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LA TUNICA STRACCIATA (testi di Tito Casini)

Ultimo Aggiornamento: 30/01/2012 16:25
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22/05/2009 16:39
 
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Dal mio amico Chisolm[SM=g1740717]

“Gli disse per la terza volta: "Simone di Giovanni, mi ami?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecorelle.”

Probabilmente, Gesù sa che non basta un solo sì per divenire pastore e, per questo, lo chiede per tre volte a Pietro, come a dire: “ma sei sicuro? Non è che poi ci ripensi? Oh, tieni presente che le pecore sono le mie…”
E, invece, qualche pastore, ogni tanto si dimentica che pasce, o dovrebbe farlo, pecore non sue ma che gli sono state affidate: è sempre così, una sorta di usucapione della fede: pasci per venti o trent’anni le pecore del Padrone che, automaticamente, dopo tale tempo esse divengono tue.

E allora ci si sente esclusi, pecora non gradita con la voglia di saltare il recinto: sì, perché la parabola della pecora smarrita lascia altre interpretazioni. Può smarrirsi la pecora da sola o può smarrirla per negligenza il pastore stesso.
Per questo, c’è differenza tra pastore e Buon Pastore.
Per questo la pecora “riconosce la Sua voce” e la segue, sia che essa passi per l’umiliazione che il Giusto stesso ha provato, sia che si conceda alla grazia di un sorriso giunto al momento giusto.
Il Signore, talvolta rincuora con piccole cose e, al momento giusto, chiederà conto delle sue pecore… E lo farà senza sorridere neanche un po'.

Chisolm


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...e riprendiamo così Tinto Casini:

"La malattia protestante"

«Molti protestanti si preoccupano vedendo quello che accade nella Chiesa Romana».
Cosi, in un suo recente volume, l'anglicano Jacques Loncard, ed è un rilievo, come da lui fatto da tanti altri, prima e dopo, che dovrebbe far tremare (se ancora ne son capaci, essi che non potendo abolir quel giorno, hanno abolito, perché non ci si pensi, il Dies irae) gl'impresari, grossi e piccini, della Riforma, i curatori, primati e ordinari, della Chiesa, che, affetti dì neomania o veterofobia, l'hanno alterata, deformata, con trapianti e trasfusioni innaturali alla sua costituzione, cosìda renderla irriconoscibile, nonché agli estranei, ai suoi propri figli, e da oggetto d'invidia farne oggetto di compassione: Haeccine est urbs perfecti decoris...? Questa è la città della perfetta bellezza...?

Quanto ai figli, gli effetti disgregatori della Riforma son da dieci anni sotto i nostri occhi e nei nostri cuori: chi non ha ceduto alla tentazione staccandosi da quella che fino a ieri gli fu gioia amare e servite, si consola nella speranza che tale potrà essergli ancora o potrà essere ai suoi; quanto agli estranei... auguro all'amico del già mio amico Papini di aderire all'invito pubblico di Paolo VI: «Aspettiamo sempre Giuseppe Prezzolini», ma comprendo la sua risposta, il suo «se»: che non sarebbe, ad attrarlo, la Chiesa d'oggi, tutta protesa a cambiare, a, «rinnovare le strutture, le forme o le formule, come vogliono i nuovi o arretrati cattolici che farebbero bene a chiamarsi protestanti»; non sarebbe questa odierna Chiesa tutta impegnata «nella gara dei benefici sociali e delle forme politiche», curando meno il suo proprio compito, quello di «fare degli uomini buoni».

Non molto diversamente da lui, Augusto Guerriero, colui che ha cercato e non ha trovato, conclude un suo lungo studio su certe odierne ricerche d'ordine religioso, scrivendo: «Non vi sono che due vie: o la teologia con Dio o l'ateismo».
La prima di queste è la tradizionale, cattolica, l'altra è quella dei «nuovi teologi», sostanzialmente protestanti, che attraverso il modernismo, più o meno tortuosamente, come vide Pio X, conduce appunto all'ateismo.

È questa finale, questa estrema logica conseguenza della «malattia protestante», inoculata nella Chiesa dai bacilli del riformismo, che preoccupa i protestanti, i sofferenti costituzionali del morbo, desiderosi di guarirne e perciò orientati già con speranza verso il Cattolicismo. «Ho molta paura che i cattolici si trasformino in riformati», scrive ancora uno di loro, parlando dei nostri riformisti; e chi, al contrario, da riformato senza inquietudini, gode di ciò, avverte i correligionari che non è ancora il momento di stendersi sugli allori, che c'è ancora da fare, che i cattolici, per quanta strada abbian fatto, col Concilio e dopo il Concilio, incontro a chi li definì «sciocco bestiame» e «porci schifosi» (che fu Lutero, se ci è permesso di ricordarlo), non sono ancora del tutto rinsaviti o decircizzati, non del tutto, tutti, ancora, riformati, sul loro modello.

«È fuori di dubbio», scriveva su Le Monde (11 ottobre 1972) Roger Mehl, «che il Concilio Vaticano II, malgrado le resistenze e le esitazioni che hanno sottolineato l'attuazione delle sue decisioni, ha soddisfatte molte richieste che erano quelle dei riformatori del sedicesimo secolo».
E continua, citando fra i molti alcuni esempi: «L'aver messo la Bibbia al centro della fede, l'uso della lingua locale come lingua liturgica, l'accento posto sulla predicazione della parola, le riforme tendenti a declericalizzare il governo della Chiesa, tutto ciò è nella linea della Riforma e annulla la Controriforma, a tal punto che certi oppositori cattolici non esitano a denunciare la protestantizzazione della loro Chiesa».

Prosegue, scusando e non scusando l'inclinazione dei suoi a deporre le armi credendo di poter issar stilla cupola di San Pietro la bandiera della vittoria: «Si capisce, in queste condizioni, che teologi protestanti possano fare questo ragionamento: - L'intenzione della Riforma non era di fondate un'altra Chiesa ma di riformare l'unica Chiesa. Le Chiese della Riforma non costituiscono dunque un fine a sé, non hanno da difendere ad ogni costo la loro autonomia. Se Roma s'impegna sulla via della Riforma, il cómpito delle Chiese della Riforma non ha raggiunto il suo scopo? - No, egli risponde, d'accordo con un altro, Bernard Reymond, il quale «nota con perspicacia tutti i segni che annunciano la nascita di un "neo-cattolicesimo"; ma ritiene, da una parte, che non è certo che questo orientamento nato dal Vaticano Il prevarrà realmente in seno al cattolicesimo e, d'altra parte - e soprattutto - che "tutte queste riforme, per positive che siano, non rimettono in causa il dogma fondamentale del cattolicesimo cioè l'infallibilità della Chiesa", per cui conclude che le Chiese della Riforma conservano oggi ancora la loro vocazione primaria, non essendo ancora state tutte soddisfatte le vere richieste della coscienza cristiana: la piena libertà di coscienza, il diritto all'errore dottrinale, l'abbandono di ogni sacramentalismo, la democratizzazione della Chiesa, il pluralismo teologico e, per colmare la misura, la fine della Chiesa istituzionale».

Non ancora, pur se il desiderio fa sembrare quasi raggiunta la meta.
Non ancora, ed è quanto dire che il Montesquieu, nel predire il tempo «in cui non vi saranno più protestanti perché non vi saran più cattolici», risulta, almeno per il presente, troppo ottimista.
Noi sappiamo con certezza che quel tempo non verrà mai, anche se l'assottigliarsi del numero - il numero di coloro la cui divisa, la cui carta d'identità è pur sempre quella: Christianus mihi nomen, Catholicus cognomen sembra quasi esiger che ci contiamo.


[SM=g1740720]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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