anche per questi compagni di sventura
e di afflizione
associati in questa casa di pena,
Signore, abbi misericordia.
Misericordia di tutti, sì,
anche di quelli che ci fanno soffrire;
di tutti;
siamo tutti umani
di questo mondo infelice.

Ma siamo, o Signore, tue creature,
tuoi simili, tuoi fratelli, o Cristo;
abbi pietà di noi.
Alla nostra povera voce
aggiungeremo
quella dolce e innocente della Madonna,
quella di Maria Santissima,
che è la tua Madre,
e che è anche per noi
una madre di intercessione
e di consolazione.

O Signore, dà a noi la tua pace;
dà a noi la tua speranza.
E così sia.


[SM=g1740738]

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03/12/2009 00:00
 
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Scienza, filosofia e teologia sono oggi più che mai in dialogo e non in conflitto: a confermarlo, partecipando all'udienza del Papa, gli scienziati che in questi giorni hanno dato vita al convegno su Galileo promosso dalla Pontificia Università Lateranense.

Tra i presenti in piazza San Pietro, il premio Nobel del 2006 per la fisica George Smoot, alcuni importanti studiosi di livello internazionale e il senatore Marcello Pera. Con loro gli arcivescovi Rino Fisichella, rettore della Lateranense, e Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, che hanno ringraziato il Papa per il messaggio inviato ai partecipanti al convegno.

Al termine dell'udienza Benedetto XVI ha salutato Monique Fesch, sorella di Jacques, ghigliottinato a Parigi il 1° ottobre 1957 per un omicidio ma convertitosi in carcere, tanto che il cardinale Lustiger ne ha aperto la causa di beatificazione. Ad accompagnare la donna il cardinale Angelo Comastri che racconta: "È stato un detenuto, quando ero cappellano a Regina Coeli, a farmi conoscere la storia affascinante di Fesch. È una testimonianza unica: giovane sbandato di ricca famiglia, diventa assassino e viene condannato a morte. Aveva ventisette anni. In carcere vive una conversione radicale, folgorante, raggiungendo alte vette di spiritualità". "Con mio fratello - dice Monique - ci intendevano alla grande. Di otto anni più grande, sono stata sua madrina di battesimo e andandolo a trovare in prigione ho seguito da vicino la sua straordinaria conversione". Al Papa la donna, insieme al biografo Ruggiero Francavilla, ha mostrato le lettere scritte in cella dal fratello.

Infine, all'approssimarsi del Natale, la Federazione italiana dei panificatori e dei pasticcieri ha donato al Papa mille panettoni che saranno ora portati ai poveri assistiti nella Casa Dono di Maria in Vaticano e dalla Caritas romana. A Benedetto XVI hanno regalato "un panettone speciale, il più grande che siamo riusciti a fare" dice il presidente Vecchiato. I fornai italiani hanno anche ribadito l'impegno "a difendere la domenica come giorno per la famiglia, sottraendola agli attacchi di un mercato impazzito che guarda solo ai conti economici".



(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2009)


[SM=g1740722]
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28/05/2010 21:29
 
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Il Pontefice ai detenuti maltesi

Liberi anche dietro le sbarre


"Prego affinché possiate trovar conforto nel sapere che condividete la condizione dello stesso san Paolo, il quale, benché prigioniero, ebbe la libertà di rallegrarsi nel Signore".

Sono parole di carità e di speranza che confermano lo stile pastorale di Benedetto XVI. Le aveva indirizzate a un gruppo di detenuti maltesi alla vigilia del suo viaggio nel piccolo arcipelago del Mediterraneo, compiuto il 17 e 18 aprile scorsi.

Il messaggio è stata la risposta a una sollecitazione giunta alla nunziatura apostolica in Malta dal Corradino correctional facility - che si trova a Paola  -  in  cui  si  confidava  che  Benedetto XVI potesse auspicare un provvedimento di clemenza da parte del Governo.

Firmata da 330 dei 570 reclusi nella struttura, la petizione è stata resa nota dall'associazione From Darkness to Light, "Dal buio alla luce". Nella sua risposta, datata 13 aprile, Papa Ratzinger ha spiegato ai detenuti quanto desiderasse far giungere loro il più profondo apprezzamento per i sentimenti espressi e per il sostegno delle loro preghiere.

Quindi ha assicurato di voler ricordare, durante il pellegrinaggio, "quanti, in qualsiasi modo soffrono:  i malati, gli anziani, coloro che sono costretti a rimanere in casa e chi è in carcere". Infine, ha invocato su detenuti e familiari l'intercessione di san Paolo, l'apostolo che proprio da prigioniero in viaggio verso Roma per essere processato, in seguito al naufragio dell'imbarcazione che lo conduceva verso la capitale dell'impero, riparò a Malta e la evangelizzò.

Nonostante la stampa internazionale abbia parlato della visita quasi esclusivamente nell'ottica dell'incontro tra il Papa e le vittime di abusi sessuali da parte del clero, il pellegrinaggio di Benedetto XVI ha avuto un enorme successo, tanto che continua ad avere spazi0 sui mezzi di comunicazione locali. "Il vero protagonista - ci ha detto l'arcivescovo di Malta, monsignor Paul Cremona - è stata la gente.

I media, che continuano a parlare della visita del Papa, hanno potuto verificare la realtà del popolo di Malta e di Gozo", cattolico per il 98 per cento. "Ora tutte le persone che erano presenti hanno la responsabilità di attirare altri verso la Chiesa - ha aggiunto il presule - e di offrire loro un'esperienza che li incoraggi a rimanere con noi. Questo compito è anzitutto di noi vescovi e dei sacerdoti - ha concluso - ma si estende all'intera comunità:  ognuno può dare il proprio contributo per far sì che lo stesso clima che si respirava durante la visita papale possa essere esteso alla vita quotidiana".

Intanto a conferma dell'attenzione del Pontefice verso il mondo delle carceri, ci sarà a breve l'incontro con gli ospiti della Casa circondariale di Sulmona, nel contesto del viaggio nella cittadina abruzzese, in programma il 4 luglio. Un'opera di misericordia, che si aggiunge alla visita al carcere minorile romano di Casal del marmo del 18 marzo 2007.


(©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2010)

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Viaggio pastorale a Sulmona - Incontro con i carcerati...







Il saluto di Benedetto XVI a una delegazione del carcere durante la visita pastorale alla città abruzzese

Anche dai detenuti un contributo alla società



dal nostro inviato Gianluca Biccini

"Sono felice di essere con voi. Avrei voluto incontrarvi tutti", perciò "portate il mio saluto" agli altri detenuti. "Vi sono sempre vicino e prego affinché il Signore vi aiuti in questo cammino non facile:  vi porterò nel mio cuore e di cuore vi auguro che possiate trovare la via per dare un contributo alla società, secondo le vostre capacità e i doni che Dio vi ha dato. Nella mia preghiera siete sempre presenti".

Con parole improvvisate, lontano da microfoni e telecamere, Benedetto XVI ha salutato così una delegazione della casa circondariale di Sulmona.

Domenica pomeriggio, 4 luglio, durante la visita pastorale alla città - in occasione dell'anno giubilare voluto dai vescovi della regione ecclesiastica Abruzzo-Molise per l'ottavo centenario della nascita di san Pietro Celestino - il Papa ha di nuovo affrontato il delicato tema della sofferenza della popolazione carceraria. Un breve saluto - non previsto dal programma - richiesto dal cappellano, il marista Franco Messori, mentre nella casa sacerdotale attigua al vescovado presentava al Pontefice il direttore dell'istituto Sergio Romice, alcuni agenti di custodia e cinque rappresentanti - il più giovane si chiama Catalin, ha poco più di trent'anni e viene dalla Romania - dei 420 detenuti e internati che affollano la struttura.

Non è la prima volta che Benedetto XVI mostra la sua sollecitudine verso questa realtà. Lo aveva fatto nell'aprile scorso, scrivendo un messaggio ai detenuti maltesi durante il viaggio nell'isola del Mediterraneo, e il 18 marzo 2007, quando visitò l'istituto penale per minori di Casal del Marmo a Roma. "Ho chiesto al Papa - ci ha confidato il cappellano - una parola di luce e di speranza, perché incontrando questi cinque uomini il suo messaggio giunga a tutti i detenuti abruzzesi e delle altre case circondariali d'Italia". Padre Messori non condivide la definizione di "carcere dei suicidi" data dai media alla struttura detentiva sulmonese, ma evidenzia la necessità di maggiori fondi per l'istruzione e il lavoro. "Senza queste due cose - spiega - non ci sono possibilità di reinserimento". Anche per questo all'incontro privato con Benedetto XVI - durato una decina di minuti - ha partecipato anche la responsabile dei programmi educativi.

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13/09/2010 11:19
 
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 Testimonianza di un gruppetto di detenuti della Casa di Reclusione di Padova 

Carissimi amici, 

 In questo periodo di Quaresima, la serenità e tutta questa grazia che il Signore ci sta donando ci fa sentire sempre di più che siamo Suoi, che dipendiamo da Lui, che senza il Suo continuo amore non potremmo vivere. Ci rendiamo conto ogni giorno, in ogni risveglio che tutta questa grazia deriva solo ed esclusivamente da Lui. Nelle preghiere che ci vengono spontaneamente da recitare in qualsiasi posto, emerge che la Sua presenza è costante, che non ci abbandona, ma ci stringe sempre di più a sé proprio come figli. Convivere con Gesù presente non è più un sacrificio, è una vera letizia; a volte ci sentiamo complici di Gesù, ci fa vedere cose che ci spaventano perché trasforma le persone come noi.

Guardando il passato ci rendiamo conto sempre di più che solo uno come Lui poteva renderci così mansueti e innocui. Iniziamo a capire veramente chi eravamo e chi siamo oggi. Se guardiamo il passato, ci facciamo paura pensando a tutto il male che abbiamo commesso. Oggi è bello vivere nella luce, senza che nessuno pronunci il nostro nome solo per dire il nostro male, ma quanto bello è sentire quel bisbiglio del cambiamento fatto grazie al Signore attraverso degli amici veri. Non avremmo mai scommesso nulla su di noi, era impossibile che noi potessimo essere così oggi.

Quando Margherita Coletta ci è venuta a trovare in carcere prima di Natale, ci ha detto: «Esiste una cosa che Gesù ci ha lasciato, un sacramento, che per me è importantissimo, ed è quello della confessione. In quel momento, nell'istante stesso che uno si avvicina a questo sacramento è libero, ma libero veramente, ci dovete credere. Qualsiasi peccato che ognuno di noi abbia potuto commettere da quell'istante non c'è più, è cancellato, non esiste più.
 
Non bisogna nemmeno ripensarci, perché sarebbe del diavolo: in quell'istante tutto è cancellato. Dio è buono, è un padre misericordioso che accoglie tutti». È proprio vero. Oggi vediamo il nostro cuore pieno di Gesù e Lo preghiamo costantemente che non ci faccia ricadere nell’oscurità dove per un lungo periodo abbiamo vissuto. Non è semplice trovare le parole giuste perché la commozione è tanta, solo oggi capiamo e cerchiamo di dare un senso a quei gesti terribili. Quante volte abbiamo chiesto al Signore di prendersi la nostra vita e di ridarla a chi l’abbiamo tolta.

Ci rimarrà sempre impresso nelle nostre menti quello che aveva scritto in una lettera indirizzata al Papa il nostro amico Ilario, lui che poco prima di morire per un male atroce ha rubato il Paradiso come il buon ladrone, ricevendo l’estrema unzione: «Ricordatevi che, quando ci si rende conto del male fatto, non si vorrebbe più finire di scontare la pena e anche, quando la si è finita di scontare, il dolore che rimane nel cuore è grande».

Ecco perché vivere in isolamento, stare in carcere ci ha fatto solo del bene e non siamo impazziti. A chi piacerebbe vivere in un luogo simile senza un attimo di privacy, anche se, sapendo di essere in colpa, in quel posto trovi un rifugio dove nessuno ti può toccare e vedere, dove le tue vergogne vengono occultate?

Oggi invece, che grazia ci ha fatto il Signore. Ha voluto che ci trovassimo al posto giusto nel momento giusto per farci capire ancora una volta che Lui ci ama tutti nello stesso modo. Essere stati lì accanto al nostro Pietro mentre ritirava il suo primo permesso è stato il regalo più bello della giornata, sì perché di regali così ce ne dà di continuo.

Ci sono scese le lacrime ancora una volta, non per un dolore ma per una gioia fraterna che proviamo per un vero Fratello. Quanta grazia ci dà ogni giorno il nostro Gesù e quanto è presente. Sta a noi tenerlo in vita, senza ricordarlo come un “fu Gesù”, ma con un c’è Gesù in tutto e in tutti noi. Se si potesse fotografare le emozioni, anche questa sera, qui in mezzo alla nostra piccola comunità, ci vorrebbe Clint Eastwood con una pellicola gigantesca e ancora non basterebbe. Se questo si chiama miracolo o Mistero non lo sappiamo, ma sappiamo che è una vera letizia vivere così, in questo posto dove tutto si potrebbe dire ma non che sia un posto piacevole.

Duemila anni fa abbiamo fatto un errore nel giudicare Gesù colpevole solo perché voleva avvisarci di quanto sbagliavamo, e noi abbiamo sbagliato molto. Oggi sentire l’abbraccio di Cristo così forte e pieno di quell’amore che solo Lui sa dare, ci fa sentire quanto sia povero il nostro cuore di fronte a Lui. Con la Santa Pasqua della Resurrezione possano tutti sentire l’Amore e l’abbraccio di Gesù Cristo come lo sentiamo noi.

Desideriamo augurare una Santa Pasqua a tutti gli amici e alle loro Famiglie. Vostri amici in Cristo.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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IL PAPA RISPONDE ALLE DOMANDE DEI DETENUTI (trascrizione non ufficiale di Radio Vaticana)

Visita nel carcere di Rebibbia, il Papa risponde alle domande dei detenuti: Sono commosso da questa amicizia

Durante la visita nel carcere di Rebibbia, il Papa ha risposto alle domande di alcuni detenuti. Questa la trascrizione di lavoro non ufficiale:

Domanda 1
Mi chiamo Rocco.Innanzi tutto volevo porgerle il nostro ed il mio personale ringraziamento per questa visita che ci è molto gradita ed assume, in un momento così drammatico per le carceri italiane, un grande contenuto di solidarietà, umanità e conforto. Desidero chiedere a Vostra Santità se questo suo gesto sarà compreso nella sua semplicità, anche dai nostri politici e governanti affinché venga restituita a tutti gli ultimi, compresi noi detenuti, la dignità e la speranza che devono essere riconosciute ad ogni essere vivente. Speranza e dignità indispensabili per riprendere il cammino verso una vita degna di essere vissuta.

Risposta 1
Grazie per le Sue parole. Sento il Suo affetto per il Santo Padre, e sono commosso da questa amicizia che sento da tutti voi. E vorrei dire che penso spesso a voi e prego sempre per voi perché so che è una condizione molto difficile che spesso, invece di aiutare a rinnovare l’amicizia con Dio e con l’umanità, peggiora la situazione, anche interiore. Io sono venuto soprattutto per mostrarvi questa mia vicinanza personale e intima, nella comunione con Cristo che vi ama, come ho detto. Ma certamente questa visita, che vuole essere personale a voi, è anche un gesto pubblico che ricorda ai nostri concittadini, al nostro governo il fatto che ci sono dei grandi problemi e delle difficoltà nelle carceri italiane. E certamente, il senso di queste carceri è proprio quello di aiutare la giustizia, e la giustizia implica come primo fatto la dignità umana. Quindi devono essere costruite così che cresca la dignità, sia rispettata la dignità e voi possiate rinnovare in voi stessi il senso della dignità per meglio rispondere a questa nostra vocazione intima. Abbiamo sentito il ministro della Giustizia, sentito come sente con voi, come sente tutta la realtà vostra e così possiamo essere convinti che il nostro governo e i responsabili faranno il possibile per migliorare questa situazione, per aiutarvi a trovare realmente, qui, una buona realizzazione di una giustizia che vi aiuti a ritornare nella società con tutta la convinzione della vostra vocazione umana e con tutto il rispetto che esige la vostra condizione umana. Quindi, io in quanto posso vorrei sempre dare segni di quanto sia importante che queste carceri rispondano al loro senso di rinnovare la dignità umana e non di attaccare questa dignità, e di migliorarne la condizione. E speriamo che il governo abbia la possibilità e tutte le possibilità per rispondere a questa vocazione. Grazie.

Domanda 2
Mi chiamo Omar.
Santo Padre vorrei domandarle un milione di cose, che ho sempre pensato di chiederti, ma oggi che posso mi rimane difficile farti una domanda. Sono emozionato per l’evento, la tua visita qui in carcere è un fatto molto forte per noi detenuti cristiani cattolici, e perciò più che una domanda preferisco chiederti di permetterci di aggrapparci con te con la nostra sofferenza e quella dei nostri familiari, come un cavo elettrico che comunichi con il Signore Nostro. Ti voglio bene.

Risposta 2
Anch’io ti voglio bene, e sono grato per queste parole che toccano il mio cuore. Penso che questa mia visita mostra che vorrei seguire le parole del Signore che mi toccano sempre, dove dice, l’ho letto nel mio discorso, nell’ultimo giudizio “mi avete visitato nel carcere e sono stato io che vi ho aspettato”. Questa identificazione del Signore con i carcerati ci obbliga profondamente e io stesso devo chiedermi: Ho fatto secondo questo imperativo del Signore? Ho tenuto presente questa parola del Signore? Questo è un motivo perché sono venuto, perché so che in voi il Signore mi aspetta, che voi avete bisogno di questo riconoscimento umano e che avete bisogno di questa presenza del Signore che nel giudizio ultimo ci chiede proprio su questo punto e perciò spero che sempre più possa qui essere realizzato il vero scopo di queste case circondariali di aiutare a ritrovare se stesso, di aiutare e andare avanti con se stesso, nella riconciliazione con se stesso, con gli altri, con Dio, per entrare di nuovo nella società e aiutare nel progresso dell’umanità. Il Signore vi aiuterà, nelle mie preghiere sono sempre con voi. Io so che per me è un obbligo particolare di pregare per voi, di tirare voi, quasi, al Signore, in alto, perché il Signore, tramite la nostra preghiera, aiuta la preghiera, è una realtà. Io invito anche tutti gli altri a pregare, così che un forte cavo, per così dire, sia, che vi tira al Signore e ci collega anche tra di noi, perché andando al Signore siamo anche collegati tra noi. Siate sicuri di questa forza della mia preghiera e invito anche gli altri ad unirsi con voi nella preghiera, così trovare quasi una unica cordata che va verso il Signore.

Domanda 3
Mi chiamo Alberto.
Santità, le sembra giusto che dopo aver perso uno dopo l’altro tutti i componenti della mia famiglia, ora che sono un uomo nuovo, e da un mese papà di una splendida bambina di nome Gaia, non mi concedano la possibilità di tornare a casa, nonostante abbia ampiamente pagato il debito verso la società?

Risposta 3
Anzitutto, felicitazioni! Sono felice che Lei sia padre, che Lei si consideri un uomo nuovo e che abbia una splendida figlia: questo è un dono di Dio. Io, naturalmente, non conosco i dettagli del Suo caso ma spero con Lei che quanto prima Lei possa tornare alla Sua famiglia. Lei sa che per la dottrina della Chiesa la famiglia è fondamentale, importante che il padre possa tenere in braccio la figlia. E così, prego e spero che quanto prima Lei possa realmente avere in braccio Sua figlia, essere con Sua moglie e con Sua figlia per costruire una bella famiglia e così anche collaborare al futuro dell’Italia.

Domanda 4
Santità, sono Federico, parlo a nome dei persone detenute del G14, che è il reparto infermeria.
Cosa possono chiedere degli uomini detenuti, malati e sieropositivi al Papa? Al nostro Papa, già gravato dal peso di tutte le sofferenze del mondo, chiedono che preghi per loro? Che li perdoni? Che li tenga presente nel suo grande cuore? Sì, noi questo vorremmo chiedere, ma soprattutto che portasse la nostra voce dove non viene sentita. Siamo assenti dalle nostre famiglie, ma non nella vita, siamo caduti e nelle nostre cadute abbiamo fatto del male ad altri, ma ci stiamo rialzando.
Troppo poco si parla di noi, spesso in modo così feroce come a volerci eliminare dalla società. Questo ci fa sentire sub-umani. Lei è il Papa di tutti e noi la preghiamo di fare in modo che non ci venga strappata la dignità, insieme alla libertà. Perché non sia più dato per scontato che recluso voglia dire escluso per sempre. La sua presenza è per noi un onore grandissimo! I nostri più cari auguri per il Santo Natale, a tutti.

Risposta 4
Si, mi ha detto parole veramente memorabili, siamo caduti, ma siamo qui per rialzarci. Questo è importante, questo coraggio di rialzarsi, di andare avanti con l’aiuto del Signore e con l’aiuto di tutti gli amici. Lei ha anche detto che si parla in modo feroce di voi, purtroppo è vero, ma vorrei dire non solo questo, ci sono anche altri che parlano bene di voi e pensano di voi. Io penso alla mia piccola famiglia papale, sono circondato da 4 suore laiche e parliamo spesso di questo problema, loro hanno amici in diverse carceri, riceviamo anche doni da loro e diamo da parte nostra il nostro dono, quindi questa realtà è in modo molto positivo presente nella mia famiglia e penso in tante altre. Dobbiamo sopportare che alcuni parlano in modo feroce, parlano in modo feroce anche contro il Papa e tuttavia andiamo avanti. Mi sembra importante incoraggiare tutti che pensino bene, che abbiano il senso delle vostre sofferenze, abbiano il senso di aiutare nel processo di rialzamento e diciamo che io farò il mio per invitare tutti a pensare in questo modo giusto, non in modo dispregiativo, ma in modo umano, pensando che ognuno può cadere, ma Dio vuole che tutti arrivino da Lui, e noi dobbiamo cooperare con lo Spirito di fraternità e di riconoscimento anche della propria fragilità, perché possano realmente rialzarsi e andare avanti con dignità e trovare sempre rispettata la propria dignità, perché cresca, e possano così anche trovare gioia nella vita, perché la vita ci è donata dal Signore e con una sua idea. E se riconosciamo questa idea di Dio che è con noi, anche i passi oscuri hanno il loro senso per darci più la riconoscenza di noi stessi, per aiutare e diventare più noi stessi, più figli di Dio e così e realmente essere felici di essere uomini, perché creati da Dio anche in diverse condizioni difficili. Il Signore vi aiuterà e noi siamo vicini a voi.

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Domanda 5
Mi chiamo Gianni, del Reparto G8.
Santità, mi è stato insegnato che il Signore vede e legge dentro di noi, mi chiedo perché l’assoluzione è stata delegata ai preti? Se io la chiedessi in ginocchio, da solo, dentro una stanza, rivolgendomi al Signore, mi assolverebbe? Oppure sarebbe un’assoluzione di diverso valore? Quale sarebbe la differenza?

Risposta 5
Sì: è una grande e vera questione quella che Lei porta a me. Direi due cose. La prima: naturalmente, se Lei si mette in ginocchio e con vero amore di Dio prega che Dio perdoni, perdona. E’ sempre la Dottrina della Chiesa che se uno, con vero pentimento, cioè non solo per evitare pene, difficoltà, ma per amore del bene, per amore di Dio chiede perdono, riceve il perdono da Dio. Questa è la prima parte. Se io realmente conosco che ho fatto male, e se in me è rinato l’amore del bene, la volontà del bene, il pentimento che non ho risposto a questo amore, e chiedo da Dio che è il Bene, il perdono lo dona. Ma c’è un secondo elemento: il peccato non è solamente una cosa “personale”, individuale, tra me e Dio; il peccato ha sempre anche una dimensione sociale, orizzontale. Con il mio peccato personale, tuttavia, anche se forse nessuno lo sa, ho danneggiato anche la comunione della Chiesa, sporcato la comunione della Chiesa, sporcato l’umanità. E perciò questa dimensione sociale, orizzontale del peccato esige che sia assolto anche a livello della comunità umana, della comunità della Chiesa, quasi corporalmente. Quindi, questa seconda dimensione del peccato che non è solo contro Dio ma concerne anche la comunità, esige il sacramento, che è il grande dono nel quale posso, nella confessione, liberarmi di questa cosa e posso realmente ricevere il perdono nel senso anche di una piena riammissione nella comunità della Chiesa viva, del Corpo di Cristo. E così, in questo senso, l’assoluzione necessaria da parte del sacerdote, il sacramento, non è una imposizione che limita la bontà di Dio ma, al contrario, è un’espressione della bontà di Dio perché mi dimostra che anche concretamente, nella comunione della Chiesa, ho ricevuto il perdono e posso ricominciare di nuovo. Quindi, io direi di tenere presenti queste due dimensioni: quella verticale, con Dio, e quella orizzontale, con la comunità della Chiesa e dell’umanità. L’assoluzione del prete, l’assoluzione sacramentale è necessaria per realmente risolvermi, assolvermi da questo legame del male e ri-integrarmi nella volontà di Dio, nell’ottica di Dio, completamente nella sua Chiesa, e darmi la certezza, anche quasi corporale, sacramentale: Dio mi perdona, mi riceve nella comunità dei suoi figli. Penso che dobbiamo imparare a capire il sacramento della penitenza in questo senso: una possibilità di trovare, quasi corporalmente, la bontà del Signore, la certezza della riconciliazione.

Domanda 6
Santità, mi chiamo Nwaihim, reparto G11.
Santo Padre, lo scorso mese è stato in visita pastorale in Africa, nella piccola nazione del Benin, una delle nazioni più povere del mondo. Ha visto la fede e la passione di questi uomini verso Gesù Cristo. Ha visto persone soffrire per cause diverse: razzismo, fame, lavoro minorile…
Le chiedo: loro pongono la speranza e la fede in Dio e muoiono tra povertà e violenze. Perché Dio non li ascolta? Forse Dio ascolta solo i ricchi e i potenti che invece non hanno fede? Grazie Santo Padre.

Risposta 6
Vorrei innanzi tutto dire che sono stato molto felice nella sua terra; l’accoglienza da parte degli africani era calorosissima, ho sentito questa cordialità umana che in Europa è un po’ oscurata perché abbiamo tante altre cose sul nostro cuore che rendono un po’ duro anche il cuore. Qui era una cordialità esuberante, per così dire; ho sentito anche la gioia di vivere, e questa era una delle impressioni belle per me, che nonostante la povertà e tutte le grandi sofferenze che ho anche visto – ho salutato lebbrosi, malati di Aids, eccetera – che nonostante tutti questi problemi e la grande povertà, c’è una gioia di vivere, una gioia di essere una creatura umana, perché c’è una consapevolezza originaria che Dio è buono e mi ama e l’uomo è essere amato da Dio. Quindi questa era per me l’impressione diciamo preponderante, forte; vedere in un Paese sofferente gioia, allegrezza, più che nei paesi ricchi. E questo anche mi fa pensare che nei paesi ricchi la gioia è spesso assente, siamo tutti pienamente occupati con tanti problemi: come fare questo, come conservare questo, comprare ancora… E con la massa delle cose che abbiamo siamo sempre più allontanati da noi stessi e da questa esperienza originaria che Dio c’è e Dio mi è vicino; e perciò direi che avere grande proprietà e avere potere non rende necessariamente felici, non è il più grande dono. Può essere anche, direi, una cosa negativa, che mi impedisce di vivere realmente. Le misure di Dio, i criteri di Dio, sono diversi dai nostri, Dio dà anche a questi poveri gioia, la riconoscenza della sua presenza, fa loro sentire che è vicino a loro anche nella sofferenza, nelle difficoltà, e naturalmente ci chiama tutti perché noi facciamo tutto perché possiamo uscire da queste oscurità delle malattie, della povertà. È un compito nostro e così nel fare questo anche noi possiamo divenire più allegri. Quindi le due parti devono completarsi, noi dobbiamo aiutare perché anche l’Africa, questi paesi poveri, possano trovare il superamento di questi problemi, della povertà, aiutarli a vivere, e loro possono aiutarci a capire che le cose materiali non sono l’ultima parola. E dobbiamo pregare Dio: mostraci, aiutaci, perché ci sia giustizia, perché tutti possano vivere nella gioia di essere tuoi figli!

Un detenuto legge una preghiera

Santità, mi chiamo Stefano, reparto G 11

Preghiera dietro le sbarre
O Dio, dammi il coraggio di chiamarti Padre.
Sai che non sempre riesco a pensarti con l’attenzione che meriti.
Tu non ti sei dimenticato di me, anche se vivo spesso lontano dalla luce del tuo volto.
Fatti sentire vicino, nonostante tutto, nonostante il mio peccato grande o piccolo, segreto o pubblico che sia.
Dammi la pace interiore, quella che solo tu sai dare.
Dammi la forza di essere vero, sincero; strappa dal mio volto le maschere che oscurano la consapevolezza che io valgo qualcosa solo perché sono tuo figlio. Perdona le mie colpe e dammi insieme la possibilità di fare il bene.
Accorcia le mie notti insonni; dammi la grazia della conversione del cuore.
Ricordati, Padre, di coloro che sono fuori di qui e che mi vogliono ancora bene, perché pensando a loro, io mi ricordi che solo l’amore da vita mentre l’odio distrugge e il rancore trasforma in inferno le lunghe e interminabili giornate.
Ricordati di me, o Dio,
amen.

Fonte: Radio Vaticana



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g9433] Discorso di Papa Giovanni XXIII ai carcerati - 26 dicembre 1958


“Miei cari figlioli, miei cari fratelli, siamo nella casa del Padre anche qui. Siete contenti che io sia venuto? Venendo qui da S.Pietro mi sono rammentato che quando ero ragazzo uno dei miei buoni parenti, andando un giorno a caccia senza licenza, fu preso dai carabinieri e messo dentro. Oh, che impressione! Oh, poveretto lui! Ma sono cose che possono capitare, qualche volta, anche se le intenzioni non sono cattive. E se si sbaglia, si sconta, e noi dobbiamo offrire al Signore i nostri sacrifici. Che grande cosa, fratelli, il Cristianesimo!

Siete contenti che sia venuto a trovarvi? Sapevo che mi volevate, e anch’io vi volevo. Per questo, eccomi qui. A dirvi il cuore che ci metto, parlandovi, non ci riuscirei, ma che altro linguaggio volete che vi parli il Papa? Io metto i miei occhi nei vostri occhi: ma no, perché piangete? Siate contenti che io sia qui. Ho messo il mio cuore vicino al vostro. Il Papa è venuto, eccomi a voi. Penso con voi ai vostri bambini che sono la vostra poesia e la vostra tristezza, alle vostre mogli, alle vostre sorelle, alle vostre mamme…”.

Prima di lasciare Regina Coeli il Papa volle essere ritratto in mezzo ai detenuti.

Mentre si avvia all’uscita della prigione, Papa Giovanni vede un uomo staccarsi dal gruppo dei reclusi raccolti attorno all’altare. Quegli lo guarda con occhi arrossati dal pianto e , cadendogli ai piedi, domanda: “Le parole di speranza che lei ha pronunciato valgono anche per me, che sono un grande peccatore?”. Roncalli non risponde. Si china sull’uomo, lo solleva, lo abbraccia e lo tiene a lungo stretto a sé.

“E’ stato a questo punto” scrisse Il Messaggero di Roma, il 27 dicembre 1958, “che la manifestazione ha fatto tremare i muri di Regina Coeli. Dell’atmosfera tipica del carcere non è rimasto più nulla. Aperti i cancelli a pianterreno, il Papa ha visitato un ‘braccio’ e l’infermeria, fra ali di carcerati usciti dalle celle con i loro vestiti a strisce. Ma l’episodio che più ha colpito il Papa è stato quello che ha appreso una volta varcato il portone del penitenziario. Egli ha saputo che trecento detenuti, chiusi nelle celle di rigore perché considerati pericolosi, non hanno potuto vederlo. Ebbene: ha inviato a ciascuno di essi un’immagine con l’assicurazione che non dimenticherà i suoi ‘figli invisibili’. Al termine dell’incontro con i detenuti un’ultima raccomandazione: ‘Scrivete a casa, raccontate alle vostre madri ed alle vostre mogli che il Papa è venuto a trovarvi’”.

Gesù visita gli ultimi.... [SM=g7430]

www.gloria.tv/?media=338307



[SM=g9503]

[SM=g1740717] [SM=g1740720]
[Modificato da Caterina63 27/09/2012 21:11]
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30/03/2012 17:09
 
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Il Papa ai detenuti di Rebibbia: Questo, cari amici, è il grande dono che Gesù ci ha fatto con la sua Via Crucis: ci ha rivelato che Dio è amore infinito, è misericordia, e porta fino in fondo il peso dei nostri peccati, perché noi possiamo rialzarci e riconciliarci e ritrovare la pace. Anche noi, allora, non abbiamo paura di percorrere la nostra “via crucis”, di portare la nostra croce insieme con Gesù



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli!

Sono stato felice di sapere che, in preparazione alla Pasqua, darete vita, nella Casa Circondariale di Rebibbia, ad una Via Crucis che sarà presieduta dal mio Vicario per Roma, il Cardinale Agostino Vallini, con la partecipazione di detenuti, operatori penitenziari e gruppi di fedeli da varie parrocchie della città.
Mi sento particolarmente vicino a questa iniziativa, perché è sempre vivo nel mio animo il ricordo della visita che ho compiuto nel carcere di Rebibbia poco prima dello scorso Natale; ricordo i volti che ho incontrato e le parole che ho ascoltato, e che hanno lasciato in me un segno profondo. Perciò, mi unisco spiritualmente alla vostra preghiera, e così posso dare continuità alla mia presenza in mezzo a voi, e di questo ringrazio in particolare i vostri Cappellani.

So che questa Via Crucis vuole essere anche un segno di riconciliazione.
In effetti, come disse uno dei detenuti durante il nostro incontro, il carcere serve per rialzarsi dopo essere caduti, per riconciliarsi con se stessi, con gli altri e con Dio, e poter poi rientrare di nuovo nella società. Quando, nella Via Crucis, vediamo Gesù che cade a terra — una, due, tre volte — comprendiamo che Lui ha condiviso la nostra condizione umana, il peso dei nostri peccati lo ha fatto cadere; ma per tre volte Gesù si è rialzato e ha proseguito il cammino verso il Calvario; e così, con il suo aiuto, anche noi possiamo rialzarci dalle nostre cadute, e magari aiutare un altro, un fratello, a rialzarsi.
Ma che cosa dava a Gesù la forza di andare avanti?
Era la certezza che il Padre era con Lui. Anche se nel suo cuore c’era tutta l’amarezza dell’abbandono, Gesù sapeva che il Padre lo amava, e proprio questo amore immenso, questa misericordia infinita del Padre celeste lo consolava ed era più grande delle violenze e degli oltraggi che lo circondavano. Anche se tutti lo disprezzavano e lo trattavano non più come un uomo, Gesù, nel suo cuore, aveva la ferma certezza di essere sempre figlio, il Figlio amato da Dio Padre.

Questo, cari amici, è il grande dono che Gesù ci ha fatto con la sua Via Crucis: ci ha rivelato che Dio è amore infinito, è misericordia, e porta fino in fondo il peso dei nostri peccati, perché noi possiamo rialzarci e riconciliarci e ritrovare la pace. Anche noi, allora, non abbiamo paura di percorrere la nostra “via crucis”, di portare la nostra croce insieme con Gesù. Lui è con noi. E con noi c’è anche Maria, sua e nostra madre. Lei rimane fedele anche ai piedi della nostra croce, e prega per la nostra risurrezione, perché crede fermamente che, anche nella notte più buia, l’ultima parola è la luce dell’amore di Dio.

Con questa speranza, basata sulla fede, auguro a tutti voi di vivere la prossima Pasqua nella pace e nella gioia che Cristo ci ha acquistato con il suo sangue, e con grande affetto vi imparto la Benedizione Apostolica, estendendola di cuore ai vostri familiari e alle persone care.

Dal Vaticano, 22 marzo 2012

BENEDICTUS PP. XVI



[SM=g1740738]


Fraternamente CaterinaLD

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11/10/2012 19:16
 
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LA DROGA NON FA SCONTI A NESSUNO, MARIO NON C'È PIÙStampaE-mail
 

 

 

Pontifex.RomaQuanto tempo è passato da quando ti abbiamo visto la prima volta in comunità a faticare, camminare, faticare, e ancora camminare, fino a diventare maratoneta di un percorso di vita vero, con i piedi ben piantati al suolo, ritornando a vivere le tue emozioni, i carichi distribuiti a misura, i pezzi di futuro rimessi insieme.
Tanti anni a fare sudore, a espellere tossine, a buttare fuori il malessere, il disagio sopportato sottocarico, l’amore scambiato per qualche soldo di fiducia tradita.

Mario era un ragazzo come tanti altri, con una famiglia, moglie e figli, un lavoro, tutto sembra filare al dritto in poppa, finchè un giorno arriva a bussare alla porta il bastardo inaspettato, l’amico che ti propone lo sballo, tanto per fare qualcosa di diverso: appare inspiegabile la sua impreparazione, la sua inadeguatezza, la sua resa fatta di fragilità. Il rapporto con la famiglia s’incrina, il lavoro se ne va da un’altra parte, non c’è alternativa se non il buio che illusoriamente protegge nella strada,  ...

... la panchina, i luoghi della solitudine, al profumo dell’amore si oppone l’odore acre della lontananza.

I piedi feriti, il corpo indolenzito, il male dentro fin sopra le scapole, giù fino al cuore, un dolore intenso mitigato dalla droga, dall’alcol, un poliabuso sconsiderato a nascondere nella dipendenza il vero problema della testa, della pancia, dell’anima.

Mario e la  presunzione  che non gli consente di chiedere aiuto, scivola sulla vita che perde senso in ogni giorno da cavalcare, è disarcionato, a terra, solo, senza più se stesso.

La grande città lo espelle, lo getta fuori senza tanti complimenti, lo scarica indietro tra i detriti che non servono più a nulla. Allora Mario si trascina fino a una piccola città, tenta disperatamente di rimettersi in piedi, poggia un passo avanti all’altro, tenta di vedere cosa fare, non solamente come meno subire.

Sniffare e bere diventa un castigo ben peggiore delle difficoltà di ritornare a rispettare la vita, percepisce la necessità e l’urgenza di non mollare gli ormeggi, finalmente alza una mano, la voce taglia a metà la paura, non indietreggia più, avanza con lo sguardo in alto, lasciandosi alle spalle la pazienza della disperazione.

Rammento i primi giorni di accoglienza nella Comunità Casa del Giovane, il suo impegno costante, la sua scelta di non rifiutare la fatica, il bisogno di ritrovare un equilibrio, la ricerca di uno stile di vita diverso e più consono alla cura di se stesso, dentro una solidarietà non di facciata,  ma consapevole del valore della reciprocità: noi ci siamo se anche tu ci sei.

Mario ce l’aveva fatta, non aveva più bisogno della bugia più grande per stare bene, cocaina e alcol non avevano più possibilità di fregarlo, di affascinarlo, di metterlo un’altra volta ko.

Si era riavvicinato alla figlia, aveva trovato un lavoro decoroso, preso in affitto una piccola casetta, ripreso in mano le redini di una serenità non più maltrattata.

Mario si ammala, è in rianimazione, per giorni sta immobile su quel lettino, ma poi seppure a tentoni la fa franca all’incedere insolente della malattia.

Riuscimmo a riportarlo a casa, sapeva del tumore al fegato, delle placche estese alla spina dorsale,  ma per qualche momento ancora è stato un uomo libero.

Cosa ci lascia in eredità Mario? Sicuramente tante cose, ma un paio sono da tenere a mente, costi quel che costi. La prima è che ogni uomo domiciliato nell’errore, se fa ricorso a tutte le proprie energie interiori, ce la può fare a rialzarsi.

La seconda è che fare uso e abuso di sostanze rendono la vita un calvario, annientano e distruggono ciò che resta, e anche quando la dipendenza è combattuta e vinta con  coerenza, spesso restano le ferite, gli scavi, il male inarrestabile sotto il primo strato che non fa sconti a nessuno.

Vincenzo Andraous
Tutor Casa del Giovane

[SM=g1740720]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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BENEDETTO XVI: LA RIABILITAZIONE DEL DETENUTO È LA FUNZIONE CULMINANTE DEL SISTEMA PENALE

Città del Vaticano, 22 novembre 2012 (VIS).-Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina i partecipanti alla XVII Conferenza dei direttori delle amministrazioni penitenziarie del Consiglio d'Europa.

Nel discorso che ha pronunciato per loro, il Santo Padre ha osservato come “i temi della giustizia penale sono continuamente all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi, particolarmente in un tempo in cui le differenze economiche e sociali ed il crescente individualismo alimentano le radici della criminalità”. Ma, ha puntualizzato, “la tendenza, però, è di restringere il dibattito solo al momento legislativo della disciplina dei reati e delle sanzioni o al momento processuale(...). Minore attenzione viene invece prestata alla modalità di esecuzione delle pene detentive, in relazione alla quale al parametro della “giustizia”, deve essere accostato come essenziale quello del rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo. Ma anche questo parametro, benché indispensabile ed in molti Paesi, purtroppo, ancora lontano dall’essere conseguito, non può essere considerato sufficiente, proprio al fine di tutelare in modo integrale i diritti della persona”.

“Occorre impegnarsi -ha sottolineato- in concreto e non solo come affermazione di principio, per una effettiva rieducazione della persona, richiesta sia in funzione della dignità sua propria, sia in vista del suo reinserimento sociale. Affinché la giustizia umana possa, in questo campo, guardare alla giustizia divina ed esserne orientata, è necessario che la funzione rieducativa della pena non sia considerata un aspetto accessorio e secondario del sistema penale, ma, al contrario, momento culminante e qualificante”.

“Quando si tratta di “fare giustizia” non basta cioè che colui che è riconosciuto colpevole di un reato venga semplicemente punito; occorre che, nel punirlo, si faccia tutto ciò che è possibile per correggere e migliorare l’uomo. Quando ciò non accade la giustizia non è realizzata in senso integrale. In ogni caso ci si deve impegnare per evitare che una detenzione fallita nella funzione rieducativa divenga una pena diseducativa, che, paradossalmente, accentua, invece di contrastare, l’inclinazione a delinquere e la pericolosità sociale della persona”.

Il Papa ha ricordato ai direttori delle prigioni e a quanti collaborano con loro nell'ambito giudiziale e sociale, che possono contribuire “in modo significativo a promuovere questa “più vera” giustizia, “aperta alla forza liberatrice dell’amore”.(...) Il contatto con coloro che hanno commesso colpe da espiare e l’impegno richiesto per ridare dignità e speranza a chi spesso ha già sofferto l’emarginazione ed il disprezzo richiamano la missione stessa di Cristo, il quale è venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori, destinatari privilegiati della misericordia di Dio”.

“Ogni uomo -ha sottolineato- è chiamato a diventare custode del proprio fratello, superando così l’indifferenza omicida di Caino; a voi in particolare è chiesto di custodire coloro che, nelle condizioni della detenzione, possono più facilmente smarrire il senso della vita ed il valore della dignità personale, cedendo alla sfiducia ed alla disperazione. Il profondo rispetto della persona, l’operare per la riabilitazione del carcerato, il creare una vera comunità educativa, si rendono ancora più urgenti considerando anche la crescente presenza di “detenuti stranieri”, spesso in situazioni difficili e di fragilità”.

“Molto importante in questo senso – ha indicato il Santo Padre- è la promozione di attività di evangelizzazione e di assistenza spirituale, capaci di destare nel detenuto gli aspetti più nobili e profondi, risvegliando in lui l’entusiasmo per la vita e il desiderio di bellezza propri di chi riscopre di portare impressa in sé, in modo indelebile, l’immagine di Dio”.



[SM=g1740738]


 TESTO integrale IN LINGUA ITALIANA

Signor Ministro,

Signor Vice-Segretario,

Signori Direttori!

Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Conferenza e desidero, anzitutto, ringraziare il Ministro della Giustizia del Governo Italiano, Prof.ssa Paola Severino, ed il Vice-Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Dott.ssa Gabriella Battaini-Dragoni, per il saluto rivoltomi anche a vostro nome.

I temi della giustizia penale sono continuamente all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi, particolarmente in un tempo in cui le differenze economiche e sociali ed il crescente individualismo alimentano le radici della criminalità. La tendenza, però, è di restringere il dibattito solo al momento legislativo della disciplina dei reati e delle sanzioni o al momento processuale, inerente i tempi e le modalità per arrivare ad una sentenza che sia il più possibile corrispondente alla verità dei fatti. Minore attenzione viene invece prestata alla modalità di esecuzione delle pene detentive, in relazione alla quale al parametro della "giustizia", deve essere accostato come essenziale quello del rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo.
Ma anche questo parametro, benché indispensabile ed in molti Paesi, purtroppo, ancora lontano dall’essere conseguito, non può essere considerato sufficiente, proprio al fine di tutelare in modo integrale i diritti della persona. Occorre impegnarsi, in concreto e non solo come affermazione di principio, per una effettiva rieducazione della persona, richiesta sia in funzione della dignità sua propria, sia in vista del suo reinserimento sociale. L’esigenza personale del detenuto di vivere nel carcere un tempo di riabilitazione e di maturazione è, infatti, esigenza della stessa società, sia per recuperare una persona che possa validamente contribuire al bene di tutti, sia per depotenziarne la tendenza a delinquere e la pericolosità sociale.
Negli ultimi anni ci sono stati molti progressi, sebbene il percorso resti ancora lungo. Non è solo una questione di disponibilità di adeguate risorse finanziarie, per rendere più dignitosi gli ambienti carcerari ed assicurare ai detenuti più efficaci mezzi di sostegno e percorsi di formazione; occorre anche una crescita nella mentalità, così da legare il dibattito carcerario concernente il rispetto dei diritti umani del detenuto a quello, più ampio, relativo alla stessa realizzazione della giustizia penale.


Affinché la giustizia umana possa, in questo campo, guardare alla giustizia divina ed esserne orientata, è necessario che la funzione rieducativa della pena non sia considerata un aspetto accessorio e secondario del sistema penale, ma, al contrario, momento culminante e qualificante. Al fine di "fare giustizia" non basta cioè che colui che è riconosciuto colpevole di un reato venga semplicemente punito; occorre che, nel punirlo, si faccia tutto ciò che è possibile per correggere e migliorare l’uomo. Quando ciò non accade la giustizia non è realizzata in senso integrale. In ogni caso ci si deve impegnare per evitare che una detenzione fallita nella funzione rieducativa divenga una pena diseducativa, che, paradossalmente, accentua, invece di contrastare, l’inclinazione a delinquere e la pericolosità sociale della persona.

Voi Direttori, insieme a tutti gli altri operatori giudiziari e sociali, potete contribuire in modo significativo a promuovere questa "più vera" giustizia, "aperta alla forza liberatrice dell’amore" (Giovanni Paolo II, Messaggio per il Giubileo nelle carceri, 9 luglio 2000) e legata alla stessa dignità dell’uomo. Il vostro ruolo è, in un certo senso, ancora più decisivo di quello degli organi legislativi, poiché, anche in presenza di strutture e risorse adeguate, l’efficacia dei percorsi rieducativi dipende sempre dalla sensibilità, capacità ed attenzione delle persone chiamate ad attuare in concreto quanto stabilito sulla carta. Il compito degli operatori penitenziari, a qualunque livello essi operino, non è certo facile. Per questo oggi, tramite voi, desidero rendere omaggio a tutti coloro che, nelle amministrazioni penitenziarie, si adoperano con grande serietà e dedizione.
Il contatto con coloro che hanno commesso colpe da espiare e l’impegno richiesto per ridare dignità e speranza a chi spesso ha già sofferto l’emarginazione ed il disprezzo richiamano la missione stessa di Cristo, il quale è venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori (cfr Mt 9,13; Mc 2,17; Lc 5,32), destinatari privilegiati della misericordia di Dio. Ogni uomo è chiamato a diventare custode del proprio fratello, superando così l’indifferenza omicida di Caino (cfr Gen 4,9); a voi in particolare è chiesto di custodire coloro che, nelle condizioni della detenzione, possono più facilmente smarrire il senso della vita ed il valore della dignità personale, cedendo alla sfiducia ed alla disperazione. Il profondo rispetto della persona, l’operare per la riabilitazione del carcerato, il creare una vera comunità educativa, si rendono ancora più urgenti considerando anche la crescente presenza di "detenuti stranieri", spesso in situazioni difficili e di fragilità.
Ovviamente, al ruolo delle istituzioni e degli operatori penitenziari è indispensabile che corrisponda la disponibilità del detenuto a vivere un tempo di formazione. Una risposta positiva non dovrebbe però essere semplicemente attesa ed auspicata, ma sollecitata e favorita con iniziative e proposte capaci di vincere l’ozio e spezzare la solitudine in cui spesso i detenuti restano confinati. Molto importante in questo senso è la promozione di attività di evangelizzazione e di assistenza spirituale, capaci di destare nel detenuto gli aspetti più nobili e profondi, risvegliando in lui l’entusiasmo per la vita e il desiderio di bellezza propri di chi riscopre di portare impressa in sé, in modo indelebile, l’immagine di Dio.


Con la certezza sulla possibilità di rinnovarsi, la detenzione in carcere può assolvere alla sua funzione rieducativa e diventare per il detenuto occasione di assaporare la redenzione operata da Cristo nel Mistero Pasquale, che ci assicura la vittoria su ogni male.

Cari amici, mentre vi ringrazio di cuore per questo incontro e per l’opera che svolgete, invoco su di voi e sul vostro lavoro l’abbondanza delle Benedizioni del Signore.


[SM=g1740738]
Fraternamente CaterinaLD

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OMELIA DEL SANTO PADRE
FRANCESCO

Istituto Penale per Minori di "Casal del Marmo" in Roma
Giovedì Santo, 28 marzo 2013


 

Questo è commovente. Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Pietro non capiva nulla, rifiutava. Ma Gesù gli ha spiegato. Gesù – Dio – ha fatto questo! E Lui stesso spiega ai discepoli: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 13,12-15).

E’ l’esempio del Signore: Lui è il più importante e lava i piedi, perché fra noi quello che è il più alto deve essere al servizio degli altri. E questo è un simbolo, è un segno, no? Lavare i piedi è: “io sono al tuo servizio”. E anche noi, fra noi, non è che dobbiamo lavare i piedi tutti i giorni l’uno all’altro, ma che cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci, l’un l’altro.
A volte mi sono arrabbiato con uno, con un’altra … ma… lascia perdere, lascia perdere, e se ti chiede un favore, fatelo.
Aiutarci l’un l’altro: questo Gesù ci insegna e questo è quello che io faccio, e lo faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato.

Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’un l’altro. E così, aiutandoci, ci faremo del bene. Adesso faremo questa cerimonia di lavarci i piedi e pensiamo, ciascuno di noi pensi: “Io davvero sono disposta, sono disposto a servire, ad aiutare l’altro?”. Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo segno è una carezza di Gesù, che fa Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci.













[Modificato da Caterina63 28/03/2013 22:10]
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23/10/2013 19:20
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE
DEI CAPPELLANI DELLE CARCERI ITALIANE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 ottobre 2013

 

Cari Fratelli,

vi ringrazio, e vorrei approfittare di questo incontro con voi, che lavorate nelle carceri di tutta Italia, per far arrivare un saluto a tutti i detenuti. Per favore dite che prego per loro, li ho a cuore, prego il Signore e la Madonna che possano superare positivamente questo periodo difficile della loro vita. Che non si scoraggino, non si chiudano. Voi sapete che un giorno tutto va bene, ma un altro giorno sono giù, e quell’ondata è difficile. Il Signore è vicino, ma dite con i gesti, con le parole, con il cuore che il Signore non rimane fuori, non rimane fuori dalla loro cella, non rimane fuori dalle carceri, ma è dentro, è lì. Potete dire questo: il Signore è dentro con loro; anche lui è un carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie, perché è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque.

Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna; Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro; il suo amore paterno e materno arriva dappertutto. Prego perché ciascuno apra il cuore a questo amore. Quando io ricevevo una lettera di uno di loro a Buenos Aires li visitavo, mentre ora quando ancora mi scrivono quelli di Buenos Aires qualche volta li chiamo, specialmente la domenica, faccio una chiacchierata. Poi quando finisco penso: perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì? Pensare a questo mi fa bene: poiché le debolezze che abbiamo sono le stesse, perché lui è caduto e non sono caduto io? Per me questo è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare ai carcerati.

E prego anche per voi Cappellani, per il vostro ministero, che non è facile, è molto impegnativo e molto importante, perché esprime una delle opere di misericordia; rende visibile la presenza del Signore nel carcere, nella cella. Voi siete segno della vicinanza di Cristo a questi fratelli che hanno bisogno di speranza. Recentemente avete parlato di una giustizia di riconciliazione, ma anche di una giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti. Questa non è un'utopia, si può fare. Non è facile, perché le nostre debolezze ci sono dappertutto, anche il diavolo c'è dappertutto, le tentazioni ci sono dappertutto, ma bisogna sempre provarci.

Vi auguro che il Signore sia sempre con voi, vi benedica e la Madonna vi custodisca; sempre nella mano della Madonna, perché lei è la madre di tutti voi e di tutti loro in carcere. Vi auguro questo, grazie! E chiediamo al Signore che benedica voi e i vostri amici e amiche delle carceri; ma prima preghiamo la Madonna perché ci porti sempre verso Gesù: Ave Maria....

 

 
 

COME INTENDERE BENE LE PAROLE ESPRESSE DAL PAPA?    proponiamo una interessante critica al Discorso del Papa ....
una proposta NON per condannare il Papa, ma per comprendere con ortodossia le sue parole....


Come riportato da Radio Vaticana, papa Bergoglio, in una udienza ufficiale ai circa 200 partecipanti al Convegno nazionale dei cappellani delle carceri italiane promosso a Sacrofano, nei pressi di Roma, il 23 ottobre scorso, ha affermato: 
“Voi siete segno della vicinanza di Cristo a questi fratelli che hanno bisogno di speranza. Recentemente avete parlato di una giustizia di riconciliazione, ma anche di una giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti. Questa non è un'utopia, si può fare.”

In effetti, il convegno in questione si è svolto sul tema: “Giustizia: pena o riconciliazione. Liberi per liberare”.
Dove il “liberi per liberare”, se non è un enunciato esoterico è allora una tipica affermazione moderna che serve per dire niente con parole vuote che neanche nascondono il nulla. Potremmo parlare di demagogia, ma ce ne asteniamo per non dare l’impressione che manchiamo di carità cristiana, mentre invece scriviamo queste righe proprio per carità cristiana.

Il Papa, parlando dei carcerati con cui è in corrispondenza, ha affermato: 
“Qualche volta li chiamo, specialmente la domenica, faccio una chiacchierata. Poi quando finisco penso: perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì? Pensare a questo mi fa bene: poiché le debolezze che abbiamo sono le stesse, perché lui è caduto e non sono caduto io? Per me questo è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare ai carcerati”.

Davvero singolare questa confessione, che induce a riflettere con attenzione, soprattutto perché suggerisce sottilmente la strana idea, per una persona normale, che i carcerati siano in carcere non per una colpa che hanno commesso, ma per un qualche capriccio di qualcuno, se non addirittura per un’ingiustizia subita per mano dei più forti; come sembra spiegare papa Bergoglio quando dice: 
“Potete dire questo: il Signore è dentro con loro; anche lui è un carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie, perché è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna; Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro.”
Verrebbe da dire: Amen! E invece sorge subito dal cuore un moto di stupore, misto ad un certo disorientamento che rasenta l’indignazione.

Orbene, tutto parte da quello che la Chiesa ha sempre raccomandato tra le opere di misericordia corporale: “visitare i carcerati”, perché l’amore per il prossimo si manifesta anche così, proprio sulla base di quanto raccomanda Nostro Signore: 
“Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt, 25, 34-36). 
Raccomandazione che Gesù lega al giudizio finale, quando i giusti verranno separati dai maledetti e posti alla sua destra perché “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt, 25, 40).

A leggere, anche ripetutamente,  questo passo del Vangelo di San Matteo, unitamente ai passi corrispondenti di San Luca 10, 16 e di San Giovanni 13, 34-35, invano si ricaverebbe quanto gratuitamente affermato da papa Bergoglio. 
Non un minimo appiglio per “il Signore è dentro con loro”; non una minima giustificazione per “è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque”; non il sia pur debole accostamento per poterne dedurre: “perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì?”.
L’unica cosa che si ricava è che papa Bergoglio giuoca con le parole e con i sentimenti per fare delle affermazioni scomposte e fuori luogo.
Se si deve andare a visitare i carcerati, è perché costoro sono carcerati in forza delle loro colpe e quindi in forza delle loro debolezze a cui non hanno saputo o voluto resistere. 
Certo, questo può capitare a chiunque di noi poveri peccatori, ma è logico che poi dobbiamo subire il giusto castigo, accettandolo come ricompensa per le nostre colpe. 

Se così non fosse, anche la giustizia divina sarebbe incongrua col raccogliere alla sinistra del Re coloro che non hanno visitato i carcerati e per i quali c’è il “fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt. 25, 41).

Non abbiamo difficoltà a riconoscere che la giustizia umana è soprattutto manchevole, ma qui papa Bergoglio non fa un discorso sulla manchevolezza della giustizia umana che tante volte è una vera ingiustizia, no, egli parla in generale, compiangendo la mala sorte dei carcerati come se essa fosse frutto di un qualche abuso, concetto sottolineato da quel richiamo ai deboli che verrebbero puniti perché deboli. 
Questa è demagogia assurta a predicazione cattolica per una distorta concezione della religione di Dio.
Quand’egli si chiede: “perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì?”, relativizza la colpa del reo e confonde volutamente la condizione di peccatore con quella di violatore della legge, abbassando così la giustizia divina alla giustizia umana. 
E non c’è scappatoia, perché, o papa Bergoglio ha qualche grave colpa da confessare al magistrato, e non avendolo fatto ne ha rimorso, o si riferisce alla sua condizione di uomo peccatore e inganna i carcerati facendo credere loro che non avrebbero colpe diverse da quelle di un qualunque altro uomo. 
Cosa significherebbe altrimenti la battuta spiritosa: “e non io che ho tanti e più motivi per stare lì?”.

Ancora una volta papa Bergoglio confonde il sacro col profano e lo fa un po’ volutamente e un po’ inconsciamente, perché davvero dimostra di non avere idea di che cosa significhi essere un uomo di Chiesa. 
La cosa grave, però, sta nel fatto che così facendo distrugge nei fedeli il vero senso dell’essere cattolici, inducendoli a considerare la religione cattolica come fosse un’ideologia, quasi a confermare che egli rifugge da ogni altra ideologia che non sia la sua: populista, pauperista e buonista… costi quel che costi… anche a costo della perdizione delle anime dei fedeli.
E non esageriamo, perché tutto questo bel discorrere si risolve inevitabilmente nella relativizzazioe del sacramento della confessione, come papa Bergoglio ha già avuto modo di fare in questi mesi (vedi gli articoli di Giovanni Servodio: Papa Bergoglio si confessa)

A riprova di ciò ecco una frase magistrale che sembra fatta apposta per ingannare e per condurre fuori strada: 
“Recentemente avete parlato di una giustizia di riconciliazione, ma anche di una giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti. Questa non è un'utopia, si può fare.”

Che cosa si può fare? La giustizia di speranza? 
Una pura invenzione di Bergoglio: perché la grande speranza per chi ha commesso un reato è scontare la pena corrispondente col cuore contrito e col proposito di non sbagliare più.

Che cosa si può fare? La giustizia di porte aperte? 
Cioè una giustizia ingiusta che non darebbe ad ognuno il suo, parificando i violatori della legge ai rispettosi della legge?

Che cosa si può fare? La giustizia di orizzonti? 
Che è una mera inconsistenza verbale buttata lì per confondere le idee e permettere a chiunque di leggervi quello che più gli pare?






[Modificato da Caterina63 27/10/2013 09:56]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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