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Cardinale John Henry Newman; da anglicano a fervente ed innamorato Cattolico Beatificato da Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2015 12:35
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29/03/2009 16:44
 
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Dopo le polemiche seguite alla decisione di traslare le spoglie del cardinale Newman in vista di una sua  beatificazione, inseriremo qui articoli e scritti di questo grande Apostolo della Chiesa dell'800

John Henry Newman
e il sacrificio del celibato


                        
                              John Henry Newman—in una foto del 1890

La decisione di traslare il corpo di John Henry Newman ha sollevato polemiche. Su queste interviene il massimo studioso del pensatore inglese, docente di teologia all'università di Oxford e autore, tra l'altro, della più completa e documentata biografia del cardinale (John Henry Newman. A Biography, Oxford, Oxford University Press, 1990, pagine 764, sterline 30).



di Ian Ker

La decisione di riesumare il corpo del venerabile John Henry Newman ha provocato reazioni, in particolare da parte della lobby omosessuale, secondo cui egli non dovrebbe essere separato dal suo grande amico e collaboratore, padre Ambrose St John, nella cui tomba Newman è stato sepolto, in accordo con le sue specifiche volontà. L'implicazione di tali proteste è chiara:  Newman avrebbe voluto essere seppellito con il suo amico perché, sebbene indubbiamente casto e celibe, sarebbe stato legato a lui da qualcosa di più di una semplice amicizia.

Al riguardo, se il desiderio di essere seppellito nella stessa tomba di un altro fosse la prova di un qualche amore sessuale per quella persona, il fratello di Clive Staples Lewis, Warnie, seppellito nella stessa tomba secondo la volontà di ambedue i fratelli, avrebbe dovuto nutrire sentimenti incestuosi per il fratello. 
 
O ancora, la devota segretaria di Gilbert Keith Chesterton, Dorothy Collins, trattata da lui e da sua moglie come una figlia, pensando che sarebbe stato presuntuoso chiedere di essere seppellita insieme ai Chesterton, volle essere cremata e dispose comunque che le sue ceneri fossero inumate nella stessa tomba. Questo significa forse che provava qualcosa di più che un sentimento filiale per uno o per entrambi i suoi datori di lavoro?

Ambrose St John era molto amico di Newman. Per trent'anni è stato al suo servizio, desiderando persino, il giorno della sua cresima, di potersi impegnare nei confronti dell'amico con un voto di obbedienza, una richiesta che, ovviamente, fu respinta.

Newman si riteneva responsabile per la sua morte, perché gli aveva chiesto di tradurre l'importante opera del teologo tedesco Joseph Fessler sull'infallibilità nella scia del concilio Vaticano I, un ultimo impegno svolto con amore che risultò eccessivamente pesante per lui, già sovraccarico di lavoro.

Negli oscuri ultimi giorni da anglicano, Newman disse che Ambrose St John era venuto da lui "come Rut a Noemi". Dopo essere entrato nella comunità quasi monastica di Newman a Littlemore nei pressi di Oxford, St John restò il suo collaboratore più stretto durante il difficile periodo della fondazione dell'Oratorio di san Filippo Neri in Inghilterra e in tutte le successive prove e tribolazioni di Newman come cattolico.

Nella sua Apologia pro vita sua Newman "con grande riluttanza" ricorda come al tempo della sua prima conversione all'età di quindici anni fosse giunto alla convinzione che "fosse volontà di Dio che rimanessi celibe". Durante i quattordici anni successivi, con l'interruzione di qualche mese e poi con continuità, ritenne che la sua vocazione "avrebbe richiesto tale sacrificio". Non c'è bisogno di ricordare che allora non esistevano "unioni civili" tra uomini in un Paese che ancora era cristiano, dove l'attività omosessuale era punibile con la prigione e da tutti considerata immorale.

Newman, naturalmente, parlava del matrimonio con una donna e del "sacrificio" che il celibato comportava. L'unica ragione per cui il celibato poteva essere un sacrificio era perché Newman, come ogni uomo normale, desiderava sposarsi. Ma, sebbene non ancora appartenente a una Chiesa dove il celibato era la regola o addirittura l'ideale, Newman, profondamente immerso nelle Scritture, conosceva le parole del Signore:  alcuni "si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli".

Venticinque anni dopo la sua scelta giovanile del celibato troviamo Newman che ancora si interroga sui suoi costi, alla fine dello straordinario racconto in cui descrive la malattia quasi mortale che lo colpì nel 1833 mentre si trovava in Sicilia:  "Mentre scrivo mi assilla un pensiero:  perché scrivo tutto questo? (...) Chi ho, chi posso avere, in chi questo potrebbe suscitare attenzione? (...) Serve il tipo di attenzione che può avere una moglie e nessun altro - questa è l'attenzione di una donna - e questa attenzione, così sia, non mi sarà mai data (...) Lascio liberamente il possesso di questo affetto che, lo sento, non mi è e non mi può essere dato. Ma ciononostante sento di averne bisogno".

In queste frasi commoventi, scritte quando era ancora ministro della Chiesa di Inghilterra e pienamente libero di sposarsi, vediamo l'impegno totale di Newman nella vita di verginità alla quale si sentiva chiamato in modo inequivocabile, ma possiamo anche avvertire la profonda sofferenza che sentiva nel rinunciare all'amore di una donna nel matrimonio.

In conclusione, cosa si potrebbe dire a chi pensa che la volontà di Newman dovrebbe essere rispettata e che i resti di Ambrose St John dovrebbero essere traslati insieme ai suoi? Durante la sua vita da cattolico Newman insisteva sempre che tutti i suoi scritti potevano essere corretti dalla santa madre Chiesa. Questo era il suo costante ritornello. Se l'autorità ecclesiastica decide di traslare il suo corpo in una chiesa, la risposta di Newman sarebbe senza dubbio che il suo ultimo testamento, come tutto quanto aveva scritto, lo aveva scritto sotto la correzione di una autorità più alta. Se questa autorità decide che il suo corpo venga traslato, mentre quello del suo amico no, Newman avrebbe detto senza esitazione:  "Così sia".



(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2008)


Un articolo che parla del forse beato John Henry Newman della sua presenza a Milano:

Sulle orme di Ambrogio e Carlo  fu trafitto da fra Cristoforo
"John Henry Newman oggi: logos e dialogo" è il tema del convegno internazionale che si tiene a Milano all'Università Cattolica del Sacro Cuore nei giorni 26 e 27 marzo. Pubblichiamo ampi stralci di una delle relazioni.

di Inos Biffi

Newman soggiornò a Milano, insieme con Ambrose St. John, durante il suo viaggio verso Roma. Arrivò il 20 settembre del 1846 dal passo del Sempione, in tempo per la messa in duomo: più volte egli registra nel suo diario di aver sentito messa in duomo o presso la tomba di san Carlo. Il 18 ottobre, festa della Dedicazione della Cattedrale, annoterà d'aver preso parte alla "Messa solenne in Duomo, dove si tiene una grande funzione con indulgenza plenaria" e di aver visitato "alla sera l'oratorio di san Carlo"; lo stesso giorno farà sapere: "Siamo appena tornati dal Duomo dove c'è stata una grande funzione, compresa la solenne Messa pontificale nella celebrazione della dedicazione della chiesa di san Carlo. La giornata è molto piovosa, ma l'area della chiesa era gremita da cima a fondo".

Subito il 21 settembre Newman visita la basilica di sant'Ambrogio. Il 23 settembre, dopo una prima disagiata sistemazione presso un non confortevole hotel Garni, si trasferirà presso san Fedele, e vivrà in cordiale fraternità con due sacerdoti milanesi: don Giacomo Vitali e don Giovanni Ghianda, e sarà anche commensale del prevosto di San Fedele, Giulio Ratti.

Per i suoi ospiti avrà parole di grande ammirazione, specialmente per don Ghianda, che sarà anche suo confessore. Scriverà: "Il nostro amico, l'abate Ghianda, è molto gentile e premuroso. Non avremmo potuto imbatterci in persona più amica. Egli fa tutto per noi"; e il 22 ottobre, alla vigilia di ripartire da Milano: "Siamo stati assai fortunati di trovare qui il cappellano di Manzoni, che ci è stato sempre vicino ed è stato un amico estremamente gentile".

La prima lettera scritta da Milano, il 24 settembre, contiene un grande elogio per la chiesa di San Fedele: "È in stile greco o palladiano. Temo che lo stile architettonico mi piaccia più di quanto alcuni dei nostri amici di Oscott e di Birmingham approverebbero. La luminosità, la grazia e la semplicità dello stile classico sembra si addica meglio a rappresentare Santa Maria o San Gabriele che non qualsiasi realtà in stile gotico. È sempre un sollievo dello spirito, e una sua elevazione, entrare in una chiesa come San Fedele. Essa ha un aspetto così dolce, sorridente, aperto - e l'altare è così grazioso e attraente - che spicca così che tutti lo possono vedere e avvicinarvisi. Le alte colonne di marmo levigato, le balaustre marmoree, il pavimento di marmo, le immagini luminose, tutto parla la stessa lingua. E una volta leggera corona l'insieme.

Ma forse io seguo la tendenza delle persone anziane, che hanno visto abbastanza cose tristi da ritenersi dispensate da una tristezza espressamente e intenzionalmente voluta - e come i giovani preferiscono l'autunno e i vecchi la primavera, i giovani la tragedia e i vecchi la commedia, così, nel cerimoniale religioso, io lascio che i giovani preferiscano il gotico, una volta che tollerino la mia debolezza che chiede l'italiano. È così riposante e gradevole, dopo le torride vie, entrare in questi interni delicati, benché ricchi, che fanno pensare ai boschetti del paradiso o a camere angeliche".

E in un'altra lettera: "C'è nello stile italiano una tale semplicità, eleganza, bellezza, chiarità - implicate, credo, nella parola "classico" - che mi sembrano convenire al concetto di angelo e di santo. Potrei percorrere per tutto un giorno questa bella chiesa col suo altare sorridente e seducente, senza stancarmi. E poi essa è così calma che è sempre un riposo per lo spirito entrarvi. Nulla si muove se non la lontana lampada scintillante che segnala la presenza della nostra Vita immortale, nascosta ma sempre attiva, pur essendo entrata nel suo riposo".

Aggiunge Newman: "È davvero stupendo vedere questa divina Presenza che dalle varie chiese quasi guarda fuori nelle strade aperte, così che a S. Lorenzo abbiamo veduto che la gente si levava il cappello dall'altra parte della strada quando passava".

Con le chiese, infatti, è la pietà dei milanesi a suscitare in Newman la più viva ammirazione: "Nella città di sant'Ambrogio - osserva - uno comprende la Chiesa di Dio più che non nella maggior parte degli altri luoghi, ed è indotto a pensare a tutti quelli che sono sue membra. E inoltre non si tratta di una pura immaginazione, come potrebbe essere trovandosi in una città di ruderi o in un luogo desolato, dove una volta dimoravano i Santi - c'è invece qui una ventina di chiese aperte a chi vi passi davanti, e in ciascuna di esse si trovano le loro reliquie, e il SS. Sacramento preparato per l'adoratore, anche prima che vi entri. Non v'è nulla che mi abbia mostrato in maniera così forte l'unità della Chiesa come la Presenza del suo Divin Fondatore e della sua Vita dovunque io vada".
 
Aggiunge: "Le chiese sono molto sfarzose. Il Duomo è tutto di marmo. Qui il marmo è praticamente il materiale ordinario delle chiese - e ancora più comune è il granito. Il granito proveniente dal Lago Maggiore sembra essere stato in uso da tempo immemorabile".

Un giorno comunica: "Come sta diventando buio, benché ora siano le 6. Faccio fatica a vederci. Il Duomo è l'edificio più incantevole che mai abbia visto. Se si va per la città, i suoi pinnacoli assomigliano a neve luminosa contro il cielo blu. Siamo stati due volte sulla sua cima, dalla quale appaiono belle le Alpi, specialmente il Monte Rosa".

In particolare Newman è impressionato dal duomo come luogo di devozione e ne parla abitualmente nelle sue lettere. La partecipazione alle assemblee liturgiche del Duomo di Milano gli rivelano che cosa sia "la liturgia come fatto oggettivo": "Una Cattedrale Cattolica - scrive - è una specie di mondo, ciascuno dei quali si muove intorno alla propria attività, solo che questa è di tipo religioso; gruppi di fedeli o fedeli solitari - in ginocchio o in piedi - alcuni presso le reliquie, altri presso gli altari - che ascoltano messa e fanno la comunione - flussi di fedeli che si intercettano e si oltrepassano a vicenda - altare dopo altare accesi per la celebrazione come stelle nel firmamento - o la campana che annuncia ciò che sta incominciando nei luoghi sottratti al tuo sguardo - mentre nel contempo i canonici in coro recitano le loro ore di mattutino e lodi o vespri, e alla fine l'incenso sale a volute dall'altare maggiore e tutto questo in uno degli edifici più belli del mondo, e ogni giorno - alla fine senza esibizione o sforzo alcuno, ma come ciò che ciascuno è solito fare - ciascuno occupato al proprio lavoro, così come lascia l'altro al suo".
 
Newman rimane specialmente colpito dal numero di comunioni che si fanno nelle chiese di Milano: "Ho riscontrato questo in Duomo, a San Fedele, che è stata la nostra chiesa parrocchiale, e a Sant'Ambrogio. Nella chiesa un altare è riservato alla comunione, e io penso di non aver visto una Messa senza che ci fosse chi si comunicava - oltre le comunioni fuori della Messa".

A Milano ricorre il primo anniversario della conversione cattolica di Newman e il 9 ottobre scriverà: "Oggi è un anno dacché sono nella Chiesa Cattolica e ogni giorno benedico Lui, che mi conduce dentro sempre più. Sono passato dalle nubi e dalle tenebre alla luce, e non posso guardare alla mia precedente condizione senza provare l'amara sensazione che si ha quando si guarda indietro a un viaggio faticoso e triste".
Nel duomo di Milano Newman incontrava esattamente uno degli aspetti e dei momenti più espressivi della Chiesa cattolica.

A Milano Newman trova poi un rito diverso da quello romano, a sua volta significativa testimonianza di antichità; egli ne rimane attratto: "È tuttora in vigore la vecchia liturgia ambrosiana, o Messa, che riporta indietro proprio all'età del grande Santo. Per alcuni aspetti mi piace più di quella romana". Milano è per Newman soprattutto la "città di sant'Ambrogio". Egli ripeterà, scrivendo ai suoi amici d'Inghilterra: "È una benedizione così grande quella di poter entrare, quando camminiamo per la città, nelle chiese - sempre aperte con larga e generosa gentilezza - piene di preziosi marmi da ammirare, di reliquiari, di immagini e di crocifissi, tutti disponibili al passante che voglia personalmente inginocchiarvisi accanto - dappertutto il SS. Sacramento, e abbondanti indulgenze".

"È meraviglioso andare nella chiesa di Sant'Ambrogio - dove si trova il suo corpo - e inginocchiarsi presso le sue reliquie, che sono state così portentose, e di cui io ho sentito e letto più che di ogni altro Santo fin da quando ero ragazzo. Sant'Agostino qui si è convertito! Qui venne anche santa Monica a cercarlo. Sempre qui, nel suo esilio, venne il grande Atanasio per incontrare l'Imperatore. Quanta tristezza quando dovrò partire!"; "Io non sono mai stato in una città che mi abbia così incantato - scriverà alla sorella l'ultimo giorno di permanenza a Milano: stare davanti alle tombe di grandi Santi come sant'Ambrogio e san Carlo e vedere i luoghi dove sant'Ambrogio ha respinto gli Ariani, dove santa Monica montò la guardia per una notte con la "pia plebs", come la chiama sant'Agostino, e dove lo stesso sant'Agostino venne battezzato. Le nostre più vecchie chiese in Inghilterra non sono nulla quanto ad antichità rispetto a quelle di qui, e a quel tempo le ceneri dei Santi sono state gettate ai quattro venti. È cosa così grande essere dove i "primordia", la culla, per così dire, del cristianesimo continuano ad esserci".

Per Newman dire il duomo è dire "il grande san Carlo", e di san Carlo egli parla diffusamente con i suoi corrispondenti, raccontando della sua vita e della sua morte, della sua estrema austerità, delle sue opere e del significato della sua azione nella Chiesa, che ben conosceva. Si intrattiene sulla "grandezza impressionante di san Carlo", che "fino ad oggi - dice - è proprio la vita" di Milano: "Nonostante ogni sorta di male, di genere politico o altri; nonostante la mancanza di fede e altri cattivi spiriti del giorno, c'è un'intensa devozione per san Carlo. E la disciplina del clero è sostenuta dalle sue norme in modo più esatto di quello che noi abbiamo trovato in Francia o di quanto lo sia a Roma"; "Tu vedi i suoi ricordi da ogni parte - il crocifisso che fece cessare la peste quando egli lo portò lungo le vie - la sua mitra, il suo anello - le sue lettere. Soprattutto le sue sacre reliquie: Ogni giorno si celebra la Messa presso la sua tomba. Egli fu suscitato per opporsi a quella terribile burrasca sotto la quale è caduta la povera Inghilterra, e come ai suoi giorni egli ha salvato il suo paese dal Protestantesimo e dai suoi mali collaterali, così noi stiamo tentando di fare qualche cosa per opporci a simili nemici della Chiesa in Inghilterra e quindi non posso che aver fiducia che egli farà qualche cosa per noi lassù, dove è potente, questo benché noi siamo da una parte delle Alpi e egli sia appartenuto all'altra. Così io confido, e la mia mente fu colma di lui, al punto che mi sono persino sognato di lui - e noi vi andiamo la maggior parte dei giorni e ci inginocchiamo presso le sue reliquie".

Ma a Milano Newman non visitò soltanto la chiesa di San Fedele, il duomo e Sant'Ambrogio. Abbiamo già ricordato l'accenno alla basilica di San Lorenzo. Ma egli parla anche della chiesa di San Satiro e di Sant'Eustorgio, dove assiste alla Messa solenne nella festa della Madonna del Rosario e che descrive come "un'ampia chiesa" che "contiene le reliquie di parecchi martiri, e piena di monumenti e cappelle.

Newman parla anche di "Monza, distante 12 miglia", dove "si trova la corona ferrea composta con uno dei chiodi che Costantino pose nel proprio diadema come uno dei chiodi della vera Croce, vi sono anche dei doni che papa Gregorio Magno inviò alla longobarda regina Teodolinda".
Nel soggiorno milanese Newman avrebbe desiderato incontrare Rosmini e Manzoni.

A proposito di Rosmini scrive nella sua prima lettera da Milano: "Ci siamo trovati in mezzo agli amici di Rosmini, e siamo sorpresi di trovare quanto facciano i Rosminiani in queste parti (...). Abbiamo una missiva per Rosmini, che è comunque assente". Di fatto l'incontro non avverrà, e la ragione sembra a Newman piuttosto esile: "Rosmini è passato da Milano - è detto in una lettera del 18 ottobre - mi ha inviato un cortese messaggio, spiegando che non ci ha chiamati perché lui non sa parlare latino e io italiano. Non è sufficiente per spiegare la sua non chiamata. Ghianda ha una grande ammirazione per lui, come anche Manzoni. Vorremmo avere molto di più da dire di lui, ma non riesco a cogliere l'essenza della sua filosofia. Mi piacerebbe credere che tutto sia giusto, benché si abbiano dei sospetti".

Anche l'incontro con Manzoni non poté avvenire. "Non abbiamo visto Manzoni e credo che per questo egli sia anche più spiacente di noi. Non che a noi non dispiaccia, ma è una cosa così grande essere nella città di sant'Ambrogio". Di Manzoni Newman già conosceva I Promessi Sposi. In una lettera alla sorella Jemina scriveva di averne fatto una lettura deliziosa e in un'altra dirà di fra' Cristoforo: "Il Cappuccino nei "Promessi Sposi" ha conficcato nel mio cuore come una freccia".

(©L'Osservatore Romano - 26 marzo 2009)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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