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La preziosa Coroncina alla Divina Misericordia

Ultimo Aggiornamento: 23/04/2014 20:22
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09/04/2012 23:49
 
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[SM=g1740722] IL PRIMATO DELLA DIVINA MISERICORDIA


da RiscossaCristiana

di P. Giovanni Cavalcoli, OP
 
Da alcuni decenni nelle omelie della S.Messa, nella predicazione corrente, nei discorsi dei vescovi e del Papa, nella pubblicistica cattolica, è un continuo parlare della “divina misericordia”. Se ne parla, certo, a volte, con proprietà ed in modo utile od opportuno, ma più spesso questo tema della misericordia, ripetuto continuamente in ogni occasione, è diventato noioso, stucchevole e quasi ossessivo. Anche perché capita che questo attributo divino, separato o addirittura in contrasto con gli altri attributi, a volte fraintesi, non venga inteso bene e susciti reazioni controproducenti o favorisca il lassismo morale. [SM=g1740721]
 
Reazioni controproducenti, in quanto ci si domanda: ma se Dio è misericordioso, perché tante disgrazie, tanti lutti, tante sofferenze, tante ingiustizie? Lassismo morale, in quanto ci si è fatta da molte parti l’idea che Dio, essendo misericordioso, non castiga mai ma perdona sempre, anche se non si è pentiti, e salva tutti. Da qui la convinzione di poter continuare a peccare liberamente, senza darsi alle buone opere, essendo sufficiente, secondo costoro, che basti “credere” che si giungerà alla salvezza. Un Dio che castiga, sarebbe un dio crudele e vendicativo, un dio pagano, non cristiano. Tutt’al più potrebbe essere il Dio dell’Antico Testamento, ma non certo quello del Nuovo.
 
Ora è inutile, anzi è dannoso, parlare continuamente di “misericordia”, se la si intende a questo modo. La misericordia, come insegna S.Tommaso d’Aquino, è il più grande degli attributi operativi divini, è quello che mostra maggiormente la sua divinità. Per questo, per l’uomo l’essere misericordioso, è il modo migliore per imitare la santità di Dio. Per questo il Salmista dice: “Beato l’uomo che pensa al debole e al povero: nel giorno del male il Signore lo libera, lo custodisce, lo fa vivere, lo rende beato sulla terra e non lo consegna nelle mani dei suoi nemici” (Sal 41,2).
 
Infatti la divina misericordia suppone l’infinita sapienza divina che la progetta, l’infinito amore (“Dio è Amore”), e l’infinita bontà che donano liberamente, gratuitamente e generosamente, un cuore infinitamente compassionevole, che comprende a fondo la sofferenza e la situazione di miseria della creatura, l’onnipotenza creatrice, che dal nulla suscita il rimedio, la guarigione, la liberazione, il perdono, la salvezza, la beatitudine per l’amata creatura.
 
Certamente in noi la misericordia comporta uno stato emotivo, una capacità di commuoversi e, come dice Paolo, di “soffrire con chi soffre”, che suppone un soggetto dotato di una sensibilità fisica come siamo noi, e che in Dio, come fa notare S.Tommaso, purissimo Spirito, è impensabile, se non vogliamo farne un dio pagano alla maniera di un Dioniso. Il che non toglie che Dio, senza bisogno di soffrire Egli stesso, non sappia benissimo ed infinitamente meglio di noi, col suo intelletto, che cosa è la sofferenza, e ciò basta perché Dio sappia poi che cosa deve fare per alleviare o togliere la nostra sofferenza o togliere la colpa del peccato.
 
Pensare che Dio debba soffrire per poter capire e togliere la sofferenza sarebbe un po’ come se pensassimo che un medico, per poter guarire da una malattia, dovesse essere a sua volta affetto da quella malattia. So bene che già i Padri della chiesa parlano di sofferenza di Dio, ma ciò non va inteso in riferimento alla natura divina, bensì soltanto all’umanità di Cristo secondo la modalità espressive della “comunicazione degli idiomi” (communicatio idiomatum).
 
La misericordia, da un punto di vista umano, è il sentimento di chiunque abbia un minimo di buon cuore, anche se non cristiano o non-credente. Pensiamo alla famosa parabola del buon samaritano. Ma la misericordia divina ha per così dire una “divina inventiva”, è una potenza di guarigione e di salvezza infinitamente superiore alle semplici forze della più eroica misericordia umana.
 
E’ una misericordia che salva dalla miseria umanamente irreparabile del peccato originale e dei nostri stessi peccati personali. [SM=g1740733] Infatti per la Bibbia il peccato (mortale) è un danno talmente grave che facciamo a noi stessi, che da soli ad esso non sappiamo riparare o rimediare. E’ in certo senso, in quanto offesa a Dio infinito, un male infinito (anche se propriamente un male infinito non esiste), benchè l’atto col quale compiamo il peccato, in quanto atto di noi che siamo finiti, sia un atto finito. Ma le conseguenze penali sono in certo modo infinite, in quanto il castigo del peccato mortale è la pena eterna dell’inferno.
 
Per questo, per la Bibbia solo la misericordia divina può rimettere il peccato, perché, sempre secondo la Scrittura, il peccato comporta una “morte” dell’anima e noi non possiamo evidentemente risorgere da morte da soli, una volta che siamo morti. Solo Dio creatore ed onnipotente, Dio della vita, può quindi farci risorgere da morte e ridonarci quella vita di grazia che abbiamo perduto col peccato. Ma a patto che siamo pentiti, almeno per quanto riguarda gli adulti. I bambini che non hanno colpe personali sono evidentemente dispensati da questa conditio sine qua non e non per questo non possono essere anche loro oggetto della divina misericordia(1).
 
E del resto sta sempre alla sua misericordia suscitare nel nostro cuore il pentimento e il desiderio di tornare al quel Padre buono che abbiamo offeso. Noi però dobbiamo liberamente e volontariamente corrispondere a queste ispirazioni e a questi impulsi divini, perché ove non lo facessimo, frustreremmo la misericordia divina e ad essa si sostituirebbe nei nostri confronti la severità della sua giustizia che può giungere, se non ci convertiamo, alla pena eterna dell’inferno o almeno, se moriamo in grazia ma non purificati, alla pena temporanea del purgatorio.
 
E giungiamo così ad un concetto teologico importantissimo, oggi purtroppo dimenticato, frainteso o disprezzato, che è quello della giustizia divina, la quale, in quanto possa apparire in contrasto con la misericordia, in realtà, bene intesa, va indissolubilmente associata all’attributo della misericordia, proprio al fine di sapere veramente che cosa è la misericordia e che cosa è la giustizia. La Bibbia afferma questa congiunzione a chiarissime lettere, ad esempio, con queste parole: “presso di lui ci sono misericordia ed ira” (Sir 5,6). [SM=g1740722]
 
L’idea della misericordia divina può esser raggiunta da una semplice teologia naturale o comunque non cristiana. Infatti, anche il Dio dell’Antico Testamento e del Corano, anche Brahman è un Dio clemente, pietoso e misericordioso, che fa grazia e perdona. Invece l’idea cristiana e già biblica della divina misericordia, come ho detto, rivela delle risorse in Dio, che sarebbero assolutamente impensabili per una semplice teologia razionale.
 
Viceversa, l’attributo della giustizia non dovrebbe esser difficile da capire per la semplice ragione, se oggi non fosse così scarso il senso religioso, anche in ambienti cattolici infetti dal protestantesimo, che non si riesce più a concepire un Dio giusto che non sia cattivo e crudele, per cui, in nome del Dio “buono” e “misericordioso”, si respinge il Dio giusto che castiga.
 
Proviamo allora a definire che cosa è veramente la “giustizia divina punitrice”. Essa, a differenza della misericordia, che è un potere proveniente da Dio e, nella sua infinità, propria solo di Dio e caratterizzante, come ho detto, la sua infinita bontà, è una virtù divina che non si definisce in relazione a Dio ma in relazione alla condotta dell’uomo. Proviamo a chiarire questo enunciato, del quale oggi non si fa parola, motivo per cui nascono gli equivoci e i fraintendimenti che portano a respingere come anticristiana l’idea della giustizia punitrice.
 
Innanzitutto è fuor di dubbio che la Scrittura si esprime in maniera antropomorfica - per farci capire, ma purtroppo sono a volte proprio gli antropomorfismi che ci portano fuori strada - come se Dio fosse un giudice o un padre “offeso” e “adirato” per il peccato, per cui egli “manda i castighi” contro i peccatori ribelli e impenitenti, un po’ come Giove che manda dal cielo fulmini e saette.
 
Ma la stessa Bibbia in altri passi chiarisce che in realtà il cosiddetto castigo è una giusta pena, sino alla stessa morte, che il peccatore si tira necessariamente addosso con la sua colpa, senza che Dio, per così dire, “muova un dito”, per cui egli non risponde affatto non solo del peccato - cosa blasfema - ma anche del male di pena, cosa che si può appena concepire in maniera metaforica, magari per far capire ai ragazzi del catechismo qualcosa della giustizia divina paragonando Dio al papà sdegnato per la marachella del figlio.
 
Un’altra cosa importante riguardo alla misericordia divina è la sua gratuità e il fatto che essa è frutto di un liberrimo atto dell’arbitrio divino, da cui il detto biblico che oggi scandalizza molti teologicamente impreparati: “Farò misericordia a chi vorrò far misericordia” (Es 33,19). Ciò vuol dire che, benchè la misericordia divina potenzialmente sia infinita, di fatto, considerando il destino dei singoli uomini, essa, per quanto grande, ha sempre una misura o, in forza della giustizia divina, può anche mancare del tutto.
 
In altre parole - e qui so di toccare una specie di tabù della teologia e della pastorale di oggi - il funzionamento concreto della divina misericordia è connesso con quella che tradizionalmente, riprendendo il linguaggio di S.Paolo e del Concilio di Trento, si chiama il mistero della predestinazione(2) o dell’elezione divina(3) di coloro che giungono, appunto per misericordia, alla salvezza. Questo tema è stato accantonato in concomitanza - e la cosa si comprende - alla falsa convinzione oggi diffusa dai rahneriani (“cristianesimo anonimo”), secondo la quale tutti ci salviamo. Se le cose dovessero stare così, è evidente che la tesi della predestinazione, la quale prevede che non tutti si salvano, perde il suo senso. Invece, secondo la fede della Chiesa, sappiamo che non tutti si salvano, per cui la dottrina della predestinazione, che per lunghi secoli è stata fede comunque nel popolo di Dio, dev’essere di nuovo insegnata, perché possiamo avere un’idea ortodossa della congiunzione della misericordia con la giustizia. [SM=g1740722]
 
Ho detto che la giustizia divina si definisce in rapporto a noi. Che vuol dire? Non certo che noi dobbiamo insegnare a Dio ciò che è giusto. Qui mi riferisco non alla giustizia divina in generale che, al limite, come aveva inteso bene Lutero nel passo di Rm 3,21, coincide con la stessa misericordia. Questa “giustizia” è infatti la misericordia che giustifica il peccatore, perdonando il suo peccato e concedendogli la grazia.
 
Mi riferisco invece a quella che la tradizione teologica chiama giustizia punitrice, la quale, come ho detto, non consiste in un atto positivo sorgente di pena proveniente da Dio, per cui lo stesso concetto di “ira divina” chiaramente è metaforico come quello di “compassione”, in quanto è evidente che l’una e l’altra cosa - come insegna San Tommaso - suppongono un mondo di passioni, che come ho detto, in Dio purissimo Spirito è assolutamente impensabile. Per cui anche la cosiddetta ira divina non significa altro che il castigo che l’uomo stesso si tira addosso con le sue mani commettendo il peccato. Un po’ come se dicessimo che la cirrosi epatica è il “castigo” di una persona che volontariamente non si modera nel bere vino.
 
Un’ultima considerazione molto importante, legata a quanto ho appena detto. E qui possiamo allargare il discorso anche a livello di teologia naturale. Prendiamo infatti adesso in considerazione non solo l’opera della redenzione ma anche quella della creazione. Dobbiamo ricordare a questo riguardo, come insegna la nostra fede, che l’una e l’altra opera sono effetto della liberissima volontà divina, come a dire che Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto anche non creare il mondo, e a maggior ragione l’opera stessa della redenzione, e non per questo a Lui sarebbe mancato alcunchè della sua divinità, dato che l’essenza divina è la totalità di ogni perfezione.
 
Questa considerazione ci fa capire che cosa è esattamente la divina misericordia, ossia come ho detto, essa è l’effetto di un atto totalmente libero da parte di Dio. Il che è come dire che, a rigore di giustizia, come osserva San Tommaso, Dio, dopo il peccato originale, avrebbe potuto lasciare i progenitori e l’intera umanità nello stato di miseria che si erano meritati. Senonchè è stato sommamente conveniente che Dio abbia avuto pietà di noi, in forza della sua infinita bontà donandoci il divino Redentore.
 
Dal che noi comprendiamo quanto è sbagliata una certa dottrina della creazione e della redenzione che presentano questi atti divini non come effetto di una libera scelta divina, ma come proprietà della stessa natura divina, e quindi come qualcosa di necessario perché Dio sia Dio. L’espressione estrema di questa visione monistica e panteista, come si sa, è il pensiero di Hegel. Ma purtroppo qualcosa del genere sembra presente o quanto meno presupposto anche nel famoso assioma (Grundaxiom) rahneriano secondo il quale “la Trinità immanente” (= ossia la Trinità in Se Stessa) “è la Trinità economica” (= ossia la Trinità che mette in atto l’opera della salvezza).
 
Ora bisogna osservare che se Rahner intende dire che la Trinità in Se Stessa è quella stessa che ha operato la salvezza, il discorso va bene; ma purtroppo sembra di poter riscontrare in questo assioma una punta di hegelismo per il fatto che l’assioma sembra anche identificare la Trinità in Se Stessa con la Trinità salvatrice, il che evidentemente verrebbe a negare la libertà dell’opera divina della salvezza e verrebbe a concepire la creazione e la redenzione come un elemento intrinseco alla stessa divinità.
 
Purtroppo una conferma preoccupante di questa impostazione hegeliana è data dalla ben nota dottrina rahneriana secondo la quale tutti si salvano, una dottrina che ben si può collegare appunto con questa concezione di un dio che non è Dio se non in quanto opera la salvezza.
 
In base a queste considerazione dovrebbe apparire chiaro il primato della misericordia divina sulla giustizia, per il fatto che Dio non lascia l’uomo nella miseria giustamente conseguente al peccato, ma appunto, per la sua pietà e la sua misericordia, gli dona Gesù Cristo Redentore, il quale col suo sacrificio compie quell’opera di giustizia che consiste nella espiazione del peccato e quindi ottiene dal Padre misericordia per i peccatori. Inoltre con Cristo, all’opera della misericordia che toglie il peccato, si aggiunge quella gratuita, imprevedibile, stupenda ed infinita benignità divina, la quale concede all’uomo sempre in Cristo la grazia, ossia la condizione della figliolanza divina, quella che i Padri greci hanno chiamato la “divinizzazione”.


Bologna, 21 ottobre 2011
 
 
NOTE
 
1) Cf per es. quanto dice il Catechismo della Chiesa cattolica (n.1261) a proposito dei bambini morti senza il Battesimo.
 

2) Questo tema complesso, delicato ma importantissimo da troppo tempo dimenticato, è ricordato con dovizia di argomenti e persuasività di esposizione dal Servo Dio il teologo domenicano Padre Tomas Tyn (1950-1990) in molte sue opere e corsi scolastici. Cf i suoi siti: www.studiodomenicano.com (cliccare sui link) e www.arpato.org .
 

3) Notiamo per esempio che nel canone romano ad un certo punto il celebrante chiede a Dio per sé e per i fedeli presenti di poter essere annoverati nel numero degli “eletti”.

[SM=g1740733]

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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