A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Il Catechista ieri, oggi e sempre...

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2017 11:07
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27/03/2009 09:38
 
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Amici...nel forum dell'amico Achille Lorenzi, si parla di Catechisti....vi risparmio molte dicerie...ma ve ne condivido piccole dosi per aiutarci a comprendere questo ruolo importante...

Una persona ha scritto:

il Catechismo non può essere paragonato alla scuola, ad una lezione

io ritengo che
far vivere il Catechismo come momento didattico (scolastico) è l'errore più grande che si possa fare.

il Catechismo deve essere il momento favorevole per condurre per mano il ragazzo all'incontro con il RISORTO.
un cammino ESPERENZIALE
e non un cammino di nozioni,
di regole da imparare a memoria,
di compiti da portare a casa
.

***

La mia risposta:

Straquoto ....e lo dico per esperienza diretta visto che faccio la catechista da 20 anni ed anche in situazioni disagiate come quando stavo in una parrocchia-garage e i frequentatori erano davvero della "strada".... 

Il concetto di "nozione" è utile certamente, ma sempre nel contesto di una esperienza e di una testimonianza viva e concreta che tocca con mano l'incontro CON LA PERSONA-CRISTO...con il suo Corpo, NEL SUO CORPO che è la Chiesa senza la quale non avremo alcuna"nozione" da TRAMANDARE.... Sorriso

Tanti ragazzi e ragazze che vngono al catechismo vivono poi un condizione familiare ESTRANEA alla vita di contatto quotidiano con Cristo... la vita lavorativa è spesso il capro espiatorio per denuncire l'impossibilità di trovare un pò di tempo per la Preghiera o la lettura della Bibbia....manca dunque L'INCONTRO quotidiano con il Cristo ecco allora che l'ora di Catechismo deve poter offrire questa opportunità...

Io ho i ragazzi di prima media quest'anno e faranno la Cresima, li sto guidando dalla terza elementare, li ho visti crescere e formarsi, conosco le loro perplessità...loro hanno imparato a fidarsi di me ed io ho imparato a conoscerli come PERSONE, ognuna delle quali ha una sua esigenza....al Catechismo non faccio mai un monologo... dopo aver introdotto la lezione mi attendo da loro stessi domande, pensieri, impressioni e senza uscire fuori tema ecco che subentrano le nozioni, le dottrine, le regole ma dentro un contesto di "scoperta della vita" e di ciò che è BENE e di ciò che è MALE....

Quando si fa Catechismo la prima regola e la prima nozione è proprio per NOI: imparare a sapere che abbiamo davanti delle PERSONE non dei robot, non degli incapaci, non delle pesone irragionevoli...la loro dignità è pari alla mia e non posso dunque, come catechista, trasmettere ad essi le mie opinioni personali, ma dare loro UN DONO IMMENSO: QUANTO IO STESSA HO RICEVUTO NELLA TRADIZIONE del Deposito della Fede e che naturalmente deve aver cambiato anche la mia vita in una conversione continua, in un rappoto continuo d'amore con il Risorto e non con una sua immagine in me costruita a seconda delle mie opinioni, simpati o antipatie, a questo servono le nozioni: a non crearci un Dio a nostra immagine al contrario, NOI siamo a immagine di Dio e questo fa la differenza...questo significa quell'essere davvero LIBERI in Cristo, Con Cristo e per Cristo nel Suo Corpo che mediante il Battesimo ne siamo entrati a far parte per grazia... 


*******************************

Poi c'è stata un altra osservazione-denuncia di una persna che raccontava come gli Oratori siano diventati esclusivamnte un recinto giochi senza più catechismo...
qualcuno citando don Bosco è intervenuto per DIFENDERE il giocare negli oratori...ma a ragione questa persona faceva notare che l'oratorio non è stato inventato solo per far giocare i ragazzi...e denunciava l'assenza dei catechisti o, se presenti, la loro mancanza nel catechizzare approfittando proprio del gioco...e qualcuno asseriva anche che il ruolo del catechista è inutile
(non posto la discussione perchè sono molti intrventi, ma sopra c'è il collegamento)

ed ecco la mia risposta:

Ho letto gli interessanti interventi di V**** e mi sento di condividerli...le sue segnalazioni non sono vaghe, sono purtroppo una triste realtà in molte parrocchie che usano gli oratori NON per come li aveva fondati appunto san Giovanni Bosco, ma come riempitivo...  Occhi al cielo

San Giovanni Bosco si, usava il gioco e fondò gli oratori per raccogliere i ragazzi di strada e recuperarli, ma appunto a che cosa, recuperarli per cosa? Perchè potessero ritornare a Dio...   Occhiolino
un esempio lampante è uno dei frutti più belli di don Bosco: san Domenico Savio...questo ragazzo non era un "ragazzo di strada" come si intendeva all'epoca...ma frequentava l'oratorio che era appunto aperto a TUTTI senza distinzione di casta, questo erano anzitutto gli oratori di don Bosco...
Don Bosco crea gli oratori anche con un altro fine: QUELLO VOCAZIONALE, definendo l'oratorio "la fucina di nuovi santi sacerdoti"

Gli oratori di oggi hanno perduto in gran parte questa funzione, tranne nelle parrocchie gestite dai salesiani nelle quali infatti fioriscono ancora ottime vocazioni...e questo aspetto ci fa comprendere l'attuale situazione per la quale il nascondere i problemi che ci sono non ci aiuta a comprendere il da farsi...  Occhi al cielo

La figura del CATECHISTA nasce con la Chiesa fin dal primo secolo, esso si occupava dei catecumeni...il metodo non è cambiato, siamo NOI che spesso insuperbiti, abbiamo dimenticato che si è catechisti NON per trasmettere le nostre opinioni, ma per donare il "Deposito della fede" la Tradizione (cfr san Paolo)

C'è una bellissima Lettera ai Catechisti scritta da sant'Agostino che suggerisco di leggere e meditare e magari di fare propria...  Sorriso
Scrive sant'Agostino nel 400 d.C.

Catechisti e Catechismo: da dove cominciare?

Il discorso catechistico è completo quando comincia da “ In principio Dio creò il cielo e la terra”, e giunge fino alla Chiesa attuale.
Ciò non significa che si debba dire a memoria o spiegare con parole nostre tutto il Pentateuco, i Libri dei Giudici o i Re e di Esdra, tutto il Vangelo e il libro degli Atti degli apostoli.
Ci mancherebbe il tempo e d’altra parte neppure è necessario.
Occorre invece abbracciare l’insieme con uno sguardo generale e scegliere poi alcuni episodi che si ascoltano volentieri e che rappresentano come i punti-chiave della storia.
Occorre poi spiegarli, approfondirli e in qualche modo saperli rendere presenti e vivi all’ammirazione degli uditori. Gli altri avvenimenti devono essere collegati e inseriti nella trama generale con brevi raccordi.
Per esempio, nel nostro discorso non è sufficiente che abbiamo di mira il comandamento della carità, che nasce da un cuore puro, da una coscienza onesta e da una fede senza finzioni, ma dobbiamo preoccuparci anche del nostro catechizzando, affinchè la sua attenzione e ricerca siano orientate in quella direzione. Il centro della Catechesi: Gesù è l’Amore!

(...)
e ancora dice:

Poi è necessario mettere in guardia il candidato contro i pericoli degli scandali sia nella chiesa che fuori: sia nei confronti dei pagani, dei giudei e degli eretici, sia all’interno della Chiesa nei confronti della paglia secca dell’aia del Signore (Mt.3,12 e Lc. 3,17).
Non si disputerà contro i singoli errori o le singole opinioni devianti; ma brevemente si metterà in evidenza che ciò era stato già predetto; e inoltre quanto siano utili le tentazioni per far maturare la fede dei credenti, e quanto sia di conforto il sapere che Dio ha deciso di essere paziente sino alla fine.

Mentre si mette in guardia il postulante contro quei falsi cristiani che purtroppo riempiono le chiese (siamo solo all’anno 400 e Agostino già se ne lamenta  Ghigno ), si dovranno anche brevemente e con tatto, suggerire alcune norme di comportamento cristiano, perché non si lasci adescare da avari, ubriaconi, frodatori, giocatori d’azzardo, adulteri, fornicatori, amanti degli spettacoli, maghi, spiritisti e astrologi di ogni genere….
E non pensi, perché vede molti cristiani amare, fare, difendere e propagandare queste cose, di poterli imitare impunemente. Gli si farà capire, sulla scorta dei Libri santi, come questa gente vada a finire, e fino a qual punto debbano essere tollerati nella chiesa, dalla quale alla fine saranno definitivamente separati.
Tuttavia bisognerà anche rassicurarlo che nella chiesa troverà molti buoni cristiani, autentici cittadini della città celeste, se comincerà ad esserlo lui stesso.[SM=g1740733] 

Per concludere occorre raccomandargli caldamente di non porre la sua speranza nell’uomo: anzitutto perché non è facile giudicare chi sia onesto e chi non lo è; ma, se anche lo fosse, gli esempi dei buoni non ci vengono presentati perché ne siamo giustificati noi, ma perché sappiamo che imitandoli veniamo giustificati da Colui che giustifica anche loro.
Allora si, succederà ed è la cosa più importante, che colui che ci ascolta – o meglio ascolta Dio nella nostra parola tramandata – comincerà a progredire nella condotta e nella dottrina e affronterà con entusiasmo la vita di Cristo…

(Lettera di sant'Agostino ai Catechisti)

...siamo tante piccole gocce in questo immenso oceano...  e come le gocce che vengono prodotte da un processo creato da Dio, così anche noi siamo un prodotto della Grazia che troppo spesso dimentichiamo di aver ricevuto e che troppo spesso dimentichiamo di viverla e di doverla donare perchè non ci appartiene...da qui si inizia a morire a "noi stessi" perchè l'altro possa vivere... 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/03/2009 11:50
 
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Il contributo dell'amico Daniele da oriensforum:

Oggi tra i cattolici sembra essersi diffuso un linguaggio particolare, che procede per metafore. "Incontrare il risorto". "Entrare nella dimensione della croce". "Fare comunità". "Camminare insieme verso Cristo".

Nella foga di rinnovamento "kerygmatico" seguita al Concilio i testi di studio e, di lì, le bocche di tanti fedeli, si sono riempiti di questo linguaggio. Che, per carità, ha una sua bellezza. Peccato che pochissimi ne intendano il senso.

Passerò per una persona gretta e meschina, ma a me è sempre piaciuta di più la concretezza. Non ho nulla in contrario all'espressione "Incontrare il risorto". Però mi figuro anche la reazione della persona comune, che corrisponde alla mia: "che cosa significa?" e soprattutto "in che modo lo incontriamo?".

Sembra che certe persone amino intossicarsi di frasi e parole che non capiscono e dimentichino i risvolti pratici, direi quasi terra terra, della vita cristiana. Questo paradosso ha un triste risvolto pratico: oggi che ci siamo liberati, a detta dei kerygmatici, del giuridicismo preconciliare e riempiamo testi e cervelli con espressioni altisonanti, non siamo capaci di organizzare una novena o tenere un incontro di preghiera che funzioni, cioè che generi devozione.

Allora non sarebbe forse meglio scendere coi piedi per terra e concretizzare l'"incontro col risorto" in un serio programma di catechismo che non si limiti a una serie di nozioni ma neppure a un "cammino esperienziale" al termine del quale il bambino non sa nulla della fede? Del resto, si tratta, inconsapevolmente, dell'eresia moderna per cui non conta l'ortodossia, ma l'ortoprassi (come se una persona che non conosce la fede si potesse comportare secondo la fede!). Basterebbe un po' di concretezza, di buon senso. Ma è proprio di questo che oggi si difetta.

[SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740722]

la mia risposta

Ottime osservazioni![SM=g1740721]

Se facessimo un sondaggio chiedendo: "Cosa vuol dire per te - INCONTRAE IL RISORTO- e se l'hai -incontrato- COME ERA?

quali risposte otterremo?  Ghigno
i nuovi Movimenti e Cammini vari... insegnano che l'incontro con il Ristorto E' LA COMUNITA'.... Occhi al cielo quando al contrario  la comunità al limite  ti conduce a trovare semmai il Risorto...dunque LA COMUNITA' E' DIVENTATA IL RISORTO...

ed ecco, siamo sempre alle IMMAGINI del Risorto, siamo agli incontri IMMAGINARI...e se per una disgrazia venisse a mancare la comunità, mi sparisce anche il Risorto...
lo vediamo nel mondo degli ammalati e ciò spiega perchè molti di loro, sopraggiunta la malattia e dunque allontanatisi dalla comunità, si sentono SOLI SENZA IL RISORTO...

FARE COMUNITA'...cosa vuol dire?
quando ho fatto questa domanda a delle persone, sono rimaste per un attimo senza risposta...hanno dovuto pensarci, ma non hanno saputo dare una identificazione unica...ognuno DICEVA CIO' CHE VEDEVA...
- comunità e vivere insieme;
- comunità è STARE CON GESU'....(perchè se sono in un eremo Gesù non lo trovo?);
- comunità è condividere gioie e dolori (a conti fatti sono più i dolori, le discussioni e le prevaricazioni che condivisioni Ghigno );
- comunità significa poter pregare INSIEME, MANGIARE INSIEME L'EUCARESTIA...

Io comprendo che si ha la necessità di stare in comunità, lo dice chiaramente lo stesso san Paolo e sono io stessa aggregata ad una grande comunità, ma ciò che manca è la concretizzazione dell'essere anche MEMBRA SINGOLE...i santi lo diventano nella loro SINGOLARITA' dalla quale scaturisce semmai la comunità... Occhiolino

Santa Teresina del Bambin Gesù per esempio viveva in una Comunità...ma ci testimonia la SINGOLARITA' del suo rapporto con Cristo descrivendoci la singolarità della sorella nel SUO rapporto con Cristo...Santa Teresina può dire: NEL CUORE DELLA CHIESA, mia Madre sarò l'Amore, senza per questo uscire dalla comunità.... Occhiolino nella sua scelta non coinvolge la comunità, nè la comunità la imprigiona ad un unica visione IMMAGINARIA  del Risorto...ma sarà proprio in questo rapporto LIBERO che la comunità ne raccoglierà ogni beneficio...

Infine il dramma di certe comunità sta nell'imporre un unico schema catechetico fatto ad immagine del fondatore... Occhi al cielo
al contrario i Fondatori e Fondatrici di Ordini religiosi non imponevano mai schemi catechetici a loro immagine e creavano queste comunità attraverso IL CARISMA il quale non si fondava su degli schemi poichè la comunità stessa era in sè lo schema carismatico QUALE TESTIMONIANZA  dell'incontro con il Risorto e non il contraio...

Un esempio ce lo da san Domenico di Guzman, Fondatore dei Predicatori, i domenicani...egli NON ha lasciato scritto NULLA... [SM=g1740733]  solo un paio di lettere a Sr. Cecilia, la Regola (schema) che si sono imposti, necessaria per governare una comunità è quella di sant'Agostino...
mentre taluni fondatori di oggi, pretestuosamente e presuntuosamente, vantano LO SPIRITO DEL CONCILIO DISSOCIATO DAL PASSATO DELLA CHIESA O REINTERPRETATO quale regola della nuova vita comunitaria... Occhi al cielo

in sostanza i Fondatori aprivano le comunità perchè avevano già incontrato il Risorto, oggi si aprono le comunità perchè ancora lo si deve incontrare...e questo crea non solo una DIPENDENZA dalle comunità, ma da origine alle divisioni...da origine a catechismi diversi...e innesta un incontro con il Risorto che nella maggiorparte dei casi è L'IMMAGINE DELLA COMUNITA'
la quale diventa "la MIA" chiesa PERSONALE...il "MIO" Gesù...[SM=g1740729]

Ecco perchè l'ortodossia è mal vista nelle parrocchie e in molte comunità, perchè ti fa capire che rischi di seguire una immagine del Risorto, quella che ti PIACE E CHE TU TI SEI COSTRUITO.... [SM=g1740730]

per circa 20 anni, prima dell'uscita del nuovo CCC, siamo rimasti SENZA ORTODOSSIA...perchè nelle Parrocchie fu eliminato il Catechismo san Pio X (senza alcuna autorizzazione pontificia) e furono imposti LIBRI E LIBRICINI spesso senza imprimatur...per diffondere LIBERAMENTE UNA DOTTRINA CHE POTESSE PIACERE...poi vennero i libri della CEI (tutti da rifare), carichi di sincretismo e di IMMAGINI della Chiesa adattate alla grande confusione che si stava vivendo...in questo CAOS si sono formate non poche comunità che private appunto del Catechismo e dell'Ortodossia HANNO TRASFERITO nei loro fondatori LA LEGGE, LE NORME, LA VERITA'....e questo perchè l'uomo ha sempre bisogno, ne sente la necessità, di fare riferimento a qualcuno...

Occorre ritornare all'ortodossia correttamente intesa, qui si incontra davvero il Risorto che ha detto: IO SONO LA VERITA'....la Via e la Vita...[SM=g1740720]
la Verità è l'ortodossia......e l'ortodossia ti manifesta la Verità....[SM=g1740734] 


[SM=g1740739] [SM=g1740739] 


 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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“Non sono i dotti a determinare ciò che è vero della fede battesimale, bensì è la fede battesimale che determina ciò che c’è di valido nelle interpretazioni dotte. Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i semplici misurano gli intellettuali. Il compito del magistero ecclesiale è difendere la fede dei semplici contro il potere degli intellettuali; esso protegge la fede dei semplici, di coloro che non scrivono libri, che non parlano in televisione e non possono scrivere editoriali nei giornali, questo è il suo compito democratico. Esso deve dar voce a quelli che non hanno voce“ (Joseph Ratzinger)


In queste parole pronunciate ormai un decennio fa può essere trovato il riassunto complessivo degli avvenimenti della settimana passata.
E questo vale anche e sopratutto per l'omelia duranta la messa del crisma di giovedì santo, un vero "gioiello" da custodire nel cuore e nella mente, per farlo vivere sempre, nonché per farlo fruttare

Pubblicato da Raffaella

****************************************

...il meraviglioso passo sopra riportato parla di un intellettualismo non certo per disprezzare la ragione, quanto per metterci in guardia dalla superbia di chi, ritenendosi un sapiente ed un maestro, va a minare la fede dei semplici che è armonizzata appunto DAL MAGISTERO DELLA CHIESA verso il quale il Papa ci chiama a difesa... Occhiolino

Le parole dell'allora Ratzinger, ci spingono proprio IN DIFESA di quanti, innocentemente, vengono invece ingannati finendo per perdere la Tradizione della Chiesa...

Non sono dunque certi catechismi o certi catechisti(=i nuovi maestri di oggi) a determinare la nostra fede, ma IL BATTESIMO dato una volta per tutte, irripetibile...a poter dire se certi catechismi insegnano il vero o il falso  Sorriso
Sono i semplici a determinare la correttezza dottrinale...

Quando parliamo dei "semplici", ATTENZIONE, non intendiamo certo la semplicità privata dalla ragione, o priva dell'ortodossia, ma bensì privata dalla superbia, privata dalla presunzione di essere salvatori della Chiesa, privata dall'orgoglio di farsi portatori di UN CAMMINO salvatore...

I semplici di cui parla il Vangelo e di cui parla la Chiesa, sono le anime DEVOTE...animate da quella devozione oggi disprezzata ed occultata da certi Cammini...
basti pensare, come esempio eclatante, che dal Venerdì Santo è iniziata la Novena alla Divina Misericordia e che molti gruppi e movimenti o Cammini che si dicono ecclesiali L'HANNO ABOLITA all'interno delle loro comunità perchè ritenute stupide...inutili...
si disprezza la fede dei semplici che in questi giorni pregano la Coroncina della Divina Misericordia e certi catechisti IMPEDISCONO LORO DI DIVENTARE ANIME DEVOTE...

e potremo fare molti altri esempi come la sparizione dei gruppi e dei sacerdoti quando c'è l'ora del ROSARIO.... Occhi al cielo

su youtube dove sono con un canale che mette video a favore del Magistero benedettiano, ho ricevuto proprio stamani un commento allucinante:

"Sono cattolica, impegnata nella Parrocchia, Gesù è la persona che ho scelto come guida della mia vita,ma Benedetto XVI non mi attira per niente!! "

la mia risposta:

L'importante è che tu non insegni le tue antipatie a chi ti è stato affidato dalla Provvidenza, poichè non siamo chiamati in Parrocchia per manifestare le nostre antipatie o simpatie....e di tutto renderemo conto al Signore...
Altra cosa: è gratificante che al tuo contrario il Papa invece prova amore per te! Non spargere veleni!
Auguri!

Ma tu guarda che si deve leggere da chi si definisce con prepotenza cattolico![SM=g1740730] 


 Occhi al cielo

[SM=g1740739]


Fraternamente CaterinaLD

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07/07/2010 14:48
 
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L’UDIENZA GENERALE, 07.07.2010

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi teologi del Medioevo, si è soffermato sulla figura del Beato Giovanni Duns Scoto.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


                          Pope Benedict XVI waves as he leads his weekly audience in the Paul VI hall at the Vatican July 7, 2010.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Giovanni Duns Scoto

Cari fratelli e sorelle,

questa mattina -
dopo alcune catechesi su diversi grandi teologi - voglio presentarvi un’altra figura importante nella storia della teologia: si tratta del beato Giovanni Duns Scoto, vissuto alla fine del secolo XIII.

Un’antica iscrizione sulla sua tomba riassume le coordinate geografiche della sua biografia: “l’Inghilterra lo accolse; la Francia lo istruì; Colonia, in Germania, ne conserva i resti; in Scozia egli nacque”.

Non possiamo trascurare queste informazioni, anche perché possediamo ben poche notizie sulla vita di Duns Scoto. Egli nacque probabilmente nel 1266 in un villaggio, che si chiamava proprio Duns, nei pressi di Edimburgo. Attratto dal carisma di
san Francesco d’Assisi, entrò nella Famiglia dei Frati minori, e nel 1291, fu ordinato sacerdote.

Dotato di un’intelligenza brillante e portata alla speculazione - quell’intelligenza che gli meritò dalla tradizione il titolo di Doctor subtilis, “Dottore sottile”- Duns Scoto fu indirizzato agli studi di filosofia e di teologia presso le celebri Università di Oxford e di Parigi.

Conclusa con successo la formazione, intraprese l’insegnamento della teologia nelle Università di Oxford e di Cambridge, e poi di Parigi, iniziando a commentare, come tutti i Maestri del tempo, le Sentenze di
Pietro Lombardo. Le opere principali di Duns Scoto rappresentano appunto il frutto maturo di queste lezioni, e prendono il titolo dai luoghi in cui egli insegnò: Opus Oxoniense (Oxford), Reportatio Cambrigensis (Cambridge), Reportata Parisiensia (Parigi). Da Parigi si allontanò quando, scoppiato un grave conflitto tra il re Filippo IV il Bello e il Papa Bonifacio VIII, Duns Scoto preferì l’esilio volontario, piuttosto che firmare un documento ostile al Sommo Pontefice, come il re aveva imposto a tutti i religiosi. Così – per amore alla Sede di Pietro –, insieme ai Frati francescani, abbandonò il Paese.

Cari fratelli e sorelle, questo fatto ci invita a ricordare quante volte, nella storia della Chiesa, i credenti hanno incontrato ostilità e subito perfino persecuzioni a causa della loro fedeltà e della loro devozione a Cristo, alla Chiesa e al Papa. Noi tutti guardiamo con ammirazione a questi cristiani, che ci insegnano a custodire come un bene prezioso la fede in Cristo e la comunione con il Successore di Pietro e, così, con la Chiesa universale.

Tuttavia, i rapporti fra il re di Francia e il successore di Bonifacio VIII ritornarono ben presto amichevoli, e nel 1305 Duns Scoto poté rientrare a Parigi per insegnarvi la teologia con il titolo di Magister regens, oggi si direbbe professore ordinario. Successivamente, i Superiori lo inviarono a Colonia come professore dello Studio teologico francescano, ma egli morì l’8 novembre del 1308, a soli 43 anni di età, lasciando, comunque, un numero rilevante di opere.

A motivo della fama di santità di cui godeva, il suo culto si diffuse ben presto nell’Ordine francescano e il Venerabile Papa Giovanni Paolo II volle confermarlo solennemente beato il 20 Marzo 1993, definendolo “cantore del Verbo incarnato e difensore dell’Immacolata Concezione”. In questa espressione è sintetizzato il grande contributo che Duns Scoto ha offerto alla storia della teologia.

Anzitutto, egli ha meditato sul Mistero dell’Incarnazione e, a differenza di molti pensatori cristiani del tempo, ha sostenuto che il Figlio di Dio si sarebbe fatto uomo anche se l’umanità non avesse peccato. Egli afferma nella “Reportata Parisiensa”: “Pensare che Dio avrebbe rinunciato a tale opera se Adamo non avesse peccato sarebbe del tutto irragionevole! Dico dunque che la caduta non è stata la causa della predestinazione di Cristo, e che - anche se nessuno fosse caduto, né l’angelo né l’uomo - in questa ipotesi Cristo sarebbe stato ancora predestinato nella stessa maniera” (in III Sent., d. 7, 4).

Questo pensiero, forse un po’ sorprendente, nasce perché per Duns Scoto l’Incarnazione del Figlio di Dio, progettata sin dall’eternità da parte di Dio Padre nel suo piano di amore, è compimento della creazione, e rende possibile ad ogni creatura, in Cristo e per mezzo di Lui, di essere colmata di grazia, e dare lode e gloria a Dio nell’eternità. Duns Scoto, pur consapevole che, in realtà, a causa del peccato originale, Cristo ci ha redenti con la sua Passione, Morte e Risurrezione, ribadisce che l’Incarnazione è l’opera più grande e più bella di tutta la storia della salvezza, e che essa non è condizionata da nessun fatto contingente, ma è l’idea originale di Dio di unire finalmente tutto il creato con se stesso nella persona e nella carne del Figlio.

Fedele discepolo di san Francesco, Duns Scoto amava contemplare e predicare il Mistero della Passione salvifica di Cristo, espressione dell’amore immenso di Dio, il Quale comunica con grandissima generosità al di fuori di sé i raggi della Sua bontà e del Suo amore (cfr Tractatus de primo principio, c. 4). E questo amore non si rivela solo sul Calvario, ma anche nella Santissima Eucaristia, della quale Duns Scoto era devotissimo e che vedeva come il Sacramento della presenza reale di Gesù e come il Sacramento dell’unità e della comunione che induce ad amarci gli uni gli altri e ad amare Dio come il Sommo Bene comune (cfr Reportata Parisiensia, in IV Sent., d. 8, q. 1, n. 3).

Cari fratelli e sorelle, questa visione teologica, fortemente “cristocentrica”, ci apre alla contemplazione, allo stupore e alla gratitudine: Cristo è il centro della storia e del cosmo, è Colui che dà senso, dignità e valore alla nostra vita! Come a Manila il Papa Paolo VI, anch’io oggi vorrei gridare al mondo: “[Cristo] è il rivelatore del Dio invisibile, è il primogenito di ogni creatura, è il fondamento di ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita... Io non finirei più di parlare di Lui” (
Omelia, 29 novembre 1970).

Non solo il ruolo di Cristo nella storia della salvezza, ma anche quello di Maria è oggetto della riflessione del Doctor subtilis.

Ai tempi di Duns Scoto la maggior parte dei teologi opponeva un’obiezione, che sembrava insormontabile, alla dottrina secondo cui Maria Santissima fu esente dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento: di fatto, l’universalità della Redenzione operata da Cristo, a prima vista, poteva apparire compromessa da una simile affermazione, come se Maria non avesse avuto bisogno di Cristo e della sua redenzione. Perciò i teologi si opponevano a questa tesi. Duns Scoto, allora, per far capire questa preservazione dal peccato originale, sviluppò un argomento che verrà poi adottato anche dal beato Papa Pio IX nel 1854, quando definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. E questo argomento è quello della “Redenzione preventiva”, secondo cui l’Immacolata Concezione rappresenta il capolavoro della Redenzione operata da Cristo, perché proprio la potenza del suo amore e della sua mediazione ha ottenuto che la Madre fosse preservata dal peccato originale. Quindi Maria è totalmente redenta da Cristo, ma già prima della concezione. I Francescani, suoi confratelli, accolsero e diffusero con entusiasmo questa dottrina, e altri teologi – spesso con solenne giuramento – si impegnarono a difenderla e a perfezionarla.

A questo riguardo, vorrei mettere in evidenza un dato, che mi pare importante. Teologi di valore, come Duns Scoto circa la dottrina sull’Immacolata Concezione, hanno arricchito con il loro specifico contributo di pensiero ciò che il Popolo di Dio credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine, e manifestava negli atti di pietà, nelle espressioni dell’arte e, in genere, nel vissuto cristiano. Così la fede sia nell’Immacolata Concezione, sia nell’Assunzione corporale della Vergine era già presente nel Popolo di Dio, mentre la teologia non aveva ancora trovato la chiave per interpretarla nella totalità della dottrina della fede.

Quindi il Popolo di Dio precede i teologi e tutto questo grazie a quel soprannaturale sensus fidei, cioè a quella capacità infusa dallo Spirito Santo, che abilita ad abbracciare la realtà della fede, con l’umiltà del cuore e della mente. In questo senso, il Popolo di Dio è “magistero che precede”, e che poi deve essere approfondito e intellettualmente accolto dalla teologia.

Possano sempre i teologi mettersi in ascolto di questa sorgente della fede e conservare l’umiltà e la semplicità dei piccoli!

L’avevo ricordato qualche mese fa dicendo: “Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura… ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo... L’essenziale è rimasto nascosto! Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. Pensiamo a santa Bernardette Soubirous; a santa Teresa di Lisieux, con la sua nuova lettura della Bibbia ‘non scientifica’, ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura
(Omelia. S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 1 dicembre 2009).

Infine, Duns Scoto ha sviluppato un punto a cui la modernità è molto sensibile. Si tratta del tema della libertà e del suo rapporto con la volontà e con l’intelletto. Il nostro autore sottolinea la libertà come qualità fondamentale della volontà, iniziando una impostazione di tendenza volontaristica, che si sviluppò in contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista.

Per
san Tommaso d’Aquino, che segue sant’Agostino, la libertà non può considerarsi una qualità innata della volontà, ma il frutto della collaborazione della volontà e dell’intelletto. Un’idea della libertà innata e assoluta collocata nella volontà che precede l’intelletto, sia in Dio che nell’uomo, rischia, infatti, di condurre all’idea di un Dio che non sarebbe legato neppure alla verità e al bene.

Il desiderio di salvare l’assoluta trascendenza e diversità di Dio con un’accentuazione così radicale e impenetrabile della sua volontà non tiene conto che il Dio che si è rivelato in Cristo è il Dio “logos”, che ha agito e agisce pieno di amore verso di noi. Certamente, come afferma Duns Scoto nella linea della teologia francescana, l’amore supera la conoscenza ed è capace di percepire sempre di più del pensiero, ma è sempre l’amore del Dio “logos” (cfr Benedetto XVI,
Discorso a Regensburg, Insegnamenti di Benedetto XVI, II [2006], p. 261). Anche nell’uomo l’idea di libertà assoluta, collocata nella volontà, dimenticando il nesso con la verità, ignora che la stessa libertà deve essere liberata dei limiti che le vengono dal peccato.

Parlando ai seminaristi romani - l’anno scorso - ricordavo che “la libertà in tutti i tempi è stata il grande sogno dell'umanità, sin dagli inizi, ma particolarmente nell'epoca moderna
(Discorso al Pontificio Seminario Romano Maggiore, 20 febbraio 2009).
Però, proprio la storia moderna, oltre alla nostra esperienza quotidiana, ci insegna che la libertà è autentica, e aiuta alla costruzione di una civiltà veramente umana, solo quando è riconciliata con la verità. Se è sganciata dalla verità, la libertà diventa tragicamente principio di distruzione dell’armonia interiore della persona umana, fonte di prevaricazione dei più forti e dei violenti, e causa di sofferenze e di lutti.

La libertà, come tutte le facoltà di cui l’uomo è dotato, cresce e si perfeziona, afferma Duns Scoto, quando l’uomo si apre a Dio, valorizzando quella disposizione all’ascolto della Sua voce, che egli chiama potentia oboedientialis: quando noi ci mettiamo in ascolto della Rivelazione divina, della Parola di Dio, per accoglierla, allora siamo raggiunti da un messaggio che riempie di luce e di speranza la nostra vita e siamo veramente liberi.

Cari fratelli e sorelle, il beato Duns Scoto ci insegna che nella nostra vita l’essenziale è credere che Dio ci è vicino e ci ama in Cristo Gesù, e coltivare, quindi, un profondo amore a Lui e alla sua Chiesa. Di questo amore noi siamo i testimoni su questa terra. Maria Santissima ci aiuti a ricevere questo infinito amore di Dio di cui godremo pienamente in eterno nel Cielo, quando finalmente la nostra anima sarà unita per sempre a Dio, nella comunione dei santi.




                                                                     Pope Benedict XVI gestures as he leaves after his weekly audience in the Paul VI hall at the Vatican July 7, 2010.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/02/2011 17:59
 
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Embarassed Vorrei umilmente condividervi la testimonianza di una coppia di sposi che dopo aver seguito i Corsi Prematrimoniali in una Diocesi, si sposarono, in Chiesa... tutto bello, fino all'arrivo della primi crisi e dopo tre anni di matrimonio arrivò la separazione... separazione sopraggiunta per altro sul consiglio del sacerdote...con la motivazione che ciò sarebbe stato utile a  NON FARSI DEL MALE....  

Giovani e per altro due bei giovani di 28 anni lei e 32 lui, entrambi impiegati in un ufficio statale... la separazione purtroppo li portò a vivere in adulterio...entrambi si rifidanzarono.... fino a che la Provvidenza non provò pietà, ogni tanto i miracoli accadono quando trova animi pronti a lasciarsi guidare, e i due separati avvisarono contemporaneamente e in posti diversi, di non sentirsi appagati con i nuovi partner.... in sostanza e brevi parole, i due decisero di riapprofondire i motivi della separazione...  
 
Senza dilungarmi in particolari lascivi, è degno di nota che entrambi trovarono un primo sollievo nell'incontrarsi attraverso i consigli di un amico sacerdote che guarda il caso....celebra la Messa di sempre e, guarda ancora il caso, ama insegnare con poche parole usando il Catechismo san Pio X e molte nozioni di Santi, una di quelle rare perle che si trovano ogni tanto nelle nostre Diocesi....  
I due sposi finalmente si ritrovano.... e dopo un nuovo percorso catechetico, ritornarono insieme....oggi hanno tre figli ed hanno festeggiato 18 anni insieme...  
 
Cosa era accaduto?  
Testuali parole del marito che riporto a braccio, ma fedelmente nell'essenza:

" Mi sono reso conto che solitamente si insegna la CROCE  solo quando ti giunge la malattia, ma mai per PREVENIRLA....La Messa che non avevo mai imparato come SACRIFICIO ma come ringraziamento, andò bene perchè tutto andava bene...e quindi ringraziavo, ma quando le cose cominciarono ad andare male, che cosa avevo da ringraziare se nessuno mi aveva insegnato che cosa fosse realmente LA CROCE?

Al Corso prematrimoniale non ci avevano insegnato ad usare il concetto di Croce nella quotidianità, mentre ora abbiamo compreso che la Croce PREVIENE non tanto le avversità, ma I MODI CON LA QUALE AFFRONTARLA
.... la metodologia è quella del Cristo che sale, si avvia al Calvario con la Croce, in questo cammino si svolge tutta la nostra vita da sposati o consacrati o singol, è per questo che si dice che siamo mandati in mezzo ai lupi, noi da sposati, con la nostra famiglia, siamo nel mondo, in mezzo a tanti lupi voraci, la Croce del Calvario ci salva solo se non usciamo dal Calvario.

La Messa non è una bacchetta magica, ma funge da antidoto se, però, essa viene vissuta integralmente e principalmente come sostegno presso il Calvario e non solo come un ringraziamento in una festa continua
. ..."  
 
Come auditrice di questa testimonianza, ne rimasi enormemente arricchita.....ed imparai molto di più che dai catechesmi della CEI....  
anzi, questi due giovani furono davvero maestri e sulla propria pelle...

Fraternamente CaterinaLD

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01/03/2011 18:11
 
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Card. Scherer: le parrocchie adottino un nuovo atteggiamento


Serve una “conversione pastorale e missionaria”


di Alexandre Ribeiro



SAN PAOLO, martedì, 1° marzo 2011 (ZENIT.org).- Le parrocchie “devono mettere in pratica, come chiede la Chiesa, una decisa 'conversione pastorale e missionaria' delle loro persone, organizzazioni e strutture pastorali”, ha affermato l'Arcivescovo di San Paolo (Brasile), il Cardinale Odilo Scherer.

L'Arcidiocesi di San Paolo ha diffuso in questi giorni la Lettera Pastorale “Parrocchia, diventa ciò che sei”, firmata da monsignor Scherer e consegnata al clero il 15 febbraio.

“Vogliamo chiederci come sta la nostra parrocchia e che cosa si può fare perché sia una vera comunità di discepoli missionari di Gesù Cristo”, ha affermato il porporato, come riferisce un articolo pubblicato sulla rivista arcidiocesana “O São Paulo”.

“La parrocchia è nell'espressione locale e concreta ciò che la Chiesa è nel suo insieme. Nella parrocchia, la Chiesa manifesta in modo percettibile la sua vita e la sua missione”.

“E' una comunità organizzata di battezzati, di beni spirituali, simbolici e materiali, di organizzazioni e iniziative, che fanno agire la Chiesa in un determinato spazio e contesto”, ha spiegato il Cardinale.

Se la parrocchia va bene, ha proseguito, “lì funziona anche la Chiesa; se la parrocchia va male, lì la Chiesa non funziona”.

“Se le parrocchie non vivessero bene la loro identità e la loro missione come comunità vive e dinamiche, la Chiesa potrebbe essere ridotta a una serie di strutture, istituzioni e organizzazioni, senza arrivare alle persone concrete”.

Per questo, monsignor Scherer sostiene che il rinnovamento della parrocchia “è essenziale”.

In primo luogo, propone “una profonda presa di coscienza di ciò che dà senso all'esistenza della parrocchia e di ciò che è chiamata ad essere. Se vista con gli occhi della fede ecclesiale, la parrocchia è una realtà bella, benedetta e preziosa”.

“Abbiamo bisogno di fare alcuni passi per superare la preoccupazione relativa al mantenimento di ciò che siamo e abbiamo”.

“E' necessario adottare un nuovo atteggiamento, che traduca un chiaro obiettivo missionario”, ha aggiunto.

Ben più che una realtà giuridica e burocratica, la parrocchia “è il volto più visibile e concreto del Mistero della Chiesa, 'sacramento della salvezza' nel mondo; è una comunità di fedeli riuniti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che vive la fede, la speranza e la carità”.

“E' unita intorno a Cristo, presente sacramentalmente nell'Eucaristia e negli altri sacramenti, nella Parola di Dio proclamata e accolta con fede, nei poveri, nei malati, nei sofferenti e in ogni persona servita con amore, in nome di Cristo”.

L'assemblea eucaristica “è l'espressione più visibile della Chiesa, riunita ancora oggi intorno a Gesù Cristo Salvatore, Signore e Pastore della Chiesa, rappresentato dal ministro ordinato, che è al centro di essa e alla sua guida per servirla e condurla nella carità”.

Nella parrocchia, ha aggiunto il Cardinale, “la Chiesa intera si esprime e realizza la missione ricevuta da Cristo: annunciare e accogliere la Parola di Dio; testimoniare la vita nuova ricevuta nel Battesimo, cercando la santità; vivere la carità pastorale, su esempio e nel nome di Gesù, Buon Pastore”.

La parrocchia “è la comunità missionaria dei discepoli di Cristo nel mondo. E' una comunità di piccole comunità, famiglie, persone, gruppi, organizzazioni e istituzioni, che testimoniano la varietà, la ricchezza e la bellezza dei doni di Dio e sono al servizio della missione ricevuta da Cristo”.

La parrocchia, conclude il Cardinale Scherer, “è la Chiesa 'alla base', cellula viva del Corpo di Cristo, in cui la maggioranza dei battezzati ha la possibilità di fare un'esperienza concreta dell'incontro con Cristo e della comunione ecclesiale”.

[Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti]


Fraternamente CaterinaLD

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07/03/2011 14:48
 
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MESSAGGIO DEL CARDINALE CLAUDIO HUMMES, PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO (fino al 2010 al quale è succeduto mons. Piacenza)

Ai Catechisti


Carissimi Catechisti e Catechiste,

La pace del Signore sia con voi!

In questo primo anno del mio servizio al Santo Padre, Benedetto XVI nella Congregazione per il Clero, alla quale è affidata anche la catechesi, desidero farvi giungere il mio saluto cordiale e fraterno.

A Dio buono e grande nell’amore, ricco di misericordia, chiedo di benedirvi in modo molto speciale.

Lo faccio nella Festa di San Luca evangelista, ricordando il suo contributo fondante per l’annunzio universale di Gesù Cristo morto e risorto e del suo Regno.

Desidero, innanzitutto,  dirvi la mia ammirazione per il vostro servizio ecclesiale spesso instancabile nell’educazione della fede cattolica di tanti catecumeni o di già battezzati a voi affidati.
Vi assicuro del mio affetto quali fratelli e sorelle carissimi,  impegnati nel buon combattimento per la fede che spesso vi richiede sacrifici eroici, ai quali, nondimeno, voi rispondente con gioia e perseveranza.


Nella quotidiana fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo voi continuate ad essere e a costituire per le vostre comunità parrocchiali una vera ricchezza. Voi siete uno dei segni più promettenti, con il quale il Signore non cessa di confortarci e di sorprenderci.

Continuate a mostrate passione e volontà nell’acquisizione sincera di quella fisionomia propria di maestri, educatori e testimoni della verità per trasmetterla integralmente e fedelmente all’uomo del nostro tempo.
Siate capaci di irrobustire la vostra fede, “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" [1Pt 3,15], con la preghiera, con la formazione, con la carità. Siate sempre gioiosi e zelanti perché, anche attraverso la vostra opera, "in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza" [1 Pt 4,11]

Vi esorto a pregare e a coltivare con fiducia una relazione di amore, di dedizione, di ascolto e di silenzio con il Signore.
In un mondo spesso senza speranza, in preda alla violenza e all'egoismo, ogni vostro gesto, ogni vostro sorriso, ogni vostra parola sia una testimonianza vivente che il Signore ha vinto il peccato e la morte e che l'amore è possibile!
Riscoprite le radici profonde della vostra testimonianza nel Battesimo e nella Cresima. Alimentate il vostro servizio di catechisti con il cibo dei forti: l'Eucarestia.
Rivelate il volto di Cristo a tutti coloro che incontrate, nella gratuità e nella fedeltà del vostro servizio.
Lo Spirito del Signore renda nuova la vostra vita e faccia crescere la comunione tra di voi.

“Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell'angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo”. (EN 80)

Invoco su di voi la Benedizione che era tanto cara a S. Francesco d'Assisi:

«Il Signore ti benedica e ti protegga.
Faccia risplendere il suo volto su di te e ti doni la sua misericordia.
Il Signore rivolga su di te il suo sguardo e ti doni la sua pace».

E la Vergine Maria, Stella della evangelizzazione, vi guidi e vi assista e sia per voi segno di sicura speranza.


Dal Vaticano, 18 ottobre 2007

Festa di San Luca evangelista


Claudio card. Hummes

prefetto

Fraternamente CaterinaLD

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02/12/2011 15:29
 
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Vescovi del Brasile ai fedeli: evitare la communicatio in sacris con gli pseudo-cattolici.

L'immagine a lato riprende i vescovi del Brasile in visita ad limina in Vaticano.

Pubblico una notizia apparsa su alcuni blog cattolici esteri, che riguarda un importante e significativo intervento della Conferenza Episcopale del Brasile, resa necessaria per l'imperversare delle sette in quel Paese: cosa che accade purtroppo in tutta l'America Latina e, purtroppo, sia pure in misura meno problematica anche nel resto del mondo. Il fenomeno è conseguenziale non solo in riferimento alla progressiva secolarizzazione, ma anche al ripiegamento della Chiesa nei confronti della Dottrina e quindi della Verità, a favore di un 'pastorale' inclusiva e di conio spesso modernista.
"Una nota molto sorprendente e incoraggiante della Conferenza Episcopale del Brasile, la più grande conferenza del mondo, in una nazione dove la Chiesa è da decenni sotto l'assedio delle sette evangeliche e di strani gruppi pseudo-cattolici. (fonte Fratres in unum )." By Rorate Caeli - Pubblicato da New Catholic 30/11/2011
La Conferenza Episcopale Brasiliana si riferisce alle sette conclamate. Tuttavia non posso passare sotto silenzio quanto ci siamo battuti, e continuiamo a farlo, per denunciare analoga confusione nella "communicatio in sacris" con un movimento di matrice settaria autoproclamatosi cattolico, che malgrado tutto ha invece ricevuto anomale approvazioni curiali...

Nota Pastorale della Presidenza della CNBB [Conferenza Episcopale Nazionale Brasiliana] su alcune questioni relative all'uso improprio delle parole "cattolico", "Chiesa cattolica", "Clero", ed altre.

La Conferenza episcopale Nazionale del Brasile, nella difesa della verità e della libertà, ha ritenuto opportuno rendere pubblica questa Nota pastorale, destinata ai membri dell'Episcopato, del clero, ai religiosi e a tutti i fedeli laici.

L'uso di nomi, titoli, i simboli e le istituzioni propri della Chiesa Cattolica Apostolica Romana per altre confessioni religiose diverse da essa, può creare errori e confusione tra i fedeli cattolici. In questi casi, l'uso delle parole "cattolico", "vescovo diocesano", "vicario episcopale", "diocesi", "clero" "cattedrale", "parrocchia", "Prete" ["Padre"], "diacono", "Frate" ["Fratello"] può Indurre in inganno ed errore. Persone di buona volontà possono essere portate a frequentare questi templi, ritenendo che si tratti di comunità della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, quando, in realtà, non lo sono. Per questo motivo, la Chiesa ha il dovere di chiarire e allertare il popolo di Dio al fine di evitare probabili danni di natura spirituale e pastorale.

Pertanto, abbiamo il dovere di avvisare i fedeli cattolici circa l'esistenza di alcuni gruppi religiosi, come l'auto-proclamata "chiesa cattolica carismatica di Belém", e altre denominazioni simili, che, nonostante la definizione di se stessi come "cattolici", non sono in comunione con il Santo Padre, Papa Benedetto XVI, e non sono parte della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Per questo motivo, tutti i riti e le cerimonie religiose celebrate da loro sono illeciti per i fedeli cattolici. Così stando le cose, si raccomanda vivamente ai fedeli di non frequentare gli edifici in cui si riuniscono, né per collaborare o partecipare a qualsiasi celebrazione promossa da questi gruppi. Preghiamo che l'unità voluta da Gesù Cristo si realizzi completamente.

Brasilia, DF, 30 Nov 2011
Card. Raymundo Damasceno Assis, Arcivescovo di Aparecida - Presidente della CNBB
José Belisario da Silva, Arcivescovo di São Luis - Vice-Presidente della CNBB
Leonardo Ulrich Steiner, Vescovo ausiliare di Brasilia - Segretario Generale della CNBB


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25/08/2012 18:56
 
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«Gratia facit fidem non solum quando fides de novo incipit esse in homine, sed etiam quamdiu fides durat»


La certezza che la fede è un dono gratuito rende umili nell’attenersi alla dottrina e liberi nei metodi di catechesi. 30Giorni ripubblica e regala ai suoi lettori un catechismo per la preparazione alla prima comunione edito nel 1955


di Lorenzo Cappelletti


La copertina del libretto “Dottrina Cristiana 1”

La copertina del libretto “Dottrina Cristiana 1”

Il sentimento diffuso all’alba del terzo millennio in chi è vicino e in chi è lontano dalla Chiesa (salvo negli addetti ai lavori, chierici anche laici, per i quali si tratta appunto di lavoro e di pagnotta e che dunque ne fanno una questione di principio) è quello che Péguy esprimeva con tanta più forza quanta ne dà una preghiera in poesia: «Ce ne han dette tante, o Regina degli apostoli,/ Abbiamo perso il gusto dei discorsi/ Non abbiamo più altari se non i vostri/ Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice» (dalla Preghiera di residenza contenuta in Tapisserie de Notre-Dame).
Infatti, nonostante tanti documenti, tanti piani programmatici, tanti esperimenti catechetici di questi ultimi decenni, ora si è comunque di fronte a «un’inimmaginabile scristianizzazione» – parole di Ratzinger – che ha progredito parallelamente ad essi e che nessun indicatore parziale in controtendenza può smentire.


Péguy aveva introdotto il tema, con dolore, un secolo fa, facendo fin da allora del riconoscimento della scristianizzazione la condizione di possibilità del parlare e dell’agire cristiani: «Quando i cattolici saranno disposti a vederlo, solo a misurarlo, a confessarlo, quando saranno disposti a riconoscerlo, e ad accorgersi da dove viene, quando avranno, loro, rinunciato a quella debolezza di diagnosi, allora, ma solo allora potranno forse fare qualcosa di utile, allora, ma solo allora non saranno più inerti, essi stessi degli spostati. E ne parleremo, forse, se ne potrà parlare» (da Véronique. Dialogue de l’histoire et de l’âme charnelle). Eppure tuttora si è restii a condividere quella che non è più la profezia di un poeta ma una constatazione.

Così chi ha appena un po’ di cuore non avulso dall’intelligenza si rende conto ormai che tutti, vicini e lontani, non vorrebbero sapere nient’altro che “una preghiera semplice”, ovvero, tornando a esprimerci in prosa, che agli uomini di oggi parla più la semplicità della Tradizione di tutte le soluzioni inventate in questi anni. Innanzitutto la grande Tradizione con la T maiuscola, perché «scaturisce dalla divina sorgente», dice la Dei Verbum n.9.

Ma anche le piccole «tradizioni teologiche, disciplinari, liturgiche e devozionali», come si esprime il
Catechismo della Chiesa cattolica n.75, perché quelle che hanno resistito hanno l’autorevolezza che viene dalla prova del tempo, che spesso le ha affinate e ne ha espunto il superfluo. Mentre, dopo tanto darsi da fare, anche sincero e generoso, per cambiare e aggiornare formule, metodi e iniziative, resta il giudizio del cardinale Simonis in una recente intervista a 30Giorni: «Lo ripeto con Willebrands: “Non hanno successori”. Solo chi è nella Tradizione rimane nella fede. Neppure noi abbiamo adunate oceaniche di “successori”, ma ci basta un seme, e ci basta seguire, come fecero gli apostoli».


Teologicamente è molto semplice spiegare perché bisogna rimanere per credere (vecchio slogan di 30Giorni): perché la fede è una virtù soprannaturale. Tanto da parte di chi insegna che di chi impara, si tratta di stare ai contenuti della fede e di lasciare che lo Spirito Santo, ospite dolce dell’anima, susciti l’esperienza della soavità di riconoscere la realtà indicata da quei contenuti, che di per sé non possono far gioire il cuore. È lo Spirito Santo, infatti, «che rende soave l’aderire e il credere alla verità» (cfr. costituzione dogmatica De fide catholica del Concilio Vaticano I, che cita qui non a caso il secondo Concilio antipelagiano di Orange).

Anche un formulario catechetico di tipo mnemonico e scolastico, da questo punto di vista, può risultare attraente in virtù della testimonianza di fede di chi lo propone, come dimostrano la vita di san Giovanni Bosco e del santo Curato d’Ars, di don Lorenzo Milani e di tanti missionari. E viceversa tutto lo sforzo di offrire un itinerario catechetico organico e progettuale può risultare un peso. Insomma, l’espressione dei contenuti va modellata secondo quella carità pastorale che nasce a sua volta dall’amore a Nostro Signore.


Un’illustrazione tratta dal catechismo Dottrina cristiana I, riedito da “30GIORNI”.

Un’illustrazione tratta dal catechismo Dottrina cristiana I, riedito da “30GIORNI”.

Peraltro, con la pubblicazione di un volumetto di catechismo anni Cinquanta non intendiamo suggerire un ritorno a quei formulari con la convinzione che questo porrebbe riparo al dilagare della scristianizzazione. Nostro intento non è costruire dighe, né innalzare antemurali. Nostro intento non è una reazione speculare al fallimento dell’azione. Di più. Guardiamo con rispetto e con simpatia ai tentativi di aggiornare formule e metodi per far conoscere la dottrina cristiana agli uomini di oggi.

D’altra parte, proprio perché si tratta di tentativi, si può anche giudicare con libertà la loro efficacia o meno. È stato il prefetto della Congregazione della dottrina della fede a parlare di «disastro della moderna catechesi». E se si constatasse che per «i nuovi pagani» (ancora un’espressione del cardinal Ratzinger) le formule di san Pio X facilitano l’apprendimento di alcune semplici preghiere e delle poche verità della fede, dal momento che paradossalmente stimolano di più memoria e fantasia, perché non utilizzarle?

È un dato di fatto che la gran parte dei ragazzi che ha ricevuto la prima Comunione e la Cresima, non avendo imparato neppure le più elementari formule di preghiera e di dottrina, è privata di una memoria che al momento giusto, per il riaccadere della grazia della fede, potrebbe fare compagnia e rallegrare il cuore:
Iesu dulcis memoria dans vera cordis gaudia.


Fatta salva la sostanza, in questa materia deve valere, crediamo, grande realismo e grande libertà, la metodologia catechistica appartenendo alle cose dubbie. È sull’essenziale che va ricercata l’unità: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas.
Altrimenti assisteremo, all’inizio del terzo millennio, forse al paradosso di una canonizzazione di Matteo Ricci, gesuita marchigiano che per insegnare la fede nella Cina del 1600 si fece mandarino cinese, a fronte di giovani coppie, bambini e ragazzi italiani, oggi non più cristiani, obbligati, per accostarsi ai sacramenti, ad accettare una rigida metodologia catechistica.
E pensare che il Concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica
Lumen gentium aveva indicato ciò che solo desta stupore e commozione all’uomo di oggi: l’incontro «dentro le condizioni ordinarie della vita familiare e sociale» con persone che «col fulgore della fede, della speranza e della carità rendono visibile Cristo agli altri» (Lumen gentium
n. 31).

[SM=g1740733]

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   Un cruciverba per arrivare in Cielo
Per vivere la pienezza del Vangelo abbiamo bisogno di una fede "orizzontale" e "verticale"

Roma, 24 Aprile 2014 (Zenit.org) Carlo Climati

Una mamma mi ha raccontato che sua figlia si sta preparando alla prima comunione in parrocchia. Il catechista, qualche giorno fa, ha impiegato un’ora per spiegare ai bambini come si fa la raccolta differenziata e come si deve distribuire la spazzatura nei cassonetti.


Perché meravigliarsi? Anche questi argomenti sono parte di una formazione cristiana. Fare la raccolta differenziata significa dare il buon esempio e contribuire al rispetto per il Creato.

La stranezza è un’altra. Lo stesso catechista, nei suoi incontri con i ragazzi, ha detto ai bambini che il Rosario è una preghiera superata e ripetitiva. Secondo lui, bisognerebbe mettere da parte questa preghiera e meditare solo sulle Scritture.

Lo stesso catechista ha affermato che la cosa più importante, nella vita cristiana, sono le opere: il volontariato, l’impegno nel sociale, la solidarietà e l’aiuto dei poveri.

Situazioni come queste, purtroppo, non sono rare. Si sta diffondendo sempre di più l’idea di un Cristianesimo orizzontale e poco spirituale, che punta a cancellare le nostre tradizioni più belle.

Vanno di moda i cosiddetti “preti di strada”, impegnati nel sociale, ma critici nei confronti degli insegnamenti della Chiesa. Non tutti, fortunatamente, sono così. Ma non mancano, purtroppo, quelli che contestano apertamente il Magistero.

Questi sacerdoti svolgono un’opera preziosa in aiuto dei poveri, delle prostitute, degli immigrati, delle persone tossicodipendenti o senza fissa dimora. Chi può negarlo? Il problema è che, ultimamente, si sta diffondendo sempre di più l’idea che il “prete di strada” sia il “vero prete” o che sia addirittura migliore di quei sacerdoti che trascorrono il loro tempo nel confessionale.

Le due cose, in realtà, non sono in contraddizione. Un sacerdote può essere sensibile ai temi sociali e contemporaneamente svolgere il suo compito di pastore, occupandosi delle anime e non solo dei corpi.

E’ triste, invece, ciò che sta accadendo oggi. Si cerca, sempre di più, di svuotare la fede cristiana della sua dimensione spirituale, per invitare le persone a dedicarsi principalmente all’impegno nel sociale.

Basterebbe poco per correggere certi estremisti e ritrovare la strada giusta da percorrere. Conoscete le parole crociate? I cruciverba sono composti da parole che devono essere scritte in modo orizzontale e verticale. Se non si scrivono le parole in entrambi i sensi, il cruciverba non può essere completato.

Lo stesso dovrebbe accadere nella nostra vita cristiana, per essere vissuta nella sua pienezza. Non si può essere soltanto cristiani orizzontali, perché il Cristianesimo non è filantropia. Non si può essere soltanto cristiani verticali, perché il Vangelo dev’essere vissuto concretamente nella vita quotidiana.

Il volontariato è bello, ma non è più importante della preghiera. E’ dal rapporto sincero con Dio che bisogna partire per illuminare il resto della nostra esistenza. Altrimenti non si potrà andare da nessuna parte.

Ho incontrato, tempo fa, una persona favorevole alla possibilità che le coppie omosessuali abbiano dei bambini. Per sostenere la sua tesi, mi ha detto: “Conosco tante coppie di omosessuali che amano veramente i loro bambini. E poi, fanno tantissimo volontariato. Sono proprio delle brave persone, che dedicano la loro vita agli altri”.

Ecco un chiaro esempio di come il volontariato possa essere mitizzato e considerato una specie di “smacchiatore”, in grado di cancellare qualunque errore della nostra vita.

Non metto in dubbio che questi omosessuali siano brave persone. Probabilmente avranno tante bellissime virtù, che cercano di vivere attraverso l’impegno del sociale.

Ma il volontariato non cancella quello che, secondo me, è un comportamento inaccettabile. Penso, infatti, che i bambini abbiano bisogno di vivere in una famiglia con una mamma e un papà. Il buon senso ci insegna questo.

Non dimentichiamo, poi, che alcuni bambini che vivono con coppie omosessuali sono frutto del triste mercato delle gravidanze in affitto. Ci sono donne povere costrette a “vendere” il figlio che portano in grembo, per soddisfare l’egoismo di coppie eterosessuali ed omosessuali che vogliono avere un bambino ad ogni costo.

Il volontariato non può diventare un paravento per farci sentire più buoni e per coprire gli errori che ci rifiutiamo di correggere. Che senso ha impegnarsi nel sociale, se poi non si rispettano quei valori che sono scritti nel cuore di essere umano?

C’è bisogno di maggiore umiltà. Bisognerebbe fare uno sforzo per mettere da parte quell’arroganza che conduce spesso ad una religiosità “fai da te”. Bisognerebbe riscoprire la bellezza del Catechismo della Chiesa cattolica e diffonderlo tra la gente, nello stesso modo in cui si diffonde il Vangelo.

La croce di Cristo è composta da una parte orizzontale e una verticale. Come nei cruciverba! E’ il simbolo della bontà infinita di Dio, che abbraccia l’umanità intera. Spezzare quella croce, per proporre un Cristianesimo soltanto orizzontale o verticale, significa snaturare completamente il senso della nostra fede.

Ben venga l’impegno del sociale! Ma attenzione a non offrire ai giovani un doppione di ciò che si può trovare da qualunque altra parte! Sono tanti i posti in cui i bambini possono apprendere come si fa la raccolta differenziata della spazzatura. Ma c’è un solo posto in cui possono conoscere la carezza di Dio, la bellezza della preghiera e la speranza nella resurrezione. E’ la nostra Chiesa. Una Chiesa che ci tiene per mano, per accompagnarci con amore nel nostro cammino verso il Cielo.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/04/2014 11:00
 
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DANZATORI DELLA GIOIA.


 







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Divertere è l’esatto contrario di convertere. Non è una questione di termini e di etimologie, come se la fede avesse bisogno di grossi dizionari specialistici. Però la fede ha i suoi termini, dai quali deriva la percezione del credente nel suo rapporto con Dio e con gli altri.

Divertere significa condurre fuori. Il divertimento non è che questo lasciarsi condurre fuori da quanto si vive. Di per sé non è necessariamente un male, ma porta sempre questo riferimento all’essere distolti dalla realtà. Se non altro, è effimero. Infatti, per quanto possa essere lecito, finisce in pochi attimi. E’ necessario, forse, ma a condizione che ci riconsegni alla realtà con una diversa capacità di saper vedere le cose.
Il saper vedere è un convertere. E quando la visione è chiara, l’uomo ha un’uscita da se stesso, così come accade nel divertere. Solo che non è distolto, ma condotto. La sua uscita da se stesso, che a livello di termini è un’autentica estasi, produce una visione che procura gioia. Il divertimento è l’uscita verso una felicità immaginata, mentre la gioia è un’uscita verso la felicità contemplata. E non è una differenza da poco!
Il cieco risanato da Gesù è nella gioia. Prima non vedeva, adesso vede. E con la guarigione, è condotto al convertere, tanto che segue Gesù rendendo lode a Dio. Convertito dal passaggio di Gesù, cioè restituito alla capacità di saper vedere veramente. Perché la conversione è questo lasciarsi guardare da Gesù ed ottenere uno sguardo che sa vedere la felicità nella grazia che si è contemplata. Quando si dice che il cristianesimo cresce per attrazione, si vuol dire che ad attirare è la persona di Gesù. In Lui c’è tutta la gioia, in lui è la felicità contemplata. Un uomo che esce risanato da un ospedale, è un uomo pieno di gioia. Potrà anche divertirsi, scacciare da sé l’angoscia che aveva caratterizzato le sue giornate, ma tutta la sua gioia consisterà nel sapere che è stato restituito alla vita. E il Vangelo, a ben pensarci, non è che un racconto continuo di una gioia che Cristo ha voluto comunicare. L’uomo è risanato e restituito alla sua vera vita, quella per cui era stato pensato e creato. Ma questo presuppone che un altro sia la causa della sua gioia, e che egli riceva dall’esterno quella gioia che è in grado di restituirgli la gioia della vista: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 11).

Il cristiano non gioisce perché ha in sé la fonte della gioia, ma perché un altro gli dona di poter partecipare della gioia. Se avesse in se stesso la fonte della gioia, egli sarebbe condotto fuori da se stesso, ma nello stesso senso in cui potrebbe condurlo il divertere. Essendo consegnato alla gioia di un altro, egli è condotto invece verso il convertere. La sua gioia è sottratta all’effimero e radicata in quel che resta al di là del transitorio e del caduco.
La nostra gioia è dunque la gioia di Cristo. Non quella che Egli procura, ma quella che Egli possiede. Partecipando di quella gioia, noi abbiamo anche una gioia che è nostra, che è essenziale, che è vitale, e che dobbiamo sempre comunicare. La nostra gioia è autenticamentenostra nella misura in cui è una gioia partecipata. Per questo non può essere assimilata alla gioia che il mondo dà. Può assumere esteriormente gli stessi tratti, poiché mira sempre a far uscire l’uomo da se stesso, ma è radicalmente diversa. Non si ferma all’uscita, ma si fa compagna nel cammino più difficile, che è quello verso la propria interiorità. Là, e soltanto là, abita la verità, come scriveva quel S. Agostino che molte volte era uscito da se stesso verso cose nobili e belle senza mai aver fatto ritorno in se stesso.

Oggi pare moltiplicarsi l’esperienza di un cristianesimo che intende attrarre attraverso la gioia. Il più delle volte, però, si tratta di una gioia che il mondo già possiede. Non diciamo che alla fine il cristiano si riduca ad essere più vuoto, ma molto spesso il suo interlocutore non si ritrova più pieno. La gioia di Gesù conduce alla pienezza, non all’assunzione dell’identica modalità della gioia del mondo. Dio può servirsi anche di questo, sia chiaro. Tuttavia la gioia scaturisce da un incontro che si colloca in quel cammino verso l’interiorità. Se non presuppone il silenzio assoluto e l’uscita dal mondo, richiede almeno la volontà di uscire da se stessi verso una consapevolezza più matura di ciò che vale veramente e che si differenzia da quanto posseduto. Probabilmente deriva da questo che la nascita di un cammino di fede sia fatto di incontri personali, di testimonianze che vadano controcorrente, di scelte radicali, di colloqui, di spazi di preghiera e di contemplazione del mistero. Non colpiscono quasi mai coloro che, pur con tutta la buona fede, rischiano di passare per fenomeni da baraccone o non si pongono su un livello più alto. Resta vera la profondissima verità della liturgia, cioè l’uscita dall’ordinario per entrare nello spazio dello straordinario, nello spazio di Dio. Non è detto che quanto si fa al di fuori della liturgia, debba necessariamente ripudiare questa legge fondamentale dell’attrazione cristiana.

Si dice e si ridice che Davide danzava davanti all’arca. Noi ci permettiamo di ridire che leggere la Scrittura non significa riprodurre quanto vi è scritto. Nessuno di quanti danzano per ripetere l’esperienza del re biblico, si sognerebbe minimamente di trascorrere la quaresima in un deserto, per quaranta giorni. Da quando Maria, nuova Arca dell’Alleanza, ha portato nel grembo il Verbo, ogni cristiano esulta di gioia, come Giovanni nel grembo di Elisabetta. Dio ha preso la nostra carne, ha posto la sua dimora in mezzo a noi. E noi  dobbiamo semplicemente magnificare, con l’esultanza del cuore e della vita, quel Dio che innalza gli umili e che effonde la sua misericordia su quanti lo temono. Farsi piccoli e poveri, come Maria, comunica la gioia vera, la sola che possa convertire. Noi siamo stati salvati dalla povertà di Cristo, che non è propriamente quella regalità che il mondo si sarebbe attesa. E la vita dei santi, che mai hanno assunto le categorie del mondo, ne è la riprova più eloquente ed affascinante. Forse per questo l’immagine più bella della gioia, in tempi recenti, è stata associata alla B. Teresa di Calcutta. Ella trascorreva in ginocchio le notti perché quanti avrebbe incontrato potessero danzare di gioia davanti all’amore di un Dio che si fa povero e piccolo.

don Antonio Ucciardo



 



Fraternamente CaterinaLD

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12/10/2017 09:06
 
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DAL 
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

Aula del Sinodo
Mercoledì, 11 ottobre 2017

[Multimedia]



 

Signori Cardinali,
cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Signori Ambasciatori,
illustri Professori
fratelli e sorelle,

vi saluto cordialmente e ringrazio Mons. Fisichella per le cortesi parole rivoltemi.

Il venticinquesimo anniversario della Costituzione apostolica Fidei depositum, con la quale san Giovanni Paolo II promulgava il Catechismo della Chiesa Cattolica, a trent’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, è un’opportunità significativa per verificare il cammino compiuto nel frattempo. San Giovanni XXIII aveva desiderato e voluto il Concilio non in prima istanza per condannare gli errori, ma soprattutto per permettere che la Chiesa giungesse finalmente a presentare con un linguaggio rinnovato la bellezza della sua fede in Gesù Cristo. «E’ necessario – affermava il Papa nel suo Discorso di apertura – che la Chiesa non si discosti dal sacro patrimonio delle verità ricevute dai padri; ma al tempo stesso deve guardare anche al presente, alle nuove condizioni e forme di vita che hanno aperto nuove strade all’apostolato cattolico» (11 ottobre 1962). «Il nostro dovere – continuava il Pontefice – non è soltanto custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera che la nostra età esige, proseguendo così il cammino che la Chiesa compie da quasi venti secoli» (ibid.).

Custodire” e “proseguire” è quanto compete alla Chiesa per sua stessa natura, perché la verità impressa nell’annuncio del Vangelo da parte di Gesù possa raggiungere la sua pienezza fino alla fine dei secoli. E’ questa la grazia che è stata concessa al Popolo di Dio, ma è ugualmente un compito e una missione di cui portiamo la responsabilità, per annunciare in modo nuovo e più completo il Vangelo di sempre ai nostri contemporanei. Con la gioia che proviene dalla speranza cristiana, e muniti della «medicina della misericordia» (ibid.), ci avviciniamo pertanto agli uomini e alle donne del nostro tempo per permettere che scoprano l’inesauribile ricchezza racchiusa nella persona di Gesù Cristo.

Nel presentare il Catechismo della Chiesa Cattolicasan Giovanni Paolo II sosteneva che «esso deve tener conto delle esplicitazioni della dottrina che nel corso dei tempi lo Spirito Santo ha suggerito alla Chiesa. E’ necessario inoltre che aiuti a illuminare con la luce della fede le situazioni nuove e i problemi che nel passato non erano ancora emersi» (Cost. ap. Fidei depositum, 3). Questo Catechismo, perciò, costituisce uno strumento importante non solo perché presenta ai credenti l’insegnamento di sempre in modo da crescere nella comprensione della fede, ma anche e soprattutto perché intende avvicinare i nostri contemporanei, con le loro nuove e diverse problematiche, alla Chiesa, impegnata a presentare la fede come la risposta significativa per l’esistenza umana in questo particolare momento storico. Non è sufficiente, quindi, trovare un linguaggio nuovo per dire la fede di sempre; è necessario e urgente che, dinanzi alle nuove sfide e prospettive che si aprono per l’umanità, la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce. E’ quel tesoro di “cose antiche e nuove” di cui parlava Gesù, quando invitava i suoi discepoli a insegnare il nuovo da lui portato senza tralasciare l’antico (cfr Mt 13,52).

L’evangelista Giovanni offre una delle pagine più belle del suo Vangelo quando riporta la cosiddetta “preghiera sacerdotale” di Gesù. Prima di affrontare la passione e la morte, Egli si rivolge al Padre manifestando la sua obbedienza nell’aver compiuto la missione che gli era stata affidata. Le sue parole sono un inno all’amore e contengono anche la richiesta che i discepoli siano custoditi e protetti (cfr Gv 17,12-15), Nello stesso tempo, comunque, Gesù prega per quanti nel futuro crederanno in Lui grazie alla predicazione dei suoi discepoli, perché anch’essi siano raccolti e conservati nell’unità (cfr Gv 17,20-23). Nell’espressione: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3), si tocca il culmine della missione di Gesù.

Conoscere Dio, come ben sappiamo, non è in primo luogo un esercizio teorico della ragione umana, ma un desiderio inestinguibile impresso nel cuore di ogni persona. E’ la conoscenza che proviene dall’amore, perché si è incontrato il Figlio di Dio sulla nostra strada (cfr Lett. enc. Lumen fidei, 28). Gesù di Nazareth cammina con noi per introdurci con la sua parola e i suoi segni nel mistero profondo dell’amore del Padre. Questa conoscenza si fa forte, giorno dopo giorno, della certezza della fede di sentirsi amati, e per questo inseriti in un disegno carico di senso. Chi ama vuole conoscere di più la persona amata per scoprire la ricchezza che nasconde in sé e che ogni giorno emerge come una realtà sempre nuova.

Per questo motivo, il nostro Catechismo si pone alla luce dell’amore come un’esperienza di conoscenza, di fiducia e di abbandono al mistero. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nel delineare i punti strutturali della propria composizione, riprende un testo del Catechismo Romano; lo fa suo, proponendolo come chiave di lettura e di applicazione: «Tutta la sostanza della dottrina e dell’insegnamento dev’essere orientata alla carità che non avrà mai fine. Infatti, sia che si espongano le verità della fede o i motivi della speranza o i doveri della attività morale, sempre e in tutto va dato rilievo all’amore di nostro Signore. Così da far comprendere che ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non può scaturire se non dall’amore, come nell’amore ha d’altronde il suo ultimo fine» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 25).

In questo orizzonte di pensiero mi piace fare riferimento a un tema che dovrebbe trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica uno spazio più adeguato e coerente con queste finalità espresse. Penso, infatti, alla pena di morte. Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana. Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. E’ in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante. Mai nessun uomo, «neppure l’omicida perde la sua dignità personale» (Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la pena di morte, 20 marzo 2015), perché Dio è un Padre che sempre attende il ritorno del figlio il quale, sapendo di avere sbagliato, chiede perdono e inizia una nuova vita. A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità.

Nei secoli passati, quando si era dinnanzi a una povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto un suo positivo sviluppo, il ricorso alla pena di morte appariva come la conseguenza logica dell’applicazione della giustizia a cui doversi attenere. Purtroppo, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo. Tuttavia, rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli.

Qui non siamo in presenza di contraddizione alcuna con l’insegnamento del passato, perché la difesa della dignità della vita umana dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale ha sempre trovato nell’insegnamento della Chiesa la sua voce coerente e autorevole. Lo sviluppo armonico della dottrina, tuttavia, richiede di tralasciare prese di posizione in difesa di argomenti che appaiono ormai decisamente contrari alla nuova comprensione della verità cristiana. D’altronde, come già ricordava san Vincenzo di Lérins: «Forse qualcuno dice: dunque nella Chiesa di Cristo non vi sarà mai nessun progresso della religione? Ci sarà certamente, ed enorme. Infatti, chi sarà quell’uomo così maldisposto, così avverso a Dio da tentare di impedirlo?» (Commonitorium, 23.1: PL 50). E’ necessario ribadire pertanto che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona.

«La Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, e tutto ciò che essa crede» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 8). I Padri al Concilio non potevano trovare espressione sintetica più fortunata per esprimere la natura e missione della Chiesa. Non solo nella “dottrina”, ma anche nella “vita” e nel “culto” viene offerta ai credenti la capacità di essere Popolo di Dio. Con una consequenzialità di verbi, la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione esprime la dinamica diveniente del processo: «Questa Tradizione progredisce […] cresce […] tende incessantemente alla verità finché non giungano a compimento le parole di Dio (ibid.).

La Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare. Questa legge del progresso secondo la felice formula di san Vincenzo da Lérins: «annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate» (Commonitorium, 23.9: PL 50), appartiene alla peculiare condizione della verità rivelata nel suo essere trasmessa dalla Chiesa, e non significa affatto un cambiamento di dottrina.

Non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito Santo. «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri» (Eb 1,1), «non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio» (Dei Verbum, 8). Questa voce siamo chiamati a fare nostra con un atteggiamento di «religioso ascolto» (ibid., 1), per permettere alla nostra esistenza ecclesiale di progredire con lo stesso entusiasmo degli inizi, verso i nuovi orizzonti che il Signore intende farci raggiungere.

Vi ringrazio per questo incontro e per il vostro lavoro; vi chiedo di pregare per me e vi benedico di cuore. Grazie.



Pena di morte, il Papa chiede un cambio nel Catechismo

Il Papa ricorda i 25 anni del del Catechismo della Chiesa Cattolica e chiede che venga modificato l'articolo 2267 che non esclude la pena capitale in particolari casi come unica via per difendere da un aggressore ingiusto. "In passato la Chiesa ha assunto una posizione non conforme al Vangelo".

Ieri pomeriggio nell’Aula nuova del sinodo, il Papa è intervenuto per ricordare i 25 anni dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Francesco ha sottolineato l’importanza del dire le cose di sempre con un linguaggio adatto agli uomini del tempo. Ma soprattutto, ha sottolineato l’orizzonte della misericordia e, ha detto, «in questo orizzonte di pensiero mi piace fare riferimento a un tema che dovrebbe trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica uno spazio più adeguato e coerente con queste finalità espresse».

LA PENA DI MORTE E’ INAMISSIBILE

«Penso, infatti, alla pena di morte. Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana». Ad oggi il tema della pena di morte è affrontato al n° 2267 del Catechismo, laddove si dice che «l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani»; se fossero sufficienti mezzi incruenti, ovviamente l’autorità deve ricorrere a questi.

Con le parole pronunciate ieri da Papa Francesco si chiede chiaramente di andare oltre l’attuale formulazione. «Qui non siamo in presenza di contraddizione alcuna con l’insegnamento del passato», ha detto il Papa, «perché la difesa della dignità della vita umana dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale ha sempre trovato nell’insegnamento della Chiesa la sua voce coerente e autorevole». E’ il paradigma della difesa della vita durante tutto l’arco dell’esistenza, già spiegato durante la recente apertura delle attività della Pontificia Accademia per la Vita e ripetuto più volte dal suo presidente, membro storico della comunità di S. Egidio, monsignor Vincenzo Paglia.

Secondo Francesco, la Chiesa nel passato ha assunto una posizione non conforme al Vangelo nell’essere permissiva nei confronti della pena di morte, sebbene non abbia mai considerato tipologie di reati che richiedessero tale pena, ma era orientata a questa possibilità solo quando «questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani».

«Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana», dice Francesco. E aggiunge: «La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo».

Anche Benedetto XVI aveva auspicato uno sforzo per l’abolizione della pena di morte. Lo aveva fatto nel 2011, rivolgendosi, ai partecipanti a un meeting organizzato dalla comunità di S. Egidio, da sempre impegnata in questa istanza. Quello di Benedetto XVI era un appello perché vi fossero «iniziative politiche e legislative promosse in un numero crescente di paesi per eliminare la pena di morte e continuare sostanziali progressi compiuti per conformare il codice penale sia alla dignità umana dei carcerati che all'efficace mantenimento dell'ordine pubblico». Nessun riferimento al progresso della dottrina o alla storia della chiesa, cosa che, invece, Francesco ha fatto proprio ieri per «far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana».

LA DOTTRINA PROGREDISCE

Dopo sei anni di lavoro nell’ottobre del 1992 con la costituzione apostolica Fidei depositum, a trent’anni dall’apertura del Vaticano II, usciva, appunto, il Catechismo della Chiesa Cattolica perché fosse un punto di riferimento della dottrina e della morale in tutto l’orbe. C’era bisogno di un punto di riferimento perché il post concilio, come più volte ripetuto dai papi, non fu esente da rischi e sbandamenti.

Paolo VI, poi Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI, hanno messo in guardia contro un'interpretazione della dottrina in rottura con il passato. Lo sviluppo deve avvenire in modo omogeneo e in continuità. Sul tema del “progresso” della dottrina è intervenuto anche Francesco.

«La Tradizione è una realtà viva», ha detto ieri il Papa, «e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare».

SAN VINCENZO DI LERINO

Quando si tratta di sviluppo della dottrina è ricorrente la citazione a San Vincenzo di Lerino (V secolo), monaco francese che nel suo Commonitorium primum diceva che il dogma della religione «progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età». Questa citazione l’ha fatta Francesco ieri, a cui possiamo aggiungere la preoccupazione che ha più volte richiamato Benedetto XVI, che come cardinale ha presieduto i lavori che hanno condotto alla redazione del Catechismo.

E’ il concetto di « rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa», tale per cui «è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino». Come direbbe lo stesso San Vincenzo di Lerino «anche nella stessa chiesa cattolica ci si deve preoccupare molto che ciò che noi professiamo sia stato ritenuto tale ovunque, sempre e da tutti».

  • CATECHISMO

Pena di morte, in principio è legittima

Torniamo al discorso del Pontefice di mercoledì scorso tenuto ai partecipanti all'incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e citiamo di esso la parte concernente la pena di morte:
«Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana. Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. E’ in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante. Mai nessun uomo, "neppure l’omicida perde la sua dignità personale" (Lettera al Presidente della Commissione Internazionale contro la pena di morte, 20 marzo 2015) […] A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità. […] Purtroppo, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo. Tuttavia, rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli. Qui non siamo in presenza di contraddizione alcuna con l’insegnamento del passato, perché la difesa della dignità della vita umana dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale ha sempre trovato nell’insegnamento della Chiesa la sua voce coerente e autorevole. […] E’ necessario ribadire pertanto che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona».

In sintesi il Papa ci sta dicendo che gli ultimi pontefici avevano già iniziato ad insegnare una dottrina diversa sulla pena di morte rispetto a quella tradizionale, che la pena capitale lede il bene indisponibile della vita, che non permette un riscatto morale, che è contraria alla dignità personale, allo spirito del Vangelo e dunque alla fede cattolica.

Nessuno di questi giudizi pare condivisibile. In prima battuta per valutare la bontà di un’azione occorre far riferimento al suo oggetto morale cioè al fine prossimo perseguito: l’oggetto morale dell’irrogazione della pena di morte è buono perché è “difendere la collettività”: l’azione materiale “uccisione” dal punto di vista morale deve essere intesa come difesa del bene comune, non come “omicidio” o “vendetta”. Solo l’uccisione diretta e volontaria dell’innocente è sempre un male: questo è ciò che insegna il Magistero. La pena capitale trova dunque la sua liceità morale nel fatto che noi tutti abbiamo il dovere morale di difendere noi stessi prima che la vita degli aggressori: «l’uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui» (Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7 c.).

Come un soggetto privato può lecitamente uccidere l’aggressore al fine di difendersi se non vi sono altre soluzioni che permettono di tutelare la propria o altrui vita, così l’ordinamento giuridico – nella previsione di quasi certe reiterazioni del reato o di reati di uguale gravità - può ricorrere alla pena capitale se è l’unico modo per difendere l’incolumità dei cittadini. Così Tommaso D’Aquino: «Ecco perché, nel caso che lo esiga la salute di tutto il corpo, si ricorre lodevolmente e salutarmente al taglio di un membro putrido e cancrenoso. Ebbene, ciascun individuo sta a tutta la comunità come una parte sta al tutto. E quindi se un uomo con i suoi peccati è pericoloso e disgregativo per la collettività, è cosa lodevole e salutare sopprimerlo, per la conservazione del bene comune; infatti, come dice S. Paolo: ‘Un po' di fermento può corrompere tutta la massa’» (Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 2 c.). E’ proprio il dovere di tutelare la preziosità intrinseca delle persone di una collettività, cioè la loro dignità – argomento usato da Francesco per censurare la pena di morte – che giustifica quest’ultima.

La pena di morte è poi giustificata da un altro motivo che si aggiunge al precedente. Ogni persona è titolare di diritti fondamentali, tra cui la vita. La titolarità di questi diritti però può essere persa a motivo delle nostre azioni: vedi la libertà personale a seguito di un crimine. E’ come se dentro di noi ci fosse una parete in cui sono infissi i diritti fondamentali. Azioni assai malvagie che scegliamo di compiere hanno il potere di abbattere questa parete e quindi di far cadere a terra i diritti in essa infissi. Chi uccide si spoglia da sé del proprio diritto alla vita e lo Stato va a rettificare questa situazione morale. Così Pio XII: «Anche quando si tratta dell’esecuzione capitale di un condannato a morte lo Stato non dispone del diritto dell’individuo alla vita. È riservato allora al pubblico potere di privare il condannato del bene della vita, in espiazione del suo fallo, dopo che col suo crimine, egli si è già spogliato del suo diritto alla vita» (Discorso al I Congresso di Istopatologia del Sistema Nervoso, 13/09/1952, n. 28). A motivo delle nostre azioni degradiamo la nostra dignità morale, non quella naturale che è inscalfibile (l’omicida rimane persona). E’ un po’ come degradarsi a rango di bestie e le bestie non hanno diritti. Così di nuovo l’Aquinate: «Col peccato l'uomo abbandona l'ordine della ragione: egli perciò decade dalla dignità umana […] degenerando in qualche modo nell'asservimento delle bestie […] Perciò sebbene uccidere un uomo che rispetta la propria dignità sia cosa essenzialmente peccaminosa, uccidere un uomo che pecca può essere un bene, come uccidere una bestia» (Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 2, ad 3).

Questo è un primo motivo per affermare che, contrariamente a quanto dichiarato dal Papa, la pena di morte non è contraria alla dignità morale della persona (d’altronde anche la carcerazione sopprime un bene indisponibile come quello della libertà e quindi potrebbe essere intesa, a torto, come lesiva della dignità del recluso).

Perché la pena di morte esprima realmente l’oggetto morale “difesa” occorre però che sia proporzionata a questo fine. Cosa significa? Primo: che esista una reale pericolosità sociale intesa come certezza o alta probabilità che il reo commetterà nuovamente crimini contro la vita o beni simili. La mera possibilità di future aggressioni non giustifica il fine difensivo, non giustifica la pena di morte perché il reo è ormai innocuo (il presente punto si lega al percorso rieducativo del reo che vedremo dopo). Secondo: extrema ratio. Se c’è un altro modo per contenere l’aggressività del reo occorre perseguire quella soluzione. In caso contrario la pena di morte non esprimerebbe più il fine “difendere la comunità”, bensì sarebbe espressione di “omicidio di Stato” oppure di “vendetta”: dalla difesa passeremmo all’offesa. Inoltre sanzioni differenti quali la carcerazione permetterebbero al reo di aver più tempo per emendarsi.

Così il Catechismo della Chiesa cattolica: “L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude […] il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo ‘sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti» (Evangelium vitae, n. 56)” (n. 2267).

E’ per questo motivo che i pontefici recenti hanno chiesto la cancellazione della pena di morte a livello mondiale, non perchè il principio della difesa del bene comune attualizzato in simile sanzione non sia più valido, ma perché constatavano che attualmente nei paesi di tutto il mondo ci sono altri strumenti – esempio la detenzione – più proporzionati al fine difensivo.

La pena di morte poi ingenera effetti positivi che sono quelli propri di ogni altra sanzione. La funzione retributiva: «La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa» (CCC n. 2266).  In altri termini la sofferenza del reo va a restaurare il volto della giustizia che lui stesso ha deturpato. E’ un risarcimento che, secondo giustizia equitativa, deve ripagare con il medesimo valore del danno inferto: vita tolta per vita data. Da ciò discende il criterio di proporzionalità: ad un piccolo danno morale corrisponde una lieve pena; ad un grande danno morale una pena di uguale entità (che può riguardare anche la libertà personale, ma non esclude il bene “vita”). La giustizia è dare a ciascuno il suo: la collettività ha diritto alla sofferenza del reo.

Funzione di deterrenza: non si può escludere che la previsione nel codice di tale pena e la sua reale applicazione non esprimano un’efficacia dissuasiva nei confronti dei consociati. Funzione pedagogica-rieducativa: la pena fa riacquistare al reo quella quota di umanità che ha perso. Si obietterà: ma se costui morirà questo argomento non ha più senso. Per far compiere al reo un percorso rieducativo è bene che tra la sentenza di condanna e l’esecuzione passi un certo lasso di tempo che permetta al reo di emendarsi: in tal modo si soddisfa l’esigenza di riscatto morale chiesta dal Papa. Se ciò avviene, la sentenza capitale non avrebbe più ragion d’essere perché l’emenda è avvenuta e dunque la pena, in merito a questo aspetto, ha avuto efficacia. Inoltre come detto sopra la pericolosità sociale verrebbe meno e dunque parimenti verrebbe meno il fine della pena capitale (difesa della collettività). Anche se quest’ultima fosse immediatamente successiva alla sentenza nulla esclude comunque la resipiscenza e il ravvedimento del reo. Questo è un altro motivo per affermare che la pena capitale può contribuire alla ricostruzione della dignità del reo e che esprime in altro senso la virtù della giustizia: la pena è dovuta al reo perché occasione preziosa per lui di ri-umanizzarsi. Se l’emenda non avviene la pena deve essere comunque irrogata: non esplicherà la funzione rieducativa non per difetto della natura della pena, ma per mancanza di volontà del reo, però conserverà comunque la funzione retributiva e dissuasiva e ovviamente la finalità difensiva stante le condizioni prima menzionate.

Passando dal piano della filosofia morale a quello della teologia morale, ricordiamo l’episodio del buon ladrone condannato a morte. Egli ad un certo punto ammette che la sua pena è giusta: in quel momento non avrebbe più ragion d’essere la sua esecuzione perché ha riacquistato la dignità morale perduta e non è più soggetto pericoloso, ma Gesù permette questa ingiustizia per un bene più grande: la morte in croce servirà sul piano spirituale come pena utile per espiare i peccati commessi e quindi per acquistare meriti per entrare in Paradiso. Perciò la pena di morte non è contraria allo spirito del Vangelo, anche perché essendo valida sul piano morale come potrebbe essere in contraddizione con la fede cattolica?

Come abbiamo visto la bontà morale della pena di morte si incardina nel principio di difesa della collettività. Negare quindi validità morale alla pena di morte porta alla negazione anche dell’istituto della legittima difesa personale – che ne costituisce il previo fondamento – e della guerra difensiva (tra l’altro l’applicazione della pena di morte trova efficace espressione soprattutto nei contesti di guerra difensiva in specie civile dove la messa a morte dell’ingiusto aggressore, capo della coalizione avversaria, spesso pone fine al conflitto e quindi è espressione di giusta difesa della nazione). La risultante sarebbe meno tutela per la vita, più garanzie per gli attentati a questa.


[Modificato da Caterina63 13/10/2017 22:43]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    • L'ANALISI


    Il catechismo ieri, oggi e domani




    L’abolizione della pena di morte non è richiesta dall’opinione pubblica in nome del Vangelo sic e simpliciter ma in nome dei principi di giustizia distributiva. Può essere vista con simpatia dal Magistero pontificio, ma non può essere invece assecondata in altri argomenti affini, come la legislazione permissiva sull’aborto e sull’eutanasia.





Come tutti i cattolici sensibili ai problemi teologici e pastorali del tempo che stiamo vivendo, io ho esultato alla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che ritengo uno dei maggiori meriti ecclesiali del grande Pontefice san Giovanni Paolo II. Come il Catechismus ex decreto Concilii Tridentini ad parochos fu voluto dal Papa san Pio V per realizzare la riforma cattolica voluta dal Concilio di Trento, così questo moderno catechismo universale realizzato doveva servire a fornire al popolo cristiano a una ben precisa nozione della fede cattolica, al di là delle interpretazioni parziali (anche se ortodosse) e soprattutto contro le interpretazioni abusive (e quindi eterodosse) del Concilio Vaticano II.

Già prima che san Giovanni Paolo II prendesse quella storica decisione io mi occupavo dei problemi della catechesi sorti a seguito di quel “disorientamento pastorale” che si era verificato già nei decenni successivi alla conclusione del Vaticano II e che attualmente assume dimensioni innegabilmente drammatiche (cfr la mia Introduzione teologica al volume di D. Quinto, Disorientamento pastorale, Leonardo da Vinci, Roma 2016). Molti catechismi nazionali (soprattutto quello noto come Catechismo Olandese) stavano provocando un disorientamento ancora maggiore. Collaborai con il filosofo e teologo salesiano Franco Amerio per recuperare le parti sempre attuali del Catechismo Romano, realizzato dopo il Concilio di Trento, e per rieditare, aggiornato e commentato, il suo Nuovo Catechismo antico (pubblicato nel 1971, con lo pseudonimo di Franco della Fiore, dalla Sei) con il nuovo titolo di La dottrina della fede: dogma, morale, spiritualità (Ares, Milano 1982).

Poi, una volta iniziati i lavori per la preparazione de Catechismo della Chiesa Cattolica, potei seguire la fatica del principale redattore italiano, l’amico don Sandro Maggiolini, che aveva ospitato i miei articoli sulla Rivista del Clero Italiano ed era divenuto Vescovo di Como. Infine, grande è stata la mia gioia quando il presidente del Pontifico consiglio per la nuova evangelizzazione, l’arcivescovo Rino Fisichella (con il quale ho avuto una proficua collaborazione accademica quando era il rettore dell’Università Lateranense e io ero membro del Senato accademico in quanto decano della facoltà di Filosofia) ha presentato un’edizione speciale del Catechismo della Chiesa Cattolica a venticinque anni dalla sua pubblicazione.

Gioia che poi è venuta meno quando ho appreso che tra i commentatori dell’edizione speciale figura quell’Enzo Bianchi al quale non riconosco alcuna competenza autenticamente teologica, mentre mi è purtroppo ben nota la sua militanza nelle file del progressismo riformista e antidogmatico. Ma ancora più preoccupante, ai fini del ri-orientamento del popolo cattolico alle fonti della fede, è la riduzione che papa Francesco – per come il suo discorso è stato riferito dai media – ha fatto del Catechismo della Chiesa Cattolica a documento storico di un mutamento dottrinale perennemente “in progress”. Il Papa ha citato infatti, delle tante considerazioni fatte da san Giovanni Paolo II a proposito del valore orientativo del Catechismo della Chiesa Cattolica, soltanto quelle riguardanti i cambiamenti, come quando scriveva che «esso deve tener conto delle esplicitazioni della dottrina che nel corso dei tempi lo Spirito Santo ha suggerito alla Chiesa. E’ necessario inoltre che aiuti a illuminare con la luce della fede le situazioni nuove e i problemi che nel passato non erano ancora emersi» (Cost. ap. Fidei depositum, n. 3).

E’ chiaro che, parlando di insegnamenti della Chiesa che servono a «illuminare con la luce della fede le situazioni nuove e i problemi che nel passato non erano ancora emersi», papa Wojtyla si riferiva, non al nucleo fondamentale della dottrina della fede – che riguarda i misteri della Trinità e dell’Incarnazione, e quindi la funzione santificante dei Sacramenti – ma alle sue applicazioni alla vita del singolo fedele e della comunità cristiana. Queste applicazioni – morali, liturgiche e pastorali – sono logicamente relative ai mutamenti storici, e quindi sono soggette a riforme della teologia morale e del diritto canonico che mirano a sostituire norme del passato con altre più valide, o a introdurre una normativo del tutto nuova.

Invece, le verità dogmatiche sono di per sé irreformabili, ed è proprio per questo che la Chiesa le enuncia attraverso le cosiddette “definizioni” o “formule dogmatiche”, che non possono essere cambiate e tanto meno contraddette: e non per “conservatorismo”, ma per pura e semplice logica, perché non possono esserci valide ragioni per cambiare una verità che la Chiesa ha accertato una volta per sempre come rivelata da Dio (gradualmente) per mezzo dei Profeti e poi (definitivamente) per mezzo del Figlio. L’immutabilità del dogma è il principio logico che regge tutta la funzione magisteriale della Chiesa e in base ad essa si giustifica la stessa autorità del Papa come supremo Maestro della fede per tutti i  cristiani.

Il Vaticano II lo ha confermato nella costituzione dogmatica Dei Verbum, e papa Paolo VI ha precisato (nell’enciclica Mysterium fidei, a proposito del termine “transustanziazione”) che perfino il linguaggio delle definizioni dogmatiche deve essere sempre mantenuto, perché ad esso è legato il significato e il senso della verità rivelata. Invece papa Bergoglio dice che il Catechismo della Chiesa Cattolica«costituisce uno strumento importante non solo perché presenta ai credenti l’insegnamento di sempre in modo da crescere nella comprensione della fede, ma anche e soprattutto perché intende avvicinare i nostri contemporanei, con le loro nuove e diverse problematiche, alla Chiesa, impegnata a presentare la fede come la risposta significativa per l’esistenza umana in questo particolare momento storico. Non è sufficiente, quindi, trovare un linguaggio nuovo per dire la fede di sempre; è necessario e urgente che, dinanzi alle nuove sfide e prospettive che si aprono per l’umanità, la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce». E fa questo discorso per annunciare la sua decisone di correggere ciò che il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna sul tema della pena di morte.

Già Tommaso Scandroglio e altri sulla Nuova BQ ne hanno parlato, ma io voglio tornare sull’argomento, non per insistere ancora sul principio etico-politico della possibile liceità della pena di morte ma per raccomandare ai nostri lettori di non interpretare l’intervento del Papa come se egli avesse voluto ridimensionare la portata pastorale del Catechismo della Chiesa Cattolica, trasformando – in netta discontinuità con le indicazioni pastorali di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI – quello che doveva essere un punto di riferimento chiaro e inequivocabile della fede della Chiesa in un cantiere aperto di continui aggiornamenti e riforme.

Mi hanno chiesto: ma il Papa attuale può cambiare il Catechismo della Chiesa Cattolica? Rispondo: certamente lo può fare, se ritiene che sia utile alla Chiesa. Su questo, stando proprio a ciò che insegna la Chiesa circa i poteri del Papa, non c’è discussione. Se però qualcuno mi chiede se, in questo momento storico, sarebbe davvero utile alla Chiesa cambiare il Catechismo della Chiesa Cattolica, io rispondo che non mi sembra utile, anzi mi sembra proprio dannoso. Prima di continuare, premetto, a scanso di equivoci (che però ci saranno, perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire), che io non ho ovviamente nulla da obiettare riguardo alle decisioni che il Papa prenderà per modificare il testo del Catechismo della Chiesa Cattolica.

In materie del genere, i cambiamenti della catechesi ufficiale rientrano nel novero delle sue sovrane e insindacabili decisioni di governo; teologicamente parlando, sono «scelte prudenziali» del papa, che solo Dio può sapere se sono assolutamente giuste e necessarie, ossia se sono fatte con il dovuto amore per la Chiesa e la dovuta prudenza pastorale. Ma, date le odierne circostanze pastorali cui accennavo (il gravissimo e crescente disorientamento dottrinale tra i fedeli di ogni parte del mondo), ci si può (forse si deve) rivolgere all’opinione pubblica cattolica dicendo chiaramente che le eventuali modifiche del Catechismo della Chiesa Cattolica annunciate dal papa non cambiano la dottrina dogmatica e morale della Chiesa. Non la cambiano, né abolendo una delle verità già definite come divinamente rivelate (ciò infatti costituirebbe proprio un’impossibile eresia da parte del Papa), né sviluppandola in modo coerente ed omogeneo.

L’inserimento di una precisazione in merito all’assoluta esclusione della pena di morte dai codici penali degli stati di tutto il mondo non può essere considerata come un atto del magistero pontificio che in qualche modo si inserisca nel processo dottrinale che il domenicano spagnolo Francisco Marín Sola denominava giustamente «evolución homogénea del dogma católico». Riguarda piuttosto la prassi pastorale della Chiesa, e si inserisce in una strategia comunicativa che papa Francesco adotta fin dall’inizio del suo pontificato. Si tratta di una delle tante indicazioni morali (quella che gli americani chiamano “public ethics”) che il Papa rivolge alle istituzioni statuali e alle organizzazioni internazionali (Onu, Fao, Unesco, Ue) mostrando, da una parte, la piena condivisione delle loro stesse strategie politiche ed esprimendole con il linguaggio e le categorie ideologiche della “neue politische Theologie” (Johan Baptist Metz) e della “Weltethik” (Hans Küng).

Ora, se non mi permetto di criticare questa strategia pastorale del Papa, mi sento però in dovere di mettere i guardia i fedeli dal linguaggio ambiguo e dalle ragioni solo apparentemente teologiche che papa Francesco adotta per spiegare o per giustificare certe iniziative. A cominciare dal fatto di dire che tali direttive socio-politiche sono emanate in nome del Vangelo, derivano dal Vangelo, sono ispirate direttamente dallo Spirito Santo, tanto che opporsi ad esse è come rinnegare il fatto di essere cristiani.

Qui due cose vanno chiarite (non al Papa, che è il supremo maestro della fede e al quale io non devo insegnare nulla, ma ai miei lettori):

1) La prima è che il Vangelo è una cosa ben precisa: è la divina rivelazione, nelle sue forme storiche di trasmissione (la Tradizione e la Scrittura), e coincide con il dogma cattolico, come insegna solennemente il Vaticano II nella Dei Verbum; non si può quindi far ricorso  a un Vangelo inventato, come fanno il cardinale Walter Kasper e tanti altri (ad esempio Enzo Bianchi) per conferire dignità di rivelazione pubblica alla loro privatissima opinione su Cristo (del quale si ostinano a negare la divinità, che pure è proclamata nel Credo) e sulla Madonna (alla quale negano il titolo di Madre di Dio, che pure è stato decretato dal Concilio di Efeso);

2) La seconda è che lo Spirito Santo è inviato da Gesù e dal Padre per ricordare ai fedeli ciò che Gesù ha insegnato e non a introdurre nel «depositum fidei» qualcosa di nuovo o di contrario a quello che Gesù ha detto.

Detto questo, è evidente che ingenera confusione parlare del Vangelo per escludere tassativamente la pena di morte come misura di giustizia prevista da un ordinamento giudiziario di uno Stato. Anzi, a ben vedere, i Vangeli contengono molti discorsi di Gesù nei quali Egli parla del potere civile e delle sue prerogative, anche giudiziarie, senza condannarne alcune come contrarie ai comandamenti di Dio. C’è poi un passo della Lettera ai Romani dove si legge. «I governanti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male» (13, 3-4).

Mi si obietterà: ma il Papa esige che il potere politico non si limiti alla giustizia e pratichi anche la misericordia. Ora, questo – come atto di magistero pontificio – può essere logico se si tratta in particolare dell’esercizio del potere temporale da parte della Santa Sede (lo Stato Pontificio prima, lo stato della Città del Vaticano oggi), la cui autorità, che è appunto il Papa, deve necessariamente attenersi alla morale evangelica oltre che alla morale naturale nello stabilire e nell’applicare le norme di diritto penale. In questo senso non desta meraviglia che papa Francesco dica: «Purtroppo, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia», anche se non sembra rispettoso e caritatevole nei confronti dei Papi che l'hanno preceduto condannarli tutti senza appello per aver avuto «una mentalità più legalistica che cristiana», aggiungendo poi che «la preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo».

Non è invece logico esigere che il potere politico non si limiti alla giustizia e pratichi anche la misericordia quando si tratta dell’esercizio del potere temporale da parte di uno Stato sovrano, la cui “laicità” la Chiesa, soprattutto dopo il Vaticano II, ha voluto riconoscere e rispettare. Uno Stato laico (cioè non confessionale e non governato dal Vaticano, nemmeno indirettamente) non ha il dovere costituzionale di esercitare la misericordia evangelica, perché questa misericordia è un dovere della coscienza dei singoli cristiani, come soggetti morali: e lo Stato non è un soggetto morale, ma è solo l’ordinamento giuridico con il quale la società civile organizza l’esercizio del potere legislativo, giudiziario ed esecutivo in vista del bene comune. E tale organizzazione ha come sola regola l’adeguazione alla legge morale naturale, in base alla quale hanno validità  le leggi positive, finalizzate sempre  al mantenimento delle condizioni essenziali per il bene comune (difesa dal nemico esterno, difesa dai nemici interni, concordia ed equità sociale).

Se talvolta lo Stato ritiene che tali obiettivi siano garantiti anche da misure di grazia (indulto, amnistia, annullamento o commutazione delle pene più pesanti), ciò non è la conseguenza dell’intervento di un’autorità religiosa, ad esempio la Santa Sede, ma si giustifica esclusivamente in base a ragioni di ordine filosofico-giuridico (vedi Vittorio Mathieu, Perché punire. Il collasso della giustizia penale, Liberlibri, Macerata 2008).

Anche in Italia il dicastero statale che deve occuparsi dell’amministrazione della giustizia è denominato “Ministero di Grazia e Giustizia”. Ora, nell’amministrare la giustizia, uno Stato laico può cambiare le proprie leggi, tramite riforme votate dal Parlamento o con l’intervento della Corte costituzionale, sulla spinta dell’opinione pubblica, ossia di una diversa mentalità comune che ritiene – è il caso della pena di morte – che la difesa della comunità nei confronti degli aggressori interni (assassini, stupratori, rivoltosi, mafiosi, terroristi eccetera) possa essere garantita anche senza l’istituto della pena di morte (vedi in proposito, il volume Giustizia e verità in democrazia, a cura di Giovanni Covino, Leonardo da Vinci, Roma 2017).

Ma questo nuovo “senso morale” rilevabile nell’opinione pubblica mondiale o di certe aree geopolitiche non è (formalmente almeno) il risultato di una nuova comprensione del Vangelo ma deriva dall’evoluzione della cultura illuministica che già nel Settecento, con il trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, aveva criticato la tortura e l’eccessiva ricorso alla pena capitale. Insomma, l’abolizione della pena di morte non è richiesta dall’opinione pubblica in nome del Vangelo sic e simpliciter ma in nome di molti principi di giustizia distributiva che uniscono allo spirito del diritto romano anche il giusnaturalismo moderno e la filosofia politica di Rosmini e di Maritain.

Sorprende quindi che adesso sia proprio il Papa ad appellarsi, nei confronti dei poteri civili, non ai fondamenti del diritto naturale ma all’opinione pubblica (la “political correctness”), che può essere vista con simpatia dal magistero pontificio in questo specifico argomento ma non può essere invece assecondata in altri argomenti affini, come la legislazione permissiva sull’aborto, sull’eutanasia sul cosiddetto “suicidio assistito”.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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CONFERENZA STAMPA (settembre 2013) DI PRESENTAZIONE DELL’EVENTO DELL’ ANNO DELLA FEDE SULLE GIORNATE DEDICATE AI CATECHISTI (25-29 SETTEMBRE 2013)

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Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la conferenza stampa di presentazione dell’Evento dell’Anno della fede: "Giornata dei Catechisti" (28-29 settembre 2013) che è preceduta, nei giorni 26-28 settembre, dal Congresso Internazionale di Catechesi. Nel corso della conferenza stampa è presentata inoltre una nuova App relativa al Catechismo della Chiesa Cattolica per tablet e smartphone.

Intervengono: S.E. Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione; S.E. Mons. José Octavio Ruiz Arenas, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione; Mons. Graham Bell, Sotto-Segretario del Dicastero.

Pubblichiamo di seguito l’intervento di S.E. Mons. Rino Fisichella:

 

  • INTERVENTO DI S.E. MONS. RINO FISICHELLA

    Il percorso dell’Anno della fede raggiunge una sua ulteriore tappa con le giornate dedicate ai Catechisti che si svolgeranno dal 25 al 29. Un evento che è carico di attese per la tematica stessa che avrebbe bisogno di vedere recuperato il ruolo rilevante che la catechesi ha sempre avuto nella vita della Chiesa fin dai suoi inizi. Tra i grandi eventi che si sono organizzati non poteva mancare l’attenzione alla catechesi. L’Anno della fede, come si sa, desiderava ricordare sia la scadenza dei cinquant’anni dell’inizio del Vaticano II, come pure il ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Tra le competenze del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che al suo nascere era incaricato tra l’altro di promuovere questo Catechismo, si è aggiunta di recente anche la giurisdizione su tutta la catechesi. L’impegno è considerevole soprattutto se si pensa al forte legame che a partire dal Concilio hanno avuto la catechesi e l’evangelizzazione come una sua tappa qualificante.

    A questo proposito, posso annunciare che nelle prossime settimane, sarà a disposizione gratuita degli utenti una App "Catechismo della Chiesa Cattolica" per tablet e smartphone. Siamo particolarmente contenti di aver raggiunto questo obiettivo - con il sostegno generoso della Conferenza Episcopale Italiana - che permetterà di avere a portata di mano sia il Catechismo della Chiesa Cattolica come il suo Compendio con la possibilità e facilità di consultazione dei testi, dei riferimenti biblici (versione della Bibbia Cei del 1974 e 2010), della ricerca dei termini in questione e dei testi di riferimento, con l’opportunità di un loro trasferimento via facebooktwittere altro. Lo strumento viene in aiuto a quanti desiderano conoscere meglio la fede trasmessa nei secoli e il patrimonio di dottrina e spiritualità condensato in quelle pagine.

    Un primo momento di questo evento sarà dedicato al Consiglio Internazionale per la Catechesi che si svolgerà il 25 settembre. Compito di questo Consiglio è quello di studiare le più importanti questioni della catechesi per favorire un servizio unitario alle Conferenze episcopali e permettere lo scambio di esperienze tra gli operatori della catechesi. Il 1° ottobre del 2012 questo Consiglio, istituito da Paolo VI nel 1973, è stato rinnovato e avrà come suo primo compito quello di verificare la situazione della catechesi nel mondo in questo ultimo decennio e progettare il nuovo impegno che ne deriva per il suo nuovo legame con l’evangelizzazione.

    Farà seguito il Congresso internazionale di catechesi che si svolgerà nell’Aula Paolo VI dal 26 al 28 settembre. La tematica che verrà sviluppata farà riferimento in modo particolare alla prima parte del Catechismo della Chiesa Cattolica sul tema della fede. In un periodo di profonda frammentarietà culturale, il Congresso intende proporre alcune strade per la formazione unitaria dei catechisti con il desiderio di offrire alla comunità cristiana una nuova spinta dinamica nella riscoperta della ricchezza della fede e del suo innegabile valore per portare senso alla vita personale. Durante queste giornate si alterneranno diversi relatori provenienti da diversi centri accademici. Momento peculiare sarà la catechesi che verrà offerta da Papa Francesco il venerdì pomeriggio, 27 settembre, alle ore 17. Sono stati invitati a questo incontro i rappresentanti delle Commissioni episcopali per l’evangelizzazione e la catechesi delle Conferenze episcopali, rappresentanti dei centri nazionali di catechesi e rappresentanti degli uffici diocesani. Hanno risposto con vero entusiasmo al nostro invito, così che ad oggi possiamo contare su 104 delegazioni, rappresentanti che provengono da 50 Paesi diversi per un totale di 1600 partecipanti. Il mondo sarà realmente rappresentato: dall’Africa all’Oceania, dall’America del Nord a quella del Sud, dall’Europa all’Asia.

    La terza tappa di questo evento - la Giornata dei Catechisti - prevede per sabato 28 e domenica 29 settembre il tradizionale pellegrinaggio alla Tomba di Pietro, la catechesi unita al momento della celebrazione del sacramento della riconciliazione e l’Adorazione Eucaristica. Saranno coinvolti per la catechesi 14 vescovi per le diverse lingue: italiano (Cardinali Bagnasco e Caffarra; Ecc. Vescovi: Nosiglia, Spinillo, Mazzocato, Ambrosio, Bertolone, Semeraro, Zuppi), francese (Card. Ricard; S.E. de Moulins-Beaufort), inglese (Card. Edwin O’Brien), portoghese (Card. Braz de Aviz), spagnolo (Card. Martínez Sistach). Per il grande numero di partecipanti e per creare meno disagio alla città, abbiamo organizzato le catechesi nelle chiese intorno a san Pietro, dividendo i gruppi linguistici; per cui gli stranieri avranno la catechesi nel mattino mentre gli italiani nel pomeriggio. Molte parrocchie e tanti centri si stanno autonomamente organizzando per raggiungere Roma in questi due giorni, per cui è prevedibile che anche per questo evento si raggiungerà facilmente la presenza di pellegrini oltre le 100.000 persone. Domenica 29 settembre alle ore 10.30, il Santo Padre Francesco celebrerà la Santa Eucaristia, che sarà seguita dal rituale Angelus in Piazza san Pietro.

    Tutto questo evento nella sua globalità avrà come tema caratterizzante l’espressione: "Il catechista testimone della fede". Quanti, infatti, sono chiamati ad assumere la grande responsabilità in questa fase della trasmissione della fede, sanno che la testimonianza di vita è elemento privilegiato per la credibilità della loro missione. Come Papa Francesco ha scritto in Lumen fidei, "Ho toccato i quattro elementi che riassumono il tesoro di memoria che la Chiesa trasmette: la Confessione di fede, la celebrazione dei Sacramenti, il cammino del Decalogo, la preghiera. La catechesi della Chiesa si è strutturata tradizionalmente attorno ad essi, incluso il Catechismo della Chiesa Cattolica, strumento fondamentale per quell’atto unitario con cui la Chiesa comunica il contenuto intero della fede, «tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede»" (Lf 46). In forza di questo processo vivo di trasmissione ci auguriamo che anche l’evento dei prossimi giorni possa servire come segno per esprimere la vitalità della fede e la sua dinamica.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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