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A scuola di predicazione da Filippo Neri

Ultimo Aggiornamento: 21/07/2015 21:06
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27/05/2009 11:16
 
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A scuola di predicazione da Filippo Neri

Semplici ed efficaci per andare dritti al cuore


di Edoardo Aldo Cerrato

Procuratore generale degli oratoriani



Nella preghiera litanica che il cardinale John Henry Newman compose delineando il volto e la missione di san Filippo Neri, l'invocazione Sancte Philippe, qui Verbum Dei cotidianum distribuisti esprime l'amore di Filippo per la Parola di Dio, ma anche la novità della predicazione quotidiana in un'epoca in cui essa era piuttosto occasionale, tanto che Antonio Gallonio, autore della prima biografia del santo, poté scrivere che Filippo "fu il primo che introdusse in Roma la parola di Dio cotidiana".

Ciò che attirava all'Oratorio un numero crescente di persone, era, comunque, la semplicità e il modo familiare con cui egli, con evidente distanza dallo stile ampolloso e pieno di artifici retorici della sua epoca, trasmetteva ogni giorno la Parola di Dio. 

La preziosa eredità filippiana fu codificata negli Instituta della congregazione, approvati da Paolo V nel 1612:  "Coloro che sono stati scelti per questo ufficio nutrono l'anima degli ascoltatori con un genere di predicazione veramente fruttuoso, adattando soprattutto le parole, con ordinata successione, alla comprensione del popolo, senza concedere nulla alla vuota pomposità e al vano applauso; e confermano l'insegnamento particolarmente citando gli esempi dei Santi e con fatti storici documentati. Eviteranno inoltre (...) tutti gli argomenti che si addicono più alle scuole che all'Oratorio". Già il primo testo costituzionale (1583) stabiliva che cibo fondamentale nella congregazione oratoriana fosse la Scrittura di cui si chiedeva una conoscenza profonda attraverso un perseverante contatto:  percupimus eos qui publicis praedicationibus destinandi erunt Scripturae divinae paginas (...) diurna nocturnaque manu diligentissime pertractare. E gli scritti dei primi oratoriani, con la loro ricchezza di informazione e la penetrazione della Sacra Scrittura, mostrano quanto tale indicazione fosse diligentemente accolta.

"Padre Filippo - si legge nell'Itinerario spirituale dell'Oratorio - con il suo metodo creò una vera scuola nell'ambiente di Roma, dove i predicatori ecclesiastici rivaleggiavano con i classici pagani. Il Santo insegnava che per predicare, bisogna prima far molta preghiera, dar molta importanza alla pratica della virtù, avere retta intenzione nello studio e ricorrere frequentemente agli esempi presi dalla vita della Chiesa e dei Santi. Padre Giuliano Giustiniani era solito dire che un prete di Congregazione doveva morire sopra uno di questi "tre legni":  la predella dell'altare, il confessionale, la sedia dei ragionamenti".

A questo metodo si ispirarono fin da subito i primi che Filippo Neri chiamò a coadiuvarlo nella tractatio Verbi Dei, poiché, come testimonia padre Pompeo Pateri, Filippo "volle che i suoi discepoli si abituassero allo stesso modo a annunciare la Parola di Dio, per ferire più i cuori degli ascoltatori che le orecchie".

In qualche caso li educò alla semplicità, alla sincerità e a un rapporto di intima confidenza con gli ascoltatori anche con espedienti curiosi:  al padre Agostino Manni, anima poetica e di grande sensibilità artistica, incline a farsi prendere la mano dalla vena letteraria, fece ripetere, ad esempio, per sei volte lo stesso elaborato sermone, tanto che i fedeli pensarono che quel padre non sapesse dir altro; a padre Francesco Maria Tarugi, che in un sermone parlò, con enfasi eccessiva e impeto degno della miglior retorica, sull'utilità della sofferenza, padre Filippo, dopo essersi a lungo agitato sulla sedia per fargli comprendere di rientrare nei giusti confini, disse pubblicamente, al termine, che nessuno di loro aveva ancora versato una goccia di sangue per Gesù Cristo.

Per l'attrattiva che esercitava e per i frutti di sincera conversione che produceva, lo stile della predicazione filippiana si diffuse presto anche al di fuori dell'ambiente oratoriano dando il via al rifiorire della predicazione frequente nelle chiese romane:  i domenicani della Minerva furono i primi ad assumerlo, fin dal 1562, per iniziativa del loro priore Vincenzo Ercolani, grande amico di padre Filippo; gli scolopi stabilirono nelle loro costituzioni che si usasse la stessa familiare eloquenza "di cui si servono i RR. pp. dell'Oratorio alla Vallicella"; fuori Roma, san Carlo Borromeo lo prescrisse ai padri oblati di Milano e san Vincenzo de Paoli lo raccomandò ai suoi missionari.

Interessante, al riguardo, quanto riportato in una deposizione di padre Francesco Bozzio:  "Avendo saputo che alcuni religiosi avevano adottato il tipo di predicazione che si faceva nel nostro Oratorio, e poiché un padre diceva che non era lecito usurpare quello che Padre Filippo aveva istituito, il Beato Padre rispose:  oh se tutti fossero profeti..."

I testi del processo di canonizzazione di Filippo Neri, editi da Giovanni Incisa della Rocchetta e da Nello Vian - verso i quali l'Oratorio conserva, e non solo per questo, un grato ricordo - sono ricchi di testimonianze sul ministero della predicazione di padre Filippo, il quale, già negli anni della giovinezza, aveva suscitato ammirazione parlando nella chiesa romana di San Salvatore in Campo, negli incontri della confraternita della Santissima Trinità.

Prima di citarne alcune, merita ricordare quella contenuta in una lettera che egli ricevette da Napoli nel 1588, agli inizi di quell'Oratorio, fondato da padri provenienti dalla Casa di Roma:  "Oggi - scrisse padre Antonio Talpa - il padre messer Francesco Maria [Tarugi] ha parlato familiarmente, poi ha parlato messer Giovenale [Ancina]. Io ne ho sentita tanta consolazione che non potrei dir di più:  mi è sembrato di vedere l'Oratorio in quella purezza e semplicità che aveva a San Girolamo. (...) Desidererei che Vostra Reverenza non solo gli desse la sua approvazione, ma anche che glielo comandasse (...) Il frutto sarà certamente maggiore e minore la fatica, e, quel che più importa, si conserverà la forma di parlare propria dell'Oratorio e si trasmetterà ai posteri:  altrimenti si perderebbe, ed è il bene più grande che la nostra Congregazione possiede".



Nella risposta di Filippo Neri - diretta al Tarugi e affidata, come spesso accadeva, alla penna di Niccolò Gigli, molto caro al santo per il candore e la profonda sintonia di spirito - si legge una preziosa indicazione:  "Le dico che il Padre ed i Deputati e gli altri sacerdoti di Congregazione si sono rallegrati quando hanno saputo che Vostra Reverenza ha parlato sopra il libro, secondo l'antico costume dell'Oratorio, quando in spiritu et veritate et simplicitate cordis si predicava, lasciando che lo Spirito Santo infondesse le sue virtù in bocca a chi parlava".

Francesco M. Tarugi, ne era ben convinto:  tracciando le linee programmatiche su cui sviluppare il testo delle Costituzioni, egli affermava infatti:  "Si cerchi di mantenere l'Oratorio più con la devozione che con gli ornamenti del parlare"; e già qualche anno prima, scrivendo nel 1579 a Carlo Borromeo, aveva ricordato che l'Oratorio consiste "nel trattare ogni giorno il Verbo di Dio in modo familiare" precisando che la "familiarità" non doveva essere separata dalla "dignità dovuta" e la "semplicità" non doveva confondersi con la povertà dei contenuti, dal momento che scopo principale dell'Oratorio è "formare un uomo cristiano e tenerlo, con l'aiuto della Grazia, continuamente in esercizio".

Nelle deposizioni dei testi al processo è presente il ricordo della predicazione di padre Filippo in chiesa, durante le celebrazioni, caratterizzata da fervore e commozione, ma anche da una speciale capacità di leggere negli animi che gli consentiva di parlare a tutti tenendo presente la situazione di ognuno. Vigerio Aquilino, che attesta di averlo sentito spesso sermoneggiare nella Chiesa Nuova, depone:  "Una volta, mentre il Padre predicava pubblicamente, e credo che fosse l'anno 1583, raccontò dettagliatamente il caso di un conflitto spirituale molto stravagante, che diceva essere capitato ad un sacerdote. E io, che ero presente ed ero ordinato sacerdote sebbene ancora non avessi celebrato la messa, ho capito che il beato Padre faceva per me questo ragionamento, poiché questo conflitto era quello che si agitava in me, punto per punto, come il Padre lo raccontava. Donde io ne ricevetti ammirazione per il Padre e giovamento per la mia anima".

Ciò che ancor più colpiva era però il suo "ragionare" nell'Oratorio:  "Chi voglia farsi un'idea del predicare di lui - scrive il cardinale Capecelatro - deve risalire su fino a Gesù Cristo e ricordare la semplicità, la bellezza e la facilità grande delle parabole evangeliche".

Marcello Ferro, tra gli altri, descrive gli incontri in cui san Filippo, esponendo la Parola di Dio, come un "Socrate cristiano", coinvolgeva i presenti:  "Da quando mi posi nelle sue mani, intorno al 1553, mi sono trovato molte volte presente quando il beato Filippo, cominciava a parlare, o proponeva qualche cosa di spirituale e faceva dire agli astanti il loro parere".

Era toccante il fervore di Filippo:  "Si vedeva - ricorda un teste - che nel parlare delle cose di Dio andava tutto in spirito, e molte volte l'ho visto che tremava e si muoveva facendo tremare anche il letto (...) a volte sembrava che tremasse la camera stessa".

Il fenomeno era iniziato con la misteriosa effusione di Spirito Santo che Filippo ricevette, ancora laico - sarebbe stato ordinato sacerdote solo nel 1551, a trentasei anni - nell'imminenza della Pentecoste del 1544. Di quell'avvenimento egli custodì gelosamente il segreto - secretum meum mihi diceva - fin quasi al termine della sua vita, ma non sempre fu in grado di nascondere gli improvvisi calori, i tremiti, le estasi e le impressionanti palpitazioni del cuore di cui l'esame autoptico evidenziò l'enorme dilatazione.

Una prorompente commozione accompagnava spesso il fervore, testimonia, tra i molti, Marcello Vitelleschi - "Io ho visto molte volte il Padre piangere, perché non si poteva trattenere" - e l'abate Marco Antonio Maffa attesta che ciò accadeva anche nella predicazione del Padre in chiesa:  "L'ho sentito molte volte predicare (...) e come aveva detto dieci parole incominciava a versare lacrime nel parlare dell'amore di Dio, al punto che doveva interrompersi".

Fu questo il motivo per cui, negli ultimi anni della vita, non parlò più in pubblico. L'ultima volta che cercò di predicare è ricordata dai testi con particolare commozione:  "Mi ricordo ancora - testimonia Alessandro Illuminati, il 2 settembre 1595 - che, circa sei anni sono, mentre si facevano sermoni nell'oratorio il padre salì su la banca da sermoneggiare con tanto spirito, et venne in tanta dirottura de piangere che non possette dire una parola, et discese giù senza dir altro, et mai più ci è salito".

Da quel momento Filippo, che viveva della Parola di Dio, in modo ancor più efficace divenne tacito predicatore del Verbo, ripetendo, fin sul letto di morte:  "Cristo mio, Signor mio, tutto è vanità. Chi vuol altro che non sia Cristo non sa quel che si voglia, chi cerca altro che Cristo non sa quel che cerca, chi fa e non per Cristo non sa quel che si faccia".

Schola beati Patris sarà detto dal Gallonio e dai primi oratoriani il cammino dei discepoli di padre Filippo ed il metodo dell'Oratorio, che nell'ascolto della Parola di Dio, nella preghiera, nella assidua pratica sacramentale, nell'ascetica dell'umiltà come base per l'esercizio delle virtù ha il proprio punto di forza.
Senza proclami ufficiali, in tutta semplicità, l'Oratorio assunse il volto della comunità apostolica descritta dagli Atti, come testimoniano, tra i primi, Cesare Baronio e Francesco M. Tarugi:  "Sembrò riapparire, in relazione al tempo presente, il bel volto della comunità apostolica", "la rinnovazione dello spirito che ebbero i cristiani della primitiva Chiesa".




(©L'Osservatore Romano - 25-26 maggio 2009)
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San Filippo Neri fu tra i primi studiosi della Roma sotterranea

Una guida d'eccezione
per le catacombe


di Vincenzo Fiocchi Nicolai

L'interesse di san Filippo Neri per i più antichi monumenti cristiani, e in particolare per le catacombe, è ben noto; esso è documentato da fonti antiche e del tutto attendibili. Già al primo processo di canonizzazione del prete fiorentino, nel 1595, il domenicano Francesco Cardoni, frequentatore del santo, ricordava come egli, nei primi anni della sua presenza a Roma (1533-1537), fosse solito raccogliersi in preghiera nella catacomba di San Sebastiano sulla via Appia:  per "dieci anni (...) era stato nelle grotte di S. Sebastiano, dove viveva di pane et di radiche d'herbe" (Il primo processo per san Filippo Neri nel Codice Vaticano Latino 3798 e in altri esemplari dell'archivio dell'Oratorio di Roma, i, a cura di Giovanni Incisa della Rocchetta e Nello Vian, Città del Vaticano 1957, p. 133).

Nella più antica Vita di san Filippo, scritta dall'oratoriano Antonio Gallonio intorno al 1600, si legge che egli saepissime, apud coemeterium, quod Calixti dicitur, in oratione pernoctabat. L'indicazione del coemeterium Calixti rinvia di nuovo alle catacombe di San Sebastiano, considerate allora erroneamente il "cuore" della famosa e grande necropoli callistiana. Ancora più autorevole di queste testimonianze è la deposizione del padre Germanico Fedeli, oratoriano e intimo di padre Filippo, resa ancora al primo processo di canonizzazione.

Vi si rammenta di come avesse udito più volte dalla stessa bocca del santo che egli da giovane "andava spessissime volte, solo, di notte, alle Sette Chiese, pernottando nelle dette Chiese, et, anco nel cemeterio di Calisto, et, che, quando trovava le chiese serrate, si fermava nelli porticati di dette chiese, a far oratione, et (...) alle volte a leggere qualche libro al lume della luna" (ibidem, iii, Città del Vaticano 1960, p. 257).

Se questa frequentazione giovanile di Filippo Neri delle catacombe di San Sebastiano è dunque solidamente attestata dai documenti, frutto di più tarde leggende e arricchimenti agiografici sembra l'ambientazione nei sotterranei del cimitero dell'Appia di altri episodi della vita del santo. Così quello della tentazione da parte di tre diavoli, dalle sembianze di giovani, avvenuta, secondo la testimonianza del Gallonio - il primo a riferirla - presso Capo di Bove (cioè il sepolcro di Cecilia Metella) e arbitrariamente trasferita, nella Roma Sotterranea dell'Aringhi (1651), nelle catacombe, dove, tra l'altro, i tre diavoli, per spaventare san Filippo, si sarebbero cimentati nello scuotere le lapidi che chiudevano le tombe. Così, soprattutto, l'episodio miracoloso della frattura del costato, che ancora Gallonio e altre autorevoli fonti ricordano avvenuto, nel 1544, senza una localizzazione precisa, e che solo successivamente viene ambientato negli ipogei di san Sebastiano.

Spingeva il giovane Filippo Neri all'assidua frequentazione delle catacombe, come documentano altre fonti contemporanee, la voglia di solitudine, il desiderio di pregare in luoghi appartati, la devozione verso i martiri, soprattutto la volontà di trarre alimento spirituale dal contatto con quelle antiche testimonianze e di recuperare in esse i valori più genuini del cristianesimo.

La catacomba di San Sebastiano, in quell'epoca, era una delle pochissime del suburbio romano che ancora potevano essere visitate. Alcune preziose planimetrie della fine del Cinquecento e dei primi anni del Seicento rivelano in effetti che un buon numero di ambulacri risultavano accessibili da due ingressi situati nella soprastante basilica. Tra questi, certamente anche il cubicolo nel quale, almeno a partire dalla metà del Seicento, si volle veder il luogo in cui san Filippo si ritirava in preghiera. Tale zona era allora detta "secreta" e risultava raggiungibile attraverso un percorso che prendeva avvio da una galleria che si apriva subito di fronte al cubicolo che ospitava la tomba di san Sebastiano. Nel vano considerato prediletto dal santo erano stati collocati, nell'occasione del Giubileo del 1650, un busto di Filippo Neri in terracotta e un'epigrafe metrica che ricordava la sua presenza nel sotterraneo.
 
L'ambiente - ancora oggi considerato "il cubicolo di san Filippo" - si presenta molto alterato dagli interventi di consolidamento moderni. Vi si può comunque ammirare la copia del busto di san Filippo dello scultore Andrea Bolgi, il cui originale si conserva in Santa Maria della Vallicella; accanto si leggono due lapidi commemorative, ancora, della dimora del santo nelle catacombe. Alcune immagini del tempo ritraggono san Filippo negli ambienti ipogei di san Sebastiano. Esse risultano molto idealizzate e pertanto è arduo trarre da esse elementi per individuarvi luoghi precisi:  così quella (probabilmente la più antica) attribuita alla cerchia di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, conservata nelle camere del santo a Santa Maria in Vallicella, l'altra affrescata nella cosiddetta "sala rossa" dello stesso complesso vallicelliano e una terza riprodotta nella Roma Sotterranea dell'Aringhi nel 1651.

La frequentazione della catacomba di San Sebastiano da parte di Filippo Neri dovette contribuire non poco a diffondere la conoscenza degli antichi cimiteri cristiani di Roma e a renderli più popolari anche tra le classi meno colte. La pratica rinvigorita della visita alle Sette Chiese dovette svolgere, in questo senso, un ruolo non secondario. Le catacombe del resto, in quell'epoca, erano oggetto dei primi studi da parte degli antiquari interessati alle memorie religiose, ma anche dell'attenzione delle gerarchie ecclesiastiche che, nel clima infuocato della Riforma cattolica, vedevano, come è noto, nello studio e nella valorizzazione dei primi monumenti cristiani, un mezzo per combattere le tesi dei protestanti. Soprattutto le immagini dipinte nelle catacombe, che si andavano allora recuperando, sembravano fornire - con l'oggettività propria di un monumento antico - argomenti per affermare la realtà del culto dei santi e delle immagini sacre tra le primissime generazioni cristiane.

Se san Filippo Neri si accostava ai più antichi cimiteri cristiani soprattutto animato da motivazioni di carattere spirituale, egli promosse pure - nell'ambito della Congregazione dell'Oratorio da lui fondata - i primi studi storici e archeologici di taglio moderno sull'antichità cristiana.

All'ombra di san Filippo, l'oratoriano Cesare Baronio scrisse i suoi Annales Ecclesiastici, la prima storia della Chiesa che vagliava in modo critico (con i limiti del tempo) le fonti storiche e la documentazione archeologica. Particolarmente viva è la descrizione, nel secondo volume dell'opera, della neoscoperta catacomba di Vigna Sanchez sulla via Salaria - l'attuale "Anonima di via Anapo", allora erroneamente ritenuta il cimitero di Priscilla - da lui definita una vera sub terranea civitas e più volte perlustrata in lungo e in largo - vidimus, saepius lustravimus Priscillae coemeterium. Anche i primi studiosi delle catacombe, lo spagnolo Alfonso Ciacconio, il fiammingo Filippo De Winghe e il francese Giovanni L'Heureux, ma soprattutto il grande maltese Antonio Bosio, colui che con i suoi lavori sugli antichi cimiteri sotterranei, doveva gettare le basi della nuova disciplina scientifica dell'archeologia cristiana, trovarono nella Congregazione dell'Oratorio un ambiente culturale favorevole allo svolgimento delle loro ricerche. La Roma Sotterranea del Bosio, fu pubblicata, come è noto, postuma, nel 1632, per cura dell'oratoriano Giovanni Severano, amico dello studioso e autore egli stesso di un libro sulle Sette Chiese.

Tra i personaggi del tempo legati alla cerchia filippina e interessati allo studio delle antichità cristiane, è da ricordare anche il cardinale Federico Borromeo, intimo amico di Baronio, familiare e penitente dello stesso padre Filippo. Come apprendiamo dalle sue parole, negli anni del soggiorno romano (1586-1595), aveva perlustrato varie catacombe sotto la guida del Ciacconio. Egli curò una raccolta di copie di pitture delle catacombe tratte da quelle dello studioso spagnolo, che fece conservare nella Biblioteca Ambrosiana, ed ebbe egli stesso in mente di scrivere una Roma Sotterranea, dove ampio spazio avrebbe avuto il commento delle immagini pittoriche. Fu in effetti autore di un De Pictura Sacra, edito nel 1624, nel quale, fra l'altro, commentava, con discreto approccio critico, attraverso i testi, il significato delle più antiche immagini raffigurate sui monumenti. Fu anche particolarmente attento alla valorizzazione delle iscrizioni cristiane, di cui auspicava una pubblicazione complessiva, sull'esempio della raccolta delle epigrafi romane del Gruterus. Federico Borromeo, della cerchia più vicina all'Oratorio, fu probabilmente colui che possedeva una più spiccata e autentica vocazione per gli studi archeologici. In questo senso la sua figura deve essere ancora pienamente valutata.

Il legame di Filippo Neri con le catacombe romane non cessò neanche dopo la sua morte. Al primo processo di canonizzazione, l'abate Giacomo Crescenzi del monastero di Sant'Eutizio presso Norcia, vicino a san Filippo e investigatore anch'egli degli antichi cimiteri sotterranei di Roma, rese testimonianza insieme a un gruppo di amici, del curioso episodio di cui erano stati protagonisti durante una perlustrazione della catacomba dei Giordani sulla via Salaria, il 10 dicembre 1598. Nel percorrere l'intricato groviglio di gallerie, per inesperienza, il gruppo aveva infine smarrito la strada; sarebbero state le preghiere rivolte a padre Filippo ("chi con parole et chi col core") a farli miracolosamente uscire, ormai stremati e privi di luce, nello "spatio de un Miserere, da quel labirinto sotterraneo (Processo, ii, Città del Vaticano 1958, pp. 215-218). La testimonianza si rivela utile anche per la ricostruzione dell'assetto originario dell'antico cimitero della Salaria, in quanto in essa compaiono accenni circostanziati a luoghi e monumenti in gran parte oggi perduti.

Gli ambienti della catacomba di San Sebastiano frequentati da san Filippo sono ancora ai giorni nostri meta di studiosi e visitatori. I restauri che vi sono stati condotti in questi ultimi anni dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra ne consentono una migliore e più sicura fruizione e assicurano la conservazione di luoghi altamente significativi per la storia degli esordi dell'archeologia cristiana.


(©L'Osservatore Romano - 26 maggio 2010)



Attenzione, se le immagini negli articoli dell'OR cambiano (come nel caso dell'artico sopra a questo), questo è dovuto al sito vaticano che probabilmente usa i medesimi spazi usati precedentemente...ergo, ce ne scusiamo con i lettori...

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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03/09/2010 18:23
 
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Un piccolo ma prezioso patrimonio sottratto alla rovina

L'Archivio della «schola di santità et hilarità» di Filippo Neri



di Edoardo Aldo Cerrato

Una bella pubblicazione uscita all'inizio dell'estate a cura di Anna Di Falco e Alberto Bianco, Archivio della congregazione dell'Oratorio di san Filippo Neri. Intervento di conservazione, valorizzazione e fruizione del patrimonio documentario e storico-artistico. Roma 2006-2009, (Roma, 2010, pagine 79) illustra e documenta il lavoro compiuto dai due autori e direttori degli interventi. Lavori realizzati grazie al contributo della regione Lazio.

Tutto il vasto complesso vallicelliano - di cui agli oratoriani, dopo gli eventi risorgimentali, è rimasta la custodia di una sola piccola parte - è viva e preziosa memoria di una storia iniziata con Filippo Neri, apostolo di Roma. Di tale opera il santo, benché in vita abbia potuto vedere soltanto la chiesa - e neppure nello splendore delle forme e della ornamentazione che essa avrebbe assunto nei secoli XVIi e XVIii - è l'iniziatore.

Il Neri non vide sorgere infatti, la biblioteca Vallicelliana:  ma all'origine di essa, come pure dell'attuale biblioteca della congregazione, formatasi dopo le vicende storiche di fine Ottocento, ci sono la sua personale libreria - cospicua, per l'epoca - e il suo amore per i libri e la lettura. Non vide l'Archivio:  ma i "Libri dei Decreti" - in cui la giovane congregazione oratoriana iniziò a registrare le decisioni di governo - sono la culla del grande archivio vallicelliano, ora in parte patrimonio dello Stato e in parte della Casa. Non vide san Filippo la splendida casa:  ma il suo gusto per il bello non è certo estraneo all'impostazione di chi - soprattutto padre Virgilio Spada - ispirò al Borromini la costruzione.
In una deposizione al processo di canonizzazione di Filippo Neri, Marco Antonio Maffa usò un'espressione di rara efficacia per descrivere l'ambiente filippiano:  "schola di santità et hilarità cristiana".

"Il programma spirituale del Neri - afferma Marco Marcocchi - si nutre di fiducia nella natura umana e di amore per l'arte (...) si caratterizza per l'equilibrio del rapporto tra Dio e l'uomo, tra natura e grazia, rifugge dai toni foschi e accigliati, si illumina di festosità e di gioia. Questo programma è influenzato dall'umanesimo cristiano, il cui retroterra teologico è il principio che la grazia non sopprime la natura, ma la sana, la irrobustisce, la perfeziona".

Diversamente da altri esponenti della vita devota, anche del suo tempo, dai quali pure accolse utili lezioni, Filippo è sensibile alla bellezza che si manifesta nella natura e nell'arte e induce a prediligere gli spazi aperti; ad amare la musica e il canto; a essere attento alle espressioni delle arti figurative. A questo proposito, interessante è la testimonianza che, tra le altre, si legge nella Vita di Pietro Giacomo Bacci, dove il biografo ricorda che padre Filippo spesso sostava, in Chiesa Nuova - da lui voluta e con grandi sacrifici innalzata - dinanzi alla tela della Visitazione del Barocci che unisce a una concezione ancora tardo manieristica i caratteri di essenzialità e di semplicità cari a Neri.

Era uomo di buona cultura, anche se i suoi studi giovanili non presentano un iter accademico regolare. La risoluzione di abbandonare la "Sapienza" e lo Studio Teologico degli Agostiniani a Roma - dove aveva iniziato a frequentare le lezioni - non fu determinata da disinteresse nei confronti di quelle discipline, di cui, anzi, portò il gusto e sulle quali non mancò di affrontare il discorso quando l'occasione gli si presentava:  "Anchorché lo studio del nostro Padre fosse oratione continua, nondimeno, quando voleva raggionare de materia de theologia, de philosophia o lettere humane, le haveva tanto fresche come se le havesse studiate all'hora", attesta al processo di canonizzazione Antonio Gallonio, primo biografo e discepolo per lunghi anni del santo. "Usava spesso, massime da certi anni in qua, per divertire il suo spirito raggionare di theologia e di pholosophia; nelle quali scienze era molto versato" depone il cardinale Girolamo Panfili; e Matteo Guerra testimonia:  "Ho sentito molte volte disputare il Padre con alcuni theologi et dotti, nel dichiarare molti passi della Scrittura, che quelli istessi theologi et li circostanti se ne meravigliavano".

Nato a Firenze, patria dell'umanesimo, Filippo Neri portava dentro di sé, dalla prima istruzione ricevuta, l'amore per il libro. Nei sessant'anni in cui visse a Roma la sua libreria personale si arricchì di volumi a stampa e di manoscritti il cui inventario - redatto al momento della morte - rende l'idea degli interessi e della versatilità di Filippo:  le circa cinquecento opere costituiscono una raccolta che, messa a confronto con le librerie personali dell'epoca, mostra ragguardevole importanza.

Dall'amore di Filippo per i libri e per la lettura trae origine certamente, nell'Oratorio nascente, il "ragionamento sul libro" che caratterizzava gli incontri con i discepoli dapprima nella "stanziola" del santo in San Girolamo della Carità, poi nell'ambiente più ampio concesso dai confratelli della Carità sopra la navata della chiesa, il primo "Oratorio".

Grazie alla presenza di uomini di levatura culturale quali Cesare Baronio, Francesco Tarugi, Tommaso Bozio, questi incontri ospitarono, nell'arco di breve tempo, i "sermoni" dell'Oratorio che fu detto "grande", per distinguerlo da quello vespertino, ristretto alla cerchia dei più intimi e fondamentalmente costituito dalla preghiera vocale e dall'orazione mentale.

Lungi dal rappresentare un'occasione di solo godimento intellettuale, la cultura costituiva, nelle tornate oratoriane, un mezzo di elevazione spirituale ed era occasione di formazione alla virtù.
Ogni questione teorica e astrattamente speculativa vi era bandita; gli argomenti preferiti - oltre che la riflessione sulla Parola di Dio e la pratica delle virtù - erano quelli legati alla storia della Chiesa e all'esperienza del cristianesimo delle origini. Si svilupperà dalla predilezione per questa materia anche la disciplina dell'archeologia cristiana, atteso l'approccio metodologico e l'attenta analisi delle fonti divenuti caratteristica delle trattazioni oratoriane. Il lavoro svolto a servizio dei sermoni diventò nel volgere di breve tempo un vero e proprio impegno scientifico che porterà con il Baronio alla pubblicazione degli Annales a partire dal 1588, mentre già nel 1584 con unanime favore era stato accolto il Martirologio, alla cui revisione il Baronio si dedicò con severi studi per incarico di Gregorio xiii; con Gallonio alla agiografia; con Paolo Aringhi alla archeologia, con Bozio alla trattatistica anti-machiavelliana.

Dalla necessità di favorire questi studi - secondo quanto affermava Baronio - scaturì l'incremento e la specializzazione della biblioteca Vallicelliana, destinata a diventare una delle più importanti biblioteche romane.
La fama di rigorosi cultori delle scienze storiche riconosciuta agli oratoriani - vi eccelsero in particolare i padri Orazio Giustiniani (1580-1649), Odorico Rinaldi (1595-1671), Francesco Marchesi (1623-1697), Giacomo Laderchi (1678-1738), Giuseppe Bianchini (1704-1764), Agostino Theiner (1804-1874), Generoso Calenzio (1831-1915) - si rifletteva sulla loro biblioteca che costituisce, insieme alla biblioteca dei girolamini (oratoriani) di Napoli, l'espressione più compiuta e il frutto più duraturo della loro vicenda intellettuale e che, divenuta strumento prezioso per gli studi di storia religiosa ed ecclesiastica, le consentì di superare indenne l'insidia dello smembramento che segnò la fine della maggior parte delle biblioteche religiose romane nel decennio seguito all'annessione di Roma all'Italia.

La biblioteca fu oggetto di una lunga trattativa istituzionale ampiamente documentata nelle discussioni parlamentari tra il 1870 e 1880, poiché la sua sede risultava ambita da diverse amministrazioni che se la contesero invano. Essa, fortunatamente, poté rimanere al suo posto, benché sottratta alla gestione dei padri e affidata alla Società Romana di Storia Patria che ne ebbe la direzione scientifica, affiancata da un commissario governativo per l'aspetto amministrativo, per poi divenire una biblioteca governativa a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Il cambiamento di gestione garantì, comunque, l'omogeneità e l'integrità del patrimonio librario, ma i padri dell'Oratorio romano, privati della loro biblioteca dovettero con fatica ricostituirne un'altra, che è ben poca cosa se paragonata alla originaria, ricca di 25.000 volumi a stampa e di una preziosissima raccolta di circa 3.000 manoscritti.

Ebbe, purtroppo, una sorte assai più dolorosa l'Archivio della congregazione, la cui costituzione risale al 1582 quando il padre Niccolò Gigli diede un primo assetto organizzativo alle carte che vennero poi collocate dal padre Virgilio Spada nelle sale previste dal progetto di Francesco Borromini nell'edificio dell'Oratorio "che sopra e sotto ha volte et è lontano da camini e pericoli di fuoco", come leggiamo nel manoscritto dell'Opus architectonicum equitis Francisci Borromini di padre Spada, uno dei più preziosi documenti dell'Archivio oratoriano.

La fisionomia dell'Archivio rimase intatta e si trasmise negli inventari settecenteschi, compilati subito dopo la bolla di Papa Benedetto xiii sugli archivi, fino al 1870, quando il timore di perdere le memorie preziose della propria storia indusse gli oratoriani a nascondere alla meglio le loro carte onde sottrarle all'incameramento decretato dalle nuove leggi.

La giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico, in esecuzione della legge del 1873 che estendeva alla provincia di Roma le leggi sulle corporazioni religiose, prese possesso dei beni della congregazione nel dicembre dello stesso anno. La stessa giunta provvide nel 1876 alla consegna delle carte dell'Archivio all'Archivio di Stato di Roma.

Il materiale pervenuto dai padri fu contrassegnato da una nota approssimativa redatta dalla giunta, dalla quale si evince che la consegna non fu particolareggiata ma "in massa" e senza alcun inventario, come si deduce dal verbale di consegna di cui Anna Maria Corbo fa memoria nell'introduzione al suo inventario stilato negli anni Cinquanta. Il prospetto non aveva valore ufficiale, redatto come fu da un impiegato della giunta "in confidenza". Si nota che alcuni gruppi di documenti non furono consegnati e che altri, come i registri dei decreti, i verbali della congregazione e l'archivio musicale, non compaiono affatto.

Innumerevoli furono le dispersioni, i trafugamenti e le perdite di materiale archivistico che, per essere affrettatamente nascosto, finì per perdersi o per andare distrutto dall'umidità:  i padri, infatti, privati dei locali nei quali ospitare le carte dell'archivio, dovettero, per molti anni, conservarle in luoghi di fortuna dove intemperie, animali e visitatori indiscreti contribuirono alla dispersione.
L'opera di restauro e di valorizzazione di questo ridotto ma prezioso patrimonio è segno di quanto importante esso sia:  e lo sanno, in particolare, i numerosi studiosi che continuamente vi accedono.



(©L'Osservatore Romano - 4 settembre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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500 anni fa nasceva San Filippo Neri. Papa: fu amore di Dio col sorriso

San Filippo Neri - RV

San Filippo Neri - RV

20/07/2015 

La Chiesa, quella di Roma in particolare, vive oggi l’anniversario di uno dei suoi Santi più popolari: il 21 luglio 1515 nasceva a Firenze Filippo Neri, che ben presto si trasferirà nella città del Papa per dare inizio a una straordinaria esperienza di carità tra i più poveri, intessuta di una letizia e una spontaneità rimaste come uno dei segni più noti e amati dell’apostolato di San Filippo. Anche Papa Francesco, lo scorso 26 maggio ha voluto rievocare in un Messaggio questo anniversario. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Pietro e Paolo, e Filippo. Da 500 anni gli “Apostoli di Roma” sono tre. E questo la dice lunga sull’amore di una città per un uomo nato a Firenze ma rinato, per i romani, tra le piazze della Città Eterna e i vicoli, quelli più degradati, dove un pastore santo può anche avere l’odore delle pecore ma le pecore hanno addosso il puzzo della malattia e della povertà, che svuota le tasche e l’anima.

Tra le periferie del centro
Quando Filippo Neri arriva a Roma nel 1534, è come se una luce venisse accesa nel buio della miseria che annida tra le glorie dell’Ara Pacis e i lustri travertini dei palazzi nobiliari. Il centro dell’Urbe ha la faccia sporca delle periferie e lì Filippo andrà a prendere una stanzetta, a San Girolamo a via Giulia. Di giorno, viso simpatico e cuore lieto che porta a chi incontra il calore di Dio, senza nemmeno essere un prete, accompagnandolo se può con un pezzo di pane. O una carezza sulla fronte, un conforto sussurrato, a chi si lamenta sui pagliericci dell’Ospedale degli Incurabili. Di notte, un’anima di fuoco, Filippo, perso in un dialogo talmente intimo con Dio che il suo letto può essere senza problemi il sagrato di una chiesa o la pietra di una catacomba.

Il sorriso sempre
Questo – ricorda il Papa nel suo messaggio per il 500.mo – lo rese “appassionato annunciatore della Parola di Dio”. Questo è stato il segreto che fece di lui un “cesellatore di anime”. La sua paternità spirituale, osserva Francesco, “traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona”. “Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici”, racconta il suo biografo e il Papa commenta: “Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane, al tempo stesso proponeva una sana disciplina che implica l’esercizio della volontà per accogliere Cristo nel concreto della propria vita”.

L’ora dell’Oratorio
Tutto questo affascina chi, conoscendo Filippo, vuole fare come lui. L’“Oratorio” nasce così, tra i tuguri fetidi profumati giorno per giorno da una carità fatta di carne e non per un progetto disegnato sulla carta e calato dall’alto come un’elemosina data a freddo. “Grazie anche all’apostolato di San Filippo – riconosce Papa Francesco – l’impegno per la salvezza delle anime tornava ad essere una priorità nell’azione della Chiesa; si comprese nuovamente che i Pastori dovevano stare con il popolo per guidarlo e sostenerne la fede”. E pastore lo diventa lui stesso, Filippo, che nel 1551 approda al sacerdozio senza per questo cambiare vita e stile. Col tempo, attorno a lui prende corpo la prima comunità, la cellula della futura Congregazione che nel 1575 riceve il placet di Gregorio XIII.

“State bassi”
“Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi”, ripete ai suoi padre Filippo, che ricorda che per essere figli di Dio “non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare”. E colpisce, da un’anima tanto contemplativa come Maria ai piedi di Gesù, il piglio di Marta che convive nel suo cuore quando afferma: “È meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in camera a fare orazione”. Filippo Neri, il terzo Apostolo di Roma, chiude gli occhi alle prime ore del 26 maggio 1595. Mai spento è il dinamismo del suo amore e a Roma che si prepara al Giubileo della misericordia sembra che ripeta: “Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni”.


 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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