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Festa Liturgica dell'Ascensione di Gesù al Cielo

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2013 21:16
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"Aeterne Rex Altissimi": gli inni per l'Ascensione


Ecco di seguito la traduzione e l'analisi, arricchita da dotte note, dell'amico sacerdote don Alfredo Morselli, che ci propone e suggerisce circa i due Inni prescritti per la Solennità dell'Assunzione di N. S. G. C.

Gli inni del Breviarium Romanum propri dell’Ascensione sono due: Aeterne Rex altissime, a Mattutino, e Salutis humanæ Sator, alle Lodi e ai Vespri.

Aeterne Rex altissime di incerta attribuzione secondo alcuni, Ambrosiano del V secolo secondo altri (Britt, The Hymns of the Breviary and Missal). L’autore, celebrando la gloriosa Ascensione del Figlio di Dio, quale ritorno nella Sua eterna sede, ha prefigurato anche l’ascensione dell’umanità supplice alla gloria celeste, quando Egli di nuovo verrà assiso sul trono quale Giudice per giudicare i vivi e i morti.


Aeterne Rex altissime,
Redemptor et fidelium,
Cui mors perempta detulit
Summæ triumphum gloriæ.

Ascendis orbes siderum,
Quo te vocabat cœlitus
Collata, non humantius,
Rerum potestas omnium.

Ut trina rerum machina,
Cœlestium, terrestrium,
Et inferorum condita,
Flectat genu iam subdita.

Tremunt videntes Angeli
Versam vicem mortalium:
Peccat caro, mundat caro,
Regnat Deus Dei caro.

Sis ipse nostrum gaudium,
Manens olympo præmium,
Mundi regis qui fabricam,
Mundana vincens gaudia.

Hinc te precantes quæsumus,
Ignosce culpis omnibus[1],
Et corda sursum subleva
Ad te superna gratia.

Ut cum repente cœperis
Clarere nube judicis,
Pœnas repellas debitas,
Reddas coronas perditas.

Iesu, tibi sit gloria,
Qui victor in cœlum redis,
Cum Patre, et almo Spiritu,
In sempiterna sæcula. Amen.

[SM=g1740720]


***


Eterno Re Altissimo
e Redentore dei fedeli,
a cui la morte annientataconferì
un trionfo di somma gloria

Ascendi tra le orbite delle stelle,
dove Ti chiamava, dal cielo
conferita – non dagli uomini -,
la potestà su tutte le cose[2].

In modo che il triplice marchingegno delle cose,[3]
[quelle] del cielo, della terra
e degli inferi, [da Te] creato,
si inginocchi ormai sottomesso[4].

Gli Angeli tremano, mentre vedono
la rovesciata sorte dei mortali:
pecca la carne[5], la Carne[6] apporta la purificazione,
l’Uomo-Dio[7] regna come Dio.

Sii Tu stesso il nostro gaudio,
senza cessar d’essere[8] premio [anche] per il Cielo,
Tu che governi la costruzione del mondo
E sconfiggi [la vanità de]i gaudi mondani.

Da quaggiù. supplicandoti preghiamo,
perdona le colpe tutte,
e i cuori in alto solleva
verso di Te, per massima grazia.

In modo che, quando, all’improvviso[9], darai inizio
alla manifestazione della tua gloria, assiso come
giudice sulla nube[10], Tu possa allontanare le pene
dovute[11] [e] ridonare le corone perdute.

Gesù, a Te sia gloria, che,
vincitore, torni in Cielo,
con il Padre e il Santo Spirito, per i secoli.
Amen.





NOTE

[1] Ignosco: “non voler conoscere > passar sopra > perdonare: qui costruito con il dativo.
[2] “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28, 18).
[3] Cioè la tripartizione del mondo: celeste, terrestre, infernale.
[4] “... nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2, 10).
[5] Qui si intende la carne di Adamo.
[6]
Qui si intende la Carne di Cristo - cioè la sua completa natura umana, sacramento di salvezza.
[7] Lett: “la Carne di Dio”. Eccezionale climax, dal peccato alla divinizzazione: quella carne che pecca, Gesù la assume, la rende strumento per purificare il genere umano e la associa al suo trionfo. Gesù ha reso la carne umana sua propria, e quindi questa è la Carne di Dio
[8] Lett.: rimanendo, perdurando.
[9] “... arriverà il padrone quando il servo non se l'aspetta e nell'ora che non sa” (Mt 24, 50).
[10] Lett.: su nube di giudice; “Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande” (Lc 21, 27); “"Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo"” (At 1, 11).
[11] Per i peccati.


[SM=g1740720]
________________________


Salutis humanæ Sator, di attribuzione incerta, forse Ambrosiano del VII-VIII secolo (Britt); Nell’inno, più clemente e delicato, si sente veramente l’abbandono fiducioso di un’anima al proprio amorevole Salvatore che, riconoscnte per il Suo estremo Sacrificio Salvifico, ne loda il trionfo sulla Morte e sul Peccato, per ascendere al Cielo, meta e premio di tutti i beati.




Salutis humanæ Sator,
Jesu, voluptas cordium,
Orbis redempti Conditor,
Et casta lux amantium:

Qua victus es clementia,
Ut nostra ferres crimina?
Mortem subires innocens
A morte nos ut tolleres?

Perrumpis infernum chaos;
Vinctis catenas detrahis;
Victor triumpho nobili
Ad dexteram Patris sedes.

Te cogat indulgentia,
Ut damna nostra sarcias
Tuique vultus compotes
ites beato lumine.

Tu dux ad astra, et semita,
Sis meta nostris cordibus,
Sis lacrymarum gaudium,
Sis dulce vitæ præmium.



***



Della salvezza umana Autore[1],
Gesù delizia dei cuori,
del ricomprato mondo Restauratore,
e casta lucedi coloro che ti amano.

Da quale clemenza sei stato indotto
a portare i nostri delitti?[2]
A subire, innocente la morte,
per liberarci dellamorte?

Irrompi nel caosinfernale[3],
togli le catene a chi neera legato,
vittorioso di nobile trionfo,
siedi alla destra del Padre.

La indulgenza tua ti forzi
a risarcire i nostri danni,
e, possessoridel[la visione] del tuo volto,
ad arricchirci del tuo lume beato[4].

Tu guida al Cielo e via[5],
sii meta ai nostri cuori,
sii godimento dopo le lacrime
sii dolce premiodi vita. Amen.




....


[1] Lett.: “seminatore”.
[2] “Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità” (Is 53, 5)
[3] Il Limbo dei Padri.
[4] Il lumen gloriae, cioè quella luce che permette all’intelletto creato la visione di Dio
[5] “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6).



[SM=g1740734] [SM=g1740733] [SM=g1740734]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/05/2009 18:37
 
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L'Ascensione nella tradizione bizantina

Tu che per me come me ti sei fatto povero


di Manuel Nin

L'Ascensione del Signore, celebrata il quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, è una delle grandi feste comuni a tutte le Chiese cristiane. Nella tradizione bizantina, nel mercoledì precedente si celebra l'apodosi (conclusione) della Pasqua riprendendo ancora una volta i testi dell'ufficiatura pasquale. La festa dell'Ascensione, poi, si prolunga per una settimana nell'ottava.

I tropari della festa sono molto belli e teologicamente profondi. Come accade spesso nella liturgia bizantina, sono vere sintesi della fede della Chiesa. Così il primo tropario del vespro riassume la professione di fede del concilio di Calcedonia (451) in Cristo vero Dio e vero uomo:  "Il Signore è asceso ai cieli per mandare il Paraclito nel mondo. I cieli hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall'eternità nel suo seno dimora".

Uomo al di sopra degli angeli, colui che dall'eternità è nel seno del Padre. Il quinto dei tropari del vespro riprende il tema della kènosis del Verbo di Dio con una immagine poetica molto bella e toccante:  "Tu che per me come me ti sei fatto povero". È Cristo che nella sua incarnazione assume volontariamente tutta la povertà della natura umana, per poi glorificarla pienamente nella sua ascensione. Ancora altri due tropari del vespro propongono una rilettura cristologica del salmo 23, che nella liturgia della notte di Pasqua era collegato alla discesa di Cristo nell'Ade e oggi invece all'Ascensione:  "Lo Spirito Santo ordina a tutti i suoi angeli:  Alzate, principi, le vostre porte. Genti tutte, battete le mani, perché Cristo è salito dove era prima. Mentre tu ascendevi, o Cristo, dal Monte degli Ulivi, le schiere celesti che ti vedevano, si gridavano l'un l'altra:  Chi è costui? E rispondevano:  È il forte, il potente, il potente in battaglia; costui è veramente il Re della gloria".

In diversi tropari troviamo delle espressioni toccanti per la loro umanità che servono a indicare la divinità del Verbo di Dio:  "Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesù, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria:  e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l'hai fatta sedere con te accanto al Padre". Sono parole che ci ricollegano al canto dei Lamenti del Sabato Santo. Inoltre troviamo il tema della glorificazione della nostra natura umana caduta e redenta.

Per quanto riguarda il mattutino, ricordiamo alcuni tropari di Romano il Melode:  "Compiuta l'economia a nostro favore, e congiunte a quelle celesti le realtà terrestri, sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, senza tuttavia separarti in alcun modo da quelli che ti amano; ma rimanendo inseparabile da loro, dichiari:  Io sono con voi, e nessuno è contro di voi. Lasciate sulla terra ciò che è della terra, abbandonate ciò che è di cenere alla polvere e poi venite, eleviamoci, leviamo in alto occhi e mente, alziamo lo sguardo e i sensi verso le porte celesti, pur essendo mortali; immaginiamo di andare al Monte degli Ulivi e di vedere il Redentore portato da una nube:  di là infatti il Signore è asceso ai cieli; di là, lui che ama donare, ha distribuito doni ai suoi apostoli, consolandoli come un padre, confermandoli, guidandoli come figli e dicendo loro:  Non mi separo da voi:  io sono con voi e nessuno è contro di voi".

Di questa realtà della nostra fede offre anche una lettura chiara l'icona della festa. L'immagine è divisa in due parti ben distinte:  nella parte superiore si vede Cristo su un trono, immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore la Madre di Dio, gli apostoli e due angeli in bianche vesti. L'icona dell'Ascensione contempla Cristo nel suo innalzarsi, sostenuto dagli angeli, ma allo stesso tempo è anche l'icona del ritorno glorioso di Cristo, che "tornerà un giorno allo stesso modo". Dall'Ascensione e fino al suo ritorno Cristo presiede la Chiesa, come vediamo nell'icona. L'atteggiamento di Maria è sempre quello della preghiera. Essa non guarda in alto, ma la Chiesa, per ricordarle la necessità della veglia, della preghiera agli apostoli e a tutti noi. In attesa del ritorno del Signore.



(©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/05/2009 19:06
 
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Bellissima l'Omelia del Santo Padre, sulla Ascensione di Gesù, pronunciata da Cassino, in occassione della sua Visita Pastorale...

qui troverete tutta la cronaca con le foto:
Benedetto XVI in visita a Montecassino da san Benedetto suo patrono

OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!


"Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra" (At 1,8). Con queste parole, Gesù si congeda dagli Apostoli, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura. Subito dopo l’autore sacro aggiunge che "mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi" (At 1,9). E’ il mistero dell’Ascensione, che quest’oggi solennemente celebriamo. Ma cosa intendono comunicarci la Bibbia e la liturgia dicendo che Gesù "fu elevato in alto"? Si comprende il senso di questa espressione non a partire da un unico testo, neppure da un unico libro del Nuovo Testamento, ma nell'attento ascolto di tutta la Sacra Scrittura.

L’uso del verbo "elevare" è in effetti di origine veterotestamentaria, ed è riferito all'insediamento nella regalità. L’Ascensione di Cristo significa dunque, in primo luogo, l'insediamento del Figlio dell'uomo crocifisso e risorto nella regalità di Dio sul mondo.

C’è però un senso più profondo non percepibile immediatamente. Nella pagina degli Atti degli Apostoli si dice dapprima che Gesù fu "elevato in alto" (v. 9), e dopo si aggiunge che "è stato assunto" (v. 11). L'evento è descritto non come un viaggio verso l'alto, bensì come un’azione della potenza di Dio, che introduce Gesù nello spazio della prossimità divina. La presenza della nuvola che "lo sottrasse ai loro occhi" (v. 9), richiama un'antichissima immagine della teologia veterotestamentaria, ed inserisce il racconto dell'Ascensione nella storia di Dio con Israele, dalla nube del Sinai e sopra la tenda dell'alleanza del deserto, fino alla nube luminosa sul monte della Trasfigurazione. Presentare il Signore avvolto nella nube evoca in definitiva il medesimo mistero espresso dal simbolismo del "sedere alla destra di Dio".

Nel Cristo asceso al cielo, l’essere umano è entrato in modo inaudito e nuovo nell'intimità di Dio; l'uomo trova ormai per sempre spazio in Dio. Il "cielo" non indica un luogo sopra le stelle, ma qualcosa di molto più ardito e sublime: indica Cristo stesso, la Persona divina che accoglie pienamente e per sempre l’umanità, Colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uniti. E noi ci avviciniamo al cielo, anzi, entriamo nel cielo, nella misura in cui ci avviciniamo a Gesù ed entriamo in comunione con Lui. Pertanto, 1'odierna solennità dell’Ascensione ci invita a una comunione profonda con Gesù morto e risorto, invisibilmente presente nella vita di ognuno di noi.


In questa prospettiva comprendiamo perché l’evangelista Luca affermi che, dopo l'Ascensione, i discepoli tornarono a Gerusalemme "pieni di gioia" (24,52). La causa della loro gioia sta nel fatto che quanto era accaduto non era stato in verità un distacco: anzi essi avevano ormai la certezza che il Crocifisso- Risorto era vivo, ed in Lui erano state per sempre aperte all’umanità le porte della vita eterna. In altri termini, la sua Ascensione non ne comportava la temporanea assenza dal mondo, ma piuttosto inaugurava la nuova, definitiva ed insopprimibile forma della sua presenza, in virtù della sua partecipazione alla potenza regale di Dio. Toccherà proprio a loro, ai discepoli, resi arditi dalla potenza dello Spirito Santo, renderne percepibile la presenza con la testimonianza, la predicazione e l’impegno missionario.
 
La solennità dell'Ascensione del Signore dovrebbe colmare anche noi di serenità e di entusiasmo, proprio come avvenne per gli Apostoli che dal Monte degli Ulivi ripartirono "pieni di gioia". Come loro, anche noi, accogliendo l’invito dei "due uomini in bianche vesti", non dobbiamo rimanere a fissare il cielo, ma, sotto la guida dello Spirito Santo, dobbiamo andare dappertutto e proclamare l’annuncio salvifico della morte e risurrezione del Cristo. Ci accompagnano e ci sono di conforto le sue stesse parole, con le quali si chiude il Vangelo secondo san Matteo: "Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,19).


Cari fratelli e sorelle, il carattere storico del mistero della risurrezione e dell’ascensione del Cristo ci aiuta a riconoscere e a comprendere la condizione trascendente ed escatologica della Chiesa, la quale non è nata e non vive per supplire all’assenza del suo Signore "scomparso", ma piuttosto trova la ragione del suo essere e della sua missione nell’invisibile presenza di Gesù operante con la potenza del suo Spirito. In altri termini, potremmo dire che la Chiesa non svolge la funzione di preparare il ritorno di un Gesù "assente", ma, al contrario, vive ed opera per proclamarne la "presenza gloriosa" in maniera storica ed esistenziale. Dal giorno dell’Ascensione, ogni comunità cristiana avanza nel suo itinerario terreno verso il compimento delle promesse messianiche, alimentata dalla Parola di Dio e nutrita dal Corpo e Sangue del suo Signore. Questa è la condizione della Chiesa – ricorda il Concilio Vaticano II - mentre "prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunziando la passione e morte del Signore fino a che Egli venga" (Lumen gentium, 8 ).


Fratelli e sorelle di questa cara Comunità diocesana, l’odierna solennità ci esorta a rinsaldare la nostra fede nella reale presenza di Gesù; senza di Lui nulla possiamo compiere di efficace nella nostra vita e nel nostro apostolato. E’ Lui, come ricorda l’apostolo Paolo nella seconda lettura, che "ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri per compiere il ministero allo scopo di edificare il corpo di Cristo" cioè la Chiesa. E ciò per giungere "all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio", essendo la comune vocazione di tutti formare "un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza a cui siamo chiamati" (Ef 4,11-13.14).

In quest’ottica si colloca l’odierna mia visita che, come ha ricordato il vostro Pastore, ha l’obbiettivo di incoraggiarvi a "costruire, fondare e riedificare" costantemente la vostra Comunità diocesana su Cristo. Come? Ce lo indica lo stesso san Benedetto, che raccomanda nella sua Regola di niente anteporre a Cristo: "Christo nihil omnino praeponere" (LXII,11).



Rendo pertanto grazie a Dio per il bene che sta realizzando la vostra Comunità sotto la guida del suo Pastore, il Padre Abate Dom Pietro Vittorelli, che saluto con affetto e ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Con lui saluto la Comunità monastica, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose presenti. Saluto le Autorità civili e militari, in primo luogo il Sindaco a cui sono grato per l’indirizzo di benvenuto, con cui mi ha accolto all’arrivo in questa Piazza Miranda, che da oggi porterà il mio nome. Saluto i catechisti, gli operatori pastorali, i giovani e quanti in vario modo si prendono cura della diffusione del Vangelo in questa terra carica di storia, che ha conosciuto durante la seconda guerra mondiale momenti di grande sofferenza. Ne sono silenziosi testimoni i tanti cimiteri che circondano la vostra risorta città, tra i quali ricordo in particolare quello polacco, quello tedesco e quello del Commonwealth. Il mio saluto si estende infine a tutti gli abitanti di Cassino e dei centri vicini: a ciascuno, specialmente agli ammalati e ai sofferenti, giunga l’assicurazione del mio affetto e della mia preghiera.


Cari fratelli e sorelle, sentiamo echeggiare in questa nostra celebrazione l’appello di san Benedetto a mantenere il cuore fisso sul Cristo, a nulla anteporre a Lui. Questo non ci distrae, al contrario ci spinge ancor più ad impegnarci nel costruire una società dove la solidarietà sia espressa da segni concreti.

Ma come? La spiritualità benedettina, a voi ben nota, propone un programma evangelico sintetizzato nel motto: ora et labora et lege, la preghiera, il lavoro, la cultura. Innanzitutto la preghiera, che è la più bella eredità lasciata da san Benedetto ai monaci, ma anche alla vostra Chiesa particolare: al vostro Clero, in gran parte formato nel Seminario diocesano, per secoli ospitato nella stessa Abbazia di Montecassino, ai seminaristi, ai tanti educati nelle scuole e nei "ricreatori" benedettini e nelle vostre parrocchie, a tutti voi che vivete in questa terra. Elevando lo sguardo da ogni paese e contrada della diocesi, potete ammirare quel richiamo costante al cielo che è il monastero di Montecassino, al quale salite ogni anno in processione alla vigilia di Pentecoste.

La preghiera, a cui ogni mattina la campana di san Benedetto con i suoi gravi rintocchi invita i monaci, è il sentiero silenzioso che ci conduce direttamente nel cuore di Dio; è il respiro dell’anima che ci ridona pace nelle tempeste della vita. Inoltre, alla scuola di san Benedetto, i monaci hanno sempre coltivato un amore speciale per la Parola di Dio nella lectio divina, diventata oggi patrimonio comune di molti. So che la vostra Chiesa diocesana, facendo proprie le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana, dedica grande cura all’approfondimento biblico, ed anzi ha inaugurato un itinerario di studio delle Sacre Scritture, consacrato quest’anno all’evangelista Marco e che proseguirà nel prossimo quadriennio per concludersi, a Dio piacendo, con un pellegrinaggio diocesano in Terra Santa. Possa l’attento ascolto della Parola divina nutrire la vostra preghiera e rendervi profeti di verità e di amore in un corale impegno di evangelizzazione e di promozione umana.


Altro cardine della spiritualità benedettina è il lavoro. Umanizzare il mondo lavorativo è tipico dell’anima del monachesimo, e questo è anche lo sforzo della vostra Comunità che cerca di stare a fianco dei numerosi lavoratori della grande industria presente a Cassino e delle imprese ad essa collegate. So quanto sia critica la situazione di tanti operai. Esprimo la mia solidarietà a quanti vivono in una precarietà preoccupante, ai lavoratori in cassa-integrazione o addirittura licenziati.

La ferita della disoccupazione che affligge questo territorio induca i responsabili della cosa pubblica, gli imprenditori e quanti ne hanno la possibilità a ricercare, con il contributo di tutti, valide soluzioni alla crisi occupazionale, creando nuovi posti di lavoro a salvaguardia delle famiglie. A questo proposito, come non ricordare che la famiglia ha oggi urgente bisogno di essere meglio tutelata, poiché è fortemente insidiata nelle radici stesse della sua istituzione? Penso poi ai giovani che fanno fatica a trovare una degna attività lavorativa che permetta loro di costruirsi una famiglia. Ad essi vorrei dire: non scoraggiatevi, cari amici, la Chiesa non vi abbandona! So che ben 25 giovani della vostra Diocesi hanno partecipato alla scorsa Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney: facendo tesoro di quella straordinaria esperienza spirituale, siate lievito evangelico tra i vostri amici e coetanei; con la forza dello Spirito Santo, siate i nuovi missionari in questa terra di san Benedetto!


Appartiene infine alla vostra tradizione anche l’attenzione al mondo della cultura e dell’educazione. Il celebre Archivio e la Biblioteca di Montecassino raccolgono innumerevoli testimonianze dell’impegno di uomini e donne che hanno meditato e ricercato come migliorare la vita spirituale e materiale dell’uomo. Nella vostra Abbazia si tocca con mano il "quaerere Deum", il fatto cioè che la cultura europea è stata la ricerca di Dio e la disponibilità al suo ascolto. E questo vale anche nel nostro tempo. So che voi state operando con questo stesso spirito nell’Università e nelle scuole, perché diventino laboratori di conoscenza, di ricerca, di passione per il futuro delle nuove generazioni.

So pure che, in preparazione a questa mia visita, avete tenuto un recente convegno sul tema dell’educazione per sollecitare in tutti la viva determinazione a trasmettere ai giovani i valori irrinunciabili del nostro patrimonio umano e cristiano. Nell’odierno sforzo culturale teso a creare un nuovo umanesimo, fedeli alla tradizione benedettina voi intendete giustamente sottolineare anche l’attenzione all’uomo fragile, debole, alle persone disabili e agli immigrati. E vi sono grato che mi diate la possibilità di inaugurare quest’oggi la "Casa della Carità", dove si costruisce con i fatti una cultura attenta alla vita.


Cari fratelli e sorelle! Non è difficile percepire che la vostra Comunità, questa porzione di Chiesa che vive attorno a Montecassino, è erede e depositaria della missione, impregnata dello spirito di san Benedetto, di proclamare che nella nostra vita nessuno e nulla devono togliere a Gesù il primo posto; la missione di costruire, nel nome di Cristo, una nuova umanità all’insegna dell’accoglienza e dell’aiuto ai più deboli. Vi aiuti e vi accompagni il vostro santo Patriarca, con santa Scolastica sua sorella; vi proteggano i santi Patroni e soprattutto Maria, Madre della Chiesa e Stella della nostra speranza.

Amen!


[SM=g1740738]
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25/05/2009 09:36
 
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Un breve e....molto significativo video.....dell'Ascensione di Gesù al Cielo sul luogo del quale la Tradizione della Chiesa lo riconosce quale luogo dal quale Gesù tornò al Padre..... [SM=g1740734]

SONO LE CINQUE DEL MATTINO.....i canti e la Messa, da quel che si comprende, sono IN LATINO....

da Gerusalemme: la Messa della Solennità nella piccola cappella che segna il luogo dell'Ascensione del Signore [SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740717]






[SM=g1740733]
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Cari Amici,
come ben sappiamo o dovremo sapere, da dopo la Pasqua e in questo Tempo di Alleluia, le Feste Liturgiche sono "mobili" ossia, non sono in un giorno fisso, ma dipendono dal giorno in cui cade la Pasqua e quindi ogni anno queste Feste come l'Ascensione, la Pentecoste, la Santissima Trinità, il Corpus Domini, i Sacri Cuori di Gesù e Maria, non cadono in un giorno fisso, ma si spostano ogni anno pur sempre nello stesso periodo...

e così quest'anno l'Ascensione cade il giorno 16, Domenica prossima e poi a seguire la Pentecoste e così via...

Vi ricordiamo pertanto, per chi volesse fare Tridui o Novene di regolarsi di conseguenza...

Per la Pentecoste la Novena comincerà venerdi' prossimo, 14 maggio....
Per la Santissima Trinità, venerd' 21 comincia la Novena...

Ricordiamo inoltre questo Mese dedicato al Rosario, dono di Maria....


ulteriori collegamenti utili:

Spirito Santo, Terza Persona della SS.ma Trinità (Novena e Preghiere)

Novena (e Tridui) a san Domenico e ad altri Santi

L'Ave Maria e la Preghiera del Cuore

SACRO CUORE DI GESU' (Preghiere, Meditazioni, Riflessioni)

Con Gesù davanti all'Eucarestia

Litanie Domenicane, Lauretane, al Cuore di Gesù, ecc...

Festa e Adorazione del CORPUS DOMINI


[Modificato da Caterina63 10/05/2010 13:06]
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Un inno altomedievale per le lodi dell'Ascensione

Quando l'obbedienza diventa luce



di Inos Biffi

L'inno per le Lodi nella solennità dell'ascensione di Gesù al cielo - in dimetro giambico e di autore anonimo del secolo x - pur di non alta ispirazione poetica, nel suo soffermarsi sui particolari della scena evangelica illustra bene il senso del mistero avvenuto il quarantesimo giorno dalla risurrezione.

In questo giorno Cristo, ponendo termine alla sua visibile e intermittente presenza tra i discepoli - destinata a offrire loro "molte prove" della sua risurrezione e a discorrere sulle "cose riguardanti il regno di Dio" (Atti, 1, 3) - promise la "forza dello Spirito Santo", "si staccò da loro", "fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi" (cfr. Atti, 1, 8- 9).
È un "giorno luminoso - dichiara l'inno - da tutti desiderato", nel quale Cristo, "speranza del mondo ha varcato i cieli impenetrabili".

Non sorprende che quel giorno sia oggetto di un desiderio universale:  l'ascesa di Gesù al cielo rappresenta la splendida vittoria sul demonio, che Gesù stesso aveva definito come "il principe di questo mondo" (Giovanni, 12, 31). Ascendendo al cielo "nella lucente nube", Cristo presenta al cospetto del Padre una umanità vincitrice e gloriosa.

I credenti trovano nell'ascensione la sorgente della loro speranza (spem facit credentibus) Cristo dischiude ormai la porta del cielo, che il peccato di Adamo aveva serrato. Tutti, poi - continua l'inno - sono pervasi da una "grande gioia" al vedere la gloria del Crocifisso, assiso alla destra del Padre, e lo splendore delle sue ferite, che resteranno sempre nel suo corpo risorto come stimmate luminose, a renderlo eternamente riconoscibile.

L'umanità di Gesù disposta al cospetto del Padre, scrive san Tommaso, equivale a "una supplica per noi":  essa è un'implorazione "ad aver pietà di coloro per i quali il Figlio di Dio ha assunto la natura umana" (Summa Theologiae, iii, 57, 6).

L'ascensione al cielo raffigura anzitutto il trionfo di Gesù, il suo passaggio dall'umiliazione e dall'obbedienza fino alla morte di croce, alla sua esaltazione e alla sua signoria (Filippesi, 2, 8-9). Ma nell'ascensione di Gesù al cielo è, insieme, ritratta e raggiunta la gloria della nostra umanità (nostrum corpus):  l'Autore della nostra salvezza la innalza fino alla sublimità celeste (ad cæli regiam).

Così, il Signore salito al cielo predica e manifesta, intimamente unita alla sua, la riuscita dell'uomo, che in lui e con lui si trova inscindibilmente unito al Padre. Gesù, quale "Primogenito di molti fratelli" (Romani, 8, 29), ci porta in paradiso.

L'ascensione di Cristo è, allora, motivo di "comune letizia":  per i cori beati o la Chiesa celeste, e per noi, ancora pellegrini, ma non da lui abbandonati. Essa - conclude l'inno - eleva al cielo il nostro cuore, in attesa dell'effusione dello Spirito e con lo Spirito di ogni dono di grazia.

Commentando il mistero dell'ascensione, definito "causa della nostra salvezza", sempre san Tommaso afferma che la collocazione in cielo della nostra natura umana assunta da Cristo suscita "l'aumento della nostra fede (fidei augmentum)", provoca "l'elevazione della nostra speranza (spei sublevatio)", e solleva "l'affetto della nostra carità alle realtà celesti (caritatis affectus in cælestia)", particolarmente grazie al dono dello Spirito Santo, che "è l'amore che ci rapisce alle cose del cielo (amor nos in cælestia rapiens)" (Summa Theologiae, iii, 57, 1, 3m).

Gesù risorto alla destra del Padre è la ragione per la quale Dio ha creato il mondo. L'umanità gloriosa del Redentore è la soddisfazione dell'eterno disegno divino, attestato da tutte le Scritture.
Ma in quella umanità si ritrova indissociabilmente anche la nostra. "Secondo il disegno d'amore della volontà" di Dio (Efesini, 1, 5), ogni uomo, infatti, è stato predestinato a risorgere con Cristo, a sedere con lui nei cieli, a prendere parte del "tesoro della sua gloria" (Efesini, 1, 18; 2, 6) e della sua regalità. Questa predestinazione è inclusa nella creazione.

Ecco perché l'ascensione, festeggiando il trionfo del Signore, festeggia per ciò stesso l'assoluto ed eterno successo dell'uomo.


Optatus votis omnium


Optatus votis omnium
sacratus illuxit dies,
quo Christus, mundi spes, Deus,
conscendit cælos arduos.
Magni triumphum proelii,
mundi perempto principe,
Patris præsentans vultibus
victricis carnis gloriam.
In nube fertur lucida
et spem facit credentibus,
iam paradisum reserans,
quem protoplasti clauserant.
O grande cunctis gaudium,
quod partus nostræ Virginis,
post sputa, flagra, post crucem
paternæ sedi iungitur.
Agamus ergo gratias
nostræ salutis vindici,
nostrum quod corpus vexerit
sublime ad cæli regiam.
Sit nobis cum cælestibus
commune manens gaudium: 
illis, quod semet obtulit,
nobis, quod se non abstulit.
Nunc, Christe, scandens æthera
ad te cor nostrum subleva,
tuum Patrisque Spiritum
emittens nobis cælitus.




 


(©L'Osservatore Romano - 12 maggio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il trasferimento dell’Ascensione e di altre feste alla domenica: indicazioni canonico-liturgiche

                       Il trasferimento dell’Ascensione e di altre feste alla domenica:   indicazioni canonico-liturgiche thumbnail
By Daniele Di Sorco
Published: maggio 15, 2010

di Daniele Di Sorco

Il calendario romano universale, sia dell’antica che della nuova forma del rito romano, assegna la festa dell’Ascensione al giovedì che segue la V domenica dopo Pasqua (o VI domenica di Pasqua, secondo la recente denominazione), rispettando scrupolosamente la cronologia biblica, secondo cui nostro Signore ascese al cielo quaranta giorni dopo la sua Resurrezione (At. 1, 3). L’Ascensione è annoverata tra le feste di precetto dal Codice di diritto canonico vigente (can. 1246, § 1).

Fino a non molti decenni fa, in Italia e nella maggior parte dei Paesi cattolici il giovedì dell’Ascensione era considerato festivo anche a livello civile. Nel 1977, tuttavia, il governo italiano decise di aumentare il numero dei giorni lavorativi, e l’Ascensione, insieme a S. Giuseppe (19 marzo), al Corpus Domini (giovedì dopo la SS. Trinità) e ai SS. Pietro e Paolo (29 giugno), fu tolta dal calendario delle festività civili.

La Conferenza Episcopale Italiana, conscia delle difficoltà che sarebbero scaturite dal mantenere il precetto in un giorno divenuto lavorativo, decise, col consenso della Santa Sede, di trasferire la festa dell’Ascensione, così come il Corpus Domini, alla domenica successiva, avvalendosi di una facoltà che fu poi resa universale e incorporata nel Codice di Diritto canonico del 1983 (can. 1246, § 2). Insieme alla festa fu trasferito, come è logico, anche il precetto. Provvedimenti di questo tipo, anche se non esplicitamente previsti dal Codice del 1917, avevano luogo anche prima della riforma liturgica, per esempio nei Paesi a maggioranza protestante, dove la Santa Sede non di rado concedeva il trasferimento alla domenica delle feste più importanti e del relativo precetto. Le modalità, tuttavia, erano diverse, poiché l’Ufficio e la Messa della festa continuavano ad essere celebrati nel suo giorno proprio, mentre la domenica aveva luogo soltanto la «solennità esterna», ossia l’officiatura di una o più Messe votive della festa, senza Ufficio (ad esclusione, se c’era la consuetudine, del Vespro votivo), a vantaggio del popolo. Con la nuova normativa canonica, invece, la festa viene spostata alla domenica come suo giorno proprio, senza alcuna celebrazione nel giorno originario.

In seguito alla liberalizzazione del rito romano antico da parte del Papa Benedetto XVI molti si sono chiesti come si debba procedere nei confronti di quelle feste (in Italia l’Ascensione e il Corpus Domini) che, nel calendario nazionale, sono state trasferite alla domenica. Il quesito fu proposto dalla Latin Mass Society alla Pontificia Commissione «Ecclesia Dei», che il 20 ottobre 2008 rispose confermando sostanzialmente la prassi vigente nell’antica disciplina canonica.

In particolare, anche quando la Conferenza Episcopale fa uso delle facoltà accordategli dal can. 1246, § 2, per la forma straordinaria vale il trasferimento del precetto, ma non della festa, che pertanto può continuare ad essere celebrata nel suo giorno proprio, senza che la Conferenza Episcopale o i singoli Vescovi possano proibirlo. Nulla impedisce, poi, anzi è vivamente raccomandato, che la domenica successiva si effettui la solennità esterna della festa.

Riportiamo la parte normativa del testo della risposta, da noi tradotto in italiano:

«1. L’uso legittimo dei libri liturgici in vigore nel 1962 comprende il diritto di seguire il calendario proprio di tali libri liturgici.

2. Sebbene, a norma del can. 1246, § 2 del Codice di Diritto canonico, la Conferenza Episcopale possa legittimamente trasferire alcune feste di precetto, previo consenso della Santa Sede, è pure legittimo celebrare la Messa e l’Ufficio di queste feste nei giorni previsti dal calendario dei libri liturgici in vigore nel 1962, avendo ben presente che, in conformità alla legittima decisione della Conferenza Episcopale, non vi è alcun obbligo di assistere alla Messa in tali giorni.

3. Inoltre, a norma dei nn. 356-361 delle Rubricae generales Missalis romani del 1962, è opportuno che si celebri la solennità esterna della festa nella domenica in cui essa è stata trasferita dalla Conferenza Episcopale, com’è consuetudine in molti altri paesi» (Prot. 107/97).

Ciascun sacerdote, quindi, può liberamente scegliere se celebrare la Messa della domenica o la Messa votiva della solennità esterna; quest’ultima, tuttavia, è vincolata a certe condizioni, previste dalle rubriche (Rubr. gen. Miss., 341-343, 356-361).

Nel caso della domenica che segue l’Ascensione, si può decidere se celebrare la Messa dell’Ascensione  (solennità esterna) o la Messa della domenica dopo l’Ascensione. Se si opta per la prima possibilità, bisogna dire la Messa come nel giorno della festa, con prefazio e Hanc igitur proprio.

Contrariamente a quanto riportato su molti siti internet, non si deve fare commemorazione della domenica, in base al principio generale secondo cui, nella stessa Messa, non si possono dire più orazioni dello stesso Mistero, della stessa Persona divina o dello stesso Santo. Le rubriche affermano esplicitamente: «L’Ufficio, la Messa o la commemorazione della domenica esclude la commemorazione o l’orazione di una festa o mistero del Signore, e viceversa» (Rubr. gen., 112 b).

Le stesse indicazioni si applicano, mutatis mutandis, anche alla festa del Corpus Domini, sulla quale daremo, a suo tempo, informazioni dettagliate.

Fraternamente CaterinaLD

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L'Ascensione del Signore nella tradizione siro-occidentale

Salì al cielo come primizia


di Manuel Nin


Nel quarantesimo giorno dopo la Risurrezione la festa dell'Ascensione del Signore è attestata già in Eusebio di Cesarea intorno al 325; un secolo e mezzo più tardi Egeria parla di una celebrazione a Betlemme, e non sul Monte degli Ulivi da dove il Signore ascende in cielo e dove invece il raduno dei fedeli col vescovo nel luogo dell'Ascensione e la lettura del vangelo viene fatta la vigilia della Pentecoste. Per la festa, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo (e Agostino in ambito latino) hanno omelie
.


La tradizione siro-occidentale collega molto strettamente l'Incarnazione, la discesa del Verbo di Dio, e la sua Ascensione:  "Oggi il Cristo Dio si innalza dal monte degli ulivi fino al suo Padre glorioso. Oggi gli angeli fanno conoscere agli apostoli il grande mistero della seconda venuta di Cristo. Noi lo vedremo coi nostri occhi di carne". Cristo, salendo in cielo con l'umanità assunta da noi, la fa entrare nel luogo santo, la glorifica e la porta nel paradiso:  "Tu sei entrato nel Santo dei santi e hai preso possesso della dimora non fatta da mano d'uomo. Salendo in cielo ci hai aperto le porte che Adamo nostro primo padre ci aveva chiuso in faccia. Ci hai fatti sedere alla destra di tuo Padre, e gli hai fatto un dono che non può rifiutare, il corpo umano che avevi preso da noi".

Tutti noi redenti, portati con Cristo in cielo, diventiamo offerta al Padre. Questo è un aspetto che si ritrova molto chiaramente nella tradizione siro-orientale, che, chiudendo l'anno liturgico con le quattro domeniche della "dedicazione della Chiesa", sottolinea come la comunità dei redenti dal sangue di Cristo viene presentata e offerta al Padre come corona dell'anno liturgico nel momento della sua piena glorificazione.

Nei testi liturgici si rilegge il salmo 23:  "Quando gli spiriti celesti ti videro innalzarti in cielo con un corpo vero, furono stupefatti e cominciarono a domandarsi l'un l'altro:  Chi è questo Re della gloria che viene da Edom? È il Signore potente, il Signore vincitore in battaglia. Alzatevi porte antiche, apritevi porte eterne perché entri il Re della gloria".

La salvezza operata dal Signore viene presentata nel vespro dalla sua Incarnazione fino alla sua Ascensione:  "Tutti noi, tuoi servi, riscattati dal tuo sangue prezioso, proclamiamo davanti alle schiere celesti:  Benedetto sei tu, che ti sei abbassato per innalzarci dalla nostra umiliazione". Inoltre i testi sottolineano l'attesa della seconda venuta di Cristo e fanno una lettura cristologica di Isaia (61, 3):  "Chi è questo re della gloria che giunge da Edom, cioè dalla terra, e i suoi vestiti sono macchiati di sangue, del sangue del corpo che si è rivestito? Perché i suoi vestiti sono rossi come quelli di chi calca il vino? Il Figlio di Dio si è incarnato, si è rivestito il corpo della nostra umanità. Ha sofferto la croce, la morte e la sepoltura, è risorto ed è salito al cielo".

La liturgia siro-occidentale sottolinea che nel Monte degli Ulivi è la Chiesa tutta a essere radunata, mentre il collegamento con la seconda venuta di Cristo e la dimensione ecclesiologica della festa sono nell'icona dell'Ascensione. L'immagine è divisa in due parti ben distinte:  nella parte superiore c'è Cristo assiso su un trono, immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore c'è la Madre di Dio e gli apostoli. Dall'Ascensione fino al suo ritorno Cristo presiede la Chiesa, formata dalla Madre di Dio orante e dagli apostoli.

L'Ascensione di Cristo sigilla quindi la riconciliazione tra il cielo e la terra. Come sottolinea un testo in forma di dialogo o disputa (genere letterario molto familiare alla tradizione siriaca), testo che non fa parte della liturgia ma che ne riassume il mistero. Cielo e terra disputano tra di loro e il mistero della redenzione di Cristo riporta la pace:  "Il cielo dice:  In me c'è il Regno e gli angeli; e la terra dice:  In me le Chiese e i giusti.

Il cielo dice:  In me ci sono mille e diecimila che stanno davanti al suo trono; e la terra dice:  In me le assemblee e le generazioni che stanno davanti alla sua croce. Il cielo dice:  In me il trono da cui esce fuoco; e la terra dice:  In me l'altare dalla cui bontà esce la salvezza. Il cielo dice:  In me le nuvole che portano le piogge che non hanno bisogno di fontane; e la terra dice:  In me la Vergine che ha concepito senza uomo. Il cielo dice:  In me il fiume di fuoco che rischiara coloro che lo guardano; e la terra dice:  In me il calice della salvezza che risuscita coloro che ne bevono. Dice il cielo alla terra:  Noi siamo due fratelli, non dobbiamo lottare poiché i nostri abitanti sono fratelli".

Efrem il Siro collega nei suoi inni la discesa di Cristo nell'Ade e la sua glorificazione in cielo:  "Come un chicco di grano cadde nello sheol, e salì come covone e pane nuovo. Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia. Beata sei tu, o Betania:  il monte dell'arca ed il monte Sinai ti invidiano; non da loro ascese il Signore delle altezze, ma da te ascese. Tu hai visto il suo cocchio glorioso, la nube che chinò la sua altezza verso l'Umile che aveva iniziato a regnare in alto e in basso".


(©L'Osservatore Romano - 16 maggio 2010)
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16/05/2010 13:57
 
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI, 16.05.2010

Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Cæli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Sono presenti oggi numerosi membri di associazioni e movimenti ecclesiali, giunti da ogni parte d’Italia per esprimere affetto e sostegno al Santo Padre.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:

PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle,

oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra l’Ascensione di Gesù al Cielo, che avvenne il quarantesimo giorno dopo la Pasqua. In questa domenica ricorre, inoltre, la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema: "Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola". Nella liturgia si narra l’episodio dell’ultimo distacco del Signore Gesù dai suoi discepoli (cfr Lc 24,50-51; At 1,2.9); ma non si tratta di un abbandono, perché Egli rimane per sempre con loro - con noi - in una forma nuova. San Bernardo di Chiaravalle spiega che l’ascensione al cielo di Gesù si compie in tre gradi: "il primo è la gloria della risurrezione, il secondo il potere di giudicare e il terzo sedersi alla destra del Padre" (Sermo de Ascensione Domini, 60, 2: Sancti Bernardi Opera, t. VI, 1, 291, 20-21). Tale evento è preceduto dalla benedizione dei discepoli, che li prepara a ricevere il dono dello Spirito Santo, affinché la salvezza sia proclamata ovunque. Gesù stesso dice loro: "Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso" (cfr Lc 24,47-49).

Il Signore attira lo sguardo degli Apostoli - il nostro sguardo - verso il Cielo per indicare come percorrere la strada del bene durante la vita terrena. Egli, tuttavia, rimane nella trama della storia umana, è vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino cristiano: è compagno dei perseguitati a causa della fede, è nel cuore di quanti sono emarginati, è presente in coloro a cui è negato il diritto alla vita. Possiamo ascoltare, vedere e toccare il Signore Gesù nella Chiesa, specialmente mediante la Parola e i sacramenti. A tale proposito, esorto i ragazzi e i giovani che in questo tempo pasquale ricevono il sacramento della Cresima, a restare fedeli alla Parola di Dio e alla dottrina appresa, come pure ad accostarsi assiduamente alla Confessione e all’Eucaristia, consapevoli di essere stati scelti e costituiti per testimoniare la Verità. Rinnovo poi il mio particolare invito ai fratelli nel Sacerdozio, affinché "nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica" (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale) e sappiano utilizzare con saggezza anche i mezzi di comunicazione, per far conoscere la vita della Chiesa e aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo (cfr Messaggio XLVI G.M. Com. Soc., 24 gennaio 2010).

Cari fratelli e sorelle, il Signore, aprendoci la via del Cielo, ci fa pregustare già su questa terra la vita divina. Un autore russo del Novecento, nel suo testamento spirituale, scriveva: "Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, … intrattenetevi … col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete" (N. Valentini - L. Žák [a cura], Pavel A. Florenskij. Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano 2000, p. 418). Ringrazio la Vergine Maria, che nei giorni scorsi ho potuto venerare nel Santuario di Fatima, per la sua materna protezione durante l’intenso pellegrinaggio compiuto in Portogallo. A Colei che veglia sui testimoni del suo diletto Figlio rivolgiamo con fiducia la nostra preghiera.

DOPO IL REGINA CÆLI

A banner reading 'The people of Rome with the Holy Father ' is displayed by faithful on St Peter's square as Pope Benedict XVI (not pictured) addresses the Regina Caeli prayer from the window of his appartment on May 16, 2010 at The Vatican. More than 150,000 pilgrims turned out at the Vatican on Sunday, police said, in a rally of support for Pope Benedict XVI as he battles a paedophile priest scandal.

Pope Benedict XVI waves to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his weekly Angelus blessing at the Vatican May 16, 2010.

Pope Benedict XVI addresses the Regina Caeli prayer from the window of his appartment to faithful at St Peter's square on May 16, 2010 at The Vatican. More than 150,000 pilgrims turned out at the Vatican on Sunday, police said, in a rally of support for Pope Benedict XVI as he battles a paedophile priest scandal.

Pope Benedict XVI addresses the Regina Caeli prayer from the window of his appartment to faithful at St Peter's square on May 16, 2010 at The Vatican. More than 150,000 pilgrims turned out at the Vatican on Sunday, police said, in a rally of support for Pope Benedict XVI as he battles a paedophile priest scandal.

Pope Benedict XVI (Top R) addresses the Regina Caeli prayer from the window of his appartment to faithful at St Peter's square on May 16, 2010 at The Vatican. More than 150,000 pilgrims turned out at the Vatican on Sunday, police said, in a rally of support for Pope Benedict XVI as he battles a paedophile priest scandal.




Grazie per questa vostra presenza e fiducia, grazie! Quest’oggi il mio primo saluto va ai fedeli laici venuti da tutta Italia, e al Cardinale Angelo Bagnasco che li accompagna come Presidente della Conferenza Episcopale. Vi ringrazio di cuore, cari fratelli e sorelle, per la vostra calorosa e nutrita presenza! Raccogliendo l’invito della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, avete aderito con entusiasmo a questa bella e spontanea manifestazione di fede e di solidarietà, a cui partecipa pure un consistente gruppo di parlamentari e amministratori locali.

A tutti desidero esprimere la mia viva riconoscenza. Saluto anche le migliaia di immigrati, collegati con noi da Piazza San Giovanni, con il Cardinale Vicario Agostino Vallini, in occasione della "Festa dei Popoli". Cari amici, voi oggi mostrate il grande affetto e la profonda vicinanza della Chiesa e del popolo italiano al Papa e ai vostri sacerdoti, che quotidianamente si prendono cura di voi, perché, nell’impegno di rinnovamento spirituale e morale possiamo sempre meglio servire la Chiesa, il Popolo di Dio e quanti si rivolgono a noi con fiducia.

Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa.

Viviamo nel mondo - dice il Signore - ma non siamo del mondo (cfr Gv 17, 14), anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni. Dobbiamo invece temere il peccato e per questo essere fortemente radicati in Dio, solidali nel bene, nell’amore, nel servizio. E’ quello che la Chiesa, i suoi ministri, unitamente ai fedeli, hanno fatto e continuano a fare con fervido impegno per il bene spirituale e materiale delle persone in ogni parte del mondo. E’ quello che specialmente voi cercate di fare abitualmente nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti: servire Dio e l’uomo nel nome di Cristo.

Proseguiamo insieme con fiducia questo cammino, e le prove, che il Signore permette, ci spingano a maggiore radicalità e coerenza. E’ bello vedere oggi questa moltitudine in Piazza San Pietro come è stato emozionante per me vedere a Fatima l’immensa moltitudine, che, alla scuola di Maria, ha pregato per la conversione dei cuori. Rinnovo oggi questo appello, confortato dalla vostra presenza così numerosa! Grazie!


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Solennità dell'Ascensione in Vaticano. Il Papa: con Cristo l'uomo è entrato per sempre nello spazio di Dio (R.V.)

Solennità dell'Ascensione in Vaticano. Il Papa: con Cristo l'uomo è entrato per sempre nello spazio di Dio

In Vaticano si celebra oggi la solennità dell’Ascensione, che il calendario liturgico fissa invece a domenica prossima per la maggior parte delle Chiese del mondo. L’ascesa al cielo di Gesù è il mistero della fede cristiana che rende particolarmente vicino alla sensibilità umana il concetto del viaggio verso la “patria celeste”. Benedetto XVI si è soffermato a parlarne in più circostanze, come ricorda in questo servizio Alessandro De Carolis:

E poi Gesù si stacca da terra e una nube lo sottrae agli occhi dei suoi Discepoli. È il suo ultimo atto terreno dopo la Risurrezione. Da quell’istante sul Monte degli Ulivi, come vuole la tradizione, Gesù esce fisicamente dalla storia umana per entrare fisicamente nel Regno di suo Padre. Ma tra le due dimensioni del cielo e la terra resta una continuità. Le nubi dalle quali Cristo viene coperto non sono il simbolo di una porta che si è chiusa. La continuità, la porta che rimane aperta tra terra e cielo – spiega Benedetto XVI – è Gesù stesso:

“Nel Cristo asceso al cielo, l’essere umano è entrato in modo inaudito e nuovo nell'intimità di Dio; l'uomo trova ormai per sempre spazio in Dio. Il ‘cielo’ non indica un luogo sopra le stelle, ma qualcosa di molto più ardito e sublime: indica Cristo stesso, la Persona divina che accoglie pienamente e per sempre l’umanità, Colui nel quale Dio e uomo sono per sempre inseparabilmente uniti”. (Messa a Cassino, 24 maggio 2009)

Il dinamismo dell’Ascensione non può che trasportare i pensieri dell’anima al dinamismo inverso, quello dell’Incarnazione, quando il figlio di Dio ha schiuso per la prima volta, con la sua venuta tra gli uomini, la via di comunicazione tra il cielo e la terra. Ma già in quella “discesa”, afferma il Papa, è contenuta l’ascesa che verrà. E lo è in un modo che nessun asceta potrà mai eguagliare, perché è solo di Cristo:

“Egli infatti è venuto nel mondo per riportare l’uomo a Dio, non sul piano ideale – come un filosofo o un maestro di saggezza – ma realmente, quale pastore che vuole ricondurre le pecore all’ovile. Questo ‘esodo’ verso la patria celeste, che Gesù ha vissuto in prima persona, l’ha affrontato totalmente per noi. E’ per noi che è disceso dal Cielo ed è per noi che vi è asceso, dopo essersi fatto in tutto simile agli uomini, umiliato fino alla morte di croce, e dopo avere toccato l’abisso della massima lontananza da Dio”. (Regina Caeli del 4 maggio 2008)

L’Ascensione è, per così dire, la “strada” opposta alla massima lontananza. Con essa Gesù torna al fianco del Padre. E tuttavia, ha detto una volta Benedetto XVI, l’Ascensione non è neanche una “temporanea assenza dal mondo”. Perché Gesù ha promesso che resterà accanto ai suoi per sempre. Dunque, quella elevazione che lascia ammutoliti i pochi privilegiati che vi assistono non è l’inizio di una fine, e nemmeno una straordinaria uscita dalla scena del mondo. È di più: l’indicazione di una direzione, la traiettoria cui sono chiamati coloro che seguiranno il Vangelo. È l’immagine che dà un’altezza e una profondità al mistero del “già e non ancora”:

“Il Signore attira lo sguardo degli Apostoli verso il Cielo per indicare loro come percorrere la strada del bene durante la vita terrena. Egli, tuttavia, rimane nella trama della storia umana, è vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino cristiano: è compagno dei perseguitati a causa della fede, è nel cuore di quanti sono emarginati, è presente in coloro a cui è negato il diritto alla vita”. (Regina Caeli, 16 maggio 2010)

L’Ascensione rende tangibile anche un’altra realtà: quella della trascendenza della Chiesa. Mentre costruisce il Regno di Dio sulla terra, la Chiesa marcia verso l’altra sua destinazione. La Chiesa, ha osservato il Papa…

“…non è nata e non vive per supplire all’assenza del suo Signore ‘scomparso’, ma al contrario trova la ragione del suo essere e della sua missione nella permanente anche se invisibile presenza di Gesù, una presenza operante mediante la potenza del suo Spirito. In altri termini, potremmo dire che la Chiesa non svolge la funzione di preparare il ritorno di un Gesù ‘assente’, ma, al contrario, vive ed opera per proclamarne la ‘presenza gloriosa’ in maniera storica ed esistenziale”. (Messa a Cassino, 24 maggio 2009)

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Il Papa: Cari amici, l’Ascensione ci dice che in Cristo la nostra umanità è portata alle altezze di Dio; così, ogni volta che preghiamo, la terra si congiunge al Cielo. E come l’incenso, bruciando, fa salire in alto il suo fumo, così, quando innalziamo al Signore la nostra fervida e fiduciosa preghiera in Cristo, essa attraversa i cieli e raggiunge Dio stesso, viene da Lui ascoltata ed esaudita



Messaggio del Papa per la 46a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: "Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione"


 
 
 
Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Cæli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:
 
PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!


Quaranta giorni dopo la Risurrezione – secondo il Libro degli Atti degli Apostoli – Gesù ascese al Cielo, cioè ritornò al Padre, dal quale era stato mandato nel mondo. In molti Paesi questo mistero viene celebrato non il giovedì, ma oggi, la domenica seguente.
L’Ascensione del Signore segna il compiersi della salvezza iniziata con l’Incarnazione. Dopo avere istruito per l’ultima volta i suoi discepoli, Gesù sale al cielo (cfr Mc 16,19).
Egli, però, «non si è separato dalla nostra condizione» (cfr Prefazio); infatti, nella sua umanità, ha assunto con sé gli uomini nell’intimità del Padre e così ha rivelato la destinazione finale del nostro pellegrinaggio terreno. Come per noi è disceso dal Cielo, e per noi ha patito ed è morto sulla croce, così per noi è risorto ed è risalito a Dio, che perciò non è più lontano. San Leone Magno spiega che con questo mistero «viene proclamata non solo l’immortalità dell’anima, ma anche quella della carne. Oggi, infatti, non solo siamo confermati possessori del paradiso, ma siamo anche penetrati in Cristo nelle altezze dei cieli» (De Ascensione Domini, Tractatus 73, 2.4: CCL 138 A, 451.453).
Per questo i discepoli, quando videro il Maestro sollevarsi da terra e innalzarsi verso l’alto, non furono presi dallo sconforto, come si potrebbe pensare; anzi, provarono una grande gioia e si sentirono spinti a proclamare la vittoria di Cristo sulla morte (cfr Mc 16,20). E il Signore risorto operava con loro, distribuendo a ciascuno un carisma proprio. Lo scrive ancora san Paolo: «Ha distribuito doni agli uomini … ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri … allo scopo di edificare il corpo di Cristo … fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,8.11-13).
Cari amici, l’Ascensione ci dice che in Cristo la nostra umanità è portata alle altezze di Dio; così, ogni volta che preghiamo, la terra si congiunge al Cielo. E come l’incenso, bruciando, fa salire in alto il suo fumo, così, quando innalziamo al Signore la nostra fervida e fiduciosa preghiera in Cristo, essa attraversa i cieli e raggiunge Dio stesso, viene da Lui ascoltata ed esaudita.
Nella celebre opera di san Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, leggiamo che «per vedere realizzati i desideri del nostro cuore, non v’è modo migliore che porre la forza della nostra preghiera in ciò che più piace a Dio. Allora, Egli non ci darà soltanto quanto gli chiediamo, cioè la salvezza, ma anche quanto Egli vede sia conveniente e buono per noi, anche se non glielo chiediamo» (Libro III, cap. 44, 2, Roma 1991, 335).
Supplichiamo infine la Vergine Maria, perché ci aiuti a contemplare i beni celesti, che il Signore ci promette, e a diventare testimoni sempre più credibili della sua Resurrezione, della vera vita.


DOPO IL REGINA CÆLI
 
Cari fratelli e sorelle!

Si celebra oggi la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul tema «Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione». Il silenzio è parte integrante della comunicazione, è un luogo privilegiato per l’incontro con la Parola di Dio e con i nostri fratelli e sorelle. Invito tutti a pregare affinché la comunicazione, in ogni sua forma, serva sempre ad instaurare con il prossimo un dialogo autentico, fondato sul rispetto reciproco, sull’ascolto e la condivisione.

Giovedì, 24 maggio, è giorno dedicato alla memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, venerata con grande devozione nel Santuario di Sheshan a Shanghai: ci uniamo in preghiera con tutti i cattolici che sono in Cina, perché annuncino con umiltà e con gioia Cristo morto e risorto, siano fedeli alla sua Chiesa e al Successore di Pietro e vivano la quotidianità in modo coerente con la fede che professano. Maria, Vergine fedele, sostenga il cammino dei cattolici cinesi, renda la loro preghiera sempre più intensa e preziosa agli occhi del Signore, e faccia crescere l’affetto e la partecipazione della Chiesa universale al cammino della Chiesa che è in Cina.

Rivolgo un cordiale saluto alle migliaia di aderenti al Movimento per la Vita italiano, riuniti in Aula Paolo VI. Cari amici, il vostro Movimento si è sempre impegnato a difendere la vita umana, secondo gli insegnamenti della Chiesa. In questa linea avete annunciato una nuova iniziativa chiamata «Uno di noi», per sostenere la dignità e diritti di ogni essere umano fin dal concepimento. Vi incoraggio e vi esorto ad essere sempre testimoni e costruttori della cultura della vita. [SM=g1740721]

(..)

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il grande gruppo dei ragazzi della Cresima dell’arcidiocesi di Genova. Cari ragazzi, lo Spirito Santo sia sempre la vostra guida, perché siate veri discepoli e testimoni di Gesù. Saluto i fedeli venuti da Montoro Superiore, Setteville di Guidonia, Brindisi e Sava; l’associazione «Amici di Edo» di Pizzighettone; i partecipanti al convegno sul Catechismo della Chiesa Cattolica e i rappresentanti del Consorzio Greenvision che collaborano con l’Ospedale «Bambino Gesù» per la prevenzione e la cura delle malattie degli occhi.

Saluto le varie scolaresche, e qui oggi devo purtroppo ricordare le ragazze e i ragazzi della scuola di Brindisi, coinvolti ieri in un vile attentato. Preghiamo insieme per i feriti, tra cui alcuni gravi, e specialmente per la giovane Melissa, vittima innocente di una brutale violenza e per i suoi familiari, che sono nel dolore.

Il mio affettuoso pensiero va anche alle care popolazioni dell’Emilia Romagna colpite poche ore fa da un terremoto. Sono spiritualmente vicino alle persone provate da questa calamità: imploriamo da Dio la misericordia per quanti sono morti e il sollievo nella sofferenza per i feriti.

A tutti auguro una buona domenica.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Nell'Ascensione di Gesù al cielo (L'umanità, rigenerata viene ricondotta al Padre)

Il seme della fiducia
di mons. Inos Biffi

Con l'ascensione al cielo Gesù termina il suo itinerario terreno per iniziare la sua condizione gloriosa alla destra del Padre, dove la sua opera di salvezza trova il riconoscimento, il suo sacrificio è accolto, la sua preghiera diviene intercessione universale, la sua presenza è estesa a ogni tempo, la sua signoria diventa efficace in ogni spazio e il suo potere si diffonde in ogni situazione, «in cielo e in terra» (Matteo, 28, 18).

In apparenza quello di Gesù è un allontanarsi: i discepoli non lo vedranno più; in realtà l'ascensione lo rende prossimo e interiore a essi, che lo sentiranno vicino non più dentro i limitati e privilegiati confini dei loro brevi giorni e luoghi: l'umanità gloriosa del Signore sarà dappertutto e presso ciascuno, in una “contemporaneità” che supera ogni genere di obiezione e di resistenza. Con suggestiva espressione san Bernardo scrive: Gesù, ascendendo al cielo, «ha lasciato in noi il seme della fiducia e dell'attesa, ha creato la speranza nei credenti» (Sermo in ascensione Domini, iv, 1).

È precisamente con questa presenza del Signore e questa speranza che i discepoli compiono la missione, che predicano il Vangelo, perché sia accolto nella fede e nel battesimo e così avvenga la salvezza. La loro non è un'attività svolta a nome e per virtù propria. Essi sono in missione per fedeltà a un mandato: «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Matteo, 28, 19). Dall'ascensione parte la missione, che diffonde nel mondo il senso della vita di Cristo, la vita nuova iniziata nella risurrezione. La Chiesa non può ripiegarsi soddisfatta su se stessa o intimidita dalle difficoltà di annunziare la Parola di Dio; né può mettere in discussione la materia del mandato: predicare e battezzare, per suscitare la fede; né può convincersi che la salvezza è possibile anche a chi non crede: «Chi non crederà sarà condannato» (Marco, 16, 16). Il rifiuto del Vangelo esclude dalla salvezza, anche se certamente soltanto Dio conosce chi veramente crede e chi rigetta la fede.
 
«Il Signore operava insieme con loro e confermava la Parola con i prodigi che l'accompagnavano» (Marco, 16, 20). Sempre il Signore opera con la Chiesa: diversamente essa non riuscirebbe in nulla. La Chiesa non ha il potere di salvare; essa è anzitutto salvata, e diviene segno e strumento di Colui che è in ogni tempo l'unico Salvatore, che dà forza all'annunzio, che colma i riti della sua presenza e del suo Spirito, che apre il cuore all'ascolto e all'accoglienza e li sostiene nella perseveranza. È Cristo che nei discepoli «percorre il mondo intero» (Franz Schweizer), dal momento che la sua è anche una “vittoria sul tempo”, non perché il tempo non esista più, ma perché non riesce a renderlo un sorpassato, costituito com'è in un “oggi” che non declina.
 
La presenza del Signore è visibile nei prodigi che confermano la Parola annunziata: i demoni scacciati, le nuove lingue, l'indennità tra i pericoli, la guarigione dei malati. È il mondo della risurrezione, il mondo nuovo che incomincia a rivelarsi nella sconfitta del demonio, abbattuto dalla signoria di Gesù. Per chi crede non c'è più circostanza che possa compromettere seriamente e per sempre la sua vita, e il motivo è la comunione con il Signore che ha «vinto il mondo» (Giovanni, 16, 33).
 
Perciò un cristiano non si deprime fino in fondo; anzi non si deprime affatto come per l'irreparabile. Ma bisogna che sia intensa e continua la contemplazione del Figlio di Dio nel quale «la nostra umanità è innalzata accanto al Padre» (cfr. Messa dell'Ascensione, orazione dopo la comunione). È questa umanità la speranza e l'attrattiva del mondo, di cui l'ascensione ha rappresentato l'apertura definitiva a Dio, la “risoluzione”.
 
L'umanità di Gesù risorta e ascesa al cielo è il vincolo indissolubile tra gli uomini e Dio, l'evidenza dell'amore divino per l'uomo, tanto da averlo per sempre accanto a sé in una compiacenza eterna. L'uomo è portato nell'intimità trinitaria. È già vero per Cristo esemplarmente, ossia come primizia di quanto avverrà per tutti quelli che avranno fede, per le membra del Corpo di Gesù, «nostro capo nella gloria» (colletta).
 
Se ci limitiamo a considerare l'uomo con un giudizio “naturale”, o a partire dai dati dell'esperienza immediata, non riusciamo a scorgere questa sua destinazione divina, tanto ci appare fragile, talvolta deplorevole e inattraente, e alla fine corroso e consumato dalla morte. In realtà solo Dio può dirci veramente chi è l'uomo e qual è il suo destino; può dirci con quale amore lui lo ha amato e creato e ce lo rivela in modo perfetto con l'esaltazione dell'umanità di Gesù alla sua destra: là dove «si sedette», come scrive Marco nel suo Vangelo (16, 19), ma non in una quiete soddisfatta e indifferente per noi; al contrario: per proseguire in noi. Con l'ascensione appare che l'uomo è riuscito e non fallito, e che in Gesù ognuno è chiamato a riuscire nella forma che nessun umanesimo potrebbe immaginare.
 
San Bernardo definisce l'ascensione «consumazione e adempimento di tutte le altre solennità, conclusione felice di tutto l'itinerario del Figlio di Dio» (Sermo in ascensione Domini, ii, 1), e quindi modello del termine di ogni itinerario umano. L'ascensione è il festeggiamento dell'uomo. Ma dell'uomo che crede, e perciò che imita Gesù Cristo, innalzato per il suo abbassamento; glorificato per la sua croce; gratificato della signoria dopo l'umiliazione del servizio. È sempre il Crocifisso che diviene glorioso; ma nella croce, che ora è della Chiesa e delle anime, agisce questa forza dell'ascensione, questa signoria che costituisce il seme della fiducia.
 
La vocazione cui siamo stati chiamati -- esorta oggi san Paolo -- domanda un comportamento conforme, e in particolare: l'umiltà, la mansuetudine, la pazienza, la reciproca sopportazione nell'amore, l'impegno a conservare l'unità (Efesini, 4, 1-2). Un altro richiamo è fatto da Paolo partendo dall'ascensione di Gesù al cielo: quello di riconoscere la varietà dei doni che il Risorto ha fatto, l'origine in lui delle diverse missioni, quella dell'apostolo, o del profeta, o dell'evangelista o del pastore o del maestro. Nessuno si autodona queste grazie, tutte allo stesso modo sono ricevute, e tutte allo stesso modo vanno finalizzate a «edificare il corpo di Cristo» (Efesini, 4, 12): non quindi a suscitare confronti, a generare risse e accaparramenti, poiché, oltre e più importante delle “grazie” ricevute, c'è il Signore e la sua Chiesa, c'è la «generazione dei fedeli» (Super euangelium Matthaei reportatio, cap. 28, n. 2469), come la chiama Tommaso d'Aquino.
 
Gesù, assunto fino al cielo, tornerà «un giorno»: gli angeli lo assicurano agli uomini di Galilea che«stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava» (Atti, 1, 10). Viviamo in questa attesa della venuta.
 
Meditando il passo degli Atti san Bernardo pregava: «Chi mi consolerà, Signore Gesù, del fatto che io non ti ho visto appeso alla croce, illividito dalle piaghe, pallido per la morte; non ho patito con te crocifisso, non ti ho ossequiato da morto, non ho inumidito almeno di lacrime i luoghi delle ferite? Come mai mi hai abbandonato senza il tuo saluto, quando, o Re della gloria, nella bellezza della tua stola, sei entrato nell'alto dei cieli? La mia anima avrebbe rifiutato ogni consolazione se gli angeli con voce gioiosa, non mi avessero preannunziato: un giorno tornerà» (Sermo in ascensione Domini, III, 4). Un giorno lo incontreremo e ne faremo la conoscenza, personalmente.
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L'Osservatore Romano 9 maggio 2013



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[SM=g1740717] "Oggi colmi di gioia colei che ti ha partorito"



2013-05-09 L’Osservatore Romano

I tropari bizantini chiamati theotòkia sono testi che rendono presente la figura della Madre di Dio (theotòkos) nella liturgia del giorno o della festa che si celebra. Sono tropari in cui la figura di Cristo viene messa in luce dalla figura di sua madre.

Nella festa dell’Ascensione del Signore il quarantesimo giorno dopo Pasqua, cioè il giovedì della sesta settimana del periodo pasquale, i theotòkia sono soprattutto nell’ufficiatura del mattutino, benché anche nel vespro troviamo la figura della Madre di Dio. In lei il mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, il suo abbassarsi e il suo discendere, si unisce al mistero della sua Ascensione, il suo salire al Padre con la glorificazione della natura umana assunta appunto da Maria.

«Ascensione del Signore» (VI secolo, «Tetravangelo di Rabbula»)La liturgia bizantina nella festa dell’Ascensione mette in rilievo il collegamento tra l’Incarnazione del Signore e la sua Ascensione celebrate come ricreazione della natura umana — la liturgia bizantina privilegia l’espressione “carne” — assunta da lui stesso: «Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesù, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l’hai fatta sedere con te accanto al Padre. Per questo con le celesti schiere degli incorporei, anche noi quaggiù sulla terra, glorificando la tua discesa fra noi e la tua dipartita da noi con l’ascensione, supplici diciamo: O tu che con la tua ascensione hai colmato di gioia infinita i discepoli e la Madre di Dio che ti ha partorito, per le loro preghiere concedi anche a noi la gioia dei tuoi eletti, nella tua grande misericordia». Come se la liturgia di questa festa volesse essere un contrappunto alla liturgia dell’Annunciazione celebrata il 25 marzo.

Molti testi sottolineano la gioia di Maria e degli apostoli, cioè di tutta la Chiesa, per l’Ascensione del Signore. In diversi tropari del mattutino si riprende questo rapporto inscindibile tra Incarnazione e Ascensione: «Il Dio che è prima dei secoli e senza principio, dopo aver misticamente divinizzata la natura umana da lui assunta, è oggi asceso al cielo. Disceso dal cielo alle regioni terrestri, hai risuscitato con te, poiché sei Dio, la natura umana che giaceva in basso, nel carcere dell’Ade, e con la tua ascensione, o Cristo, l’hai fatta salire ai cieli, rendendola con te partecipe del trono del Padre tuo».

L’Incarnazione è anche contemplata come un rivestirsi da parte del Verbo di Dio della natura umana — la liturgia adopera la formula «rivestirsi di Adamo» — per portarla nell’Ascensione alla sua piena glorificazione presso il Padre: «Dopo aver cercato Adamo che si era smarrito per l’inganno del serpente, o Cristo, di lui rivestito sei asceso al cielo e ti sei assiso alla destra del Padre, partecipe del suo trono. O Cristo, quale propiziazione e salvezza, dalla Vergine, o sovrano, su noi sei rifulso, per liberare dalla corruzione l’intera persona di Adamo, caduto con tutta la sua stirpe, così come liberasti il profeta Giona dal ventre del mostro marino». A rappresentare tutta la stirpe umana è Adamo presentato come pecora smarrita, Adamo ricercato, trovato e riportato nel paradiso.

La figura della Madre di Dio nella festa dell’Ascensione, come nei giorni della Settimana santa, viene presentata sempre con espressioni sia di sofferenza sia di gioia: «Signore, compiuto nella tua bontà il mistero nascosto da secoli e da generazioni, sei andato con i tuoi discepoli al Monte degli Ulivi, insieme a colei che ha partorito te, creatore e artefice dell’universo: bisognava infatti che godesse di immensa gioia per la glorificazione della tua carne, colei che come madre più di tutti aveva sofferto nella tua passione».

Maria quindi è presente nel mistero dell’Incarnazione e in quello dell’Ascensione del Signore: «Immacolata Madre di Dio, incessantemente intercedi presso il Dio che, senza lasciare il seno del Padre, da te si è incarnato, affinché voglia liberare da ogni sventura coloro che ha plasmato. Hai generato il sovrano di tutti, o sovrana tutta immacolata, colui che ha accettato la volontaria passione ed è quindi salito al Padre suo, che mai aveva abbandonato, pur avendo assunto la carne».

E uno dei tropari fa un bel paragone tra il grembo di Maria, riempito nell’Incarnazione dal Signore stesso, e il grembo dell’Ade svuotato dallo stesso Signore nella sua risurrezione: «Beato il tuo ventre, o tutta immacolata, perché inesplicabilmente è stato degno di contenere colui che prodigiosamente ha svuotato il ventre dell’Ade: supplicalo di salvare noi che a te inneggiamo». La presenza di Maria sia nell’icona sia nei testi dell’Ascensione del Signore conferma la professione di fede nel Verbo di Dio incarnato, vero Dio e vero uomo: «Cristo, che ti ha custodita vergine dopo il parto, ascende, o Madre di Dio, al Padre che mai ha lasciato, anche se ha da te assunto una carne dotata di anima e intelletto, per ineffabile misericordia».

Manuel Nin

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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