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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Le Confessioni di sant'Agostino

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2021 16:29
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Sesso: Femminile
10/01/2021 13:21
 
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Ricerca di Dio oltre la memoria
17. 26. La facoltà della memoria è grandiosa. Ispira quasi un senso di terrore, Dio mio, la sua infinita e profonda complessità. E ciò è lo spirito, e ciò sono io stesso. Cosa sono dunque, Dio mio? Qual è la mia natura? Una vita varia, multiforme, di un'immensità poderosa. Ecco, nei campi e negli antri, nelle caverne incalcolabili della memoria, incalcolabilmente popolate da specie incalcolabili di cose, talune presenti per immagini, come è il caso di tutti i corpi, talune proprio in sé, come è il caso delle scienze, talune attraverso indefinibili nozioni e notazioni, come è il caso dei sentimenti spirituali, che la memoria conserva anche quando lo spirito più non li prova, sebbene essere nella memoria sia essere nello spirito; per tutti questi luoghi io trascorro, ora a volo qua e là, ora penetrandovi anche quanto più posso, senza trovare limiti da nessuna parte, tanto grande è la facoltà della memoria, e tanto grande la facoltà di vivere in un uomo, che pure vive per morire. Che devo fare dunque, o tu, vera vita mia, Dio mio? Supererò anche questa mia facoltà, cui si dà il nome di memoria, la supererò, per protendermi verso di te, dolce lume 54. Che mi dici? Ecco, io, elevandomi per mezzo del mio spirito sino a te fisso sopra di me, supererò anche questa mia facoltà, cui si dà il nome di memoria, nell'anelito di coglierti da dove si può coglierti, e di aderire a te da dove si può aderire a te. Hanno infatti la memoria anche le bestie e gli uccelli, altrimenti non ritroverebbero i loro covi e i loro nidi e le molte altre cose ad essi abituali, poiché senza memoria non potrebbero neppure acquistare un'abitudine. Supererò, dunque, anche la memoria per cogliere Colui, che mi distinse dai quadrupedi e mi fece più sapiente dei volatili del cielo. Supererò anche la memoria, ma per trovarti dove, o vero bene, o sicura dolcezza, per trovarti dove? Trovarti fuori della mia memoria, significa averti scordato. Ma neppure potrei trovarti, se non avessi ricordo di te.


Memoria e oblio
18. 27. La donna che perse la dracma e la cercò con la lucerna, non l'avrebbe trovata 55, se non ne avesse avuto il ricordo. Trovandola, come avrebbe saputo che era la sua dracma, se non ne avesse avuto il ricordo? Molti oggetti ricordo di aver perso anch'io, cercato e trovato; e so pure che, mentre ne cercavo qualcuno, se mi si chiedeva: "È forse questo?", "È forse quello?", continuavo a rispondere di no, finché mi veniva presentato quello che cercavo. Se non avessi avuto il ricordo di quale era, quand'anche mi fosse stato presentato, non l'avrei ritrovato, poiché non l'avrei riconosciuto. Avviene sempre così, ogni volta che perdiamo e cerchiamo e troviamo qualcosa. Se mai qualcosa, ad esempio un qualsiasi oggetto visibile, scompare dai nostri occhi, ma non dalla nostra memoria, la sua immagine si conserva dentro di noi, e noi cerchiamo finché sia restituito alla nostra vista. Trovatolo, lo riconosciamo in base all'immagine interiore, né diremmo di aver trovato l'oggetto scomparso 56, se non lo riconoscessimo, né potremmo riconoscerlo, se non lo ricordassimo. L'oggetto era perduto, sì, per gli occhi, ma conservato dalla memoria.


Ricordi perduti nella memoria
19. 28. Ma quando è la memoria a perdere qualcosa, come avviene allorché dimentichiamo e cerchiamo di ricordare, dove mai cerchiamo, se non nella stessa memoria? Ed è lì che, se per caso ci si presenta una cosa diversa, la respingiamo, finché capita quella che cerchiamo. E quando capita, diciamo: "È questa", né diremmo così senza riconoscerla, né la riconosceremmo senza ricordarla. Dunque ce n'eravamo davvero dimenticati. O forse non ci era caduta per intero dalla mente e noi, con la parte che serbavamo, andavamo in cerca dell'altra parte, quasi che la memoria, sentendo di non sviluppare tutt'insieme ciò che soleva ricordare insieme, e zoppicando, per così dire, con un moncone d'abitudine, sollecitasse la restituzione della parte mancante? Così, quando rivediamo con gli occhi o ripensiamo con la mente una persona nota, ma ne cerchiamo il nome dimenticato, qualunque altro se ne presenti, non lo colleghiamo con quella persona, perché non avevamo l'abitudine di pensarlo con lei. Quindi lo respingiamo, finché ci si presenta quello, che soddisfa pienamente la nozione della persona ormai ad esso congiunta. Ma donde si presenta un tal nome, se non dalla stessa memoria? Anche nel caso che altri ce lo suggeriscano, e così lo riconosciamo, si presenta pure di là. Non è una cosa nuova, alla quale prestiamo fede, ma un ricordo che torna, per il quale confermiamo che è proprio il nome che ci fu detto. Se invece si fosse cancellato del tutto dal nostro spirito, nessun suggerimento ce lo farebbe ricordare. Infatti una cosa, di cui ricordiamo almeno di averla dimenticata, non è ancora dimenticata del tutto. Dimenticata del tutto, non potremmo dunque neppure cercare una cosa perduta.


Ricerca di Dio, ricerca di felicità
20. 29. Come ti cerco dunque, Signore? Cercando te, Dio mio, io cerco la felicità della vita. Ti cercherò perché l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la mia anima vive di te. Come cerco dunque la felicità? Non la posseggo infatti, finché non dico: "Basta, è lì". E qui bisogna che dica come la cerco: se mediante il ricordo, quasi l'abbia dimenticata ma ancora conservi il ricordo di averla dimenticata, oppure mediante l'anelito di conoscere una felicità ignota perché mai conosciuta o perché dimenticata al punto di non ricordare neppure d'averla dimenticata. La felicità della vita non è proprio ciò che tutti vogliono e nessuno senza eccezioni non vuole? Dove la conobbero per volerla così? dove la videro per amarla? Certo noi la possediamo in qualche modo. C'è il modo di chi la possiede, e allora è felice, e c'è chi è felice per la speranza di possederla. I secondi la posseggono in modo inferiore ai primi, felici già per la padronanza della felicità; tuttavia stanno meglio di altri, non felici né per padronanza né per speranza. Però nemmeno questi ultimi desidererebbero tanto la felicità, se non la possedessero in qualche modo; che la desiderino, è certissimo. Non so come, la conobbero, e perciò, perché la conoscono, la posseggono, in una forma a me sconosciuta, che mi travaglio di conoscere. È forse nella memoria? Se lì, ci fu già un tempo, in cui fummo felici; se ciascuno individualmente, o nella persona del primo peccatore in cui tutti siamo morti e da cui tutti siamo nati infelici 57, non cerco ora di sapere. Ora cerco di sapere se la felicità si trova nella memoria. Certo, se non la conoscessimo, non l'ameremmo. All'udirne il nome tutti confessiamo di desiderarla in se stessa, e non è il suono della parola che ci rallegra. Non si rallegra un greco quando l'ode pronunciare in latino, poiché non comprende ciò che viene detto, mentre noi ci rallegriamo, come si rallegra lo stesso greco all'udirlo in greco, poiché la cosa in se stessa non è greca né latina, ed è la cosa, che greci e latini e popoli di ogni altra lingua cercano avidamente. L'umanità intera la conosce. Se si potesse chiederle con una sola parola se vuol essere felice, non v'è dubbio che risponderebbe di sì. Il che non accadrebbe, se appunto la cosa che la parola designa non si conservasse nella memoria.


Il ricordo della felicità
21. 30. È un ricordo simile a quello che ha di Cartagine chi vide questa città? No, perché la felicità, non essendo corporea, non si vede con gli occhi. È simile al ricordo che abbiamo dei numeri? Nemmeno, perché chi ha la nozione dei numeri non cerca ancora di possederli, mentre la nozione che abbiamo della felicità ce la fa anche amare, e tuttavia cerchiamo ancora di possederla per essere felici. È simile al ricordo che abbiamo dell'eloquenza? Nemmeno, perché se, a udirne il nome, anche le persone non ancora eloquenti ricordano cosa designa, e se molti desiderano essere eloquenti, così dimostrando di avere nozione dell'eloquenza, tuttavia costoro percepirono l'eloquenza in altri mediante i sensi del corpo, ne provarono godimento, e quindi desiderano essere eloquenti; però senza una nozione interiore non potrebbero provare godimento, e senza godimento non potrebbero desiderare di essere eloquenti. Ma la felicità non la conosciamo negli altri mediante i sensi del corpo. È simile allora al ricordo che abbiamo della gioia? Forse sì. Delle mie gioie ho il ricordo anche nella tristezza, e così della felicità nell'afflizione. Eppure non ho mai visto o udito o fiutato o gustato o toccato questa gioia con i sensi del corpo, bensì l'ho sperimentata nel mio animo quando mi sono rallegrato. La sua nozione penetrò nella mia memoria affinché potessi ricordarla, ora con disdegno, ora con desiderio, secondo i diversi motivi per cui ricordo di aver gioito. Se mi pervase la gioia per motivi abietti, ora il suo ricordo mi è detestabile ed esecrabile; se per motivi buoni e onesti, la rievoco con rimpianto, anche se per caso essi mancano. Di qui la triste rievocazione della gioia antica.


Desiderio universale della felicità
21. 31. Dove dunque e quando ho sperimentato la mia felicità, per poterla ricordare e amare e desiderare? Né soltanto io, o pochi uomini con me vogliono essere felici, bensì tutti lo vogliono 58. Ora, senza conoscere ciò di una conoscenza precisa non lo vorremmo di una volontà così decisa. Ma, che è ciò? 59. Chiedi a due persone se vogliono fare il soldato, e può accadere che l'una risponda di sì, l'altra di no; ma chiedi loro se vogliono essere felici, ed ambedue ti risponderanno all'istante, senza ombra di dubbio, che sì; anzi, lo scopo per cui l'una vuole fare il soldato, l'altra no, è soltanto la felicità. Poiché l'una trae godimento da una condizione, l'altra dall'altra. Così tutti concordano nel desiderare la felicità, come concorderebbero nel rispondere a chi chiedesse loro se desiderano godere. Il godimento è appunto ciò che chiamiamo felicità della vita: l'uno lo ricerca bensì da una parte, l'altro dall'altra, ma tutti tendono a un'unica meta, di godere. E siccome il gaudio è un sentimento che nessuno può dire di non avere mai sperimentato, perciò lo si ritrova nella memoria e perciò lo si riconosce all'udire il nome della felicità.


Dio godimento dei suoi servi
22. 32. Lontano, Signore, lontano dal cuore del tuo servo che si confessa a te, lontano il pensiero che qualsiasi godimento possa rendermi felice. C'è un godimento che non è concesso agli empi, ma a coloro che ti servono per puro amore, e il loro godimento sei tu stesso. E questa è la felicità, godere per te, di te, a causa di te; fuori di questa non ve n'è altra. Chi crede ve ne sia un'altra, persegue un altro godimento, non il vero. Tuttavia da una certa immagine di godimento la loro volontà non si distoglie.


Amore universale per la verità
23. 33. Dunque non è certo che tutti vogliono essere felici: quanti non cercano il godimento di chi, come te, è l'unica felicità della vita, in realtà non vogliono la felicità. O forse tutti la vogliono, ma, poiché le brame della carne sono opposte allo spirito, e quelle dello spirito alla carne, sì che non fanno ciò che vogliono 60, cadono là dove possono, e ne sono paghi, perché ciò che non possono, non lo vogliono quanto occorrerebbe per volerlo? Chiedo a tutti: "Preferite godere della verità o della menzogna?". Rispondono di preferire la verità, con la stessa risolutezza con cui affermano di voler essere felici. Già, la felicità della vita è il godimento della verità, cioè il godimento di te, che sei la verità 61, o Dio, mia luce 62, salvezza del mio volto, Dio mio 63. Questa felicità della vita vogliono tutti, questa vita che è l'unica felicità vogliono tutti, il godimento della verità vogliono tutti. Ho conosciuto molte persone desiderose di ingannare; nessuna di essere ingannata. Dove avevano avuto nozione della felicità, se non dove l'avevano anche avuta della verità? Amano la verità, poiché non vogliono essere ingannate; e amando la felicità, che non è se non il godimento della verità, amano certamente ancora la verità, né l'amerebbero senza averne una certa nozione nella memoria. Perché dunque non ne traggono godimento? Perché non sono felici? Perché sono più intensamente occupati in altre cose, che li rendono più infelici di quanto non li renda felici questa, di cui hanno un così tenue ricordo. C'è ancora un po' di luce fra gli uomini. Camminino, camminino dunque, per non essere sorpresi dalle tenebre 64.

23. 34. Ma perché la verità genera odio 65, e l'uomo che predica il vero in tuo nome diventa per loro un nemico 66, mentre amano pure la felicità, che non è se non il godimento della verità? In realtà l'amore della verità è tale, che quanti amano un oggetto diverso pretendono che l'oggetto del loro amore sia la verità; e poiché detestano di essere ingannati, detestano di essere convinti che s'ingannano. Perciò odiano la verità: per amore di ciò che credono verità. L'amano quando splende, l'odiano quando riprende 67. Non vogliono essere ingannati e vogliono ingannare, quindi l'amano allorché si rivela, e l'odiano allorché li rivela. Questo il castigo con cui li ripagherà: come non vogliono essere scoperti da lei, lei contro il loro volere scoprirà loro, rimanendo a loro coperta. Così, così, persino così cieco e debole, volgare e deforme è l'animo umano: vuole rimanere occulto, ma a sé non vuole che rimanga occulto nulla. E viene ripagato con la condizione opposta: non rimane lui occulto alla verità, ma la verità rimane occulta a lui. Eppure anche in questa condizione infelice preferisce il godimento della verità a quello della menzogna. Dunque sarà felice allorché senza ostacoli né turbamento godrà dell'unica Verità, grazie alla quale sono vere tutte le cose.


Presenza di Dio nella memoria
24. 35. Ecco quanto ho spaziato nella mia memoria alla tua ricerca, Signore; e fuori di questa non ti ho trovato. Nulla, di ciò che di te ho trovato dal giorno in cui ti conobbi, non fu un ricordo; perché dal giorno in cui ti conobbi, non ti dimenticai. Dove ho trovato la verità, là ho trovato il mio Dio, la Verità persona 68; e non ho dimenticato la Verità dal giorno in cui la conobbi. Perciò dal giorno in cui ti conobbi, dimori nella mia memoria, e là ti trovo ogni volta che ti ricordo e mi delizio di te. È questa la mia santa delizia, dono della tua misericordia, che ebbe riguardo per la mia povertà 69.


Sede di Dio nella memoria
25. 36. Ma dove dimori nella mia memoria, Signore, dove vi dimori? Quale stanza ti sei fabbricato, quale santuario ti sei edificato? Hai concesso alla mia memoria l'onore di dimorarvi, ma in quale parte vi dimori? A ciò sto pensando. Cercandoti col ricordo, ho superato le zone della mia memoria che possiedono anche le bestie, poiché non ti trovavo là, fra immagini di cose corporee. Passai alle zone ove ho depositato i sentimenti del mio spirito, ma neppure lì ti trovai. Entrai nella sede che il mio spirito stesso possiede nella mia memoria, perché lo spirito ricorda anche se medesimo, ma neppure là tu non eri, poiché, come non sei immagine corporea né sentimento di spirito vivo, quale gioia, tristezza, desiderio, timore, ricordo, oblio e ogni altro, così non sei neppure lo spirito stesso, essendo il Signore e Dio dello spirito, e mutandosi tutte queste cose, mentre tu rimani immutabile al di sopra di tutte le cose. E ti sei degnato di abitare nella mia memoria dal giorno in cui ti conobbi! Perché cercare in quale luogo vi abiti? come se colà vi fossero luoghi. Vi abiti certamente, poiché io ti ricordo dal giorno in cui ti conobbi, e ti trovo nella memoria ogni volta che mi ricordo di te.


La conoscenza di Dio
26. 37. Dove dunque ti trovai, per conoscerti? Certo non eri già nella mia memoria prima che ti conoscessi. Dove dunque ti trovai, per conoscerti, se non in te, sopra di me? Lì non v'è spazio dovunque: ci allontaniamo, ci avviciniamo, e non v'è spazio dovunque. Tu, la Verità, siedi alto sopra tutti coloro che ti consultano e rispondi contemporaneamente a tutti coloro che ti consultano anche su cose diverse. Le tue risposte sono chiare, ma non tutti le odono chiaramente. Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello che non mira a udire da te ciò che vuole, ma a volere piuttosto ciò che da te ode.


L'incontro con Dio
27. 38. Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai 70 e ho fame e sete 71; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.

Le presenti condizioni del suo spirito
La vita umana sulla terra
28. 39. Quando mi sarò unito a te 72 con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena 73 dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te. Tu sollevi chi riempi; io ora, non essendo pieno di te, sono un peso per me; le mie gioie, di cui dovrei piangere, contrastano le afflizioni, di cui dovrei gioire, e non so da quale parte stia la vittoria; le mie afflizioni maligne contrastano le mie gioie oneste, e non so da quale parte stia la vittoria. Ahimè, Signore, abbi pietà di me! 74. Ahimè! Vedi che non nascondo le mie piaghe. Tu sei medico, io sono malato; tu sei misericordioso, io sono misero. Non è, forse, la vita umana sulla terra una prova 75? Chi vorrebbe fastidi e difficoltà? Il tuo comando è di sopportarne il peso, non di amarli. Nessuno ama ciò che sopporta, anche se ama di sopportare; può godere di sopportare, tuttavia preferisce non avere nulla da sopportare. Nelle avversità desidero il benessere, nel benessere temo le avversità. Esiste uno stato intermedio fra questi due, ove la vita umana non sia una prova? Esecrabili le prosperità del mondo, una e due volte esecrabili per il timore dell'avversità e la contaminazione della gioia. Esecrabili le avversità del mondo, una e due e tre volte esecrabili per il desiderio della prosperità e l'asprezza dell'avversità medesima e il pericolo che spezzi la nostra sopportazione. La vita umana sulla terra non è dunque una prova ininterrotta?


Il comando di Dio: la continenza
29. 40. Ogni mia speranza è posta nell'immensa grandezza della tua misericordia. Dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. Ci comandi la continenza e qualcuno disse: "Conscio che nessuno può essere continente se Dio non lo concede, era già un segno di sapienza anche questo, di sapere da chi ci viene questo dono" 76. La continenza in verità ci raccoglie e riconduce a quell'unità che abbiamo lasciato disperdendoci nel molteplice. Ti ama meno chi ama altre cose con te senza amarle per causa tua. O amore, che sempre ardi senza mai estinguerti, carità, Dio mio, infiammami. Comandi la continenza. Ebbene, dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi.


A) La concupiscenza della carne:
a) il senso;
30. 41. Mi comandi certamente di astenermi dai desideri della carne e dai desideri degli occhi e dall'ambizione del mondo 77. Comandasti l'astensione dal concubinato, ma anche a proposito del matrimonio indicasti una condizione migliore di quella lecita 78; e poiché me ne desti la grazia, fu la mia condizione ancora prima che diventassi dispensatore del tuo sacramento. Sopravvivono però nella mia memoria, di cui ho parlato a lungo, le immagini di questi diletti, che vi ha impresso la consuetudine. Vi scorrazzano fievoli mentre sono desto; però durante il sonno non solo suscitano piaceri, ma addirittura consenso e qualcosa di molto simile all'atto stesso. L'illusione di questa immagine nella mia anima è cosi potente sulla mia carne, che false visioni m'inducono nel sonno ad atti, cui non m'induce la realtà nella veglia. In quei momenti, Signore Dio mio, non sono forse più io? Eppure sono molto diverso da me stesso nel tempo in cui passo dalla veglia al sonno e finché torno dal sonno alla veglia. Dov'è allora la ragione, che durante la veglia mi fa resistere a quelle suggestioni e rimanere incrollabile all'assalto della stessa realtà? Si rinserra con gli occhi, si assopisce con i sensi del corpo? Ma allora da dove nasce la resistenza che spesso opponiamo anche nel sonno, quando, memori del nostro proposito, vi rimaniamo immacolatamente fedeli e non accordiamo l'assenso ad alcuna di tali seduzioni? In verità sono due stati tanto diversi, che anche nel primo caso la nostra coscienza al risveglio torna in pace, e la stessa distanza fra i due stati ci fa riconoscere che non abbiamo compiuto noi quanto in noi si è compiuto comunque, con nostro rammarico.

30. 42. La tua mano, Dio onnipotente, è forse impotente a guarire tutte le debolezze 79 della mia anima, a estinguere con un fiotto più abbondante di grazia i miei moti lascivi anche nel sonno? Moltiplicherai vieppiù, Signore, i tuoi doni in me, affinché la mia anima, sciolta dal vischio della concupiscenza, mi segua fino a te; affinché non si ribelli a se stessa; affinché anche nel sonno non solo non commetta turpitudini così degradanti, ove immaginazioni bestiali scatenano gli umori della carne, ma neppure vi consenta. Far sì che non vi provi alcuna attrazione, o così lieve da poterla comprimere col più lieve cenno della volontà, con la sola intenzione casta con cui ci si mette a letto in questa vita, e per di più a questa età, non è gran cosa per la tua onnipotenza: tu puoi superare quanto chiediamo e comprendiamo 80. Ora ho esposto al mio buon Signore, con esultanza e insieme apprensione 81 per i tuoi doni, con lacrime per le mie imperfezioni, il punto ove mi trovo tuttora per questo aspetto del mio male. Ma spero che tu perfezionerai in me le tue misericordie 82, finché io abbia la pace piena, che possederà con te il mio essere interiore ed esteriore quando la morte sarà stata assorbita nella vittoria 83.

b) il gusto;
31. 43. Un'altra malizia l'ha il giorno, e volesse il cielo che questa gli bastasse 84! Noi restauriamo i danni che ogni giornata infligge al corpo, con cibo e bevanda, finché tu distruggerai e cibo e ventre 85, estinguendo il mio bisogno con una meravigliosa sazietà e rivestendo questo corpo corruttibile di un'incorruttibilità sempiterna 86. Per ora mi è dolce questa necessità e lotto 87 contro la sua dolcezza per non caderne prigioniero, combatto una guerra quotidiana attraverso digiuni 88, riducendo di solito il mio corpo in schiavitù 89, e scaccio i miei dolori col piacere. Infatti la fame e la sete sono anch'esse una sorta di dolore, bruciano e uccidono come la febbre, se non intervenga il rimedio del cibo; e poiché il rimedio è a portata di mano grazie al conforto dei tuoi doni, in cui terra, acqua e cielo lavorano per la nostra debolezza, questa sventura si chiama delizia.

31. 44. Tu mi hai insegnato ad accostarmi agli alimenti per prenderli come medicamenti. Senonché, nel passare dalla molestia del bisogno all'appagamento della sazietà, proprio al passaggio mi attende, insidioso, il laccio della concupiscenza. Il passaggio stesso è un piacere e non ve n'è altro per passare ove ci costringe a passare il bisogno. Sebbene io mangi e beva per la mia salute, vi si aggiunge come ombra una soddisfazione pericolosa, che il più delle volte cerca di precedere, in modo da farmi compiere per essa ciò che dico e voglio fare per salute. La misura non è la stessa nei due casi: quanto basta per la salute è poco per il piacere, e spesso non si distingue se è la cura indispensabile del corpo, che ancora chiede un soccorso, o la soddisfazione ingannevole della gola, che, sotto, richiede un servizio. La nostra povera anima esulta dell'incertezza e predispone in questa la difesa di una scusa, lieta che non sia manifesto quanto basta a una vita normalmente sana. Così sotto il velo della salute si occultano i traffici del piacere. A queste tentazioni mi sforzo quotidianamente di resistere, invocando l'aiuto della tua mano, e riferisco a te i miei turbamenti, poiché il mio giudizio su questo punto non è ancora sicuro.

31. 45. Odo la parola del mio Signore, che mi comanda: Non lasciate appesantire i vostri cuori nella crapula e nell'ubriachezza 90. L'ubriachezza è lontano da me: la tua misericordia non le permetterà di avvicinarsi. La crapula invece s'insinua talvolta nel tuo servo: la tua misericordia la spingerà lontano da me. Nessuno può essere continente se tu non lo concedi 91. Molte grazie accordi alle nostre preghiere; anche quelle che abbiamo ricevute prima di pregare sono un dono tuo, ed anche il riconoscerle dopo averle ricevute è un dono tuo. Io non fui mai dedito al vino, ho però visto persone dedite al vino, divenire sobrie per opera tua. Dunque avvenne per opera tua che alcuni non fossero ciò che mai furono come avvenne per opera tua che altri non fossero sempre ciò che furono, e ancora per opera tua che i primi come i secondi sapessero chi operava in loro. Ho udito un'altra tua parola: Non correre dietro alle tue brame e non concederti ciò che ti dà piacere 92. E anche questa ho udito per tua bontà, che molto mi è cara: Né il mangiare ci darà abbondanza, né il non mangiare scarsità 93, ossia né l'uno mi renderà ricchissimo, né l'altro poverissimo. Ne ho udito un'altra ancora: Imparai infatti a bastarmi con ciò che ho, e appresi a vivere nell'abbondanza come appresi a tollerare la penuria. Tutto posso in Colui che mi fortifica 94. Questo sì è un soldato della milizia celeste, e non polvere come siamo noi. Ricordati, Signore, che siamo polvere 95, e con la polvere hai creato l'uomo 96, e si era perduto e fu ritrovato 97. Neppure l'Apostolo trovò in sé il suo potere, essendo polvere anch'egli, ma il tuo soffio gli ispirò le parole che tanto amo, quando disse: Tutto posso in colui che mi fortifica. Fortificami, affinché io sia potente; dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. Quest'uomo riconosce i doni ricevuti, e, se si gloria, si gloria nel Signore 98; da un altro udii chiedere questa grazia: Toglimi la concupiscenza del ventre 99. Ne risulta, santo Dio mio, che è un dono tuo, se facciamo ciò che ordini di fare.

31. 46. Tu, Padre buono, mi insegnasti che tutto è puro per i puri 100, ma fa male un uomo a mangiare con scandalo degli altri 101; che ogni tua creatura è buona, e non si deve respingere nulla di ciò che si prende rendendo grazie 102; che non è l'alimento a raccomandarci a Dio 103; che nessuno ci deve giudicare dal cibo o dalla bevanda che prendiamo 104, e chi mangia non deve disprezzare chi non mangia, come chi non mangia non deve giudicare chi mangia 105. Ora lo so, e ti siano rese grazie e lodi, Dio mio, mio maestro, per aver bussato alle mie orecchie 106 e illuminato la mia intelligenza. Liberami da ogni tentazione 107. Io non temo l'impurità delle vivande, temo l'impurità del desiderio. So che a Noè fu permesso di mangiare ogni genere di carne commestibile 108, che Elia si rimise in forza mangiando carne 109, che Giovanni, pur dotato di un'austerità meravigliosa, non fu contaminato dagli animali, ossia dalle locuste, impiegati come cibo 110; ma so pure che Esaù fu vittima della brama di lenticchie 111, che Davide si rimproverò di aver desiderato dell'acqua 112, e il nostro Re fu tentato non già con carne, ma con pane 113. Perciò anche il popolo nel deserto meritò un rimprovero non per aver desiderato della carne, ma perché nel suo desiderio di cibo mormorò contro il Signore 114.

31. 47. Assediato da queste tentazioni, lotto ogni giorno contro la concupiscenza del cibo e della bevanda. Qui non è possibile che decida di troncare tutto una volta per sempre e non tornarvi più in avvenire, come potei fare per i piaceri venerei. Devo invece tenere sulla mia gola un morso, allentandolo o stringendolo moderatamente. Ma chi, Signore, non viene trascinato qualche volta oltre il traguardo del necessario? Se c'è qualcuno, è magnanimo e magnifichi il tuo nome 115. Certo non sono io, perché sono un uomo peccatore 116. Magnifico ugualmente il tuo nome, e intercede presso di te per i miei peccati 117 chi vinse il secolo 118, enumerandomi fra le membra inferme del suo corpo 119. I tuoi occhi videro infatti le sue imperfezioni, e tutti saranno iscritti nel tuo libro 120.

c) l'odorato;
32. 48. L'attrazione dei profumi non mi preoccupa troppo. Assenti, non li ricerco; presenti, non li rifiuto, disposto a farne a meno anche per sempre. Così mi pare; forse sbaglio, poiché sono circondato da queste tenebre deplorevoli, che mi nascondono le mie reali capacità. Così, quando il mio spirito s'interroga sulle proprie forze, dubita di potersi fidare di se medesimo, poiché il suo intimo rimane più spesso ignoto, se non lo rivela l'esperienza, e nessuno deve sentirsi sicuro in questa vita, che fu definita tutta una prova 121. Chi poté diventare da peggiore migliore, può anche ridiventare da migliore peggiore. Sola speranza, sola fiducia, sola promessa salda la tua misericordia.

d) l'udito;
33. 49. I piaceri dell'udito mi hanno impigliato e soggiogato più tenacemente, ma tu me ne hai sciolto e liberato. Fra le melodie che vivificano le tue parole, quando le canta una voce soave ed educata, ora poso, lo confesso, un poco, ma non al punto di rimanervi inchiodato, cosicché mi rialzo quando voglio. Tuttavia per entrare nel mio cuore insieme ai concetti che le animano, vi esigono un posto non indegno, e io difficilmente offro quello conveniente. Talvolta mi sembra di attribuire ad esse un rispetto eccessivo, eppure sento che, cantate a quel modo, le stesse parole sante stimolano il nostro animo a un più pio, a un più ardente fervore di pietà, che se non lo fossero; tutta la scala dei sentimenti della nostra anima trova nella voce e nel canto il giusto temperamento e direi un'arcana, eccitante corrispondenza. Ma spesso il piacere dei sensi fisici, cui non bisogna permettere di sfibrare lo spirito, mi seduce: quando la sensazione, nell'accompagnare il pensiero, non si rassegna a rimanere seconda, ma, pur debitrice a quello di essere accolta, tenta addirittura di precederlo e guidarlo. Qui pecco senza avvedermene, e poi me ne avvedo.

33. 50. Talora esagero invece nella cautela contro questo tranello e pecco per eccesso di severità, ma molto raramente. Allora rimuoverei dalle mie orecchie e da quelle della stessa Chiesa ogni melodia delle soavi cantilene con cui si accompagnano abitualmente i salmi davidici; e in quei momenti mi sembra più sicuro il sistema, che ricordo di aver udito spesso attribuire al vescovo alessandrino Atanasio: questi faceva recitare al lettore i salmi con una flessione della voce così lieve, da sembrare più vicina a una declamazione che a un canto. Quando però mi tornano alla mente le lacrime che canti di chiesa mi strapparono ai primordi nella mia fede riconquistata, e alla commozione che ancor oggi suscita in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la grande utilità di questa pratica. Così ondeggio fra il pericolo del piacere e la constatazione dei suoi effetti salutari, e inclino piuttosto, pur non emettendo una sentenza irrevocabile, ad approvare l'uso del canto in chiesa, con l'idea che lo spirito troppo debole assurga al sentimento della devozione attraverso il diletto delle orecchie. Ciò non toglie che quando mi capita di sentirmi mosso più dal canto che dalle parole cantate, confessi di commettere un peccato da espiare, e allora preferirei non udir cantare. Ecco il mio stato. Piangete dunque con me e per me piangete voi che in cuore avete con voi del bene e lo traducete in opere: perché voi che non ne avete, non vi sentite toccare da queste parole. E tu, Signore Dio mio, esaudiscimi, guarda e vedi e commisera e guariscimi 122. Sono diventato per me sotto i tuoi occhi un problema, e questa appunto è la mia debolezza 123.

e) la vista.
34. 51. Rimane il piacere di questi occhi della mia carne. Ne farò una confessione, che vorrei giungesse alle orecchie del tuo tempio 124, orecchie fraterne e pietose. Così concluderemo le tentazioni della concupiscenza carnale 125 che ancora mi assalgono, mentre gemo e desidero essere rivestito della mia abitazione celeste 126. Gli occhi amano le forme belle e varie, i colori nitidi e ridenti. Ma non avvincano questi oggetti la mia anima. L'avvinca Dio, che fece sì questi oggetti buoni assai 127, ma è lui solo il mio bene, non essi. Per tutto il giorno, finché ho gli occhi aperti, mi raggiungono senza darmi tregua, mentre me ne dànno le voci che cantano e talora, nel silenzio, tutte le voci. La regina stessa dei colori, la luce, inondando tutto ciò che si vede, dovunque io sia durante il giorno, mi raggiunge in mille modi e mi accarezza, anche quando, intento ad altro, non bado ad essa. S'insinua con tale vigore, che, se viene a mancare all'improvviso, la ricerco avidamente, e se si assenta a lungo, il mio animo si rattrista.

34. 52. O Luce, che vedeva Tobia quando, questi occhi chiusi, insegnava al figlio la via della vita e lo precedeva col piede della carità 128 senza mai perdersi; che vedeva Isacco con i lumi della carne sommersi e velati dalla vecchiaia, quando meritò non già di benedire i figli riconoscendoli, ma di riconoscerli benedicendoli 129; che vedeva Giacobbe quando, privato anch'egli della vista dalla grande età, spinse i raggi del suo cuore illuminato sulle generazioni del popolo futuro prefigurate nei suoi figliuoli, e impose sui nipoti avuti da Giuseppe le mani arcanamente incrociate, non come il loro padre cercava di correggerlo esternamente, ma come lui distingueva internamente 130. Questa è la Luce, è l'unica Luce, e un'unica cosa coloro che la vedono e l'amano. Viceversa questa luce corporale di cui stavo parlando insaporisce la vita ai ciechi amanti del secolo con una dolcezza suadente, ma pericolosa. Quando invece hanno imparato a lodarti anche per essa, Dio creatore di tutto 131, l'attirano nel tuo inno anziché farsi catturare da essa nel loro sonno. Così vorrei essere. Resisto alle seduzioni degli occhi nel timore che i miei piedi, con cui procedo sulla tua via, rimangano impigliati, e sollevo verso di te i miei occhi invisibili, affinché tu strappi dal laccio i miei piedi 132, come fai continuamente, poiché vi si lasciano allacciare. Tu non cesserai di strapparli di là, mentre io ad ogni passo son fermo nelle tagliole sparse dovunque, perché tu non dormirai né sonnecchierai, custode d'Israele 133.

34. 53. Quante cose, da non poterle enumerare, gli uomini aggiunsero alle naturali attrattive degli occhi mediante varie arti e mestieri nelle vesti, nelle calzature, in vasi e prodotti d'ogni genere, e poi nei dipinti e nelle diverse raffigurazioni che vanno ben oltre la necessità, la misura e un significato pio! Seguendo esteriormente le loro creazioni, gli uomini abbandonano interiormente il loro Creatore e distruggono ciò che di loro creò. Ma io, Signore mio e onore mio, traggo anche di qui un inno per te e una lode da offrire in sacrificio 134 a Chi mi santifica. La bellezza che attraverso l'anima si trasmette alle mani dell'artista proviene da quella bellezza che sovrasta le anime, cui l'anima mia sospira giorno e notte 135. Ma chi fabbrica e cerca le bellezze esteriori, trae di là la norma per giudicarne il valore, non trae di là la norma per farne buon uso. Eppure c'è, e non la vedono; diversamente non andrebbero tanto lontano e preserverebbero la loro forza presso di te 136, anziché disperderla in amenità sfibranti. Io stesso, che lo dico e lo vedo, lascio cogliere il mio passo al laccio delle bellezze esteriori; ma tu lo strappi di là, Signore, lo strappi tu, perché la tua misericordia è davanti ai miei occhi 137. Io mi lascio prendere miseramente, e tu mi liberi misericordiosamente, a volte senza farmi soffrire, per esservi caduto solo con la punta del piede, a volte con dolore, per esservi ormai del tutto impigliato.


B) La vana curiosità
35. 54. S'aggiunge un'altra forma di tentazione, pericolosa per molteplici ragioni. Esiste infatti nell'anima, oltre la concupiscenza della carne, che risiede nella soddisfazione voluttuosa di tutti i sensi, cui si asserviscono rovinosamente quanti si allontanano da te 138, una diversa bramosia, che si trasmette per i medesimi sensi del corpo, ma tende, anziché al compiacimento della carne, all'esperienza mediante la carne. È la curiosità vana, ammantata del nome di cognizione e di scienza. Risiedendo nel desiderio di conoscere, ed essendo gli occhi, fra i sensi, lo strumento principe della conoscenza, l'oracolo divino la chiamò concupiscenza degli occhi 139. La vista infatti appartiene propriamente agli occhi, ma noi parliamo di vista anche per gli altri sensi, quando li usiamo per conoscere. Non diciamo: "Ascolta quanto luccica", oppure: "Odora come brilla", oppure: "Assapora come splende", oppure: "Tocca come rifulge"; in tutti questi casi si dice sempre: "Vedi". Non solo diciamo: "Vedi quanto riluce", per le sensazioni cioè che gli occhi soli possono avere; ma anche: "Vedi che suono, vedi che odore, vedi che sapore, vedi che ruvido". Perciò qualunque esperienza sensoriale viene chiamata, come dissi, concupiscenza degli occhi, perché l'ufficio di vedere, prerogativa degli occhi, viene usurpato anche dagli altri sensi per analogia, quando esplorano un oggetto per conoscerlo.

35. 55. Ora si può distinguere più chiaramente quale sia la parte del piacere, e quale quella della curiosità nell'azione dei sensi. Il piacere cerca la bellezza, l'armonia, la fragranza, il sapore, la levigatezza; la curiosità invece ricerca anche sensazioni opposte a queste, per saggiarle; non per affrontare un fastidio, ma per la bramosia di sperimentare e conoscere. Cos'ha di piacevole la visione di un cadavere dilaniato, che ti fa inorridire? Eppure, non appena se ne trova uno in terra, tutti accorrono ad affliggersi, a impallidire, e temono addirittura di rivederlo in sogno, quasi fossero costretti a vederlo da svegli, o fossero indotti dalla promessa di uno spettacolo ameno. La stessa cosa accade per gli altri sensi, ma sarebbe lunga la rassegna. Da questa perversione della curiosità derivano le esibizioni di ogni stravaganza negli spettacoli, le sortite per esplorare i segreti della natura fuori di noi, la cui conoscenza è per nulla utile, e in cui gli uomini cercano null'altro che il conoscere; e ancora le indagini per mezzo delle arti magiche, col medesimo fine di una scienza perversa; e ancora, nella stessa religione, l'atto di tentare Dio, quando gli si chiedono segni e prodigi 140, desiderati non per trarne qualche beneficio, ma soltanto per farne esperienza.

35. 56. In questa foresta tanto immensa, disseminata di insidie e pericoli, ecco, ho potuto sfrondare e spogliare molto il mio cuore: quanto tu, Dio della mia salvezza 141, mi hai dato di fare. Eppure quando oserei dire, fra i richiami fragorosi di tante sollecitazioni di questo genere, che assediano da ogni parte la nostra esistenza quotidiana, quando oserei dire che nessuna trattiene su di sé il mio sguardo e assorbe la mia vana curiosità? Certo non mi attirano più i teatri né mi curo di conoscere i passaggi degli astri, e mai l'anima mia ha cercato di conoscere i responsi delle ombre; detesto qualsiasi rito sacrilego. Ma quante macchinazioni non compie il nemico per suggestionarmi e spingermi a chiederti, Signore Dio mio, che devo servire in umiltà e semplicità, qualche segno! Ti supplico per il nostro Re, per la nostra semplice, pura patria, Gerusalemme, che il consenso a queste sollecitazioni, come è lontano da me oggi, così lo sia sempre, sempre più. Quando invece ti prego per la salute degli altri, il fine che mi propongo è ben diverso; perciò mi concedi e mi concederai di assecondare volentieri la tua opera, qualunque sia.

35. 57. Eppure chi può enumerare le moltissime miserie risibili che tentano ogni giorno la nostra curiosità, e le molte volte che cadiamo? Quanto spesso, partiti col tollerare un racconto futile per non offendere la debolezza altrui, a poco a poco vi tendiamo gradevolmente l'orecchio! Se non assisto più alle corse dei cani dietro la lepre nel circo, però in campagna, se vi passo per caso, mi distoglie forse anche da qualche riflessione grave e mi attira quella caccia; non mi costringe a deviare il corpo della mia cavalcatura, ma l'inclinazione del mio cuore sì; e se tu non mi ammonissi tosto con la mia già provata debolezza a staccarmi da quello spettacolo per elevarmi a te con altri pensieri, o a passare oltre sprezzantemente, resto là come un ebete vano. Che dico, se spesso mi attira, mentre siedo in casa, una tarantola che cattura le mosche, o un ragno che avvolge nelle sue reti gli insetti che vi incappano? Per il fatto che sono animali piccoli l'azione che si compie non è la medesima? Di là passo, sì, a lodare te, creatore mirabile, ordinatore di tutte le cose; ma non è questa la mia intenzione all'inizio. Altro è l'alzarsi prontamente, altro il non cadere. La mia vita pullula di episodi del genere, sicché l'unica mia speranza è la tua grandissima misericordia 142. Il nostro cuore diventa un covo di molti difetti di questo genere, porta dentro di sé fitte caterve di vanità, che spesso interrompono e disturbano le nostre stesse preghiere. Mentre sotto il tuo sguardo tentiamo di far giungere fino alle tue orecchie la voce del nostro cuore, l'irruzione, chissà da dove, di futili pensieri stronca un atto così grande.


Sotto il giogo di Dio
36. 58. Dovrò considerare anche questa un'inezia? No, nulla mi riporta alla speranza, oltre la tua misericordia. Poiché tu hai avviato la mia conversione e tu sai 143 fino a che punto l'hai condotta. Dapprima mi guarisci dalla voluttà di giustificarmi, per poi divenire generoso anche verso tutti gli altri miei peccati, per guarire tutte le mie debolezze, per riscattare dalla corruzione la mia vita, per incoronarmi di commiserazione e misericordia, per saziare nei beni il mio desiderio 144. Ispirandomi il tuo timore soffocasti la mia superbia, rendesti mansueta la mia cervice al tuo giogo. Ora lo porto, e mi è lieve, secondo la tua promessa 145 tradotta in realtà. Era tale certamente anche prima, e non lo sapevo, quando temevo di addossarmelo.


C) L'orgoglio:
a) gli uffici;
36. 59. Ma davvero, Signore, che sei il solo a signoreggiare senza burbanza, perché sei il solo vero Signore 146 senza signori, davvero mi sono liberato anche da questo terzo genere di tentazione 147, se mai si può esserne liberati in tutta questa vita: ossia dal desiderio di farsi temere e amare dagli uomini senza altro motivo, se non di trarne un godimento che non è godimento? Misera vita, lurida iattanza. Di qui soprattutto deriva l'assenza di amore e timore innocente per te, e quindi tu resisti ai superbi, mentre agli umili accordi favore 148; tuoni 149 sulle ambizioni mondane 150, e tutte tremano le fondamenta delle montagne 151. Certi impegni del consorzio umano ci costringono a farci amare e temere dagli uomini; quindi l'avversario della nostra vera felicità incalza e dissemina ovunque i lacci dei "Bravo, bravo" 152, per prenderci a nostra insaputa mentre li raccogliamo con avidità, per staccare la nostra gioia dalla tua verità e attaccarla alla menzogna degli uomini, per farci gustare l'amore e il timore non ottenuti in tuo nome, ma in tua vece, per averci, simili così a se stesso, con sé, non concordi nella carità, ma consorti nella pena. Decise di fissare la propria sede nell'aquilone 153, affinché gli uomini servissero questo tuo perverso e deforme imitatore in una gelida tenebra. Ma noi, Signore, siamo, ecco, il tuo piccolo gregge 154. Tienici dunque, stendi le tue ali, e ci rifugeremo sotto di esse. Sii tu la nostra gloria. Ci si ami per te, e in noi sia temuta la tua parola. Chi vuole la lode degli uomini col tuo biasimo, non sarà difeso dagli uomini al tuo giudizio né sottratto alla tua condanna. Quando non si loda un peccatore per le brame della sua anima e non si benedirà un ingiusto 155, bensì si loda un uomo per qualche dono ricevuto da te, se costui si rallegra della lode più del possesso del dono per cui è lodato, anche costui è lodato con tuo biasimo, ed è migliore chi loda di chi è lodato. Al primo piacque in un uomo il dono di Dio, al secondo piacque maggiormente il dono di un uomo che di Dio.

b) le lodi degli uomini;
37. 60. Queste le tentazioni che ci tentano quotidianamente, Signore, ci tentano senza tregua. Un crogiuolo quotidiano 156 è per noi la lingua degli uomini. Tu ci comandi la mortificazione anche a questo proposito. Ebbene, dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. Conosci i gemiti del mio cuore 157 a questo riguardo, e i fiumi dei miei occhi. Infatti non mi è facile capire fino a che punto io sia ben mondato da questa peste, e ho gran timore delle mie inclinazioni segrete 158, che i tuoi occhi conoscono 159, i miei invece no. Nelle altre specie di tentazioni riesco in una certa misura a esplorarmi; in questa quasi nulla. Vedo fino a che punto sia riuscito a contenere i piaceri della carne e le curiosità superflue del mio animo, allorché me ne privo volontariamente, o mi mancano: basta allora che m'interroghi per sapere quanto mi spiaccia non averli. E le ricchezze, che si cercano appunto per soddisfare uno di questi tre desideri o due o tutti, può essere che l'animo, finché le possiede, non riesca ad avvertire se le disprezza o meno; ma si può sempre licenziarle per metterlo alla prova. La lode invece, come privarsene per conoscere la nostra resistenza nei suoi confronti? Dovremmo forse condurre una vita malvagia, così perversa e disumana, che nessuno ci conosca senza detestarci? Si può dire o pensare follia maggiore? Se la lode suole e deve accompagnarsi a una vita onesta e ad opere oneste, non conviene abbandonare né la sua compagnia né la vita onesta. Però, per conoscere se l'assenza di un bene mi lascia indifferente o mi angustia, deve mancarmi.

37. 61. Cosa confessarti dunque, Signore, per questa specie di tentazione? Cos'altro, se non che mi compiaccio delle lodi? Però più della verità che delle lodi. Richiesto di scegliere fra uno stato di follia e di errori d'ogni genere, con la lode di tutti gli uomini, oppure di equilibrio e sicuro possesso della verità, con il biasimo di tutti, so quale scelta farei; però vorrei che l'approvazione di una bocca estranea non accrescesse neppure di poco il godimento che ogni bene mi procura. Invece, lo confesso, non solo l'approvazione lo accresce, ma il biasimo lo diminuisce. E mentre mi sento turbare da tanta miseria, s'insinua nella mia mente una giustificazione che tu sai, Dio 160, quanto vale; me, infatti, rende incerto. Tu ci hai comandato non solo la continenza, ossia di trattenerci dall'amore di alcune cose, ma anche la giustizia, ossia di concentrarlo su altre; e hai voluto che non amassimo soltanto te, ma anche il prossimo 161. Ora, sovente mi pare di rallegrarmi per i progressi o le buone speranze che rivela il mio prossimo, quando mi rallegro di una lode intelligente; di rattristarmi viceversa per il suo errore, quando lo sento biasimare ciò che ignora o è un bene. Talvolta infatti mi rattristo, anche, delle lodi che mi vengono tributate, quando si loda in me una cosa che spiace a me stesso, oppure si stimano più del dovuto certi beni secondari e futili. Ma anche qui, come posso sapere se questo sentimento non nasce dalla mia contrarietà, perché chi mi loda ha di me stesso un'opinione diversa dalla mia, e quindi se mi scuoto per il suo bene, anziché per il piacere maggiore che mi dànno le mie virtù se gradite, oltre che a me stesso, anche ad altri? In un certo senso non sono io lodato, quando la lode non corrisponde all'opinione che ho di me stesso, poiché allora si lodano cose che a me dispiacciono, o si lodano troppo cose che a me piacciono poco. Sono dunque incerto su me stesso per questo punto?

37. 62. Ma ecco che in te, Verità, vedo come le lodi che mi si tributano non debbano scuotermi per me stesso, ma per il bene del prossimo. Se io sia già da tanto, non lo so. Qui conosco me stesso meno di come conosco te. Ti scongiuro, Dio mio, di rivelarmi anche il mio animo, affinché possa confessare ai miei fratelli, da cui aspetto preghiere, le ferite che vi scoprirò. M'interrogherò di nuovo, con maggiore diligenza: se nelle lodi che mi vengono tributate è l'interesse del prossimo a scuotermi, perché mi scuote meno un biasimo ingiusto rivolto ad altri, che a me? perché sono più sensibile al morso dell'offesa scagliata contro di me, che contro altri, e ugualmente a torto, davanti a me? Ignoro anche questo? Non rimane che una risposta: io m'inganno da solo 162 e non rispetto la verità 163 davanti a te nel mio cuore e con la mia lingua. Allontana da me una simile follia, Signore, affinché la mia bocca non sia per me l'olio del peccatore per ungere il mio capo 164.

c) la vanagloria;
38. 63. Indigente e povero io sono 165; qualcosa di meglio, quando in un gemito segreto, disgustato di me stesso, cerco la tua misericordia. E così fino a quando io sia rifatto nei miei difetti e perfetto per la pace che l'occhio del presuntuoso ignora. Ma le parole che escono dalla nostra bocca, e le azioni che la gente viene a conoscere costituiscono una tentazione pericolosissima ad opera dell'amore di lodi, che, per ottenere una misera eccellenza personale, raccoglie consensi mendicati. È una tentazione che sussiste anche quando la disapprovo dentro di me, e proprio nell'atto di disappprovarla. Spesso per colmo di vanità ci si gloria del disprezzo stesso in cui si tiene la vanagloria: allora non ci si gloria più del disprezzo per la gloria, perché non la si disprezza, gloriandosi.

d) il compiacimento di se stesso.
39. 64. Dentro di noi, sì, dentro di noi sta un'altra tentazione maligna della stessa specie: quella che rende vani quanti si compiacciono di se medesimi, anche se non piacciono, o dispiacciono e non si preoccupano di piacere agli altri. Ma, per quanto piacciano a se medesimi, dispiacciono molto a te, non solo prendendo come bene ciò che non è bene, ma anche prendendo il bene tuo come loro; o, se anche come tuo, ottenuto però dai meriti loro; o, se anche come ottenuto dalla tua generosità, non però godendone in comunione con gli altri, ma tenendolo anzi gelosamente per sé. Fra tutti questi e altri simili pericoli e travagli vedi come trepida il mio cuore. Mi sembra più facile farmi guarire subito da te le mie ferite, che non infliggermele.

Conclusione
La dolce ricerca di Dio
40. 65. O Verità, dove non mi accompagnasti nel cammino, insegnandomi le cose da evitare e quelle da cercare, mentre ti esponevo per quanto potevo le mie modeste vedute e ti chiedevo consiglio? Percorsi con i sensi fin dove potei il mondo fuori di me, esaminai la vita mia, del mio corpo, e gli stessi miei sensi. Di lì entrai nei recessi della mia memoria, vastità molteplici colme in modi mirabili d'innumerevoli dovizie, li considerai sbigottito 166, né avrei potuto distinguervi nulla senza il tuo aiuto; e trovai che nessuna di queste cose eri tu. E neppure questa scoperta fu mia. Perlustrai ogni cosa, tentai di distinguerle, di valutarle ognuna secondo il proprio valore, quelle che ricevevo trasmesse dai sensi e interrogavo, come quelle che percepivo essendo fuse con me stesso. Investigai e classificai gli organi stessi che me le trasmettevano ; infine entrai nei vasti depositi della memoria e rivoltai a lungo alcuni oggetti, lasciai altri sepolti e altri portai alla luce. Ma nemmeno la mia persona, impegnata in questo lavorio, o meglio, la stessa mia forza con cui lavoravo non erano te. Tu sei la luce permanente 167, che consultavo sull'esistenza, la natura, il valore di tutte le cose. Udivo i tuoi insegnamenti e i tuoi comandamenti. Spesso faccio questo, è la mia gioia, e in questo diletto mi rifugio, allorché posso liberarmi della stretta delle occupazioni. Ma fra tutte le cose che passo in rassegna consultando te, non trovo un luogo sicuro per la mia anima, se non in te. Soltanto lì si raccolgono tutte le mie dissipazioni, e nulla di mio si stacca da te. Talvolta m'introduci in un sentimento interiore del tutto sconosciuto e indefinibilmente dolce, che, qualora raggiunga dentro di me la sua pienezza, sarà non so cosa, che non sarà questa vita. Invece ricado sotto i pesi tormentosi della terra. Le solite occupazioni mi riassorbono, mi trattengono, e molto piango, ma molto mi trattengono, tanto è considerevole il fardello dell'abitudine. Ove valgo, non voglio stare; ove voglio, non valgo, e qui e là sto infelice.


Verità e menzogna
41. 66. Perciò considerai le mie debolezze peccaminose sotto le tre forme della concupiscenza e invocai per la mia salvezza l'intervento della tua destra 168. Vidi, pur col cuore ferito, il tuo splendore e, abbagliato, dissi: "Chi può giungervi?". Fui proiettato lontano dalla vista dei tuoi occhi 169. Tu sei la verità 170 che regna su tutto, io nella mia avidità non volevo perderti, ma volevo possedere insieme a te la menzogna, come nessuno vuole raccontare il falso al punto d'ignorare egli stesso quale sia il vero. Così ti persi, poiché tu non accetti di essere posseduto insieme alla menzogna.


Falsi mediatori fra Dio e gli uomini
42. 67. Chi potevo trovare per riconciliarmi con te? Dovevo corteggiare gli angeli? e con quali preghiere, con quali riti? Molti, nel tentativo di ritornare a te, non riuscendovi da soli, mi si dice, provarono questa via e caddero nella bramosia delle apparizioni stravaganti, diventando a ragione dei visionari. Esaltati, che ti cercavano con l'orgoglio della scienza, gonfiandosi il petto, anziché batterlo; che attiravano a sé per affinità di sentimento le potenze dell'aria 171, complici e alleate della loro superbia, e si lasciavano ingannare dai loro poteri magici! Cercavano il mediatore che li purificasse, ma non era lui: era il diavolo, che si trasfigura in angelo di luce 172. Una forte attrattiva per la loro carne orgogliosa fu la circostanza che non possedeva un corpo di carne. Mortali e peccatori sono costoro; tu invece, Signore, con cui cercavano orgogliosamente di riconciliarsi, sei immortale e senza peccato. Il mediatore fra Dio e gli uomini 173 doveva rassomigliare in qualche cosa a Dio, in qualche cosa rassomigliare agli uomini: simile in tutto agli uomini, sarebbe stato lontano da Dio; simile in tutto a Dio, sarebbe stato lontano dagli uomini; e così non sarebbe stato un mediatore. Il mediatore fallace da cui, nei tuoi misteriosi giudizi, lasci meritatamente illudere l'orgoglio, ha una cosa in comune con gli uomini, il peccato; un'altra vorrebbe far credere di avere in comune con Dio, atteggiandosi a immortale, poiché non è ricoperto di carne mortale. Ma poiché la morte è il compenso del peccato 174, ha in comune con gli uomini ciò, che lo condanna alla morte insieme con loro.


Il vero mediatore: Gesù Cristo
43. 68. Il mediatore autentico, che la tua misteriosa misericordia rivelò e mandò agli umili, affinché dal suo esempio imparassero proprio anche l'umiltà, questo mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù 175, si presentò fra i peccatori mortali e il Giusto immortale, mortale come gli uomini, giusto come Dio, affinché, ricompensa della giustizia essendo la vita e la pace, per la giustizia, congiunta con Dio, abolisse la morte degli empi giustificati 176, che con loro volle condividere. È lui, che fu rivelato ai santi del tempo antico, affinché si salvassero 177 credendo nella sua passione futura, come noi credendo nella sua passione passata. In quanto è uomo, in tanto è mediatore; in quanto Verbo invece non è mediano, poiché uguale a Dio 178, Dio presso Dio 179, e insieme a lui unico Dio.

43. 69. Quanto amasti noi, Padre buono, che non risparmiasti il tuo unico Figlio, consegnandolo agli empi per noi 180! Quanto amasti noi, per i quali egli, non giudicando un'usurpazione la sua uguaglianza con te, si fece suddito fino a morire in croce 181, lui, l'unico a essere libero fra i morti 182, avendo il potere di deporre la sua vita e avendo il potere di riprenderla 183, vittorioso e vittima per noi al tuo cospetto, e vittorioso in quanto vittima; sacerdote e sacrificio per noi al tuo cospetto, e sacerdote in quanto sacrificio; che ci rese, di servi, tuoi figli, nascendo da te e servendo a noi! A ragione è salda la mia speranza in lui che guarirai tutte le mie debolezze 184 grazie a Chi siede alla tua destra e intercede per noi 185 presso di te. Senza di lui dispererei. Le mie debolezze sono molte e grandi, sono molte, e grandi. Ma più abbondante è la tua medicina. Avremmo potuto credere che il tuo Verbo fosse lontano dal contatto dell'uomo, e disperare di noi, se non si fosse fatto carne e non avesse abitato fra noi 186.

43. 70. Atterrito dai miei peccati e dalla mole della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu me lo impedisti, rinsaldandomi con queste parole: Cristo morì per tutti affinché i viventi non vivano più per se stessi, ma per Chi morì per loro 187. Ecco, Signore, lancio in te la mia pena 188, per vivere; contemplerò le meraviglie della tua legge 189. Tu sai 190 la mia inesperienza e la mia infermità 191: ammaestrami 192 e guariscimi 193. Il tuo unigenito, in cui sono ascosi tutti i tesori della sapienza e della scienza 194, mi riscattò col suo sangue 195. Gli orgogliosi non mi calunnino 196, se penso al mio riscatto 197, lo mangio, lo bevo 198 e lo distribuisco; se, povero, desidero saziarmi 199 di lui insieme a quanti se ne nutrono e saziano. Lodano il Signore coloro che lo cercano 200.

1 - 1 Cor 13. 12.

2 - Ef 5. 27.

3 - Cf. Rm 12. 12.

4 - Sal 50. 8.

5 - Gv 3. 21.

6 - Eb 4. 13.

7 - Cf. Sir 42. 18, 20.

8 - Cf. 2. 3. 5, 7. 15; 4. 1. 1; 5. 1. 1; 9. 12. 33.

9 - Sal 5. 13.

10 - Rm 4. 5.

11 - Sal 95. 6.

12 - Sal 102. 3; cf. Mt 4. 23.

13 - 1 Cor 2. 11.

14 - 1 Cor 13. 4, 7.

15 - Cf. Sal 31. 1.

16 - Cf. Ct 5. 2.

17 - Cf. 2 Cor 12. 10.

18 - 2 Cor 1. 11.

19 - Sal 143. 7 s.

20 - Cf. Ap 8. 3.

21 - Sal 50. 3.

22 - Cf. Mt 10. 22; 24. 9; Gv 15. 21.

23 - Cf. Fil 1. 6.

24 - Sal 2. 11.

25 - Cf. Sal 106. 8, 15, 21, 31.

26 - Cf. Gv 13. 15.

27 - Cf. Sal 16. 8.

28 - Cf. Sal 61. 2.

29 - Cf. Sal 101. 28 (= Eb 1. 12).

30 - Cf. Sal 2. 7.

31 - 1 Cor 4. 3.

32 - 1 Cor 2. 11.

33 - Tb 3. 16; 8. 9; Gv 21. 15 s.

34 - Gb 42. 6 (LXX; cf. Aug., De civ. Dei, 22. 29: PL 41, 796; NBA 5/3, 404); cf. Sir 10. 9.

35 - 1 Cor 13. 12.

36 - Cf. 2 Cor 5. 6.

37 - 1 Cor 10. 13.

38 - Is 58. 10.

39 - Cf. Sal 89. 8.

40 - Rm 1. 20.

41 - Cf. Rm 9. 15.

42 - Cf. Sal 68. 35.

43 - Es 13. 14, 16. 15; Sir 39. 26.

44 - Cf. Gb 28. 12 s.

45 - Gn 1. 20.

46 - Sal 99. 3.

47 - Cf. Rm 7. 22; Ef 3. 16; 2 Cor 4. 16.

48 - Rm 1. 20.

49 - Sal 31. 9.

50 - Cf. Rm 11. 8.

50a - Es 13. 14; 16. 15; Sir 39. 26.

51 - Cf. Cic., De fin. 3. 10. 35; Tusc. 4. 6. 11.

52 - Cf. Gn 3. 17, 19.

53 - Enn., v. 244 Vahlen3 scen.

54 - Qo 11. 7.

55 - Cf. Lc 15. 8.

56 - Cf. Lc 15. 9.

57 - Cf. 1 Cor 15. 22.

58 - Cf. Cic., Tusc. 5. 10. 28.

59 - Es 13. 14; 16. 15; Sir 39. 26.

60 - Gal 5. 17.

61 - Cf. Gv 14. 6.

62 - Sal 26. 1.

63 - Sal 41. 6 s., 12.

64 - Gv 12. 35.

65 - Ter., Andr. 68; cf. A. Otto, o.c., s.v. veritas 3, p. 368.

66 - Cf. Gv 8. 40; Gal 4. 16.

67 - Cf. Gv 5. 35; 3. 20.

68 - Cf. Gv 14. 6.

69 - Cf. Sal 30. 8.

70 - Cf. Sal 33. 9; 1 Pt 2. 3.

71 - Cf. Mt 5. 6; 1 Cor 4. 11.

72 - Cf. Sal 62. 9.

73 - Sal 9. 28 (10. 7); 89. 10.

74 - Sal 30. 10.

75 - Gb 7. 1.

76 - Sap 8. 21.

77 - 1 Gv 2. 16.

78 - Cf. 1 Cor 7. 38.

79 - Sal 102. 3; cf. Mt 4. 23.

80 - Ef 3. 20.

81 - Sal 2. 11.

82 - Cf. Sal 102. 6.

83 - 1 Cor 15. 54.

84 - Cf. Mt 6. 34.

85 - Cf. 1 Cor 6. 13.

86 - 1 Cor 15. 53.

87 - 1 Cor 9. 26.

88 - 2 Cor 6. 5.

89 - 1 Cor 9. 27.

90 - Lc 21. 34.

91 - Sap 8. 21.

92 - Sir 18. 30.

93 - 1 Cor 8. 8.

94 - Fil 4. 11-13.

95 - Sal 102. 14.

96 - Cf. Gn 3. 19.

97 - Lc 15. 24, 32.

98 - 1 Cor 1. 31.

99 - Sir 23. 6.

100 - Tt 1. 15.

101 - Rm 14. 20.

102 - 1 Tm 4. 4.

103 - 1 Cor 8. 8.

104 - Col 2. 16.

105 - Rm 14. 3.

106 - Cf. Ap 3. 20.

107 - Cf. Sal 17. 30.

108 - Cf. Gn 9. 2 s.

109 - Cf. 1 Re 17. 6.

110 - Cf. Mt 3. 4.

111 - Cf. Gn 25. 34.

112 - Cf. 2 Sam 23. 15-17.

113 - Cf. Mt 4. 3.

114 - Cf. Nm 11. 1-20.

115 - Ap 15. 4.

116 - Lc 5. 8.

117 - Rm 8. 34.

118 - Cf. Gv 16. 33.

119 - Cf. 1 Cor 12. 12, 22; Rm 12. 5.

120 - Sal 138. 16.

121 - Gb 7. 1.

122 - Sal 12. 4; 79. 15; 9. 14; 24. 16; 6. 3.

123 - Cf. Mt 4. 23; Sal 102. 3.

124 - Cf. 1 Cor 3. 16 s.; 6. 19; 2 Cor 6. 16.

125 - Cf. 1 Gv 2. 16.

126 - 2 Cor 5. 2.

127 - Gn 1. 31.

128 - Cf. Tb 4. 2.

129 - Cf. Gn 27. 1-40.

130 - Cf. Gn 48. 3-14; 49. 28.

131 - Ambr., Hymn. 4. 1 [ed.W. Bulst]; 2 Mac 1. 24.

132 - Sal 24. 15.

133 - Sal 120. 4.

134 - Cf. Sal 115. 17.

135 - Sal 1. 2; Ger 9. 1.

136 - Sal 58. 10.

137 - Sal 25. 3.

138 - Cf. Sal 39. 12.

139 - 1 Gv 2. 16.

140 - Gv 4. 48; cf. Lc 11. 16.

141 - Sal 17. 47; 37. 23.

142 - Cf. Sal 85. 13.

143 - Tb 3. 16; 8. 9; Sal 68. 6; Gv 21. 15 s.

144 - Sal 102. 3-5.

145 - Cf. Mt 11. 30.

146 - Is 37. 20.

147 - Cf. 1 Gv 2. 16.

148 - Gc 4. 6; 1 Pt 5. 5.

149 - Cf. Sal 17. 14.

150 - Cf. 1 Gv 2. 16.

151 - Sal 17. 8.

152 - Sal 34. 21; 39. 16; 69. 4.

153 - Cf. Is 14. 13.

154 - Lc 12. 32.

155 - Sal 9. 24 (10. 3).

156 - Cf. Prv27. 21.

157 - Sal 37. 9.

158 - Cf. Sal 18. 13.

159 - Cf. Sir 15. 20.

160 - Sal 68. 6.

161 - Cf. Mt 22. 37, 39; Mc 12. 30 s.; Lc 10. 27.

162 - Cf. Gal 6. 3.

163 - Cf. 1 Gv 1. 6; Gv 3. 21.

164 - Sal 140. 5.

165 - Sal 108. 22.

166 - Cf. Ab 3. 2.

167 - Cf. Gv 1. 9; 8. 12; 9. 5; 12. 46; 1 Gv 1. 5.

168 - Cf. Sal 102. 3; Mt 4. 23; Sal 59. 7; 107. 7.

169 - Sal 30. 23.

170 - Cf. Gv 14. 6.

171 - Ef 2. 2.

172 - 2 Cor 11. 14.

173 - Cf. 1 Tm 2. 5.

174 - Rm 6. 23.

175 - 1 Tm 2. 5.

176 - Cf. 2 Tm 1. 10 (cf. Aug., De pecc. mer. et rem. 1. 27. 48; PL 37, 136; NBA 17/1, 80).

177 - Cf. 1 Tm 2. 4.

178 - Cf. Fil 2. 6.

179 - Gv 1. 1.

180 - Rm 8. 32.

181 - Fil 2. 6, 8.

182 - Sal 87. 6.

183 - Gv 10. 18.

184 - Sal 102. 3; cf. Mt 4. 23.

185 - Rm 8. 34.

186 - Gv 1. 14.

187 - 2 Cor 5. 15.

188 - Cf. Sal 54. 23.

189 - Sal 118. 18.

190 - Tb 3. 16; 8. 9; Sal 68. 6; Gv 21. 15 s.

191 - Cf. Mt 4. 23; Sal 102. 3.

192 - Sal 142. 10.

193 - Sal 6. 3.

194 - Col 2. 3.

195 - Cf. Ap 5. 9.

196 - Sal 118. 122.

197 - Sal 61. 5.

198 - Cf. Gv 6. 55, 57; 1 Cor 11. 29.

199 - Lc 16. 21.

200 - Sal 21. 27.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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