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I Libri interessanti del prof. R. De Mattei sulla Liturgia e sul Concilio (imperdibili)

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2011 23:53
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15/12/2010 18:22
 
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Un'approfondita critica di Introvigne a de Mattei (dal Blog Messainlatino)

Dopo la breve recensione negativa di Introvigne apparsa sull'Avvenire, dedicata al saggio sul Concilio Vaticano II di de Mattei; dopo aver pubblicato (e continueremo a farlo) altri interventi, favorevoli o contrari, apparsi su varie testate nazionali - segno di quanto l'opera sia dirompente - è la volta oggi di tornare ad Introvigne per presentare un suo più approfondito commento sul tema. In questi giorni ho avuto serrati ed istruttivi scambi e-mail con i due principali attori della vicenda, de Mattei ed Introvigne, e resto pienamente persuaso delle ottime ragioni del primo. Ma la recensione che riportiamo qui in astratto, anche se esagera nel ravvisare in de Mattei una posizione troppo severa verso i Papi e il Concilio, visto che il volume appare molto meno manicheo di come lo dipinge Introvigne,  merita comunque attenta lettura perché vi sono spunti e passaggi che sollecitano riflessione.
Enrico


Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta dello storico Roberto de Mattei (Lindau, Torino 2010) si presenta, già dal titolo e dalla mole (632 pagine), come un libro molto ambizioso, d’interesse anche per i sociologi della religione oltre che per gli storici e per chi s’interessa in genere alle vicende della Chiesa Cattolica. Si tratta però di vedere se mantiene quello che promette. Dopo una Introduzione che, nella sostanza, anticipa le conclusioni, il primo capitolo (pp. 31-106) presenta un ampio quadro della Chiesa nell’età del venerabile Pio XII (1939-1958).

La tesi è che le cose andassero male già all’epoca del venerabile Pio XII, e che un «neomodernismo» continuasse a esistere – anche perché l’associazione segreta dei modernisti denunciata da san Pio X non si era mai sciolta – attraverso il movimento biblico, il movimento liturgico, la nouvelle théologie e il movimento ecumenico. L’idea – sostenuta anche, nel libro, attraverso le testimonianze di chi denunciò il neomodernismo già sotto il pontificato del venerabile Pio XII, tra cui il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) – non è nuova. Del resto, i problemi emersi al Concilio Ecumenico Vaticano II dovevano esistere già da prima, ed è impensabile che siano tutti nati nel breve lasso di tempo intercorso fra la morte di Papa Pacelli (1958) e l’inizio dell’assise romana (1962). Nel libro di de Mattei c’è però qualcosa di nuovo. Si tratta dell’affermazione secondo cui qualcosa che non andava c’era non solo fra gli oppositori del venerabile Pio XII, ma nello stesso Magistero e negli atti di governo di Papa Pacelli. Due aspetti attirano particolarmente l’attenzione dell’autore: l’influenza del movimento biblico sull’enciclica Divino afflante Spiritu del 1943, e quella del movimento liturgico sulla nuova traduzione dei Salmi e sulla riforma della liturgia della Settimana Santa, permeate «da un misto di razionalismo e archeologismo dai contorni a volte fantasiosi» (p. 62). Fu del resto lo stesso venerabile Pio XII a nominare segretario della sua Commissione per la riforma liturgica il sacerdote lazzarista Annibale Bugnini (1912-1982), in seguito principale artefice della riforma del servo di Dio Paolo VI.

La Divino afflante Spiritu è presentata da de Mattei, che la contrappone sfavorevolmente all’enciclica Providentissimus Deus (1893) di Leone XIII (1878-1903), di cui pure quel testo celebrava il cinquantenario, come «l’abbandono dell’esegesi patristica, teologica e spirituale, in nome di una esegesi storico-letteraria puramente scientifica e razionale» (p. 52). «Non a torto, i progressisti videro un successo nel documento di Pio XII» (p. 53), il quale fu presentato come «approvazione del metodo storico-critico» (ibid.), che per de Mattei è una componente centrale del modernismo e del neomodernismo. La questione è di non piccolo rilievo per tutto il libro, che si occupa spesso di esegesi biblica e della Costituzione dogmatica Dei Verbum (1965) del Concilio Ecumenico Vaticano II, che lo stesso Benedetto XVI ricollega all’enciclica Divino afflante Spiritu come al suo antecedente più immediato.
[..]
Più in generale, desta qualche perplessità nell’opera di de Mattei la liquidazione come sempre e solo neomodernisti dei movimenti biblico, teologico, liturgico ed ecumenico dell’epoca del venerabile Pio XII. Il lettore ha l’impressione di trovarsi di fronte a modernisti che hanno inventato maliziosamente problemi che non c’erano per sovvertire la Chiesa. Ma secondo Benedetto XVI non è così. Tra gli esponenti del movimento liturgico de Mattei cita, giustamente, don Romano Guardini (1885-1968).
[..]
Questo problema si ripresenta in tutto il volume. L’idea di fondo è che tutto quanto nella Chiesa si apre alle istanze della modernità sia ipso facto modernista. Sulla scia di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione [..] di Corrêa de Oliveira, l’autore condanna ogni spunto che sembri nuovo e diverso rispetto al Magistero dell’età del beato Pio IX (1846-1878) come cedimento alla sequenza rivoluzionaria che va dalla rottura protestante al 1968 passando per la Rivoluzione francese e il comunismo. Anche condividendo – e personalmente la condivido – la descrizione del processo rivoluzionario che de Mattei mutua da Corrêa de Oliveira, per valutare le scelte del Magistero del XX secolo non va mai dimenticato il momento esigenziale che sta alla base di ogni passaggio della Rivoluzione.
Nel discorso del 2006 a Ratisbona (Discorso ai rappresentanti della scienza nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg [Ratisbona], del 12-9-2006) e nell’enciclica Spe salvi del 2007 Benedetto XVI propone un giudizio sui momenti centrali della modernità: Martin Lutero (1483-1546), l’Illuminismo, le ideologie del XX secolo. In ciascuno di questi momenti distingue un aspetto esigenziale, dove c’è qualche cosa di condivisibile – la reazione al razionalismo rinascimentale per Lutero, la critica del fideismo e la rivalutazione della ragione nell’Illuminismo, il desiderio di affrontare i problemi e le ingiustizie causate dalle trascrizioni sociali e politiche dell’Illuminismo per le ideologie novecentesche – e un esito finale catastrofico dove, ogni volta, si butta via il bambino con l’acqua sporca e si propongono rimedi peggiori dei mali che si dichiara di voler curare.

Così Lutero insieme al razionalismo butta via la ragione, smantellando la sintesi di fede e di ragione che aveva dato vita alla cristianità medievale. L’Illuminismo per rivalutare la ragione la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l’integrità stessa di quella ragione che voleva salvare. Le ideologie del Novecento criticando l’idea astratta di libertà dell’Illuminismo finiscono per mettere in discussione l’essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Nella modernità, dunque, a esigenze o istanze dove non tutto è sbagliato corrispondono esiti o risposte che partono da gravi errori e si risolvono in drammatici orrori.
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Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le "istanze", di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore – ma superandole –, e gli «errori e vicoli senza uscita»in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di ragionevole. Questo implica – come si vede, con un preciso giudizio sul Concilio – che ignorare le domande, fingendo che non ci fossero, sarebbe stato non meno pericoloso che offrire risposte sbagliate.
[..]
Le lobby progressiste e le loro riunioni influenzarono o addirittura decisero, secondo de Mattei, anche i conclavi che elessero il beato Giovanni XXIII e il servo di Dio Paolo VI. Certo, l’autore ammette che quando si elegge un nuovo Papa «Cristo ha promesso alla Chiesa di assisterla nella scelta, in modo particolare, con lo Spirito Santo, che illumina e santifica con la sua Grazia. Come ogni grazia, quella dovuta all’intervento straordinario dello Spirito Santo presuppone però una piena disponibilità e corrispondenza umana. A questa corrispondenza si possono opporre gli affetti e gli interessi umani degli uomini di Chiesa riuniti in conclave» (p. 109). Formalmente corretta, l’affermazione rischia di ridurre a ben poca cosa la garanzia offerta rispetto al conclave dall’assistenza dello Spirito Santo, dal momento che – a meno di far riunire nella Cappella Sistina degli angeli – è difficile immaginare la totale scomparsa degli «affetti e interessi umani», e di politica e di lobby si è parlato più o meno per tutti i conclavi della storia. Se l’assistenza dello Spirito Santo ha un senso, si deve ritenere che questa non venga meno nonostante l’andamento «politico» di una riunione elettiva che, entro certi limiti, è normale.

Oltre a ricostruire l’azione delle lobby, de Mattei propone per ogni sessione e per ognuno dei documenti più importanti una dettagliata cronaca del dibattito nell’aula conciliare, talora serrato e organizzato dalla parte progressista con manovre ai limiti del lecito. La mole della documentazione è notevole, ma non si tratta – come afferma il titolo dell’opera – di «una storia mai scritta». L’essenziale si trova nel piccolo libro di padre Ralph Wiltgen S.V.D. (1921-2007) The Rhine Flows into the Tiber. The Unknown Council (Hawthorn Books, New York 1967) – di cui de Mattei sottolinea giustamente l’importanza – e nella monumentale Storia del Concilio Vaticano II (Peeters - il Mulino, Bologna 1995-2001), diretta da Giuseppe Alberigo (1926-2007) e che esprime il punto di vista della «scuola di Bologna». Le conclusioni di de Mattei, alla fine, non sono troppo diverse da quelle di Alberigo: ci fu uno scontro fra conservatori e progressisti, i conservatori persero e i progressisti vinsero. Benché non fossero maggioritari, vinsero perché riuscirono a dominare i dubbiosi e gli incerti e perché furono appoggiati dai Papi: non solo dal beato Giovanni XXIII ma anche dal servo di Dio Paolo VI il quale, secondo de Mattei, giocò, da abile politico qual era, la carta dell’obbedienza al Papa e di una presunta moderazione per ottenere la quasi unanimità dei consensi.
[..]
È interessante notare che, scavando con pale diverse nel ricchissimo giacimento degli Acta Synodalia, si arriva a risultati opposti. Mentre de Mattei da interventi di padri sia ultra-progressisti sia conservatori ricava la conclusione che la Dignitatis humanae proclama, in contrasto con tutto il Magistero precedente, un diritto all’errore, la Congregazione per la Dottrina della Fede insiste sulla risposta della Commissione ai secondi modi generali, dove si legge che nella dichiarazione «da nessuna parte si afferma né è lecito affermare (si tratta di cosa evidente) che c’è un diritto di diffondere l’errore. Se poi le persone diffondono l’errore, non è l’esercizio di un diritto, ma il suo abuso» (lettera Liberté religieuse del 9-3-1987, p. 9). Lo stesso vale per la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, dove l’analisi di de Mattei riprende i temi cui abbiamo fatto cenno a proposito dell’enciclica del venerabile Pio XII Divino afflante Spiritu. Una lettura della Dei Verbum che ne rivendica la piena continuità con il Magistero precedente è contenuta ora nella citata esortazione apostolica Verbum Domini di Benedetto XVI, che la definisce «pietra miliare nel cammino ecclesiale» (Verbum Domini, n. 3), insistendo sui «grandi benefici apportati da questo documento» (ibid.).

Rispetto all’enorme lavoro di documentazione sulle discussioni nell’aula conciliare, il capitolo finale, sul pontificato del servo di Dio Paolo VI dopo il Concilio (pp. 527-590), appare più scarno. Si spinge – descrivendo quegli anni d’indubbia crisi – anche oltre la data della morte di Papa Montini, segnalando alcuni documenti interpretativi di testi conciliari, peraltro con qualche curiosa omissione. Così, a proposito dell’affermazione della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 8, secondo cui l’unica Chiesa di Cristo «sussiste nella [subsistit in] Chiesa Cattolica», de Mattei menziona la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus, del 6 agosto 2000 (cfr. p. 445), ma omette ogni riferimento alla Risposta a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa, della stessa Congregazione, del 29 giugno 2007, che pure tratta approfonditamente la questione del subsistit. È possibile che de Mattei sia influenzato qui dalle critiche a tale Risposta contenute in un testo che loda ripetutamente (cfr. per es. p. 14), del teologo mons. Brunero Gherardini Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare (Casa Mariana, Frigento [Avellino] 2009), di cui condivide le tesi di fondo.
[..]
Tutta l’opera di de Mattei mira a provare una tesi fondamentale, di natura non solo storica ma anche sociologica: che l’evento conciliare, proprio in quanto evento globale, è un tutto che comprende – senza che sia possibile separarli – le discussioni in aula, l’azione delle lobby, la presentazione ai media durante e dopo il Concilio, le conseguenze e i documenti. Se è così, separare i documenti dall’evento e dalle conseguenze del Concilio – cioè da quel postconcilio dove ha prevalso l’ermeneutica della discontinuità e della rottura – è insieme illegittimo e impossibile. I documenti fanno parte dell’evento e fuori dell’evento perdono il loro significato.

Questo, come accennato, per l’autore è il limite del programma di un’ermeneutica della continuità attribuito a Benedetto XVI. Per chi sostiene questa ermeneutica, scrive de Mattei, «la rimozione storica dell’“evento” conciliare è necessaria per separare il Concilio dal post-Concilio e isolare quest’ultimo come una patologia sviluppatasi su di un corpo sano» (p. 23). Ma questa operazione non è legittima se «il Concilio Vaticano II fu, infatti, un evento che non si concluse con la sua solenne sessione finale, ma si saldò con la sua applicazione e ricezione storica. Qualcosa accadde dopo il Concilio come conseguenza coerente di esso. In questo senso non si può dar torto ad Alberigo» (ibid.). Tutto il libro combatte quella che l’autore chiama «un’artificiale dicotomia tra i testi e l’evento» (ibid.) e cerca di «mostrare l’impossibilità di separare la dottrina dai fatti che la generano» (ibid.).
[..]
In realtà, i documenti possono sempre essere separati dalle discussioni che li hanno preceduti. Nessun giurista penserebbe di opporre a una legge gli interventi nell’aula del Parlamento che l’ha votata di chi si è espresso a favore o contro il suo testo. I lavori preparatori possono essere un punto di riferimento interpretativo, ma non prevalgono mai sul testo della legge. La sociologia non è l’unica scienza di cui servirsi per leggere il Concilio, e comunque non afferma affatto che sia impossibile la distinzione logica fra un testo e il suo contesto. Se il testo fosse assorbito e fagocitato dal contesto, il che applicando il metodo del libro potrebbe essere affermato di qualunque documento, perderebbe il suo specifico significato e ci troveremmo in una sorta di strutturalismo dove ogni affermazione è smontata e decostruita in un gioco di riferimenti perpetuo dove nulla ha più autorità. La storia serve a spiegare i documenti. Non serve più se li fa a pezzi.
[..]
Cercare di squalificare il testo magisteriale riferendosi alle discussioni precedenti alla sua approvazione significa cadere nello stesso errore metodologico che si rimprovera a quegli esegeti per cui gli elementi storici e il contesto prevalgono sul senso teologico del testo.

En passant, perde di significato anche una questione che – se non al grande pubblico – interessa ai cultori, fra cui si annoverano de Mattei e chi scrive, del pensiero di Corrêa de Oliveira. Questi in una parte aggiunta nel 1977 a Rivoluzione e Contro-Rivoluzione scriveva, con particolare riferimento all’omissione di una esplicita condanna del comunismo nei testi conciliari, che «l’evidenza dei fatti indica, in questo senso, il Concilio Vaticano II come una delle maggiori calamità, se non la maggiore, della storia della Chiesa» (ibid., pp. 168-169).

[..] non posso che ribadire qui quanto affermavo in Una battaglia nella notte: «Si può forse sgomberare il campo da qualche polemica inutile, dichiarando subito e senza riserve che, se la pagina di Corrêa de Oliveira che abbiamo citato [sul Concilio] implicasse un incitamento ai fedeli cattolici perché rifiutino globalmente l’insegnamento del Concilio quale si esprime nei suoi testi e documenti – in quanto appunto “non realmente pastorale” e “calamità” storica per la Chiesa –, allora questa pagina non potrebbe essere accettata e fatta propria in coscienza da nessun cattolico cui sia cara la sua fede. Il cattolico che cavillasse e iniziasse a distinguere fra Concilio dogmatico e pastorale, fra magistero infallibile e magistero non infallibile si porrebbe nella stessa posizione dei dissidenti “progressisti” le cui posizioni abbiamo discusso a partire dal rifiuto dell’enciclica Humanae vitae» (ibid., pp. 122-123). Credo, in coscienza, che il pensiero di Corrêa de Oliveira sul Concilio sia caratterizzato da maggiori sfumature rispetto alla presentazione di de Mattei. Ma in ogni caso nessun autore, per quanto grande e caro, può costituire il metro per giudicare il Magistero della Chiesa: al contrario, è sulla base del Magistero che il suo pensiero va giudicato e se del caso corretto.

Qui sta, ultimamente, il punto. De Mattei ritiene che i documenti del Concilio – cui dedica, per la verità, uno spazio minore, che rimane al di sotto di una vera e propria analisi, proprio perché a suo avviso stanno tutti dentro l’evento da cui non sono separabili – siano «incompatibil con la piena ortodossia». Durante il Concilio, i padri del Coetus sbagliarono perché alla fine si arresero sempre agli interventi – nel caso del servo di Dio Paolo VI, secondo de Mattei, consapevolmente e sottilmente manipolatori – dei Pontefici. Sbagliarono perché rifiutarono di prendere seriamente in esame «l’ipotesi di un Papa che sul piano dottrinale potesse errare e cadere nell’ambiguità, e persino nell’eresia» (p. 517), su cui l’autore rimanda a studi del brasiliano Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira. C’è da chiedersi, però, se si sia riflettuto appieno sulle conseguenze ecclesiologiche: a quasi cinquant’anni dal Concilio, non ci troviamo più di fronte a un episodio isolato di un ipotetico singolo errore pontificio di cui storici e teologi discutono per casi del passato, ma a cinque Pontefici – dal beato Giovanni XXIII a Benedetto XVI – che si sono presentati come «Papi del Concilio» e ne hanno propagandato, diffuso e difeso i documenti.

A questa obiezione de Mattei risponde, in modo per la verità non nuovo e citando il volume di mons. Gherardini, che il Concilio si volle pastorale e non dogmatico, non è infallibile ed «è lecito riconoscergli un’indole dogmatica solamente là dove esso ripropone come verità di fede dogmi definiti in precedenti concili» (p. 15). Lo stesso servo di Dio Paolo VI ebbe a definire il Concilio come non dogmatico, e queste dichiarazioni secondo de Mattei «mettono fine a tutti i dubbi che potessero sussistere a questo proposito» (p. 16) perché è stato Papa Montini a promulgare i documenti conciliari e «un Concilio ha solo l’autorità che il Papa gli vuole attribuire» (ibid.).
[..]
De Mattei afferma che questa sarebbe la posizione dello stesso servo di Dio Paolo VI, e così sarebbe chiusa ogni discussione. Ma in verità Papa Montini non solo non ha insegnato, ma ha esplicitamente condannato la posizione secondo cui, non essendo dogmatico né avendo proposto definizioni infallibili, il Concilio potrebbe essere rifiutato. «Vi è chi si domanda – spiegava il servo di Dio Paolo VI – quale sia l’autorità, la qualificazione teologica, che il Concilio ha voluto attribuire ai suoi insegnamenti, sapendo che esso ha evitato di dare definizioni dogmatiche solenni, impegnanti l’infallibilità del magistero ecclesiastico. E la risposta è nota per chi ricorda la dichiarazione conciliare del 6 marzo 1964, ripetuta il 16 novembre 1964: dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo magistero ordinario il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli, secondo la mente del Concilio circa la natura e gli scopi dei singoli documenti» (Udienza generale del mercoledì, del 12-1-1966). [..]

Per leggere la versione integrale dello scritto di Introvigne, vedete sul sito del Cesnur.


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In foto Mons. Lefebvre con Introvigne (a sinistra) e De Mattei (dietro a destra).


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alcuni commenti dal Blog che potrete raggiungere dal link del titolo dell'argomento

un "ospite" evidentemente sacerdote:
La Redazione del blog fa sempre bene a tenerci informati sulle opinioni, diverse o favorevoli, riguardo al libro di De Mattei. Sono passati tanti anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, Concilio che ho vissuto, evento in cui mi sono trovato. Malgrado la mia età, ne ho ancora un ricordo vivissimo, tuttavia sono tra coloro che non ebbero accesso alle diverse Commissioni, le quali, si sa, misero mano ai testi definitivi di ciò che si andava discutendo nell'aula conciliare. Che vi devo dire? L'entusiasmo iniziale fu progressivamente smorzato e ci rendemmo conto che il Concilio stava prendendo una svolta non programmata e manco sognata. Provammo sulla nostra pelle, specialmente noi religiosi, ciò che era alla fine diventato il Concilio. Cominciarono ad arrivare lettere da Roma, lettere firmate e con vincolo di obbedienza immediata, e arrivavano ai nostri monasteri o ai superiori generali degli Ordini mendicanti: ci esortavano al cambiamento, adeguamento, specialmente liturgico, senza ma e se. Ho visto antichi Ordini monastici, con un rito proprio da sempre riconosciuto dalla Chiesa, cedere alle pressioni romane, cedere e seguire il rito romano rinnovato. Forse a Roma si erano scordati che alcuni Ordini avevano un proprio rito, ma sta di fatto che entrammo tutti in quel vortice riformatore, bisognava fare in fretta e aderire prontamente. Nell'arco di 5 anni ho visto i nostri monasteri ridursi di membri, il noviziato svuotarsi e col tempo molte nostre case sono state chiuse, destinate ad una morte lenta e dolorosa. In tutti questi dibattiti sul Concilio non emerge questa nostra realtà, realtà di tanti anni fa, realtà che ci diede la netta impressione che si voleva far piazza pulita di tutto. Quanto a Pio XII egli fu un santo Pontefice, ma non so fino a quanto la sua intelligenza e lungimiranza resistette alle idee del Cardinale Bea, specialmente in materia di studi biblici. Si dice da più parti di leggere e studiare i testi del Concilio e interpretarli alla luce della tradizione della Chiesa, sapete indicarmi la via migliore per fare questo studio, questa interpretazione proprio alla luce della tradizione della Chiesa? Finchè il Concilio viene imposto come novella Pentecoste della Chiesa, io preferisco leggermi il Vangelo. Abbiate pazienza. E comunque sempre cum Petro. Solo chi ha vissuto quegli anni può capire dove siamo andati a finire. E' ora di ricominciare a cucire tutte le ferite inflitte al Corpo di Cristo: la Sua Chiesa.

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Grazie per aver parlato  
Grazie per la toccante testimonianza vissuta sulla tua pelle (mi permetto di dare del tu ad un religioso certo più anziano di me ).  
Tutto ciò vale molto, ma molto di più delle disquisizioni bizantineggianti del prof. Introvigne.  
Penso sia stata dura per molti religiosi buoni assistere quasi impotenti allo smantellamento subdolo di quanto vi era di più sacro nel loro ordine religioso e che li aveva attratti quando avevano risposto alla vocazione.  
Il Prof. de Mattei con il suo ponderoso e documentato lavoro storico va lodato anche per la pacatezza con cui ha svelato il dramma della Chiesa in questo ultimo secolo.  
d. bernardo

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Molto assai più umilmente, ma per dovere di cronaca necessario...qualche anno fa, circa il 2004/2005 ciò che scrive oggi Introvigne citando  di Pio XII La Divino afflante Spiritu.... e a seguire soprattutto alcuni paragrafi delle osservazioni di Introvigne stesso nel testo riportato qui dalla Redazione, fu ottimamente discusso in passato da me e da un gruppetto di cattolici in un forum presunto cattolico... che mal digerì il fatto che si dicesse già all'epoca che la questione del neomodernismo trionfante non si formò con il Concilio, ma vide UN CERTO CONSENSO SOTTACIUTO già dai tempi di Pio XII...  
Fra il dispiacere di queste conferme, provo comunque PIACERE che finalmente se ne parli... e se nel 2004/2005 si veniva censurati da cattolici gretti e cultori dell'idolatria del Papa con il culto alla sua persona in quanto tale e non in quanto SOMMO PONTEFICE, che non si poteva neppure nominare.... ho piacere che Introvigne lo abbia sottolineato....dal momento che ho acquistato il libro, ma non l'ho ancora cominciato a leggere...  
ritengo dunque che ciò sia molto interessante e che comunque la si pensi, è un bene che i NODI VENGANO AL PETTINE...




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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