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Benedetto XVI conferma solennemente: I RESTI NELLA TOMBA SONO VERAMENTE DI SAN PAOLO

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2010 18:59
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29/06/2009 07:23
 
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"Sarebbero veramente i resti di San Paolo": il Papa chiude l'Anno Paolino con una profonda emozione.

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Con “profonda emozione” Benedetto XVI ha annunciato che alcune analisi scientifiche confermano i dati della tradizione secondo cui nella tomba sotto l’altare papale nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura vi è il corpo dell’apostolo. L’annuncio è stato dato proprio nella stessa Basilica, durante l’omelia dei Primi vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo, che hanno concluso l’Anno Paolino, per celebrare i 2000 anni della nascita dell’apostolo di Tarso.

Il Pontefice ha detto che la tomba è stata di recente “oggetto di un’attenta analisi scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. E’ stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione”.

.... il Papa ha poi tratteggiato alcune caratteristiche del messaggio dell’apostolo Paolo che devono diventare dimensioni quotidiane per l’esistenza cristiana. “L’Anno Paolino si conclude – ha detto - ma essere in cammino insieme con Paolo, con lui e grazie a lui venir a conoscere Gesù e, come lui, essere illuminati e trasformati dal Vangelo – questo farà sempre parte dell’esistenza cristiana”.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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A colloquio con il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo

La tomba di san Paolo
fra storia e fede


di Mario Ponzi

"Lo ripeto e lo confermo:  la tomba di san Paolo non è stata mai aperta. Domani in conferenza stampa verrà confermato. E si vedrà che, in realtà, non c'è nulla da aggiungere, oltre quanto detto dal Papa. Se non per alcuni particolari tecnici, con i quali abbiamo poca dimestichezza. Ma per questo ci sarà il tecnico che ha eseguito materialmente il lavoro; darà tutti i particolari dell'operazione".

Si augura, il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arciprete della basilica di San Paolo fuori le Mura, che l'incontro con i giornalisti nella Sala stampa della Santa Sede - in programma venerdì 3 luglio - serva a soddisfare la curiosità, e non solo quella mediatica, suscitata dall'annuncio di Benedetto XVI riguardo alla datazione dei resti da secoli custoditi nel sarcofago sotto l'altare della Confessione della Basilica di san Paolo.

Sul perché di tanti silenzi e di tanti segreti sulla vicenda il cardinale è molto esplicito:  "Anzitutto si tratta di annunci che spettano al Papa. Poi non volevamo ripetere gli errori commessi in passato in occasione del ritrovamento della tomba di san Pietro e delle sue ossa. Si venne a sapere delle indagini e subito si innescò una polemica che divise gli archeologi".

Il cardinale si riferisce alla diatriba insorta in particolare tra il gesuita Antonio Ferrua, che dubitava dell'identificazione, e l'epigrafista Margherita Guarducci, che al contrario ne era certa. Si dovette attendere più di un ventennio il pronunciamento di Paolo vi:  "Anche le reliquie di san Pietro - disse Papa Montini il 26 giugno del 1968 - sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente, e ne diamo lode a chi vi ha impiegato attentissimo studio e lunga e grande fatica".

E in quel tempo non esisteva la possibilità di usare una tecnica poi messa a punto:  il c14, cioè il radiocarbonio utilizzato per la datazione radiometrica di materiale di origine organica. In ogni caso, come lascia intendere il cardinale nel colloquio con "L'Osservatore Romano", vent'anni fa la prematura diffusione di apposite indagini sulla Sindone attraverso i media fu all'origine di polemiche proprio sulla datazione.

E dice il porporato:  "Quando circa due anni fa proposi al Papa la celebrazione di un anno da dedicare a san Paolo nella ricorrenza del bimillenario della morte - proposta devo dire accettata immediatamente e con gioia da Benedetto XVI - avanzai anche l'idea di una ricognizione del sarcofago. Da quasi due millenni è qui, e non è mai stato aperto per una verifica. C'è una concordanza incontrastata sul fatto che qui si conservano i resti di san Paolo. Ma non era stato mai controllato cosa vi fosse realmente. Il Papa accettò immediatamente e di buon grado anche questa proposta. Solo che si decise di rinviare l'operazione dopo la chiusura dell'Anno paolino per evitare di costringere i fedeli a pregare in un cantiere piuttosto che nella basilica. Per aprire il sarcofago sarà infatti necessario spostare non solo l'altare della Confessione, ma probabilmente anche il prezioso baldacchino, opera di Arnolfo di Cambio".

La tomba, come è noto, si trova proprio sotto l'altare. È incastrata in un muro di pietre e mattoni di circa un metro di spessore sui quattro lati. Una protezione necessaria perché "un tempo - ricorda l'arciprete - durante le frequenti esondazioni del Tevere l'acqua arrivava a minacciare il sarcofago. Per questo si decise di chiuderlo dentro una solida fortezza".

Il Tevere oggi non costituisce più un pericolo e dunque "in pieno accordo con l'abate - perché è bene ricordare che la basilica papale è un tutt'uno con l'abbazia che la comprende - abbiamo ricavato un piccolo corridoio attraverso questo robusto muro e scoperto una delle facciate laterali del sarcofago. È una costruzione in marmo di Carrara grezzo, cioè non lavorato, non levigato. Questo, ma è solo una nostra supposizione, potrebbe significare che il sarcofago non era stato ancora decorato; doveva essere scalpellato e ornato con fregi e incisioni varie. Invece, con molta probabilità, l'opera non è stata subito completata e poi non c'è stato più modo di rifinire il sarcofago. Sopra c'è una pesante lastra di pietra che reca soltanto la scritta Paulo apostolo mart. Per renderlo raggiungibile ai fedeli abbiamo dovuto anche spostare un piccolo altare, dedicato a san Timoteo di Antiochia, del IV secolo. Per i pellegrini è stata una novità:  prima erano in pochi a scendere sotto l'ipogeo. Da quando abbiamo reso visibile il sarcofago, spesso e volentieri si forma una piccola ressa di persone tra quanti entrano, quanti si fermano a pregare dinanzi alla tomba dell'apostolo e quanti escono".

Ciò però non risolveva il problema di conoscere effettivamente il contenuto del sarcofago "e per questo - spiega il cardinale - dopo essermi consultato con gli esperti dei Musei Vaticani, ho formulato una proposta al Papa:  praticare un forellino sulla lastra che copre il sarcofago per esaminarne il contenuto. Non ricordo bene quale giorno fosse, ma sicuramente era nell'inverno tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008, quando Ulderico Santamaria, un chimico docente di Scienza e tecnologia dei materiali presso l'università della Tuscia, direttore del Laboratorio di diagnostica per la conservazione e il restauro dei Musei Vaticani, eseguì, dopo un giuramento solenne di segretezza e sotto la diretta responsabilità degli esperti dei Musei Vaticani, il forellino sulla lastra, usando un piccolo trapano, simile a quello di un dentista. Introdusse una microsonda grazie alla quale fu possibile vedere, anche se per un piccolo raggio, cosa vi fosse. Con una micropinza, del tipo di quelle usate per le artroscopie e la microchirurgia, prelevò alcuni reperti. Li facemmo analizzare, in tutta segretezza per i motivi che ho prima accennato, presso un laboratorio specializzato in questo tipo di esami. Neppure al laboratorio rivelammo fonte e committente, sempre allo scopo di non influenzare minimamente l'esame, affinché fosse il più possibile obiettivo e scientificamente sicuro".

Dunque, tutto il lavoro è stato eseguito nel più assoluto riserbo. Pochissime le persone che ne erano a conoscenza. "Devono averlo fatto di notte - ci confida un impiegato - o comunque in un momento in cui la basilica e gli annessi uffici erano deserti. Nessuno di noi si è accorto o ha saputo nulla, sino a quando il Papa lo ha rivelato il 28 giugno scorso".

L'arciprete ha ribadito di aver "agito sempre in accordo con Benedetto XVI, anche quando non ho dato nessuna informazione a chi aveva cominciato a fiutare qualcosa". L'annuncio "mi ha come liberato di un peso enorme - ha detto ancora - che mi portavo dentro da oltre un anno. Del resto tutti noi, custodi del segreto, eravamo coscienti che dovesse essere proprio il Papa a darne conferma e a dire che quei resti erano attribuibili all'apostolo".

Ora l'attesa si sposta sui tempi di approfondimento dello studio, già realizzato, per procedere all'apertura del sarcofago. "Non prevedo tempi brevi - dice il porporato - perché il lavoro da fare non è poca cosa e la delicatezza del sito richiede tanta, tantissima prudenza".


Il colloquio con il cardinale si allarga poi alla Porta paolina, come è stata ribattezzata la terza porta della basilica aperta dal Papa per l'inaugurazione dell'Anno dedicato all'apostolo. "Io - spiega l'arciprete - avevo proposto di inaugurare l'Anno aprendo la Porta santa. Benedetto XVI al proposito è stato subito categorico:  la Porta santa si apre solo in occasione di un anno santo, mentre quello paolino è stato solo un anno tematico. Così ho proposto di aprire la terza delle cinque porte della basilica e l'abbiamo battezzata Porta paolina proprio per ricordare l'evento. Vista l'importanza che assumeva, abbiamo chiesto allo scultore Guido Veroi di abbellirla con delle formelle in bronzo".

Veroi è un artista romano, autore tra l'altro del rovescio della famosa moneta da cinquecento lire in argento del 1957, nota come "le caravelle", e direttore dei lavori per la realizzazione della copia in bronzo del monumento equestre a Marco Aurelio, in sostituzione dell'originale marmoreo in piazza del Campidoglio nel periodo del restauro. Lo scultore ha inciso quattro formelle del peso di cinquanta chili ciascuna, e sei cartigli, tre in latino sull'anta sinistra e tre in greco sull'anta destra, "a significare - spiega il cardinale arciprete - la caratteristica ecumenica di questa basilica, e per sottolineare il desiderio e l'auspicio del ritorno all'unità delle Chiese di Oriente e di Occidente".

Il lavoro è durato circa un anno. Tra l'altro è stato prima necessario verificare la tenuta della porta, in considerazione dell'enorme peso che stava per essere aggiunto. "Fortunatamente - dice il porporato - il portone è robusto e i cardini sono possenti e dunque in grado di sopportare il peso".

Quando il Papa ha aperto la Porta, le formelle erano solo delle copie applicate temporaneamente. Il 28 giugno scorso ha potuto invece ammirare l'opera conclusa. Ricordiamo che la Porta paolina è stata simbolicamente chiusa dal cardinale arciprete il giorno successivo ai vespri presieduti dal Papa, quando cioè l'Anno paolino si è chiuso ufficialmente. "Chiuso ma non concluso. Tanto è vero - assicura il porporato - che la Porta paolina continuerà ad aprirsi ogni giorno affinché l'apostolo possa continuare ad accogliere ancora degnamente le sue "genti"".
 


(©L'Osservatore Romano - 3 luglio 2009)

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 Ricciotti, Paolo apostolo 

Descrizione:
Regalo per la Festa della Beata Vergine dell'Arco
Gentili amici,
il lunedì dell’Angelo è la Festa della Beata Vergine dell'Arco e si avvicina la conclusione dell'anno paolino indetto da S.S. Benedetto XVI. Per onorare la Madre del Risorto, TT.net e' lieta di offrire ai suoi utenti registrati un saggio del grande biblista Giuseppe Ricciotti: 
Paolo apostolo
L'abate Giuseppe RicciottiPresentazione con parole dell’autore:

Questo libro è l'ultimo della trilogia, i cui due primi numeri sono la mia Storia d'Israele e la Vita di
Gesù Cristoquesto libro è soprattutto una biografia critica, perché questa mancava in Italia.

Naturalmente non si può trattare di Paolo senza trattare anche del suo pensiero, perché la sua vita non è che il suo pensiero portato nella pratica le radici dell'odierno razionalismo e laicismo ateo sono da ricercarsi nel mondo spirituale di Lutero, il grande frantumatore della solidarietà cattolica ed europea. E in realtà la maniera con cui i documenti del cristianesimo primitivo sono trattati da molti critici moderni, figli spirituali di Lutero, ricorda spiccatamente la maniera con cui Hitler trattava i popoli asserviti alla sua tirannia. O la schiavitù, o la distruzione: si sopprime un popolo come si ripudia un documento, per la sola ragione che non fa o non dice quanto vuole il critico. È un nuovo "imperativo categorico", cioè un nuovo Ersatz o surrogato di Dio, fabbricato in clima luterano
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I custodi della tomba di san Paolo

Prima le donne
poi i benedettini


di Edmund Power


Si pensa che Paolo sia stato decapitato durante una persecuzione di cristiani sotto l'imperatore Nerone, alle Aquae Salviae, un luogo pubblico di esecuzione sulla via Laurentina, pochi chilometri a sud-est dell'attuale basilica a lui dedicata, circa nell'anno 67 dell'era cristiana. Il corpo fu sepolto in un cimitero già esistente dal I secolo prima dell'era cristiana sulla via Ostiense. Secondo una tradizione, alla metà del III secolo le spoglie, assieme a quelle di san Pietro sepolto al Vaticano, furono spostate per protezione nelle "catacombe", luogo dell'attuale basilica di San Sebastiano sulla via Appia. Sarebbero tornate fra il 330 e il 340, al tempo della costruzione della prima basilica sotto l'imperatore Costantino. Seguì poi la costruzione della maestosa ed enorme seconda basilica negli anni 390, che rimaneva fino al disastroso incendio del 1823. La terza basilica, nello stile e nelle dimensioni della seconda, sorse nello stesso luogo nell'Ottocento.

Salvo il soggiorno di meno di cento anni presso le Catacombe, il corpo di Paolo è venerato nel luogo della basilica di San Paolo fuori le Mura, quasi dall'inizio dell'era cristiana. Il punto preciso della tomba rimane sempre quello sotto l'altare principale, dove, grazie agli scavi degli ultimi anni, si può ormai osservare il lato occidentale del sarcofago. Gli studiosi ritengono che il sarcofago attuale risalga agli anni 390, e cioè al tempo della costruzione della seconda basilica. In quel tempo si sarebbero elevati i resti dell'apostolo, trasferendoli nella nuova bara. Da quel tempo non è stato mai disturbato o aperto, neanche durante gli anni dell'incendio e della ricostruzione.

Anche se il sarcofago non è mai stato aperto, ormai, dopo più di 1.600 anni, sappiamo qualcosa del contenuto. Papa Benedetto XVI ha rivelato, all'inizio dell'omelia tenuta nella basilica nell'occasione della conclusione dell'anno dedicato a san Paolo, e cioè il 28 giugno 2009, che un sondaggio discreto era stato condotto. Si era praticato un piccolo foro nel coperchio del sarcofago; usando la tecnica delle fibre ottiche è stato possibile guardare dentro, e poi estrarre qualche frammento di stoffa e di osso. Dopo uno studio accurato in laboratorio, gli esperti sono giunti alla conclusione che i resti sono proprio del I o II secolo, e dunque consoni con il credo che il sarcofago contenga le spoglie mortali di Paolo. Ovviamente, l'evidenza non permette la dichiarazione certificata che questi siano veramente i resti di Paolo, ma non importa:  più importante delle ossa di Paolo è il suo messaggio. In questa basilica fin dai primi secoli, è sempre venerata la memoria dell'apostolo, e senz'altro la venerazione continuerà, guidata dai monaci benedettini.

Già dal VI secolo comunità monastiche furono fondate presso la basilica, per servire ai bisogni spirituali e forse materiali dei pellegrini. La prima referenza per iscritto si trova su una lapide che risale all'anno 604, l'ultimo del pontificato di Gregorio Magno. La lapide, originariamente allocata sulla facciata interna della seconda basilica, è custodita oggi nel museo lapidario dell'abbazia. Parla del monastero di Santo Stefano delle Serve del Signore, situato a San Paolo, una comunità dunque di donne, non di uomini. Ma al tempo stesso, o poco dopo, c'era anche un monastero maschile dedicato a San Cesareo. Sembra che tutti e due fossero in decadenza verso gli anni 730 quando Papa Gregorio ii fondò il monastero dei benedettini.

Egli dunque è ritenuto fondatore dell'attuale abbazia. Fra l'altro egli specificò l'impegno di mantenere accese le candele accanto alla tomba dell'apostolo. Oggi c'è una serie di luci elettriche attorno alla confessio, il luogo davanti all'altare principale dove la gente può venerare la tomba; i monaci, però, continuano a conservare un'unica lampada d'olio. Essa è il simbolo della loro dedizione e servizio, ma suggerisce anche l'amore autosacrificante di Cristo che, morendo, dà la vita, come l'olio che man mano consumandosi e bruciando, crea la luce.


(©L'Osservatore Romano - 14 gennaio 2010)

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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