A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Sollecitazioni (attualissime) alle Comunità Cattoliche di Benedetto XIV 1740 - 1758

Ultimo Aggiornamento: 24/08/2012 19:00
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Benedetto XIV
Gravissimum supremi


Il ponderoso ministero del Supremo Apostolato, che Ci fu conferito senza merito, richiede soprattutto due elementi: primo condurre ad abbracciare la Santa Religione quei popoli che non l’hanno mai ricevuta o che dopo averla ricevuta, per una misera, infelice sciagura, la perdettero; secondo, che la Religione stessa acquisita venga diligentemente mantenuta in quei luoghi nei quali è conservata integra per Divina Provvidenza. Inoltre, col nome di Religione non intendiamo soltanto quelle verità che necessariamente dobbiamo tenere per fede per giungere a salvezza, ma anche quei principi che si devono manifestare coi fatti per mostrare vita e costumi consentanei alla Religione cristiana e per conseguire, dopo il percorso di questa vita, la beata felicità in cielo.

1. In verità i Romani Pontefici Nostri Predecessori, per rispondere a questo dovere, scelsero in ogni epoca uomini eminenti per pietà e dottrina per diffondere in ogni continente la Fede Cattolica; aderendo ai loro esempi, secondo la pochezza delle nostre forze e le difficoltà dei tempi, Noi abbiamo mantenuto la stessa linea. In secondo luogo i Romani Pontefici misero sempre ogni cura per suscitare la disciplina dei costumi e la santità decaduta in talune Diocesi; non stimavano sufficiente lo zelo del solo Vescovo e la sua attività di organizzatore. Infatti, o inviarono in quelle Diocesi Visitatori Apostolici, o usarono altri rimedi che sembravano più idonei. Anche Noi abbiamo seguito lo stesso pensiero ogni volta che giunsero alle nostre orecchie le lamentele dei fedeli affinché con lo zelo attenuassimo le note negligenze prima di presentarci al Giudice Supremo. Infatti, spesso abbiamo designato Visitatori muniti di autorità pontificia che riconducessero alla pristina disciplina, dove fosse necessario. Demmo molti messaggi a Vescovi particolari, a molti o a tutti per sollecitare il loro zelo; abbiamo preso altri provvedimenti o iniziative, che qui è inutile elencare.

2. Dopo di che, non possiamo nascondere che Noi abbiamo cercato nelle vostre città onesti cittadini, ma abbiamo trovato che parecchi erano smarriti, soprattutto in montagna, separati dalle vostre sedi, e trascorrono una vita lontana da ogni virtù. Essi, se non si allontanano dalla Fede, come speriamo, tuttavia coi costumi corrotti, e con le conseguenze che ne derivano, attirano contro di sé l’ira divina e si affrettano verso la morte senza prima aver mostrato degni frutti di penitenza.

3. Questo richiede soprattutto la vostra e la Nostra diligenza, affinché in così grave situazione non sembriamo oziosi e pigri. Perciò a lungo abbiamo pensato ai rimedi opportuni, e per prima cosa Ci siamo affidati a Dio, padre della luce; poi abbiamo rivolto le Nostre preghiere alla Beata Vergine nel cui giorno natalizio abbiamo redatto questa lettera. Poi abbiamo creduto bene di dover esortare Voi ad eseguire con tenacia, per il bene delle vostre Diocesi, ciò che vi abbiamo sottoposto.

4. In questo tempo Noi stessi, con incarichi più modesti per parecchi anni, abbiamo esercitato l’ufficio di Promotore della Fede, di cui è proprio, previo accurato esame, soppesare virtù e meriti di coloro che sono da annoverare tra i Santi, e in quel tempo per più anni appartenemmo al Segretariato della Sacra Congregazione dei Cardinali interpreti del Concilio di Trento, che in virtù del loro incarico cercano in ogni modo di togliere di mezzo la corruzione che insidia le Diocesi.

Inoltre, avendo conosciuto in quel tempo, per familiare consuetudine, molti Vescovi eminenti per profonda dottrina e per zelo di pietà, e avendo tenuto inoltre, prima del Pontificato, la sede di Ancona ed essendo stato trasferito alla sede di Bologna (la cui Amministrazione abbiamo portato avanti con la Sede pontificia), Ci siamo fermati in essa oltre un decennio. Ammaestrati dalla lunga esperienza, abbiamo capito che a correggere i corrotti costumi, che cominciano a serpeggiare e che già vigoreggiano, o confermati dal tempo occupano troppo largamente le Diocesi, nulla giova di più che implorare l’aiuto e le forze altrui, e cioè indire dovunque le Sacre Missioni, soprattutto in quelle zone che più sono separate dalla Città.

5. I Missionari giustamente sono paragonati all’apostolo Giovanni e ai suoi colleghi che furono chiamati da un’altra imbarcazione per dare una mano a Pietro e ad Andrea, che tribolavano nel mare o perché non potevano, per l’abbondanza del pescato, tirare a secco le reti, come si sa dal Vangelo di Luca, che Maldonato commenta così: "I Pastori della Chiesa, quando da soli non bastano alla carica imposta o solo accettata, devono chiamare altri da cui possano essere aiutati". La stessa cosa, prima di Maldonato, aveva notato Giansenio (Concordanze Evangeliche, cap. 25).

6. Quando facemmo il Promotore della Fede, esaminammo le virtù e le cose prodigiose compiute dai servi di Dio Giovenale Ancina, Vescovo di Saluzzo; Cardinale Roberto Bellarmino, Arcivescovo di Capua; Alessandro, prima Vescovo di Saulo e poi di Pavia, che Noi dichiarammo beato in forma solenne; e infine dai santi Vincenzo de’ Paoli e Giovanni Francesco Regis, che i Papi Nostri Predecessori regolarmente iscrissero nell’albo dei Santi. Pertanto, meditando le egregie imprese di questi uomini eminenti, una gloria incredibile era derivata ai primi tre nell’amministrare la cura delle anime, soprattutto per questa ragione, che posero ogni sforzo perché si facessero le Sacre Missioni nelle loro Diocesi.

I due poi che abbiamo nominati per ultimi furono trovati pieni d’amore verso Dio e verso il prossimo; e soprattutto San Vincenzo de’ Paoli sentì tale carità al punto da istituire la Congregazione dei Missionari ed egli stesso, finché glielo permise la salute, esercitò le stesse Missioni. Anche Giovanni Regis mostrò pubblicamente d’essere divorato dal sacro fuoco della carità con cui non esitò affrontare monti asperrimi e difficili per istruire popolazioni ignare della dottrina e dei costumi cristiani, tutte le volte che lo richiedeva il Vescovo o il suo sostituto.

7. Del pari non ignorate che è nel costume dei Vescovi, in tempi stabiliti, riferire alla Sacra Congregazione Interprete del Concilio di Trento sulle proprie Chiese ed esibire chiaramente il loro stato. Pertanto, essendo Noi stessi Segretario, tutte le volte che in una Diocesi si riferiva essere state indette le Missioni per comando della Congregazione stessa o dei Sommi Pontefici, lodammo molto nelle risposte queste decisioni, che si era soliti inviare ai Vescovi, e non dimenticammo di esortarli a proseguire la lodevole iniziativa. Non una sola volta ci fu ordinato di redarguire Vescovi che non chiamarono i pii Missionari per risvegliare nel Popolo la pietà languente come essi stessi riferivano, e per sollecitare la disciplina fra gli Ecclesiastici, e in ambedue i casi per frenare la facilità di peccare congiunta con lo scandalo.

8. È stata stampata la storia delle imprese di Benedetto XIII, benemerito verso di Noi, ornamento della Vostra Nazione e Arcivescovo per molti anni della Chiesa di Benevento. Parimenti è stata stampata la vita del Cardinale Inigo Caracciolo, che occupò la sede di Aversa con grande esempio di virtù, e del Vescovo De Cavalieri, che amministrò la Chiesa di Troia con grande pietà e zelo religioso. Se non li avete mai avuti davanti agli occhi o in seguito vi proporrete questi libri, capirete subito quali grandi frutti vennero loro ed ai popoli loro affidati dalle Missioni che organizzarono nelle rispettive Diocesi. Noi in verità abbiamo letto accuratamente queste storie e con gran piacere abbiamo seguito la divulgazione a stampa di tutto quello che quegli uomini celeberrimi spesso spiegarono a Noi, mentre ancora erano in vita. Infatti Benedetto XIII, quando era Pontefice, sempre usò della nostra opera. Gli altri che ora abbiamo nominato non una volta sola ebbero bisogno di parlare con Noi, e a loro demmo lettere, con le quali fosse facilitata la loro Missione.

9. Da ultimo Noi stessi abbiamo scoperto l’utilità e la necessità delle Sacre Missioni, tutte le volte che le facemmo nella Diocesi di Ancona, nel tempo in cui ci fu affidata, e quando Noi amministrammo di presenza la Chiesa di Bologna. Ed anche ora ci facciamo parte diligente perché le stesse Missioni sono indicate da colui che, secondo le norme, ci sostituì e seguì i consigli da Noi prescritti. Allora vedemmo essere conforme a verità quello che il gesuita Paolo Segneri, oratore, scrittore, famosissimo per le sue Missioni, lasciò scritto: "In tempo di Missioni si possono chiamare tanti predicatori di merito quanti, animati dalle pie esercitazioni, sono infiammati alla confessione; col loro esempio attraggono altri ad esercitare la stessa virtù. Da quelle Missioni deriva un frutto maggiore se il popolo è intervenuto con maggiore frequenza; per questa ragione più aumenta l’intensità del fuoco se nello stesso luogo si ammassano più carboni".

10. Da ultimo si può dire che questo rimedio che si propone di correggere i vizi del popolo non è nuovo, né incerto, né inventato da Noi. È un rimedio antico, adattissimo per curare i mali e forse unico, poiché tanti Vescovi insigni per la loro pietà lo usarono con grande utilità nelle loro Diocesi. Noi stessi lo abbiamo provato tante volte, e anche Voi che senza dubbio avete rieducato il Popolo a Voi affidato con le Sacre Missioni.

11. Ma perché questo rimedio non manchi della sua efficacia, si deve pregare molto Dio perché "non chi pianta è qualcuno, né chi irriga, ma chi fa crescere Dio" (1Cor 3,7). Quindi si devono scegliere Missionari eminenti per dottrina e che istruiscano la gente con cura. Poiché a ragione supponiamo, e lo scriviamo non senza lacrime e tristezza, che molte anime fra quelle che a Noi e a Voi furono affidate, siano precipitate verso la perdizione, dirò, come dicono i Teologi, che esse ignorarono del tutto le cose necessarie per mancanza del mezzo. Si devono chiamare Missionari che dopo aver richiamato il popolo per i peccati e gli scandali, ne mostrino la gravità e la malizia con le loro prediche, e li possano riprendere fortemente. Ci consta per la testimonianza di San Marco, cap. 3, ove Cristo sceglie gli Apostoli per mandarli a predicare (Mc 3,15).

Lo stesso si desume dagli Atti degli Apostoli, c. 6, dove attestano che la predicazione della parola è come peculiare incarico a loro affidato: "Non è giusto che noi abbandoniamo la parola di Dio e serviamo alle mense" (At 6,2). La stessa cosa insegna San Paolo nella Prima ai Corinzi: "Cristo non mi mandò a battezzare, ma ad evangelizzare" (1Cor 1,17), e nell’epistola 2 a Timoteo: "Attesto davanti a Dio e a Gesù Cristo, che giudicherà i vivi e i morti: per il suo avvento e per il suo regno predica la parola, insisti opportunamente e inopportunamente" (2Tm 4,1-2).

12. Inoltre i Missionari, col metodo della loro vita e con l’esempio, devono infervorare il popolo alla virtù. "In ogni circostanza offri te stesso come esempio di buone opere" dice lo stesso Apostolo a Tito (Tt 2,7). San Luca negli Atti degli Apostoli testimonia che Cristo Signore "cominciò a fare e a insegnare" (At 1,1). Da ultimo è necessario che i Missionari si dedichino completamente a Dio, né nutrano alcun desiderio di vanagloria mentre attendono ad istruire il popolo, o speranza di guadagno, anche modesto. Sappiamo infatti che le Missioni hanno recato gran frutto, quando San Carlo teneva la sede di Milano. Questo accade anche ora per opera e virtù degli Oblati, che egli istituì, e che si chiamano "di Sant’Ambrogio". Infatti, oltre al resto, hanno prescritto questo: di non recare incomodo a nessuno e di non essere spinti da alcuna ragione a prendere alcunché in dono, come si apprende chiaramente dagli Atti della Chiesa Milanese (stampati nel 1599, par. 5, p. 841).

Volgete il pensiero a San Giovanni Crisostomo, che nell’Omelia 46 sopra Matteo dice che tutto il mondo fu portato dagli Apostoli dall’errore alla verità, dalla vecchia superstizione ad abbracciare la verità cristiana, non perché avessero richiamato i morti a nuova vita, ma perché avevano liberato l’anima da ogni passione e dall’avarizia: "Che cosa, infatti, li fa apparire grandi? Il disprezzo del denaro, della gloria, l’esenzione da tutte le preoccupazioni della vita; se non avessero avuto ciò, anche se avessero resuscitato i morti, non solo non avrebbero giovato a nessuno, ma sarebbero stati giudicati degli imbroglioni" (Giovanni Crisostomo, Om. 46 sopra Matteo).

13. La città di Napoli accoglie gran numero di Ecclesiastici, che si raccomandano assai per pietà, dottrina ed esperienza in fatto di Missioni. Sono piene di siffatti uomini le Congregazioni della Sede Arcivescovile di padre Pavone, e di Sacerdoti che prendono il nome da San Gregorio, che si chiamano Pii Operai. Inoltre non mancano abitazioni di Sacerdoti che seguono la Congregazione di San Vincenzo de’ Paoli. La messe è molta e gli operai sono sufficienti, se verranno distribuiti così come lo richiedono l’utilità e la necessità della popolazione.

14. Userete il Nostro Diletto Figlio card. Spinello, Arcivescovo di Napoli, sulla cui responsabilità sarà da farsi ogni cosa; per questa ragione gli inviamo una Nostra Lettera nella quale gli chiediamo di prendere codesta zona e gli diamo facoltà di assumere, in un affare così importante, altri aiutanti o chi provveda per lui, dal momento che non ci sfugge da quali pesanti preoccupazioni sia gravato e quali dolori abbia affrontato e affronti, perché la Vigna del Signore sia convenientemente coltivata. Se alcuno di Voi chiede le Missioni, vada dallo stesso Cardinale, che designerà Sacerdoti adatti come richiederà il bisogno; fisserà il loro numero e assegnerà il tempo, perché vengano portate a termine le Missioni. Infatti egli, saggio com’è, capirà che nel medesimo tempo non si può fare tutto.

15. I Missionari hanno bisogno di facoltà straordinarie, che daremo volentieri attingendo dal tesoro della Chiesa, perché essi compiano felicemente l’importantissima opera. Indicheremo queste facoltà al cardinale Spinello, perché i Missionari, recandosi da lui oppure da altri sostituti, ottengano facilmente quello che più conviene alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime.

16. Comprendiamo le difficoltà che freneranno i Missionari dal recarsi presso i Sanniti e i Calabri. Tuttavia, essendovi in quei luoghi i Padri Domenicani e i Gesuiti, i loro Generali per ordine Nostro raduneranno i Provinciali, affinché scelgano alcuni tra i loro uomini, che colà facciano le Missioni, senza alcun compenso da parte del clero o dei pubblici amministratori, quando faranno le Missioni. I loro nomi saranno comunicati al cardinale Spinello, a cui si rivolgeranno i Vescovi del Sannio e della Calabria, affinché le Missioni si svolgano regolarmente nelle loro Diocesi, come fuor di dubbio confidiamo accadrà nelle altre Diocesi che non sono molto lontane dalla città di Napoli.

17. Ma ci sembrerebbe inutile ogni nota, per l’esimia pietà e religiosità del Carissimo Nostro Figlio in Cristo, Carlo, Re delle Due Sicilie, se non vi ammonissimo a chiedere allo stesso Re di interporre generosamente la sua autorità, se sarà necessario, per fare regolarmente le Missioni. Infatti è noto a Noi per esperienza, né a Voi certamente è nascosto, che nulla già in passato fu a lui proposto nel Regno che non potesse soprattutto servire alla gloria di Dio.

18. Poniamo fine a questa Lettera, perché non sembri un po’ troppo lunga, mettendovi sotto gli occhi l’esempio del Santo Re Giosafat. I Sacerdoti, come ministri, andavano incontro al Re vincitore e "insegnavano al popolo di Giuda avendo il libro della legge del Signore, e percorrevano tutte le città di Giuda ed erudivano il popolo" (2Cr 17,9). Né bastò al Re l’opera dei Sacerdoti, ma egli stesso si recò presso il popolo di Bersabea "fino al monte Efraim e li richiamò al Signore, Dio dei loro padri" (2Cr 19,4), come viene detto al cap. 19.

Stabilite di imitarlo; e non solo mandate i Sacerdoti attraverso le Diocesi, ma voi stessi percorretele tutte le volte che problemi più gravi ve lo permettano. Così il popolo, toccato dalla vostra presenza e dalla vostra virtù, sarà più infervorato ad imboccare la strada del Signore. Se c’è da sopportare qualche incomodo, commuoverete Dio più facilmente a questa condizione, che non vi faccia pagare per la negligenza con cui trascuraste di visitare la Diocesi – restando in Sede – quando era necessario: ciò che sappiamo per certo essere accaduto ad alcuni di voi.

E non mancheranno i provvedimenti della Provvidenza Apostolica a questo male che si trascina nel tempo. Frattanto non tralasceremo di ricordare Voi e il vostro gregge, tutte le volte che celebreremo all’altare.

A Voi e al Popolo affidato alle Vostre cure, impartiamo di cuore la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, l’8 settembre 1745, anno sesto del Nostro Pontificato.




http://www.totustuus.biz/users/magistero/bened14.htm

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Benedetto XIV - In suprema Catholicae

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Benedetto XIV

http://www.centrosangiorgio.com/armi_soprannaturali/esorcizzare_o_intervistare/benedetto_xiv.jpg

In suprema Catholicae

l'applicazione della vera Misericordia


Nel supremo governo della Chiesa Cattolica, che Dio Onnipotente Ci ha affidato per l’ineffabile generosità della sua Divina Bontà, Noi confidavamo che avremmo trovato un non lieve aiuto alla Nostra debolezza nella concordia generale dei Principi Cristiani. Donde, al Nostro animo quasi prostrato e atterrito per la grandezza e la difficoltà di un così grande impegno, era derivata una grande speranza di trovarci in tempi nei quali, spenti gl’incendi delle guerre, ottenuta l’unione dei Regni, scomparso il timore dei nemici e ottenuta la tranquillità per mezzo di Colui che comanda ai venti e al mare, avremmo potuto adempiere più facilmente ai doveri del Nostro Ufficio Pastorale e alla cura del gregge del Signore.

Ma dopo aver avuto un esordio meno aspro nell’ufficio intrapreso, in seguito si manifestò gradualmente una situazione della Cristianità sempre più triste e luttuosa, fino al punto che, deflagrando tutta l’Europa, come se fossero state poste ovunque le faci di guerra, ora Ci agitano i flutti turbolentissimi della tempesta, e quasi Ci sommergono; così da essere costretti a denunciare a Voi più apertamente e con gemiti e lamenti, con il Nostro Predecessore San Gregorio Magno, la fine di un mondo ormai senescente e l’avvicinarsi del giorno dell’ira e della vendetta.

Infatti abbiamo notizia che insorge un Regno contro l’altro Regno e un popolo contro l’altro popolo, pur essendo tutti onorati del nome di Cristiani; la loro aggressività affligge le terre e quello che accade altrove Noi, versando tante lacrime, scorgiamo che avviene qui sotto gli stessi Nostri occhi. Vari terremoti in diversi luoghi avevano dato in precedenza l’avvertimento affinché fuggissimo dalla zona di pericolo: campi e raccolti portati via da alluvioni; un pestifero contagio fra i peggiori ha spopolato in lungo e in largo diverse regioni; i campi abbandonati dai coloni; moltissimi uomini uccisi dalla sete e dalla fame. Le città vuote di abitanti; le vie coperte di cadaveri; corpi insepolti sopra altri corpi e inoltre il sangue sparso come acqua: segni evidenti dello sdegno divino apparvero ovunque e ancor oggi mostrano il braccio di una giustizia vendicatrice; anzi, affinché non appaia che manchi qualcosa a queste acerbissime calamità che sovrastano specialmente l’Italia, Noi stessi viviamo fra le spade e quasi temiamo che, percosso il Pastore, le pecore si disperdano.

1. Ma giustamente ricordando che il Signore, quando è adirato si ricorda della sua misericordia e non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva, facendo degni frutti di penitenza, con private e pubbliche preghiere abbiamo scongiurato il Signore che allontani da noi la Sua indignazione; tuttavia affinché Egli profonda più largamente le ricchezze della Sua misericordia su di noi che ricorriamo al trono della Grazia, seguendo il costume primitivo della Chiesa Romana, abbiamo decretato di aprire i tesori dei favori celesti e di erogarli con liberalità affinché in questo tempo propizio, quando apparirà l’umanità del Nostro Dio Salvatore, sorga nei suoi giorni l’abbondanza della pace, ed Egli facendo sparire le guerre fino ai confini della Terra, spezzi l’arco che ha teso, annienti le armi e bruci col fuoco gli scudi.

2. Pertanto confidando nella misericordia di Dio onnipotente, e per l’autorità dei suoi Santi Apostoli Pietro e Paolo, per quella potestà di sciogliere e legare che il Signore ha concesso a Noi, benché indegni, a tutti i fedeli cristiani dei due sessi che abitano sia in questa Nostra Alma Città sia in tutta l’Italia e nelle isole adiacenti, a quelli che nella predetta Nostra Alma Città devotamente parteciperanno alla solenne processione nella festa di Sant’Andrea apostolo che muoverà dalla predetta chiesa di Sant’Andrea della Valle, chiamata dei Chierici Regolari Teatini, fino alla chiesa della Beata Maria Vergine sopra Minerva, dei Frati dell’Ordine dei Predicatori, con l’intervento di tutto il clero e del popolo, Noi concediamo ed elargiamo la più ampia indulgenza e remissione di tutti i peccati come nell’anno del Giubileo. [SM=g1740722]

L’indulgenza è pure concessa nello spazio di due settimane, iniziando dalla festa di Sant’Andrea fino alla terza domenica di Avvento inclusa, a coloro che almeno una volta abbiano visitato le chiese o Basiliche di San Giovanni in Laterano o del Principe degli Apostoli o di Santa Maria Maggiore e quivi per un certo tempo abbiano elevato a Dio pie preghiere e, al mercoledì e venerdì e sabato di una di queste settimane abbiano digiunato e poi, confessati i propri i peccati, abbiano ricevuto devotamente il Sacramento della Santissima Eucarestia, in alcune delle dette domeniche o anche in altro giorno di queste settimane, abbiano fatto ai poveri un’elemosina come a ciascuno suggerirà la propria devozione. A tutti quelli, poi, che abitano fuori Roma, come avevamo premesso, è concessa parimenti l’indulgenza plenaria dei loro peccati, se visiteranno le Chiese designate dai Vescovi locali o dai loro Vicari o dai loro Officiali, o per loro mandato, o, mancando essi, da coloro che quivi esercitano la cura d’anime, dopo che sarà loro giunta notizia di questa nostra lettera. E questo a coloro che per le due settimane che seguiranno la pubblicazione della designazione di queste Chiese, ne visiteranno qualcuna, e quivi come sopra pregheranno, e al mercoledì, venerdì e sabato avranno digiunato e pure avranno confessato i loro peccati, e nella domenica immediatamente seguente o in altro giorno entro la stessa settimana faranno la Santa Comunione ed elargiranno, come sopra, un’elemosina ai poveri. [SM=g1740721]

Noi elargiamo e concediamo a costoro una pienissima Indulgenza e Remissione dei loro peccati, a tenore della presente Lettera come nell’anno del Giubileo si è soliti concedere a coloro che visitano le Chiese designate sia entro che fuori l’Urbe.

3. Concediamo parimenti che i naviganti e coloro che sono in viaggio, appena giunti di ritorno alle loro case, alle suddette condizioni possano acquistare l’Indulgenza, dopo aver fatto visita alla Chiesa parrocchiale o principale del luogo dove sono domiciliati. Riguardo poi ai Regolari di ambedue i sessi e ai Claustrali, e a tutti gli altri, sia Laici che Ecclesiastici, Secolari o Regolari, e anche ai carcerati e ai prigionieri e agli impossibilitati per qualche infermità o altro impedimento per cui non possono osservare quello che è stato espresso sopra, concediamo ai Confessori, già approvati per questo dagli Ordinari dei luoghi prima della presente pubblicazione, o da approvare, la facoltà di commutare le suddette condizioni in altre opere di pietà e di imporre quelle che gli stessi penitenti potranno compiere. [SM=g1740722]

4. Inoltre a tutti i fedeli Cristiani dei due sessi, sia Laici che Ecclesiastici Secolari, come pure ai Regolari di qualsiasi Ordine o Congregazione o Istituto, residenti sia nell’Urbe, sia fuori di essa in tutta Italia e nelle isole adiacenti, concediamo facoltà e licenza di scegliersi qualsiasi Presbitero Confessore, sia Secolare che di qualsiasi Ordine o Istituto, purché, come abbiamo già esposto, sia approvato rispettivamente dall’Ordinario dei diversi luoghi. Il Confessore li può assolvere in foro conscientiae da tutte le Censure Ecclesiastiche, sia a jure che ab homine, di scomunica o sospensione, inflitte per qualsiasi causa, nonché da tutti i peccati, eccessi, crimini e delitti, anche gravi ed enormi; anche da quelli riservati all’Ordinario del luogo o a Noi, o alla Sede Apostolica, anche da quelli che si sogliono leggere nelle lettere del Giovedì santo. Il Confessore potrà commutare in altre pie e salutari opere qualsiasi voto (eccetto i voti di Religione e di Castità) dopo aver ingiunto una salutare e adeguata penitenza, per qualsiasi di tutti i casi sopraddetti, ad arbitrio dello stesso Confessore.

5. Pertanto a tenore della presente Lettera e in virtù di Santa Obbedienza strettamente ordiniamo e comandiamo a tutti i nostri Venerabili Fratelli, Patriarchi, Arcivescovi e agli altri Prelati Ecclesiastici e a tutti gli Ordinari residenti in tutti i luoghi e ai loro Vicari o Sostituti, oppure, in loro mancanza, a tutti coloro che esercitano cura d’anime, che, appena ricevuta questa Lettera, trasmessa o in esemplare o stampata, essa venga resa pubblica immediatamente, senza mora o remore o impedimenti, alle loro Chiese e Diocesi, per le Province, Città, Paesi e Villaggi; e la facciano pubblicare e che designino la Chiesa o le Chiese da visitare per l’acquisto dell’indulgenza.

6. Non intendiamo però, per mezzo della presente Lettera dispensare dalle irregolarità pubbliche od occulte, contratte in qualsiasi modo, per difetto, incapacità o inabilità; né intendiamo concedere qualsiasi facoltà di dispensare, riabilitare e restituire nello stato primitivo, anche solamente in foro conscientiae.

E neppure possono essere inclusi nell’indulto coloro che siano stati scomunicati, sospesi a divinis o interdetti da Noi, dalla Sede Apostolica, o da qualsiasi altro Prelato o Giudice ecclesiastico, anche se il loro nome non è stato espresso, e neppure coloro che fossero incorsi in sentenze o censure pubblicamente denunciate, a meno che nel tempo delle predette due settimane abbiano soddisfatto o si siano accordati con le parti.

7. Nonostante le Costituzioni e le disposizioni Apostoliche, secondo le quali la facoltà di assolvere, in certi determinati casi, è espressamente riservata al Romano Pontefice pro tempore, cosicché nessuno può arrogarsi la concessione di indulgenze o simili, a meno che di esse non si faccia espressa menzione o particolare deroga; nonostante la Nostra regola di non concedere indulgenze ad instar; nonostante il giuramento e la confermazione Apostolica di qualsiasi Ordine o Congregazione Religiosa o Istituto Regolare; nonostante qualsiasi altra concessione, Statuti, Consuetudini, Privilegi, Indulti e Lettere Apostoliche fossero stati in qualunque modo concessi, approvati e rinnovati ai medesimi Ordini, Congregazioni, Istituti e alle loro persone, Noi intendiamo derogare a tutte e singole queste concessioni, anche se di queste e del loro contenuto fosse stata fatta specifica menzione espressa ed individua – e non solo per le clausole generali qui apportate –, e fosse pure stata usata qualche altra forma speciale, oppure dovesse essere stata usata un’altra espressione (pur ritenendo che il loro contenuto e la loro forma siano espressi nella presente Lettera), questa volta, in modo speciale, espressamente e nominativamente intendiamo sopprimerle, derogando ad esse, respinta ogni eccezione contraria.

8. Affinché, poi, la presente Lettera possa giungere più facilmente a conoscenza di tutti – qualora non potesse essere recapitata nei singoli luoghi – Noi vogliamo che abbia la stessa autorità e autenticità in ogni località, anche se viene esibita in esemplare o a stampa, purché sia sottoscritta dalla mano di un pubblico notaio e munita del sigillo di una persona costituita in dignità Ecclesiastica.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 20 novembre 1744, anno quinto del Nostro Pontificato.





[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Benedetto XIV - Cum religiosi aeque

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Benedetto XIV
Cum religiosi aeque

difesa e diffusione della Dottrina Cristiana


Essendoci stato rappresentato da persone di studio e zelanti dell’onore di Dio che sarebbe stata ottima cosa che nelle Nostre Basiliche Patriarcali di San Giovanni in Laterano, di San Pietro in Vaticano e di Santa Maria Maggiore si fossero stabiliti Ministri che istruissero i penitenti, i quali dalla Dataria Apostolica si trasferiscono alle predette tre Basiliche per adempiere in esse le opere servili e laboriose che vengono loro prescritte (e che devono adempiere prima che ad essi si rilasci la Dispensa Matrimoniale, per ottenere la quale si sono portati a Roma), e che l’istruzione si limiterebbe ad indurli a fare una fruttuosa Confessione ed a ricevere degnamente il Sacramento dell’Altare (il che viene pure prescritto loro dalla Dataria, oltre la visita delle sette Chiese e la salita alle Scale Sante); avendo Noi dato in materia gli ordini opportuni, come emerge nella Nostra Lettera Enciclica scritta ai Cardinali Arcipreti delle dette tre Basiliche in data 18 gennaio di quest’anno; avendo avuti sicuri riscontri dello zelo con il quale alcuni Canonici ed altri Ecclesiastici delle predette Basiliche si sono accinti indefessamente per l’esecuzione degli ordini dati, ne abbiamo avuto una straordinaria consolazione e ne abbiamo reso di cuore le dovute grazie al Signore Iddio, Autore di ogni bene.

1. La Nostra consolazione non è stata però completa in tutto e per tutto, essendoci stato riferito che in occasione dei Catechismi che si vanno facendo per disporre i Penitenti alla Confessione ed alla Comunione, si ritrovano spesso Dispensandi ignari dei Misteri della Fede, compresi quelli che sono necessari necessitate Medii; pertanto non possono essere ammessi ai Sacramenti.

A tale gravissimo inconveniente, quantunque i ricordati Ministri non manchino di porre gli opportuni rimedi con le necessarie istruzioni, non è però che oltre la sollecitudine e la fatica che quegli operai del Vangelo ritengono necessario ed indispensabile e che ben volentieri soffrono, ciò non amareggi i Dispensandi, i quali – essendo poveri e vivendo con le fatiche delle loro mani – non vedono l’ora di partire da Roma, tornare alle loro Patrie e contrarre il matrimonio cui anelano e per il quale hanno intrapreso il viaggio e si sono sottoposti alla pubblica, laboriosa penitenza.

2. Nel principio del Nostro Pontificato spedimmo una Lettera Enciclica nella quale eccitammo lo zelo dei Nostri Confratelli sull’insegnamento della Dottrina Cristiana nelle loro Diocesi. Abbiamo letto i loro Sinodi vecchie nuovi ed abbiamo riconosciuto che sono pieni di esortazioni e di istruzioni, e che nulla vi manca di quanto è necessario per l’importantissima opera dell’insegnamento della Dottrina Cristiana. Pertanto, in assoluta buona fede dichiariamo di essere persuasi che fra di loro non c’è nessuno che in questa materia abbia mancato al proprio Apostolico Ministero, e che l’ignoranza rilevata in alcuni loro Diocesani non sia determinata né provenga da loro colpa o negligenza, ma dalla ritrosia dei sudditi nell’ubbidire agli ordini dei loro Superiori, nel non andare alla Dottrina Cristiana e nell’accostarsi poche volte, o forse mai, a sentire la parola di Dio, o nell’incapacità di taluni di apprendere ciò che si insegna loro, o nell’essere stati alla Dottrina Cristiana solo nei primi anni della loro età senza più essersi curati di accostarsi a quei luoghi nei quali avrebbero potuto comodamente, e forse con maggior profitto intendere, nell’età adulta, quanto fu loro detto nell’età puerile, in modo che si riducono in tutto nella condizione simile a quella in cui si ritrovano coloro che nell’età puerile non sono mai stati istruiti né sono mai stati alla Dottrina Cristiana. Tutti questi disordini, che si sono verificati e si verificheranno nonostante le diligenze dei Nostri degni Confratelli, non esentano però Noi dal peso di dovere con questa Nostra Lettera Enciclica eccitare nuovamente il loro zelo, né esentano Essi dal proseguire e dall’accrescere le loro diligenze su una materia dalla quale dipende l’eterna salute delle Anime affidate alla loro cura.

3. Forse non vi sarà nessuno fra di Voi, Venerabili Fratelli, che non sia pienamente informato di quanto fece San Carlo Borromeo sia nella sua vasta Diocesi di Milano, sia in tutta la Provincia di cui era Metropolita, per stabilire un fruttuoso insegnamento della Dottrina Cristiana. Quante e quali furono le fatiche che Egli sopportò per ben fondare questo Santo Istituto! Quando Egli si accorse che le fatiche compiute non avevano conseguito il frutto che Egli desiderava, non si perdette d’animo ma aggiunse diligenze a diligenze, come si apprende dal suo quinto Concilio Milanese: "Nos multam hactenus diligentiam adhibuimus, ut omnes et singuli Christifideles in Fidei Christianae rudimentorum institutione erudirentur; sed cum parum Nos hucusque profecisse tanta in re cognoverimus, negotii, periculique magnitudine adducti, haec praeterea decernimus". Era bastato a quel grande santissimo Presule sapere che v’era bisogno, per operare in avvenire, aggiungere diligenze a diligenze, nonostante quel molto che fino ad allora aveva fatto; nello stesso modo che bastò al Re degli Assiri avere avuto la notizia che le genti ignoravano i precetti di Dio: "Nuntiatumque est Regi Assyriorum, et dictum: gentes, quas transtulisti et habitare fecisti in Civitatibus Samariae, ignorant legitima Dei Terrae", per spedirvi subito un Sacerdote che insegnasse a quei Popoli i precetti di Dio: "Praecepit autem Rex Assyriorum dicens: ducite illuc unum de Sacerdotibus, quos inde captivos abduxistis, et vadat et habitet cum eis, et doceat eos legitima Dei Terrae", come si legge nel libro 4 Dei Re2Re 17,27). (

4. Noi, conformandoci a questo pratico insegnamento di San Carlo Borromeo, nonostante le diligenze finora praticate da Voi, Vi esortiamo, pregandovi per le viscere di Gesù Cristo, a non perdervi d’animo nella grande opera dell’insegnamento della Dottrina Cristiana. Fate che ogni Parroco faccia ciò che gli viene prescritto dal Sacro Concilio Tridentino ed anche dai Vostri Sinodi: che s’insegni in giorni determinati la Dottrina Cristiana dai Maestri e dalle Maestre delle Scuole; che i Confessori facciano il loro dovere quando qualcuno si accosta al loro Tribunale ignorando le cose necessitate Medii per salvarsi; e che lo stesso si faccia anche dai Parroci prima di congiungere in Matrimonio coloro che vogliono sposarsi. S’inculchi ai Padri di Famiglia e ai Padroni delle Case l’obbligo d’istruire e fare istruire i loro figlie i familiari nella Dottrina Cristiana. [SM=g1740722]

Nelle Diocesi nelle quali è introdotta la disciplina, si prosegua; dove non è introdotta, si introduca che, prima o dopo la Messa Parrocchiale, si dicano ad alta voce, da parte dello stesso Parroco, gli Atti di Fede, Speranza e Carità, ben composti, ripetendo il Popolo le parole del Parroco. Non si trascuri l’adempimento dell’obbligo che ha il Parroco, se non di predicare nei giorni festivi, almeno di esporre dall’Altare il Vangelo al Popolo, e d’istruirlo nei Misteri principali della nostra Santa Religione, nei precetti di Dio e della Chiesa e in quanto è necessario per degnamente ricevere i Sacramenti. Si seguano le stesse orme dei Predicatori, ai quali si dia il salutare avvertimento di unire l’istruzione all’esortazione, dato che gli uditori hanno bisogno dell’una e dell’altra. Infine, il metodo d’insegnare (a chi è impreparato) la Dottrina Cristiana viene indicato da Sant’Agostino (De Catechizandis rudibus, cap. 10), dice essere utilissimo quello delle interrogazioni familiari, dopo aver fatto la spiegazione; dalla interrogazione familiare si rileva se chi l’ha udita l’ha capita, e se per farla capire occorre un’altra spiegazione: "Interrogatione quaerendum est, utrum is, qui catechizatur, intelligat; et agendum, pro eius responsione, ut aut planius, et enodatius loquamur, aut quae illis nota sunt, non explicemus latius, etc. Quod si nimis tardus est, misericorditer succurrendus est, breviterque ea, quae maxime necessaria sunt, ipsi potissimum inculcanda". [SM=g1740733]

Teniamo per certo che da parte Vostra si farà sempre di più di quanto con questa Nostra Lettera Enciclica Vi additiamo. Nel frattempo, con pienezza di cuore, impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli ed al Vostro Gregge, l’Apostolica Benedizione.

Dato da Castel Gandolfo, il giorno 26 giugno 1754, decimoquarto anno del Nostro Pontificato.




[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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24/08/2012 19:00
 
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Un predecessore illuminato


Un articolo dell’arcivescovo di Genova su Prospero Lambertini, Benedetto XIV, papa dal 1740 al 1758


del cardinale Tarcisio Bertone da 30giorni n.5.2005


Ritratto del cardinale Lambertini, Giuseppe Maria Crespi, Collezioni Comunali d’Arte, Bologna

Ritratto del cardinale Lambertini, Giuseppe Maria Crespi, Collezioni Comunali d’Arte, Bologna

Dopo un interessante dibattito televisivo sul nuovo Papa, il presidente Andreotti mi ha sollecitato a riproporre – come omaggio a Benedetto XVI – un profilo del suo predecessore omonimo, Benedetto XIV, frutto dei miei precedenti studi*, ai quali ha voluto benevolmente riferirsi papa Ratzinger nella sua prima visita alla Congregazione per la dottrina della fede il 20 aprile 2005.

1. La preparazione e l’elezione a papa

Prospero Lorenzo Lambertini nacque il 31 marzo 1675 a Bologna, da Marcello e Lucrezia Bulgarini. Eccellente per ingegno e applicazione allo studio, ottenne la laurea in teologia e in utroque iure a Roma nel 1694.
In considerazione delle sue qualità e dell’universale stima goduta nei circoli romani, percorse tutti i gradi e gli uffici della Curia romana fino a diventare segretario della Congregazione del Concilio nel 1718.
Sorprende il fatto che tutte le fonti biografiche tacciano su un momento considerato generalmente importante nella vita di un ecclesiastico: la data dell’ordinazione sacerdotale. In realtà il Lambertini, per motivi che non si possono far risalire a un costume superato, e che sarebbe interessante approfondire, ritardò la sua ordinazione sacerdotale fino al 1724, quando, all’età di quasi cinquant’anni, poteva dirsi ormai al culmine della sua esperienza e attività “romana”.

Le testimonianze concordano nel dare al futuro Papa un carattere vivace e spiritoso, impetuoso e cordiale. Il padre de Montfaucon lo scolpì con questa espressione: «Lambertini ha due anime: una per la scienza, l’altra per la società». Col Pastor possiamo affermare: «Tutto sommato, si può dire che Benedetto XIV rappresentava l’incarnazione dello spirito italiano nel suo lato migliore e più piacevole».
Come segno di apprezzamento e di benevolenza fu creato arcivescovo in partibus di Teodosia, cardinale in pectore nel 1726 e vescovo residenziale di Ancona nel 1727.
Fu pubblicato cardinale il 30 aprile 1728. Il 30 aprile 1731 fu trasfe­rito all’arcivescovado di Bologna, sua città natale, dove l’uomo erudito, il prelato della Curia romana, si dimostrò pastore zelante e pio.
Visite e istruzioni furono i mezzi più concreti per elevare il livello spirituale del clero e del popolo.
Nonostante l’impegnativa funzione di pastore d’anime, il cardinale Lambertini rimase uomo di studio. Basta citare le opere composte a Bologna per rendersi conto della sua estesa attività letteraria. Le sue Ordinanze,raccolte e pubbli­cate, servirono di modello a molti vescovi. La grande opera De Servorum Dei beatificatione et canonizatione comparve dal 1734 al 1738, e rimase clas­sica per la Curia romana.
Non possiamo dimenticare altre opere minori, ma assai importanti: De sacrificio Missae, De festis Domini nostri Iesu Christi, Beatae Mariae Virginis et quorundam Sanctorum, e il ricchissimo Thesaurus Resolutionum Sacrae Congregationis Concilii,compilato già quando era segretario della Sacra Congregazione.

Anche il De Synodo Dioecesana fu iniziato a Bologna. In verità egli poteva di­re: «Ma plume est ma meilleure amie».
Fu proprio a Bologna, nell’autunno del 1731, che conobbe il grande storico Ludovico Antonio Muratori, il quale risiedeva abitualmente a Modena: da allora i due uomini furono legati sempre da reciproca stima e amicizia.
Nel febbraio 1740 giunse a Bologna la notizia della morte di Clemente XII. Il cardinale Lambertini dovette partire per il conclave, il secondo della sua vita (il primo fu dopo la morte di Benedetto XIII: lo vedeva da appena due anni cardinale, e rimase nella memoria senza particolare suggestione).
Una foto di scena dello sceneggiato televisivo  Il cardinale Lambertini, interpretato da Gino Cervi

Una foto di scena dello sceneggiato televisivo Il cardinale Lambertini, interpretato da Gino Cervi

Questo secondo conclave ebbe tali proporzioni e importanza da modifi­care totalmente la rotta della sua vita: infatti dopo irriducibili contrasti e in­concludenti sedute, al 255° scrutinio, dopo sei mesi di conclave, il 17 agosto 1740 il cardinale Lambertini fu eletto papa. Il giubilo per la sua elezione, tanto più gradita quanto imprevista, fu immenso.
Il suo amore per la scienza e la sua dottrina si manifestarono subito nell’ininterrotto impegno personale di studio, che gli permise di proseguire le sue pubblicazioni.
Il suo orario di lavoro era massacrante. Ecco come descrive egli stesso il programma di una giornata: «Il giorno è di ventiquattr’ore. Noi ci leviamo alle dieci d’Italia e andiamo a letto alle tre d’Italia: e l’assicuriamo che, levata la mezz’ora del pranzo, e l’ora dalle due alle tre, nel rimanente o si sente, o si scrive, o si legge».

La sua formazione scientifica spicca sia negli scritti privati, sia nella legislazione, ove rispecchia la sua vastissima erudizione personale.
Eppure trovava ancora il modo di uscire per la città e farsi vedere dai sudditi – cosa che non avevano fatto i suoi predecessori –, di passare di chiesa in chiesa per assistere alle quarant’ore quasi tutte le sere e di adem­piere a tutte le funzioni religiose personalmente, perché riteneva che questo fosse uno degli obblighi del pontefice.
Promotore di molteplici iniziative culturali e artistiche, fondò in Roma quattro Accademie: dei Concili, della Storia ecclesiastica, della Liturgia e delle Antichità romane. Riformò l’Università della Sapienza, di cui era stato rettore come “avvocato concistoriale”, istituendo le nuove cattedre di Matematica, Chimica e potenziando la Fisica sperimentale.
Manifestò comprensione per le idee del suo tempo e «cercò di adattare la severità della disciplina ecclesiastica sempre più al nuovo spirito di tolleranza, per proteggere la libertà della ricerca scientifica».
Frutto di questo suo atteggiamento furono la stima e la considerazione per gli uomini colti, e le relazioni intessute con le personalità più diverse, ad esempio, oltre che col già citato Muratori, con Pierre Louis Moreau De Maupertuis, presidente dell’Accademia delle Scienze di Berlino, con il napoletano Antonio Genovesi, con il veronese Scipione Maffei, con Voltaire.
La sua larghezza di vedute e il suo equilibrio lo accompagnarono anche negli atti di governo: sia nella scelta dei collaboratori sia nella politica finanziaria e commerciale.

Quando la morte lo colse il 3 maggio 1758, egli aveva trascorso quasi 18 anni di servizio pontificale sulla cattedra di Pietro, portandovi quel corredo di scienza, quell’operosità instancabile nell’approfondire le riforme indicate dal Concilio di Trento, come del resto già aveva fatto ad Ancona e a Bologna, quella mitezza e quel concreto senso della realtà anche nella difficile azione diplomatica, che fecero di lui «il più grande Pontefice del suo secolo, al quale la storia della Chiesa continuerà ad assegnare un meritato posto tra i più insigni successori di Pietro» (Pio XII).

2. Giudizi sull’uomo e sull’attività politico-religiosa

Benedetto XIV «fu di gran lunga superiore, per le personali qualità e per la favorevole collocazione e durata del suo pontificato, ai papi che lo precedettero e lo seguirono».
La coscienza delle sue tremende responsabilità, la sua straordinaria capa­cità di lavoro gli facevano scrivere: «Si può fare il papa, mangiando e bevendo, ordinando ad altri, e nulla facendo da sé, e nemmeno esigendo conto dell’operato degl’altri, mettendo tutta la sollecitudine e il contento nell’arric­chire la propria casa, e il papato preso in questi termini è il più bello impiego che sia in questo mondo. Si è detto in questo mondo, perché la cosa nell’altro non sarà certamente così, mentre faticando di continuo, lavorando dì e notte, inquietandosi, acciò le cose vadino meno male, non avendo né carne, né sangue, non sarà poco nell’altro mondo, se non si perde marcia, e se per le omissioni si contenterà la gran misericordia di Dio di un purgatorio sino al dì del giudizio».
Sua intenzione dichiarata, «l’affare principale del pontificato», era «mantenere la fede ove è, e dilatarla ove non è». Compito difficile, specialmente nella tormentata e accesa epoca delle controversie giansenistiche e giurisdizionalistiche che lo costringevano talora a restringere l’efficacia dei suoi interventi a una disperata azione di difesa e di contenimento dei moti centrifughi: «Ri­fletteremo ben bene sopra tutto, stimando noi quanto si può la Chiesa galli­cana, amando la nazione, ma però senza pregiudizio di questa Santa Sede, alla quale se non siamo in grado di portar vantaggio, non vorressimo al capezzale lagnarci di averle portato danno».

La sua visione della situazione della Chiesa e l’acuta sensibilità per ogni atto e avvenimento diretto contro il Papa lo rendevano talvolta – contro il suo naturale – assai amaro nei giudizi: «Il mondo è oggi ridotto ad uno stato, che se la cosa piace, quelli a’ quali piace sono per il Papa, e quelli a’ quali dispiace sono contro il Papa; ed essendo impossibile che una cosa piac­cia a tutti, di qui proviene che i guai per il Papa sono inevitabili». E repli­cando al proposito delle dimissioni del cardinale de Tencin dal Consiglio della Corona aggiungeva: «Se volessimo rammentarle tutti i nostri guai, tutte le nostre ama­rezze, quanto è quello che ricaviamo dal sommo pontificato, quante e quante volte ci è venuto in capo di ritornare alla vita privata, empiressimo più fogli di carta, e l’assicuriamo, che altro non ci ritiene, che il pensiero di sacrificare a Dio per emende de’ nostri peccati i disaggi, che sopportiamo, ed il pensiero di morire colla spada alla mano giacché l’abbiamo sfoderata».
In verità il Papa sapeva stare sulla breccia con senso di schiettezza, realismo e coraggio confessando: «... Non avevamo mai avuto paura della verità e della giustizia, ma... la nostra paura era sempre stata ed è della bugia e del­l’ingiustizia».

Incapace di dissimulare, uomo libero al di sopra delle adulazioni, per quel fine buon umore che seppe conservare persino nei giorni più tristi, il Papa riusciva oltremodo simpatico, perché sapeva scherzare non solo sugli altri, ma anche su sé stesso, ed era pronto a riconoscere il suo torto, a chiedere scusa dei suoi scatti, a perdonare, se non a dimenticare. Pur nella dura realtà politica non perse mai quel sostanziale fondo di ottimismo che lo avvicina sorprendentemente, in qualche linea della personalità, al suo lontano successore – più vicino a noi nel tempo – Giovanni XXIII, quando dichiara: «Non ex eorum numero Nos sumus, quibus persuasum sit, omnia in nostra tempora inconvenientia accidere, atque ea praesentibus diebus contingere scandala, quae numquam praeteritis temporibus evenerint».
Questo atteggiamento era senza dubbio fondato sulla profonda spiritualità di Benedetto XIV, ancora tutta da esplorare.

Uomo di preghiera si rivela non solo durante l’Anno Santo, ma fin dall’inizio del pontificato, quando invoca ardentemente i doni dello Spirito Santo e invita a una preghiera incessante per il Papa tutta la cattolicità, a cominciare dai vescovi, che devono essere modelli di pietà. Egli stesso ne dà l’esempio: è risaputo come presenziasse a tutte le funzioni religiose di Roma, quando la resistenza fisica e il lavoro di curia lo permettevano a chi non riusciva «a scrivere o dettare due righe, che non vi sia un interrompimento o d’udienza o d’ambasciate, o di lettore, o di biglietti, o di moltissimi affari».
Davanti alla crisi della cristianità dell’antico regime il nostro Papa ricerca il rimedio nell’appoggio delle potenze cattoliche, ma più ancora nell’accrescimento della vita religiosa e nella continua preoccupazione che il clero con il più grande impegno insegni la verità cristiana e annunzi il Vangelo.
Due fatti segnano, a parere degli studiosi, il panorama della religiosità settecentesca. Anzitutto il Settecento in tutto l’orbe cattolico, ma specialmente in Italia e in Francia, può ben essere chiamato il secolo della predicazione popolare. E non pensiamo soltanto alla testimonianza che ce ne danno i moltissimi volumi a stampa di prediche, di lezioni scrit­turali, di panegirici, ma al fatto che non vi fu, si può dire, per quanto riguarda il nostro Paese, luogo o contrada che non fosse battuto dalla predicazione peregrinante dei missionari.

Di essa fu strenuo propugnatore Benedetto XIV – sia fornendo indicazioni autorevoli di azione pastorale, sia dal punto di vista della prassi – nello Stato Pontificio e a Roma, avvalendosi della zelante predicazione di Leonardo da Porto Maurizio.

Ritratto di Benedetto XIV, Giuseppe Maria Crespi,
Pinacoteca Vaticana

Ritratto di Benedetto XIV, Giuseppe Maria Crespi, Pinacoteca Vaticana

Nella predicazione popolare, che cercava di elevare un argine alla scristianizzazione degli intellettuali con un forte recupero della base contadina e urbana, il nostro Papa si ingegnò di immettere contenuti teologicamente validi e formativi, incoraggiando soprattutto la diffusione dei saggi degli oratori francesi, e di togliere le tradizionali invettive contro i miscredenti e i giudei, in uno sforzo di purificazione che corrisponde al suo spirito tollerante e aperto al dialogo.
Il secondo fatto da notare è la nascita di nuove congregazioni religiose, volte all’evangelizzazione e all’assistenza spirituale e caritativa delle popolazioni più miserabili e diseredate. Pensiamo soprattutto all’azione apostolica dei Passionisti nell’allora Stato Pontificio e a quella dei Redentoristi presso le plebi cittadine e rustiche del Napoletano. Né è senza significato constatare che lungo l’arco del secolo venne a formarsi e a diffondersi una pietà ora rigorosa ora tenera e affettuosa, l’una in aperta antitesi con il costume del secolo incline alla morbidità degli affetti, come fu quella di Paolo della Croce, l’altra, quella di Alfonso de’ Liguori, volta a una parte­cipazione ingenua e affettuosa del mistero cristiano e tale da riassumere felice­mente in sé la propensione comune alla sensibilità.
La nuova corrente di spiritualità passionista, che riproponeva come cardi­ne della vita cristiana la meditazione della “follia della Croce”, bene si contrap­poneva a un secolo che si inorgogliva dei “lumi della ragione”. Benedetto XIV incoraggiò e predilesse l’umile eremita e giunse a esclamare: «La Congre­gazione della Passione avrebbe dovuto essere la prima fondata dalla Chiesa ed ecco che viene per ultima».
Quanto all’azione politico-religiosa si possono elencare queste componenti della sua politica internazionale: «giudizio sereno della situazione, accettazione dei dati di fatto, opera di pacificazione anche a scapito del suo prestigio».

È certo che l’atteggiamento conciliante di Benedetto XIV di fronte alle richieste dei sovrani, cattolici e protestanti, ha migliorato il clima dove erano chiamate a vivere la Chiesa e la Religione. Il nostro Papa aveva perfettamente verificato la sua massima secondo cui in lui «il Papa doveva precedere il sovrano», poiché volle essere in primo luogo pastore di anime: «Ci siamo fissati in testa di non comparire al giudizio di Dio rei di non aver fatto quanto potevamo per la salute delle anime».

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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