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LA TUNICA STRACCIATA (testi di Tito Casini)

Ultimo Aggiornamento: 30/01/2012 16:25
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22/05/2009 14:48
 
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Il titolo: LA TUNICA STRACCIATA esprime già di per se il senso della riflessione riportata in questo spazio...

Tito Casini.... chi era?
interessante che il curatore del sito è:

Fra Pier Damiani Maria obl. O.S.B. Cam. una consolazione dal momento che non si tratta di un laico...

Scriveva così Tito Casini:

I protestanti, ho detto (dimenticando che dovevo dire i «fratelli separati», e di quale fraternità si tratti è palese presentemente in Irlanda), per dire appunto i padri e maestri di questi nostri riformatori da cui essi, come il paggio Fernando della famosa partita, si riconoscono di gran lunga superati, e ricordare ciò che il santo pontefice pur ora citato diceva e prediceva, in quella sua prima enciclica alle soglie del secolo: «L'errore dei protestanti diè il primo passo su questo sentiero; il secondo è del modernismo; a breve distanza dovrà seguire l'ateismo».

Siamo prossimi a questo, all'ultimo stadio, la «morte di Dio», e la Riforma, la «nostra», n'è la propellente: il principio protestante, cuius regio illius et religio, ogni regione la sua religione, ha nel «pluralismo liturgico» - nella legge del culto autonoma, regionale, lingua e riti, rispetto a quella del Credo - il suo equivalente, con la conseguenza che la religione, la vera, la buona, langue in ogni regione, che il pluralismo si risolve in nullismo, avverandosi in tutte, anche in quelle dove il volgare è meno volgare, meno barbaro, ciò che il Marshall scriveva, per i cattolici riformisti, dell'Inghilterra riformata: «Non c'illudiamo: non sarà la liturgia in volgare a far venire gl'invitati al festino di nozze. La Chiesa anglicana canta il più bell'inglese davanti ai banchi più vuoti, mentre il (cattolico) più ignorante in latino intende benissimo ciò che fanno i monaci di Solesmes».

e ancora scriveva profeticamente negli anni '70:

Risorgerà, vi dicevo... [la Santa Messa Tridentina] risorgerà, come rispondo ai tanti che vengono da me a sfogarsi (e lo fanno, a volte, piangendo), e a chi mi chiede com'è che io ne sono certo, rispondo (da «poeta», se volete) conducendolo sulla mia terrazza e indicandogli il sole... Sarà magari sera avanzata e là nella chiesa di San Domenico i frati, a Vespro, canteranno: Iam sol recedit igneus; ma tra qualche ora gli stessi domenicani miei amici canteranno, a Prima: Iam lucis orto sidere e così sarà tutti i giorni.

Il sole, voglio dire, risorgerà, tornerà, dopo la notte, a brillare, a rallegrar dal cielo la terra, perché... perché è il sole e Dio ha disposto che così fosse a nostra vita e conforto. Così, aggiungevo, è e sarà della Messa - la Messa «nostra», cattolica, di sempre e di tutti: il nostro sole spirituale, così bello e santo e santificante - contro l'illusione dei pipistrelli, stanati dalla Riforma, che la loro ora, l'ora delle tenebre, non debba finire; e ricordo: su questa mia ampia terrazza eravamo in molti, l'altr'anno, a guardar l'eclisse totale del sole; ricordo, e quasi mi par di risentire, il senso di freddo, di tristezza e quasi di sgomento, a vedere, a sentir l'aria incaliginarsi e addiacciarsi via via, ricordo il silenzio che si fece sulla città, mentre le rondini, mentre gli uccelli scomparivano, impauriti, e ricomparivano svolazzando nel cielo i ripugnanti chirotteri.

A uno che disse, quando il sole fu interamente coperto: - E se non si rivedesse più? - rammento che nessuno rispose, quasi non si addicesse, in questo, lo scherzo... Il sole si rivide, infatti, il sole risorse, dopo la breve diurna notte, bello come prima e, come ci parve, più di prima, mentre l'aria si ripopolava di uccelli e i pipistrelli tornavano a rintanarsi.

*************************************

Tito Casini era scrittore, magari anche poeta, squisitamente Cattolico che pur rimanendo fedele alla Chiesa non accettò tuttavia gli eventi che susseguirono al Concilio, denunciandoli attraverso questi scritti malinconici se vogliamo, ma anche profetici e poetici... Occhiolino
Scrisse negli anni '30 "Storia Sacra", in tomo di 500 pagine impregnate di Tradizione pura da lui riportata in tono poetico, come si porta un gioiello ad una sposa...

Nato a Cornacchiaia, frazione di Firenzuola, il 23 novembre 1897, da una famiglia di antiche tradizioni rurali e religiose, Tito Casini fin dalle prime classi elementari dimostrò una particolare attitudine alla letteratura.

Nella notizia biografica redatta da Nicola Lisi, in "Antologia degli scrittori cattolici", è definito "Avvocato per la laurea e per gli occhiali a stanghetta, per tutto il resto colto, intelligentissimo montanaro, esaltatore e difensore di tutto ciò che vive e si muove all'ombra dei suo campanile".

Ben presto, infatti, depose la toga di avvocato, una professione che necessitava di compromessi che maL si confacevano al suo carattere, e si unì a un gruppo di scrittori fiorentini, tra i quali Papini, Bargellini, Giuliotti e Betocchi. Insieme fondarono il "Frontespizio", la famosa rivista pubblicata a Firenze tra il 1929 e il 1940. Muore nel 1987.

L'uscita de "La vigilia dello sposo", uno dei libri più gradevoli di Tito Casini, veniva, sul "Frontespizio" del giugno 1930, così salutata:

"E' un diario quaresimale, dove, con squisitezza d'animo l'autore canta, in pulitezza trecentesca di lingua e spontaneità di affetti, la vita liturgica dei periodo di penitenza che precede la Pasqua, armonizzandola in sapiente vigilia ed attesa della Resurrezione, massimo e sublime evento per il cristiano... Lo stile, ravvivato specialmente dal brio e dalla belle proprietà dei parlare toscano, fiorisce spontaneo sotto la penna dei giovane e brioso scrittore, al quale va dato atto di farsi leggere con gusto". Per chi scrive libri è davvero il massimo.

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Ne "La Tunica stracciata" troviamo così una raccolta di brani, scritti poeticamente, che descrivono di una grande apostasia nella Chiesa a seguire dopo il Concilio...

"sublime" per le parole usate, ma drammatico al tempo stesso è questo racconto della "prima messa riformata di Paolo VI" intilolato: IL GRANDE SACRIFICIO che vi invito  a meditare:

" Non questo, non così egli, Paolo VI, aveva creduto o mostrato di credere - allorché, parlando dalla finestra quel non limpido mezzogiorno del 7 marzo 1965, aveva detto: «Questa domenica segna una data memorabile nella storia spirituale della Chiesa, perché la lingua parlata entra ufficialmente nel culto liturgico, come avete già visto questa mattina. La Chiesa ha ritenuto doveroso questo provvedimento... Il bene del popolo esige questa premura».

E quasi dolendosi, quasi rimpiangendo, al contempo, ciò che si è obbligato a immolare (come Iefte l'amata figlia che ignara del voto paterno gli è venuta incontro festosa con cembali e danze e saputolo gli chiede di poter prima andare con le compagne sui monti a piangere la sua giovinezza): «È un sacrificio che la Chiesa ha compiuto della propria lingua, il latino: lingua sacra, grave, bella, estremamente espressiva ed elegante».

E ancora, ancora e più conscio della gravità di ciò che diceva: «Ha sacrificato, la Chiesa, tradizioni di secoli e soprattutto sacrifica l'unità di linguaggio nei vari popoli...»
Così aveva parlato e scritto il devoto suo antecessore Giovanni, dimenticando la sua nota mitezza per percuotere con le più dure parole e minacce chi avesse parlato o scritto, o lasciato, da Superiore o da Vescovo, che si dicesse o scrivesse in contrario, «contra linguam Latinam in sacris habendis ritibus»; così il suo ascetico predecessore, pio XII; così il forte Pio XI; così tutti i sommi Pontefici - nel loro cognome di «romani» - con ragioni e sanzioni come quelle che la Veterum Sapientia confermava poc'anzi nel nome stesso della civiltà universale... Tutti, fino a lui, e d'essere stato lui a spezzar la catena, a chiuder la tradizione, a privar la Chiesa di quella sua «propria lingua», pareva non essere interamente tranquillo, come di un cambiamento che i fatti avrebbero potuto giustificare o condannare: «Questo per voi, fedeli... e se saprete davvero...»

Aveva visto da sé, poche ore innanzi, nell'àrribito di una chiesa, che cosa comportasse nell'àmbito della Chiesa il sacrificar, col latino, «l'unità di linguaggio nei vari popoli».
Vari popoli, d'Europa e d'altre parti del mondo, riconoscibili al colore, all'accento, alla foggia degli abiti, erano infatti casualmente presenti, quella mattina, nella chiesa d'Ognissanti, in via Appia Nuova, dov'egli s'era portato a celebrar la sua prima messa riformata. Erano stranieri, di religione cattolica, affluiti per diporto a Roma ai primi richiami della primavera in arrivo, e si trovavano lì per assolvere il precetto festivo; ma, differentemente dal loro solito di ferventi cristiani, essi se ne stavan lì muti e come smarriti, stranieri, anche lì, tra quei pur fratelli di fede ch'erano i fedeli romani, dai quali li separava, precisamente, ciò che prima li univa, li affratellava; e il Papa sentiva con pena, pena di padre comune, il loro silenzio, le loro mancate risposte ai suoi auguri, detti in lingua italiana, che il Signore fosse con essi, che il Signore desse loro la pace; li sentiva, li vedeva assenti, quasi dissenzienti, quando nella lingua degli italiani diceva ciò che nella lingua di tutti si era detto - o cantato, nelle dolci universali note del gregoriano - fino a stamani: ... unum Deum... unum Dominum... unam Ecclesiam... conforme al monito dell'Apostolo: ut unanimes, uno ore honorificetis Deum... Con pena aveva sentito, il Papa, quel loro muto lamento: Extraneus factus sum fratribus meis, et peregrinus filiis matris meae, avvertendo com'egli stesso, il padre, si fosse, così, fatto loro straniero e pellegrino, in quella Roma patria spirituale di tutti.

Con pena aveva così visto e sentito - in quella sua prima messa dalla brutta denominazione di «riformata», che nei paesi di molti fra quegli stranieri equivaleva a «protestante» - i primi effetti del «sacrificio» detto poi in quel discorso, la rinunzia della Chiesa alla sua univocità, temendone di conseguenza quello dell'unanimità...

Con pena, e si tradiva nel tono stesso della sua voce: voce di chi dubita, entro sé, dubita di ciò che afferma: voce che si fece sicura, giulivamente sincera, allorché, terminando, disse: «Noi pregheremo la Madonna, la pregheremo ancora in latino», e in latino intonò il Saluto dell'Angelo, a cui si uni, dalla piazza, la folla cosmopolita, fatta, per quella comune lingua, non più di stranieri gli uni agli altri, ma di fedeli, di credenti, gli uni agli altri fratelli.




LA TUNICA STRACCIATA [SM=g1740720]


[SM=g1740739]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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