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I Libri interessanti del prof. R. De Mattei sulla Liturgia e sul Concilio (imperdibili)

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2011 23:53
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A proposito dell’ultimo libro del Prof. Roberto de Mattei

A proposito dell’ultimo libro del Prof. Roberto de Mattei

di don Alfredo M. Morselli

Essendo tra i fortunati che hanno potuto avere tra le mani l’ultimo libro del prof. Roberto de Mattei (Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Torino: Lindau 2010), vorrei condividere con voi alcuni pensieri. Tratterò solo alcuni aspetti dell’opera, in ragione del poco spazio che un post di un blog può lecitamente occupare; nel contempo mi vorrei confrontare anche con le recensioni qui pubblicate.


1 - Il post-concilio comincia nel pre-concilio

Un primo aspetto positivo dell’opera del Prof. de Mattei: finalmente un’analisi della crisi post-conciliare che tiene conto del pre-concilio. Il marcio covava e c’era molto prima del Concilio stesso. Tanti pizzi e merletti nell’immediato dopo-guerra nascondevano magagne inimmaginabili. La grande crisi conciliare e post-conciliare (uso questi termini in senso cronologico) non ha costituito il focolaio primo dell’infezione neo-modernista, ma è stata un colpo di bisturi sull’ascesso: e ne è uscita materia purulenta che covava da anni.

Generazioni di modernisti hanno lavorato dalla morte di San Pio X fino ad oggi: cito una frase di Tyrrel, scritta dopo la Pascendi:

“Quando mi guardo intorno... sono condotto a pensare che… la resistenza modernista è al limite delle sue forze e ha dato tutto ciò che poteva dare per il momento. Bisogna attendere il giorno in cui, grazie a un lavoro occulto e segreto, noi avremo guadagnato una più ampia parte dell'armata della chiesa alla causa della libertà” [1]

In questo “lavoro occulto e segreto” è possibile vedere la radice di ciò che Mons. Pozzo individua come “l’ideologia conciliare, o più esattamente para-conciliare, che si è impadronita del Concilio fin dal principio, sovrapponendosi a esso” [2].

Un primo insegnamento del libro del prof De Mattei è dunque che non dobbiamo semplicemente voler tornare “a prima del Concilio”, perché altrimenti risuccederebbe un altro post-concilio. C’è da proseguire l’opera profetica di San Pio X.

Devo dire però che, circa la analisi storica condotta dall’autore a riguardo della situazione prima del Vaticano II, meritano di essere prese in considerazione le osservazioni del prof. Massimo Introvigne:

“desta qualche perplessità … la liquidazione come sempre e solo neomodernisti dei movimenti biblico, teologico, liturgico ed ecumenico dell’epoca del venerabile Pio XII. Il lettore ha l’impressione di trovarsi di fronte a modernisti che hanno inventato maliziosamente problemi che non c’erano per sovvertire la Chiesa… Naturalmente, i movimenti di cui de Mattei fa l’inventario presentavano, accanto alle luci, ampie ombre. Ma non inventavano problemi: questi c’erano veramente, «là fuori», e la Chiesa non poteva esimersi dal dare risposte. Questo vale per la teologia, la liturgia, la Bibbia e anche per l’ecumenismo” [3].


2 - Impossibile separare il Concilio dal post-concilio?

Ancora una volta, assieme al prof. Introvigne, avrei qualche dubbio qualora si negasse la possibilità reale di separare il Concilio dalla sua recezione, o la propositio Ecclesiae dall'evento complessivo: un concilio in sé non può insegnare errori, specialmente se citato, come è accaduto nel caso del Vaticano II, moltissime volte - nei punti più hot - in tutte le encicliche e i più rilevanti discorsi pontifici.

Mettere in discussione il Concilio in sé come un evento tutt’uno, significa mettere in discussione quaranta anni di magistero ordinario, il Catechismo della Chiesa Cattolica, il nuovo Codice di diritto canonico. E anche ammesso e non concesso che i documenti stessi del Concilio non siano - pur in vario grado - vincolanti, in quanto il Concilio sarebbe pastorale e non dogmatico (tesi che non condivido), non riesco a capire come si possano conciliare le promesse del Salvatore (non praevalebunt) con un Concilio sinolo di testi e loro recezione, globalmente negativo.

Se un concilio fosse negativo di suo, e se non si potesse distinguere realmente (in re) il Vaticano II dalla sua recezione, sarebbe finita la Chiesa.

Vorrei rispondere così anche allo stimato prof. Corrado Gnerre, il quale ha affermato: i testi del Concilio sono davvero tutti nella continuità, oppure dobbiamo fare in modo che lo siano perché non può esserci rottura tra gli atti ufficiali del Magistero?” [4].

Rispondo: non siamo noi che facciamo in modo che i testi siano nella continuità, ma sono le promesse del Salvatore che ci garantiscono questo. Lo sappiamo già prima di ogni analisi teologica.

Questo non vuol dire che non ci possano essere testi non sempre redatti materialmente nel modo migliore, che non ci possano essere gravi difetti prudenziali (es.: la mancata condanna del comunismo), che non ci possano essere enunciazioni redatte in modo tale che facilmente un modernista potrebbe usare per tirare acqua al suo mulino.

Mi sembra illuminante a questo proposito quanto afferma Mons. Pozzo:

“Sta ciò che possiamo chiamare l’ideologia conciliare, o più esattamente para-conciliare, che si è impadronita del Concilio fin dal principio, sovrapponendosi a esso. Con questa espressione, non si intende qualcosa che riguarda i testi del Concilio, né tanto meno l’intenzione dei soggetti, ma il quadro di interpretazione globale in cui il Concilio fu collocato e che agì come una specie di condizionamento interiore nella lettura successiva dei fatti e dei documenti. Il Concilio non è affatto l’ideologia paraconciliare, ma nella storia della vicenda ecclesiale e dei mezzi di comunicazione di massa ha operato in larga parte la mistificazione del Concilio, cioè appunto l’ideologia paraconciliare” [5].

Mi si potrebbe obiettare che dal punto di vista di uno storico - è questo l'oggetto formale del libro -, che narra i fatti, potrebbe essere difficile distinguere il Vaticano II dalla sua recezione, in quanto, nei fatti, esiste l'evento Concilio e nient'altro.

Rispondo come risponderei a chi, per negare valore al Papato o alla santità della Chiesa, mi citasse il caso di Alessandro VI: gli direi che quel Papa razzolava male anche pubblicamente, ma non ha mai insegnato errori; né, esercitando il ministero petrino, ha mai allontanato alcuno dalla vera fede. Se non fosse possibile questa distinzione reale, cadrebbero tanto l'infallibilità del Pontefice quanto l'indefettibilità della Chiesa.

Analogamente dobbiamo dire che la fede della Chiesa è rimasta integra sia durante il Concilio che nel post-concilio: né si può dare una fede solo creduta dalla Chiesa, ma non proposta o inespressa. E siccome la Chiesa propone a credere con tutta la sua vita, ma soprattutto con il Magistero e con la liturgia, dobbiamo necessariamente poterli separare e distinguere in se stessi dalla loro caotica recezione conciliare e post-conciliare: analogamente al modo in cui separiamo e distinguiamo realmente i peccati del Borgia dal suo ministero petrino in quanto tale.

In ogni caso, ben venga un dibattito – possibilmente pacato - che, nel senso tomista del termine, ci aiuti a distinguere bene. E questo libro sicuramente infrange la mistificazione del Concilio.


3 – È possibile una definitiva messa a punto?

Il Prof. de Mattei conclude la sua opera unendosi “alle suppliche di quei teologi che chiedono rispettosamente e filialmente al Vicario di Cristo in terra di promuovere un approfondito esame del Concilio Vaticano II, in tutta la sua complessità ed estensione, per verificare la sua continuità con i venti Concili precedenti e per dissipare le ombre e i dubbi che da quasi mezzo secolo rendono sofferente la Chiesa, pur nella certezza che mai le porte degli Inferi prevarranno su di Essa (Mt. 16, 18)” [6].

È chiaro il riferimento alla Supplica al S. Padre, rivolta da Mons. Gherardini, a conclusione della sua recente opera sul Vaticano II [7]. Questa soluzione è stata caldeggiata, su questo blog, anche dal prof. Gnerre [8].

Scrive il decano della Lateranense:

"Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all’auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un’attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d’ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote […]. A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea - che oso ora sottoporre alla Santità Vostra - d’una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull’ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti."

Questa mess’a punto si dovrebbe realizzare o con un grande documento papale, oppure mediante una serie di congressi di altissima qualità, o una serie di pubblicazioni.

Di fronte a questa proposta, pur condividendo le ottime intenzioni (come sarebbe bello un documento che ponesse fine a tutte le false interpretazioni o a tutti i dubbi che sono sorti!), nutro una duplice perplessità.

1) Da un punto di vista teorico, dobbiamo stare molto attenti alle analisi scientifiche del magistero: c’è il rischio che questa proposta – ma non è certo l’intenzione di Mons. Gherardini – assomigli alle obiezioni di certi teologi progressisti e degli esegeti, alla cui scientificità si dovrebbe sottoporre il magistero. In realtà, quanto chiede lo stimatissimo Monsignore sotto la specie di eventi ecclesiali straordinari, è niente meno che il compito del Magistero ordinario. Se per capire quello che vuol dire esattamente un Concilio avessimo bisogno di siffatto lavoro scientifico, oppure di un documento pontificio risolutorio di tutte le controversie, come minimo accuseremmo implicitamente il magistero ordinario di essere stato latente, per 40 anni, sui principali problemi reali della vita della Chiesa.

Al contrario è il magistero stesso che interpreta continuamente se medesimo in modo autentico: l’uso e le continue citazioni del Concilio in tutti i documenti pontifici più importanti ne costituiscono già l’interpretazione corretta.

Proprio mentre scrivo queste note, il Papa ha reso pubblico il suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2011 sul tema Libertà religiosa, via per la pace. Credo proprio che questo testo chiarisca i dubbi che possono insorgere circa alcune frasi della dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae.

2) Da un punto di vista pratico; anche se volessimo dire che chiediamo solo più chiarezza (in fondo, dire, da scolari e non da contestatori: “Signora Maestra, non ho capito come non ci sia contraddizione” è lecito), vedo un’insormontabile difficoltà pratica: chi chiamiamo a compiere questo lavoro?

Baste confrontare l’elenco dei partecipanti al grande convegno sull’Adorazione Eucaristica [9], per vedere che in tutte i convegni buoni ci sono i soliti noti Ranjith, Piacenza, Schneider e pochi altri.

Dove sono oggi i grandi teologi, dove sono le scuole teologiche in grado di analizzare il Concilio nella situazione attuale? Ben vengano i primi passi (ad esempio il convegno dei F.I.), ma siamo ancora lontani da quel che ci vorrebbe: temo che la nostra sia più una epoca di semina che di raccolta di quanto si auspica Mons. Gherardini.

Vogliamo ripetere l’errore della Curia romana, che pensava di avere in mano il Concilio e si è ritrovata chiusa in uno sgabuzzino, con le chiavi buttate nel Tevere – in tempi migliori di oggi (dove un pur debole Coetus Internationalis Patrum non lo metteremmo assieme neanche a cercarli con lanternino)?

Mi vengono in mente alcune parole di San Luigi Maria Grignion de Montfort:

“Se qualcuno [vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua]. Non dice «se alcuni»: per indicare il piccolo numero degli eletti che vogliono divenire conformi a Gesù Cristo crocifisso, portando la propria croce. E un numero tanto e tanto piccolo, che se lo conoscessimo verremmo meno dal dolore. Tanto piccolo che appena se ne può contare uno su diecimila — stando a rivelazioni fatte a diversi santi, come ad esempio a san Simone Stilita, riferite dall'abate san Nilo, da sant'Efrem, da San Basilio e da altri. Tanto piccolo che se Dio volesse radunarli, griderebbe loro come fece un giorno per bocca di un profeta: «Voi sarete raccolti a uno a uno» (Is 27, 12.), uno da questa provincia, uno da quel regno”[10].


4 . Motivi per ben sperare e ricorso a Maria SS.ma

Che fare allora? La riforma tridentina l’ha fatta sì il Concilio di Trento, ma l’hanno fatta soprattutto i santi: quelli grandi e famosi, come S. Filippo Neri, S. Teresa d’Avila, S. Ignazio di Loyola, S. Caterina da Genova, S. Antonio M. Zaccaria… ma anche tanti santi del popolo; il primo vescovo africano è stato consacrato due anni dopo l’affissione delle tesi luterane. Anche in quell’epoca di vescovi principi nepotisti ed epuloni, e di preti concubini (ma che non avrebbero mai appoggiato i cattolici adulti e mai scritto una prefazione a Mancuso) qualcuno era partito missionario per l’Africa, spinto dall’amore di Dio: E se era partito senza sapere se ci sarebbe mai arrivato, era sicurissimo che non sarebbe mai ritornato in patria.

Grazie al cielo siamo di fronte a una crisi nella Chiesa, ma non alla sua eclissi: ci sono ancora i martiri, quasi ogni giorno. C’è - sebbene, in alcune regioni, molto ridotta - una buona base cristiana (es.: il popolo di Radio Maria), disseminata nei cinque continenti; c’è il grande successo dell’Evangelizzazione in Africa, dove i cristiani hanno superato gli islamici. E state certi che a battezzare gli africani nei tucul non ci vanno i teologi progressisti, ma tanti buoni missionari.

Il contrario di progressista non è conservatore, ma missionario; questi, se spende la sua vita, lo fa perché crede – a differenza del relativista modernista – che c’è una verità immutabile, che poi è una Persona: la ragione della vita, da amare più della propria stessa vita. Il modernista relativista non ha invece nessuna ragione certa, né per vivere, né per morire.

Mettiamoci dunque con fiducia nelle mani di Maria Santissima, chiedendo che faccia di noi quei santi che, come dice il Montfort, ella formerà su ordine dell'Altissimo negli ultimi tempi:

“…saranno veri discepoli di Gesù Cristo secondo le orme della sua povertà, umiltà, disprezzo del mondo e carità, insegneranno la via stretta di Dio nella pura verità, secondo il santo Vangelo, e non secondo i canoni del mondo; senza preoccupazioni e senza guardare in faccia a nessuno; senza risparmiare, seguire o temere alcun mortale, per potente che sia.

Avranno in bocca la spada a due tagli della parola di Dio e porteranno sulle spalle lo stendardo insanguinato della Croce, il crocifisso nella mano destra, la corona nella sinistra, i sacri nomi di Gesù e di Maria sul cuore, la modestia e la mortificazione di Gesù Cristo in tutta la loro condotta.

Ecco i grandi uomini che verranno e che Maria formerà su ordine dell'Altissimo, per estendere il suo dominio Sopra quello degli empi, idolatri e maomettani. Ma quando e come avverrà tutto questo?... Dio solo lo sa. Compito nostro è di tacere, pregare, sospirare e attendere: «Ho sperato: ho sperato nel Signore»”[11]

E non sarà tanto un documento papale o un gran lavoro teologico che farà emergere la continuità del magistero nella varie epoche, ma la trasparenza e la limpidezza del cuore dei santi.


[1] Dictionn. de Th. Cath., X, II, 2042.

[2] «Aspetti della ecclesiologia cattolica 
nella recezione del Concilio Vaticano II», conferenza tenuta presso il Seminario della F.S.S.P. a Wigratzbad, il 2-7-2010. Cf. www.fssp.org/it/pozzo2010.htm.

[3] «A che serve la storia? Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta di Roberto de Mattei», in www.cesnur.org/2010/mi-dema.html

[5] «Aspetti della ecclesiologia cattolica...»

[6] Pag. 591.

[7] Concilio Ecumenico Vaticano II, Un discorso da fare, Frigento: Casa Mariana, p. 254-257.

[10] Lettera circolare agli Amici della Croce, § 14.

[11] Trattato della vera devozione a Maria, § 59.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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