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A 200 anni dalla nascita del cardinale G. Massaia, frate cappuccino e missionario

Ultimo Aggiornamento: 27/05/2011 12:31
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27/05/2011 12:31
 
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L'abuna Messias


Cristina Siccardi ha da poco pubblicato per i tipi delle Paolone un saggio dedicato ad una figura luminosa di missionario ed esploratore ottocentesco: il grande cardinale Massaia, il famoso abuna Messias che è stato immortalato in un bel film di Alessandrini del 1939 (coppa Mussolini al Festival di Venezia di quell'anno, per l'implicita esaltazione dell'avventura coloniale in Africa Orientale). Ecco un brano dalla presentazione del libro:

Vocazione precoce, preghiera assidua, Santo Sacrificio come centro della sua vita, il Crocifisso come pilastro, Guglielmo Massaja, frate, missionario, Vescovo, Cardinale, ha lottano fino all’estremo per riuscire a fondare e a consolidare la missione fra la popolazione etiope degli Oromo. Si potrebbe paradossalmente definirlo “martire vivo” questo Homo Dei che non ha fatto nient’altro che eseguire alla lettera gli insegnamenti di Gesù Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno» . Diciotto volte in punto di morte, eppure la morte lo risparmiò e rimase in vita, là, in Etiopia, sotto le asprezze di un territorio insidioso, sia per la natura in sé, sia per le persecuzioni contro di lui scatenate dalle autorità religiose copte e da quelle civili.

Avrebbe desiderato perire da martire, versare il sangue per Cristo, ma si riteneva indegno di coronare la sua esistenza con la palma del martirio… Visse sempre in estrema umiltà e povertà: il suo saio, nei trentacinque anni di missione, lo confezionava con le proprie mani e non era di panno, bensì di ruvida tela. I suoi modelli erano san Paolo e san Francesco, suoi insegnanti sant’Agostino e san Tommaso e li incarnò tutti e quattro, portando in Africa, in condizioni a volte disperate, la luce del Vangelo. Sacerdote prima di tutto, ma le sue mani, oltre a trasformare il pane e il vino in Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù, erano in grado di diventare anche le mani di un medico, di un farmacista, di un sarto, di un calzolaio, di un falegname… Pioniere missionario, attraverso la sua solida Fede, la sua indefettibile dottrina, le virtù praticate giorno dopo giorno e la Grazia che gli era infusa, ha saputo risolvere situazioni umanamente impossibili ed è per queste ragioni che oggi il nome di Guglielmo Massaja, Servo di Dio, attende di essere inserito fra i santi della Chiesa . «Nessun viaggiatore ed esploratore, nessun missionario  in sette secoli lo ha sorpassato nell’ardimento e nelle difficoltà delle sue peregrinazioni attraverso l’Africa orientale. […] propriamente egli è l’apostolo dell’Etiopia, perché nessuna regione di quella nazione è sfuggita al suo sguardo d’aquila e al suo cuore di apostolo» .
Maestro di religione, di astronomia, di botanica, di zoologia, insegnava ai suoi figli africani l’artigianato che si era industriato ad imparare; infatti considerava l’istruzione ottima strada per guidare le anime alla Fede ed essa stessa favoriva l’istruzione in una sorta di circolo virtuoso, così come è sempre accaduto nella civiltà cristiana, che nel portare la Buona Novella ha garantito la promozione umana.

Attento alle dinamiche della storia, della quale aveva una lettura provvidenziale, guardava con estrema preoccupazione agli europei, imbevuti di positivismo, razionalismo e demagogia, al dilagare delle idee del liberalismo che si stavano impossessando degli Stati e della cultura, agli assalti dell’indifferentismo e dell’ateismo, prodotti da quella che considerava un’equazione: Protestantesimo-razionalismo-ateismo-massoneria. L’ateismo, diceva, era una realtà inconcepibile fra gli indigeni delle tribù etiopi, infatti ai «miei africani» pareva impossibile che esistesse al mondo gente che non credesse in Dio. Sosteneva che l’opera apostolica è opera di secoli, non di un giorno, né di un anno, né di un solo uomo e la pazienza, la costanza e la fedeltà, che ricordano quelle della provata figura biblica di Giobbe  (che significa «perseguitato», «sopporta le avversità»), erano sue compagne quotidiane.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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