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L'eresia antiliturgica e la riforma protestante del XVI secolo considerata nei suoi rapporti con la liturgia

Ultimo Aggiornamento: 13/12/2018 21:34
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da Ratzinger Joseph, La trasmissione della fede e le fonti della fede, Conferenza tenuta dall’allora cardinal Joseph Ratzinger il 15 gennaio 1983 nella basilica di Notre-Dame di Fourvière a Lione ed il 16 gennaio 1983 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi (il testo integrale è disponibile on-line su www.gliscritti.it nella sezione Catechesi e pastorale)
Un primo grave errore fu quello di sopprimere il catechismo e di dichiarare "sorpassato" il genere stesso del catechismo. Certo, il catechismo come libro è divenuto comune soltanto al tempo della Riforma; ma la trasmissione della fede, come struttura fondamentale nata dalla logica della fede, è vecchia quanto il catecumenato, cioè quanto la Chiesa stessa. Essa scaturisce dalla natura stessa della sua missione e, dunque, non si può rinunciarvi. La rottura con una trasmissione della fede attinta nella sua strutturazione fondamentale alle fonti di una tradizione presa nella sua globalità, ha avuto come conseguenza la frammentazione della proclamazione della fede. Essa fu non solo arbitrariamente accolta nella sua esposizione, ma anche messa in discussione in alcune sue parti, che appartengono a un tutto e che, staccate da esso, appaiono sconnesse.
Cosa vi era dietro questa decisione errata, affrettata e universale? Le ragioni sono molteplici e fino a ora poco esaminate. Sicuramente questa decisione è da mettere in rapporto con la evoluzione generale dell'insegnamento e della pedagogia, caratterizzata da una ipertrofia del metodo rispetto al contenuto delle diverse discipline. I metodi diventano i criteri del contenuto e non più i veicoli di esso. L'offerta si regola sulla domanda: è così che sono state tracciate le vie della nuova catechesi nella disputa sul catechismo olandese.
Ne conseguì che ci si limitò alle questioni per principianti, invece di cercare le vie che avrebbero permesso di superarle e di arrivare a ciò che inizialmente non si comprendeva, unico metodo che modifica positivamente l'uomo e il mondo. Così, il potenziale di cambiamento proprio della fede fu paralizzato. Infatti la teologia pratica non era più intesa come uno sviluppo concreto della teologia dogmatica o sistematica, ma come un valore in sé. Ciò corrispondeva, di nuovo, alla tendenza attuale a subordinare la verità alla prassi, che, nel contesto delle filosofie neo-marxistiche e positivistiche, ha fatto breccia anche in teologia.
Tutti questi fatti contribuirono a impoverire considerevolmente l’antropologia: precedenza del metodo sul contenuto significa predominanza dell'antropologia sulla teologia, di modo che questa dovette trovarsi un posto nel contesto di un antropocentrismo radicale. Il declino dell'antropologia fece apparire, a sua volta, nuovi centri di gravità: supremazia della sociologia, o, ancora, primato della esperienza, come nuovi criteri di comprensione della fede tradizionale.
Dietro a queste cause e ad altre ancora, che si possono trovare nel rifiuto del catechismo e nel crollo della catechesi classica, vi è tuttavia un processo più profondo. Il fatto di non avere più il coraggio di presentare la fede come un tutto organico in se stesso, ma solamente come una serie di riflessi scelti di esperienze antropologiche parziali, si fondava, in ultima analisi, su di una certa diffidenza nei riguardi della totalità.
Esso si spiega con una crisi della fede, meglio: della fede comune alla Chiesa di tutti tempi. Ne risultava che la catechesi ometteva generalmente il dogma e tentava di ricostruire la fede direttamente a partire dalla Bibbia. Ora, il dogma non è niente altro, per definizione, che interpretazione della Scrittura, ma questa interpretazione, nata dalla fede dei secoli, non sembrava più potersi accordare con la comprensione dei testi, a cui il metodo storico aveva nel frattempo condotto. In questo modo, coesistevano due forme di interpretazione apparentemente irriducibili: la interpretazione storica e quella dogmatica.
Ma quest'ultima, secondo le concezioni contemporanee, poteva essere considerata solo come una tappa pre-scientifica della nuova interpretazione
.

da J. Ratzinger, Il Catechismo della Chiesa cattolica e l’ottimismo dei redenti, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma, 1994, pp. 26- 27
Alcuni erano dell’opinione che il Catechismo dovesse svilupparsi in una concezione cristocentrica, altri ritenevano che il cristocentrismo dovesse essere superato dal teocentrismo. Finalmente si offrì alla nostra riflessione il concetto del Regno di Dio come principio unificatore. Dopo una discussione serrata, arrivammo alla convinzione che il Catechismo non doveva rappresentare la fede come un sistema o come un qualcosa da derivare da un unico concetto centrale [...] Dovevamo fare qualcosa di più semplice: predisporre gli elementi essenziali che possono essere considerati come le condizioni per l’ammissione al battesimo, alla vita comunionale dei cristiani. [...] Che cosa fa di un uomo un cristiano? Il catecumenato della Chiesa primitiva ha raccolto gli elementi fondamentali a partire dalla Scrittura: sono la fede, i sacramenti, i comandamenti, il Padre Nostro. In modo corrispondente esisteva la redditio symboli – la consegna della professione di fede e la sua “redditio”, la memorizzazione da parte del battezzando-; l’apprendimento del Padre Nostro, l’insegnamento morale e la catechesi mistagogica, vale a dire l’introduzione alla vita sacramentale. Tutto ciò appare forse un po’ superficiale, ma invece conduce alla profondità dell’essenziale: per essere cristiani, si deve credere; si deve apprendere il modo di vivere cristiano, per così dire lo stile di vita cristiano; si deve essere in grado di pregare da cristiani e si deve infine accedere ai misteri e alla liturgia della Chiesa. Tutti e quattro questi elementi appartengono intimamente l’uno all’altro: l’introduzione alla fede non è la trasmissione di una teoria, quasi che la fede fosse una specie di filosofia, “un platonismo per il popolo”, come è stato affermato in modo sprezzante: la professione di fede è nient’altro che il dispiegarsi della formula battesimale. L’introduzione alla fede é essa mistagogia: introduzione al battesimo, al processo di conversione, in cui non agiamo solo da noi stessi, ma lasciamo che Dio agisca in noi.

da Ch. Schönborn, Il Catechismo della Chiesa cattolica. Concetti dominanti e temi principali, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma, 1994, pp.47-48
Il cardinal Ratzinger ha formulato chiaramente questa opzione nelle conferenze tenute a Parigi e a Lione nel 1983: la struttura della catechesi «è prodotta degli atti vitali fondamentali della Chiesa, che corrispondono alle dimensioni essenziali dell’esistenza cristiana. Così è sorta nei tempi remoti una struttura catechetica che nella sostanza risale al sorgere della Chiesa, che è, cioè, altrettanto e persino più antica del Canone degli scritti biblici. Lutero ha adoperato questa struttura per i suoi catechismi altrettanto naturalmente quanto l’autore del Catechismus Romanus. Questo è stato possibile perché non si tratta di una sistematica artificiosa, ma semplicemente del compendio del materiale di cui la fede necessariamente fa memoria, e che riflette, insieme, gli elementi vitali della Chiesa: la professione di fede apostolica, i sacramenti, il Decalogo e la Preghiera del Signore».


Una storia antica: l’esperienza della catechesi (a partire dal catecumenato)

da Benedetto XVI, catechesi nell’udienza generale del 23 giugno 2010, su San Tommaso d’Aquino
Nel 1273, un anno prima della sua morte, durante l’intera Quaresima, [Tommaso d’Aquino] tenne delle prediche
 nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Il contenuto di quei sermoni è stato raccolto e conservato: sono gli Opuscoli in cui egli spiega il Simbolo degli Apostoli, interpreta la preghiera del Padre Nostro, illustra il Decalogo e commenta l’Ave Maria. Il contenuto della predicazione del Doctor Angelicus corrisponde quasi del tutto alla struttura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Infatti, nella catechesi e nella predicazione, in un tempo come il nostro di rinnovato impegno per l’evangelizzazione, non dovrebbero mai mancare questi argomenti fondamentali: ciò che noi crediamo, ed ecco il Simbolo della fede; ciò che noi preghiamo, ed ecco il Padre Nostro e l’Ave Maria; e ciò che noi viviamo come ci insegna la Rivelazione biblica, ed ecco la legge dell’amore di Dio e del prossimo e i Dieci Comandamenti, come esplicazione di questo mandato dell'amore.

da J. Ratzinger, Il Catechismo della Chiesa cattolica e l’ottimismo dei redenti, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma, 1994, p. 20
Infine, ci siamo però trovati d’accordo sul fatto che le analisi del presente contengono sempre qualcosa di arbitrario e dipendono troppo dal punto di vista prescelto; non esiste d’altra parte una situazione mondiale uniforme. Il contesto di un uomo che vive in Mozambico o nel Bangladesh (tanto per prendere due esempi a caso) è completamente diverso da quello di una persona che vive in Svizzera o negli Stati Uniti. Abbiamo inoltre visto quanto cambino in fretta le circostanze e le coscienze sociali. È necessario intrattenere un dialogo con le varie mentalità, ma questo rientra nei compiti delle Chiese locali, che devono rispondere alla sfida delle diverse situazioni del nostro mondo.
Il Catechismo non procede comunque in maniera semplicemente deduttiva, perché la storia della fede è una realtà di questo mondo e ha creato la propria esperienza. Il Catechismo parte da essa e quindi ascolta il Signore e la sua Chiesa, trasmettendo la parola così udita nella sua logica intrinseca e nella sua forza interna
. Ciò nonostante, esso non è semplicemente “sovratemporale” e non vuole esserlo. Il Catechismo evita soltanto di legarsi troppo alle circostanze del momento, poiché desidera offrire il servizio dell’unità non solo in modo sincronico, per questa nostra epoca, ma anche in modo diacronico, per le generazioni che verranno, come hanno fatto i grandi Catechismi, soprattutto quelli del XVI secolo.


Il ruolo della sintesi e dell’immagine nell’enucleazione del centro

da J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, p. 26
I Simboli [della fede], intesi come la forma tipica ed il saldo punto di cristallizzazione di ciò che si chiamerà più tardi dogma, non sono un’aggiunta alla Scrittura, ma il filo conduttore attraverso di essa; sono il canone nel canone, appositamente elaborato; sono per così dire il filo di Arianna, che permette di percorrere il Labirinto e ne fa conoscere la pianta.
Conseguentemente, non sono neppure la spiegazione che viene dall’esterno ed è riferita ai punti oscuri. Loro compito è, invece, rimandare alla figura che brilla di luce propria, dar risalto a quella figura
, in modo da far risplendere la chiarezza intrinseca della Scrittura.

[Contro questa visione del dogma] una tendenza molto più forte considera la fede della comunità in maniera completamente diversa: poiché, si dice, ciò che è comune ed oggettivo non può più essere fondato e colto, la fede allora è, di volta in volta, ciò che la comunità presente pensa e, nello scambio delle idee («dialogo»), raggiunge come convinzione comune. La «comunità» prende il posto della chiesa, la sua esperienza religiosa quello della tradizione ecclesiastica. Con una siffatta concezione si è abbandonato non solo la fede, nel senso vero e proprio del termine, ma si è rinunciato logicamente anche ad una reale predicazione ed alla chiesa stessa; il «dialogo», di cui ora si parla, non è una predicazione, ma un dialogo con se stessi, seguendo l’eco di antiche tradizioni.

[Contro la distorta visione del dogma della Messa da parte di Lutero e del protestantesimo]
"... una tendenza molto più forte considera la fede della comunità in maniera completamente diversa: poiché, si dice, ciò che è comune ed oggettivo non può più essere fondato e colto, la fede allora è, di volta in volta, ciò che la comunità presente pensa e, nello scambio delle idee («dialogo»), raggiunge come convinzione comune.
La «comunità-il popolo», ciò che oggi si attribuisce alla "assemblea", prende allora il posto della Chiesa, la sua esperienza religiosa personale o comunitaria, quello della tradizione ecclesiastica.
Con una siffatta concezione però, si è abbandonato non solo la fede della Chiesa, nel senso vero e proprio del termine, ma si è rinunciato logicamente anche ad una reale predicazione ed alla dottrina stessa della chiesa; il «dialogo», di cui ora si parla tanto, non è più lo strumento per una predicazione, ma un dialogo con se stessi... finalizzato ai propri compiacimenti..."

Parlando sempre della questione liturgica e del pensiero dottrinale protestante, insinuatosi nella Chiesa: Ratzinger Joseph, La trasmissione della fede, terza Conferenza a Notre-Dame 1982, affermava:
"Quando ciò avvenisse, sistematicamente, all'interno stesso della Chiesa, dovremo allora seriamente preoccuparci se un pensiero simile giungesse a toccare la liturgia, perché metterebbe senza dubbio in discussione la validità del dogma della transustanziazione e di tutta la dottrina della Grazia e della salvezza, da parte dei sacerdoti che, celebrando nelle proprie comunità, non fossero più controllati in ciò che dicono e compiono, laddove i vescovi non garantissero più quella vigilanza necessaria affinché la messa conservi tutta la sua validità..." 🤔🙏

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Il Catechismo del Concilio di Trento o Catechismo Romano

N.B. de Gli scritti
La tradizione rabbinica designa con il termine 'am ha-aretz (“popolo della terra”) colui che non studia la Torah e, quindi, pecca necessariamente perché non sa nemmeno quale sia la volontà di Dio perché non è in grado di conoscerla. In senso letterale è l’analfabeta che lavora la terra e non impara l’ebraico, ma, nel senso più profondo, è l’ignorante dei comandamenti di Dio.

bPes 49b
I nostri rabbini insegnavano: Un uomo deve sempre vendere tutto e sposare la figlia di uno studioso. Se non riesce a trovare la figlia di uno studioso, sposerà la figlia di uno dei grandi uomini della generazione (dei capi civili della comunità). Se non riesce a trovare la figlia di uno dei grandi uomini della generazione, sposerà la figlia del capo delle sinagoghe. Se non riesce a trovare la figlia del capo delle sinagoghe, sposerà la figlia di un amministratore delle elemosine. Se non riesce a trovare la figlia di un amministratore delle elemosine, sposerà la figlia di un insegnante di scuola elementare, ma non deve sposare la figlia di un 'am ha-aretz, perché loro sono detestabili e le loro mogli una ripugnanza e delle loro figlie è detto: "Maledetto chi si unisce con qualsiasi bestia…" (Dt 27,21).
R.Eleazar disse: "Un 'am ha-aretz si può pugnalare (anche) nel Giorno della Espiazione che cade di Sabato". Gli dissero i suoi discepoli: "Maestro, dici di macellarlo (ritualmente)!''. Rispose: "Ciò (la macellazione rituale) esige una benedizione, questo invece non esige alcuna benedizione".
R.Eleazar disse: "Viaggiando non ci si faccia compagnia con un 'am ha-aretz, perché è detto: 'Essa (la Torà) è la tua vita e la lunghezza dei tuoi giorni' (Dt 30,20). Vedendo che non gli importa la propria vita, tanto meno la vita del suo vicino!".
R.Samuel b.Nahmani disse nel nome di R.Johanan: "Uno può squarciare un 'am ha-aretz come un pesce! Disse R.Samuel b. Isaac: “(Ciò vuol dire) lungo le sue spalle".
Fu insegnato che R.Akiba disse: "Quando io ero un 'am ha-aretz dissi: vorrei avere uno studioso davanti a me, lo morderei come un asino".
Gli dissero i discepoli: "Maestro, dici: come un cane!". Rispose: "Il primo morde rompendo le ossa, mentre l'altro morde non rompendo le ossa".
Fu insegnato che R.Meir soleva dire: "Chiunque da in sposa la propria figlia ad un 'am ha-aretz è come se la legasse e la deponesse davanti a un leone. Come un leone calpesta e consuma e non ha vergogna, così un 'am ha-aretz la colpisce e coabita senza avere vergogna".
Fu insegnato che R.Elieser disse: "Se non fossimo utili a loro per affari, ci ucciderebbero". R.Hiyya insegnava: "Chiunque studia la Toràdi fronte ad un 'am ha-aretz è come se coabitasse con la sua sposa dì fronte a lui, perché è detto: 'Mosè ci ordinò la Torà, un’eredità (morashah) per la congregazione di Giacobbe" (Dt 33,4). Non leggere morashah ma me'orasah (sposa). L'odio con cui gli 'amme ha-aretz odiano gli studiosi è più grande dell’odio con il quale i pagani odiano Israele. E le loro mogli odiano molto di più.
Fu insegnato: colui che ha studiato e poi abbandonato (la Torà) odia gli studiosi più di tutti.
I nostri rabbini insegnavano: sei cose furono dette degli 'amme ha-aretz: "Non affidiamo loro la testimonianza, non accettiamo da loro la testimonianza. Non riveliamo a loro un segreto, non nominiamoli tutori degli orfani. Non eleggiamoli amministratori delle elemosine. Viaggiando non facciamoci con loro compagnia”. Alcuni dicono: “Non avvisiamoli se perdono qualcosa”.

Catechismo Tridentino, PREFAZIONE
1. L'uomo lasciato alle sole sue forze non è in grado di acquistare la vera sapienza e di trovare i mezzi sicuri per conseguire la beatitudine
La capacità dell'anima e della intelligenza umana è tale, che pur avendo questa potuto da se stessa investigare e conoscere, con molta fatica e diligenza, non poche cose riguardanti le verità divine, tuttavia col solo lume naturale non è mai arrivata a conoscere e ad apprendere la maggior parte dei mezzi con cui si acquista la salvezza eterna, scopo principale per cui l'uomo è stato creato e formato a immagine e somiglianza di Dio. "Poiché", come insegna l'Apostolo, "dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rm 1,20). Invece "il mistero tenuto nascosto fin dai secoli remoti, e per tante generazioni", ossia il mistero di Cristo, supera talmente l'intelligenza umana, che se non fosse stato rivelato ai santi, cui Dio volle mostrare le ricchezze del la sua gloria in mezzo alle genti, nessuno avrebbe potuto aspirare a tale sapienza con qualsiasi sforzo umano.

2. L'origine dell'eccelso dono della fede
Poiché la fede nasce dall'ascoltare, è evidente la perenne necessità dell'opera e del ministero di maestri autorizzati, per conseguire la salvezza eterna. Ecco perché fu detto: "Come ascolteranno, se non c'è chi predica? E come possono predicare, se non ne hanno la missione?"(Rm 10,14-15). Perciò, fin dall'origine del mondo, Dio, che è pieno di clemenza e di benignità, non ha mai mancato di provvedere ai suoi eletti; ma "più volte e in molte maniere per mezzo dei profeti parlo agli antichi padri" (He 1,2), mostrando a loro secondo l'opportunità dei tempi, la via sicura e retta per la beatitudine celeste.

L'intervento di Cristo, degli Apostoli e dei loro successori 
Dio però, avendo promesso "un maestro di giustizia per illuminare le genti" (
Gioele,2,23), che avrebbe portato la sua salvezza" fino agli estremi confini della terra " (Is 49,6), "negli ultimi tempi ha parlato a noi nella persona del Figlio" (He 1,2), e "ha comandato con una voce venuta dal cielo nella gloriosa trasfigurazione", (2P 7,17) che tutti obbediscano ai suoi comandi. A sua volta il Figlio "destinò alcuni ad essere apostoli, altri costituì pastori e dottori" (Ep 4,14), perché annunciassero la parola di vita, per evitare che noi "fossimo sballottati da ogni vento di dottrina": ben fermi invece sul fondamento della fede, "fossimo compaginati nell'edificio di Dio per opera dello Spirito Santo" (Ep 2,22).

Accoglienza per la parola dei pastori della Chiesa
Per evitare poi che qualcuno ricevesse la parola di Dio dai ministri della Chiesa come parola umana, bensì l'accogliesse qual'é realmente, come parola di Cristo, il nostro Salvatore medesimo stabili di conferire al loro magistero tanta autorità, da affermare: "Chi ascolta voi ascolta me; e chi disprezza voi disprezza me" (Lc 10,16). E questo non intese riferirlo solo ai presenti cui si rivolgeva, ma a tutti quelli che per legittima successione avrebbero ricevuto l'ufficio d'insegnare, perché promise di assisterli sino alla fine del mondo (Cfr. Mt 28,20).

3.  Necessità della loro predicazione ai nostri giorni
Questa predicazione della parola di Dio, pur non dovendosi mai interrompere nella Chiesa, certamente deve essere promossa con più impegno e pietà ai nostri giorni; affinché i fedeli vengano nutriti e confortati dal pascolo vitale di un insegnamento sano e incorrotto. Infatti oggi sono sorti nel mondo dei falsi profeti, di cui il Signore aveva detto: "Non li mandavo come profeti ed essi correvano; non parlavo loro, ed essi profetavano" (Jr 23,21), per pervertire gli animi dei cristiani " con dottrine varie e peregrine " (He 13,9). E la loro empietà, addestrata a tutte le arti di Satana, sembra che non trovi più limiti. E se non ci potessimo appoggiare alla stupenda promessa del Salvatore, il quale affermo di aver dato alla sua Chiesa un fondamento cosi solido che le porte dell'inferno non avrebbero mai potuto prevalere contro di essa (Mt 16,18), ci sarebbe da temere che ai nostri giorni la Chiesa, assediata da ogni parte, assalita e combattuta da tante macchinazioni, fosse sul punto di crollare.
Per tacere di intere nobilissime provincie che un tempo erano attaccate con pietà e santità alla vera e cattolica religione, ricevuta dai loro maggiori, mentre adesso abbandonata la retta via, affermano di praticare in modo eccellente la pietà allontanandosi totalmente dalla dottrina dei loro padri, non esiste una regione cosi remota, né un luogo cosi ben custodito, né un angolo del mondo cristiano, dove tale peste non abbia tentato d'infiltrarsi.

I catechismi degli eretici
Coloro poi che si sono proposti di pervertire le menti dei fedeli, avendo capito che in nessun modo era possibile raggiungere tutti con la parola viva, per infondere nelle orecchie i loro discorsi avvelenati, tentarono di riuscire a spargere gli errori dell'empietà con un altro mezzo. Infatti, oltre ai grossi volumi con i quali hanno tentato di scalzare la fede cattolica (e da cui forse non è difficile guardarsi, perché contengono apertamente l'eresia), hanno anche scritto un numero quasi infinito di libretti, i quali con un'apparenza di pietà, sono in grado di ingannare in modo incredibilmente facile gli animi incauti dei semplici.
 
4.  Il proposito catechistico del Concilio Tridentino
Mossi da tale stato di cose i Padri del Concilio Ecumenico Tridentino, col vivo desiderio di adottare qualche rimedio salutare per un male cosi grave e pernicioso, non si limitarono a chiarire con le loro definizioni i punti principali della dottrina cattolica contro tutte le eresie dei nostri tempi, ma decretarono anche di proporre una certa formula e un determinato metodo per istruire il popolo cristiano nei rudimenti della fede, da adottare in tutte le Chiese da parte di coloro cui spetta l'ufficio di legittimi pastori e insegnant


Il catechismo voluto dal Concilio e quelli già esistenti

E' vero che non pochi si sono già distinti per pietà e dottrina, in questo genere di componimenti, tuttavia i Padri Conciliari ritennero che sarebbe stato di massima importanza la pubblicazione di un libro, munito dell'autorità del Concilio, dal quale i parroci e tutti gli altri cui spetta il compito di insegnare, potessero attingere e divulgare norme sicure, per l'edificazione dei fedeli. Cosicché, come "uno è il Signore e unica la fede) (Ep 4,5), cosi fosse unica la regola comune nel trasmettere la fede, e nell'insegnare al popolo cristiano i doveri della pietà.


Limiti del nostro Catechismo

Essendo però assai numerose le cose riguardanti la professione della religione cristiana, nessuno pensi che il Concilio si sia proposto di comprendere e di spiegare appieno, in un solo libro, tutti i dogmi della fede cristiana: cosa che sono soliti fare coloro i quali insegnano l'origine e la dottrina di tutta la religione. Questa infatti sarebbe stata un'impresa lunghissima, e poco adatta allo scopo suddetto. Ma volendo istruire parroci e sacerdoti in cura d'anime, si è pensato di limitare l'esposizione alla conoscenza di quelle cose che sono maggiormente richieste al compito pastorale, e più proporzionate alla comprensione dei fedeli. Perciò vengono proposti qui soltanto quei punti di dottrina che possono aiutare lo zelo e la pietà dei pastori non troppo versati nelle dispute teologiche.
 

5.  Principi orientativi fondamentali dell'azione pastorale
Stando cosi le cose, prima di esporre i singoli trattati che ricapitolano questa dottrina, lo scopo fissato esige l'illustrazione di quei pochi fondamentali principi, che i pastori d'anime devono sempre considerare e tenere principalmente presenti.
Affinché, dunque, i pastori d'anime indirizzino tutte le loro deliberazioni, fatiche e industrie al debito fine, e possano facilmente conseguirlo, la prima cosa da ricordare sempre è la seguente: che tutta la scienza del cristiano si ricapitola in quel programma, stabilito dalle parole del Salvatore: "Questa è la vita eterna, che conoscono te, unico vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo" (Jn 17,3). Perciò l'impegno principale di quanti insegnano nella Chiesa sarà quello di suscitare nei fedeli il desiderio di conoscere "Gesù Cristo, e questo crocifisso" (1Co 2,3); e si persuadano bene e credano con intima pietà e devozione, che "non è stato dato agli uomini altro nome sotto il cielo, nel quale sia possibile salvarsi" (Atti 4,12), essendo egli la vittima di propiziazione per i nostri peccati (Cfr. 1Jn 2,2).
Siccome però "noi possiamo sapere di conoscere Lui, dal fatto che ne osserviamo i comandamenti" (1Jn 2,3), è strettamente legato al principio suddetto, che s'insegni ai fedeli a trascorrere la propria vita non già nell'ozio e nell'ignavia; che anzi "noi dobbiamo camminare come lui ha camminato" (1Jn 2,6), ed esercitarci con impegno nella giustizia, nella pietà, nella fede, nella carità e nella mansuetudine. Infatti "egli offri se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e per rendere il suo popolo mondo e applicato alle opere buone" (Tt 2,14), opere che l'Apostolo comanda ai pastori di illustrare e di raccomandare.
D'altra parte, avendo il Signore e Salvatore nostro affermato e dimostrato col suo stesso esempio che tutta la Legge e i Profeti si riducano alla carità (Cfr. Mt 22,40), e avendo poi l'Apostolo confermato che la carità è il fine dei precetti e la pienezza della legge (Rm 13,8), nessuno può dubitare che l'intento principale da perseguire con ogni diligenza sia quello di sollecitare il popolo dei credenti ad amare l'immensa bontà di Cristo verso di noi; cosicché, infervorato da un ardore divino, venga rapito da quel bene perfettissimo, aderendo al quale potrà godere la vera felicità colui che sarà in grado di ripetere col Profeta: "Che cosa vi è in cielo per me? e all'infuori di te, che cosa io bramo sulla terra?" (Ps 72,25). E in realtà è questa la via più sublime che l'Apostolo additava, quando indirizzava tutta la somma della sua dottrina e del suo insegnamento alla carità, la quale non verrà mai meno (1Co 13,8). In tal modo, qualunque cosa venga proposta, da credere, da sperare, o da compiere, in essa deve sempre essere raccomandata la carità del Signore nostro, cosicché ognuno capisca che tutte le opere della perfetta virtù cristiana non hanno altra origine e non hanno altro scopo all'infuori di questo amore soprannaturale.
 

6.  L'obbligo di adattarsi alla capacità di ciascuno
Se poi è vero che nell'impartire qualsiasi insegnamento ha grande importanza la maniera d'insegnare, questa è da ritenere addirittura grandissima nell'istruire il popolo cristiano. Va infatti tenuto conto dell'età, dell'intelligenza, delle abitudini e della condizione degli ascoltatori, in modo che l'insegnante si faccia tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo (Cfr. 1Co 9,19-22) e, rendendosi ministro e dispensatore fedele (Cfr. 1Co 4,1,2), sia degno, quale "servo buono e fedele", di ricevere dal Signore autorità su molto (Cfr. Mt 25,23). Egli deve persuadersi che a lui sono affidati non soltanto uomini di una data categoria, da istruire su particolari norme e con una determinata formula, ma deve formare alla pietà tutti i fedeli. E siccome alcuni di essi sono "come bambini appena nati" (1P 2,2), altri cominciano a crescere in Cristo, mentre ce ne sono di quelli che hanno raggiunto l'età matura, è necessario considerare con diligenza chi ha bisogno del latte e chi del cibo solido, per offrire a ciascuno quell'alimento di dottrina che ne assicuri la crescita spirituale, "fino a che arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ep 4,13).
L'Apostolo indico tale dovere a tutti coloro che sono chiamati a questo ministero, dichiarando se stesso "debitore dei greci e dei barbari, dei sapienti e degli ignoranti" (Rm 1,14), per far comprendere che nell'esporre i misteri della fede e i precetti della vita bisogna adattare l'insegnamento alla comprensione e all'intelligenza degli ascoltatori; affinché nel fornire di cibo spirituale quelli che sono più preparati, non si lascino morir di fame i più piccoli che inutilmente chiedono il pane perché non c'è chi possa loro spezzarlo (Tren. 4,4).
Nessuno poi deve trascurare l'insegnamento per il fatto che talora bisogna istruire gli ascoltatori su dei precetti che sembrano meno importanti, e che per lo più vengono trattati non senza molestia da coloro che si occupano e si deliziano di argomenti più sublimi. Se infatti l'eterna sapienza del Padre discese sulla terra, per trasmetterci i precetti dell'eterna vita nell'umiltà della nostra carne, chi sarà colui che non si sentirà costretto dalla carità di Cristo a diventare bambino in mezzo ai suoi fratelli, e, simile a una nutrice che allatta i suoi figliuoli, non bramerà la salvezza del prossimo con tale ardore da dare per essi, come scriveva di se stesso l'Apostolo (1Th 2,7), non solo il Vangelo di Dio, ma anche la propria vita?
 
7.  La dottrina della fede è racchiusa nella Scrittura e nella Tradizione, nonché nel Credo, nei Sacramenti, e nel Decalogo e nell'Orazione domenicale
Ogni sorta di dottrina che deve essere insegnata ai fedeli è contenuta nella parola di Dio, distribuita nella S. Scrittura e nella Tradizione. Perciò i pastori d'anime si esercitino giorno e notte nella meditazione di queste due cose, ricordando l'ammonimento di S. Paolo a Timoteo: "Dedicati alla lettura, all'esortazione e all'insegnamento" (1Th 4,13). "Tutta la Scrittura, infatti, ispirata da Dio, è utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e preparato per ogni opera buona" (2Th 3,7).
  
8. Molteplicità e varietà delle verità cosi trasmesse
Data però la molteplicità e varietà delle verità cosi trasmesse, al punto che risulta difficile comprenderle e, una volta comprese, non è facile ricordarle in modo da averle pronte quando capita l'occasione d'insegnarle, con grande saggezza i nostri maggiori ricapitolarono tutto il succo di questa dottrina salutare in quattro formule distinte, che sono: il Simbolo apostolico, i Sette Sacramenti, il Decalogo e l'Orazione Domenicale, o Padre NostroInfatti tutto quello che a norma della fede cristiana si deve ritenere e conoscere su Dio, sulla creazione e il governo del mondo, sulla redenzione del genere umano, sulla ricompensa dei buoni e sulla punizione dei malvagi, è contenuto nell'insegnamento del Simbolo. Quelli che formano i segni e come gli strumenti per procurarci la divina grazia sono racchiusi nell'insegnamento relativo ai Sette Sacramenti. Quanto poi si riferisce alle leggi, il cui fine è la carità, si trova descritto nel Decalogo. Finalmente tutto quello che gli uomini possono salutarmente desiderare, sperare e chiedere, è racchiuso nella Preghiera del Signore. Ecco perché spiegando queste quattro formule, che costituiscono come i punti comuni di riferimento della S. Scrittura, non rimane quasi più niente da insegnare circa le cose che il cristiano è tenuto a imparare e a desiderare.

Suggerimenti ai Parroci per unire alla spiegazione del Vangelo quella del Catechismo
Riteniamo quindi opportuno avvertire i Parroci che ogni qualvolta essi sono chiamati a spiegare un passo del Vangelo o qualsiasi brano della S. Scrittura, la materia di quel testo, qualunque esso sia, ricade sotto una delle quattro formule riassuntive suddette; e a quella essi dovranno ricorrere per trovarvi la fonte della spiegazione richiesta. Nel caso, p. es., che si debba spiegare il Vangelo della prima domenica d'Avvento: "Ci saranno segni nel sole, nella luna, ecc. " (Lc 21,25), quanto si riferisce a tale argomento si troverà in quell'articolo del Simbolo: "Verrà a giudicare i vivi e i morti". E cosi valendosi della spiegazione di quell'articolo, il pastore d'anime insegnerà insieme e il Credo e il Vangelo.

Perciò in ogni suo impegno d'insegnamento e d'interpretazione prenderà l'abitudine di riferire ogni cosa a quei quattro generi di argomenti, ai quali fanno capo, come abbiamo detto, tutti gli sforzi e gli insegnamenti della sacra Scrittura.
Nell'insegnare poi ognuno terrà quell'ordine che sembrerà più adatto alle condizioni di persona e di tempo. Noi però, seguendo l'autorità dei santi Padri, i quali nella iniziazione cristiana dei neofiti cominciavano dalla dottrina della fede, abbiamo giudicato opportuno mettere al primo posto quanto si riferisce alla fede

da Paolo Asolan, Per una più consapevole e vigorosa adesione al vangelo, Lateran University Press, in corso di pubblicazione
Il 15 gennaio 1969 Hubert Jedin – celebre storico del concilio tridentino[1] ed egli stesso coinvolto nello studio del congegno procedurale del Vaticano II e nella riforma degli studi teologici – pubblicò un articolo su L'Osservatore Romano, dal titolo Storia della Chiesa e crisi della Chiesa[2].
Tale crisi veniva da lui classificata come una crisi liturgica, dell'autorità e di fede: quest'ultima – la più grave – identificabile con il venir meno del «privilegio della Chiesa cattolica di dire chiaro e univocamente ai suoi fedeli ciò che devono credere»[3].
Lo storico paragonò i mutamenti ai quali la fede era sottoposta nell'immediato dopo Concilio a quelli avvenuti in due diversi passaggi cruciali della storia della Chiesa, e cioè il tramonto della cultura ellenistico-romana e la Riforma luterana
. In entrambi i casi, la vita e la missione della Chiesa poterono continuare sia per un rafforzamento dell'autorità istituzionale dei suoi pastori (debitamente ri-formata e ri-converita al suo statuto evangelico), sia per il ristabilimento della sicurezza della fede, dando così anche alla teologia un fondamento certo sopra il quale esercitarsi.

La Chiesa ha potuto resistere e sopravvivere a entrambe le crisi che noi abbiamo tirato in campo come oggetti di confronto, perché ha messo al primo posto la preservazione del patrimonio rivelato affidatole, mediante il magistero. La teologia dopo la caduta del mondo antico non ha potuto mantenersi all'altezza che aveva raggiunto all'epoca dei grandi Padri della Chiesa, con un Origene e un Agostino. Il magistero ecclesiatico ha ripiegato su formule come il Simbolo di fede niceno-costantinopolitano, il cosiddetto Credo di Atanasio ed altri Simboli, nella istruzione del popolo e nell'evangelizzazione segnatamente si è accontentata dei più semplici strumenti dottrinari, il Credo apostolico, il Pater noster e il decalogo»[4].
La tesi – del tutto condivisibile – dello storico è questa: anche in questa sorta di “automutilazione” (e, forse, proprio in virtù di essa) il magistero ha saputo/potuto conservare la continuità della fede, organicamente espressa nei Simboli della fede.
Da qui discende un corollario pastoralmente interessante e bisognoso di esprimersi praticamente in forme assai migliori di quanto non sia finora avvenuto: il magistero della Chiesa, non la teologia, è e rimane anche oggi la norma vincolante della nostra fede.
La teologia deve cercare (con la fede!) di impadronirsi del contenuto della fede, può renderne meglio intelligibili e comprensibili i misteri
, mostrando le relazioni che essi mutuamente intrattengono tra loro. Può/deve fare questo lavorando con il proprio metodo scientifico, svolgendo così un compito importante per il magistero stesso, ma non si identifica con esso.

Portatori del magistero sono e rimangono i successori degli apostoli.
Emerge sotto questo profilo, il compito fondamentale del vescovo e una nota saliente della sua figura la quale, nella percezione diffusa, «appare come
 la più sbiadita delle figure ecclesiali: riferita, perlopiù, al conferimento della cresima, o al ruolo di direzione della Chiesa (dei preti) su un determinato territorio, per mandato e in rappresentanza del Papa»[5].

In realtà, nella sua Chiesa egli è anzitutto testimone della fede in Cristo Risorto.
Nella prospettiva neo-testamentaria, infatti, il munus profetico non fa appello, nel suo riferimento genetico e nel suo nucleo sostanziale, a un dono di ispirazione individuale (“carismatico”, com'è invalso sempre più dire, non del tutto propriamente), ma allo spessore storico-biografico della fede testimoniale[6]Il vescovo, cioè, non è garante dell'ortodossia della fede in forza di un carisma soggettivo, e neppure della sua (peraltro auspicabile) competenza teologica, ma in forza della ininterrotta e incorrotta successione apostolica.
Rimanda egli stesso, cioè, a un evento e a una Persona storici, e li annuncia non come un fatto del passato, ma come un evento efficace, dinamico e prolettico.
La crisi della fede che stiamo attraversando, perciò, pone con sempre maggior rilievo, tra le esigenze strutturali della conversione pastorale, la
 forte connotazione del vescovo come pastore reale del popolo a lui affidato e primo testimone/confessore della fede apostolica. Non sarà un caso che il n. 8 del Motu proprio costituisca un invito che il Papa rivolge ai “Confratelli Vescovi di tutto l'orbe”.

[1] H. Strack – P. Billerbeck, Das Evangelium nach Matthäus, erläutert aus Talmud und Midrasch, München 1922, 357.

[2] Cfr. P. Sequeri, L’oro e la paglia, Milano, 1989.

[3] L. Bolzoni, Dante o della memoria appassionata, disponibile on-line sul sito www.gliscritti.it.

[4] Educare alla vita buona del Vangelo, 13.

[5] C.M. Martini, Educare nella postmodernità, Brescia, 2010, pp. 153-154. È evidente che la sintesi cristiana è diversa da quella proposta da un sistema come quello hegeliano: il Credo, ad esempio, è piuttosto simile all’armonia sintetica di un corpo, nel quale tutto è connesso ed articolato.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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