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Festa e Adorazione del CORPUS DOMINI

Ultimo Aggiornamento: 02/06/2013 15:04
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eucarestia
Raffaello, La Disputa del SS. Sacramento, Vaticano

Il Corpus Domini

La domenica successiva alla Solennità della SS. Trinità si celebra la festa del Corpo e del Sangue del Signore. Prima della riforma liturgica era nota come festa del Corpus Domini (distinta dalla festa del Sanguis Christi celebrata in luglio) La festa del Corpus Domini trova le sue origini nella ambiente fervoroso della Gallia belgica - che San Francesco chiamava amica Corporis Domini - e in particolare grazie alle rivelazioni della B. Giuliana di Retìne. Nel 1208 la beata Giuliana, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, vide durante un'estasi il disco lunare risplendente di luce candida, deformato però da un lato da una linea rimasta in ombra, da Dio intese che quella visione significava la Chiesa del suo tempo che ancora mancava di una solennità in onore del SS. Sacramento.

Il direttore spirituale della beata, il Canonico di Liegi Giovanni di Lausanne, ottenuto il giudizio favorevole di parecchi teologi in merito alla suddetta visione, presentò al vescovo la richiesta di introdurre nella diocesi una festa in onore del Corpus Domini. La richiesta fu accolta nel 1246 e venne fissata la data del giovedì dopo l'ottava della Trinità. Più tardi, nel 1262 salì al soglio pontificio, col nome di Urbano IV, l'antico arcidiacono di Liegi e confidente della beata Giuliana, Giacomo Pantaleone, il quale - sembra anche grazie al miracolo di Bolsena (1264) - con una Bolla datata 11 agosto 1264 estese la festa a tutta la Chiesa. In seguito la popolarità della festa crebbe grazie al Concilio di Trento, si diffusero le processioni eucaristiche e il culto del Santissimo Sacramento al di fuori della Messa. Questo diede luogo anche ad alcuni abusi che obbligarono i vescovi nei secoli XV e XVI a disciplinare l'uso delle processioni.

Se nella Solennità del Giovedì Santo la Chiesa guarda all'Istituzione dell'Eucaristia, scrutando il mistero di Cristo che ci amò sino alla fine donando se stesso in cibo e sigillando il nuovo Patto nel suo Sangue, nel giorno del Corpus Domini l'attenzione si sposta sull'intima relazione esistente fra Eucaristia e Chiesa, fra il Corpo del Signore e il suo Corpo Mistico. Le processioni e le adorazioni prolungate celebrate in questa solennità, manifestano pubblicamente la fede del popolo cristiano in questo Sacramento. In esso la Chiesa trova la sorgente del suo esistere e della sua comunione con Cristo, Presente nell'Eucaristia in Corpo Sangue anima e Divinità.

La stanza della Signatura e l'affresco della "Disputa"

Una perenne testimonianza di questa fede nella Presenza Reale di Cristo nel Sacramento ce la offre un affresco delle Stanze Vaticane: la cosiddetta disputa del Santissimo Sacramento.
Le Stanze Vaticane furono commissionate a Raffaello Sanzio da Giulio II. Giuliano della Rovere (questo il nome di Giulio II) nativo di Savona e nipote di Papa Sisto IV, salì al soglio pontificio nel 1503. Non avendo intenzione di stabilirsi negli appartamenti che erano stati del suo predecessore Alessandro VI, cercò un alloggio che rispondesse ai suoi desideri. Fu così che decise di affrescare le Stanze Vaticane, oggi meglio conosciute come Stanze di Raffaello.
La Stanza della Segnatura nella quale è situato l'affresco della Disputa, prese questo nome più tardi, allorché la camera ospitò l'aula del Tribunale ecclesiastico, quando Raffaello la dipinse essa doveva servire come Biblioteca privata di Giulio II.
 
Raffaello Sanzio giunse a Roma nel 1508, all'età di 25 anni. La sua bellezza fisica e l'amabilità del suo carattere, nonché l'amicizia e la parentela con il Bramante, fecero la sua fortuna: Raffaello divenne in breve il primo pittore di Roma, capace di oscurare persino la fama di Michelangelo Buonarroti.

Nato a Urbino nel 1483, Raffaello ricevette i primi rudimenti di pittura dal padre, Giovanni Santi, pittore assai modesto della cerchia di Melozzo da Forlì. Fu poi scolaro e collaboratore del Perugino, rivelando presto maggior talento del maestro. Il pittore urbinate si accostò alle diverse espressioni artistiche del suo tempo con un'apertura senza precedenti. Nessun altro artista è, come lui, aperto a tutte le esperienze: per lui tutte le interpretazioni si conciliano e si integrano, si riconducono all'unità: non avremmo l'arte di Raffaello senza quella di Pier della Francesca, Perugino, Leonardo, Michelangelo, Tiziano, Bramante. Egli seppe sintetizzare il meglio delle espressioni artistiche altrui, sviluppandolo però con assoluta originalità.

Le figurazioni della Stanza della Segnatura (1508-11) vogliono dimostrare la continuità fra pensiero antico e pensiero cristiano, mediante le allegorie del Bello (il Parnaso) del Bene (le Virtù) e del Vero. La disputa illustra appunto il concorso al Vero, operato dalla teologia. Per la realizzazione di questo affresco Raffaello fece una quantità considerevole di disegni preparatori (40 sono giunti fino a noi, ma dovevano essere molti di più), giustificati probabilmente dal fatto che il pittore urbinate non aveva dimestichezza con il lavoro su grande scala.
Sorprende il fatto che nel più antico dei disegni, altare e Santissimo Sacramento mancano completamente. Fu probabilmente lavorando ai personaggi dell'area sottostante e rifacendosi a modelli leonardeschi, che Raffaello si rese conto dell'assenza di un punto focale in questa zona. L'inserimento dell'altare con l'ostensorio costituì una soluzione brillante che, risolvendo un problema formale, diede maggior coerenza al contenuto religioso.


Pregare nella Chiesa-corpo

La preghiera è il respiro del credente, ma è anche il respiro dell'intero corpo di Cristo. Colui che prega entra nel mistero dell'unità del Corpo mistico di Cristo. Dire mistero non significa tuttavia parlare di qualcosa di astratto e inconoscibile; anzi per il credente fare esperienza attraverso la preghiera della propria appartenenza a un corpo è qualcosa di estremamente concreto.

La concretezza del Corpo che è la Chiesa, sperimentata dal credente, è resa dall'affresco della "Disputa" in maniera spettacolare. Per i contemporanei di Raffaello, dovette essere emozionante l'impatto con la grandiosità del dipinto. Le figure a grandezza naturale occupano la maggior parte del campo visivo della stanza coinvolgendo l'osservatore nella "disputa" e nella contemplazione suscitata dal Mistero della Fede. Un effetto simile a quello che, molto più tardi, avrebbe reso possibile il cinema.

L'orchestrazione delle figure è stata definita un paesaggio di uomini (Ortolani), ma potrebbe essere ancor meglio detta un'architettura di uomini.
Dall'ostensorio divergono ruote sempre più vaste: il cerchio aureo attorno alla colomba, la raggiera del Cristo, la corona di cherubini su cui poggia il Padre e infine l'arco che racchiude l'affresco stesso.

La volta celeste con le sue lamelle dorate è simile all'abside di una chiesa. Al di sotto figure del Nuovo e dell'Antico Testamento occupano l'intera larghezza dello spazio affrescato in una in una grandiosa semplicità architettonica. In primo piano una balaustra, a sinistra, controbilancia una costruzione simile, sulla destra, inserita per mascherare la presenza della cornice della vera porta che rompe la regolarità della composizione. Tutta la scena è racchiusa entro una struttura architettonica che conferisce unità e armonia all'intera composizione e suggerisce l'idea di una volta maestosa che introduce al presbiterio. Il pavimento visto in prospettiva, secondo le leggi normali della veduta, conduce al mistero dell'Eucaristia: non si tratta di un'apparizione o di un miracolo: "la rivelazione" è perfettamente logica, ragione e teologia non possono che confermarla".

L'immagine di questo spazio universale è costruita, equilibrata come un'architettura bramantesca
(Argan), la vera Chiesa per Raffaello è composta da membra viventi e non v'è differenza tra Chiesa come istituto e chiesa quale realtà materiale. I tre ambiti del dipinto ne disegnano i confini: in basso la Chiesa militante, al centro la Chiesa trionfante attorno a Cristo, Maria e San Giovanni Battista, nella volta il Padre fra angeli e cherubini.
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2, 19-22).

Queste parole di Paolo potrebbero essere considerate un degno commento scritturistico alla Disputa e descrivono anche l'esperienza di ogni credente. Anche Madre Maria Maddalena dell'Incarnazione, fondatrice delle Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento, avvertiva in modo acuto questa familiarità con Dio (la stessa di cui godevano apostoli e profeti), una familiarità che l'adorazione Eucaristica alimenta e rafforza: chi lo visita spesso diviene suo amico e familiare. Sebbene la concezione di Chiesa non fosse quella illuminata dal concilio Vaticano II, la Madre avvertiva con intensità la forza unificante della carità che fa di molti una sola persona ai piedi del Sacro altare: A dire di San Giovanni Crisostomo, la carità che è virtù unitiva, di molte persone che amano ne forma una sola, cosicché essendosi tutte unite insieme, per santa mozione e pio affetto che le trasporta verso questo mistero, le adoratrici altro non sono che un corpo mistico ed una sola persona ai piedi del Sacro altare. Possono così elle esser contente al pensiero che mentre una di loro sta davanti al Signore, lo adora e lo ama, esse stesse stanno in qualche modo a pregarlo insieme con lei, lo adorano e lo amano (Dir 1814 pg 30-31).

Una tale grazia non doveva riguardare solo le Adoratrici, ma essere estesa a tutti i laici che si sarebbero uniti alla loro preghiera: L'unione delle preghiere non è limitata in una sola Chiesa, ove è un numero di anime sante che adorano giorno e notte Gesù sopra l'Altare, ma si estende a tutte quelle persone che fanno opere buone e sante, delle quali sono partecipi quelle stesse che vi concorrono, perché sono fatte a Dio davanti al Santissimo Sacramento; poiché chiunque sta in grazia di Dio partecipa di tutte le opere buone che fanno i giusti qui in terra secondo [quanto afferma] il Real Salmista: "io sono partecipe, o Signore, di tutto quello che fanno coloro che ti temono e osservano i tuoi comandamenti" (Dir 1814 pg 34).

L'Eucaristia è il cuore pulsante della vita interiore della Chiesa grazie al quale la linfa vitale dell'amore circola fra le membra. Ogni membro della Chiesa cresce e si edifica nella sua specifica vocazione, è partecipe delle opere di bene altrui e rende gli altri partecipi del suo bene grazie alla vita di comunione che scaturisce dal Sacramento dell'Altare.

Anche i personaggi della Chiesa militante, dipinti da Raffaello, conservano ciascuno una propria specifica identità. Essi, inoltre, pur nella loro compattezza formale, sono in pieno movimento: meditano, discutono additando l'ostensorio. Pochi guardano verso il cielo, eppure soltanto in cielo è la sicurezza della verità contemplata: lì siedono maestosi e quieti i santi della chiesa trionfante. (E precisamente, a partire da sinistra: Pietro, Adamo, san Giovanni Evangelista e Davide. A destra, invece, troviamo santo Stefano, Mosè, san Giacomo, il patriarca Abramo e san Paolo. Attorno allo Spirito Santo, scritti sui quattro libri compaiono i nomi dei quattro evangelisti).
Mentre nella zona sottostante dotti e teologi, formando due ali oblique, tendono al punto dell'orizzonte che coincide con l'ostensorio, nell'area superiore ogni tensione è eliminata: la Chiesa trionfante forma come un'esedra attorno alla figura di Cristo; i personaggi sono collocati sulla stessa linea della nuvola che sorregge Cristo e il semicerchio che viene a delinearsi è quasi una linea retta.
 
Due ambiti ben distinti, dunque, ma unico lo spazio. Due diverse prospettive, ma unico il mistero contemplato. L'ostia esposta e le tre Persone della Trinità: Spirito Figlio e Padre sono disposti su una linea verticale e ascendente che, rafforzata dai richiami dei bianchi e degli ori, sottolinea da un lato la verità teologica dell'Unico mistero, dall'altro l'unità spaziale della scena.
La preghiera cristiana è la preghiera di un corpo che rompe i confini dello spazio e del tempo e "abbraccia" l'eternità. Colui che prega entra in una dimensione che lo supera e diventa realmente concittadino dei santi e familiare di Dio. Madre Maria Maddalena viveva una particolare comunione con i santi e insegnava a guardare ad essi per superare l'eventuale delusione per le incoerenze della comunità cristiana visibile. La consapevolezza dell'unione con gli angeli e i santi deve aumentare la fiducia e accrescere la speranza che grazie alla loro intercessione la volontà di Dio si farà "come in cielo così in terra".

La centralità e verticalità del mistero eucaristico e trinitario nell'opera della Disputa evidenziano che culto e adorazione sono rivolti a Dio solo. L'invocazione alla Vergine, ai Santi e agli angeli è di diverso segno. Non si tratta più di preghiera di adorazione, ma di comunicazione che manifesta la nostra fede nella comunione del corpo mistico di Cristo. Pregare la Vergine o i Santi è comunicare con essi per accrescere e vivificare la nostra comunione con Cristo che essi sperimentano senza il "velo della carne". Scriveva Madre Maddalena nel Direttorio del 1814: Bisogna che voi vi sforziate di diventare Angeli e Sante imitando le loro virtù. Pregate dunque questi spiriti beati e queste anime sante che hanno già la bella sorte di godere la gloria e la chiara visione di Dio, affinché vi ottengano la grazia di essere simili a loro. Celebrerete poi le loro feste con una devozione angelica, imitandoli particolarmente nell'esercizio della presenza di Dio (pg 10).

La devozione alla Vergine e ai Santi di Madre Maria Maddalena è testimoniata da molti nei processi per la causa di beatificazione. Ella si era affidata interamente alla Vergine Maria definendola la vera fondatrice dell'Istituto:
Vostro fondatore è Iddio medesimo e la sua divina Madre è la vostra Fondatrice; considererete e amerete sempre questa augusta Regina anche come vostra cara ed amorosissima Madre e Protettrice. Ricorrete dunque al suo potente patrocinio in tutti i vostri bisogni senza timore, ma con vera e filiale fiducia. […]
Tutte le monache, ancora oggi, sul suo esempio, dopo la professione temporanea fanno la consacrazione alla Vergine sul modello di quella di San Luigi Maria De Montfort, meglio conosciuta come "schiavitù della Vergine Maria".

Un particolare rapporto di vicinanza e aiuto la Madre lo aveva con Santa Veronica Giuliani; con la reliquia di questa santa la Madre operò un numero elevato di guarigioni miracolose. Era inoltre avvertita dalla medesima, attraverso segnali particolari, circa eventi tristi o gioiosi che le sarebbero accaduti.


Nel mistero del Corpo di Cristo la preghiera gli uni per gli altri

Si è discusso, fra gli studiosi, se questa scena di Raffaello rappresentasse veramente una "disputa" come la definì il Vasari, o non piuttosto il Trionfo dell'Eucaristia che, teologi e dottori, additano accogliendo l'evidenza di quanto avevano teorizzato nei loro sottili trattati. Certo è che "l'evidenza" della Presenza Reale di Cristo nel Mistero dell'Altare è qui difesa: lo confermano le linee prospettiche del pavimento che - come già affermato più sopra - conducono "naturalmente" lo sguardo all'Eucaristia, mistero della fede che la ragione può comprendere e spiegare.
Pregare in seno alla Chiesa, attingendo alla sua ricca tradizione (che nell'affresco è ben rappresentata attraverso padri e dottori), conduce alla verità tutta intera. La Verità, a sua volta, spinge il credente ad intensificare la preghiera per l'unità della Chiesa, le cui divisioni rendono meno efficace l'annuncio del Vangelo.
 
La chiara e luminosa consapevolezza del proprio essere cattolici non contraddice, ma anzi apre al dialogo. Madre Maddalena affermò con vigore la sua adesione alle verità che la Chiesa cattolica professa, ma non cessò di orientare la sua preghiera verso i fratelli separati, verso i non credenti e gli aderenti ad altre religioni, come ebrei e musulmani. O Signore, io credo fermamente tutto quello che ti sei compiaciuto rivelare alla S. Chiesa; non credo ciò perché lo credono gli altri, ma lo credo perché lo hai rivelato Tu, prima verità infallibile, alla S. Chiesa. Sì, io credo ciò Tu hai detto, Gesù mio Salvatore, perché nulla è più vero della verità della tua Parola. Quanto mi dispiace perciò che vi sia al mondo chi non crede in te. Questa vita darei volentieri per testimoniare il tuo S. Vangelo e affinché gli uomini si assoggettassero a crederlo. O mio Dio! Io sono figlia della tua Chiesa e come tale voglio morire…! (Dir 1814 pg19).
Pur nel linguaggio del tempo la preghiera ufficiale delle adoratrici, recitata ad alta voce nella chiesa aperta al pubblico, così si concludeva: io intendo adorarti ora non solamente per quei Cattolici che non ti adorano, ma ancora in supplemento e per la conversione di tutti gli Eretici e Scismatici (cioè Riformati e Ortodossi)
… atei… maomettani ed ebrei


L'adorazione anticipo dell'eternità

Tra i personaggi della Chiesa militante troviamo grandi maestri e teologi. Raffaello ha sapientemente fuso in un'unica chiesa, santi del passato e suoi contemporanei. A sinistra, ad esempio, compaiono artisti come Bramante (nei panni della persona che si sporge sulla balaustra) e il Beato Angelico (con la veste domenicana). Il bel giovane biondo, che con gesto semplice addita la verità indiscutibile del mistero eucaristico, potrebbe essere il ritratto di Francesco Maria della Rovere, erede del ducato di Urbino. Verso l'altare, seduto su uno scranno marmoreo, troviamo Giulio II nei panni di Gregorio Magno (senza barba), accanto al quale siede san Girolamo. Sulla destra invece, identificati sulla base delle scritte nelle aureole, troviamo: (da sinistra a destra) sant'Ambrogio, sant'Agostino (seduti), san Tommaso d'Aquino, papa Innocenzo III, san Bonaventura da Bagnoregio intento nelle lettura a papa Sisto IV, lo zio di Giulio II e Dante Alighieri.
 
Dietro a Dante, potrebbe essere, seminascosta, la testa incappucciata del Savonarola, verso cui Giulio II manifestava aperta simpatia.

Con la fusione tra personaggi del passato e suoi contemporanei l'artista sottolinea la continuità fra i santi di "ieri" e quelli di "oggi": tutti sono parte dell'unica Chiesa di Cristo. La fede nella comunione dei santi deve produrre la consapevolezza dell'importanza della preghiera vicendevole, della preghiera di intercessione. Già l'Apostolo Giacomo affermava: pregate gli uni gli altri per essere salvati (cfr. Gc 5, 16). I Santi non sono soltanto quelli già canonizzati dalla Chiesa; c'è una Chiesa santa in cammino, pellegrina sulla terra, che si nutre della preghiera vicendevole per giungere alla piena maturità di Cristo.

Per Madre Maria Maddalena solo con la preghiera di Adorazione si può realizzare una catena ininterrotta di solidarietà, ove pregare gli uni gli altri: Il Sacrificio stesso della Messa, che è l'omaggio più santo, più perfetto, che possa essere dato in suo onore ha il suo tempo limitato. Gli uomini inoltre, non possono sempre fermarsi ad adorarlo, obbligati, come sono, ad attendere ai bisogni della vita e a soddisfare i doveri del loro impiego; tuttavia molte persone, dell'uno o dell'altro sesso, dividendo le ore della giornata, potrebbero consacrare a questo santo esercizio tutte le ore del giorno. In tal modo il numero degli Adoratori potrà essere così grande che in ogni ora ve ne sarebbe una quantità considerevole e questa prodigiosa moltitudine si conserverà in grazia di Dio unendosi agli Angeli e ai Beati che lo adorano in Cielo e in terra e invocherebbe sopra di sé, e sopra i luoghi ove tali Adoratori saranno, mille e poi mille celesti benedizioni. […] Le nostre chiese, che riceverebbero la gente in folla, diventerebbero tanti Paradisi su questa terra e il nostro Signor Gesù Cristo, che sta perpetuamente sugli altari per farci del bene, non starebbe solo e sarebbe onorato da noi con vera effusione di cuore. Se noi stessimo lì tutti uniti insieme, Dio si piegherebbe alle nostre preghiere ed esaudirebbe gli uni per amore degli altri e (tutti) ritornerebbero tranquilli alle loro case dopo essere stati a pregare nelle chiese (Dir 1814 pg 19.20).

La preghiera davanti all'Eucaristia costituisce un prezioso legame fra i cittadini della terra e quelli del cielo, essa potrebbe a ragione essere definita il respiro dell'unico corpo di Cristo. Se, infatti, l'Eucaristia non sarà eterna e la sua funzione cesserà quando cesserà di esistere questo mondo, l'adorazione, invece, non finirà mai essendo moto spontaneo dell'anima di fronte alla visione beatifica di Dio o (qui ed ora) alla percezione della sua Presenza.

L'adorazione Eucaristica, prolungamento della Messa, è direttamente connessa alla preghiera liturgica. Ed è la liturgia il luogo ove si realizza misticamente la Presenza piena e manifesta dell'intero Corpo di Cristo. Nella liturgia la Chiesa prega per i vivi e per i defunti, chiede l'intercessione dei Santi ed eleva la lode somma al Dio trino ed Unico.
Come lo spazio universale che abbraccia cielo e terra, celebrato da Raffaello nella sua "Disputa", la liturgia è uno spazio mistico entro al quale Chiesa militante, purgante e trionfante canta l'unico inno di gloria al Dio del cielo. In questa coreografia misteriosa e solenne, che si sviluppa attorno all'Eucaristia, cuore pulsante d'Amore, entra come parte integrante e preziosa ogni uomo che prega.


La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico.
Gesù ci aspetta in questo Sacramento dell'amore.
Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell'adorazione,
nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo.
Non cessi mai la nostra adorazione.

(Giovanni Paolo II Sul mistero e culto della SS. Eucaristia)


    la disputa
fig.1 La Disputa



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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INVITIAMO I SACERDOTI (ma anche noi laici cattolici) A FARSI PROMOTORI ED ESECUTORI DI QUANTO PRONUNCIATO DAL SANTO PADRE:

Coerenza eucaristica [SM=g1740733]

83. È importante rilevare ciò che i Padri sinodali hanno qualificato come coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme.(230) Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana.(231) Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l'Eucaristia (cfr 1 Cor 11,27-29). I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato.(232)


CONTRO IL PACIFISMO

La dottrina sociale della Chiesa

91. Il mistero dell'Eucaristia ci abilita e ci spinge ad un impegno coraggioso nelle strutture di questo mondo per portarvi quella novità di rapporti che ha nel dono di Dio la sua fonte inesauribile. La preghiera, che ripetiamo in ogni santa Messa: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano », ci obbliga a fare tutto il possibile, in collaborazione con le istituzioni internazionali, statali, private, perché cessi o perlomeno diminuisca nel mondo lo scandalo della fame e della sottoalimentazione di cui soffrono tanti milioni di persone, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il cristiano laico in particolare, formato alla scuola dell'Eucaristia, è chiamato ad assumere direttamente la propria responsabilità politica e sociale. Perché egli possa svolgere adeguatamente i suoi compiti occorre prepararlo attraverso una concreta educazione alla carità e alla giustizia. Per questo, come è stato richiesto dal Sinodo, è necessario che nelle Diocesi e nelle comunità cristiane venga fatta conoscere e promossa la dottrina sociale della Chiesa.(248) In questo prezioso patrimonio, proveniente dalla più antica tradizione ecclesiale, troviamo gli elementi che orientano con profonda sapienza il comportamento dei cristiani di fronte alle questioni sociali scottanti. Questa dottrina, maturata durante tutta la storia della Chiesa, si caratterizza per realismo ed equilibrio, aiutando così ad evitare fuorvianti compromessi o vacue utopie.


La lingua latina

62. Quanto affermato non deve, tuttavia, mettere in ombra il valore di queste grandi liturgie. Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del
Concilio Vaticano II: (182) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.(184)


La riverenza verso l'Eucaristia


65. Un segnale convincente dell'efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l'Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli.(190) Penso, in senso generale, all'importanza dei gesti e della postura, come l'inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica. Nell'adeguarsi alla legittima diversità di segni che si compiono nel contesto delle differenti culture, ciascuno viva ed esprima la consapevolezza di trovarsi in ogni celebrazione davanti alla maestà infinita di Dio, che ci raggiunge in modo umile nei segni sacramentali.



Adorazione e pietà eucaristica


Il rapporto intrinseco tra celebrazione e adorazione


66. Uno dei momenti più intensi del Sinodo è stato quando ci siamo recati nella Basilica di San Pietro, insieme a tanti fedeli per l'adorazione eucaristica. Con tale gesto di preghiera, l'Assemblea dei Vescovi ha inteso richiamare l'attenzione, non solo con le parole, sull'importanza della relazione intrinseca tra Celebrazione eucaristica e adorazione. In questo significativo aspetto della fede della Chiesa si trova uno degli elementi decisivi del cammino ecclesiale, compiuto dopo il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II. Mentre la riforma muoveva i primi passi, a volte l'intrinseco rapporto tra la santa Messa e l'adorazione del Ss.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito. Un'obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato. In realtà, alla luce dell'esperienza di preghiera della Chiesa, tale contrapposizione si rivelava priva di ogni fondamento. Già Agostino aveva detto: « nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando – Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo ».(191) Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa.(192) Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, « soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri ».(193)


La pratica dell'adorazione eucaristica


67. Insieme all'Assemblea sinodale, pertanto, raccomando vivamente ai Pastori della Chiesa e al Popolo di Dio la pratica dell'adorazione eucaristica, sia personale che comunitaria.(194) A questo proposito, di grande giovamento sarà un'adeguata catechesi in cui si spieghi ai fedeli l'importanza di questo atto di culto che permette di vivere più profondamente e con maggiore frutto la stessa Celebrazione liturgica. Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente all'adorazione perpetua. Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia.

Vorrei qui esprimere ammirazione e sostegno a tutti quegli Istituti di vita consacrata i cui membri dedicano una parte significativa del loro tempo all'adorazione eucaristica. In tal modo essi offrono a tutti l'esempio di persone che si lasciano plasmare dalla presenza reale del Signore. Desidero ugualmente incoraggiare quelle associazioni di fedeli, come anche le Confraternite, che assumono questa pratica come loro speciale impegno, diventando così fermento di contemplazione per tutta la Chiesa e richiamo alla centralità di Cristo per la vita dei singoli e delle comunità.


Forme di devozione eucaristica


68. Il rapporto personale che il singolo fedele instaura con Gesù, presente nell'Eucaristia, lo rimanda sempre all'insieme della comunione ecclesiale, alimentando in lui la consapevolezza della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Per questo, oltre ad invitare i singoli fedeli a trovare personalmente del tempo da trascorrere in preghiera davanti al Sacramento dell'altare, ritengo doveroso sollecitare le stesse parrocchie e gli altri gruppi ecclesiali a promuovere momenti di adorazione comunitaria. Ovviamente, conservano tutto il loro valore le già esistenti forme di devozione eucaristica. Penso, ad esempio, alle processioni eucaristiche, soprattutto alla tradizionale processione nella solennità del Corpus Domini, alla pia pratica delle Quarant'ore, ai Congressi eucaristici locali, nazionali e internazionali, e alle altre iniziative analoghe. Opportunamente aggiornate e adattate alle circostanze diverse, tali forme di devozione meritano di essere anche oggi coltivate.(195)


Il luogo del tabernacolo nella chiesa


69. In relazione all'importanza della custodia eucaristica e dell'adorazione e riverenza nei confronti del sacramento del Sacrificio di Cristo, il Sinodo dei Vescovi si è interrogato riguardo all'adeguata collocazione del tabernacolo all'interno delle nostre chiese.(196) La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È necessario pertanto che il luogo in cui vengono conservate le specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa. A tale fine, occorre tenere conto della disposizione architettonica dell'edificio sacro: nelle chiese in cui non esiste la cappella del Santissimo Sacramento e permane l'altare maggiore con il tabernacolo, è opportuno continuare ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione dell'Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante. Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del Santissimo in prossimità del presbiterio; ove ciò non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio, in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in altro punto ove sia ugualmente ben visibile. Tali accorgimenti concorrono a conferire dignità al tabernacolo, che deve sempre essere curato anche sotto il profilo artistico. Ovviamente è necessario tener conto di quanto afferma in proposito l'Ordinamento Generale del Messale Romano.(197) Il giudizio ultimo su questa materia spetta comunque al Vescovo diocesano.



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TESTO INTEGRALE 




ESORTAZIONE APOSTOLICA
POSTSINODALE
SACRAMENTUM CARITATIS
DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO
ALLE PERSONE CONSACRATE
E AI FEDELI LAICI
SULL'EUCARISTIA
FONTE E CULMINE DELLA VITA
E DELLA MISSIONE DELLA CHIESA


Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 febbraio 2007, festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, secondo del mio Pontificato.

BENEDICTUS PP. XVI



 


 

LO SGUARDO DI BENEDETTO XVI MENTRE ADORA L'EUCARESTIA
Processione del Corpus Domini giugno 2008....

 


PROCESSIONE EUCARISTICA ALLA PRAIRIE

MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


Lourdes, domenica 14 settembre 2008

Signore Gesù, Tu sei qui!
E voi, miei fratelli, mie sorelle, miei amici, voi pure siete qui, con me, davanti a Lui!


Signore, duemila anni or sono, Tu hai accettato di salire su di una croce d’infamia per poi risuscitare e restare sempre con noi, tuoi fratelli, tue sorelle. E voi, miei fratelli, mie sorelle, miei amici, voi accettate di lasciarvi afferrare da Lui.

Noi Lo contempliamo. Noi L’adoriamo. Noi L’amiamo. E cerchiamo di amarLo di più. Noi contempliamo Colui che, nel corso della cena pasquale, ha donato il suo Corpo e il suo Sangue ai discepoli, per essere con loro “tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Noi adoriamo Colui che è all’inizio e alla fine della nostra fede, Colui senza il quale noi non saremmo qui sta sera. Colui senza il quale noi non ci saremmo per nulla. Colui senza il quale nulla vi sarebbe, nulla, assolutamente nulla! Lui, per mezzo del quale “tutto è stato fatto” (Gv 1,3), Lui nel quale noi siamo stati creati, per l’eternità, Lui che ci ha donato il suo Corpo e il suo Sangue, Lui è qui, questa sera, davanti a noi, offerto ai nostri sguardi. Noi amiamo – e cerchiamo di amare di più – Colui che è qui, davanti a noi, offerto ai nostri sguardi, alle nostre domande forse, al nostro amore. Sia che camminiamo o siamo inchiodati su di un letto di dolore - che camminiamo nella gioia o siamo nel deserto dell’anima (cfr Num 21,5), Signore, prendici tutti nel tuo Amore: nell’amore infinito, che è eternamente quello del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre, quello del Padre e del Figlio per lo Spirito e dello Spirito per il Padre e per il Figlio. L’Ostia Santa, esposta ai nostri occhi, dice questa potenza infinita dell’Amore manifestata sulla Croce gloriosa.

L’Ostia Santa ci dice l’incredibile abbassamento di Colui che s’è fatto povero per farci ricchi di Sé, Colui che ha accettato di perdere tutto per guadagnarci al Padre suo.

L’Ostia Santa è il Sacramento vivo ed efficace della presenza eterna del Salvatore degli uomini alla sua Chiesa. Fratelli miei, sorelle mie, amici miei, accettiamo, accettate di offrirvi a Colui che ci ha donato tutto, che è venuto non per giudicare il mondo, ma per salvarlo (cfr Gv 3,17), accettate di riconoscere nelle vostre vite la presenza attiva di Colui che è qui presente, esposto ai nostri sguardi. Accettate di offrirGli le vostre proprie vite! Maria, la Vergine santa, Maria, l’Immacolata Concezione, ha accettato, duemila anni or sono, di donare tutto, di offrire il suo corpo per accogliere il Corpo del Creatore. Tutto è venuto da Cristo, anche Maria; tutto è venuto mediante Maria, lo stesso Cristo. Maria, la Vergine santa, è con noi questa sera, davanti al Corpo del Figlio suo, centocinquant’anni dopo essersi rivelata alla piccola Bernadette. Vergine santa, aiutaci a contemplare, aiutaci ad adorare, aiutaci ad amare, ad amare di più Colui che ci ha tanto amato, per vivere eternamente con Lui.

Una folla immensa di testimoni è invisibilmente presente accanto a noi, vicino a questa grotta benedetta e davanti a questa chiesa voluta dalla Vergine Maria; la folla di tutti gli uomini e di tutte le donne che hanno contemplato, venerato, adorato la presenza reale di Colui che si è donato a noi fino all’ultima goccia di sangue; la folla degli uomini e delle donne che hanno passato ore ad adorarLo nel Santissimo Sacramento dell’altare. Questa sera, noi non li vediamo, ma li sentiamo dire a ciascuno e a ciascuna di noi: «Vieni, lasciati attrarre dal Maestro! Egli è qui e ti chiama! (cfr Gv 11,28). Egli vuol prendere la tua vita e unirla alla sua. Lasciati afferrare da Lui! Non guardare più alle tue ferite, guarda alle sue. Non guardare ciò che ti separa ancora da Lui e dagli altri; guarda l’infinita distanza che Egli ha cancellato nell’assumere la tua carne, nel salire sulla Croce che gli hanno preparato gli uomini e nel lasciarsi mandare a morte per mostrarti il suo amore. Nelle sue ferite Egli ti accoglie; nelle sue ferite Egli ti nasconde. Non rifiutarti al suo amore!». La folla immensa di testimoni che s’è lasciata afferrare dal suo amore è la folla dei santi del cielo che non cessano di intercedere per noi. Erano peccatori e lo sapevano, ma hanno accettato di non guardare le loro ferite, di non guardare ormai che le ferite del loro Signore, per scoprirvi la gloria della Croce, per scoprirvi la vittoria della Vita sulla morte. San Pier-Giuliano Eymard ci dice tutto, quando esclama: “La Santa Eucaristia è Gesù Cristo passato, presente e futuro” (Prediche e istruzioni parrocchiali dopo il 1856, 4 - 2,1. Sulla meditazione).

Gesù Cristo passato, nella verità storica della sera nel cenacolo, ove ci conduce ogni celebrazione della santa Messa. Gesù Cristo presente, perché Egli ci dice: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. “Questo è”, al presente, qui e ora, come in tutti i “qui e ora” della storia umana.

Presenza reale, presenza che supera le nostre povere labbra, i nostri poveri cuori, i nostri poveri pensieri. Presenza offerta ai nostri sguardi come qui, stasera, presso questa grotta ove Maria s’è rivelata come Immacolata Concezione.

L’Eucaristia è anche Gesù Cristo futuro, il Gesù Cristo che verrà. Quando contempliamo l’Ostia Santa, il suo Corpo di gloria trasfigurato e risorto, contempliamo ciò che contempleremo nell’eternità, scoprendovi il mondo intero sostenuto dal suo Creatore in ogni istante della sua storia. Ogni volta che ce ne cibiamo, ma anche ogni volta che lo contempliamo, noi l’annunciamo fino a che Egli ritorni: “donec veniat”. Proprio per questo noi lo riceviamo con infinito rispetto.

Alcuni tra noi non possono o non possono ancora riceverLo nel Sacramento, ma possono contemplarLo con fede e amore, ed esprimere il desiderio di potersi finalmente unire a Lui. E’ un desiderio che ha grande valore davanti a Dio: essi attendono con maggior ardore il suo ritorno; attendono Gesù Cristo che deve venire.

Quando un’amica di Bernadette, all’indomani della sua prima comunione, le chiese: “Di che cosa sei stata più felice: della prima comunione e delle apparizioni?”, Bernadette rispose: “Sono due cose che vanno insieme, ma non possono essere confrontate. Io sono stata felice in ambedue” (Emmanuélite Estrade, 4 giugno 1958). 

Il Beato Charles de Foucauld nacque nel 1858, lo stesso anno delle apparizioni di Lourdes. Non lontano dal suo corpo irrigidito dalla morte fu trovata, come il chicco di frumento gettato nella terra, la lunetta contenente il Santissimo Sacramento, che fratel Carlo adorava ogni giorno per lunghe ore.

Il P.de Foucauld ci affida la preghiera scaturita dall’intimità del suo cuore, una preghiera rivolta al Padre celeste, ma che, con Gesù, possiamo in piena verità fare nostra davanti all’Ostia Santa:

«’Padre mio, affido il mio spirito nelle Vostre mani’. E’ l’ultima preghiera del nostro Maestro, del nostro Diletto…Possa diventare la nostra, e che essa sia non solo quella del nostro ultimo istante, ma quella di tutti i nostri istanti: «Padre mio, mi rimetto nelle Vostre mani; Padre mio, mi affido a Voi; Padre mio, mi abbandono a Voi; Padre mio, fate di me ciò che vi piacerà; qualunque cosa facciate di me, vi ringrazio: grazie di tutto; sono pronto a tutto, accetto tutto; Vi ringrazio di tutto. Supposto che la Vostra volontà si compia in me, o mio Dio, supposto che la Vostra volontà si compia in tutte le Vostre creature, in tutti i Vostri figli, in tutti coloro che il vostro cuore ama, non desidero null’altro, mio Dio; rimetto la mia anima nelle Vostre mani; Ve la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché Vi amo ed è un bisogno del mio cuore donarmi, rimettermi nelle Vostre mani, senza misura, con infinita confidenza, perché Voi siete il Padre mio».

Diletti fratelli e sorelle, pellegrini di un giorno e abitanti di queste vallate, fratelli Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, voi tutti che vedete davanti ai vostri occhi l’infinito abbassamento del Figlio di Dio e la gloria infinita della risurrezione, restate in silenzio e adorate il vostro Signore, il nostro Maestro e Signore Gesù Cristo. Restate in silenzio, poi parlate e dite al mondo: non possiamo più tacere ciò che sappiamo. Andate a dire al mondo intero le meraviglie di Dio, presente in ogni momento delle nostre vite, in ogni luogo della terra. Che Dio ci benedica e ci protegga, ci conduca sul cammino della vita eterna, Lui che è la Vita, per i secoli dei secoli.
Amen.

[Modificato da Caterina63 30/05/2013 13:08]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Cliccando qui: I MIRACOLI EUCARISTICI
troverete molte storie, autentiche, circa la Presenza Reale di Gesù fra noi nell'Eucarestia....

                             


                                       


Al nostro bisogno di preghiera, al nostro desiderio di incontro con il Dio della vita, il Signore risponde con la sua Presenza d’amore.               Siamo qui presenti ad una Presenza. Siamo presenti a Dio ed al tempo stesso Dio è presente a noi. Sentiamo che tutto di Lui interessa a noi e che tutto di noi interessa a Lui. 

  Dal Libro del profeta Isaia (40,10; 41,9-10.13) Ecco il vostro Dio! Ecco, Dio viene con potenza. Dio dice: “Sei tu colui che io ho preso dall’estremità della terra ed ho chiamato dalle regioni più lontane, e ti ho detto: “Mio servo tu sei, ti ho scelto, non ti ho rigettato”.Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto e ti sostengo con la destra vittoriosa.Poiché io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico: “Non temere, io ti vengo in aiuto!”Parola di Dio.

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11/06/2009 22:21
 
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Ho terminato di seguire la diretta, mi sono davvero commossa Sorriso
Nell'Omelia il Santo Padre ha "ALZATO I TONI" quando citando il Santo Curato d'Ars ha invitato prima i Sacerdoti A TESTIMONIARE IL CRISTO NELL'EUCARESTIA SOSTANDO IN PREGHIERA DAVANTI AL SANTISSIMO, poi invitando la gente a vivere questa Comunione...
Il Santo Padre è tornato a denunciare la SCIATTERIA E GLI ABUSI LITURGICI....

Piccole curiosità:
il Papa ha usato la pianeta di Paolo VI, credo sia la prima volta per una Messa all'aperto Occhiolino
ho notato che molti sacerdoti prendevano la comunione alla bocca, anche molti bambini...


Ora posterò le foto, poi l'Omelia appena sarà disponibile, meditiamola perchè è davvero una meraviglia!










 Sorriso


 Occhiolino

SI RITORNA A PREGARE IN GINOCCHIO! FINALMENTE!!








 







[Modificato da Caterina63 11/06/2009 22:35]
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“L’Eucaristia, rendendo presente il sacrificio della Croce, ci rende capaci di vivere fedelmente la comunione con Dio” così il Papa nella Santa Messa per la Solennità del Corpus Domini celebrata stasera nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Al termine del rito il Santo Padre ha guidato la processione verso Santa Maria Maggiore. Il servizio di Benedetta Capelli
 
Il Cenacolo, la Pasqua celebrata da Gesù con i discepoli, “l’istituzione dell’Eucaristia come anticipazione e accettazione da parte di Gesù della sua morte”. Sono le immagini evocate da Benedetto XVI per spiegare il “Sacrificio eucaristico” che si rinnova nelle parole: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue ”. Un sacrificio nel quale si “realizza l’espiazione dei peccati” ma che si completa nella nuova alleanza, confermata “non con sacrifici di animali” bensì con il sangue di Gesù, divenuto “sangue della nuova alleanza”. Gesù è “mediatore” di un nuovo patto, “al tempo stesso – aggiunge il Papa – vittima degna di Dio perché senza macchia, e sommo sacerdote che offre se stesso, sotto l'impulso dello Spirito Santo, ed intercede per l’intera umanità”:
 
"La Croce è pertanto mistero di amore e di salvezza, che purifica, come dice la Lettera agli Ebrei, la coscienza dalle 'opere morte', cioè dai peccati, e ci santifica scolpendo l’alleanza nuova nel nostro cuore; l’Eucaristia, rinnovando il sacrificio della Croce, ci rende capaci di vivere fedelmente la comunione con Dio".

 
Rivolgendosi direttamente ai fedeli in ascolto, il Santo Padre ha ricordato come Dio plasma il suo popolo:“l’unico Corpo di Cristo, grazie alla nostra sincera partecipazione alla duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia”:
 
"Nutriti di Cristo, noi, suoi discepoli, riceviamo la missione di essere 'l’anima' di questa nostra città fermento di rinnovamento, pane 'spezzato' per tutti, soprattutto per coloro che versano in situazioni di disagio, di povertà e di sofferenza fisica e spirituale. Diventiamo testimoni del suo amore".

 
Ai sacerdoti ha chiesto di “essere Eucaristia”, testimoni di gioia, esempio di devozione. Evidenziando “il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto”, ha invitato a rinnovare “la nostra fede nella reale presenza di Cristo nell’Eucaristia”. Con “il pane della vita eterna” “il cielo – ha proseguito il Papa - viene sulla terra, il domani di Dio si cala nel presente e il tempo è come abbracciato dall’eternità divina”. Al termine della Messa Benedetto XVI ha guidato la tradizionale processione eucaristica verso Santa Maria Maggiore invocando Gesù affinchè purifichi “questo mondo dal veleno del male, della violenza e dell’odio”.


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venerdì 12 giugno 2009

Sant'Antonio & Corpus Domini: le tre mense del Signore.

Quante volte sentiamo parlare delle "due mense" della Parola e dell'Eucaristia? Sant'Antonio invece, di mense ne indica tre. E la seconda è la più dimenticata nella pratica attuale di molti fedeli che pensano di non aver bisogno di nutrirsi ad essa, e saltano così dalla prima alla terza senza passare per la seconda.

Leggiamo dunque questo passo magistrale del Dottore Evangelico per prepararci alla sua Festa ascoltandone un insegnamento sul modo di ricevere il dono del Corpo di Cristo:

Dai Sermoni di Sant'Antonio (In Fest. SS. Inn. §14)

Sant'Antonio predica ai pesci la Parola di DioOsserva che ci sono tre tipi di mensa, e in ognuna c'è una propria refezione. La prima è la mensa della dottrina: «Davanti a me tu prepari una mensa, di fronte a quelli che mi perseguitano» (Sal 22,5), cioè contro gli eretici. La seconda è la mensa della penitenza: «Tranquillità alla tua mensa, piena di grasse vivande» (Gb 36,16). Felice quella penitenza che produce la quiete della coscienza e abbondanza di bene, cioè opere di carità verso i fratelli. La terza è la mensa dell'Eucaristia, di cui dice l'Apostolo: Non potete partecipare alla mensa di Cristo e alla mensa dei demoni (cf. 1Cor 10,21).
Nella prima mensa la refezione è la Parola di vita, nella seconda i gemiti e le lacrime, nella terza la carne e il sangue di Cristo. E anche qui fa' attenzione che non è detto «alla mensa», ma «intorno alla mensa». Intorno a queste mense deve stare ogni cristiano, a somiglianza di coloro che girano avidamente intorno a ciò che desiderano vedere e trovare, ma dove non riescono ad entrare.sant'Antonio ascolta le confessioni, mentre legge i peccati di un penitente incapace di parlare, la lista si cancella
Così costoro devono girare intorno alla mensa della dottrina, per imparare a distinguere il bene dal male, e tra bene e bene; devono girare intorno alla mensa della penitenza per suscitare in sé il dispiacere dei peccati commessi e anche dei peccati di omissione, per confessare le loro colpe, precisando le circostanze, per riparare il danno arrecato, per restituire ciò che hanno illecitamente tolto, per elargire le cose proprie a chi è nel bisogno; devono girare intorno alla mensa eucaristica per credere con fermezza, per accostarsi ad essa con devozione, e ricevere il corpo di Cristo dopo profonda riflessione, reputandosi indegni di tanta grazia.
Preghiamo dunque il Figlio di Dio che ci conceda di ristorarci a questa triplice mensa per essere degni di saziarci alla mensa celeste insieme ai beati Innocenti. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli dei secoli.

Amen.





Sant'Antonio mostra il Santissimo Sacramento alla mula che si inginocchia
Fraternamente CaterinaLD

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12/06/2009 21:51
 
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guardo questa immagine:

                          

e mi dico: guarda questi occhi, Dorotea, è lo sguardo di un uomo di 82 anni che VEDE E CREDE, CREDE E VEDE con ciò che san Tommaso d'Aquino definisce il sesto senso dell'Uomo: LA FEDE!
Una fede nella quale la ragione stessa della fede trova così IL COMPLETAMENTO, NON LA CONTESTAZIONE...
E' una immagine che commuove e ti prende dentro, non può lasciarci indifferenti... Occhiolino

Meditiamo ora ATTENTAMENTE sull'Omelia....CARI SACERDOTI, FATE DI QUESTA OMELIA IL VOSTRO BALUARDO Occhiolino


CELEBRAZIONE DEL CORPO E DEL SANGUE DI CRISTO

OMELIA DEL SANTO PADRE


«Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue».
Cari fratelli e sorelle, queste parole che Gesù pronunciò nell’Ultima Cena, vengono ripetute ogni volta che si rinnova il Sacrificio eucaristico.
Le abbiamo ascoltate poco fa nel Vangelo di Marco e risuonano con singolare potenza evocativa quest’oggi, solennità del Corpus Domini.

Esse ci conducono idealmente nel Cenacolo, ci fanno rivivere il clima spirituale di quella notte quando, celebrando la Pasqua con i suoi, il Signore nel mistero anticipò il sacrificio che si sarebbe consumato il giorno dopo sulla croce.

L’istituzione dell’Eucaristia ci appare così come anticipazione e accettazione da parte di Gesù della sua morte. Scrive in proposito
sant’Efrem Siro: « Durante la cena Gesù immolò se stesso; sulla croce Egli fu immolato dagli altri» (cfr Inno sulla crocifissione 3,1).
«Questo è il mio sangue».

Chiaro è qui il riferimento al linguaggio sacrificale di Israele. Gesù presenta se stesso come il vero e definitivo sacrificio, nel quale si realizza l’espiazione dei peccati che, nei riti dell’Antico Testamento, non era mai stata totalmente compiuta. A questa espressione ne seguono altre due molto significative. Innanzitutto, Gesù Cristo dice che il suo sangue « è versato per molti » con un comprensibile riferimento ai canti del Servo, che si trovano nel libro di Isaia ( cfr cap. 53). 

Con l’aggiunta - "sangue dell’alleanza" -, Gesù rende inoltre manifesto che, grazie alla sua morte, si realizza la profezia della nuova alleanza fondata sulla fedeltà e sull’amore infinito del Figlio fattosi uomo, un’alleanza perciò più forte di tutti i peccati dell’umanità. L’antica alleanza era stata sancita sul Sinai con un rito sacrificale di animali, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, e il popolo eletto, liberato dalla schiavitù dell’Egitto, aveva promesso di eseguire tutti i comandamenti dati dal Signore (cfr Es 24, 3).

In verità, Israele sin da subito, con la costruzione del vitello d'oro, si mostrò incapace di mantenersi fedele a questa promessa e così al patto intervenuto, che anzi in seguito trasgredì molto spesso, adattando al suo cuore di pietra la Legge che avrebbe dovuto insegnargli la via della vita. Il Signore però non venne meno alla sua promessa e, attraverso i profeti, si preoccupò di richiamare la dimensione interiore dell’alleanza, ed annunciò che ne avrebbe scritta una nuova nei cuori dei suoi fedeli (cfr Ger 31,33), trasformandoli con il dono dello Spirito (cfr Ez 36, 25-27). E fu durante l’Ultima Cena che strinse con i discepoli e con l’umanità questa nuova alleanza, confermandola non con sacrifici di animali come avveniva in passato, bensì con il suo sangue, divenuto "sangue della nuova alleanza". La fondò quindi sulla propria obbedienza, più forte, come ho detto, di tutti i nostri peccati.

Questo viene ben evidenziato nella seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, dove l'autore sacro dichiara che Gesù è "mediatore di una alleanza nuova" (9,15). Lo è diventato grazie al suo sangue o, più esattamente, grazie al dono di se stesso, che dà pieno valore allo spargimento del suo sangue. Sulla croce, Gesù è al tempo stesso vittima e sacerdote: vittima degna di Dio perché senza macchia, e sommo sacerdote che offre se stesso, sotto l'impulso dello Spirito Santo, ed intercede per l’intera umanità. La Croce è pertanto mistero di amore e di salvezza, che ci purifica – come dice la Lettera agli Ebrei - dalle "opere morte", cioè dai peccati, e ci santifica scolpendo l’alleanza nuova nel nostro cuore; l’Eucaristia, rendendo presente il sacrificio della Croce, ci rende capaci di vivere fedelmente la comunione con Dio.

 
Cari fratelli e sorelle – che saluto tutti con affetto ad iniziare dal cardinale vicario e dagli altri cardinali e vescovi presenti – come il popolo eletto riunito nell’assemblea del Sinai, anche noi questa sera vogliamo ribadire la nostra fedeltà al Signore.
Qualche giorno fa, aprendo l’annuale convegno diocesano, ho richiamato l’importanza di restare, come Chiesa, in ascolto della Parola di Dio nella preghiera e scrutando le Scritture, specialmente con la pratica della lectio divina, della lettura meditata e adorante della Bibbia.
So che tante iniziative sono state promosse al riguardo nelle parrocchie, nei seminari, nelle comunità religiose, all’interno delle confraternite, delle associazioni e dei movimenti apostolici, che arricchiscono la nostra comunità diocesana. Ai membri di questi molteplici organismi ecclesiali rivolgo il mio fraterno saluto.

La vostra numerosa presenza a questa celebrazione, cari amici, pone in luce che la nostra comunità, caratterizzata da una pluralità di culture e di esperienze diver- se, Dio la plasma come «suo» popolo, come l’unico Corpo di Cristo, grazie alla nostra sincera partecipazione alla duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia. Nutriti di Cristo, noi, suoi discepoli, riceviamo la missione di essere «l’anima» di questa nostra città ( cfr Lettera a Diogneto, 6: ed. Funk, I, p. 400; vedi anche Lumen gentium, 38) fermento di rinnovamento, pane « spezzato » per tutti, soprattutto per coloro che versano in situazioni di disagio, di povertà e di sofferenza fisica e spirituale. Diventiamo testimoni del suo amore.

Mi rivolgo particolarmente a voi, cari sacerdoti, che Cristo ha scelto perché insieme a Lui possiate vivere la vostra vita quale sacrificio di lode per la salvezza del mondo. Solo dall’unione con Gesù potete trarre quella fecondità spirituale che è generatrice di speranza nel vostro ministero pastorale.

Ricorda
san Leone Magno che « la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende a nient’altro che a diventare ciò che riceviamo » (Sermo 12, De Passione 3,7, PL 54).
Se questo è vero per ogni cristiano, lo è a maggior ragione per noi sacerdoti.
Essere, divenire Eucaristia! Sia proprio questo il nostro costante desiderio e impegno, perché all’offerta del corpo e del sangue del Signore che facciamo sull’altare, si accompagni il sacrificio della nostra esistenza.

Ogni giorno, attingiamo dal Corpo e Sangue del Signore quell’amore libero e puro che ci rende degni ministri di Cristo e testimoni della sua gioia. È ciò che i fedeli attendono dal sacerdote: l’e- sempio cioè di una autentica devozione per l’Eucaristia; amano vederlo trascorrere lunghe pause di silenzio e di adorazione dinanzi a Gesù come faceva il santo Curato d’Ars, che ricorderemo in modo particolare durante l’ormai imminente Anno Sacerdotale.

San Giovanni Maria Vianney amava dire ai suoi parrocchiani: « Venite alla comunione... È vero che non ne siete degni, ma ne avete bisogno » (Bernard Nodet, Le curé d’Ars. Sa pensée – Son coeur, éd. Xavier Mappus, Paris 1995, p. 119).

Con la consapevolezza di essere inadeguati a causa dei peccati, ma bisognosi di nutrirci dell’amore che il Signore ci offre nel sacramento eucaristico, rinnoviamo questa sera la nostra fede nella reale presenza di Cristo nell’Eucaristia. Non bisogna dare per scontata questa fede!
C’è oggi il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto, in celebrazioni prive di quella partecipazione del cuore che si esprime in venerazione e rispetto per la liturgia. È sempre forte la tentazione di ridurre la preghiera a momenti superficiali e frettolosi, lasciandosi sopraffare dalle attività e dalle preoccupazioni terrene.
 

Quando tra poco ripeteremo il Padre Nostro, la preghiera per eccellenza, diremo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» , pensando naturalmente al pane d’ogni giorno per noi e per tutti gli uomini. Questa domanda però contiene qualcosa di più profondo. Il termine greco epioúsios, che traduciamo con « quotidiano » , potrebbe alludere anche al pane « sopra- sostanziale», al pane « del mondo a venire».

Alcuni
Padri della Chiesa hanno visto qui un riferimento all’Eucaristia, il pane della vita eterna, del nuovo mondo, che ci è dato nella Santa Messa, affinché sin da ora il mondo futuro abbia inizio in noi. Con l’Eucaristia dunque il cielo viene sulla terra, il domani di Dio si cala nel presente e il tempo è come abbracciato dall’eternità divina.
Cari fratelli e sorelle, come ogni anno, al termine della Santa Messa, si snoderà la tradizionale processione eucaristica ed eleveremo, con le preghiere e i canti, una corale implorazione al Signore presente nell’ostia consacrata.

Gli diremo a nome dell’intera città: resta con noi Gesù, facci dono di te e dacci il pane che ci nutre per la vita eterna! Libera questo mondo dal veleno del male, della violenza e dell’odio che inquina le coscienze, purificalo con la potenza del tuo amore misericordioso.

E tu, Maria, che sei stata donna « eucaristica » in tutta la tua vita, aiutaci a camminare uniti verso la meta celeste, nutriti dal Corpo e dal Sangue di Cristo, pane di vita eterna e farmaco dell’immortalità divina.

Amen!



[Modificato da Caterina63 12/06/2009 21:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il sacrificio glorioso dell'Eucaristia

Un amore paziente
e intramontabile


di Inos Biffi

L'Eucaristia è il sacramento del sacrificio di Gesù Cristo. Per comprenderla occorre richiamare insieme l'Ultima Cena e l'immolazione della croce con la sua dimensione di gloria. Nell'Ultima Cena Gesù porta a compimento l'antica Pasqua ebraica e la converte nella Pasqua cristiana, dove alla consumazione dell'antico agnello subentra quella del suo "Corpo dato", e il calice del vino è sostituito dal calice del suo "Sangue versato", suggello della nuova alleanza (Luca, 22, 19-20).

Nasce, così, il sacramento della "cena del Signore" (I Corinzi, 12, 20), che i discepoli consumeranno in memoria di lui e secondo il suo mandato:  "Fate questo in memoria di me" (Luca, 22, 19).

Ma, se nell'Ultima Cena il pane spezzato e offerto da Gesù è il suo "Corpo dato", e il calice da lui fatto passare è il calice del "sangue versato" vuol dire che gli apostoli prendono già parte al suo sacrificio, oggettivamente presente in forma "profetica". Storicamente esso non era ancora avvenuto:  quella era la "notte in cui veniva tradito" (1 Corinzi, 11, 23); l'immolazione di Gesù sarebbe venuta successivamente sul Calvario.

Ed è puntualmente questa immolazione in croce che si deve considerare per comprendere sia la "realtà" del rito eucaristico istituito nella cena pasquale ardentemente desiderata (Luca, 22, 14), sia la ragione della sua ripresentazione sacramentale.

Per questo è guida ispirata particolarmente la splendida e acuta Lettera agli Ebrei, con la sua dottrina sulla "perfezione" del sacrificio di Cristo:  una dottrina che la teologia forse non ha sufficientemente e coerentemente illustrato.

L'immolazione della croce scioglie e consuma il valore transitorio di tutti i sacrifici levitici, per imporsi e risaltare come il sacrificio perfetto e intramontabile. I primi erano precari e destinati a ripetersi:  I sacerdoti che li compivano erano, infatti, segnati dalla mortalità (per cui dovevano essere sostituiti) e insieme dalla debolezza (per cui quei sacrifici si esaurivano e dovevano essere ripetuti). Erano sacrifici imperfetti, privi di valore permanente:  incapaci di operare una purificazione definitiva, si stemperavano nel tempo.

Al contrario, il sacerdote della nuova alleanza, Gesù Cristo, non è attraversato dalla mortalità, non è affetto da debolezza, non è compromesso con il peccato, che, per il suo ripetersi, richiede il rinnovarsi del sacrificio di purificazione.
 
Gesù è un sacerdote - si legge nella Lettera agli Ebrei - "santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso" (Ebrei, 7, 26-27). Nella nuova alleanza il primo sacrificio è abolito e ne è stabilito uno "nuovo" (10, 9), e sia il sacerdote sia il sacrificio risultano perfetti e non passano.

Immolando se stesso, Gesù, Sommo Sacerdote, Figlio di Dio, conferisce alla sua offerta, che non è più carnale ma "spirituale", un valore che non si consuma. Essa non è composta di puri elementi storici per loro natura destinati a passare, ma è in grado di oltrepassare la momentaneità:  "Noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre" (Ebrei, 10, 10).
Questa offerta è dunque inestinguibile, non "catturata" e non prigioniera di un momento del tempo, bensì comprensiva e aperta su tutti i tempi e su tutti i luoghi. Noi diremmo:  sempre "attraente" e "trascendente" in quanto procurata da Cristo con "il proprio sangue".

Rileggendo e trasformando la liturgia del giorno dell'espiazione, l'autore della Lettera agli Ebrei afferma:  "Cristo, venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna" (9, 11-12).

"Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui" (Ebrei, 9, 24-25); egli "una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso" (v. 26).

Quello di Cristo appare, così, un sacrificio "celeste", ossia un sacrificio perennemente presente dinanzi a Dio, un'offerta permanente, che i sacrifici terrestri solo raffiguravano (Ebrei, 9, 23). Commenta un esegeta:  "Alla presenza della scekina egli non offre sacrificio nuovo alcuno. Quella donazione, una e unica, continua" (Cesare Marcheselli-Casale).

Importa sottolinearlo:  l'unico sacrificio di Cristo è quello della croce - "punto d'arrivo di tutto un decorso di esistenza in se stessa già redentiva" - ma esso "già allora portava in sé tutto il potenziale del sacrificio celeste".

A essere radicalmente "celeste" è lo stesso sacrificio della croce. "La morte sacrificale di Cristo - osserva un altro esegeta - non è un atto distinto dalla sua comparsa al cospetto di Dio" (Harold Attridge); propriamente Gesù "non celebra ininterrottamente una liturgia celeste poiché il suo sacrificio fu un evento unico. La liturgia "celeste" è in fondo l'unica dimensione interiore e spirituale del suo sacrifico che è del tutto fisico".
Non esistono due sacrifici:  quello storico e quello glorioso in cielo, ma l'unico sacrificio, quello del Calvario, che è intimamente glorioso, e quindi celeste ed eterno. Se gli mancasse la prerogativa di essere "celeste", il sacrificio della croce svanirebbe. È una fantasia immaginare Gesù risorto da un lato e il suo sacrificio storico, presente nell'Eucaristia, dall'altro; o il Gesù crocifisso, presente nel sacramento, separato e distinto dall'unico Gesù reale vivente, che è il Gesù celeste e glorioso.
 
Il sacrificio della croce è la persona di Gesù nel suo donarsi. La perennità del sacrificio della croce è la perennità della persona di Gesù in questo amore oblativo. E l'Eucaristia è il sacramento dell'amore paziente e glorioso di Cristo consumato sulla croce e in certo modo confermato con la risurrezione.

La risurrezione o la glorificazione di Gesù, infatti, non fanno che rivelare questo valore celeste e glorioso, e per ciò intramontabile, del sacrificio della croce.

Il sacrificio della croce è duraturo a motivo della gloria, inclusa nella sua storia. Senza questa dimensione di gloria, non ci sarebbe possibilità di sacramento. Di più:  senza questa gloria apparsa con la risurrezione, non ci sarebbe stato neppure il sacrificio della croce, o questo sarebbe stato a sua volta un sacrificio passeggero, irrecuperabile nel sacramento.

In altre parole:  l'immolazione di Gesù sulla croce è stata senz'altro un sacrificio storico, segnato dal tempo, come professiamo nel credo:  "Patì sotto Ponzio Pilato", e collocato in un luogo preciso:  il Calvario. Ma, se esso fosse stato esclusivamente storico, avrebbe subìto la sorte di tutti gli eventi che sorgono e avvengono nella storia:  sarebbe stato destinato a passare, logorato dal corso temporale, e a vivere solo in un ricordo attenuato.

Ciò che rende, invece, singolare e incomparabile il sacrificio della croce è la dimensione assolutamente nuova che il suo avvenimento storico racchiude. Esattamente grazie a essa è possibile la sua memoria "reale". L'immolazione del Calvario è ripresentabile nel convito eucaristico, per il fatto di essere un sacrificio celeste, perfetto, spirituale, secondo le connotazioni che la lettera agli Ebrei riconosce al sacrificio di Cristo.

Ne consegue che "quanto continua ad avvenire in terra, sacrifici quotidiani da parte di sacerdoti della nuova alleanza, è solo attualizzazione di quel suo unico sacrificio sacerdotale e redentivo" (Harold Attridge).

Senza dubbio, l'aver compreso la messa come "sacramento" del sacrificio della croce, ossia come il sacrificio stesso della croce in una modalità nuova, quella del segno efficace - per il quale essa è ritrovata dentro un nuovo tempo e un nuovo spazio - è stato un traguardo teologico decisivo.

In tal modo si sono abbandonate definitivamente tanto le teorie che ricercavano nella messa, a livelli vari e diverse forme, degli elementi sacrificali, quanto le teorie in cui col carattere oblativo non risaltava anche il carattere sacrificale, e per questo la definizione della messa appunto come "sacramento del sacrificio" appare felice.
Ma bisogna procedere ulteriormente e dire che il sacrificio della croce è ripresentabile nel sacramento, perché è un sacrificio dove la storia è ricolma di gloria e quindi è un sacrificio celeste, nel senso della Lettera agli Ebrei. Il sacrificio storico della croce è ripresentabile perché glorioso.

Ma deve anche apparire chiaro che è, originariamente, Gesù risorto e Signore e non la celebrazione come tale, a rendere presente nell'Eucaristia il sacrificio della croce.
Cristo, in virtù della sua signoria e con l'istituzione nell'Ultima Cena, ha legato il suo sacrificio temporale capace di "redenzione eterna" (Ebrei, 9, 11) al nostro spazio e alla nostra storia, perché fosse fruibile mediante i segni da lui istituiti.

Il sacramento eucaristico non ripete l'immolazione:  questa si ritrova ed è raggiunta nel "sacro convito" a motivo della condiscendenza del Signore, il quale, potendo disporre del sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, incessantemente lo ridona a noi.
Questo vale per l'Eucaristia e vale per tutti i sacramenti, i quali, prima che gesti della Chiesa, sono gesti del Signore, vivente in continua e gloriosa intercessione per noi alla destra del Padre. La Chiesa e i suoi ministri non agiscono in nome proprio, ma in nome e per la potestà di Cristo - in persona Christi - in atto in cielo e sulla terra.

Ogni volta è dal Crocifisso risuscitato che noi riceviamo il "Corpo dato" e il "Sangue sparso". Per ciò dove c'è l'Eucaristia, là c'è tutto il Paradiso.


(©L'Osservatore Romano - 14 giugno 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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14/06/2009 10:42
 
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                                        Eucarestia



Elevazione davanti al SS. Sacramento di S. Ecc. Rev.ma Mons. Mauro Piacenza
Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali


Davanti a Colui che è il nostro Tutto e nel Quale troviamo il nostro Tutto, davanti al nostro Unico necessario, ci salutiamo nel Signore, rafforzando i legami ecclesiali. Noi sappiamo che guardando l'Ostia Santa adoriamo e incontriamo il Paradiso intero, incontriamo la Santissima Trinità; ci incontriamo con la beatissima Vergine Maria, con gli Angeli e i Santi, eternamente e beatamente adoranti. Quindi ci sentiamo cittadini del cielo, cittadini della Gerusalemme celeste; incontriamo le anime che stanno purificandosi nella valle dell'amore ed esse guardano al sacrificio della Croce, guardano all'Eucaristia come al loro vertice più grande.

Guardando, pertanto, Gesù nell'Ostia Santa noi incontriamo anche i loro sguardi che anelano a Lui.

Pensando al Pane di Vita che ci alimenta e ci dà forza nel pellegrinaggio, ci sentiamo cristianamente solidali con tutti i fratelli e le sorelle chiamati ad amare e servire Cristo, ad estendere il regno suo anche in terra, raggiungendo quanti sono destinati a conoscere Cristo.

In questa comunione ecclesiale, così forte, così reale, così vera, così penetrante, vogliamo in Gesù fare gli auguri al Santo Padre Benedetto XVI: che sia da Cristo veramente benedetto anche attraverso il sostegno della nostra preghiera, della nostra obbedienza, affetto e cordialità. In lui sappiamo di avere una guida sicura!

Ringraziamo la Provvidenza di Dio che ce lo ha donato e vogliamo ringraziare soprattutto il Signore Gesù nel suo Vicario, proponendoci appunto di aiutarlo con la nostra preghiera, col nostro sacrificio, con la nostra collaborazione, vivendo fino in fondo, con la grazia di Dio, le nostre specifiche vocazioni, con coerenza e con amore.

Tutto affidiamo nelle mani di Colei che ci ha donato il Signore Gesù, Lei che è la Madre del Signore e madre nostra, che ha generato Gesù nel tempo a Betlemme, casa del pane. La relazione tra Maria e l'Eucaristia è strettissima: come ha generato Cristo con l'assenso della sua fede, così ci ha generato ai piedi della Croce quando Gesù ce l'ha consegnata come Madre.

Noi, dunque, la vogliamo prendere nella nostra casa, vogliamo prenderla con noi come atto di fedeltà più grande alla volontà del Signore Gesù, espressa nell'atto supremo della sua donazione e che ad ogni Santa Messa, viene rinnovata.

Pertanto sentiamoci uniti ecclesialmente! Vi ringrazio di questa presenza e sentiamo che il nostro migliore abbraccio è fatto in Gesù: guardare a Lui e aiutarci guardando quello sguardo che si posa ogni giorno su di noi con immensa pietà e misericordia.

Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e divinissimo Sacramento.




Fraternamente CaterinaLD

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18/06/2009 17:25
 
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Da un Bloggista di Messainlatino riporto:


Che bello abitare ad Imperia. Dove ogni parrocchia ha la sua cattolica processione del Corpus Domini.
Dove la Basilica Concattedrale esce in processione ed il Santissimo, nell'ultimo tratto, passa su un tappeto di fiori meraviglioso.

Le 4 confraternite con abiti e croci, le sacramentine in nero col velo, il ternario bianco/oro della beatificazione di San Leonardo (tra piviale e velo omerale un bel peso, lo assicuro), l'ostensorio in argento massiccio che pesa 4 kg, il clero in talare cotta e stola, le autorità civiche tutte al seguito...

Che bello, che fortuna ho avuto!!

Guardate un paio di foto dell'infiorata...

http://www.visitrivieradeifiori.it/Default.aspx?tabid=1572



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VIDEO DI ADORAZIONE EUCARISTICA DURANTE LA FESTA DEL CORPUS DOMINI
PER LE STRADE DEL PAESE






[SM=g1740733]




[Modificato da Caterina63 16/09/2009 16:24]
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[SM=g1740734] [SM=g1740717] [SM=g1740720]





Ti seguirò nella via dell'amore [SM=g1740717] [SM=g1740720] , nella via del dolore e nella via della gioia. Stupenda elaborazione di Mons. Marco Frisina. Fonte: www.viedellospirito.it




[SM=g1740734] [SM=g1740734] [SM=g1740734] [SM=g1740734] [SM=g1740734] [SM=g1740734]



[SM=g1740738]




Con il Papa adoriamo il Divino Sacramento....

T'ADORIAM, OSTIA DIVINA


T'adoriam, Ostia divina,
t'adoriam, Ostia d'amor:
tu dell'angelo il sospiro,
tu dell'uomo sei l'onor:

T'adoriam, Ostia divina,
t'adoriam Ostia d'amor.

Tu dei forti la dolcezza,
tu dei deboli il vigor,
tu salute dei viventi,
tu speranza di chi muor.

Ti conosca il mondo e t'ami,
tu la gioia d'ogni cuor;
ave, o Dio nascosto e grande,
tu dei secoli il Signor.


[SM=g1740717] a seguire INNI E CANTI SCIOGLIAMO FEDELI DAVANTI AL DIVINO EUCARISTICO RE....





[SM=g1740733]


[SM=g1740717] Lasciamoci guidare da san Tommaso d'Aquino per trovare le parole più adatte per contemplare il Mistero dei Misteri....
Buona meditazione a tutti!

it.gloria.tv/?media=140870

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org

I due Inni Eucaristici:
Tu sole Vivo per me e t'Adoriam Ostia Divina, sono
del Coro di Don Bellani
cliccare qui per saperne di più:
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...




[SM=g1740738]


[SM=g1740757]



[Modificato da Caterina63 30/03/2011 16:36]
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03/06/2010 17:01
 
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Gesù, gli uomini e l'Eucaristia

Un destino preparato
dall'eternità


di mons.Inos Biffi


Nell'imminenza della sua morte Gesù rende i suoi apostoli partecipi del suo corpo dato e del suo sangue sparso. Così, mangiando il pane da lui spezzato e bevendo al calice da lui benedetto, entrano già in comunione con il suo sacrificio. Ma quel gesto di Cristo dovrà essere rinnovato come suo memoriale:  la cena del Signore (1 Corinzi, 12, 20) è destinata ad accompagnare la vita dei discepoli. Gesù la annette alla Chiesa, designata così a condividere il suo destino consumato sulla croce, e a interiorizzare, e quasi a inghiottire, la sua immolazione.

Leggiamo Paolo:  "Il Signore Gesù, nella notte in cui era consegnato, prese del pane e, reso grazie, lo spezzò e disse:  "Questo è il mio corpo, quello per voi. Fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, prese anche il calice, dopo aver cenato, dicendo:  "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me"" (1 Corinzi, 11, 23-25). E, infatti, da subito i cristiani celebrarono quella cena, nella consapevolezza che essa era per loro irrinunciabile.

Ma qual è la ragione di questa annessione dell'Eucaristia alla Chiesa? Tale ragione appare pienamente alla luce del disegno divino, che include l'eterna predestinazione del Figlio di Dio crocifisso e glorificato. Il sacrificio di Cristo non è un episodio fortuito e inatteso, o ultimamente derivante dalla volontà dell'uomo.

A rimproverare la stoltezza dei discepoli di Emmaus e la lentezza del loro cuore a credere alle profezie è lo stesso Gesù:  "Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" (Luca, 24, 26-27). Quanto a Pietro, negli Atti degli Apostoli afferma che Gesù di Nazaret è stato consegnato agli uomini d'Israele "secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio", che "lo ha risuscitato" (cfr. 2, 23-24). Nell'eterno piano divino è, dunque, contenuto il Figlio di Dio predestinato redentore.

In verità, noi non sappiamo la ragione di questo progetto che comporta l'umanità crocifissa e gloriosa di Gesù:  essa appartiene all'insondabile mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Si dirà che la scelta divina deriva dal peccato dell'uomo e si sa che i teologi si sono chiesti che cosa avrebbe fatto Dio se l'uomo non avesse peccato. Senonché, la domanda è semplicemente improponibile, poiché l'agire di Dio non può in alcun modo dipendere dalla determinazione di una sua creatura.

Possiamo invece riconoscere - evitando di addentrarci nelle sterili vie delle ipotesi - tre cose. La prima:  che l'attuale ordine voluto da Dio contiene certamente la dimensione del peccato proveniente dalla libertà dell'uomo (e dell'angelo). La seconda:  che questo peccato non solo non fu capace di far fallire il piano divino, ma era, in ogni caso, "preceduto" dall'amore misericordioso. E la terza cosa:  che quell'amore si è sommamente manifestato nel sacrificio di Gesù. Secondo la prima lettera di Pietro noi siamo stati liberati dal "sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia", che "fu predestinato già prima della creazione del mondo" (1 Pietro, 1, 19-20).

Questo amore misericordioso è la ragione assoluta e il "principio" del disegno creativo:  Dio crea per rivelarsi come grazia. E la "grazia" originaria è l'umanità risorta e glorificata del Figlio. Detto in altre parole:  il motivo della creazione è il Redentore, o il Crocifisso risorto. Non è, allora, a partire dal peccato che si capisce la redenzione; al contrario, è a partire dalla redenzione che si può "comprendere" il peccato, che trova in lui, "preventivamente", la sovrabbondanza del perdono.

Ecco perché Gesù appare segnato dalla predestinazione alla passione. Egli viene tra noi per essere "vittima di espiazione per i nostri peccati" (1 Giovanni, 2, 2). La sua umanità porta iscritta la morte redentiva quale condizione ed espressione della sua riuscita. Questa morte non equivale alla sua disfatta né suggella il fallimento del piano di Dio, ma, paradossalmente, ne costituisce e ne proclama il successo e l'esaltazione. L'"innalzamento" di Gesù avvera la sua gloria e lo pone nel cuore dell'umanità e di tutto l'universo (cfr. Giovanni, 12, 32).

Scrive san Tommaso:  "Dio ama Cristo non solo più di tutto il genere umano, ma anche più di tutte le creature dell'universo. Né l'eccellenza di Cristo venne meno per il fatto che lo abbia destinato alla morte per la salvezza del genere umano. Che anzi, per questo egli è diventato un vincitore glorioso" (Summa Theologiae, i, 20, 4, 1m).

Ora, nel cenacolo Gesù istituisce l'Eucaristia perché in essa incessantemente possiamo ritrovare l'umanità crocifissa e gloriosa del Signore. Essa è, così, il sacramento del destino del Figlio di Dio, o la presenza reale dell'iniziale disegno di Dio, avveratosi sulla croce e nella risurrezione, e incessantemente professato e donato alla memoria e all'accoglienza della Chiesa, "finché egli venga" (1 Corinzi, 11, 26).

Ma l'Eucaristia, proponendo la morte e la risurrezione di Gesù, per ciò stesso disvela il destino di morte e di risurrezione che è incluso in ogni uomo.

L'umanità crocifissa e gloriosa di Gesù è l'archetipo esclusivo e imprescindibile di qualsiasi umanità. Tutto è stato creato "per mezzo" del Risorto da morte, "in lui" e "in vista di lui" (cfr. Colossesi, 1, 16). Da qui l'impronta del Crocifisso glorificato particolarmente nell'uomo.

Il Risorto da morte è stato scelto, "prima della creazione del mondo" (Efesini, 1, 4), quale "Primogenito tra molti fratelli" (Romani, 8, 29). Gli uomini - secondo un'espressione particolarmente felice - sono stati "compredestinati" o "impredestinati" in lui, e perciò con la vocazione a rinnovare in se stessi le vicissitudini del Crocifisso o a portare nella propria esistenza la sua immagine.

A partire dal Signore paziente trova inizio e significato la passione di ogni uomo, come comunione alla sua croce. A partire da lui risorto traspare l'esito e il traguardo di ogni morte. Nessun uomo è ideato da Dio ed è chiamato a vivere, se non perché, bevendo al calice del Figlio, rifulga eternamente di uno splendore simile al suo.

Paolo interpreta il battesimo come un essere "intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte", in vista della "somiglianza della sua risurrezione" (cfr. Romani, 6, 1-11). Il cristiano, in solidarietà con Cristo, è ordinato a condurre un genere di vita che è di con-morte e di con-risurrezione con lui, in cui si rifletta la stessa sorte del Signore, col quale "ci ha risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli" (Efesini, 2, 6). In ogni sofferenza, anche di là dalla coscienza che se ne possa avere, si rinnova e si riproduce oggettivamente il Calvario di Gesù, proteso verso il compimento pasquale:  in ogni dolore e morte umana è seminato il germe della gloria del Signore.

In altre parole:  l'uomo viene alla luce "nativamente" designato a replicare la condizione di Cristo, e quindi a mettersi assolutamente nelle mani al Padre, come lui, quando, nell'estremo della desolazione, gli "offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime" (Ebrei, 5, 7), puramente e totalmente sostenuto dalla indubitabile speranza che, lo avrebbe esaudito, come avvenne nella risurrezione.

D'altronde, non può sorprendere che questo destino sia ìnsito in ogni uomo, se, come abbiamo visto, l'umanità incondizionatamente eletta da Dio fin dall'eternità è l'umanità del Figlio risorto, la sola riconosciuta e la sola oggetto della sua piena compiacenza.

E ora siamo in grado di comprendere in pienezza la ragione dell'Eucaristia. Essa appare istituita e trasmessa alla Chiesa non soltanto come immagine sacramentale e presenza reale della passione e della morte, cioè della "sorte", di Gesù, ma anche come l'icona della sorte di tutti gli uomini concepiti a similitudine di lui, che estende a essi la sua predestinazione.

Come nell'Eucaristia leggiamo la sorte del Figlio di Dio, così vi decifriamo la nostra vocazione a prender parte alla donazione del corpo e all'effusione del sangue, per diventare "consorti" del Signore.

La Chiesa celebra la Cena del Signore non solo per tenere "fisso lo sguardo su Gesù, che si sottopose alla croce e siede alla destra del trono di Dio" (cfr. Ebrei, 12, 2), ma per percorrere il suo cammino, trasformando la contemplazione in imitazione.

Quello, però, che abbiamo detto sul disegno di Dio, sulla scelta eterna del Redentore, sull'umanità voluta a lui conforme, e sull'Eucaristia sacramento del destino di Cristo e dell'uomo, può essere conosciuto solo alla luce della Rivelazione e quindi unicamente per fede.

La ragione è all'oscuro di tutto questo e infatti rimane allibita e sconcertata di fronte alla passione che segna fatalmente la vita dell'uomo:  resta senza parole specialmente di fronte all'interrogativo sulla sorte finale dell'uomo.

Ne consegue l'urgenza per la Chiesa di predicare il "vangelo" o la "buona novella", però osservando che Dio in ogni modo e da sempre si prende cura di ogni uomo, e che nessuno mai fu lasciato in stato di abbandono, privo dall'amore del Padre e sprovveduto della grazia di Cristo. Tutti gli uomini, fin dall'eternità, sono stati voluti in questa grazia e nessuno è mai caduto dalla "memoria" di Dio, che è Gesù Cristo. Certo, lui solo conosce per quali vie ogni uomo incontri il Figlio redentore.


(©L'Osservatore Romano - 3 giugno 2010)



ulteriori collegamenti utili:

Spirito Santo, Terza Persona della SS.ma Trinità (Novena e Preghiere)

Novena (e Tridui) a san Domenico e ad altri Santi

L'Ave Maria e la Preghiera del Cuore

SACRO CUORE DI GESU' (Preghiere, Meditazioni, Riflessioni)

Con Gesù davanti all'Eucarestia

Litanie Domenicane, Lauretane, al Cuore di Gesù, ecc...


I NOVE MODI di Pregare di san Domenico


Norme sempre valide per vivere con profitto la Santa Messa e la visita in Chiesa

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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO, 03.06.2010

(Processione annullata, ma non la Benedizione Eucaristica al termine della Messa, a causa del forte maltempo che ha imperversato su Roma, La Santa Messa e la Benedizione è stata celebrata all'interno della Basilica di san Giovanni in Laterano)


OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!

Il sacerdozio del Nuovo Testamento è strettamente legato all’Eucaristia.
Per questo oggi, nella
solennità del Corpus Domini e quasi al termine dell’Anno Sacerdotale, siamo invitati a meditare sul rapporto tra l’Eucaristia e il Sacerdozio di Cristo. In questa direzione ci orientano anche la prima lettura e il salmo responsoriale, che presentano la figura di Melchisedek. Il breve passo del Libro della Genesi (cfr 14,18-20) afferma che Melchisedek, re di Salem, era “sacerdote del Dio altissimo”, e per questo “offrì pane e vino” e “benedisse Abram”, reduce da una vittoria in battaglia; Abramo stesso diede a lui la decima di ogni cosa. Il salmo, a sua volta, contiene nell’ultima strofa un’espressione solenne, un giuramento di Dio stesso, che dichiara al Re Messia: “Tu sei sacerdote per sempre / al modo di Melchisedek” (Sal 110,4); così il Messia viene proclamato non solo Re, ma anche Sacerdote. Da questo passo prende spunto l’autore della Lettera agli Ebrei per la sua ampia e articolata esposizione. E noi lo abbiamo riecheggiato nel ritornello: “Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore”: quasi una professione di fede, che acquista un particolare significato nella festa odierna. E’ la gioia della comunità, la gioia della Chiesa intera, che, contemplando e adorando il Santissimo Sacramento, riconosce in esso la presenza reale e permanente di Gesù sommo ed eterno Sacerdote.

La seconda lettura e il Vangelo portano invece l’attenzione sul mistero eucaristico. Dalla Prima Lettera ai Corinzi (cfr 11,23-26) è tratto il brano fondamentale in cui san Paolo richiama a quella comunità il significato e il valore della “Cena del Signore”, che l’Apostolo aveva trasmesso e insegnato, ma che rischiavano di perdersi. Il Vangelo invece è il racconto del miracolo dei pani e dei pesci, nella redazione di san Luca: un segno attestato da tutti gli Evangelisti e che preannuncia il dono che Cristo farà di se stesso, per donare all’umanità la vita eterna. Entrambi questi testi mettono in risalto la preghiera di Cristo, nell’atto dello spezzare il pane. Naturalmente c’è una netta differenza tra i due momenti: quando divide i pani e i pesci per le folle, Gesù ringrazia il Padre celeste per la sua provvidenza, confidando che Egli non farà mancare il cibo per tutta quella gente. Nell’Ultima Cena, invece, Gesù trasforma il pane e il vino nel proprio Corpo e Sangue, affinché i discepoli possano nutrirsi di Lui e vivere in comunione intima e reale con Lui.

La prima cosa che occorre sempre ricordare è che Gesù non era un sacerdote secondo la tradizione giudaica. La sua non era una famiglia sacerdotale. Non apparteneva alla discendenza di Aronne, bensì a quella di Giuda, e quindi legalmente gli era preclusa la via del sacerdozio. La persona e l’attività di Gesù di Nazaret non si collocano nella scia dei sacerdoti antichi, ma piuttosto in quella dei profeti.

E in questa linea, Gesù prese le distanze da una concezione rituale della religione, criticando l’impostazione che dava valore ai precetti umani legati alla purità rituale piuttosto che all’osservanza dei comandamenti di Dio, cioè all’amore per Dio e per il prossimo, che come dice Gesù “vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici” (Mc 12,33).

Persino all’interno del Tempio di Gerusalemme, luogo sacro per eccellenza, Gesù compie un gesto squisitamente profetico, quando scaccia i cambiavalute e i venditori di animali, tutte cose che servivano per l’offerta dei sacrifici tradizionali. Dunque, Gesù non viene riconosciuto come un Messia sacerdotale, ma profetico e regale. Anche la sua morte, che noi cristiani giustamente chiamiamo “sacrificio”, non aveva nulla dei sacrifici antichi, anzi, era tutto l’opposto: l’esecuzione di una condanna a morte, per crocifissione, la più infamante, avvenuta fuori dalle mura di Gerusalemme.

Allora, in che senso Gesù è sacerdote? Ce lo dice proprio l’Eucaristia.
Possiamo ripartire da quelle semplici parole che descrivono Melchisedek: “offrì pane e vino” (Gen 14,18). E’ciò che ha fatto Gesù nell’ultima Cena: ha offerto pane e vino, e in quel gesto ha riassunto tutto se stesso e tutta la propria missione. In quell’atto, nella preghiera che lo precede e nelle parole che l’accompagnano c’è tutto il senso del mistero di Cristo, così come lo esprime la Lettera agli Ebrei in un passo decisivo, che è necessario riportare: “Nei giorni della sua vita terrena – scrive l’autore riferendosi a Gesù – egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo dalla morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek” (5,8-10).
In questo testo, che chiaramente allude all’agonia spirituale del Getsemani, la passione di Cristo è presentata come una preghiera e come un’offerta. Gesù affronta la sua “ora”, che lo conduce alla morte di croce, immerso in una profonda preghiera, che consiste nell’unione della sua propria volontà con quella del Padre. Questa duplice ed unica volontà è una volontà d’amore. Vissuta in questa preghiera, la tragica prova che Gesù affronta viene trasformata in offerta, in sacrificio vivente.

Dice la Lettera agli Ebrei che Gesù “venne esaudito”. In che senso?
Nel senso che Dio Padre lo ha liberato dalla morte e lo ha risuscitato. E’ stato esaudito proprio per il suo pieno abbandono alla volontà del Padre: il disegno d’amore di Dio ha potuto compiersi perfettamente in Gesù, che, avendo obbedito fino all’estremo della morte in croce, è diventato “causa di salvezza” per tutti coloro che obbediscono a Lui. E’ diventato cioè sommo Sacerdote per avere Egli stesso preso su di sé tutto il peccato del mondo, come “Agnello di Dio”. E’ il Padre che gli conferisce questo sacerdozio nel momento stesso in cui Gesù attraversa il passaggio della sua morte e risurrezione. Non è un sacerdozio secondo l’ordinamento della legge mosaica (cfr Lv 8-9), ma “secondo l’ordine di Melchisedek”, secondo un ordine profetico, dipendente soltanto dalla sua singolare relazione con Dio.

Ritorniamo all’espressione della Lettera agli Ebrei che dice: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì”.

Il sacerdozio di Cristo comporta la sofferenza. Gesù ha veramente sofferto, e lo ha fatto per noi. Egli era il Figlio e non aveva bisogno di imparare l’obbedienza, ma noi sì, ne avevamo e ne abbiamo sempre bisogno. Perciò il Figlio ha assunto la nostra umanità e per noi si è lasciato “educare” nel crogiuolo della sofferenza, si è lasciato trasformare da essa, come il chicco di grano che per portare frutto deve morire nella terra.

Attraverso questo processo Gesù è stato “reso perfetto”, in greco teleiotheis. Dobbiamo fermarci su questo termine, perché è molto significativo.
 Esso indica il compimento di un cammino, cioè proprio il cammino di educazione e trasformazione del Figlio di Dio mediante la sofferenza, mediante la passione dolorosa. E’ grazie a questa trasformazione che Gesù Cristo è diventato “sommo sacerdote” e può salvare tutti coloro che si affidano a Lui. Il termine teleiotheis, tradotto giustamente con “reso perfetto”, appartiene ad una radice verbale che, nella versione greca del Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia, viene sempre usata per indicare la consacrazione degli antichi sacerdoti.

Questa scoperta è assai preziosa, perché ci dice che la passione è stata per Gesù come una consacrazione sacerdotale. Egli non era sacerdote secondo la Legge, ma lo è diventato in maniera esistenziale nella sua Pasqua di passione, morte e risurrezione: ha offerto se stesso in espiazione e il Padre, esaltandolo al di sopra di ogni creatura, lo ha costituito Mediatore universale di salvezza.

Ritorniamo, nella nostra meditazione, all’Eucaristia, che tra poco sarà al centro della nostra assemblea liturgica. In essa Gesù ha anticipato il suo Sacrificio, un Sacrificio non rituale, ma personale. Nell’Ultima Cena Egli agisce mosso da quello “spirito eterno” con il quale si offrirà poi sulla Croce (cfr Eb 9,14). Ringraziando e benedicendo, Gesù trasforma il pane e il vino.

E’ l’amore divino che trasforma: l’amore con cui Gesù accetta in anticipo di dare tutto se stesso per noi. Questo amore non è altro che lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre e del Figlio, che consacra il pane e il vino e muta la loro sostanza nel Corpo e nel Sangue del Signore, rendendo presente nel Sacramento lo stesso Sacrificio che si compie poi in modo cruento sulla Croce.

Possiamo dunque concludere che Cristo è sacerdote vero ed efficace perché era pieno della forza dello Spirito Santo, era colmo di tutta la pienezza dell’amore di Dio, e questo proprio “nella notte in cui fu tradito”, proprio nell’“ora delle tenebre” (cfr Lc 22,53). E’ questa forza divina, la stessa che realizzò l’Incarnazione del Verbo, a trasformare l’estrema violenza e l’estrema ingiustizia in atto supremo d’amore e di giustizia. Questa è l’opera del sacerdozio di Cristo, che la Chiesa ha ereditato e prolunga nella storia, nella duplice forma del sacerdozio comune dei battezzati e di quello ordinato dei ministri, per trasformare il mondo con l’amore di Dio. Tutti, sacerdoti e fedeli, ci nutriamo della stessa Eucaristia, tutti ci prostriamo ad adorarLa, perché in essa è presente il nostro Maestro e Signore, è presente il vero Corpo di Gesù, Vittima e Sacerdote, salvezza del mondo. Venite, esultiamo con canti di gioia! Venite, adoriamo!
Amen.

Pope Benedict XVI  leads the Corpus Domini mass in Rome's Basilica of St. John's in Lateran  on June 3, 2010  / Filippo MONTEFORTE.

Pope Benedict XVI walks past a group of priests  as he leads the Corpus Domini mass   in Rome's Basilica of St. John's in Lateran  on June 3, 2010  / Filippo MONTEFORTE.

Pope Benedict XVI asperges incense as he celebrates a Corpus Domini mass in St. John in Lateran Basilica in Rome, Thursday, June 3, 2010.

Pope Benedict XVI elevates the hostensory as he lead the Corpus Domini mass   in Rome's Basilica of St. John's in Lateran  on June 3, 2010  / Filippo MONTEFORTE.Pope Benedict XVI spreads incense as he leads the Corpus Domini mass on June 3, 2010 in Rome's Basilica of St. John Lateran.

Pope Benedict XVI elevates the host as he leads the Corpus Domini mass in Rome's Basilica of Saint John's in Lateran  June 3, 2010.Pope Benedict XVI holds the ostensory as he celebrates a Corpus Domini mass in St. John in Lateran Basilica in Rome, Thursday, June 3, 2010.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/06/2010 21:18
 
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Una meditazione pittorica sul Corpus Domini

Quel rifiuto amorevole del Padre


di Timothy Verdon
 

Una straordinaria immagine seicentesca invita a meditare il mistero, al contempo sacramentale ed ecclesiale, del "Corpo di Cristo", nonché la collocazione liturgica della solennità del Corpus Domini dopo la domenica della Santissima Trinità:  la pala della Trinità di Gasparo Narvesa, eseguita come pala d'altare per l'omonima chiesa della città natale dell'artista, Pordenone, su commissione di una confraternita pure essa dedicata al Dio uno e trino.

Ideata per un altare, la pala fa vedere - subito sopra il livello della mensa su cui il dipinto doveva poggiare - un sacerdote in ginocchio che indossa i paramenti liturgici e tiene in mano l'ostia consacrata; intorno a lui, similmente inginocchiati, sono i membri della confraternita nel loro saio rosso, con lo stendardo e i ceroferari professionali. Quando si celebrava la messa, all'elevazione dell'ostia si veniva così a creare una doppia immagine:  il celebrante vero all'altare vero e i confratelli nella chiesa vera, e poi gli stessi raffigurati in preghiera intorno al sacerdote in adorazione del Corpus Domini sacramentale.

L'intera parte inferiore della pala "fotografava" cioè l'orante raccoglimento dei confratelli e del sacerdote davanti al Cristo eucaristico, rendendo manifesta la loro fede cattolica nella sua reale presenza. Del resto l'opera fu eseguita appena cinquant'anni dopo il concilio di Trento, nel 1611, e a Pordenone, cioè in un Veneto allora preoccupato di contrastare l'avanzata del protestantesimo.
Nonostante il loro atteggiamento adorante, però, il sacerdote e diversi dei confratelli non guardano l'ostia; alzano piuttosto gli occhi al cielo dove contemplano Cristo inchiodato a una croce presentata al Padre da angeli. Il volto sofferente del Figlio è girato verso quello compassionevole del Padre e i loro sguardi s'incrociano, mentre appena sopra le due teste aleggia lo Spirito Santo in forma di colomba.

È a questo secondo livello della composizione, infatti, che il vero messaggio dell'immagine diventa chiaro:  non solo la fede eucaristica dei confratelli, ma la messa celebrata all'altare sottostante come espressione terrena di una liturgia celeste in cui il corpo crocifisso del Figlio è per l'eternità offerto al Padre in sacrificio gradito. Il carattere specificamente "sacrificale" dell'offerta di sé compiuta da Cristo - e quindi anche della messa che ne rende presente il contenuto nel pane e vino - viene sottolineato poi dal piviale sacerdotale indossato da Dio Padre.

L'evidente attualità di quest'enfatizzazione dottrinale - della presentazione dell'Eucaristia come "sacrificio" in un'epoca che vedeva contestata tale definizione in ambito protestante - non è però l'elemento nuovo della pala d'altare di Narvesa. Nuovo piuttosto è l'intenso rapporto interpersonale tra Figlio e Padre visibile sopra l'ostia in mano al sacerdote nel dipinto, e sopra l'ostia e il calice veri ogni volta che si diceva messa davanti all'immagine.

In un periodo in cui il protestantesimo tacciava la messa cattolica di spettacolarità, Gasparo Narvesa presenta l'ostia adorata dai confratelli come reale presenza dell'obbedienza del Figlio, che aveva pregato perché gli venisse tolto il calice della passione, accettando però la volontà del Padre (Luca, 22, 42); e dell'amore di Questi, che al suo Figlio rifiutò tale grazia. San Paolo spiegherà il rifiuto del Padre della preghiera di Gesù dicendo che lo stesso Dio che aveva risparmiato Isacco, figlio di Abramo, "non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi" (Romani, 8, 32), e il quarto Vangelo specificherà che "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna" (Giovanni, 3, 16).

Non a caso, nel dipinto di Narvesa Dio Padre tiene una grande sfera di cristallo davanti al Figlio come per dire a Lui:  "Ti chiedo di accettare la morte perché il mondo che ho creato possa vivere!".
Così l'Eucaristia, che è il soggetto palese della pala, è rivelata come luogo della preghiera non solo dei cristiani ma di Cristo stesso e perfino del Padre:  luogo di profonda e spesso sofferta comunione. Il sacerdote nella parte inferiore del dipinto, e quelli tra i confratelli che alzano gli occhi, capiscono che l'ostia eucaristica racchiude tutto il mistero di Dio:  del Padre che chiede la vita al Figlio; del Figlio che la dà; e dello Spirito che li unisce e che nel dipinto è la forma visibile della loro comunione.
Lo Spirito. Nella messa un tempo celebrata davanti al dipinto sembrava scendere sulle offerte - sul pane e sul vino - come anche sugli offerenti:  sul celebrante e sui confratelli cioè. Anche a questo si riferiscono gli sguardi innalzati e gli atteggiamenti di adorazione dei personaggi nella parte inferiore del dipinto alla loro attesa di ricevere lo Spirito Santo.

Ma ecco il senso pieno dell'immagine:  la messa è il luogo principe della preghiera cristiana perché nella messa scende lo Spirito, e - come afferma san Paolo - "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio" (Romani, 8, 26-27).

Nella messa lo spirito ci insegna ad avere in noi "gli stessi sentimenti di Cristo Gesù" (Filippesi, 2, 5), e, di fatto, scendendo nel pane e vino per farli diventare corpo e sangue di Cristo, scende in quanti mangiano e bevono di Cristo per farli diventare "come Cristo" e vivere così la stessa comunione con il Padre che Cristo vive, una comunione di preghiera in cui il Padre chiede certe cose a noi, e noi altre cose chiediamo a Lui, accettando tuttavia - come Cristo accettò - di fare non la nostra volontà ma quella di Dio.

Questa è preghiera vera e sicura, la preghiera di cui Gesù disse:  "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto" (Matteo, 7, 7-8). A chi chiede di diventare come Cristo, sarà data questa grazia; chi cerca Cristo lo trova; a chi bussa alla porta che Cristo è viene aperta la via verso il Padre.
 
Anche l'ultimo livello del dipinto di Gasparo Narvesa rientra in questa logica "orazionale". Rappresenta Maria, a sinistra, raccolta in preghiera davanti a una Trinità di figure larvate, mentre a destra l'arcangelo Michele scaccia a spada tratta i demoni dal cielo. La fonte sembra essere il capitolo dodici dell'Apocalisse, in cui l'autore, Giovanni, vede una donna incinta che grida per le doglie e un drago che minaccia di divorare il bambino appena l'avesse partorito. Ma il bambino, un figlio maschio, quando nacque "fu rapito verso Dio e verso il suo trono", mentre la donna fuggì nel deserto dove Dio le aveva preparato un rifugio. "Scoppiò quindi una guerra nel cielo:  Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva assieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo" (cfr. Apocalisse, 12, 1-8).

Nel dipinto vediamo la donna nel "rifugio" preparatole, adorante Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito. Vediamo la vittoria di Michele e i suoi angeli contro il "drago" con i suoi seguaci, tutti raffigurati come demoni alati. E vediamo il figlio della donna, Gesù Cristo, "rapito verso Dio e verso il suo trono" (faccia a faccia col Padre nell'obbedienza della croce), mentre sotto il corpo di Cristo crocifisso, intorno all'ostia che racchiude questo dramma cosmico, sono i partecipanti alla sua vittoria descritti nel prosieguo del testo apocalittico:  "Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio, e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto grazie al sangue dell'Agnello" (Apocalisse, 12, 11a).

I confratelli cioè, che nella messa condividono sia la lotta di Cristo che la sua vittoria, nel mistero della Communio sanctorum vengono associati anche al trionfo dei martiri; ricordiamo che l'altare, dove l'opera stava, doveva contenere reliquie di martiri dei primi secoli cristiani.


(©L'Osservatore Romano - 6 giugno 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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17/11/2010 19:46
 
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IL SACERDOTE NELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA DEL CORPUS DOMINI


La solennità del Corpo e del Sangue del Signore, nelle parole di Papa Benedetto XVI, giugno 2010, «ci invita a contemplare il sommo Mistero della nostra fede: la Santissima Eucaristia, reale presenza del Signore Gesù Cristo nel Sacramento dell’altare. Ogni volta che il sacerdote rinnova il Sacrificio eucaristico, nella preghiera di consacrazione ripete: “Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue”. Lo dice prestando la voce, le mani e il cuore a Cristo, che ha voluto restare con noi ed essere il cuore pulsante della Chiesa».

1. Le origini della festa del Corpus Domini

Le origini remote della festa del Corpus Domini si trovano nello sviluppo del culto dell’Eucaristia nel corso del Medioevo. Le dispute dottrinali fra Pascasio Radberto († 865) e Ratramno di Corbie († 868), e soprattutto fra Berengario di Tours († 1088) e Lanfranco di Pavia († 1089), portarono ad un chiarimento della dottrina sulla presenza reale di Cristo nel Sacramento e, di conseguenza, ad un più sentito e diffuso culto dell’Eucaristia.

Nel secolo XIII si manifesta un movimento più ampio di devozione eucaristica presso il popolo ed anche fra i teologi, con un forte contributo dato dal nuovo ordine francescano. Il Concilio Lateranense IV (1215), precisando la dottrina della Chiesa con la formula della transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, ha spinto ad un ulteriore sviluppo del culto eucaristico. Lo stesso Concilio prescrisse l’obbligo della comunione annuale a Pasqua e la custodia dell’Eucaristia in un luogo sicuro. Nella liturgia si diffuse la prassi di elevare l’ostia ed il calice durante la Messa per il desiderio dei fedeli di vedere e di adorare le specie consacrate.

La solenne celebrazione del Corpus Domini, come la conosciamo anche oggi, è dovuta all’ispirazione della religiosa fiamminga Santa Giuliana di Cornillon (1191-1258). La festa, istituita nella diocesi di Liegi, nell’attuale Belgio, nel 1246, si diffuse rapidamente, grazie anche all’impegno del fiammingo Giacomo Pantaleone di Troyes, in seguito eletto papa col nome di Urbano IV (1261-1264). Egli incluse la festa nel calendario liturgico generale con la Bolla Transiturus de hoc mundo, dell’11 agosto 1264. Tuttavia, a causa di diverse vicende, essa fu celebrata in tutta la Chiesa solo dopo il Concilio di Vienne (1311-1312).

Secondo la Vita di Santa Giuliana, Cristo stesso le disse il principale motivo per cui desiderava questa nuova festa, cioè per ricordare l’istituzione del Sacramento del suo Corpo e Sangue in maniera particolarmente solenne, il che non era possibile il Giovedì Santo, quando la liturgia è segnata dalla lavanda dei piedi e della Passione del Signore. Tale festa porterà ad un aumento di fede e grazia per i cristiani, che saranno indotti a partecipare con maggiore attenzione a ciò che invece vivono, nei giorni ordinari, con minore devozione o persino con negligenza.

La festa fu stabilita per il giovedì dopo l’Ottava di Pentecoste, il primo giovedì dopo il Tempo Pasquale, secondo il Calendario liturgico dell’usus antiquior. La festa è così chiaramente legata al Giovedì Santo, ed esprime il suo carattere essenziale: «Nella festa del Corpus Domini, la Chiesa rivive il mistero del Giovedì Santo alla luce della Risurrezione».

2. La Messa

Nonostante qualche dubbio degli storici, è stato confermato dalla ricerca recente che la Messa e l’Ufficio del Corpus Domini sono stati composti da san Tommaso d’Aquino per ordine del papa Urbano IV. La Messa originale è rimasta la stessa nelle varie edizioni del Missale Romanum fino agli anni Cinquanta del secolo XX, con l’eccezione del Kyrie tropato (preso da una fonte più antica), che era sparito nel Messale di San Pio V (1570).
Per l’epistola si è scelto il brano dell’apostolo Paolo sull’istituzione dell’Eucaristia (1Cor 11,23-29) in una versione più breve dello stesso testo, utilizzato durante la Messa in cena Domini il Giovedì Santo (1Cor 11,20-32). In questo quadro si inserisce anche il brano evangelico (Gv 6,56-59) dal grande «discorso eucaristico» di Gesù, che segue al miracolo della moltiplicazione dei pani.
Oltre le solite preghiere e antifone, la Messa contiene una lunga sequenza, della penna stessa dell’Aquinate, il Lauda Sion. Questa sequenza è un bell’esempio di come la lex credendi si esprima nella lex orandi, come accenna Benedetto XVI:

«Poco fa abbiamo cantato nella Sequenza: “Dogma datur christianis, / quod in carnem transit panis, / et vinum in sanguinem – È certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”. Quest’oggi riaffermiamo con trasporto la nostra fede nell’Eucaristia, il Mistero che costituisce il cuore della Chiesa. […] Pertanto quella del Corpus Domini è una festa singolare e costituisce un importante appuntamento di fede e di lode per ogni comunità cristiana. È festa che ha avuto origine in un determinato contesto storico e culturale: è nata con lo scopo ben preciso di riaffermare apertamente la fede del Popolo di Dio in Gesù Cristo vivo e realmente presente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia. È festa istituita per adorare, lodare e ringraziare pubblicamente il Signore, che “nel Sacramento eucaristico continua ad amarci ‘fino alla fine’, fino al dono del suo corpo e del suo sangue” (Sacramentum caritatis, 1)».

San Tommaso d’Aquino ha assegnato alla Messa del Corpus Domini il Prefazio della Natività del Signore: «Nel mistero dei Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili». Questa scelta è significativa, in quanto stabilisce un’intima connessione fra il mistero dell’Incarnazione e quello della Transustanziazione: nel Sacramento è realmente e sostanzialmente presente il Cristo vivente, Corpo, Sangue, Anima e Divinità.

Nel Missale Romanum del 1962, attualmente normativo per la forma straordinaria del Rito Romano, il Prefazio della Natività è stato sostituito con quello Comune. Tuttavia, nel 1962, quattro nuovi prefazi sono stati approvati per alcune diocesi, tra cui un Prefazio del Santissimo Sacramento utilizzabile anche per il Corpus Domini.

Nel Missale Romanum del 1970 e nelle successive edizioni tipiche, i testi eucologici della festa sono rimasti essenzialmente gli stessi, mentre è stato assegnato il nuovo Prefazio della Santissima Eucaristia. La differenza principale è l’arricchimento delle letture secondo il ciclo dei tre anni (Anno A: Dt 8,2-3.14b-16a, 1Cor 10,16-17, Gv 6,51-58; Anno B: Es 24,3-8, Ebr 9,11-15, Mc 14,12-16.22-26; Anno C: Gen 14,18-20, 1Cor 11,23-26, Lc 9,11-17).
3. La Processione
In tutto il mondo, il Corpus Domini è segnato dalla solenne processione eucaristica che segue alla Messa. Anche a questo riguardo, la festa riprende la celebrazione del Giovedì Santo, che termina con la processione eucaristica all’altare della reposizione. Va rilevato, però, che la processione del Giovedì Santo ricorda l’esodo del Signore dal Cenacolo alla solitudine del Monte degli Ulivi, dove fu tradito da Giuda, e quindi ha in sé un aspetto oscuro e triste: è la notte che conduce alla Passione del Venerdì Santo. Invece, la processione eucaristica del Corpus Domini si svolge nella gioiosa luce della Risurrezione. Nel portare il Cristo Sacramentato attraverso città e villaggi, sui prati e sui laghi, la Chiesa opera «quasi in obbedienza all’invito di Gesù di “proclamare sui tetti” ciò che Egli ci ha trasmesso nel segreto (cf. Mt 10,27). Il dono dell’Eucaristia, gli apostoli lo ricevettero dal Signore nell’intimità dell’Ultima Cena, ma era destinato a tutti, al mondo intero»

Nella solenne celebrazione del Corpus Domini in innumerevoli parrocchie e comunità cattoliche, si esprime la gioia nella fede, sulla quale Benedetto XVI, come teologo e come Papa, ha spesso riflettuto: la forza con la quale la verità della fede cristiana si fa strada deve essere la gioia con cui essa si manifesta. Questa gioia è una gioia pasquale, radicata nel fatto che Cristo è risorto dai morti. La Chiesa ha bisogno di sfruttare tutto lo splendore del bello, per esprimere questa gioia suprema.
Non bisogna stancarsi mai di insistere sulla priorità del culto divino, superando così una stretta interpretazione legalistica e moralistica del cristianesimo. Benedetto XVI dà l’esempio, perché è profondamente convinto che «il diritto e la morale non stanno insieme se non sono ancorati nel centro liturgico e non traggono da esso ispirazione». L’adorazione, che si esprime in modo del tutto particolare nella Messa e nella Processione del Corpus Domini, è costitutiva del rapporto dell’uomo con Dio e della giusta esistenza umana nel mondo.

In questo Anno Sacerdotale, i ministri del Santissimo Sacramento hanno una ragione in più per tornare a meditare sull’incomparabile dignità, cui sono stati chiamati per divina vocazione. L’essere sacerdoti ordinati ha un riferimento primario ed insostituibile al potere di consacrare l’Eucaristia. Ai vari motivi teologici che fanno da sfondo alla gioia di ogni cristiano dinanzi al Dono eucaristico, il sacerdote aggiunge anche la sua conformazione – di certo umanamente immeritata – al Cristo Sacerdote, che si rende presente realmente nel Santissimo Sacramento dell’altare.

Auguriamo pertanto ai sacerdoti di tutto il mondo di vivere la processione del Corpus Domini come momento di adorazione, contemplazione e riflessione sul grande Mistero che si rende sempre di nuovo presente nel mondo attraverso le loro mani, unte un giorno con il sacro crisma per poter consacrare e toccare il Corpo sacramentale di Cristo.

*******************************
Eucaristia e sacerdozio

Non c'è niente
di più indispensabile

 

di mons. INOS BIFFI

Si va affermando - con la persuasione di proclamare chissà quale oracolo originale - che ormai nella Chiesa si deve far passare il ministero sacerdotale dalla sua fase sacrale a quella esistenziale. Una "società sacralmente impostata" è, infatti, giunta al tramonto, e una concezione cultuale di sacerdozio sarebbe estemporanea e inattuale. E qui risalta una prima anomalia: quella di collegare la dottrina della fede non alla verità ma all'attualità, alla mobilità dei gusti, o, se vogliamo, ai "segni dei tempi", la lettura dei quali, tra l'altro, brilla per arbitrio.
Dalla storia apparirebbe che se, da un lato, la comunità cristiana nasce e si sviluppa dalla Pasqua di Cristo celebrata nell'Eucaristia, dall'altro lato, per non isolarsi come una setta, assume e integra via via il linguaggio e la struttura cultuali, innestandosi nel contesto imperiale, dove il sacerdozio era asse portante della società.

Si tratterebbe ora di scollegarsi da questo contesto, e quindi di abbandonare la "sacerdotalizzazione" - per usare un vocabolo bruttissimo e quasi impronunciabile - per tornare alla cura pastorale della missione e della testimonianza.

Ma è proprio questo che la storia insegna? Per quanto si possa riconoscere in essa un'assunzione di rivestimenti e di simbologie "sacerdotali", la realtà del sacerdozio cristiano fu sempre percepita e ha sempre operato nella sua incomparabile novità: la novità di Cristo, Sommo Sacerdote eterno e intramontabile della nuova alleanza, autore del Sacrificio spirituale, celeste e glorioso, in cui offrì se stesso, una volta per tutte, nel compimento e superamento del culto levitico. È la dottrina della mirabile Lettera agli Ebrei, che effettivamente non gode eccessiva stima presso i disinvolti teologi della "decultualizzazione" - altro termine bruttissimo - i quali fanno risalire proprio a quella lettera una certa responsabilità della concezione sacralizzante del ministero cristiano.

Intanto possiamo notare che è affatto scorretto incriminare e aborrire la cultualità e la sacralità, miranti nella loro intenzione e nella loro natura a tenere vivo il senso di Dio e a suscitare e alimentare l'orazione; ed è improprio far coincidere, per ciò stesso, il culto con le pratiche puramente esteriori, formali, prive di anima e di verità e ritenute alternative alla fedeltà definita "esistenziale". Si verrebbe in tal modo a svalutare tutta la portata relativa al culto, che è invece fondamentale nella storia dell'antica alleanza. Gesù stesso con la sua famiglia non ha mancato di prendere parte alle osservanze religiose del suo popolo. Precisato questo, possiamo sentire, in particolare, alcuni insegnamenti impartiti a inesperti alunni in preparazione al ministero, o quanto meno da essi recepiti. Per esempio questi: che il Nuovo Testamento passa da una concezione cultuale del sacerdozio a una concezione esistenziale, che abolisce la prima; che il solo sacerdote è Gesù nella sua vita e morte e poi il cristiano che "offre il suo corpo" (Romani, 12, 1). Indubbiamente, e lo abbiamo visto dalla Lettera agli Ebrei, Gesù è l'unico Sommo Sacerdote, e il suo è l'unico e inesausto sacrificio; ed è ugualmente vero che il cristiano "offre" la sua stessa vita come sacrificio. Tuttavia, non è meno vero che lo stesso Gesù ha istituito un sacerdozio gerarchico, che certo non si "aggiunge" al sacerdozio di Cristo, bensì lo "rappresenta" sacramentalmente e opera in persona Christi. Il sacerdote può consacrare lo stesso Corpo di Cristo, in quanto, scrive Tommaso d'Aquino, "non opera d'autorità propria, bensì per l'autorità di Cristo" (Super epistolam ad Hebraeos Lectura, 343): "Tutta la sua dignità deriva da Cristo" (ibidem, 345).

Neppure è corretto ritenere che dal sacerdozio cristiano sia eliminata la dimensione cultuale: è esatto invece che il sacrificio di Cristo avvera l'anima del culto divino, che in lui avviene "in spirito e verità" (Giovanni, 4, 23) in quanto suprema adorazione del Padre da parte di Gesù, che a lui si dona e per lui si consuma totalmente. E, se il cristiano è chiamato all'offerta del suo corpo, questa stessa offerta vale, se avviene in comunione e in continuazione con l'offerta, quindi con l'adorazione - diciamo ancora: con il culto - di Gesù Cristo sulla croce. Viene in mente l'espressione dell'antico Sacramentarium Veronense, citata dalla Sacrosanctum concilium: "In Cristo avvenne il perfetto compimento della nostra riconciliazione e ci fu data la pienezza del culto divino" (5).
Si afferma, ancora, che secondo Gesù il compito dei pastori - presbiteri o episcopi - è la trasmissione e la custodia della fede attraverso la predicazione del Vangelo; che se si parla di sacerdozio o di liturgia lo si fa in senso traslato: Paolo chiama sacro ministero il suo annuncio, facendone offerta gradita (Romani, 15, 15-16).

È vero che l'Apostolo si definisce "liturgo di Cristo" e che chiama un "esercizio" o una "funzione sacerdotale" ("sacro ministero") l'annuncio del Vangelo di Dio, perché gli uomini vengano offerti in sacrificio a Dio; ma non è affatto vero che nella comunità cristiana sia scomparsa la liturgia come celebrazione e atto di culto. Si deve invece ripetere che l'unico sacerdozio a valere assolutamente è quello di Cristo; che la pienezza del culto è l'offerta sacrificale che Gesù fece di se stesso sulla croce, e che questa offerta è predicata, secondo lo stesso Paolo, dalla celebrazione consistente nel "mangiare la cena del Signore": "Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore" (1 Corinzi, 11, 20. 26).
Quanto alla missione affidata da Gesù agli Undici: essa consiste senza dubbio nel predicare, ma anche nel battezzare: "Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli" (Matteo, 28, 19). Vediamo poi che nell'Ultima Cena Gesù affidò agli apostoli il suo Corpo dato e il suo Sangue sparso - ossia la sua morte gloriosa e il suo mistero della salvezza - col mandato: "Fate questo in memoria di me" (Luca, 22, 19-20). La celebrazione dell'Eucaristia appare allora fondamentale per il ministero del Nuovo Testamento. E, infatti, a spiccare e a distinguersi da subito è "il primo giorno della settimana" quale giorno dello "spezzare il pane" e quindi della liturgia cristiana, dell'esercizio del sacerdozio ministeriale, della fattiva fraternità.

I pastori pascono il gregge di Cristo certamente con la Parola, ma non è proprio questa Parola incarnata e fatta sacrificio, che viene resa presente e spezzata per il nutrimento del Popolo di Dio? Nessuna esitazione allora a riconoscere che il sacerdote del Nuovo Testamento, riflesso di Gesù Sommo Sacerdote, va radicalmente e anzitutto concepito in funzione della celebrazione del Corpo e del Sangue di Cristo, cioè per l'esserci della liturgia del Sacrificio di Gesù, perenne sorgente dell'identità della Chiesa. A ben vedere certe affermazioni da parte di improvvidi maestri si possono fare perché non si comprende il senso della presenza sacramentale del Corpo e del Sangue di Gesù, finalizzati non a una pura presenza rituale, ma a una efficacia "reale".
Non si tratta di "desacerdotalizzare" la Chiesa di oggi, ma di ravvivare in essa il senso dell'Eucaristia e quindi il servizio al sacerdozio e al sacrificio di Cristo.
Ben intesa, l'azione liturgica del pastore d'anime non isola affatto dalla comunità, non blocca l'immischiarsi a essa - come si ama dire con espressione sonora e confusa - non condiziona la valorizzazione della responsabilità dei fedeli, non chiude il pastore d'anime nella sua soddisfatta e incombente autorità, né lo sottrae all'apostolato libero e povero per la missione.

Questa alternativa tra la "pietà" o la devotio christiana, da una parte, e la testimonianza e dedizione popolare, dall'altra, è clamorosamente smentita dalle grandi figure dei santi della carità e della missione, che esattamente nella celebrazione sacerdotale trovavano, e continuano a trovare, impulso e forza.



(©L'Osservatore Romano 23 giugno 2011)

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[Modificato da Caterina63 24/06/2011 13:10]
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(Joseph Ratzinger da "La festa della fede", pp.101, ss )

Che cosa significa per me "Corpus Domini"?

Anzitutto ricordo di giorni di festa, nei quali era presa del tutto alla lettera l'espressione che san Tommaso d'Aquino ha coniato in uno dei suoi Inni Eucaristici dedicati a tale festività: " Quantum potes, tantum aude", devi osare tutto ciò che sai, tributandoGli la lode che Gli è dovuta...
Questi versi richiamano d'altra parte alla memoria una frase che già nel II secolo san Giustino martire aveva formulato.
Nella sua presentazione della liturgia cristiana, egli scrive che chi la presiede, cioè il sacerdote, deve elevare al cielo nella celebrazione eucaristica preghiere e rendimenti di grazie "con tutta la forza di cui dispone".
Nella Festa del Corpus Domini tutta la comunità si sente chiamata a questo compito: tu devi osare tutto ciò che puoi!
Se penso alla mia giovinezza, sento ancora il profumo che emanava dalle aiuole e dalle fresche betulle; e con esso rivedo gli ornamenti posti su ogni casa, le bandiere, e di nuovo avverto riecheggiare i canti della tradizione.
Sento ancora il suono degli strumenti a fiato degli abitanti dei villaggi - che in questo giorno si prodigavano per rendere il tutto una vera festa cristiana, osando anche più di quanto potessero - e lo scoppio dei mortaretti, all'inizio ed alla fine della Processione, con cui i ragazzi  esprimevano la loro barocca gioia di vivere.
Proprio loro, per le vie e nel villaggio, salutavano festanti Gesù come ricevesso la visita di un capo di Stato, anzi, erano tutti consapevoli che si tratta di più, il capo supremo, il Signore del mondo, l'amato Cristo Re!
In questo giorno, l'ininterrotta presenza di Cristo, suntuosamente Esposto e circondato di affetto e mille attenzioni, veniva celebrata quasi come una visita di Stato, per la quale nulla è lasciato al caso e nulla viene trascurato, neppure nei più piccoli villaggi.
Il Concilio di Trento ha detto che il Corpus Domini ha lo scopo di suscitare la gratitudine e di tenere desta in tutti la memoria, viva e Presente nel mistero, di nostro Signore. In poche righe, nel suo dettato ci imbattiamo subito in tre motivi validi:
1) il Corpus Domini deve reagire alla smemoratezza dell'uomo;
2) deve far suscitare in lui sentimenti di riconoscenza ed è funzionale alla comunione, alla forza che ci lega in unità;
3) e proviene dallo sguardo rivolto all'unico Signore...
Così il Corpus Domini è in definitiva l'autentica confessione di chi è Dio e di che cosa è l'amore e di cosa è capace; è attestazione che Dio è davvero amore.
Tutto ciò che si dice e si fa nella festa del Corpus Domini è in realtà una originale variazione di questo tema: ciò che l'Amore è e fa!

San Tommaso d'Aquino, in uno degli Inni composti per questa festività, è uscito con questa significativa espressione: "nec semptus consumitur", l'amore non si consuma, ma si dona e nel donarsi riceve.
Donandosi esso non si perde, ma si rinnova.
Dal momento che il Corpus Domini è attestazione di amore, al centro di questo giorno si trova a buon diritto il mistero della Transustanziazione. Amare è cambiamento di sè! Il Corpus Domini ci dice: sì, l'amore esiste; e poichè esso esiste, esiste anche il cambiamento, e perciò possiamo avere speranza.
E la speranza ci dà la forza di vivere e di superare il mondo.

*************************

(Joseph Ratzinger "Guardare a Cristo", pag.76)

Un Gesù che sia d'accordo con tutto e con tutti, un Gesù senza la sua santa ira, senza la durezza della verità e del suo vero amore, non è il vero Gesù come lo mostra la Sacra Scrittura, ma una sua miserabile caricatura.
Una concezione del "vangelo" dove non esista più la serietà dell'ira di Dio, non ha niente a che fare con il Vangelo biblico.
Un vero perdono è invece qualcosa di più autentico e diverso da un debole "lasciar correre, tanto Dio è buono"!
Il perdono è esigente e chiede ad entrambi - chi lo riceve e chi lo dona - una presa di posizione che concerne l'intero loro essere.
Un Gesù che approva tutto è un Gesù privato della Croce, perchè allora non c'è più bisogno del dolore, della croce, per guarire l'uomo.
Ed effettivamente la Croce viene sempre più estromessa dalla teologia e falsamente interpretata come una brutta avventura o come un affare puramente politico, fermo al suo tempo.
La Croce come espiazione, la Croce come forma di perdono e della salvezza non si adatta a un certo schema di pensiero moderno, solo quando si vede bene il nesso tra verità e amore, allora la Croce diventa comprensibile nella sua autentica profondità teologica poichè, il perdono, ha a che fare con la verità e perciò esige la Croce del Figlio di Dio, ed esige per questo la nostra conversione.
Perdono e perdonare è appunto la restaurazione della verità, rinnovamento dell'essere e superamento della menzogna nascosta in ogni forma di peccato.
Il peccato è sempre, per sua essenza, un abbandono della verità del proprio essere e quindi della verità voluta dal Creatore, da Dio
.


Fraternamente CaterinaLD

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Al termine dell'Udienza , nei saluti rivolti ai vari gruppi, il Papa ha ricordato che domani è la festa del "Corpus Domini " ed ha invitato i fedeli di Roma e i pellegrini a partecipare, alle 19:00, alla Santa Messa in San Giovanni in Laterano e alla processione che percorrendo Via Merulana si conclude a Santa Maria Maggiore. "Invito i fedeli di Roma" - ha detto il Papa - "e i pellegrini ad unirsi in questo atto di profonda fede verso l'Eucaristia, che costituisce il più prezioso tesoro della Chiesa e dell'umanità".

                                                      Tabernacolo

L’UDIENZA GENERALE, 22.06.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, riprendendo il ciclo di catechesi sulla preghiera, ha incentrato la sua meditazione sul Libro dei Salmi.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

ai fanciulli della Prima Comunione



«C’è una cosa - scrive in un libro un grande scrittore scozzese Bruce Marshall - che dovete ricordarvi e ricordatevela tutta la vita. Quello che imparate in quest’aula (di catechismo) è quel che conta, e che conterà sempre, più di qualunque altra cosa al mondo.
Dio vi ha mandato in questo mondo perché salviate le anime vostre, e non c’è nulla di più importante di questo.

Quando sarete più grandi, la gente cattiva forse vorrà farvi credere che non è così, e che l’importante è di diventar ricchi e potenti e di essere onorati dai propri simili: non è vero.

Ricordatevi sempre che Dio non vede come vede il mondo e che un mendicante sudicio e cencioso, se ha nell’anima la Grazia di Dio, è infinitamente più bello e più prezioso agli occhi del Signore di qualunque monarca in trono che non abbia l’anima in stato di grazia. Cercate di obbedire sempre al Signore.
Ricordate che uno, dentro l’anima sua, può aver ragione, mentre il mondo intero, con le chiacchiere rumorose, può aver torto. Forse vi diranno che la religione è una cosa da chiesa e da domenica e che è da sciocchi il cercar di farsi santi, ma avranno torto: visto che questo mondo e i suoi piaceri son destinati a passare, è da sciocchi non cercare di farsi santi, e non ci si può far santi senza essere religiosi tutti i giorni della settimana».

****************

...custodite il testamento di Gesù Cristo, custodite il Sacrificio di Nostro Signore! Conservate la Messa di Sempre!...


"...Che cosa di più bello Gesù poteva dare all'umanità, che cosa di più prezioso, di più Santo, quando moriva sulla croce? Il Suo Sacrificio. La messa è il tesoro più grande e il più ricco dell'umanità che Nostro Signore ci abbia donato...La Messa è "tutto per Dio". Perciò vi dico: per la gloria della Santissima Trinità, per l'amore di Nostro Signore Gesù Cristo, per la devozione della Santissima Vergine Maria, per l'amore della Chiesa, per l'amore del Papa, per l'amore dei Vescovi, dei Sacerdoti, di tutti i fedeli, per la salvezza del mondo...custodite il testamento di Gesù Cristo, custodite il Sacrificio di Nostro Signore! Conservate la Messa di Sempre!..." (Mons. Marcel Lefebvre)

Si chiede Sandro Magister durante il suo recente viaggio sul monte Athos, davanti agli splendori delle liturgie ortodosse:

“ Quali liturgie occidentali, cattoliche, sono oggi capaci d'iniziare a simili misteri e d'infiammare di cose celesti i cuori semplici? Joseph Ratzinger, ieri da cardinale e oggi da papa, coglie nel segno quando individua nella volgarizzazione della liturgia il punto critico del cattolicesimo d'oggi. All'Athos la diagnosi è ancor più radicale: a forza di umanizzare Dio, le Chiese d'Occidente lo fanno sparire. "Il nostro non è il Dio dello scolasticismo occidentale", sentenzia Gheorghios, igúmeno del monastero athonita di Grigoríu. "Un Dio che non deifichi l'uomo non può avere alcun interesse, che esista o meno. È in questo cristianesimo funzionale, accessorio, che stanno gran parte delle ragioni dell'ondata di ateismo in Occidente".

[Modificato da Caterina63 23/06/2011 22:32]
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Il Papa: Non c’è nulla di magico nel Cristianesimo. Non ci sono scorciatoie, ma tutto passa attraverso la logica umile e paziente del chicco di grano che si spezza per dare vita, la logica della fede che sposta le montagne con la forza mite di Dio. Per questo Dio vuole continuare a rinnovare l’umanità, la storia ed il cosmo attraverso questa catena di trasformazioni, di cui l’Eucaristia è il sacramento

SOLENNITA' DEL CORPUS DOMINI: LO SPECIALE DEL BLOG di raffaella

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO, 23.06.2010

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!


La festa del Corpus Domini è inseparabile dal Giovedì Santo, dalla Messa in Caena Domini, nella quale si celebra solennemente l’istituzione dell’Eucaristia. Mentre nella sera del Giovedì Santo si rivive il mistero di Cristo che si offre a noi nel pane spezzato e nel vino versato, oggi, nella ricorrenza del Corpus Domini, questo stesso mistero viene proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio, e il Santissimo Sacramento viene portato in processione per le vie delle città e dei villaggi, per manifestare che Cristo risorto cammina in mezzo a noi e ci guida verso il Regno dei cieli.

Quello che Gesù ci ha donato nell’intimità del Cenacolo, oggi lo manifestiamo apertamente, perché l’amore di Cristo non è riservato ad alcuni, ma è destinato a tutti. Nella Messa in Caena Domini dello scorso Giovedì Santo ho sottolineato che nell’Eucaristia avviene la trasformazione dei doni di questa terra – il pane e il vino – finalizzata a trasformare la nostra vita e ad inaugurare così la trasformazione del mondo. Questa sera vorrei riprendere tale prospettiva.
Tutto parte, si potrebbe dire, dal cuore di Cristo, che nell’Ultima Cena, alla vigilia della sua passione, ha ringraziato e lodato Dio e, così facendo, con la potenza del suo amore, ha trasformato il senso della morte alla quale andava incontro.

Il fatto che il Sacramento dell’altare abbia assunto il nome “Eucaristia” – “rendimento di grazie” – esprime proprio questo: che il mutamento della sostanza del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo è frutto del dono che Cristo ha fatto di se stesso, dono di un Amore più forte della morte, Amore divino che lo ha fatto risuscitare dai morti. Ecco perché l’Eucaristia è cibo di vita eterna, Pane della vita. Dal cuore di Cristo, dalla sua “preghiera eucaristica” alla vigilia della passione, scaturisce quel dinamismo che trasforma la realtà nelle sue dimensioni cosmica, umana e storica. Tutto procede da Dio, dall’onnipotenza del suo Amore Uno e Trino, incarnato in Gesù. In questo Amore è immerso il cuore di Cristo; perciò Egli sa ringraziare e lodare Dio anche di fronte al tradimento e alla violenza, e in questo modo cambia le cose, le persone e il mondo.

Questa trasformazione è possibile grazie ad una comunione più forte della divisione, la comunione di Dio stesso. La parola “comunione”, che noi usiamo anche per designare l’Eucaristia, riassume in sé la dimensione verticale e quella orizzontale del dono di Cristo. E’ bella e molto eloquente l’espressione “ricevere la comunione” riferita all’atto di mangiare il Pane eucaristico. In effetti, quando compiamo questo atto, noi entriamo in comunione con la vita stessa di Gesù, nel dinamismo di questa vita che si dona a noi e per noi. Da Dio, attraverso Gesù, fino a noi: un’unica comunione si trasmette nella santa Eucaristia. Lo abbiamo ascoltato poco fa, nella seconda Lettura, dalle parole dell’apostolo Paolo rivolte ai cristiani di Corinto: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1 Cor 10,16-17).

Sant’Agostino ci aiuta a comprendere la dinamica della comunione eucaristica quando fa riferimento ad una sorta di visione che ebbe, nella quale Gesù gli disse: “Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me” (Conf. VII, 10, 18). Mentre dunque il cibo corporale viene assimilato dal nostro organismo e contribuisce al suo sostentamento, nel caso dell’Eucaristia si tratta di un Pane differente: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così che diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui. Questo passaggio è decisivo. Infatti, proprio perché è Cristo che, nella comunione eucaristica, ci trasforma in Sé, la nostra individualità, in questo incontro, viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù, che a sua volta è immersa nella comunione trinitaria. Così l’Eucaristia, mentre ci unisce a Cristo, ci apre anche agli altri, ci rende membra gli uni degli altri: non siamo più divisi, ma una cosa sola in Lui. La comunione eucaristica mi unisce alla persona che ho accanto, e con la quale forse non ho nemmeno un buon rapporto, ma anche ai fratelli lontani, in ogni parte del mondo. Da qui, dall’Eucaristia, deriva dunque il senso profondo della presenza sociale della Chiesa, come testimoniano i grandi Santi sociali, che sono stati sempre grandi anime eucaristiche. Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, che è forestiero, ignudo, malato, carcerato; ed è attento ad ogni persona, si impegna, in modo concreto, per tutti coloro che sono in necessità. Dal dono di amore di Cristo proviene pertanto la nostra speciale responsabilità di cristiani nella costruzione di una società solidale, giusta, fraterna.

Specialmente nel nostro tempo, in cui la globalizzazione ci rende sempre più dipendenti gli uni dagli altri, il Cristianesimo può e deve far sì che questa unità non si costruisca senza Dio, cioè senza il vero Amore, il che darebbe spazio alla confusione, all’individualismo, alla sopraffazione di tutti contro tutti. Il Vangelo mira da sempre all’unità della famiglia umana, un’unità non imposta dall’alto, né da interessi ideologici o economici, bensì a partire dal senso di responsabilità gli uni verso gli altri, perché ci riconosciamo membra di uno stesso corpo, del corpo di Cristo, perché abbiamo imparato e impariamo costantemente dal Sacramento dell’Altare che la condivisione, l’amore è la via della vera giustizia.

Ritorniamo ora all’atto di Gesù nell’Ultima Cena. Che cosa è avvenuto in quel momento? Quando Egli disse: Questo è il mio corpo che è donato per voi, questo è il mio sangue versato per voi e per la moltitudine, che cosa accadde? Gesù in quel gesto anticipa l’evento del Calvario. Egli accetta per amore tutta la passione, con il suo travaglio e la sua violenza, fino alla morte di croce; accettandola in questo modo la trasforma in un atto di donazione. Questa è la trasformazione di cui il mondo ha più bisogno, perché lo redime dall’interno, lo apre alle dimensioni del Regno dei cieli. Ma questo rinnovamento del mondo Dio vuole realizzarlo sempre attraverso la stessa via seguita da Cristo, quella via, anzi, che è Lui stesso.

Non c’è nulla di magico nel Cristianesimo. Non ci sono scorciatoie, ma tutto passa attraverso la logica umile e paziente del chicco di grano che si spezza per dare vita, la logica della fede che sposta le montagne con la forza mite di Dio. Per questo Dio vuole continuare a rinnovare l’umanità, la storia ed il cosmo attraverso questa catena di trasformazioni, di cui l’Eucaristia è il sacramento.

Mediante il pane e il vino consacrati, in cui è realmente presente il suo Corpo e Sangue, Cristo trasforma noi, assimilandoci a Lui: ci coinvolge nella sua opera di redenzione, rendendoci capaci, per la grazia dello Spirito Santo, di vivere secondo la sua stessa logica di donazione, come chicchi di grano uniti a Lui ed in Lui. Così si seminano e vanno maturando nei solchi della storia l’unità e la pace, che sono il fine a cui tendiamo, secondo il disegno di Dio.

Senza illusioni, senza utopie ideologiche, noi camminiamo per le strade del mondo, portando dentro di noi il Corpo del Signore, come la Vergine Maria nel mistero della Visitazione. Con l’umiltà di saperci semplici chicchi di grano, custodiamo la ferma certezza che l’amore di Dio, incarnato in Cristo, è più forte del male, della violenza e della morte. Sappiamo che Dio prepara per tutti gli uomini cieli nuovi e terra nuova, in cui regnano la pace e la giustizia – e nella fede intravediamo il mondo nuovo, che è la nostra vera patria. Anche questa sera, mentre tramonta il sole su questa nostra amata città di Roma, noi ci mettiamo in cammino: con noi c’è Gesù Eucaristia, il Risorto, che ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Grazie, Signore Gesù! Grazie per la tua fedeltà, che sostiene la nostra speranza. Resta con noi, perché si fa sera. “Buon Pastore, vero Pane, o Gesù, pietà di noi; nutrici, difendici, portaci ai beni eterni, nella terra dei viventi!”.

Amen.

Pope Benedict XVI takes part in a candle-lit Corpus Domini procession in downtown Rome June 23, 2011.
Pope Benedict XVI arrives, on June 23, 2011, to celebrate a mass prior a procession from Rome's Basilica of St John's in Lateran to the Basilica of St. Mary Major to mark the Roman Catholic feast of Corpus Domini, commemorating Christ's last supper and the institution of the eucharist.


Pope Benedict XVI takes part in a candle-lit Corpus Domini procession in downtown Rome June 23, 2011.

Pope Benedict XVI takes part in a candle-lit Corpus Domini procession in downtown Rome June 23, 2011.

Pope Benedict XVI leads the Corpus Domini mass in Rome's Basilica of St. John in Lateran June 23, 2011.





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[SM=g1740738] L'omelia del Papa in video ed audio

it.gloria.tv/?media=169215




[SM=g1740717]

[SM=g1740757]


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 26.06.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!


Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra il Corpus Domini, la festa dell’Eucaristia, il Sacramento del Corpo e Sangue del Signore, che Egli ha istituito nell’Ultima Cena e che costituisce il tesoro più prezioso della Chiesa.

L’Eucaristia è come il cuore pulsante che dà vita a tutto il corpo mistico della Chiesa: un organismo sociale tutto basato sul legame spirituale ma concreto con Cristo. Come afferma l’apostolo Paolo: "Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane" (1Cor 10,17). Senza l’Eucaristia la Chiesa semplicemente non esisterebbe.

E’ l’Eucaristia, infatti, che fa di una comunità umana un mistero di comunione, capace di portare Dio al mondo e il mondo a Dio. Lo Spirito Santo, che trasforma il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo, trasforma anche quanti lo ricevono con fede in membra del corpo di Cristo, così che la Chiesa è realmente sacramento di unità degli uomini con Dio e tra di loro.

In una cultura sempre più individualistica, quale è quella in cui siamo immersi nelle società occidentali, e che tende a diffondersi in tutto il mondo, l’Eucaristia costituisce una sorta di "antidoto", che opera nelle menti e nei cuori dei credenti e continuamente semina in essi la logica della comunione, del servizio, della condivisione, insomma, la logica del Vangelo.

I primi cristiani, a Gerusalemme, erano un segno evidente di questo nuovo stile di vita, perché vivevano in fraternità e mettevano in comune i loro beni, affinché nessuno fosse indigente (cfr At 2,42-47).

Da che cosa derivava tutto questo?

Dall’Eucaristia, cioè da Cristo risorto, realmente presente in mezzo ai suoi discepoli e operante con la forza dello Spirito Santo. E anche nelle generazioni seguenti, attraverso i secoli, la Chiesa, malgrado i limiti e gli errori umani, ha continuato ad essere nel mondo una forza di comunione.

Pensiamo specialmente ai periodi più difficili, di prova: che cosa ha significato, ad esempio, per i Paesi sottoposti a regimi totalitari, la possibilità di ritrovarsi alla Messa Domenicale! Come dicevano gli antichi martiri di Abitene: "Sine Dominico non possumus" – senza il "Dominicum", cioè senza l’Eucaristia domenicale non possiamo vivere. Ma il vuoto prodotto dalla falsa libertà può essere altrettanto pericoloso, e allora la comunione con il Corpo di Cristo è farmaco dell’intelligenza e della volontà, per ritrovare il gusto della verità e del bene comune.

Cari amici, invochiamo la Vergine Maria, che il mio Predecessore, il beato Giovanni Paolo II ha definito "Donna eucaristica" (Ecclesia de Eucharistia, 53-58). Alla sua scuola, anche la nostra vita diventi pienamente "eucaristica", aperta a Dio e agli altri, capace di trasformare il male in bene con la forza dell’amore, protesa a favorire l’unità, la comunione, la fraternità.

[SM=g1740750] [SM=g1740752]

DOPO L’ANGELUS DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle, anche oggi ho la gioia di annunciare la proclamazione di alcuni nuovi Beati. Ieri, ad Amburgo, dove furono uccisi dai nazisti nel 1943, sono stati beatificati Johannes Prassek, Eduard Müller ed Hermann Lange. Oggi, a Milano, è la volta di Don Serafino Morazzone, parroco esemplare nel Lecchese tra XVIII e XIX secolo; di Padre Clemente Vismara, eroico missionario del PIME in Birmania; e di Enrichetta Alfieri, Suora della Carità, detta "angelo" del carcere milanese di San Vittore. Lodiamo il Signore per questi luminosi testimoni del Vangelo!

In questa domenica che precede la solennità dei Santi Pietro e Paolo si celebra in Italia la Giornata per la carità del Papa. Desidero ringraziare vivamente tutti coloro che, con la preghiera e con le offerte, danno il loro appoggio al mio ministero apostolico e di carità. Grazie! Il Signore vi ricompensi!

+++

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo dell’associazione "Laici Betlemiti". A tutti auguro una buona domenica.

[Modificato da Caterina63 26/06/2011 17:58]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/06/2011 01:14
 
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In Festo Sanctissimi Corporis Christi

 


Panis angelicus
fit panis hominum;
dat panis caelicus
figuris terminum;
O res mirabilis:
manducat Dominum
pauper, servus et humilis.
 
 
O eccellentissimo Sacramento, da adorare, venerare, glorificare, amare, meditare, innalzare con le maggiori lodi, esaltare con le preghiere più alte, onorare con ogni zelo, perseguire con ogni ossequio di devozione, ritenere con animo puro!
 
O memoriale nobilissimo, da commemorare nell'intimità del cuore, da radicare fermamente nell'animo, da custodire diligentemente nelle viscere del cuore, da richiamare in meditazione e celebrare frequentemente!
 
E' questo il memoriale dolcissimo, il memoriale santissimo, il memoriale salvifico, nel quale richiamiamo la grata memoria della nostra redenzione; nel quale siamo distolti dal male, confortati nel bene, avviati ad aumento di virtù e di grazie; nel quale inoltre, siamo ristorati dalla presenza corporale dello stesso Salvatore.
Si celebri ogni anno più speciale e più solenne memoria [...] affinché in tale giorno le masse devote dei fedeli accorrano zelanti alla chiesa a questo scopo, e clero e popolo uniti in gioia comune erompano in canti di lode, e i cuori e i volti di tutti, le bocche, le labbra, risuonino di inni e di letizia salutare; e trionfi di fede, la speranza tripudi, la carità esulti, la devozione applauda, la purezza giubili, la sincerità si allieti [...]

(Urbano IV, "dato a Orvieto il terzo giorno delle Idi di agosto, anno terzo del nostro pontificato."
 Transiturus de hoc mundo, bolla, 11 agosto 1264)

*********************************

"I protestanti pensarono di tenere Gesù Cristo buttando la Chiesa, e fu terribile. Ma tenere una Chiesa senza Gesù Cristo, senza Dio, è terrificante. Siate umili e semplici, parlateci di Dio e vi ascolteremo"


Parlateci di Nostro Signore Gesù Cristo, parlateci della sua salvezza per noi, parlateci della grazia che perdona e santifica le nostre povere vite, parlateci della Vergine Maria, Madre di tutte le Grazie, parlateci dei santi e della vita eterna... e vi ascolteremo.



Ma non parlateci più di altro, delle cose di cui parlano i politici che passano, di economia o di socialità, di giustizia troppo umana che quindi giusta non è, o di psicologia spicciola che la scienza, quella vera, ha da tempo abbandonato: su queste e simili cose nessuno ascolta più.

È tutta colpa della svolta antropologica: avevano detto che non bisognava più partire da Dio per insegnare il Cristianesimo, ma dall'uomo... solo che in questi anni l'inganno si è consumato e, partendo dall'uomo, a Dio non si è più arrivati, ci si è fermati al piano terra. Si parla dell'uomo... si parla dell'uomo, ma a Dio, a Nostro Signore Gesù Cristo non si arriva più.

Vi è mai capitato di andare in certi incontri ecclesiali, in certe assemblee di clero e laici impegnati, e di stare lì seduti mentre il clero introduce con una preghierina, poi i laici descrivono la situazione del mondo e della Chiesa (!): ... il tempo passa... guardi l'orologio, sono trascorse quasi due ore, sei confuso in un malessere strano e ti accorgi che mai il nome di Gesù Cristo è stato pronunciato, neanche per sbaglio!

È veramente insopportabile per l'uomo tutto questo! A un Vescovo, a un sacerdote, l'uomo chiede la via di Dio, anche quando questa domanda resta inespressa e nascosta nelle pieghe dell'animo.

Vi supplichiamo, parlateci di Dio e non di altro. Se c'è un'urgenza sociale è questa: gli uomini hanno bisogno di Dio.

E smettiamola di dire che bisogna arrivarci con calma a parlare di Dio, con una cauta mediazione, parlando prima delle cose della vita: non è così, non è così nella Sacra Scrittura, nei Vangeli, non è così nella storia della Chiesa: è Cristo che salva l'uomo e lo guarisce, e allora dillo subito!

I protestanti pensarono di tenere Gesù Cristo buttando la Chiesa, e fu terribile.

Ma tenere una Chiesa senza Gesù Cristo, senza Dio, è terrificante.

Siate umili e semplici, parlateci di Dio e vi ascolteremo.

EDITORIALE DI GIUGNO DI RADICATI NELLA FEDE

[SM=g1740738]

[Modificato da Caterina63 03/06/2012 15:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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07/06/2012 22:26
 
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[SM=g1740722]MONUMENTALE OMELIA DEL PAPA PER IL CORPUS DOMINI..... DENUNCIA DI UNA INTERPRETAZIONE ERRATA DEL CONCILIO SUL SANTISSIMO SACRAMENTO....

Il Papa: Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale



SANTA MESSA E PROCESSIONE: VIDEO INTEGRALE


Vedi anche:

Gesù nell’Eucaristia è una presenza concreta che deve permeare tutta la vita quotidiana: così Benedetto XVI alla messa nell’odierna Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo

Il Papa: se si elimina ogni ritualità religiosa, nella società dei consumi si lascia spazio ad altri riti, che possono diventare "idoli" (AsiaNews)

Il Papa: interpretazione unilaterale del Concilio favorì la secolarizzazione (Izzo)

Il Papa: Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l'osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita

Il Papa: la scomparsa del Sacro impoverisce la cultura (Sir)


Questa sera il Papa presiede la Santa Messa e la Processione del Corpus Domini


SANTA MESSA DEL CORPUS DOMINI


OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle!


Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità.
E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.

Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento.
E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine.

Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II ha penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. [SM=g1740721]

In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro.


In questo caso, l’accentuazione posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziale. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.
In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore.

L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.
A questo proposito, mi piace sottolineare l’esperienza che vivremo anche stasera insieme. Nel momento dell’adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. E’ un’esperienza molto bella e significativa, che abbiamo vissuto diverse volte nella Basilica di San Pietro, e anche nelle indimenticabili veglie con i giovani – ricordo ad esempio quelle di Colonia, Londra, Zagabria, Madrid. E’ evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso.

Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. [SM=g1740721]


Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale.
Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come quelle risuonate poco fa nel Salmo responsoriale: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17).

Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia.
Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. E’ vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale.
E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. La Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato questa sera nella seconda Lettura, ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito. Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22).

Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita. Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro.

Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo.

Amen.


************************************

Il Papa: Nelle chiese il luogo più sacro è proprio quello in cui si custodisce l’Eucaristia. Non posso a questo proposito non pensare con commozione alle numerose chiese che sono state gravemente danneggiate dal recente terremoto in Emilia Romagna, al fatto che anche il Corpo eucaristico di Cristo, nel tabernacolo, è rimasto in alcuni casi sotto le macerie. Con affetto prego per le comunità, che con i loro sacerdoti devono riunirsi per la Santa Messa all’aperto o in grandi tende; le ringrazio per la loro testimonianza e per quanto stanno facendo a favore dell’intera popolazione


 





LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 10.06.2012
 
Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

 
PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, in Italia e in molti altri Paesi, si celebra il Corpus Domini, cioè la festa solenne del Corpo e Sangue del Signore, l’Eucaristia. E’ tradizione sempre viva, in questo giorno, tenere solenni processioni con il Santissimo Sacramento, per le strade e nelle piazze.
A Roma questa processione si è già svolta a livello diocesano giovedì scorso, giorno preciso di questa ricorrenza, che ogni anno rinnova nei cristiani la gioia e la gratitudine per la presenza eucaristica di Gesù in mezzo a noi.

La festa del Corpus Domini è un grande atto di culto pubblico dell’Eucaristia, Sacramento nel quale il Signore rimane presente anche al di là del tempo della celebrazione, per stare sempre con noi, lungo il trascorrere delle ore e delle giornate. Già san Giustino, che ci ha lasciato una delle testimonianze più antiche sulla liturgia eucaristica, afferma che, dopo la distribuzione della comunione ai presenti, il pane consacrato veniva portato dai diaconi anche agli assenti (cfr Apologia, 1, 65).

Perciò nelle chiese il luogo più sacro è proprio quello in cui si custodisce l’Eucaristia. Non posso a questo proposito non pensare con commozione alle numerose chiese che sono state gravemente danneggiate dal recente terremoto in Emilia Romagna, al fatto che anche il Corpo eucaristico di Cristo, nel tabernacolo, è rimasto in alcuni casi sotto le macerie. Con affetto prego per le comunità, che con i loro sacerdoti devono riunirsi per la Santa Messa all’aperto o in grandi tende; le ringrazio per la loro testimonianza e per quanto stanno facendo a favore dell’intera popolazione.
E’ una situazione che fa risaltare ancora di più l’importanza di essere uniti nel nome del Signore, e la forza che viene dal Pane eucaristico, chiamato anche «pane dei pellegrini». Dalla condivisione di questo Pane nasce e si rinnova la capacità di condividere anche la vita e i beni, di portare i pesi gli uni degli altri, di essere ospitali e accoglienti.

La solennità del Corpo e Sangue del Signore ci ripropone anche il valore dell’adorazione eucaristica. Il Servo di Dio Paolo VI ricordava che la Chiesa cattolica professa il culto dell’Eucaristia «non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana» (Enc. Mysterium fidei, 57).

La preghiera di adorazione si può compiere sia personalmente, sostando in raccoglimento davanti al tabernacolo, sia in forma comunitaria, anche con salmi e canti, ma sempre privilegiando il silenzio, in cui ascoltare interiormente il Signore vivo e presente nel Sacramento. La Vergine Maria è maestra anche di questa preghiera, perché nessuno più e meglio di lei ha saputo contemplare Gesù con sguardo di fede e accogliere nel cuore le intime risonanze della sua presenza umana e divina. Per sua intercessione si diffonda e cresca in ogni comunità ecclesiale un’autentica e profonda fede nel Mistero eucaristico.


DOPO L’ANGELUS

(..)


Infine rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alla delegazione della Diocesi di Concordia-Pordenone, in occasione della presentazione del volume dell’epistolario del Cardinale Celso Costantini. Saluto le Suore di Santa Dorotea di Santa Paola Frassinetti, con un augurio per il loro impegno formativo; i fedeli della parrocchia di Santo Strato a Posillipo (Napoli), di Santa Lucia alla Sala in Firenze e di Sant’Anna in Roma, di Marina di Strongoli, Battipaglia e Cava de’ Tirreni, come pure l’Associazione Motociclisti Forze di Polizia. A tutti auguro una buona domenica.



[Modificato da Caterina63 10/06/2012 21:32]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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07/06/2012 23:04
 
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[SM=g1740733] Puoi anche raccontarlo, perché la "vera carne" e il "vero sangue"
non sono solo segni storici di un fatto realmente accaduto,
ma miracolo visibile e permanente.
Certamente la tua mente inquieta e dubbiosa - come ogni mente umana
- vuole capire, vuole indagare come sia possibile che Dio, nelle fragili
apparenze del pane e del vino, si faccia presenza, pane di vita,
sacrificio per te.

www.miracoloeucaristico.eu/

it.gloria.tv/?media=297509



[SM=g1740717]


********************

www.gloria.tv/?media=298315


[SM=g1740753]


[SM=g1740717]

www.gloria.tv/?media=298432




[SM=g1740738]

[Modificato da Caterina63 09/06/2012 14:43]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Dai certosini: letture notturne per il Corpus Domini

San Bruno fondatore dei certosiniPer chi soffre d’insonnia… e naturalmente anche per chi non ne soffre. Grazie ai certosini di Serra San Bruno per la condivisione delle loro letture notturne nella solennità del Corpus Domini. Buona veglia o almeno buona meditazione con Ilario di Poitiers, Riccardo di San Vittore, San Marco evangelista, San Gerolamo 

CORPUS DOMINI - Solennità

1
Dal “Trattato sulla Trinità” di sant’Ilario di Poitiers.

Mio Dio, non voglio che in nulla sia scalfita in me la fede nella tua onnipotenza, che mi oltrepassa in sommo grado. Perciò non posso pretendere di concepire l’origine del tuo unico Figlio; sarebbe voler accamparmi a giudice del mio Creatore e del mio Dio. La sua nascita precede i tempi eterni. Quello che può esistere prima dell’eternità deve per forza superare la nozione stessa di eternità. E’ appunto il tuo caso e il caso del tuo Unigenito; egli non è una parte, un prolungamento tuo; neppure, come succede nelle realtà create, il Figlio tuo è una nozione priva di sostanza, ma è il Figlio, il Figlio nato da te, Dio Padre; è davvero Dio. Generato da te, condivide l’unità della tua propria natura. Proclamare che è dopo di te vuol dire che è con te, dato che tu sei l’autore eterno della sua eterna origine. Siccome è davvero tuo, non puoi essere separato da lui.
2
Grande in me è la venerazione verso tutto ciò che ti riguarda. Sapendo che tu solo sei l’Ingenito e che l’Unigenito è generato da te, non dirò tuttavia che lo Spirito Santo è generato, e neanche lo dirò mai creato. Io temo l’ingiuria che può giungere a te per causa di questa espressione. Il tuo Santo Spirito scruta e conosce, secondo l’Apostolo, le tue profondità, e fattosi mio avvocato, dice a te quello che io non riuscirei mai a dire; cf Rm 8,26 e io, invece, oserei chiamare creato la potenza della sua natura che da te procede attraverso il tuo Unigenito, non solo, ma addirittura ingiuriarla? Niente che non ti appartenga può entrare in te, né può essere misurato l’abisso della tua immensa maestà, da una forza diversa ed estranea a te. Qualunque cosa penetra in te è tua: né ti è estranea lapotenza di colui che può scrutarti.
3
Mi è impossibile parlare di colui che ti dice per me parole inesprimibili. Quindi, come nella generazione del tuo Unigenito prima di tutti i secoli cessa ogni ambiguità di discorso e ogni difficoltà di comprensione, e resta soltanto che è stato generato da te: così, pur non afferrando con i sensi il procedere del Santo Spirito da te attraverso il Figlio, tuttavia lo percepisco con la coscienza. Infatti sono del tutto incapace di capire le cose spirituali, come dice il tuo Unigenito: “Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito.” Gv 3,7-8. Pur avendo ricevuto la fede nella mia rigenerazione io non la comprendo, e pur ignorandola tuttavia la posseggo. Infatti sono rinato senza l’intervento dei miei sensi, ma con la potenza di una vita nuova.
Lo Spirito poi non ha regole particolari, ma dice ciò che vuole, quando vuole e dove vuole. Se dunque non so il motivo per cui è vicino o lontano, pur rimanendo consapevole della sua presenza, come potrò collocare la sua natura fra le cose create e come potrò limitarla con la pretesa di definire la sua origine? Tutte le cose sono state create per mezzo del Figlio, il Verbo che fin dal principio era Dio presso di te, o Dio, come dice il tuo Giovanni. E Paolo passa in rassegna tutte le cose che in lui sono state create nei cieli e sulla terra: quelle visibili e quelle invisibili. E mentre ricorda che tutto è stato creato in Cristo e per Cristo, dello Spirito Santo giudica sufficiente per sé affermare che è il tuo Spirito.
4
Perciò su queste cose avrò gli stessi sentimenti di quegli uomini che ti sei scelti in modo particolare, così che non dirò nulla circa il tuo Unigenito che secondo il loro giudizio superi la mia comprensione, eccetto il fatto che è nato: come pure non dirò nulla sul tuo Santo Spirito che secondo loro vada oltre le possibilità dell’intelligenza umana, eccetto che è il tuo Spirito. Né voglio perdermi in una inutile schermaglia di parole, ma piuttosto restare nella perenne professione di una fede incrollabile.
Conserva puri, te ne prego, questi principi della mia fede e fino al mio ultimo respiro dà voce alla mia coscienza, perché mi mantenga sempre fedele a ciò che ho professato nel Simbolo della mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; possa sempre adorare te, nostro vero Padre, insieme con il Figlio tuo e meritare così il tuo Santo Spirito, che promana da te attraverso il tuo Unigenito.
Poiché basta alla mia fede il mio Signore Gesù Cristo, che dice: “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie”. Gv 17,10. Egli che sempre rimane Dio in te, da te e presso di te, è benedetto nei secoli eterni. Amen.
5
Riccardo di San VittoreDal “Trattato sulla Trinità” di Riccardo di San Vittore. In Dio, bene sommo e assolutamente perfetto, c’è anche la bontà nella forma completa ed eccellente. Ma là dove è la pienezza dì tutto quello che esiste di buono, non può mancare l’amore autentico, supremo. Però, finché uno non vuole bene all’altro così come a sé stesso, questa carità particolare, limitata a sé, dimostra di non aver ancora raggiunto il vertice della dilezione.
Ma come potrebbe una Persona divina amare degnamente un’altra quanto sé stessa se non ci fosse un’altra Persona uguale a lei per nobiltà? Per eguagliare in elevatezza una Persona divina bisogna per forza essere Dio. Perché nella vera divinità ci potesse essere la pienezza dell’amore, era necessario che a una Persona divina ne fosse associata un’altra di eguale dignità, cioè che anch’essa fosse divina.
6
Ognuno rifletta bene dentro dì sé: in modo indiscutibile riconoscerà che non vi è nulla di meglio dell’amore, niente che dia più gioia. Ce lo insegna proprio la natura e ne facciamo continuamente l’esperienza. E’ chiaro: nella pienezza della bontà autentica non può essere assente il bene ottimale, così come nella felicità perfetta non può mancare quel che soddisfa al massimo grado. In conclusione, la somma felicità esige l’amore.
Tuttavia, perché nel sommo bene arda la carità, bisogna che per forza sia presente chi dia e chi riceva il dono dell’amore. La caratteristica propria della carità, la condizione stessa perché esista, è la risposta totale d’amore da parte di colui che è amato senza frontiere. Non ci può essere festa d’amore se non vi è reciprocità.
7
L’apice dell’amore autentico sta nel volere che l’altro sia mamato come siamo amati noi. Nell’amore scambievole pieno di fuoco nulla è tanto stupendo e anche tanto raro: bramare che colui il quale sopra tutto e tutti tu ami, e dal quale sei amato con la stessa somma misura, ami un altro d’uguale dilezione. La prova della carità completa è il desiderio che sia comunicato ad altri l’amore da cui siamo avvolti. Certamente, per chi ama di tutto cuore e con la stessa intensità desidera essere amato, la gioia perfetta è questa: realizzare quel suo ardente voto di ottenere l’affetto al quale egli aspira. Perciò trapela una carità ancora imperfetta nel rifiuto di rallegrarsi perché ad altri sia partecipata la nostra gioia più cara.
Non poter ammettere comunanza d’amore è segno di evidente meschinità. Ma saperla accettare rivela grande amore. Tuttavia, se questo è già molto, varrà ben di più accogliere gioiosamente di condividere il proprio affetto. Arrivare poi a desiderare questo è il massimo, secondo una graduatoria sempre più eccellente. Diamo allora il massimo a ciò che è massimo, l’ottimo a ciò che è ottimo.
8
Fin qui abbiamo considerato due esseri legati da reciproco amore. Ma perché la perfezione di ambedue gli amanti sia completa, si esige per la stessa ragione che anche un altro possa condividere l’affetto con cui ognuno dei due è amato. Se non vuoi ciò che richiede la bontà perfetta, come potrai avere la pienezza della bontà? E volere la bontà perfetta senza poterla raggiungere, dove fa approdare la pienezza della potenza? Perciò la conclusione è lampante: la carità al sommo grado, quindi la bontà in pienezza, sono escluse dal rifiuto di chi non vuole o non può associare anche un altro nella sua dilezione o comunicargli la propria gioia più preziosa.
Perciò quelli che sono amati sommamente e meritano di esserlo, devono entrambi reclamare con medesimo desiderio un amico comune ad entrambi, in perfetta concordia. Vedete bene perciò che la compiutezza della carità richiede una trinità di persone, senza di cui la carità non può esistere nella sua pienezza integrale. Così la perfezione totale e assoluta è intimamente connessa con la perfetta carità non meno che con la vera Trinità. Non c’è soltanto pluralità, ma Trinità autentica nella vera Unità e vera Unità nell’autentica Trinità.
9
Dal vangelo secondo Matteo: 28,16-20
Gesù, avvicinatosi agli undici discepoli, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra . Andate dunque e San Matteo (di Guido Reni)ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

Dal “Commento al salmo 14″di san Girolamo.
Mi è stato comunicato che alcuni fratelli discutono talvolta e si domandano come mai il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano tre insieme e anche uno. Se considerate il problema, vi accorgerete quanto la disquisizione sia pericolosa. Un vaso di creta sì mette a discutere sul suo Creatore, mentre non giunge neppure a scandagliare la propria natura. Da curioso cerca di cogliere il mistero della Trinità santissima, che neppure gli angeli in cielo possono scrutare. Che dicono infatti gli angeli? Chi è questo re della gloria? Il Signore degli eserciti è il re della gloria. Sal 23,10. Anche Isaia scrive: “Chi è costui che viene da Edom, da Bozra con le vesti tinte di rosso?” Is 63,1. Vediamo dunque che gli angeli lodano la bellezza di Dio, ma nulla dicono sulla sua essenza. Perciò restiamo anche noi semplici e modesti.
Quando vuoi scrutare la natura divina, quando desideri sapere ciò che Dio sia, allora nota che tu nulla ne sai. Ma di ciò non devi turbarti, perché gli angeli stessi non ne sanno nulla, e nessuna altra creatura ne sa qualcosa.
10
Il pagano vede una pietra e la stima Dio; il filosofo considera il firmamento e crede di percepire in esso il suo Dio. Altri scorgono il sole, che sembra loro la divinità. Considera, perciò, quanto tu superi in saggezza questa gente, quando dici: Una pietra non può essere Dio; il sole, che segue il suo corso per comando di un altro, non può essere Dio. Nella confessione della tua ignoranza si nasconde una gran sapienza. E i pagani sono insipienti proprio perché stimano di sapere e invece la loro conoscenza è un errore.
San GerolamoOltre a ciò, tu non tieni presente il tuo nome: tu vieni detto un credente, non un raziocinante. Se sono credente, vuol dire che credo ciò che non capisco. E proprio per questo sono sapiente, perché sono consapevole della mia ignoranza. Al giorno del giudizio non sarò condannato se dovrò dire: Non ho penetrato l’essenza del mio Creatore. Ma se sostengo un’affermazione temeraria, la presunzione avrà il suo castigo, mentre l’ignoranza otterrà misericordia.
11
Desidero anche citare la Scrittura, per appoggiarmi non tanto sul mio pensiero, ma piuttosto sull’autorità del nostro Signore e Salvatore. Che disse egli poco prima della sua ascensione, agli apostoli a cui parlava come maestro e signore? Nessuno potrà mai parlare della propria natura come lui che è Dio stesso. Per noi è sufficiente sapere della Trinità quanto il Signore si è degnato comunicarci. Che disse dunque agli apostoli? Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Odo tre nomi, eppure si parla di uno solo. Il Signore non dice: nei nomi, ma: nel nome. Eppure Gesù pronunzia tre nomi, Come può riassumerli in uno con le parole: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo? Il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito è uno; ma è il nome che veramente spetta alla Trinità. Quando si dice: Nel nome di Dio Padre, nel nome di Dio Figlio e nel nome di Dio Spirito Santo, Padre, Figlio e Spirito Santo sono l’unico nome della divinità. E se mi domandi come mai tre possano venir chiamati con un nome solo, io non lo so e ammetto con schiettezza la mia ignoranza, perché Cristo non ci ha rivelato nulla su di ciò.
12
Fratelli, si parla tanto sulla Trinità. Però ai fedeli basti aver ascoltato poche parole su questo mistero. In convento impegniamoci piuttosto a trionfare sull’avversario; ricerchiamo come digiunare; come piangere sui nostri peccati. Preferiamo indagare come il pensiero ci imprigioni nelle spire del peccato, riflettiamo come reggere con pazienza di fronte ad ogni ingiuria e a non opporci al fratello che ci offende. Cerchiamo di vincerlo nell’umiltà che ci ha insegnato Cristo lui che soffrendo non minacciava vendetta. 1Pt 2,23. Invece quando si affaccerà alla mente il quesito: Che cosa è Dio? E qual è la ragione della Trinità? ci basti credere che ciò è. Non indaghiamo temerariamente le ragioni, ma con timore e tremore preghiamo Dio senza sosta. Mostriamogli la nostra scienza, che consiste nell’elevargli giorno e notte lodi gioiose.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/06/2012 21:29
 
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[SM=g1740722]Bellissima Omelia del Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, per la Solennità del Corpus Domini

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Solennità del Corpus Domini – Domenica 10 giugno 2012
Basilica Cattedrale di San Marco - Venezia
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

L’istituzione della festa liturgica del Corpus Domini è l’esito della maturazione della fede eucaristica della Chiesa che, progressivamente - a partire all’inizio del secondo millennio - anche sotto la spinta di controversie dottrinali, si pone sempre più nella sua realtà di sacramentum permanens.
Così, attraverso una più serrata riflessione teologica, la Chiesa giunge a una maggiore conoscenza del mistero eucaristico inteso non solo come celebrazione ma, appunto, come presenza reale.

Fu papa Urbano VI che nel 1264 istituì, per tutta la cristianità, la festa del Corpus Domini; l’anno prima, a Bolsena, era avvenuto il miracolo eucaristico che aveva avuto come protagonista il prete boemo - Pietro da Praga - il quale nutriva dubbi sulla presenza reale del Signore nella santissima eucaristia e per questo aveva intrapreso un pellegrinaggio a Roma. Proprio a Bolsena - di ritorno da Roma - mentre celebrava vide stillare sangue dall’ostia consacrata; sangue che bagnò corporale e lini liturgici.

La solennità del Corpus Domini, festa universale della Chiesa, riveste un valore particolarissimo per la fede cristiana; proprio perché viene celebrata in tutta la Chiesa e da tutta la Chiesa.
 A tale proposito richiamo l’affermazione tradizionale di Prospero d’Aquitania - monaco agostiniano del V secolo e segretario di Papa Leone magno - che così s’esprime: legem credendi, lex statuat supplicandi (ossia: la regola del pregare stabilisca la maniera del credere). In tale assioma si dice che la preghiera - quando e se universalmente approvata dalla Chiesa - diventa espressione certa della stessa fede della Chiesa.

Quindi l’aver fatto posto, nelle celebrazioni liturgiche della Chiesa, oltre alla missa in coena Domini - la sera del giovedì santo -, anche alla solennità del Corpus Domini, si spiega col fatto che il momento istitutivo-celebrativo non esaurisce il mistero eucaristico.
La celebrazione ha, infatti, il suo naturale prolungamento nell’adorazione che dobbiamo riscoprire per poter vivere in modo nuovo, i gesti celebrativi tanto a livello di sacerdozio ministeriale, la presidenza dell’eucaristia, tanto di sacerdozio universale dei fedeli.

Sia nel richiamo al silenzio, sia nel rimanere adoranti in ginocchio, di fronte al mistero che ci precede, si coglie sempre meglio la Presenza ultima che guida il gesto celebrativo della Chiesa.

Così, personalmente e comunitariamente, ci consegniamo al vero Orante che è il Signore Gesù, nell’atto di donarsi al Padre; si vive, in tal modo, la realtà del Christus totus: il Cristo totale, Capo e corpo.  
L’adorazione è l’atto che, oltre al momento celebrativo, si pone in profonda continuità con esso: il momento della comunione eucaristica e quello della presenza orante innanzi all’ostia consacrata che, logicamente, segue o precede la stessa celebrazione.

L’eucaristia è, in tal modo, nella sua pienezza dottrinale, teologica, spirituale e pastorale, sacramento celebrato, ricevuto, adorato e vissuto, affinché la nostra storia personale partecipi del mistero del “corpo dato” e del “sangue effuso” per la salvezza del mondo. Così anche noi, a nostra volta, diventeremo esistenze veramente “cristiane” attraverso l’eucaristia.

Sia la teologia sia la logica del battesimo cristiano chiedono di tradursi in un’antropologia cristianamente compiuta, ossia, un’esistenza “cristica”. Siamo chiamati a diventare, nelle nostre persone - attraverso l’eucaristia celebrata ricevuta e adorata -, un vero rendimento di grazie a Dio e ad esprimere  un forte senso di appartenenza a Gesù.

 Il motivo primo di questo “rendimento di grazie” a Dio, che è l’eucaristia, è proprio il dono del Padre all’umanità, il Cristo salvatore; è in Lui e solamente in Lui che noi ci possiamo riscoprire umanità filiale, capace di dono e perdono.
E’ proprio dall’altare - anche dal più piccolo e sperduto - che nasce la carità di Cristo, ossia la capacità di farsi carico di tutto l’uomo che è, insieme, spirito anima e corpo.

A ragione, quindi, il beato Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia così si esprime:
Si comprende, da quanto detto, la grande responsabilità che hanno, nella celebrazione eucaristica soprattutto i sacerdoti, ai quali compete di presiederla in persona Christi, assicurando una testimonianza e un servizio di comunione non solo alla comunità che direttamente partecipa alla celebrazione, ma anche alla Chiesa universale, che è sempre chiamata in causa dall’Eucaristia. Occorre purtroppo lamentare - aggiunge Giovanni Paolo II - che, soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica post-conciliare, per un malinteso senso di creatività e adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti… ” (Ecclesia de Eucharistia, n.52).


Non è possibile, poi, aprirsi alla carità solo fino ad un certo punto… L’arbitrio che esclude, infatti, non appartiene alla scelta di Cristo. L’antropologia cristiana, in realtà, non ammette parzialità o riduzioni di sorta. Infatti, o si è di fronte all’uomo, nella sua totalità, oppure s’elabora e si finisce per correre dietro a astrazioni; a un uomo, che, di fatto, nella realtà, non esiste.

La Chiesa è, e sarà sempre, legata alla volontà del suo Signore che - mentre le pronuncia - dona ai “suoi” le parole sul pane e sul vino: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue “dati”, “offerti” per voi,
Come si diceva, sono parole trasmesse alla Chiesa, che è la sposa, perché nell’incontro tra la fedeltà di Cristo, lo Sposo, e la fedeltà della Chiesa, la sposa, si faccia la memoria, si celebri il “memoriale”. In altre parole: la Chiesa “fa” l’eucaristia attraverso il ministero ordinato, l’eucaristia  “fa” la Chiesa sul piano più profondo del mistero.
Da quel momento la Chiesa, nella sua pienezza, non potrà  più prescindere dal pane “dato” e dal vino “effuso” per la salvezza del mondo. La liturgia, quindi, esprime la fede della Chiesa nel corpo dato e nel sangue effuso.

Gesù accessibile, qui e ora, presente, qui e ora, per la salvezza del mondo. L’eucaristia è l’esserci di Gesù che si offre nell’incontro di una fede che attende e di un dono che si consegna; l’eucaristia è il rimanere con Lui nella celebrazione che in se stessa è già adorazione; la celebrazione eucaristica è l’atto più alto di adorazione che si prolunga, appunto, nella comunione e nell’adorazione.
Per il discepolo del Signore, adorare è semplicemente adesione e svolgimento coerente della fede battesimale.

La processione eucaristica - in un passato non troppo lontano - non sempre è stata compresa da quanti, forse senza piena coscienza, cedevano a una visione secolarizzata in cui la processione veniva percepita come trionfalismo o come pericolo per la laicità.
Ma lasciare pregare chi desidera farlo, anche pubblicamente, è espressione della vera laicità che non coltiva il mito di un’impossibile neutralità o che non vede nell’orante un pericoloso sovversivo.
Al contrario la processione - momento di preghiera pubblica - è la testimonianza serena di chi ritiene come l’orizzonte della città sia più libero dai vari condizionamenti degli uomini se viene concesso di “pronunciare” il nome di Dio. Solo Dio, infatti, può realmente liberare l’uomo disponendolo alla relazione che lo fonda e che viene prima della politica, dell’economia e della finanza.

 Politica, economia, finanza: trinomio che oggi fatica non poco ad esprimere ciò che pensava di dare all’uomo e alla società, ossia una buona vita da condividere a partire dal bene comune.
L’eucaristia, nella semplicità del suo essere pane spezzato per la condivisione e la salvezza del mondo, diventa in questa solennità del Corpo e Sangue del Signore - anche per la città - proposta e testimonianza di un mondo nuovo.

Particolarmente oggi, in questo tempo in cui facciamo esperienza di una crisi diffusa, che sembra non voler cedere il passo e sembra intaccare anche i più forti e ottimisti, assumono significato particolare queste parole di Benedetto XVI, proprio sulla processione odierna: “La processione del Corpus Domini ci insegna che l’Eucaristia ci vuole liberare da ogni abbattimento e sconforto, ci vuole far rialzare, perché possiamo riprendere il cammino con la forza che Dio ci dà mediante Gesù Cristo” (Omelia, 22 maggio 2008).

Sia lodato Gesù Cristo +




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733] La settimana Incom 01935 del 21/06/1960
La processione del Corpus Domini a Roma

Descrizione sequenze:una folla imponente di civili e di religiosi in piazza del Colosseo ; Giovanni XXIII celebra la funzione religiosa ; i sacerdoti pregano ; il Papa benedice i religiosi ; un bambino chierichetto prega con un cero in mano ; Giovanni XXIII, seduto, legge la benedizione ; veduta della folla convenuta per la celebrazione del Corpus Domini ; da non sottovalutare la posizione dell'altare sotto l'arco di trionfo pagano.... a salutare il trionfo di Cristo su tutto e su tutti.... [SM=g1740733]

Archivio Storico Luce
www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=6JbFqnZNGDI

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII
AI FEDELI DI ROMA,
A CONCLUSIONE DELLA
PROCESSIONE EUCARISTICA
DEL CORPUS DOMINI
16 giugno 1960



Dilettissimi figliuoli di Roma!

Il grande rito del Corpus Domini qui prende fine. I nostri cuori restano in effusione di adorazione e di amore intorno al SS.mo Sacramento, intorno al trono del Re pacifico e divino. Quale giocondità spirituale la nostra, quale consolazione nel partecipare a questa manifestazione di carattere solenne, pubblico, sociale in onore del grande mysterium fidei, mysterium charitatis!

Ancora una volta Roma ha voluto distinguersi in questo tributo di fedeltà religiosa e pia, come a dare il suggello alla stessa testimonianza trionfale, che da tutte le parti del mondo si leva verso Gesù, le cui sembianze restano velate ai nostri occhi, ma la cui grazia è esultante nei nostri cuori.

L'anno scorso traemmo ispirazione alla Nostra presenza e alla Nostra parola dalla meravigliosa realtà del Nobiscum Deus: Dio, l'Emmanuele con noi, nei riferimenti della nostra vita intima, tutta raccolta e quasi invisibile a noi stessi. Quest'anno Ci piace toccare il significato profondo della Nostra adorazione a Gesù Eucaristico, come omaggio sociale di tutti i componenti la nazione sua più vera, la Santa Chiesa universale, la natio tam grandis, quae habet Deum appropinquantem Sibi, come S. Tommaso d'Aquino interpreta magistralmente [1].

Certo è grande godimento dello spirito cogliere il carattere pubblico e collettivo del Corpus Domini, segnato nelle significazioni più alte del grande mistero. Il popolo cristiano Ci sta intorno e Ci avvolge nella sua compagine, che è, ad un tempo, ineffabilmente intima, e insieme trionfalmente esteriore. Oh! che parole, oh! che parole di S. Paolo a celebrazione della più stretta unità nel Corpus Mysticum Christi: « Il calice che noi benediciamo è vera comunione del Sangue di Cristo: il pane che spezziamo è comunione del Corpo di Cristo. Un unico pane ed un unico corpo noi formiamo, pur essendo molti, perchè dell'unico pane di tutti partecipiamo » [2].

Dal pubblico omaggio che tutti insieme noi rendiamo, diletti figli, traluce l'intima fusione dei nostri cuori: unum corpus multi sumus: e la tradizionale processione di questa sera prende una celeste intensità di significazione, la cui dolcezza ci inebria e ci esalta. Dall'altare dell'Ara Coeli, centro spirituale e politico dell'antica Roma, la misteriosa ed insieme splendente teoria snodantesi intorno alle pendici del Campidoglio è arrivata sin qui, in faccia al Colosseo: e qui si arresta come a simbolo maestoso del trionfo di Cristo e della sua Chiesa, sotto l'arco di Costantino, da un altro altare, mobile se volete, come le tende del deserto segnanti il passo delle umane e delle divine conquiste, ma affermazione dei ricordi del passato, impressi sulla attualità del presente. Oh! editto nobile e glorioso di Costantino proclamante in faccia ai secoli la libertà della Chiesa di Cristo: oh! voci di genti umane passate di qua e celebranti sotto questo arco l'inno perenne della fede cristiana dei secoli.

Oggi sotto le volte di questo arco vetusto e sempre solenne si è rinnovato l'altare: l'altare portatile di Gesù Eucaristia: e di qua tutta la città, tutta la diocesi di Roma attende la benedizione.

Diletti figli, più intimamente e particolarmente uniti all'umile sacerdote che vi parla ed a cui il Signore ha voluto conferire nella ampiezza più vasta e universale della sua significazione il titolo ed i compiti di Episcopus Ecclesiae Dei, in riferimento da Roma al mondo intero, accogliete il Nostro invito a deporre su questo altare innanzi tutto l'omaggio della generale riconoscenza per le grandi e magnifiche cose che il Padre celeste, col Figliuolo suo, e con lo Spirito Santo ci concesse di intraprendere in esercizio di ministero pastorale e di condurre a buon fine in questo anno, dalla prima festa del Corpus Domini celebrata con voi, alla giornata odierna.

Oh! salga al Signore, e al sacramento del suo amore, l'inno della gratitudine comune, innanzi tutto per la felice e sollecita celebrazione del Sinodo Diocesano, « grande avvenimento che venne a segnare una data faustissima per la vita religiosa dell'Urbe immortale: riuscita, amiamo constatarlo e ripeterlo, e fu grande manifestazione di forza spirituale » [3].

Riconoscenza lietissima per i contatti accresciuti e benedetti del Vescovo di Roma coi Suoi diocesani, nelle varie occasioni di solenni festività liturgiche e di pubbliche udienze, e per gli incontri vibranti di fede e di entusiasmo coi figli della periferia. Oh! le visite indimenticabili e consolanti a Centocelle, al Tiburtino, a Primavalle e alla Garbatella. Come non amare, e non sentirsi impegnati ad esercizio di amorevole sollecitudine per questi innumerevoli figli del popolo nostro, rivelanti ancora, nonostante le seduzioni e gli attraimenti della vita mondana, tanto vigore di pensiero cristiano e cattolico, e tanto sforzo di conformità alla buona tradizione religiosa dei secoli migliori della nostra storia?

Motivo di ringraziamento al Signore per la grazia concessaCi della canonizzazione dei due nuovi Santi Gregorio Barbarigo, Cardinale, Vescovo di Bergamo e di Padova, e di Giovanni de Ribera, Arcivescovo di Valenza in Spagna: due astri che si aggiungono al fulgore della Gerusalemme celeste, irradiante luce e fiamma viva di santa emulazione in questa Gerusalemme terrena, che è la Chiesa Santa pellegrinante verso la beata eternità.

Particolare commozione e compiacenza insieme hanno suscitato nel Nostro cuore queste due nuove Canonizzazioni, che il Signore Ci ha concesso di compiere: e nella glorificazione di questi due grandi Vescovi, che santamente vissero e fortemente operarono nella scia di intenso rinnovamento spirituale, apertasi dal Concilio di Trento, ed in cui Ci è parso riverberarsi come un sorriso del Cielo, in approvazione e ad incoraggiamento per il sollecito e già tanto promettente lavoro di preparazione del prossimo Concilio Ecumenico.

Oh! Fratelli e figli dilettissimi. Come Ci impressiona l'ammonimento Paolino: Vigila in omnibus, labora: veglia sopra tutte le cose, sopporta i travagli [4]: in omnibus, è la nota pastorale che si esprime attraverso tutti questi avvenimenti provvidi e lieti: un impulso fervoroso all'ordine della compagine sacerdotale, liturgica, apostolica; il gregge visitato e unito, affinché sia sempre più fermamente orientato nel riferimento alla vita spirituale, alla vita della Chiesa, che è avvio della terra verso lo spirituale, il soprannaturale e l'eterno. Questo è l'anelito continuo del Nostro animo, e sappiamo che esso suscita un'eco fedele di corrispondenza nei vostri cuori. Sappiamo che è nell'Eucaristia che esso trova l'ispirazione continua, ed il sostegno più sicuro, perchè Gesù Ostia Divina è alimento di vita eterna e pegno di gloria futura, aprendo su la vita terrena una visione di cielo.

Oltre al ringraziamento a Gesù qui presente, centro misterioso e vitale di tutti i nostri pensieri ed affetti di credenti, vogliamo aggiungere, diletti figliuoli, la pubblica e comune preghiera rivolta verso l'avvenire, a ricerca dolce e continuata della grazia del Signore per le prossime mete della vita spirituale dell'Urbe, al cui raggiungimento tende la quotidiana sollecitudine del Pastore. Oh! la grande supplica anche per i bisogni di Roma, unanime ed insistente, affinché l'Altare dell'Eucaristia sia arricchito di anime sacerdotali, che ne siano il più bell'ornamento con l'ardore della loro pietà e il candore intemerato della loro innocenza: Sacerdotes Domini incensum et panes offerunt Deo: et ideo sancti erunt Deo suo [5].

Si preghi, si preghi assai, affinché le vocazioni siano favorite e aiutate dalle famiglie, dalle persone buone, da chi ha a cuore l'avvenire religioso di questa Città dei Martiri e dei Santi; si levi ancora la invocazione di tutti a implorare il dono della fedeltà e della perseveranza nel lieto adempimento della legislazione ecclesiastica, annunziata dal Sinodo, e che presto, a Dio piacendo, andrà in vigore per tutta la Diocesi; e specialmente si insista con fervore per il rinvigorimento della vita parrocchiale, affinché essa possa efficacemente dispiegare tutte le sue energie per la conquista della società in tutti i suoi ceti al Regno soavissimo di Cristo Signore.

O Gesù Benedetto, in quem cor et caro nostra exsultant [6], scenda ora la tua benedizione, apportatrice di pace e di amore, scenda su quanti oggi, in questa Roma e nel mondo intero, ti hanno manifestato solennemente la loro adorazione; scenda su le case, santificate dal tuo passaggio, a impreziosirvi il dovere, a fecondarvi il dolore, a togliere quanto ti dispiace; scenda anche sui lontani, su gli indifferenti, su gli avversari, a far loro sentire la pungente nostalgia di un definitivo ritorno.

O Signore Gesù! Benedici in modo speciale questa tua Città, che oggi è davanti a Te nella sua triplice compagine, religiosa, civica e sociale: suscita in essa un santo fervore di opere, un salutare rinnovamento del costume, un provvido rafforzamento della famiglia: chiama al tuo servizio eucaristico schiere sempre più numerose di apostoli, che come germogli di olivo circondino il tuo altare. E sii per tutti i cuori luce di soavità, balsamo di conforto, forza di buon proposito: fiat, fiat!



[1] Resp. in III Noct. Off. Corp. Christi; cfr. Opusc. 57, Edit. Rom.

[2] Cfr. 1 Cor. 10, 16-17.

[3] Cfr. Discorso di chiusura del I Sinodo Romano; AAS. LII [196] pp. 297-298.

[4] 2 Tim. 4, 5.

[5] Cfr. Lev. 21, 6.

[6] Ant. in III Noct. Offic. Corp. Christi.

*********************************

[SM=g1740733] da CantualeAntonianum riportiamo anche un paio di note storiche utili....

Oggi ci pare assolutamente normale che il Papa celebri la Messa a San Giovanni in Laterano, cattedrale di Roma, e poi vada in processione per via Merulana fino a Santa Maria Maggiore per la benedizione eucaristica. Ma le cose non sono sempre andate così. Per 63 anni, dalla presa di Roma ai Patti lateranensi, il Pontefice non celebrò mai nella sua cattedrale.
Quest'anno ricordiamo come finalmente, a maggio dell'Anno Santo 1933, ottant'anni fa, il giorno 25 del mese, festa dell'Ascensione, dopo la Messa Papa Ratti, Pio XI, poté tornare ad affacciarsi alla loggia papale di San Giovanni e salutare la folla sterminata che si era radunata in quella storica occasione. Sempre dagli archivi dell'Istituto Luce, ecco la registrazione video dell'evento


Testo preso da: Il ritorno del Papa a San Giovanni in Laterano: quest'anno l'80° anniversario www.cantualeantonianum.com/2013/05/il-ritorno-del-papa-san-giovanni-in.html#ixzz2...


Giornale Luce B0271 del 05/1933

DOPO 63 ANNI IL PAPA TORNA A SAN GIOVANNI LATERANO....

Descrizione sequenze:Veduta frontale di San Giovanni in Laterano ; La folla radunata in attesa del Papa ; Il Papa si affaccia dalla loggia ; Pio XI legge il libro pontificale ; Benedizione del Papa ai pellegrini che salutano festosamente ; notare la piazza piena e festante....
www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=pMzb7UJXmfE



[SM=g1740717]

[SM=g1740717]

[SM=g1740738]



[Modificato da Caterina63 30/05/2013 13:39]
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[SM=g1740758] Dalle «Opere» di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa
(Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)

L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi da uomini dèi. Offrì a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo, perché fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.

Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: Per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.


*****************

Preghiera di San Tommaso d'Aquino utile per i Sacerdoti prima della Messa, e importante per i laici prima della Comunione....

«Dio onnipotente ed eterno, ecco che mi accosto al sacramento dell'unigenito Figlio tuo, Signor nostro Gesù Cristo: mi accosto come infermo al Medico che gli ridona la vita, come immondo alla fonte della misericordia, come il cieco alla luce della chiarezza eterna, come  povero e  bisognoso al Signore del cielo e della terra.
Prego dunque la Tua grande ed immensa generosità perché Ti degni di curare il mio male, di lavare il mio vizio, illuminare la mia cecità,  arricchire la mia povertà,  vestire la mia nudità, affinché riceva il pane degli Angeli, il Re dei re, il Signore dei signori con tanta riverenza e umiltà, con tanta contrizione e devozione, con tanta purezza e fede, acciocchè, mediante tali propositi e buone intenzioni, possa conseguire la salvezza della mia anima.
Concedimi, Ti prego, che io riceva non solo il Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma anche la grazia e la virtù di questo Sacramento.
O mitissimo Iddio, concedimi così di ricevere il Corpo dell'unigenito Figlio Tuo, Signore nostro Gesù Cristo, che nacque dalla Vergine Maria, in modo che io meriti di essere incorporato al suo mistico Corpo e  annoverato fra le Sue mistiche membra di Lui.
O amantissimo Padre, concedimi finalmente di contemplare  a faccia a faccia per l'eternità il Tuo diletto Figlio , che intendo ricevere ora nel mio terrestre cammino, sotto i veli del Mistero.
Egli che è Dio, e vive e regna con Te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen».

in latino:

Omnipotens sempiterne Deus, ecce, accedo ad Sacramentum unigeniti Filii Tui, Domini nostri Jesu Christi; accedo tamquam infírmus ad médicum vitae, immúndus ad fontem misericórdiae, caecus ad lumen claritátis aetérnae, páuper et egénus ad Dóminum coeli et terrae.
Rogo ergo imménsae largitátis tuae abundántiam, quátenus meam curáre dignéris infirmitátem, laváre foeditátem, illumináre caecitátem, ditáre paupertátem, vestíre nuditátem; ut panem Angelórum, Regem regum et Dóminum dominántium, tanta suscípiam reveréntia et humilitáte, tanta contritióne et devotióne, tanta puritáte et fide, tali propósito et intentióne, sicut éxpedit salúti ánimae meae. 
Da mihi, quaeso, domínici Córporis et Sánguinis non solum suscípere sacraméntum, sed étiam rem et virtútem sacraménti.
O mitíssime Deus, da mihi Corpus unigéniti Fílii tui, Dómini nostri, Iesu Christi, quod traxit de Vírgine Maria, sic suscípere, ut córpori suo mystico mérear incorporári, et inter eius membra connumerári.
O amatíssime Pater, concéde mihi diléctum Fílium tuum, quem nunc velátum in via suscípere propóno, reveláta tandem fácie perpétuo contemplári:
Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia saécula saeculórum. Amen.


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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì,
30 maggio 2013

[Video]






 

Cari fratelli e sorelle,

nel Vangelo che abbiamo ascoltato, c’è un’espressione di Gesù che mi colpisce sempre: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). Partendo da questa frase, mi lascio guidare da tre parole: sequela, comunione, condivisione.

1. Anzitutto: chi sono coloro a cui dare da mangiare? La risposta la troviamo all’inizio del brano evangelico: è la folla, la moltitudine. Gesù sta in mezzo alla gente, l’accoglie, le parla, la cura, le mostra la misericordia di Dio; in mezzo ad essa sceglie i Dodici Apostoli per stare con Lui e immergersi come Lui nelle situazioni concrete del mondo. E la gente lo segue, lo ascolta, perché Gesù parla e agisce in un modo nuovo, con l’autorità di chi è autentico e coerente, di chi parla e agisce con verità, di chi dona la speranza che viene da Dio, di chi è rivelazione del Volto di un Dio che è amore. E la gente, con gioia, benedice Dio.

Questa sera noi siamo la folla del Vangelo, anche noi cerchiamo di seguire Gesù per ascoltarlo, per entrare in comunione con Lui nell’Eucaristia, per accompagnarlo e perché ci accompagni. Chiediamoci: come seguo io Gesù? Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri.

2. Facciamo un passo avanti: da dove nasce l’invito che Gesù fa ai discepoli di sfamare essi stessi la moltitudine? Nasce da due elementi: anzitutto dalla folla che, seguendo Gesù, si trova all’aperto, lontano dai luoghi abitati, mentre si fa sera, e poi dalla preoccupazione dei discepoli che chiedono a Gesù di congedare la folla perché vada nei paesi vicini a trovare cibo e alloggio (cfr Lc 9,12). Di fronte alla necessità della folla, ecco la soluzione dei discepoli: ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Ognuno pensi a se stesso; congedare la folla! Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: “Che Dio ti aiuti”, o con un non tanto pietoso: “Felice sorte”, e se non ti vedo più… Ma la soluzione di Gesù va in un’altra direzione, una direzione che sorprende i discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma come è possibile che siamo noi a dare da mangiare ad una moltitudine? «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente» (Lc 9,13). Ma Gesù non si scoraggia: chiede ai discepoli di far sedere la gente in comunità di cinquanta persone, alza gli occhi al cielo, recita la benedizione, spezza i pani e li dà ai discepoli perché li distribuiscano (cfr Lc 9,16). E’ un momento di profonda comunione: la folla dissetata dalla parola del Signore, è ora nutrita dal suo pane di vita. E tutti ne furono saziati, annota l’Evangelista (cfr Lc 9,17).

Questa sera, anche noi siamo attorno alla mensa del Signore, alla mensa del Sacrificio eucaristico, in cui Egli ci dona ancora una volta il suo Corpo, rende presente l’unico sacrificio della Croce. E’ nell’ascoltare la sua Parola, nel nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, che Egli ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione. L’Eucaristia è il Sacramento della comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela, la fede in Lui. Allora dovremmo chiederci tutti davanti al Signore: come vivo io l’Eucaristia? La vivo in modo anonimo o come momento di vera comunione con il Signore, ma anche con tutti i fratelli e le sorelle che condividono questa stessa mensa? Come sono le nostre celebrazioni eucaristiche?

3. Un ultimo elemento: da dove nasce la moltiplicazione dei pani? La risposta sta nell’invito di Gesù ai discepoli «Voi stessi date…», “dare”, condividere. Che cosa condividono i discepoli? Quel poco che hanno: cinque pani e due pesci. Ma sono proprio quei pani e quei pesci che nelle mani del Signore sfamano tutta la folla. E sono proprio i discepoli smarriti di fronte all’incapacità dei loro mezzi, alla povertà di quello che possono mettere a disposizione, a far accomodare la gente e a distribuire – fidandosi della parola di Gesù - i pani e pesci che sfamano la folla. E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto. Solidarietà: una parola malvista dallo spirito mondano!

Questa sera, ancora una volta, il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, Lui si fa dono. E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo e la morte. Gesù anche questa sera si dona a noi nell’Eucaristia, condivide il nostro stesso cammino, anzi si fa cibo, il vero cibo che sostiene la nostra vita anche nei momenti in cui la strada si fa dura, gli ostacoli rallentano i nostri passi. E nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla.

Chiediamoci allora questa sera, adorando il Cristo presente realmente nell’Eucaristia: mi lascio trasformare da Lui? Lascio che il Signore che si dona a me, mi guidi a uscire sempre di più dal mio piccolo recinto, a uscire e non aver paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri?

Fratelli e sorelle: sequela, comunione, condivisione. Preghiamo perché la partecipazione all’Eucaristia ci provochi sempre: a seguire il Signore ogni giorno, ad essere strumenti di comunione, a condividere con Lui e con il nostro prossimo quello che siamo. Allora la nostra esistenza sarà veramente feconda. Amen.

 







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[Modificato da Caterina63 02/06/2013 15:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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