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Chiesa di Antiochia dei Siri, e di Antiochia dei Maroniti (in Comunione con Pietro)

Ultimo Aggiornamento: 31/05/2011 17:20
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Il discorso di Benedetto XVI al patriarca di Antiochia dei Siri

Pace per i cristiani iracheni
e per tutto il Medio Oriente


Il Papa prega "costantemente per la pace in Medio Oriente, in particolare per i cristiani che vivono nell'amata nazione irachena":  lo ha assicurato durante l'udienza di venerdì mattina, 19 giugno, al patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssef III Younan. 


 
Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione italiana del discorso del Papa.

Beatitudine,
la visita che compie a Roma per venerare le tombe degli Apostoli e incontrare il Successore di Pietro è per me motivo di grande gioia. Oggi rinnovo con affetto sincero e fraterno il saluto e il bacio di pace in Cristo che all'inizio dell'anno ho scambiato con lei, all'indomani della sua elezione a Patriarca di Antiochia dei Siri.

La ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome della sua Chiesa Patriarcale. Desidero altresì esprimere la mia riconoscenza alle loro Beatitudini il Cardinale Ignace Moussa Daoud, Prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, e Ignace Pierre Abdel Ahad, Patriarchi emeriti della sua Chiesa, e anche a tutti i membri del Sinodo episcopale. I miei ringraziamenti divengono preghiera, in particolare per lei, Beatitudine, nuovo Patriarca, mentre accompagno con solidarietà fraterna i primi passi del suo servizio ecclesiale.

Beatitudine, la Provvidenza divina ci ha costituiti ministri di Cristo e Pastori del suo unico gregge. Manteniamo dunque lo sguardo del cuore fisso su di Lui, sommo Pastore e Vescovo delle nostre anime, sicuri che, dopo avere messo sulle nostre spalle il munus episcopale, non ci abbandonerà mai. È Cristo stesso, nostro Signore, che ha stabilito l'Apostolo Pietro come la "roccia" sulla quale poggia l'edificio spirituale della Chiesa, chiedendo ai suoi discepoli di procedere in piena unità con lui, sotto la sua guida sicura e sotto quella dei suoi Successori.

Nel corso della vostra storia più che millenaria, la comunione con il Vescovo di Roma è sempre andata di pari passo con la fedeltà alla tradizione spirituale dell'Oriente cristiano, e tutte e due formano gli aspetti complementari di quell'unico patrimonio di fede che la sua venerabile Chiesa professa. Insieme, professiamo questa stessa fede cattolica, unendo la nostra voce a quella degli Apostoli, dei martiri e dei santi che ci hanno preceduti, elevando a Dio Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, l'inno di lode e di azione di rendimento di grazie per l'immensa ricchezza di questo dono che è affidato alle nostre fragili mani.
 
Cari Fratelli della Chiesa siro-cattolica, ho pensato in particolare a voi durante la solenne Celebrazione eucaristica della festa del Corpus Domini. Nell'omelia, che ho pronunciato sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano, ho citato il grande Dottore sant'Efrem il Siro, che afferma:  "Durante la cena Gesù immolò se stesso:  sulla croce Egli fu immolato dagli altri". Questa interessante annotazione mi permette di sottolineare l'origine eucaristica della ecclesiastica communio che le ho concesso, Beatitudine, al momento dell'elezione sinodale.

In modo molto opportuno, lei ha voluto mostrare, con un segno pubblico, questo vincolo molto stretto che la unisce al Vescovo di Roma e alla Chiesa universale, nel corso dell'Eucaristia che ha celebrato ieri, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla quale ha partecipato il mio rappresentante con mandato speciale, il Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il signor Cardinale Leonardo Sandri. In effetti, è l'Eucaristia che fonda le nostre diverse tradizioni nell'unità dell'unico Spirito, facendo di esse una ricchezza per l'intero popolo di Dio.

Che la celebrazione dell'Eucaristia, fonte e culmine della vita ecclesiale, vi mantenga ancorati all'antica tradizione siriaca, che rivendica di possedere la lingua stessa del Signore Gesù e, allo stesso tempo, schiuda dinanzi a voi l'orizzonte dell'universalità ecclesiale! Che vi renda sempre attenti a quello che lo Spirito suggerisce alle Chiese; che apra gli occhi del vostro cuore affinché possiate scrutare i segni dei tempi alla luce del Vangelo e sappiate accogliere le attese e le speranze dell'umanità, rispondendo generosamente ai bisogni di quanti vivono in gravi condizioni di povertà. L'Eucaristia è il Pane della Vita che nutre le vostre comunità e le fa crescere tutte nell'unità e nella carità. Sappiate dunque attingere dall'Eucaristia, Sacramento dell'unità e della comunione, la forza per superare le difficoltà che la vostra Chiesa ha conosciuto in questi ultimi anni, al fine di ritrovare il cammino del perdono, della riconciliazione e della comunione.

Cari Fratelli, ancora grazie per la vostra visita che mi permette di esprimervi la mia profonda sollecitudine nei confronti delle vostre problematiche ecclesiali. Seguo con soddisfazione la piena ripresa del funzionamento del vostro Sinodo e incoraggio gli sforzi volti a favorire l'unità, la comprensione e il perdono, che dovrete sempre considerare come doveri prioritari per l'edificazione della Chiesa di Dio. Inoltre, prego costantemente per la pace in Medio Oriente, in particolare per i cristiani che vivono nell'amata nazione irachena, dei quali presento ogni giorno al Signore le sofferenze nel corso del Sacrificio eucaristico.

Desidero infine condividere con voi un'altra delle mie preoccupazioni principali:  quella della vita spirituale dei sacerdoti. Proprio oggi, nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù, giornata di santificazione sacerdotale, avrò l'immensa gioia di aprire l'Anno Sacerdotale, in ricordo del 150º anniversario della morte del santo Curato d'Ars. Credo che questo anno giubilare speciale, che inizia quando termina l'Anno Paolino, sarà un'opportunità feconda, offerta a tutta la Chiesa. Sul Calvario, Maria era con l'Apostolo Giovanni ai piedi della Croce.
 
Oggi, anche noi ci rechiamo spiritualmente ai piedi della Croce, con tutti i vostri sacerdoti, per volgere il nostro sguardo verso Colui che è stato trafitto e dal quale riceviamo la pienezza di ogni grazia. Che Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, vegli su di lei, Beatitudine, sul Sinodo e su tutta la Chiesa siro-cattolica! Quanto a me, l'assicuro di accompagnarla con la mia preghiera e le imparto la Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i fedeli della sua venerabile Chiesa, che si trovano nelle diverse nazioni del mondo.


(©L'Osservatore Romano - 20 giugno 2009)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il saluto rivolto al Papa dal patriarca Ignace Youssef III Younan

Giustizia e rispetto dei diritti di tutti gli uomini


"Siamo venuti a Roma per salutarla quale Successore di Pietro e vivere un momento molto significativo della tradizione della Chiesa universale, quello di scambiare la comunione ecclesiale fra le nostre due Sedi Apostoliche, quella di Roma che "presiede nella carità" (sant'Ignazio d'Antiochia) e quella di Antiochia dove i discepoli di Cristo furono chiamati per la prima volta "cristiani"". Con queste parole il patriarca Ignace Youssef III Younan si è rivolto a Benedetto XVI, in occasione dell'incontro svoltosi nel Palazzo apostolico venerdì mattina, 19 giugno.
 
"Ieri - ha ricordato - nel giorno dedicato alla memoria di sant'Efrem il Siro, patrono della nostra Chiesa, soprannominato l'"arpa dello Spirito Santo", abbiamo vissuto, con gioia e profonda gratitudine, l'espressione sacramentale di questa comunione, concelebrando la Divina Liturgia secondo il rito siriaco di Antiochia, con il suo rappresentante, il Cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali".

Il patriarca ha poi fatto riferimento al primo sinodo ordinario svoltosi dopo la propria elezione alla sede patriarcale di Antiochia. "In questo sinodo - ha detto - grazie alle sue preghiere e alle sue direttive paterne, ci siamo impegnati a vivere la collegialità episcopale in uno spirito di comunione fraterna, assumendo la nostra responsabilità di pastori verso la nostra amata Chiesa".

Poi un pensiero al recente pellegrinaggio del Pontefice in Terra Santa, durante il quale - ha spiegato il patriarca - Benedetto XVI "ha trasmesso un messaggio di pace, di tolleranza e di riconciliazione a tutte le comunità di questa regione, straziate e divise da conflitti ingiusti e senza fine. Santità - ha aggiunto - lei conosce bene la natura e le cause delle nostre inquietudini, come quelle delle altre comunità cristiane del Medio Oriente. La nostra vocazione è di essere i testimoni di Dio, buono e misericordioso verso tutti gli uomini, vivendo al contempo il suo messaggio di amore. Per questo, siamo venuti a trarre coraggio da lei, Santità, per poter restare fedeli alla nostra missione plurisecolare".

Ecco allora l'assicurazione che la Chiesa di Antiochia dei Siri continuerà a pregare affinché il Pontefice "possa convincere i potenti di questa terra a ricercare la pace basata sulla giustizia e sul rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, in tutti i Paesi del mondo, e in modo particolare in alcuni Paesi del nostro Medio Oriente, come l'Iraq, il Libano e la Palestina".

Sua Beatitudine ha poi rievocato le parole di Benedetto XVI "che esprimono con inequivocabile chiarezza e molto affetto, la sua sollecitudine paterna per le comunità cristiane e le Chiese orientali di origine apostolica", pronunciate nella cattedrale melkita di San Giorgio ad Amman, in Giordania, con un'insistenza convincente:  "L'antico tesoro vivente delle tradizioni delle Chiese Orientali arricchisce la Chiesa universale e non deve mai essere inteso semplicemente come oggetto da custodire passivamente".

Quindi ha ringraziato il Papa che "non smette di incoraggiarci a continuare a rendere testimonianza della nostra fede, nella fedeltà alle nostre tradizioni secolari risalenti alle prime comunità della Chiesa, vivendo al contempo l'annuncio della Buona Novella nel nostro ambito".

Successivamente il patriarca siro ha sottolineato la coincidenza dell'incontro con il Papa nel giorno di inizio dell'anno sacerdotale, e infine ha giurato "fedeltà e attaccamento incrollabile alla Sede di Pietro".


(©L'Osservatore Romano - 20 giugno 2009)
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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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l cardinale Sandri delegato del Pontefice alla celebrazione per la comunione ecclesiastica con il patriarca di Antiochia dei Siri

Fatica e grazia della sinodalità
delle Chiese orientali


Nel corso della divina liturgia in rito siro-antiocheno celebrata giovedì 18 giugno, nella basilica liberiana, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha pronunciato l'omelia che pubblichiamo di seguito.

Beatitudine,
la accolgo con grande gioia a nome del sommo Pontefice Benedetto XVI, vescovo di Roma e pastore della Chiesa cattolica. Benvenuto a Roma, venerato patriarca, ripeto anch'io, dopo il saluto che il Santo Padre, nell'udienza generale di ieri, ha rivolto con affetto paterno a lei e alla delegazione che la accompagna. Il mio ossequio cordiale va a sua beatitudine eminentissima il cardinale Daoud, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, qui presente, e a sua beatitudine Abdel Ahad, a noi spiritualmente unito, patriarchi emeriti della vostra Chiesa. Ed esprimo la più fervida gratitudine a sua eminenza reverendissima il cardinale Law, arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore, che ci ospita sempre benevolmente.

Questo tempio è il porto sicuro romano tanto amato dagli orientali in comunione  con  il  Papa:   qui  si  sentono sotto lo sguardo della Madre di Dio e la contemplano avvolta nella gloria della Santissima Trinità, intercedente grazia su grazia dal Cuore di Cristo.
Domenica scorsa abbiamo partecipato in questa basilica alla chirotonia episcopale del nuovo arcivescovo segretario della nostra Congregazione, monsignor Cyril Vasil'. Ho allora anticipato la preghiera per vostra beatitudine e per la Chiesa siro-cattolica, che ora rinnovo di gran cuore.

Beatitudine,
ho oggi l'alto onore di rappresentare il sommo Pontefice nello scambio delle sacre specie eucaristiche. Sono colmo di gratitudine verso il Santo Padre per questo incarico accompagnato dalla sua augusta lettera.
Il successore di Pietro le rinnova, per il mio tramite, la garanzia della comunione con Cristo Pastore e col suo gregge santo. Altamente significativo è lo scambio vicendevole del corpo sacratissimo del Signore e del suo preziosissimo sangue tra il rappresentante del vescovo di Roma e il patriarca di Antiochia.

Tutto il mistero cristiano, infatti, ha il  suo  principio  e  il  suo  fluire  perenne nel donarsi di Cristo. Il nostro essere Chiesa è sempre un ricevere Cristo e un lasciare che il suo Spirito faccia di noi un dono per Dio e per i fratelli. La Chiesa nasce e cresce dal mistero eucaristico, memoriale della Pasqua. Non si edifica da sé, bensì dal donarsi di Cristo. Scaturisce dal fianco del suo Sposo crocifisso e risorto. È come generata dal suo Cuore trafitto.

La Chiesa, dunque, riceve se stessa dal suo Signore, il quale la impegna a donarsi perché possa rimanere se stessa, ossia il corpo di Cristo. Da questo donarsi di Cristo sgorga perennemente la comunione interecclesiale. E poiché il Signore ha detto a Pietro e ai suoi successori:  su di te edificherò la mia Chiesa, quanti ricevono la comunione dal successore di Pietro hanno certezza del venire di Cristo capo e pastore nella loro vita e nella loro comunità; hanno certezza di essere radicati nell'unità e di anticipare nella fraternità il compimento della comunione universale con Dio.

Rendiamo grazie a Dio per tutti i suoi benefici e oggi, particolarmente, per il carisma petrino che continua nel Pontefice romano, come per i doni che riceviamo dalla persona stessa di sua santità Benedetto XVI.

Rendiamo grazie per quanto il Signore ci offre attraverso il servizio patriarcale di vostra beatitudine e per il generoso impegno pastorale dei suoi fratelli vescovi.
Rendiamo grazie a Dio per la presenza in seno alla Chiesa cattolica della Chiesa sira, portatrice di una feconda tradizione spirituale, che risale agli apostoli ed è stata illustrata mirabilmente da santi quali Ignazio, vescovo di Antiochia, ed Efrem, diacono e dottore, arpa dello Spirito Santo. Rimanete fedeli, venerati pastori e cari fratelli e sorelle, al patrimonio antiocheno e alla radicazione romana che i vostri padri hanno onorato non raramente fino al martirio.

Ci aiutino la Vergine Maria e i santi tutti di Dio a compiere il rendimento di grazie col cuore e a confermarlo con la vita.

Beatitudine,
la sua elezione è avvenuta a Roma ed ella ha già scambiato col Santo Padre l'abbraccio di pace in Cristo. Ma come nuovo patriarca ha voluto compiere la prima visita ufficiale col sinodo e con una folta rappresentanza di fedeli per rinnovare i profondi legami di fede e di carità che vi uniscono alla Chiesa fondata dagli apostoli Pietro e Paolo.
Ne sono molto lieto e col pensiero torno volentieri alla santa Eucaristia che ha preceduto il sinodo elettivo nel gennaio scorso. Insieme, avevamo implorato l'unità dei cuori e delle volontà per esercitare la grave responsabilità di scegliere il padre e capo della Chiesa siro-cattolica.

L'elezione del patriarca è atto molto impegnativo, perché deve essere motivato soltanto dalla legge suprema, che è la salute delle anime.
Ci aveva guidati in quella circostanza la parola pronunciata da Maria alle nozze di Cana, allorché, indicando il Cristo suo Figlio, disse:  "Fate quello che lui vi dirà".

La Santa Madre ripete oggi lo stesso invito. Cristo nel Vangelo si presenta come il buon Pastore. Con la fede di Maria vogliamo seguire la parola del Maestro e riconoscerlo come nostra guida. Egli dà la vita e dice ad ogni pastore di fare altrettanto:  l'amore con cui ama Cristo è quello del Padre. Egli non nasconde sbagli e debolezze dei suoi figli. Indica chiaramente l'errore, ma sempre cerca di rialzare chi sbaglia e di avvicinarlo alla misericordia divina. Cristo, medico celeste, ci ha portato la medicina della misericordia:  da essa ogni buon ministro di Cristo trae la capacità di correggere fratelli e figli senza mai scoraggiare e piuttosto aprendo sempre alla fiducia e alla speranza.

Anche lei, come padre e capo, a questo amore misericordioso saprà senz'altro attingere pazienza, bontà e sapienza da offrire al suo popolo, il quale imparerà dal proprio patriarca la fedeltà al Pastore sommo ed eterno e alla Chiesa, l'amore a Dio inscindibile dall'amore del prossimo, l'annuncio del regno di Cristo per rendere migliore la storia, volgendo però lo sguardo ai beni invisibili. Il patriarca, che contempla il buon Pastore, sa indicare i pascoli eterni, che giustificano le croci e le sofferenze, le rinunce e i sacrifici della vita dei pastori e dei fedeli.

Fatica e grazia sarà anche la sinodalità propria delle Chiese orientali, che ella è chiamato a seguire come via ordinaria nelle relazioni ecclesiali, favorendo la partecipazione dei vescovi secondo i sacri canoni, dei presbiteri, dei religiosi e delle religiose, e dei laici, particolarmente delle famiglie, perché tutto concorra all'edificazione della comunità e di quella pace per la quale soffrono tanti siro-cattolici, soprattutto in Medio Oriente. Il Papa aprirà domani l'Anno sacerdotale:  auguro ai presbiteri siro-cattolici di essere, con l'aiuto del loro patriarca, autentici servitori di Dio e dei fratelli secondo il Cuore di Cristo.

Perciò le auguriamo, beatitudine, di imitare sempre il Pastore buono. San Pietro, che fu vescovo di Antiochia, e san Paolo, di cui si compie il giubileo per i duemila anni della nascita, sostengano l'augurio con la loro preghiera. Nella lettera ai romani, l'apostolo assicura che "l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito". Il patriarca, col dono dello Spirito di Cristo Pastore, potrà essere uomo spirituale e ricondurre tutto nel suo servizio alla misura della fede e della speranza, tutto attendendo dalla carità che non avrà mai fine.


(©L'Osservatore Romano - 20 giugno 2009)

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La lettera del Papa
al cardinale Leonardo Sandri


Pubblichiamo il testo della lettera con la quale il Papa ha nominato il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, suo delegato alla celebrazione per la comunione ecclesiastica con il patriarca di Antiochia dei Siri.

Venerabili Fratri Nostro
Leonardo s.r.e.
Cardinali Sandri
Praefecto Congregationis
pro Ecclesiis Orientalibus

Romani Pontifices Decessores Nostri, ut plane liquet, per saeculorum decursu fraterna caritate et sollicito studio Orientalium Ecclesiarum Patriarchas cum beati Petri Sede plenam communionem habentes prose-cuti sunt.

Cum vero laetum nuntium sit Nobis allatum Suam Beatitudinem Ignatium Iosephum III Younan, nuper Patriarcham Antiochenum Syrorum electum, antiquum morem secutum, a Nobis petere ut haec plena ecclesiastica communio cum Sede Romana confirmetur, Nos, cupientes dilectionem Nostram, existimationem et animi affectionem illi ostendere, vellemus quidem una cum eo Eucharisticam oblationem celebrare.

Te, Venerabilis Frater Noster, qui scite naviterque Congregationi pro Ecclesiis Orientalibus praees, delegatum Nostrum nominamus, qui in Basilica Papali Sanctae Mariae Maioris Nostro nomine cum venerabili Patriarcha sacram Synaxim in signum constitutae ecclesiasticae communionis celebres, eum debito honore suscipiens eique Nostram fervidam salutationem referens. Dum denique Suae Beatitudini fraternum rependimus sacrum osculum, Praesulibus Syris, Episcopis, clericis et omnibus sacro ritui interfuturis Apostolicam Benedictionem impertimur, supernorum munerum conciliatricem ac signum Nostrae dilectionis in Christo Domino.

Ex Aedibus Vaticanis, die XVIII mensis Iunii, anno MMIX, Pontificatus Nostri quinto.



(©L'Osservatore Romano - 20 giugno 2009)

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La divina liturgia
in rito siro-antiocheno



Giovedì 18 giugno, nella basilica papale di Santa Maria Maggiore, è stata celebrata la solenne liturgia eucaristica in rito siro-antiocheno nel corso della quale, a nome del Papa, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha dato pubblica significazione della comunione ecclesiastica tra il vescovo di Roma e il nuovo patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssef III Younan.

Folta la delegazione che ha accompagnato il proprio capo e pastore per professare la fede di Pietro, che fu vescovo di Antiochia, e di Paolo, che là dove i discepoli per la prima volta furono chiamati cristiani, ha predicato il Crocifisso risorto, ma anche di sant'Ignazio di Antiochia, di cui i patriarchi siri portano sempre il nome, e di sant'Efrem il Siro.
 
All'inizio è stata data lettura della lettera con la quale il Pontefice ha delegato il cardinale Sandri a rappresentarlo al sacro rito, che il porporato ha illustrato nell'omelia qui pubblicata:  il pallio in passato conferito anche ai patriarchi orientali è stato, infatti, sostituito dallo scambio delle sacre specie eucaristiche, quale segno e volontà di comunione interecclesiale nell'unica Chiesa cattolica guidata da Pietro e dai suoi successori.

Con i vescovi e i fedeli siri provenienti da Libano, Siria, Iraq e da altre parti del mondo, hanno partecipato alla celebrazione alcuni ambasciatori e i rappresentanti degli orientali presenti a Roma. Tra i presenti, il patriarca e prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, cardinale Ignace Moussa i Daoud, e l'arcivescovo segretario Cyril Vasil', con i monsignori Maurizio Malvestiti e Arnaud Bérard del medesimo dicastero.

Ad accogliere i partecipanti nella basilica liberiana il cardinale arciprete Bernard Law, che ha concelebrato. La divina liturgia si è conclusa con un suggestivo canto mariano in siriaco davanti alla icona della Salus populi romani.


(©L'Osservatore Romano - 20 giugno 2009)

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Intervista con sua beatitudine Béchara Raï, nuovo patriarca di Antiochia dei Maroniti

 (Malacaria per "30 Giorni")

Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo con il permesso della Redazione:

ANTICIPAZIONE DEL MENSILE 30GIORNI DIRETTO DAL SENATORE GIULIO ANDREOTTI


Intervista con sua beatitudine Béchara Raï, nuovo patriarca di Antiochia dei Maroniti

«I vari leader cristiani hanno parlato delle loro diverse opzioni politiche e, pur ribadendo le proprie posizioni, sono arrivati alla conclusione che le loro visioni politiche sono complementari e non in conflitto. La molteplicità di opzioni politiche, piuttosto che causa di scontri, può essere una ricchezza e garanzia di democrazia»

«In passato, riguardo a Hezbollah, c’è stato il problema della natura di questo partito perché, in particolare, c’era chi non accettava che possedesse delle armi. Oggi, però, tale discussione si è esaurita, perché sterile. Adesso si parla di strategia comune di difesa, cioè di come il Libano debba organizzare il possesso e l’uso delle armi».

«All’origine di tutte le crisi e di tutti i problemi del Medio Oriente c’è il conflitto israelo-palestinese. È il peccato originale, la matrice che nutre tutte le cristi della nostra regione. Purtroppo la comunità internazionale non sta agendo come dovrebbe: bisogna applicare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, a cominciare da quella che prevede il ritorno dei profughi nella propria terra».

di Davide Malacaria

Il 15 marzo i vescovi maroniti, riuniti a Bkerké (nei pressi di Beirut), la sede del Patriarcato, hanno eletto Béchara Raï, vescovo di Jbeil, Byblos dei Maroniti, nuovo patriarca di Antiochia dei Maroniti. Sua beatitudine Béchara Boutros Raï, 71 anni, ordinato sacerdote nel 1967 e diventato vescovo nel 1986, conosce bene Roma e il Vaticano, in quanto qui ha studiato, presso il Pontificio Collegio Maronita, e qui, per anni, anche in qualità di membro del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, è stato il responsabile del programma arabo della Radio Vaticana. Sua beatitudine Béchara Raï succede a Nasrallah Pierre Sfeir, che lo scorso febbraio, a novant’anni, ha dato le dimissioni. Lo scorso 14 aprile, ricevendo in udienza il nuovo patriarca, Benedetto XVI ha concesso la ecclesiastica communio.
Da alcuni anni in Libano, Paese cruciale per la stabilità del Medio Oriente, la solennità dell’Annunciazione è stata dichiarata festa nazionale, con gioia dei cristiani, ovviamente, e degli islamici, che venerano in Maria la madre del profeta Gesù. Una festa nata all’insegna di quella convivenza tra cristiani e islamici che, pur nelle alterne e a volte dolorose vicende della storia, è stata la caratteristica di questo Paese. Béchara in arabo vuol dire “Annunciazione”. Un buon auspicio.

Che cosa ha pensato al momento dell’elezione?

BÉCHARA RAÏ: Durante il Sinodo, gli altri possibili candidati al patriarcato, a un certo momento hanno fatto un passo indietro perché si arrivasse a un’elezione unanime. È stato in quel momento che mi è venuto in mente il motto del mio mandato: «Comunione e amore», che poi ho scritto sulla scheda elettorale. Così, durante lo scrutinio, mentre veniva ripetuto il mio nome, a un certo momento è stato letto anche questo motto. Era un modo per dire che accettavo quanto deciso nel Sinodo, ma all’insegna, appunto, della comunione e dell’amore.

La Chiesa maronita, di rito orientale e da sempre in comunione con Roma, gioca un ruolo di ponte tra la cristianità occidentale e quella ortodossa?

Per storia i maroniti hanno rapporti fecondi sia con le Chiese di tradizione greca e siriaca sia con la Santa Sede. Anche per questo hanno giocato un ruolo importante quando sono avvenute unioni tra Chiese di rito orientale e Roma – mi riferisco alle Chiese chiamate uniate. Per storia e tradizione il nostro ruolo è quello di essere ponte tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. Un compito ecumenico molto prezioso per la cristianità.

Sempre a proposito dei rapporti con l’Ortodossia, il cardinale Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, nel suo intervento al Sinodo per le Chiese orientali ha detto di voler interpellare i patriarchi d’Oriente per raccogliere pareri per una possibile riforma del ministero petrino...

Una cosa analoga è stata fatta già al tempo di Giovanni Paolo II. Io ero membro della Commissione che doveva raccogliere le risposte dei patriarchi e riferire al Santo Padre. In quella sede avevamo raccolto i contributi di vari patriarchi e vescovi orientali, ma poi questo lavoro è rimasto incompiuto.

Tra le varie proposte giunte alla Commissione ce n’era qualcuna che aveva attirato più di altre la sua attenzione?

Tra le altre, vi era la proposta che i patriarcati orientali potessero estendere la loro giurisdizione sui fedeli della diaspora, quindi fuori dal territorio tradizionalmente chiamato territorio patriarcale. Questa proposta, purtroppo, non è stata accolta. Ricordo che se ne parlò nel 2000, in occasione di un convegno per il decennale della promulgazione del Codice di diritto canonico delle Chiese orientali, e, in quella sede, il segretario di Stato vaticano, parlando a nome del Papa, spiegò come non fosse possibile estendere la giurisdizione dei patriarcati, per due ordini di motivi. Il primo riguarda il principio di territorialità: per tradizione il territorio patriarcale ha un limite geografico limitato all’ambito orientale, né il principio di territorialità può diventare principio di soggettività. Il secondo motivo, ci fu riferito, è che il patriarcato è un’istituzione ecclesiastica e, come tale, può anche sparire, mentre l’episcopato e il papato sono, all’opposto, istituzioni divine e non caduche. Poiché il papa è vescovo di tutti i cattolici e poiché ci sono vescovi locali che hanno il potere pastorale giurisdizionale anche sui fedeli della diaspora orientale, non c’è bisogno di estendere la giurisdizione del patriarca. Questa in estrema sintesi la risposta che fu data.

Quanto è importante il rapporto tra il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti e i fedeli della diaspora sparsi nel mondo?

Per il patriarca di Antiochia dei Maroniti è importante avere cura anche di questi fedeli. È un compito svolto già dalle diverse diocesi maronite sparse nel mondo; altrove, invece, a tale cura provvedono comunità organizzate, cioè parrocchie maronite, che dipendono dall’ordinario locale, che poi è quello latino; infine ci sono comunità senza sacerdoti. Quindi è nostro compito provvedere a livello pastorale: inviare sacerdoti, religiosi e religiose e, dove ci sono comunità organizzate, provvedere alle diocesi. Ma il legame tra gli emigrati e la madrepatria è mantenuto anche a livello ecclesiale e di società civile, attraverso le tante organizzazioni che conservano vitali tali rapporti. Un aspetto rilevante di questo legame è il mantenimento della cittadinanza libanese da parte dei discendenti di famiglie maronite. È importante perché, in un sistema politico come quello libanese, fondato sulla demografia, consente ai cristiani di mantenere immutato il loro numero e, conseguentemente, il loro peso politico. Si tenga conto che il nostro sistema politico vede una partecipazione paritetica alla gestione della cosa pubblica di cristiani e musulmani, in quanto la popolazione è composta per metà da cristiani e per metà da musulmani: se i numeri dovessero mutare molto, cambierebbe anche tale equilibrio. Ma il legame con i nostri emigrati è importante anche perché il Libano rappresenta per i maroniti la loro patria spirituale, le loro tradizioni, la loro storia. Inoltre tale legame permette agli emigrati di sostenere economicamente le famiglie rimaste in patria e anche la “causa” libanese.
Infine la diaspora può fare molto a livello di progetti di sviluppo e di progetti sociali.

Dopo la sua elezione, lei ha voluto incontrare i quattro più importanti leader dei partiti politici cristiani presenti in Libano...

In Libano adesso c’è una grande divisione tra quello che si chiama il “Blocco del 14 marzo”, che vede dei partiti cristiani alleati con i musulmani sunniti (che hanno rapporti con Arabia Saudita, Egitto e Stati Uniti), e il “Blocco dell’8 marzo”, che vede altri cristiani alleati con gli sciiti ed Hezbollah, i quali, a loro volta, hanno rapporti con Iran e Siria. Ciò crea tensione, anche perché tra sciiti e sunniti c’è grande conflittualità. Questa situazione ha creato distanze anche tra cristiani, tanto che i leader politici cristiani non riuscivano a incontrarsi. Così ho organizzato questo incontro al Patriarcato nella speranza di favorire una distensione nei rapporti tra cristiani e, di conseguenza, anche nella nazione. Ed è quello che è successo. I vari leader cristiani hanno parlato delle loro diverse opzioni politiche e, pur ribadendo le proprie posizioni, sono arrivati alla conclusione che le loro visioni politiche sono complementari e non in conflitto. La molteplicità di opzioni politiche, piuttosto che causa di scontri, può invece essere una ricchezza e garanzia di democrazia. Nell’incontro si è registrata una bella intesa, che ha creato distensione a livello pubblico. Ora, dopo che si è rotto il ghiaccio, gli incontri tra politici cristiani proseguiranno, ma più allargati, per ampliare le basi del dialogo. Oltre a questo incontro, al Patriarcato si è tenuto un vertice tra diversi capi religiosi, musulmani e cristiani. Ad esso ha fatto seguito una dichiarazione comune sui principi e i fondamenti della nazione nei quali tutti i libanesi, al di là della loro religione, si riconoscono, e sul fatto che la politica, in quanto tale, deve essere lasciata ai politici. Credo che tutto questo possa dare nuovo impulso all’unità del Paese. Spero, infine, che presto si possano realizzare incontri tra politici musulmani e cristiani, nell’ambito dei quali confrontarsi sui temi più caldi della vita sociale e politica del Paese.

Quindi il problema non è tanto creare un unico partito politico dei cristiani, quanto cercare un’intesa tra i vari partiti.

Il Libano è un Paese democratico e pluralista, quindi ben vengano diversità di opinioni e di vedute. Però ci sono due cose che ci uniscono: i fondamenti della nazione e i comuni obiettivi. Il Libano si fonda su alcuni principi politici che, fin dalla nascita dello Stato, ne costituiscono una costante mai venuta meno: cioè che il Libano è un Paese democratico, parlamentare, basato sulla convivenza tra musulmani e cristiani, sui diritti dell’uomo, sulla libertà, sul patto nazionale che vede cristiani e musulmani partecipare in maniera egualitaria alla gestione della cosa pubblica. Questi sono i fondamenti del nostro Paese, indispensabili proprio per la natura della nostra nazione: perché in Libano, data la presenza storica di cristiani e islamici, esistono due tradizioni diverse, due culture diverse e via dicendo. Per quanto riguarda gli obiettivi comuni, invece, s’intende: come conservare il Libano come entità statale, come conservare la sua identità e come agire per il bene comune e, per quanto riguarda in particolare i cristiani, come conservare la loro presenza nel nostro Paese. Per preservare i principi fondamentali del nostro Stato e per raggiungere tali obiettivi non si tratta di unificare le varie opzioni politiche, anzi. Si dice che «tutte le strade portano a Roma»: ben vengano le diversità di opinioni, di scelte politiche, di alleanze perché non c’è una fazione politica che possa pretendere di essere quella “vera”, tutte hanno un aspetto di verità. Il nostro compito è quello di favorire questo approccio costruttivo e non conflittuale.

Come si rapporterà il patriarca con Hezbollah?

In passato esisteva una Commissione in cui il Patriarcato ed Hezbollah dialogavano sui problemi del Paese, ma questo confronto proficuo si è fermato. Quando, dopo la mia elezione, una delegazione di Hezbollah è venuta a rendere omaggio al nuovo patriarca, ho detto loro che si doveva riprendere il dialogo, in particolare attraverso il ripristino di questa Commissione, perché non possiamo lasciarlo cadere nel vuoto. I conflitti tra uomini, tra gruppi nascono da incomprensioni o pregiudizi. Non è che dobbiamo dialogare su tutte le scelte politiche, però ci si può provare a chiarire su molti punti. In passato, riguardo a Hezbollah, c’è stato il problema della natura di questo partito perché, in particolare, c’era chi non accettava che possedesse delle armi. Oggi, però, tale discussione si è esaurita, perché sterile. Adesso si parla di strategia comune di difesa, cioè di come il Libano debba organizzare il possesso e l’uso delle armi. Non è accettabile il fatto che Hezbollah possa usare le armi quando vuole, possa dichiarare guerra o trattare la pace con Israele senza nessun rapporto con il governo del Paese. Si parla allora di una strategia di difesa che riguarda insieme lo Stato, Hezbollah, l’esercito regolare, le milizie di Hezbollah e così via. Non siamo ancora arrivati a un chiarimento sul punto, però il concetto è stato accettato un po’ da tutti. Al contrario, invece, è stata rifiutata al cento per cento la tesi secondo la quale Hezbollah dovrebbe consegnare le armi. È una richiesta che non può essere accettata e, tra l’altro, rende critico il rapporto con Hezbollah. Dobbiamo confrontarci, anche per ottenere garanzie sul fatto che Hezbollah non usi le armi sul piano interno, per rivalersi sui propri avversari politici, né dichiari guerra a Israele a prescindere da ogni riferimento al legittimo potere libanese. Non è accettabile uno Stato dentro lo Stato. Sono temi che sintetizziamo con l’espressione “strategia comune di difesa”.

Più volte ha parlato dell’importanza della convivenza tra cristiani e musulmani in Libano...

La convivenza nel nostro Paese è stata sancita con il Patto nazionale del ’43, quando musulmani e cristiani hanno espresso due negazioni: no all’Oriente e no all’Occidente. Vuol dire che i musulmani libanesi non possono lavorare a un processo di integrazione con la Siria o con qualsiasi altro Paese arabo a regime islamico, né i cristiani con l’Occidente e, nello specifico, con la Francia. Allo stesso tempo i musulmani hanno rinunciato a ogni pretesa riguardo alla possibilità di instaurare una teocrazia islamica mentre i cristiani, a loro volta, hanno rinunciato al laicismo di stampo occidentale. Così in Libano si è costruito uno Stato che è una via di mezzo tra la teocrazia orientale e i regimi secolarizzati occidentali. È un Paese civile, che rispetta la dimensione religiosa di tutti i cittadini; non può essere imposto un sistema teocratico, né una religione di Stato. La convivenza tra cristiani e musulmani è stabilita dalla Costituzione, la quale afferma, all’articolo 9, che il Libano è un grande omaggio a Dio, rispetta tutte le religioni, riconosce i loro statuti, garantisce la libertà religiosa e la pratica religiosa di tutti. Lo Stato libanese non legifera in materie che riguardano la religione, in materia di matrimonio o altro, come invece accade in Occidente dove si fanno leggi in contrasto con la legge naturale: ad esempio, quella sui matrimoni tra persone dello stesso sesso. In queste materie le diverse comunità religiose hanno una loro autonomia legislativa.

Reputa che il Libano sia un esempio virtuoso di convivenza anche a livello internazionale?

Certo. Vediamo che in Occidente la religione è messa da parte e questo l’islam non può accettarlo. D’altro canto vediamo come nel mondo orientale si siano instaurati sistemi politici in cui la religione ha un’importanza fondamentale, ma chiusi. E ciò riguarda sia i Paesi islamici che Israele. In Libano, invece, c’è uno Stato democratico, pluralista, che rispetta la dimensione religiosa di tutti i cittadini e i diritti dell’uomo. È la bellezza del nostro Paese, che ha fatto affermare a Giovanni Paolo II che il Libano più che una nazione è un messaggio e un esempio, un esempio virtuoso per l’Oriente rispetto ai regimi fondati sulla religione, e per l’Occidente rispetto a sistemi politici informati alla secolarizzazione.

Qual è la sua opinione sui movimenti di rivolta che si stanno propagando nei Paesi arabi e che, tra l’altro, toccano un Paese, come la Siria, molto importante per il Libano?

Il problema è complesso. In Siria governa una minoranza alawita, mentre la grande maggioranza dei musulmani siriani è sunnita. I sunniti, che non sono affatto fondamentalisti, governavano il Paese prima che arrivassero gli Assad e ora chiedono riforme... In Egitto invece ci sono i Fratelli musulmani che possono dare un’impronta fondamentalista al nuovo corso politico. Bisogna considerare che l’islam è dilaniato da diversi conflitti: tra sciiti e sunniti in Iraq e altrove, tra alawiti e sunniti in Siria in altri Paesi. Non so dove porterà tutto questo, ma è preoccupante: c’è il pericolo che in qualcuno di questi Stati s’instauri un regime islamico fondamentalista o un regime dittatoriale peggiore dei precedenti; oppure che si giunga alla partizione di questa regione in piccoli Stati confessionali, secondo quello che alcuni osservatori internazionali chiamano “progetto per un nuovo Medio Oriente”. Il futuro è incerto. Noi auspichiamo che questi Paesi trovino la pace nel rispetto dei diritti umani dei popoli, perché sappiamo che quelli che sono stati messi in discussione sono regimi di impronta dittatoriale, nei quali vigono un sistema politico-religioso chiuso e il partito unico. Sono Paesi con grandi risorse, ma le cui ricchezze non sono distribuite e in cui la gente è molto povera. Tutte queste rivolte, queste manifestazioni di massa sono state condotte, generalmente, senza armi, con Facebook: è gente che reclama i propri diritti e libertà. Alcuni Paesi hanno fatto le riforme, altri non le hanno fatte. Dove non si è trovata una risposta positiva alle attese della gente, la situazione va peggiorando e questo ci preoccupa sempre di più, anche perché questa crisi si ripercuote molto negativamente sulle comunità cristiane, com’è avvenuto in Iraq, perché purtroppo a subire le conseguenze di certe situazioni sono i cristiani. Siamo molto preoccupati anche per il Libano, che si trova in questo ambito e risente di tutte queste crisi. Noi ci rivolgiamo alla comunità internazionale perché aiuti questi popoli.

L’ultima domanda riguarda la pace tra Israele e Palestina…

All’origine di tutte le crisi e di tutti i problemi del Medio Oriente c’è il conflitto israelo-palestinese. È il “peccato originale”, la matrice che nutre tutte le crisi della nostra regione. Purtroppo la comunità internazionale non sta agendo come dovrebbe: bisogna applicare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, a cominciare da quella che prevede il ritorno dei profughi nella propria terra. L’Onu è stata creata per favorire la pace nel mondo e invece non fa nulla, perché, purtroppo, è ostaggio delle grandi potenze. I palestinesi devono avere il loro Stato e i profughi devono poter far ritorno alla propria terra. Il Libano ospita mezzo milione di profughi su un totale di quattro milioni di abitanti, un numero esorbitante... Una presenza che costituisce un problema per la sicurezza, dal momento che hanno armi e le usano al di fuori di ogni controllo, ma anche un dramma politico e sociale. I conflitti che hanno tormentato il Libano, dal ’75 fino ad oggi, sono stati causati dalla presenza di questi profughi, che premono per tornare nelle loro terre. Se si risolvesse questo conflitto anche Hezbollah perderebbe la sua ragion d’essere... È che le grandi potenze giocano sulla sorte dei popoli. Basta vedere quel che è successo in Iraq, dove si è intervenuti, si è detto, per instaurare la democrazia e, in un decennio, sono state uccise più persone di quante ne abbia mai uccise Saddam Hussein...

 30 Giorni, giugno 2011

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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