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Magisteriale discorso di Benedetto XVI e notizie dalla Chiesa in Francia

Ultimo Aggiornamento: 12/07/2010 11:37
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Il Papa ai Vescovi francesi all'Hémicycle Sainte Bernadette

LOURDES, domenica, 14 settembre 2008
Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato dal Papa, questa domenica, nell'incontrare presso l’Hémicycle Sainte Bernadette, a Lourdes, la Conferenza Episcopale Francese.


               

* * *

Signori Cardinali,

carissimi Fratelli nell’Episcopato!

È la prima volta dall’inizio del mio Pontificato che ho la gioia di incontrarvi tutti insieme.
Saluto cordialmente il vostro Presidente, il Cardinale André Vingt-Trois, e lo ringrazio delle profonde parole che mi ha rivolto a vostro nome. Saluto anche con piacere i Vice-Presidenti, così come il Segretario Generale e i suoi collaboratori. Un saluto caloroso rivolgo a ciascuno di voi, miei Fratelli nell’Episcopato, che siete venuti dai quattro angoli della Francia e d’oltremare.

Il mio pensiero va anche a Mons. François Garnier, Arcivescovo di Cambrai, che celebra oggi a Valenciennes il Millenario di “Notre-Dame du Saint-Cordon”. Mi rallegro di essere stasera tra voi in questo emiciclo intitolato a “Sainte Bernadette”, che è il luogo ordinario delle vostre preghiere e dei vostri incontri, luogo nel quale esponete le vostre preoccupazioni e le vostre speranze, luogo anche delle vostre discussioni e delle vostre riflessioni. Questa sala è posta in un punto privilegiato presso la grotta e le basiliche mariane.

Certo, le visite “ad limina” vi consentono di incontrare regolarmente il Successore di Pietro a Roma, ma il momento che noi ora viviamo ci è dato come una grazia per confermare i legami stretti che ci uniscono nella partecipazione al medesimo sacerdozio direttamente derivante da quello di Cristo redentore.

Vi incoraggio a continuare a lavorare nell’unità e nella fiducia, in piena comunione con Pietro che è venuto per confermare la vostra fede. Sono tante, l'avete detto voi, Eminenza, le vostre e le nostre attuali preoccupazioni!

So che intendete impegnarvi con entusiasmo a lavorare entro il nuovo quadro definito con la riorganizzazione della carta delle province ecclesiastiche, e me ne rallegro vivamente. Vorrei profittare di questa occasione per riflettere con voi su qualche tema che so essere al centro della vostra attenzione. La Chiesa – Una, Santa, Cattolica e Apostolica - vi ha generati mediante il Battesimo. Essa vi ha chiamati al suo servizio; voi le avete donato la vostra vita, prima come diaconi e sacerdoti, poi come Vescovi. Vi esprimo tutto il mio apprezzamento per questo dono delle vostre persone: nonostante l’ampiezza del compito, che ne sottolinea l’onore – honor, onus ! – voi adempite con fedeltà e umiltà il triplice vostro compito, nei confronti del gregge che vi è affidato, di insegnare, governare, santificare, alla luce della Costituzione Lumen gentium (nn.25-28) e del Decreto Christus Dominus.

Successori degli Apostoli, voi rappresentate il Cristo a capo delle diocesi che vi sono state affidate, e vi sforzate di realizzare in esse l’immagine del Vescovo tracciata da san Paolo; dovete crescere senza posa in questa via, nell’intento di essere sempre più “ospitali, amanti del bene, assennati, giusti, pii, padroni di voi stessi, attaccati alla dottrina sicura, secondo l’insegnamento trasmesso” (cfr Tt 1,8-9).

Il popolo cristiano deve guardarvi con affezione e rispetto. Fin dalle origini la tradizione cristiana ha insistito su questo punto: “Tutti quelli che sono per Dio e per Gesù Cristo, sono con il Vescovo” scriveva sant’Ignazio di Antiochia (Ai Filad., 3,2), il quale aggiungeva pure: “Colui che il padrone di casa invia per amministrare la sua casa, noi dobbiamo accoglierlo come accoglieremmo colui che lo ha inviato” (Agli Efes. 6,1). La vostra missione, soprattutto spirituale, sta dunque nel creare le condizioni necessarie perché i fedeli possano, per citare di nuovo Sant'Ignazio, “cantare ad una sola voce mediante Cristo un inno al Padre” (Ibid. 4,2) e in tal modo fare della loro vita un’offerta a Dio. Voi siete giustamente convinti che per far crescere in ogni battezzato il gusto di Dio e la comprensione del senso della vita, la catechesi riveste un’importanza fondamentale. I due strumenti principali di cui disponete, il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Catechismo dei Vescovi di Francia, costituiscono mezzi preziosi. Offrono infatti una sintesi armoniosa della fede cattolica e consentono di annunciare il Vangelo con fedeltà reale alla sua ricchezza. La catechesi non è innanzitutto una questione di metodo, ma di contenuto, come indica il suo stesso nome: si tratta di un’assimilazione organica (katechein) dell’insieme della rivelazione cristiana, capace di mettere a disposizione delle intelligenze e dei cuori la Parola di Colui che ha dato la sua vita per noi. In questo modo, la catechesi fa risuonare nel cuore di ciascun essere umano un unico appello rinnovato senza posa: “Seguimi” (Mt 9,9).

Una accurata preparazione dei catechisti consentirà la trasmissione integrale della fede, secondo l’esempio di san Paolo, il più grande catechista di tutti i tempi, al quale guardiamo con un’ammirazione particolare in questo bimillenario della sua nascita. In mezzo alle cure apostoliche egli esortava così: “Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (2 Tm 4,3-4). Consapevoli del grande realismo delle sue previsioni, con umiltà e perseveranza voi vi sforzate di corrispondere alle sue raccomandazioni:

Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna … con ogni magnanimità e dottrina” (2 Tm 4,2). Per realizzare efficacemente questo compito, voi avete bisogno di collaboratori. Per questo motivo le vocazioni sacerdotali e religiose meritano più che mai di essere incoraggiate. Sono stato informato delle iniziative che con fede vengono prese in questo settore e ci tengo a recare tutto il mio sostegno a coloro che non hanno paura, come ha fatto Cristo, di invitare giovani e meno giovani a mettersi al servizio del Maestro che è qui e chiama (cfr Gv 11,28).

Vorrei ringraziare calorosamente e incoraggiare tutte le famiglie, tutte le parrocchie, tutte le comunità cristiane e tutti i Movimenti di Chiesa, che sono il terreno fertile capace di dare il buon frutto (cfr Mt 13, 8) delle vocazioni. In questo contesto, non posso tralasciare di esprimere la mia riconoscenza per le innumerevoli preghiere dei veri discepoli di Cristo e della sua Chiesa. Vi sono tra loro sacerdoti, religiosi e religiose, persone anziane o malate, anche prigionieri, che per decenni hanno fatto salire a Dio le loro suppliche per dar compimento al comando di Gesù: “Pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”(Mt 9,38). Il Vescovo e le comunità di fedeli devono, per quel che le riguarda, favorire ed accogliere le vocazioni sacerdotali e religiose, poggiando sulla grazia che dona lo Spirito Santo in vista di porre in atto il discernimento necessario. Sì, carissimi Fratelli nell’Episcopato, continuate a chiamare al sacerdozio e alla vita religiosa, così come Pietro gettò le sue reti in adempimento dell’ordine del Maestro, pur avendo passato la notte a pescare senza prendere nulla (cfr Lc 5,5).

Non si ripeterà mai abbastanza che il sacerdozio è indispensabile alla Chiesa, nell’interesse dello stesso laicato. I sacerdoti sono un dono di Dio per la Chiesa. I sacerdoti non possono delegare le loro funzioni ai fedeli in ciò che concerne i loro propri compiti.

Cari Fratelli nell’Episcopato, vi esorto a perseverare con ogni premura nell’aiutare i vostri sacerdoti a vivere in intima unione con Cristo. La loro vita spirituale è il fondamento della loro vita apostolica. Li esorterete pertanto con dolcezza alla preghiera quotidiana e alla degna celebrazione dei Sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia e della Riconciliazione, come faceva san Francesco di Sales con i suoi preti. Ogni sacerdote deve potersi sentire felice di servire la Chiesa.

Alla scuola del Curato d’Ars, figlio della vostra Terra e patrono di tutti i parroci del mondo, non cessate di ridire che un uomo non può far nulla di più grande che donare ai fedeli il Corpo e il Sangue di Cristo e perdonare i peccati. Cercate di essere attenti alla loro formazione umana, intellettuale e spirituale, come anche ai loro mezzi di sussistenza. Sforzatevi, nonostante il carico delle vostre pesanti occupazioni, di incontrarli regolarmente e sappiate riceverli come dei fratelli ed amici (cfr LG 28, CD 16). I sacerdoti hanno bisogno del vostro affetto, del vostro incoraggiamento e della vostra sollecitudine. Siate loro vicini e abbiate un’attenzione particolare per coloro che sono in difficoltà, malati o anziani (cfr CD 16). Non dimenticate che essi sono, come dice il Concilio Vaticano II riprendendo la stupenda espressione usata da sant’Ignazio di Antiochia nella Lettera ai cristiani di Magnesia, “la corona spirituale del Vescovo”(cfr LG 41). Il culto liturgico è l’espressione più alta della vita sacerdotale ed episcopale, come anche dell’insegnamento catechetico. Il vostro compito di santificazione del popolo dei fedeli, cari Fratelli, è indispensabile alla crescita della Chiesa.

Nel “Motu proprio” Summorum Pontificum sono stato portato a precisare le condizioni di esercizio di tale compito, in ciò che concerne la possibilità di usare tanto il Messale del Beato Giovanni XXIII (1962) quanto quello del Papa Paolo VI (1970).

Alcuni frutti di queste nuove disposizioni si sono già manifestati, e io spero che l’indispensabile pacificazione degli spiriti sia, per grazia di Dio, in via di realizzarsi. Misuro le difficoltà che voi incontrate, ma non dubito che potrete giungere, in tempi ragionevoli, a soluzioni soddisfacenti per tutti, così che la tunica senza cuciture del Cristo non si strappi ulteriormente.

Nessuno è di troppo nella Chiesa. Ciascuno, senza eccezioni, in essa deve potersi sentire “a casa sua”, e mai rifiutato. Dio, che ama tutti gli uomini e non vuole che alcuno perisca, ci affida questa missione facendo di noi i Pastori delle sue pecore. Non possiamo che rendergli grazie per l’onore e la fiducia che Egli ci riserva. Sforziamoci pertanto di essere sempre servitori dell’unità!

continua....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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(continua da sopra)

Quali sono gli altri campi che richiedono maggiore attenzione?

Le risposte possono differire da una diocesi all’altra, ma vi è un problema che appare dappertutto di una particolare urgenza: è la situazione della famiglia. Sappiamo che la coppia e la famiglia affrontano oggi delle vere burrasche. Le parole dell’evangelista a proposito della barca nella tempesta in mezzo al lago possono applicarsi alla famiglia: “Il vento gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena” (Mc 4, 37).

I fattori che hanno generato questa crisi sono ben conosciuti, e non mi soffermerò perciò ad elencarli. Da vari decenni le leggi hanno relativizzato in molti Paesi la sua natura di cellula primordiale della società. Spesso le leggi cercano più di adattarsi ai costumi e alle rivendicazioni di particolari individui o gruppi, che non di promuovere il bene comune della società. L’unione stabile di un uomo e di una donna, ordinata alla edificazione di un benessere terreno, grazie alla nascita di bambini donati da Dio, non è più, nella mente di certuni, il modello a cui l’impegno coniugale mira. Tuttavia l’esperienza insegna che la famiglia è lo zoccolo solido sul quale poggia l’intera società. Di più, il cristiano sa che la famiglia è anche la cellula viva della Chiesa. Più la famiglia sarà imbevuta dello spirito e dei valori del Vangelo, più la Chiesa stessa ne sarà arricchita e risponderà meglio alla sua vocazione.

Conosco, per altro, ed incoraggio vivamente gli sforzi che fate per recare il vostro sostegno alle diverse associazioni che operano per aiutare le famiglie.
Avete ragione di attenervi con fermezza, anche a costo di andare controcorrente, ai principi che fanno la forza e la grandezza del Sacramento del matrimonio. La Chiesa vuol restare indefettibilmente fedele al mandato che le ha affidato il suo Fondatore, il nostro Maestro e Signore Gesù Cristo. Essa non cessa di ripetere con Lui: “Ciò che Dio ha unito l’uomo non lo separi!” (Mt 19,6).

La Chiesa non si è data da sola questa missione: l’ha ricevuta
. Certo, nessuno può negare l’esistenza di prove, a volte molto dolorose, che certi focolari attraversano. Sarà necessario accompagnare le famiglie in difficoltà, aiutarle a comprendere la grandezza del matrimonio, e incoraggiarle a non relativizzare la volontà di Dio e le leggi di vita che Egli ci ha dato.

Una questione particolarmente dolorosa, lo sappiamo, è quella dei divorziati risposati. La Chiesa, che non può opporsi alla volontà di Cristo, conserva con fedeltà il principio dell’indissolubilità del matrimonio, pur circondando del più grande affetto gli uomini e le donne che, per ragioni diverse, non giungono a rispettarlo. Non si possono dunque ammettere le iniziative che mirano a benedire le unioni illegittime. L’Esortazione apostolica Familiaris consortio ha indicato il cammino aperto da un pensiero rispettoso della verità e della carità.

I giovani, lo so bene cari Fratelli, sono al centro delle vostre preoccupazioni. Voi dedicate loro molto tempo, e avete ragione. Come avete potuto constatare, ne ho appena contattato una moltitudine a Sydney, nel corso della Giornata Mondiale della Gioventù.

Ho potuto apprezzarne l’entusiasmo e la capacità di consacrarsi alla preghiera. Pur vivendo in un mondo che li corteggia e blandisce i loro bassi istinti, e portando essi pure il fardello pesante di eredità difficili da assimilare, i giovani conservano una freschezza d’animo che ha suscitato la mia ammirazione.

Ho fatto appello al loro senso di responsabilità, invitandoli a far leva sempre sulla vocazione che Dio ha loro donato nel giorno del Battesimo. “La nostra forza sta in ciò che Cristo vuole da noi”, diceva il Cardinal Jean-Marie Lustiger. Nel corso del suo primo viaggio in Francia, il mio venerato Predecessore rivolse ai giovani del vostro Paese un discorso che non ha perduto nulla della sua attualità e che ricevette allora un’accoglienza di indimenticabile calore. “La permissività morale non rende l’uomo felice”, proclamò nel Parco dei Principi sotto un uragano d’applausi. Il buon senso che ispirava la sana reazione del suo uditorio non è morto.

Prego lo Spirito Santo di voler parlare al cuore di tutti i fedeli e, più generalmente, di tutti i vostri compatrioti, per dare loro – o per loro restituire – il gusto di una vita condotta secondo i criteri di una vera felicità.

All’Eliseo ho evocato l’altro giorno l’originalità della situazione francese, che la Santa Sede desidera rispettare. Sono convinto, in effetti, che le Nazioni non devono mai accettare di veder sparire ciò che costituisce la loro specifica identità.

In una famiglia, il fatto che i diversi membri abbiano lo stesso padre e la stessa madre non comporta che essi siano soggetti tra loro indifferenziati: sono in realtà persone con una propria individualità. La stessa cosa avviene per i Paesi, che devono vegliare a preservare e a sviluppare la loro specifica cultura, senza lasciarla mai assorbire dalle altre o affogare in una spenta uniformità.

“La Nazione è, in effetti, per riprendere le parole del Papa Giovanni Paolo II, la grande comunità degli uomini uniti tra loro da legami diversi, ma soprattutto precisamente dalla cultura. La Nazione esiste ‘mediante’ la cultura e ‘per’ la cultura, ed essa è perciò la grande educatrice degli uomini perché, nella comunità, possano ’essere ancora di più’” (Discorso all’UNESCO, 2 giugno 1980, n.14).

In questa prospettiva, il porre in evidenza le radici cristiane della Francia permetterà ad ogni abitante di questo Paese di meglio comprendere da dove egli venga e dove egli vada. Di conseguenza, nel quadro istituzionale esistente e nel massimo rispetto delle Leggi in vigore, occorrerebbe trovare una strada nuova per interpretare e vivere nel quotidiano i valori fondamentali sui quali si è costruita l’identità della Nazione. Il vostro Presidente ne ha evocato la possibilità. I presupposti socio-politici dell’antica diffidenza o persino ostilità svaniscono poco a poco.

La Chiesa non rivendica per sé il posto dello Stato. Essa non vuole sostituirglisi. E’ infatti una società basata su convinzioni, che si sente responsabile dell’insieme e non può limitarsi a se stessa. Essa parla con libertà e dialoga con altrettanta libertà nel desiderio di giungere alla edificazione della libertà comune.

Grazie ad una sana collaborazione tra la Comunità politica e la Chiesa, realizzata nella consapevolezza e nel rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia di ciascuna nel proprio campo, si rende all’uomo un servizio che mira al suo pieno sviluppo personale e sociale. Numerosi punti, primizie di altri che vi si aggiungeranno secondo le necessità, sono già stati esaminati e risolti in seno alla “Istanza di Dialogo tra la Chiesa e lo Stato”. Di questa fa naturalmente parte, in virtù della missione sua propria e in nome della Santa Sede, il Nunzio Apostolico, che è chiamato a seguire attivamente la vita della Chiesa e la sua situazione nella società.

Come sapete, i miei Predecessori, il Beato Giovanni XXIII, antico Nunzio a Parigi, e il Papa Paolo VI hanno costituito dei Segretariati che sono divenuti, nel 1988, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Vi si aggiunsero ben presto la Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo e la Commissione per i Rapporti religiosi con i Musulmani.

Questa strutture sono in qualche modo il riconoscimento istituzionale e conciliare di innumerevoli iniziative e realizzazioni anteriori. Commissioni e Consigli simili si trovano del resto nella vostra Conferenza Episcopale e nelle vostre diocesi. La loro esistenza e il loro funzionamento dimostrano la volontà della Chiesa di andare avanti sviluppando il dialogo bilaterale.

La recente Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha messo in evidenza che il dialogo autentico richiede, come condizioni fondamentali, una buona formazione per coloro che lo promuovono e un discernimento illuminato per avanzare poco a poco nella scoperta della Verità. L’obiettivo dei dialoghi ecumenico e interreligioso, differenti naturalmente nella loro natura e nelle finalità rispettive, è la ricerca e l’approfondimento della Verità. Si tratta di un compito nobile e obbligatorio per ogni uomo di fede, perché Cristo stesso è la Verità.

La costruzione di ponti tra le grandi tradizioni ecclesiali cristiane e il dialogo con le altre tradizioni religiose esigono un reale impegno di conoscenza reciproca, perché l’ignoranza distrugge più che costruire. D’altra parte, non v’è che la Verità che permetta di vivere autenticamente il duplice comandamento dell’amore che ci ha lasciato il nostro Salvatore.

Certo, è necessario seguire con attenzione le diverse iniziative intraprese e discernere quelle che favoriscono la conoscenza e il rispetto reciproci, così come la promozione del dialogo, ed evitare quelle che conducono in vicoli ciechi. La buona volontà non basta. Sono convinto che convenga cominciare con l’ascolto, per poi passare alla discussione teologica ed arrivare infine alla testimonianza e all’annuncio della fede stessa (cfr Nota dottrinale su certi aspetti dell’evangelizzazione, n.12: 3 dicembre 2007).

Lo Spirito Santo vi doni il discernimento che deve caratterizzare ogni Pastore. San Paolo raccomanda: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Ts 5,21). La società globalizzata, pluriculturale e plurireligiosa nella quale viviamo, è un’opportunità che il Signore ci offre di proclamare la Verità e di esercitare l’Amore, nell’intento di raggiungere ogni essere umano senza distinzione, anche al di là dei limiti della Chiesa visibile.

Nell’anno che precedette la mia elezione alla Sede di Pietro, ebbi la gioia di venire nel vostro Paese per presiedervi le cerimonie commemorative del sessantesimo anniversario dello sbarco in Normandia. Raramente ho avvertito come allora l’attaccamento dei figli e delle figlie di Francia alla terra dei loro antenati. La Francia celebrava allora la sua liberazione temporale, al termine di una guerra crudele che aveva fatto innumerevoli vittime.

Ora, è soprattutto per una vera liberazione spirituale che conviene lavorare. L’uomo ha sempre bisogno di essere liberato dalle sue paure e dai suoi peccati. L’uomo deve senza sosta imparare o re-imparare che Dio non è suo nemico, ma suo Creatore pieno di bontà. L’uomo ha bisogno di sapere che la sua vita ha un senso e che egli è atteso, al termine della sua permanenza sulla terra, a prendere parte senza fine alla gloria di Cristo nei cieli.

Vostra missione è di condurre la porzione di Popolo di Dio affidata alle vostre cure a riconoscere questo termine glorioso. Vogliate accogliere qui l’espressione della mia ammirazione e della mia gratitudine per tutto quel che fate nell’intento di progredire in questo senso. Siate certi della mia preghiera quotidiana per ciascuno di voi. Vogliate credere che non cesso di domandare al Signore e alla sua Madre di guidarvi sulla vostra strada.

Con gioia ed emozione vi affido, carissimi Fratelli nell’Episcopato, a Nostra Signora di Lourdes e a santa Bernadette. La potenza di Dio si è sempre manifestata nella debolezza. Lo Spirito Santo ha sempre lavato ciò che era sordido, irrigato ciò che era arido, raddrizzato ciò che era sviato. Il Cristo Salvatore, che ha voluto fare di noi strumenti di comunicazione del suo amore agli uomini, non cesserà mai di farvi crescere nella fede, nella speranza, nella carità, per darvi la gioia di condurre a Lui un numero crescente di uomini e di donne del nostro tempo. Nell’affidarvi alla sua forza di Redentore, imparto a voi tutti dal profondo del cuore un’affettuosa Benedizione Apostolica.

Grazie!

                  





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Il passo nel video è il seguente che trovate integralmente sopra:

Nel “Motu proprio” Summorum Pontificum sono stato portato a precisare le condizioni di esercizio di tale compito, in ciò che concerne la possibilità di usare tanto il Messale del Beato Giovanni XXIII (1962) quanto quello del Papa Paolo VI (1970).

Alcuni frutti di queste nuove disposizioni si sono già manifestati, e io spero che l’indispensabile pacificazione degli spiriti sia, per grazia di Dio, in via di realizzarsi. Misuro le difficoltà che voi incontrate, ma non dubito che potrete giungere, in tempi ragionevoli, a soluzioni soddisfacenti per tutti, così che la tunica senza cuciture del Cristo non si strappi ulteriormente.

Nessuno è di troppo nella Chiesa. Ciascuno, senza eccezioni, in essa deve potersi sentire “a casa sua”, e mai rifiutato. Dio, che ama tutti gli uomini e non vuole che alcuno perisca, ci affida questa missione facendo di noi i Pastori delle sue pecore. Non possiamo che rendergli grazie per l’onore e la fiducia che Egli ci riserva. Sforziamoci pertanto di essere sempre servitori dell’unità!




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La vita resta un dono
I vescovi di Francia sulla bioetica


Lourdes, 7. Ideale prosecuzione di Bioéthique, propos pour un dialogue, pubblicato nel febbraio scorso, Bioéthique, questions pour un discernement - il secondo volume scritto sul tema dall'arcivescovo di Rennes, Pierre d'Ornellas, e presentato giovedì a Lourdes all'assemblea della Conferenza episcopale francese - affronta la questione della bioetica partendo dai risultati dell'ampio dibattito che ha coinvolto negli ultimi mesi tutto il Paese. Lo studio del Consiglio di Stato, il rapporto degli Stati generali, le riflessioni sul ruolo del legislatore, le domande dei cittadini: monsignor d'Ornellas, responsabile del gruppo di lavoro incaricato dalla Conferenza episcopale di approfondire la discussione sulla bioetica in vista della revisione della legge, riassume le posizioni sottolineando la necessità di una "legge originale" (e non "di allineamento") e di un'etica partecipe della promozione di una ricerca scientifica degna. "C'è la tentazione di voler dominare la vita, di non accoglierla. Ma la vita resta un dono", conclude il presule.


(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2009)

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In un libro i presuli francesi fanno il punto sul dibattito in corso nel Paese

Una bioetica per servire la persona umana





Parigi, 19. C'è una ragione etica accanto a una ragione tecnico-scientifica, la prima importante quanto la seconda, a volte di più. Il risveglio di questa consapevolezza è forse il risultato più evidente del dibattito che per mesi ha messo a confronto i francesi sui temi della bioetica, in vista della revisione della legge in programma nel 2010. La Conferenza episcopale, che due anni fa ha istituito uno speciale gruppo di lavoro incaricato di favorire il dialogo fra i cittadini sui punti più controversi, illustrando al riguardo il pensiero della Chiesa, tira ora le somme e sottolinea quali sono i punti fermi emersi dagli "stati generali" e quali le domande che devono ancora trovare una risposta.

Lo fa con un libro, Bioéthique, questions pour un discernement, presentato nei giorni scorsi all'assemblea plenaria a Lourdes dall'arcivescovo di Rennes, Pierre d'Ornellas, responsabile del citato gruppo di lavoro.
È la seconda opera che i vescovi dedicano alle questioni originate dai progressi delle scienze biomediche, dopo Bioéthique, propos pour un dialogue, e si pone come ideale prosecuzione di un confronto all'insegna del rispetto.

Il libro approfondisce le riflessioni emerse dallo studio sulla revisione della legge reso pubblico a maggio dal Consiglio di Stato e dal rapporto finale degli "stati generali" sulla bioetica (1° luglio), e si sofferma inoltre su espressioni - "progetto parentale", "desiderio di maternità", "omoparentalità" - usate spesso nel corso del dibattito sociale, così come sul significato di amore coniugale e dignità umana.

Bioéthique, questions pour un discernement dà voce alle opinioni dei cittadini ("la dignità non declina con il passare delle forze, né la malattia né la disabilità alterano la nostra umanità"), citando a più riprese il rapporto finale degli "stati generali". Sono conclusioni (non definitive ma certamente importanti) espresse attraverso interrogativi ai quali soprattutto il legislatore dovrà dare risposta: cosa fare affinché la Francia sia all'avanguardia delle scienze e delle tecniche biomediche, facendo prevalere una concezione di progresso al servizio dell'uomo, guidata e confortata da principi etici chiaramente definiti? In pratica, fra tutto ciò che è tecnicamente possibile fare, cos'è ragionevole autorizzare?

Per gran parte dei cittadini, la ragione morale non è riducibile a razionalità tecnico-scientifica. E ogni libertà deve avere dei limiti. Limiti che vanno imposti all'assistenza medica alla procreazione in modo che la libertà degli adulti si arresti sulla soglia del benessere dei nascituri. I vescovi concordano: non occorre trasgredire per progredire e, soprattutto, l'interesse superiore del progresso scientifico non basta per giustificare, ad esempio, la violazione della dignità di un embrione, il concetto di filiazione come mero incontro di due cellule, l'utilizzo della diagnosi prenatale al solo scopo di individuare eventuali anomalie genetiche del feto.



(©L'Osservatore Romano - 20 novembre 2009)


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Vocazioni: perché non io?


Lancio di una campagna della Chiesa in Francia


PARIGI, lunedì, 26 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa cattolica in Francia sta realizzando dal 20 aprile al 5 maggio una campagna nazionale di comunicazione sulle vocazioni.

E' la prima campagna di questo tipo in un Paese in cui il sacerdozio non arriva a un centinaio di giovani all'anno, ha reso noto giovedì la Conferenza Episcopale Francese.

La domanda "Che cos'è un sacerdote?" è al centro di questa iniziativa di comunicazione, elaborata da un'agenzia, la Bayard Service, per la Giornata di preghiera per le vocazioni, celebrata questa domenica.

L'obiettivo della campagna, secondo un comunicato, è "chiamare ad agire insieme per la vocazione dei futuri sacerdoti e la formazione dei seminaristi delle Diocesi di Francia".

In questo contesto, cerca di valorizzare "il ministero del sacerdote, qualunque sia l'impegno personale dei giovani", "la funzione e la formazione dei futuri sacerdoti" e "la situazione dei sacerdoti nella società".

Sostenuta dalla Conferenza Episcopale Francese, la campagna si baserà su tre pilastri, ciascuno dei quali corrisponde a un pubblico particolare.

In primo luogo, rivolgendosi a giovani tra i 16 e i 22 anni, risponde a domande che sorgono in quell'età "sul proprio futuro e, perché no, su una possibile vocazione", indica il Servizio Nazionale per le Vocazioni.

Per giovani tra i 22 e i 30 anni si risponde poi a domande più precise come "Qual è la missione del sacerdote?", "In cosa consiste la sua formazione?", "Quali sono i suoi impegni?".

Ci si rivolge infine a giovani che hanno più di 30 anni per "promuovere il ministero sacerdotale e chiedere donazioni per finanziare i seminari".

Secondo il Servizio Nazionale per le Vocazioni, nel 2008 in Francia c'erano 15.440 sacerdoti diocesani (che lavorano nelle parrocchie) e 5.083 sacerdoti religiosi.

Questo numero ha sperimentato un calo costante. Al contrario, il numero dei diaconi (laici che offrono un servizio speciale alla vita della Chiesa) è in continuo aumento: nel 1970 ce n'erano 11, nel 2004 1.984 e nel 2007 2.061.

Per ulteriori informazioni, http://www.etpourquoipasmoi.org/


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/07/2010 11:37
 
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Jean-Louis Bruguèsvescovo

Povero quel paese che non saprà approfittare delle scuole cattoliche

di Luigi Amicone

È nato il 22 novembre 1943 a Bagnères-de-Bigorre, piccolo borgo degli Alti Pirenei francesi. E fino all’11 novembre 2007, allorché Benedetto XVI lo promosse da vescovo di Angers ad arcivescovo e segretario della Congregazione per l’Educazione cattolica, monsignor Jean-Louis Bruguès non avrebbe mai immaginato di essere chiamato a svolgere la vocazione di sacerdote dell’ordine dei Predicatori domenicani nelle prime linee dei seminari, delle università e delle scuole cattoliche. Attualmente, al segretariato per l’Educazione cattolica fanno riferimento 1.300 università, 250 mila scuole e 2.700 seminari disseminati in tutti i continenti (eccetto Africa e Asia, dove le altrettante migliaia di scuole e seminari cattolici rispondono ad altri dicasteri della Santa Sede). Ambiti in cui, come è noto a chi sta in quelle trincee, l’esperienza millenaria della Chiesa si trova oggi a raccogliere la sfida di un’offensiva secolarista senza precedenti. Tempi ha incontrato monsignor Bruguès nel suo ufficio di Piazza Pio XII, a Roma, antistante il Cupolone di San Pietro.

Monsignor Bruguès, quali sono i cardini di una “educazione cattolica”?

Prima di rispondere alla questione, non facile, che lei pone, mi permetta un’osservazione preliminare. Siamo in un tempo in cui la società è caratterizzata da grandi cambiamenti. Ne sottolinerei due, che fotografano bene la situazione in Occidente: il pluralismo culturale e il trionfo del liberalismo. Ora, in questo tipo di società, cosa definisce la specificità di un scuola cattolica? È un tema che mi appassiona molto. Anche perché, da vescovo di Angers, città dove oltre il 40 per cento delle scuole sono cattoliche, ho avuto modo di misurarmi con le problematiche riguardanti la nostra presenza in una società plurale e liberale.
 Da questa esperienza sul campo deduco che quando hai un problema di identità, tanto per cominciare, chiedi soccorso all’etimologia.
Cosa significa l’aggettivo “cattolico”? Cattolico significa “universale”.
E in effetti le nostre scuole sono cattoliche se hanno una dimensione universale. In due sensi. Primo, apertura all’universo del sapere e, secondo, apertura a tutti. L’altro aspetto dell’aggettivo “cattolico” è la confessione di una fede specifica. Per qualificare un’educazione come “cattolica” non trovo altro, almeno sull’essenziale, che queste due caratteristiche. Da una parte la scuola cattolica è universale, aperta, è eminentemente curiosa, curiosa di tutto. Dall’altra si qualifica per la specificità della propria identità. Dobbiamo trovare un equilibrio sottile entro l’universale e il confessionale. Ci riusciamo sempre e ovunque? Evidentemente no. Ma direi che in Europa, paesi come Francia, Italia, Spagna e Germania testimoniano che la scuola cattolica rappresenta una ricchezza straordinaria, una chance in termini di sapere e promozione umana, per la crescita delle rispettive società pluraliste e liberali.

Alla sua Congregazione compete la vigilanza sulle grandi istituzioni educative, culturali e teologiche della Chiesa cattolica. Seminari, istituti superiori, università. I seminari sono in crisi di vocazioni. Gli istituti superiori sono minacciati da una teologia di impronta secolare. Le università cattoliche sono culturalmente vivaci ma poco incidenti nello spazio pubblico. È una visione troppo semplicistica la nostra?

No, è solo troppo pessimistica. Vede, in diversi paesi noi registriamo l’affacciarsi di una nuova generazione. Che è minoritaria ma di eccellente qualità e piena di promesse. È parte di quella “minoranza creativa” di cui parla il Santo Padre. Anche il tipo umano e la classe di provenienza sociale sono cambiati. Se una volta le scuole religiose e i seminari erano pieni di ragazzi in gran parte provenienti dalla campagna e dalle famiglie numerose, oggi provengono dalle città e dalle università. Si tratta di giovani e non più giovani che hanno il coraggio di dirsi cristiani e cattolici. Senza contare i tanti non cristiani che ci commuovono per la lucidità, l’umiltà, la generosità e il coraggio che mettono al servizio della libertas ecclesiae. La libertà di esprimere quelle verità sull’uomo di cui la Chiesa è testimone e custode. È vero che resta da vedere se questa nuova generazione sarà sufficientemente numerosa per rifornire i quadri dell’odierna scuola cattolica. E resta purtroppo altrettanto vero che in Occidente, specie in Europa, la diminuzione delle vocazioni c’è ed è drammatica. Ciò detto, i seminari di Parigi o di Madrid sono pieni. E dall’America Latina all’Asia è un fiorire continuo di nuove vocazioni. Si immagini che in Corea del Sud in certi seminari hanno dovuto istituire il numero chiuso. Bisogna anche dire che in taluni casi, per esempio in Polonia, la crisi di vocazioni è crisi di adattamento ai cambiamenti di una società che si è repentinamente secolarizzata. C’è poi un’altra osservazione da fare. Una volta Azione cattolica e movimenti davano molte vocazioni. Adesso non è più così.

Lei sa bene quanto sia zuccherina, almeno sui media, l’annosa polemica tra Chiesa e i militanti politici della cosiddetta agenda gay. La sua Congregazione è stata al centro del ciclone nel 2005 per un documento che affermava che la Chiesa «non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». È ancora valido quel pronunciamento o la Chiesa avrà aggiornamenti in materia?

Non mi faccia tornare su polemiche pretestuose. La Chiesa ha esaminato la questione e, sulla base della tradizione, della dottrina e del buon senso, ha tratto le debite conclusioni. E non da oggi, da sempre. La cosa più interessante non sono le polemiche, prevedibili, tra Chiesa e le frange più secolarizzate della società, ma l’operazione di Benedetto XVI. Che è impegnato con la modernità più di quanto la modernità sia impegnata con se stessa. Sembra un paradosso, ma è così. La modernità si è costruita sulla potenza della ragione umana. Oggi la ragione umana si trova criticata, sospettata, negata. Straordinario è che un Papa si erga a baluardo della ragione, che difenda la modernità da se stessa. E infatti, da Ratisbona in avanti, che altro va dicendo il Papa se non: “Ragione, credi in te stessa”? Così la Chiesa è diventata il miglior avvocato della modernità.

Più in generale, oggi sembra un’impresa disperata proporre un’educazione (specie dei giovani) che sia comprensiva di tutte le dimensioni della persona. Non crede?

Non è solo un problema di educazione. È il fenomeno della specializzazione. Prenda la medicina, è così parcellizzata che ormai si fa fatica a trovare uno schema corporeo globale. Non c’è più visione globale, coerente, armoniosa della realtà umana. Tanto nella medicina quanto nell’economia. E la recessione mondiale, causata anche da un eccesso di finanziarizzazione, mi pare sia lì a testimoniarlo. Siamo in un’epoca che esalta la potenza della tecnica nei confronti della realtà. Ma la tecnica non è una visione della realtà. Dovrebbe essere uno strumento, non un fine. Succede lo stesso nella teologia. Tu puoi diventare lo specialista mondiale della storia della Chiesa di Milano tra il 1435 e il 1438. Ma questi sono frammenti di una storia, non è una storia della Chiesa tout court. Più in generale, è auspicabile la ripresa di una visione integrata e integrale dell’uomo, dove materia e spirito, biologia e affettività, corpo e anima, siano riconosciuti nelle loro relazioni e unità. Sappiamo che è un approccio possibile. Quindi non ci scoraggiamo.

Immaginiamo che il suo Ufficio svolga anche un lavoro di raccolta e analisi dei dati sullo stato dell’educazione cattolica a livello internazionale. Emerge qualche fenomeno particolare rispetto al passato?

Sì, la questione della ricerca o del disagio “identitari”, il problema dell’identità in un contesto di libertà e alterità emerge un po’ ovunque. Sotto questo profilo la situazione della scuola cattolica è molto variegata nel mondo, ma diciamo che in generale i modelli sono due: la scuola cattolica che non riceve finanziamenti dallo Stato e quella che invece è finanziata dallo Stato. Il vantaggio del primo modello è che le scuole sono completamente libere. L’inconveniente è, diciamo così, una sorta di “classismo”: non c’è libertà di accesso per le persone meno abbienti, anche se poi intervengono le singole iniziative di solidarietà (borse di studio eccetera) presenti quasi ovunque. Invece le scuole che ricevono fondi pubblici hanno meno libertà di educazione e, anzi, registrano una pressione crescente da parte dello Stato nella scelta dei professori e dei contenuti. Ma l’accesso è garantito a tutti, abbienti e non. Certo, da quando sono in Italia, sono ammirato dalla libertà educativa che sembra garantire quel terzo modello di istruzione che vige in Lombardia, dove mi dicono che l’intervento dello Stato, in questo caso la Regione, sembra tendere a garantire entrambe le cose: sia la libertà delle scuole, sia la libertà di scelta dei genitori, in quanto ogni studente è finanziato dall’ente pubblico attraverso una “dote scuola” che egli può spendere liberamente nella scuola che ritenga più corrispondente alle proprie esigenze, aspettative e valori.

Si parla di un’emergenza educativa a livello planetario. In Occidente preoccupano fenomeni di alienazione quali la diffusione delle droghe e della violenza tra i giovani. In Oriente i giovani sembrano invece spinti verso forme di omologazione diverse: è il caso del crescente fondamentalismo che si registra nel mondo islamico. Come valuta queste tendenze?

Vede, davanti a questi fenomeni che non sta a me valutare, mi colpisce il riscontro che ha nello spazio pubblico la religione. Da una parte ci si rende conto che è impossibile espungere il fatto religioso dalla società e relegarlo in uno spazio esclusivamente privato. Su questo mi pare che figure come il presidente francese Nicolas Sarkozy, l’ex premier inglese Tony Blair e il filosofo postsecolarista tedesco Jürgen Habermas stiano dando testimonianze eccellenti, direbbe Benedetto XVI, di “laicità positiva”. Dall’altra parte sconcerta il fatto che la religione sia spesso associata a violenza, divisione e oscurantismo. È un fatto che, secondo i sondaggi, è in crescita la credenza che la religione sia un fattore di violenza, involuzione, regresso. Ed è un fatto, purtroppo, che conseguentemente a questo procurato allarme sociale, vi siano casi come il Quebec (parliamo di Canada, uno dei paesi democratici più avanzati dell’Occidente, non una dittatura), dove si sviluppano programmi educativi in cui, anche nelle scuole cattoliche, da una parte è fatto divieto di illustrare la specificità del cattolicesimo, dall’altra si impone lo studio di una vaga religione ecumenica. Ho fatto l’esempio del Quebec, ma in Spagna succede la stessa cosa e il modello spagnolo influenza tutta l’America Latina.

E lei in alternativa a questi modelli ideologici cosa proporrebbe?

La mia proposta è che le scuole cattoliche introducano un insegnamento obbligatorio di “cultura cristiana”. Non un’ora confessionale, di professione di fede, ma una vera e propria materia di studio dei contenuti del cristianesimo. Cosa si può obiettare a questa proposta? Che non tiene conto delle altre religioni? Bè, nessuno è obbligato a iscriversi in una scuola cattolica. Credo che sia minimo buon senso riconoscere il nostro diritto ad avere un’ora in cui non facciamo il catechismo cattolico ai ragazzi, ma spieghiamo loro le ispirazioni ideali, i contenuti storici e la specificità religiosa della proposta scolastica a cui hanno liberamente scelto di aderire.


Ma in Occidente la stessa parola “educazione” è ridotta alla dimensione della sola istruzione (quando c’è). Non si comunicano più “significati” o “verità”, ma “abilità”, “conoscenze” utili all’inserimento nel mondo del lavoro. Tant’è che la scuola è diventata un’agenzia di istruzione (quando c’è) e, soprattutto, un’agenzia di socializzazione e comunicazione del “pensiero unico”.

È vero, all’inizio del ventesimo secolo la scuola aveva ancora l’ambizione di educare, cioè di formare la persona umana. I maestri facevano i maestri perché avevano una “vocazione”, così si diceva allora, e la comunicazione di significati non era ritenuta “offensiva” dei diritti della cosiddetta scientificità. Oggi, ne dobbiamo prendere atto, conosciamo una crisi dell’insegnamento che si manifesta sia come deprezzamento del mestiere del maestro, sia come riduzione dell’ambito educativo a luogo di apprendimento della pura tecnica. Se aggiungiamo a tutto questo il fatto che la famiglia non è più in grado di sostenere da sola l’educazione dei figli, si capisce perché la Chiesa, “esperta di umanità”, come disse Paolo VI, fin dal primo secolo dopo Cristo non ha mai smesso di impegnarsi nell’educazione. Perciò sarebbe tragico, oltre che insensato, se la società non volesse più approfittare dell’esperienza e della maestria millenaria che la Chiesa ha maturato nel campo dell’educazione delle giovani generazioni che entrano nel mondo. Ipotesi che vorrei escludere dall’orizzonte, anche perché nella maggior parte dei paesi del mondo vedo che le scuole cattoliche godono di una eccellente reputazione.

E infatti, stando a una classifica stilata dal laicissimo Express, nella “sua” Francia ben dieci delle quindici scuole di eccellenza del paese sono cattoliche. Peraltro – e questo lo deduco da un’inchiesta dell’Herald Tribune – le famiglie musulmane fanno a gara a iscrivere i propri figli alle scuole cattoliche.

Guardi, quando ero ad Angers, passavo molte delle mie giornate da vescovo a visitare le scuole cattoliche come il generale visita le truppe al fronte. Sì, noi siamo fieri delle nostre scuole. Anche perché, come dico sempre ai miei confratelli, in una società sempre più secolarizzata, dov’è che un bambino, un ragazzino, un immigrato potrà incontrare e conoscere il cristianesimo? La scuola cattolica diventerà il primo e, forse, unico luogo di contatto con il cristianesimo. Perciò, ai responsabili della Chiesa raccomando: guardate che la scuola è il punto cruciale per la nostra missione. E agli insegnanti dico: coraggio, a voi che siete in prima linea va tutta la nostra fiducia e gratitudine.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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