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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Potere e Obbedienza nella Chiesa: Sacerdoti e Laici (di p. Zoffoli)

Ultimo Aggiornamento: 22/04/2009 11:41
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Potere e obbedienza nella Chiesa

Vi invito a leggere con attenzione e commentare questo stralcio dal testo di p. Zoffoli "Potere e obbedienza nella Chiesa". Ricordiamoci che a parlare è un grande filosofo, teologo e un santo sacerdote... e che quanto esprime supporta e ispira il nostro comportamento, sempre ovviamente alla condizione che sia dettato non da opinione personale, ma da fede assimilata dal Magistero perenne della Chiesa e in essa vissuta e alimentata da una conversione continua[SM=g1740722]



[...] La Chiesa, sua Sposa, è stata da Lui fondata solo perché sia Madre di Santi, strumento di salvezza universale per l'esercizio di un potere divino, comunicato ai membri della gerarchia unicamente per far conoscere tutta e solo la verità rivelata; elevare e intensificare la partecipazione dei fedeli al Sacrificio Eucaristico, culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana; stimolarli alla santità quale perfezione dell'amore di Dio e del prossimo, secondo la vocazione di ciascuno.


Dunque, il sacerdote deve dare, non ricevere. Dare non qualcosa di proprio, ma soltanto quel che a sua volta riceve da Cristo, non avendo nulla di suo... Dare, uniformandosi al volere di Dio, volto unicamente al bene dei fedeli, come questi devono obbedire soltanto per ricevere tutto e solo quel bene dai rispettivi superiori.


Quando questi non lo danno, ovviamente ne privano i fedeli, perdendo ogni diritto ad essere creduti e obbediti. Nel qual caso i fedeli - non obbedendo - non offendono Cristo, ma un suo nemico nel suo indegno ministro; non si ribellano alla Chiesa, ma ad un suo intruso che tenta demolirla [come i falsi profeti del nostro tempo]. Soltanto lui, comportandosi contro le finalità del suo sacerdozio e abusando dei suoi poteri, è responsabile del dissidio che turba la pace della comunità ecclesiale, non potendo i fedeli adattarsi ad una dottrina errata, ad una prassi contraria alla dignità del culto, alla santità della vita cristiana.


[...]Pietro, primo Vicario di Cristo, mancò al suo dovere, se non tradendo la verità, permettendo però che i fedeli restassero almeno dubbiosi, confusi. Dal suo comportamento, infatti, i giudaizzanti potevano confermarsi nella convinzione di essere ancora obbligati a praticare le prescrizioni mosaiche...; mentre i pagani potevano almeno sospettare che la fede in Cristo non fosse del tutto sufficiente alla salvezza. Pietro, insomma, fu un pavido, ed è per questo che - sia pure alle spalle – dagli illuminati «veniva biasimato» , mentre Paolo osò riprenderlo in pubblico (Gal 2, 11).


Perciò, i limiti del potere della Gerarchia obbligano ad una obbedienza altrettanto limitata: il dovere di «camminare dritti secondo la verità del Vangelo» (Gal 2, 14) prevale sull'altro di obbedire e tacere. L’autorità umana cessa - quanto al suo esercizio - quando oltrepassa i suoi confini e offende la verità o non la difende come e quanto necessario perché non sia tradita. «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29), aveva dichiarato Pietro stesso davanti al Sinedrio di Gerusalemme, alludendo alla verità appresa dal Maestro e ben capita alla luce del suo Spirito.


Appunto tale lealtà e fortezza rappresenta l'avvio della Tradizione apostolica, onorata da san Gregorio Magno, secondo il quale non c'e da temere scandali quando è in pericolo la fede per il tradimento della verità: «Si tamen de veritate scandalum oritur, magis est sustinendum scandalum quam veritas relinquatur»1. La verità, appunto, è il primo e maggiore dono dell'amore fraterno, che non può avere un diverso fondamento perché non sia illusorio.
Ora, la reazione ad un'eventuale dottrina o comportamento errato di un qualsiasi membro della Gerarchia suppone necessariamente non un'opinione personale (sempre discutibile), ma la chiara e distinta conoscenza di quanto lo stesso Magistero ha sempre insegnato e i fedeli hanno sempre imparato e vissuto. Allora, la protesta, anche del più umile dei fedeli, più che un rimprovero, è il doveroso richiamo alla coerenza, dote insopprimibile di una Tradizione ininterrotta, che fa capo alla Parola di Cristo, udita e trasmessa dagli Apostoli e primaria fonte del Magistero.


In Ez lib. I, hom. 7, PL 76, 842, cit. da S. TOMMASO, Summa th. q. 42, a. 2, 1um. Nel commento alla lettera di S. Paolo ai Galati, I'Aquinate riprende l'argomento e, contro il parere di S. Girolamo a proposito del comportamento di Pietro, d'accordo con S. Agostino, ritiene che il dovere della verità prevale sul pericolo dello scandalo: "Veritas numquam dimittenda est propter timorem scandali" (in Gal 2, 11-14, lect. 3, n. 80). E tutto conferma precisando: "Veritas, maxime ubi periculum imminet, debet publicae praedicari nec fieri contrarium propter scandalum aliquorum" (iv., n. 83).


[...] Il dono della verità fondamentale rispetto a tutti gli altri offerto dalla Chiesa nel suo magistero è assicurato pienamente, certamente e definitivamente solo dal carisma dell'infallibilità, proprio del Papa quando insegna ex cathedra, fa proprie le definizioni di un Concilio ecumenico, approva dottrine universalmente e pacificamente condivise, riconosciute conformi alla Tradizione apostolica.


Ma, in altri contesti, lo stesso magistero pontificio ha i suoi limiti, oltre i quali non si può estendere. E allora che il Papa - che potrebbe errare quando insegna come dottore privato, esprimendo opinioni personali, rivolgendosi a particolari gruppi di fedeli... - venendo meno al suo dovere, delude i fedeli, che perciò restano dubbiosi, inquieti, divisi; per cui giustamente si lamentano, esigendo chiarezza e fermezza nel superamento d'ogni ambiguità, riguardo umano, ingenui e rischiosi tentativi d'ordine ecumenico, favorevoli a prevaricazioni dottrinali, alla diffusione dell'eresia.


Quanto ai limiti del magistero episcopale e presbiterale, la storia della Chiesa è eloquentissima, autorizzando a ritenere che i più numerosi e formidabili nemici della Chiesa sono stati membri del Clero. Spesso infatti, abusando del loro potere, hanno provocato nei fedeli una reazione solo apparentemente irrispettosa, perché si sono limitati a professare la vera fede, a difendere il culto e la morale, a richiamare il sacerdote alla coerenza, al doveroso rispetto di sé.
In alcuni casi, pertanto, il giudizio dei più retti non è arbitrario, avventato, animato da spirito di rivolta: esso si fonda esclusivamente sulla verità appresa dal Magistero, assorbita dalla grande Tradizione, dimostrata dall'eroico esempio dei Santi, dall'opera pastorale di vescovi e sacerdoti degnissimi.


Perciò, lo scontento dei fedeli è piuttosto indice della vitalità del Corpo mistico; ed è per questo che la decadenza della Chiesa si è dovuta attribuire troppe volte anche al silenzio, all'apatia, all'acquiescenza, alla timidezza, all'ignoranza di fedeli che non hanno osato opporsi a pastori indegni, arroganti, faziosi, moralmente corrotti, ecc., che s'imponevano in nome di Dio per promuovere i propri interessi, soddisfare volgari passioni... Anche i fedeli, allora, sono responsabili e quasi complici di scismi ed eresie, sommosse e scandali.


Testo integrale scaricabile in formato pdf



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/04/2009 11:39
 
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Dunque, il sacerdote deve dare, non ricevere. Dare non qualcosa di proprio, ma soltanto quel che a sua volta riceve da Cristo, non avendo nulla di suo...

Proprio ieri ho letto un libro recente “A tu per tu con il diavolo”: si tratta della testimonianza di una famiglia tormentata dal demonio. Apparentemente, non c’entra nulla col discorso attuale, ma ci sono alcuni spunti che meritano riflessione, proprio perché marito e moglie, i protagonisti della vessazione diabolica, si trovano di fronte a due tipologie di sacerdoti (vescovi compresi).

Dopo innumerevoli episodi di malattia che coinvolgono anche i loro bambini, qualcuno suggerisce l’intervento di un sacerdote. Ma i sacerdoti che si alternano nella storia, sono più di uno… Diciamo che ci sono sacerdoti anziani e sacerdoti giovani. Gli anziani subodorano la presenza del diavolo, quelli giovani ritengono che si tratti di disturbi nervosi.
Quelli anziani consigliano la preghiera costante, continua; uno dei giovani dice invece che non ha senso recitare cinquanta Ave Maria quando ne basta una sola se detta bene: questo giovane, è l’esorcista ufficiale nominato dal vescovo! Mai fatto un esorcismo, dice che il diavolo è un’immagine biblica superata dalla moderna esegesi e rimanda tutti allo psicanalista.

Il vescovo di questa diocesi considera la possessione un’eventualità “canonica” e, per questo, anziché nominare persone esperte, o nomina giovani preti “modernisti” o sacerdoti ottuagenari che, per motivi di salute, non possono condurre esorcismi, tanto il “prete giovane” manda tutti dallo psichiatra…
Ma c’è un altro vescovo, mons. Gemma, unico vescovo esorcista in Italia (ora in pensione) che continua a esercitare e si prende cura della famiglia…

La storia continua, ovviamente, ma rileviamo il fatto di un “doppio esercizio sacerdotale” che, purtroppo, non si limita ai soli casi di possessione.
Infatti, marito e moglie, nel libro che hanno scritto, rilevano che un atteggiamento ambiguo è anche relativo alla amministrazione sacramentale. Infatti, i sacerdoti di vecchio stampo, consigliano loro la confessione frequente come il primo degli esorcismi, i sacerdoti giovani, da bravi professionisti del perdono, esercitano su appuntamento e neanche a cadenze tanto frequenti…
Quelli anziani ed esperti usano frequentemente la benedizione delle persone e delle cose perché sanno che cose e persone sono sotto il dominio del principe del mondo.
Quelli giovani appaiono riluttanti a benedire nel nome del Signore, come se ogni benedizione costasse tot euro e loro la pagassero di tasca loro.


Mi fermo qui, visto che “anche” la questione del sacerdote entra in ballo.
Proviamo a traslare, infatti, i sacerdoti del libro nelle realtà che ci riguardano e vediamo quale siano i Padre Zoffoli e quali i “giovani relativisti del sacro”…

Chisolm


[SM=g1740722] [SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Bellissima riflessione di don Giovanni d'Ercole su questo Anniversario, che vi condivido di cuore...e che ben si inserisce dentro questo thread[SM=g1740722] 


Dopo avere varcato l'82˚genetliaco, Joseph Ratzinger inizia il quinto anno di pontificato. Smentendo ancora una volta coloro che non lo conoscevano, il peso della tiara non lo ha sfiancato e non gli sono mancate le energie per viaggi impegnativi come quello africano. Merito anche della prospettiva che trae dalla fede. Non dimentico l'espressione sorpresa quando gli chiesi se erano serene le sue notti da Cardinal Prefetto della Dottrina della fede. Allora infuriava la contestazione clericale e sul suo tavolo giungeva­no dossier inquietanti da ogni par­te del mondo. È con sorpresa, dun­que, che mi rispose: «Fatto l'esame di coscienza e recitate le mie pre­ghiere, perché non dovrei dormire tranquillo? Se mi agitassi, non prenderei sul serio il Vangelo che ci ricorda, senza complimenti, che ciascuno di noi non è che un 'ser­vo inutile'. Dobbiamo fare sino in fondo il nostro dovere, ma consa­pevoli che la Chiesa non è nostra , la Chiesa è di quel Cristo che vuole usarci come strumenti ma che ne resta pur sempre il Signore e la gui­da. A noi sarà chiesto conto dell'im­pegno, non dei risultati».

È con questo stesso spirito che ha accettato il peso del pontificato: per obbedienza, per amore della Chiesa, così come, ancor giovane professore, aveva sofferto ma non si era lagnato quando Paolo VI lo aveva strappato alla sua amata uni­versità per metterlo alla guida del­la grande diocesi di Monaco di Ba­viera. Passando, nell'aprile del 2005, alla nuova scrivania - poche centinaia di metri, in linea d'aria, da quella occupata per 24 anni ­non ha cambiato il suo stile, con­trassegnato dalla costanza e dalla pazienza, su uno sfondo molto te­desco di serietà, di precisione, di senso del dovere. Il programma lo aveva già chiaramente manifestato sin dal 1985 con il suo Rapporto sulla fede: una «riforma della rifor­ma », con il ritorno al Vaticano II «vero», non a quello immaginario dei sedicenti, vociferanti progressi­sti. Fedeltà piena alla lettera dei do­cumenti del Concilio, non a un pre­sunto, imprecisato «spirito del Concilio»: dunque, continuità, non rottura, nella storia della Chie­sa, per la quale non c'è un prima e un dopo.

Un obiettivo chiaro, perseguito innanzitutto come principale consi­gliere teologico di Giovanni Paolo II che però, talvolta, non fu del tut­to in sintonia con lui. La leale ami­cizia tra i due, divenuta presto af­fetto, non impedì la perplessità del Cardinale per alcune iniziative co­me le parate sincretiste di Assisi , le richieste di scuse per le colpe dei morti, la moltiplicazione dei viaggi a spese del governo quotidiano del­la Chiesa, l'eccesso di beatificazio­ni e canonizzazioni, la spettacola­rizzazione di momenti religiosi, magari con rockstar sul palco papa­le e la scelta di paramenti liturgici secondo le indicazioni dei registi televisivi. Pianto, con dolore sincero, l'ami­co venerato, presone il posto, pur senza averlo auspicato, divenuto dunque Benedetto XVI, Joseph Rat­zinger ha continuato il suo lavoro paziente. Un aggettivo che non usiamo a caso. In effetti, la pazien­za lo contrassegna da sempre: per rispetto delle persone; per reali­smo da cristiano che sa quale lun­ga tenacia sia necessaria per modi­ficare le cose; per consapevolezza che la Chiesa ha per sé tutta la sto­ria e i suoi ritmi non sono quelli del «mondo».

Così, sono stati spiazzati coloro che temevano o, al contrario, auspicavano una sorta di blitz in quella liturgia la cui «ri­forma della riforma» era, stando al Ratzinger cardinale, tra le cose più necessarie e magari urgenti. La sua «rivoluzione tranquilla» è comin­ciata non con qualche decreto per la Chiesa universale ma con la so­stituzione del Maestro delle Ceri­monie pontificie, scegliendo un li­turgista a lui congeniale: così, pri­ma che con gli ordini, il ritorno a riti nella linea della Tradizione sa­rebbe cominciata con l'esempio che scende dall'alto. Se celebra co­sì il Papa, non dovranno, prima o poi, adeguarsi anche il vescovo e il parroco? Pazienza, e prudenza, an­che per la lingua liturgica, non sconvolgendo i messali ma facen­do convivere il latino accanto ai volgari, testimoniando anche così che il Vaticano II non è stato in rot­tura con la Tradizione e che san Pio V non fu meno cattolico di Pao­lo VI.

Altrettanta pazienza nei confron­ti della Nomenklatura ecclesiale: es­sa pure non è stata sconvolta, ma all'osservatore attento non sfuggo­no sostituzioni e nomine che rive­lano una strategia prudente e al contempo incisiva. Poco, comun­que, si capirebbe di questo pontifi­cato se non si mettesse in conto che, per Joseph Ratzinger, proble­ma dei problemi non è la «macchi­na » ecclesiale ma il carburante; non è il Palazzo, sono le fondamen­ta. È, cioè, quella fede che sa minac­ciata alla radice, quella fede che molti credono incapace di reggere all'assalto della ragione, quella fe­de assediata da ogni lato dal dub­bio.

La crisi, più che della istituzio­ne, è della verità del Vangelo che la sorregge e le dà senso. Come mi disse una volta: «Siamo ormai a un punto in cui io stesso mi sorpren­do di chi continua a credere, non di chi non crede». Constatazione drammatica, che fa da sfondo a un pontificato il cui centro, non a ca­so, è la ricerca ( paziente...) di un nuovo rapporto tra la ragione mo­derna e la fede antica.



Tratta dalla sua nota di Facebook di don Giovanni d'Ercole[SM=g1740721]


[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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