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Dialoghi UFFICIALI fra la Chiesa e la FSSPX (informazione e aggiornamenti)

Ultimo Aggiornamento: 01/04/2011 12:38
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01/04/2011 12:38
 
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Proposta di ordinariato per regolarizzare la FSSPX

E' apparso ieri su Disputationes Theologicae, blog dell'Istituto Buon Pastore, un denso articolo di riflessione sull'attualità dei rapporti tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X. Ne riportiamo un estratto. Offre molti spunti di riflessione, pur nella forte polemicità di toni. Probabilmente ciò deriva da esasperazione; è ben vero che gli Istituti Ecclesia Dei in questa fase ecclesiale han fatto un po' la parte della Cenerentola: Roma fino ad oggi è stata colpevole, bisogna ben dirlo, nel non averli sostenuti di fronte alle angherie di ogni genere cui sono sottoposti dai vescovi; e chi vi scrive ne ha avuto esperienza diretta, come contiamo di riferirvi prossimamente.
Comunque, le notizie che l'articolo riporta sono sostanzialmente due. Il primo: il fallimento dei colloqui dottrinali. Voce già diffusa da John Allen, il celebre vaticanista americano, dall'abbé de Caqueray, Superiore del Distretto francese della FSSPX, e da un gongolante mons. Williamson, in una delle sue 'encicliche' settimanali. Su questo punto, peraltro, vi sono anche voci che inquadrano la situazione sotto un profilo più ampio e positivo, come riferiremo in un prossimo post.
Ma la notizia senza dubbio più importante e confortante è questo progetto di ordinariato che, come è di tutta evidenza, rappresenterebbe una benedizione per la FSSPX, poiché consentirebbe alla stessa di mantenere l'attuale indipendenza di movimento, di azione e di catechesi, pur ricevendo finalmente la regolarizzazione canonica, in modo da perdere quello stigma di esser fuori della Chiesa che, oggettivamente, limita in larga misura la sua capacità di penetrazione pastorale. Di questa generosa proposta romana (che attesterà l'amore del Santo Padre per l'unità e il suo coinvolgimento affinché la Tradizione ritrovi piena cittadinanza nella Chiesa;ci sentiamo in grado di fornire conferma, poiché ne siamo al corrente da circa un mese da fonte attendibile; non ne abbiamo parlato finora perché vincolati alla discrezione. Ma ormai la notizia è pubblica.

Enrico




I colloqui dottrinali tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, non é più un mistero nemmeno per gli ostinati, non vanno nel senso sperato. I toni entusiasti si sono spenti e le belle speranze sembrano infrante, da un lato e dall’altro. Oltretevere sono tornate in voga espressioni che non si sentivano più da qualche tempo: alcuni dicono a chi orecchie per intendere che “la Fraternità San Pio X è allo scisma, è fuori della Chiesa”. Eppure dopo due anni di regolari discussioni bisognerà pur trovare il modo di uscirne decorosamente. Le soluzioni possibili non sono moltissime, secondo la più plausibile Roma prima dell’estate dovrebbe proporre a Mons. Fellay la sottoscrizione di un documento e con esso si offrirà la struttura canonica ideale, quella dell’Ordinariato personale con l’esenzione dai Vescovi diocesani.
[..]
Dal 2009 parte il progetto dei colloqui fra i due schieramenti, come quando nel Medioevo s’affrontavano scotisti e tomisti, ma stavolta sarà in segreto. La Fraternità s’affretta tuttavia a ricordare che “sulla verità non si discute quindi non si faranno compromessi ”. Sceglierà quindi i suoi rappresentanti secondo un criterio che sembra essere più quello dell’austera rigidità che quello dell’affabile diplomazia. I teologi di Ecône attraverseranno le Alpi a più riprese, per aiutare Roma a convertirsi: “noi non andiamo a Roma per fare un accordo, perché non c’è accordo possibile tra la verità e l’errore. Roma deve convertirsi. E allorquando si sarà convertita, allora decadranno gli ostacoli all’accordo canonico”. Né mons. Fellay ha mai preso le distanze da tali proclami impresentabili, essendo proferiti da chi lui stesso aveva scelto per discutere “rispettosamente” con la Santa Sede Apostolica.

Roma sembra cedere sulla “scaletta” e si impegna in questi colloqui teologici, con intenti comprensibilmente più diplomatici che scientifici. La conseguenza, come da constatazione ormai comune, é che tutta la problematica del rito tradizionale e della Tradizione in generale, non viene risolta con un concreto aiuto sul piano canonico a chi è già canonicamente riconosciuto, così incoraggiando veramente la Fraternità; al contrario si concentra il problema solo intorno al “caso” della Fraternità San Pio X. In fondo è meno impegnativo anche per Roma e si potrà sempre dire che sono dei turbolenti scismatici. Dalla decisione, che tradisce tutta una forma mentis, deriva, all’atto pratico, uno squilibrio assai poco sensato, per cui la stessa Commissione Ecclesia Dei - e con essa chi ne dipende - invece d’essere potenziata e sostenuta nella sua opera, é ridotta ad essere un diverticolo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Tutta la sua attività e il suo ruolo sono quindi, almeno apparentemente, ridotti a favorire il buon esito degli incontri col “partito intransigente” della Fraternità. Capisca chi può, ma il risultato é grottesco : tutto la “questione tradizionale” é oggi sospesa ai capricci dell’ “ala dura” della Fraternità San Pio X. E i vescovi hanno campo libero nel non sentirsi chiamati in causa dall’affare, perché bisogna aspettare - dicono – che Roma regoli definitivamente la questione; al punto tale che L’Osservatore Romano si permette di mettere in dubbio l’ortodossia di tutti gli istituti dipendenti dall’Ecclesia Dei, gettando su di essi - e sulla Commissione - il discredito. La situazione é dunque legata alle future scelte di Mons. Fellay, che, dopo aver disprezzato il profilo pratico, si ritrova ad essere padrone della situazione e a bloccare - in pratica - lo sviluppo dei tanto odiati “traditori”, come con disprezzo vengono definiti tutti coloro che hanno fatto la scelta di affidarsi a Roma e che sono caduti nel terribile peccato di “accordismo”. [..]
In questo strano panorama eccoci ormai giunti alla fine dei colloqui, dopo due anni. Ci sono stati degli incontri, alcuni dei quali in un clima piacevole, ma, tra discussioni e pasti amichevoli, evidentemente, nessuna soluzione. Né gli uni né gli altri si sono convertiti. La Santa Sede vorrebbe assolutamente che si interpretassero i testi conciliari e successivi in armonia con la Tradizione, asserendo un’evoluzione omogenea; la controparte sostiene invece che certi contenuti conciliari sarebbero eretici (o come minimo favens haeresim), bisognerebbe quindi escluderli preliminarmente dal Magistero, e con essi buttare a mare l’intero Concilio che li ha prodotti. Sarebbe questa la “conditio sine qua non” per ogni accordo. Accontentarsi d’esprimere riserve teologiche, rimettendo il giudizio ultimo alla Santa Sede - come ha fatto il Buon Pastore -, sarebbe un tradimento. I contenuti ereticali sarebbero numerosi, a dire della Fraternità, ma l’elenco completo a tutt’oggi non é dato conoscere in maniera definitiva. E questo perché, in fondo in fondo, anche la Fraternità San Pio X sa che i testi conciliari sono più ambigui che eretici, ma per ammetterlo bisognerebbe accettare d’essere accusati di “liberalismo” dalla sua “ala dura”, secondo un vocabolario che essi stessi hanno adattato alla situazione.

L’esito dei dibattiti non ha portato ad alcuna ricucitura : i “romani” lasciano correre la voce che i teologi della Fraternità non hanno il livello richiesto e la loro formazione neo-tomista li ha fossilizzati sulle posizioni e sul linguaggio del 1930. L’accusa può non essere del tutto priva di fondamento, ma sembra un modo rapido, troppo rapido, per evitare di riconoscere i problemi dottrinali che realmente affliggono la Chiesa da almeno quarant’anni. I teologi d’Ecône, dal canto loro, sembra accusino i “romani” d’essere talmente impregnati di “nouvelle théologie” che tutte le loro formule, anche le più tradizionali, non sono condivisibili, perché possono sempre nascondere, sotto termini “accettabili”, nozioni moderniste...la qual cosa renderebbe le frasi ancor più pericolose. Un altro metodo poco corretto d’evitare un vero confronto, sebbene anch’esso possa contenere elementi di verità, atteggiandosi - senza gran rischio - a difensori inflessibili dell’ortodossia.

Ci si ritrova ora in un’impasse per aver preteso una soluzione “dottrinale”, senza accontentarsi di chiedere reali garanzie per poter attuare serenamente quella che Mons. Lefebvre - in modo ben più saggio e ponderato - aveva definito “l’esperienza della Tradizione”. Si è voluto strafare, si è voluto “convertire Roma”. Ora che Roma non vuol lasciarsi convertire siamo alle soglie di una rottura, cui si darà l’altisonante nome di “dottrinale”, ma che in realtà sarà soprattutto il risultato d’un grave errore di superbia e di imprudenza.

La Santa Sede cercherà lo stesso una via d’uscita e proporrà probabilmente un ordinariato personale (o qualcosa di simile). A quel punto la Fraternità dovrà scegliere e non ci saranno che due alternative: entrambe tuttavia migliori della terza, l’equivoco continuo.

Nel primo caso accetterà lo statuto canonico che le sarà proposto. In tal caso, senza rinnegare le giuste battaglie condotte nel passato dovrà realmente lasciare certa psicologia sedevacantista o gallicana, con le sue tendenze da “pétite église”. Dovrà anche entrare in un ordine d’idee per cui i vescovi diocesani non sono sistematicamente da trattarsi con disprezzo, quasi fossero automaticamente dei nemici della Chiesa solo perché dicono la Messa di Paolo VI. Purtroppo gli ultimi eventi di Francia, con le sconcertanti dichiarazioni dei più autorevoli superiori della Fraternità, lasciano credere che sia già troppo tardi per sperare un cambiamento di toni. In ogni caso una tale scelta sarebbe in fin dei conti un accordo pratico, o “canonico” se si preferisce, ma nel punto a cui si è giunti e a forza di tirare la corda in tutti i sensi, esso è divenuto oggi ben più problematico rispetto a qualche anno fa.

Nell’altro caso la Fraternità rifiuterà le proposte del Pontefice, in questo caso si troverà una spiegazione ideale e si parlerà dell’impossibilità di trovare un accordo dottrinale sui testi del Concilio. Mons. Fellay dovrebbe però, per dovere di giustizia e per amor di verità, assumersi la responsabilità delle sue scelte e riconoscere che quell’accordo dottrinale - che all’epoca Roma non gli aveva chiesto - è fallito: e che proprio a causa di quelle esose richieste la situazione si è fatta oggi più complicata di ieri. Tuttavia anche questa scelta avrebbe un lato positivo, quello di finirla con le ambiguità e la doppiezza di linguaggio. Sarebbe la posizione più coerente con le ultime prese di posizione all’interno della Fraternità, che dopo l’annuncio d’Assisi III, la beatificazione di Giovanni Paolo II e le dichiarazioni del Papa sul profilattico, gridano allo scandalo e affermano che la conversione richiesta a Roma non si è avuta. Lo stato di cose ne uscirebbe chiarito : chi vorrà restare “romano” saprà finalmente cosa dovrà fare e, pur dolorosamente, non gli resterà altro che lasciare la Fraternità al vortice impazzito degli “zelanti”. Roma dirà che la Fraternità ha abbandonato definitivamente la Chiesa e già in questi giorni a Roma si riparla di grave attitudine scismatica. Ma lamentarsi dello scisma non sarà facile, quando di fatto si è resa non universalmente possibile, sicura e serena quell’esperienza della Tradizione, che non si è voluto tentare sul serio con gli organismi già esistenti. La debolezza di Roma è diventata cronica, tanto che una norma applicativa sul Motu Proprio, che doveva uscire nel gennaio 2008, forse prenderà il volo nella primavera 2011. Al tempo stesso ci si getta in faraonici progetti d’accordo con l’ “ala dura” della Fraternità, quando non si è nemmeno capaci di difendere chi l’accordo canonico l’ha già fatto. Quando si lascia cacciare da una diocesi un istituto tradizionale, riconosciuto canonicamente, solo perché ha osato insegnare un po’ di catechismo a qualche bambino, quando il “piano pastorale diocesano” preferisce affidare incarichi parrocchiali ad un gruppo di laici piuttosto che ad un prete con la tonaca perché “sarebbe assimilato ai lefebvriani”, quando capita ripetutamente che gli organizzatori della Messa gregoriana subiscano continue minacce e pressioni e si sentano costretti a dire cose che in coscienza non pensano, per potere ottenere (o per paura di perdere) l’instabile “concessione” - nel silenzio generale - è quantomeno difficile spiegare a quei genitori, a quei seminaristi e anche a quei preti che è meglio abbandonare la posizione, per certi versi confortevole e facile, rappresentata dalla Fraternità San Pio X.

Adesso sta a Roma prendere l’iniziativa e sta a Roma di non lasciarsi imporre una “pratica” linea d’azione da Mons. Fellay. Non si chiede la luna, si chiede di poter fare seriamente, ovunque e con tranquilla sicurezza, quella che Mons. Lefebvre chiamava “l’esperienza della Tradizione”. Che Roma dia almeno questa possibilità a chi già vuol farla sotto l’Autorità del Papa! Chi vuol combattere per il bene della Chiesa sia il benvenuto, se la Fraternità vuol esserci sappia che tutti l’attendono. Altrimenti sappia che il Vicario di Cristo ha gli strumenti che il Divino Fondatore gli ha dato per “salvare la Chiesa” nella crisi che essa attraversa. Non ha bisogno, per risollevare le sorti della “barca che prende acqua da tutte le parti”, di chi si crede indispensabile. Pur nel doveroso ossequio al primato della verità, è pur sempre la Chiesa che ci salva e non siamo noi, per quanto inflessibili e puri possiamo essere, a salvare la Chiesa.



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Ancora sui colloqui con la FSSPX e l'ordinariato tradizionale


Su Summorum Pontificum observatus è stata pubblicata una risposta all’articolo di Disputationes inerente lo stato dei colloqui coi lefebvriani e la proposta di un ordinariato. Questo commento, che traduciamo dal francese, si intitola "Voci infondate sul fallimento delle discussioni tra Roma e la FSSPX". Non intendiamo ora addentrarci nella valutazione dello stato di queste discussioni dottrinali, anche se non v’è dubbio che l’articolo che segue pone in una prospettiva più ampia lo svolgimento di quei colloqui e vi trova aspetti, risvolti e conseguenze innegabilmente positive; da segnalare anche l’accenno dell’articolista che ravvisa, tra i fomentatori di quelle voci sull’andamento negativo dei colloqui, "una minoranza attiva di preti francesi della FSSPX ostili a un riconoscimento canonico": una fronda interna, insomma, della quale sembrano far parte, purtroppo, anche il superiore del distretto di Francia e il vescovo Tissier de Mallerais (quello che accusa la teologia di Ratzinger niente meno che di "supermodernismo": link).
Noi vogliamo piuttosto sottolineare che anche questo articolo conferma quanto abbiamo riportato (sopra la riga degli asterischi, nota mia), ossia che è allo studio la proposta di offrire alla FSSPX una soluzione canonica tipo ordinariato; addirittura, ci dice, si parla di questo progetto Roma dalla fine del 2010.
Enrico 
 

Il sito Disputationes Theologicae, diretto da membri dell’Istituto del Buon Pastore e di eccellente tenore, ha appena pubblicato un articolo umorale dal titolo: "Il fallimento dei colloqui tradizionali con la Fraternità S. Pio X e la questione di un ordinariato tradizionale"

L’articolo, dal tono molto duro, cosa che certamente si spiega da parte di un "fratello nemico" molto vicino, si può riassumere dicendo che ha un triplice oggetto:

1 / L’articolo riporta voci secondo le quali i colloqui organizzati dalla Commissione "Ecclesia Dei", nel quadro della Congregazione per la Dottrina della fede, sarebbero notoriamente un " fallimento " che farebbe apparire a tutti che la Fraternità è scismatica. Voci infondate: l’autore dell'articolo ha mal interpretato le informazioni che ha raccolto (a cui si aggiungono anche le voci che vengono da una minoranza attiva di preti francesi della FSSPX, ostili a un riconoscimento canonico). In realtà, sembra che il tono dei rappresentanti della FSSPX sia parso "rigido". Ma entrambe le parti hanno accolto con vero favore che le discussioni siano state franche e che abbiano consentito di a conseguire l'obiettivo, in fondo modesto, assegnato loro: determinare precisamente quali erano i punti controversi e e conoscere la dottrina della FSSPX su questi punti.

2 / L’articolo sembra dare una notizia inedita: una soluzione canonica vantaggiosa sarà proposta (si afferma "prima dell'estate") alla FSSPX, tipo ordinariato, che garantirà l'indipendenza d'azione contro i vescovi. In effetti, questa informazione contraddice parzialmente le voci sul fallimento delle discussioni [in effetti: ce ne fossero, di fallimenti che conducono a risultati del genere!], ed è nota da molto tempo. È ben noto a Roma, a partire dalla fine dello scorso anno, che il Papa tiene personalmente a proporre di nuovo una soluzione di questo tipo al Vescovo Fellay.

3 / Infine, a giusto titolo:

- L’articolo si lamenta del fatto che questi colloqui non abbiano risolto il merito del problema del Vaticano II. Ma questi colloqui si sono svolti. Il che, insieme ad altri eventi (la pubblicazione del libro-avvenimento di mons. Gherardini sulla non infallibilità del Concilio, il notevole libro storico di Roberto De Mattei sulla storia del Vaticano II che riabilita il ruolo della minoranza del Concilio, il Simposio sul tema dei Francescani dell'Immacolata, ecc.), dimostra che ormai "la parola è liberata" e che questo lavoro di riaggiustamento a proposito del Concilio potrà ora continuare all'aria aperta.

- L’articolo si lamenta del fatto che una soluzione molto vantaggiosa per la FSSPX penalizza gli istituti "Ecclesia Dei", che non hanno, a differenza della FSSPX, dei propri vescovi, e che sono soggetti per il loro apostolato e le loro ordinazioni alla buona volontà dei vescovi "ufficiali". Questo è vero, e sarebbe, in effetti, opportuno pensare, come era stato fatto a Roma alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II, a soluzioni canoniche in questo senso (attraverso, in pratica, la nomina di vescovi specifici).

Si può soprattutto sottolineare che una "sfida", come si dice, e che una notevole responsabilità, pesano oggi sulle spalle del Papa e di mons. Bernard Fellay i quali, de facto, potranno porre in essere un atto la cui importanza per tutta la Chiesa sarà nella stessa direzione, quanto alle sue conseguenze pratiche, del Motu Proprio Summorum Pontificum.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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