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ROMA, SEDE DEL PRIMATO PETRINO

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2012 13:48
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22/07/2009 22:50
 
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Col fissare la sua sede a Roma, Pietro collega il primato sulla Chiesa universale al pontificato romano.


1. Nella prospettiva cattolica, Pietro, quando arriva a Roma, è, per la promessa irrevocata e onnipotente del suo Signore, il fondamento che ha per destinazione di sostenere la Chiesa contro gli assalti dell'inferno, l'intendente del Regno dei cieli, il pastore visibile, in assenza di Cristo, dei suoi agnelli e delle sue pecore, in breve il vicario di Cristo sopra la Chiesa, il depositario di un pontificato transapostolico sulla Chiesa universale.

Quando perciò viene a Roma per fissarvi non solo il suo luogo (locus), ma la sua sede (sedes) -o la sua cattedra (cattedra)-, come Giacomo aveva fissato la propria a Gerusalemme, il pontificato romano e il pontificato transapostolico universale di cui egli è portatore non si sovrapporranno in lui, non vi saranno nella persona di Pietro due pontificati in atto, ma solo in potenza, perché il pontificato romano sarà riassorbito nel pontificato transapostolico universale, in modo che lo stesso pontefice sarà d'ora in poi, in virtù di uno stesso pontificato, pontefice romano e pontefice universale.

2. Se è dato di rivelazione che la Chiesa fino alla fine del mondo deve riposare attualmente, strutturalmente, verticalmente sul fondamento che è Pietro e sulla serie dei suoi successori -dal momento che il fondamento deve durare quanto l'edifìcio-, è anche rivelato implicitamente che Pietro, per un privilegio eccezionale che doveva estinguersi alla sua morte, poteva determinare le condizioni che avrebbero reso riconoscibile la catena dei suoi successori. Collegando indissolubilmente il pontificato romano e il pontificato universale Pietro indicava alla Chiesa futura, mediante un criterio d'individuazione ben preciso, dove si sarebbe trovata la serie dei suoi successori. Questa fusione dei due pontificati, questo riassorbimento del primo nel secondo appare come un fatto dogmatico.



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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/10/2003 19.47

3. Teniamo presente che altra cosa è la residenza, altra la sede. La residenza può essere trasportata altrove, come lo fu ad Avignone. Ma il papa resta vescovo di Roma. E se Roma fosse distrutta, i successori di Pietro resterebbero di diritto vescovi di Roma, cessando di esserlo di fatto per il solo motivo che Roma, o la chiesa di Roma, avrebbero cessato di esistere.

b) L' insegnamento del Concilio Vaticano I sul perpetuarsi del primato di Pietro nei pontefici romani.

Trattando, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa di Cristo, sezione IV, cap. 2, della perpetuità del primato di Pietro nei pontefici romani, il Concilio Vaticano I comincia col far riferimento al Concilio di Efeso e si esprime così : <Non è messo in dubbio da alcuno, e tutti i secoli hanno creduto che il santo e beato Pietro, principe e capo degli apostoli, colonna della fede e fondamento della chiesa cattolica, ha ricevuto da nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del Regno; e che egli continua fino ad oggi a vivere, presiedere e giudicare nei suoi successori, i vescovi di questa santa sede romana, da lui fondata e consacrata col suo sangue. Di modo che colui che succede a Pietro su questa cattedra riceve, secondo quanto fu istituito da Cristo stesso, il primato di Pietro sulla Chiesa universale ». Il canone che definisce la fede cattolica su questo punto è così formulato: «Se qualcuno dice che non deriva da istituzione di Cristo Signore, e quindi di diritto divino, il fatto che il beato Pietro, nel suo primato sulla Chiesa universale, abbia in perpetuo dei successori, oppure che il pontefice romano non è il successore del beato Pietro in questo stesso primato, sia egli anatema »

<DIR>

e) La certezza « storica » della venuta di Pietro a Roma e la certezza « di fede » che la sede di Pietro fu stabilita a Roma.</DIR>

1. Noi crediamo che Pietro è venuto a Roma e che vi è morto martire. È questo un fatto storico che gli storici delle origini cristiane, non cercano più di mettere in dubbio. È a questo fatto storico che allude il Concilio Vaticano I quando dice, in una proposizione incidentale, non riprodotta nella definizione finale, che Pietro ha non solo fondato, ma anche « consacrato la chiesa romana « col suo sangue ».

Ma il collegamento indissolubile del pontificato romano e del pontificato transapostolico universale è per noi un fatto dogmatico, che la storia non potrà certo mai contraddire, ma che essa non sarà neppure mai bastante a stabilire, e che è oggetto per noi di una certezza superiore alle certezze storiche: è perché crediamo alla divinità di Cristo e al suo aver fondato strutturalmente la Chiesa su Pietro affinchè durasse fino alla consumazione del secolo, che noi crediamo che alla morte della persona di Pietro, la missione. transapostolica di Pietro continui.


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Consiglia  Messaggio 3 di 5 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/10/2003 19.48
2. Ma se, per ipotesi impossibile, la storia provasse che Pietro non è mai venuto a Roma, essa non avrebbe ancora abbattuto il fatto dogmatico di cui noi parliamo.

Sarebbe sufficiente che Pietro, ovunque fosse materialmente, avesse decretato di trasferire sulla sede di Roma il pontificato transapostolico della Chiesa universale.

Si tratta di un fatto spirituale che poteva essere compiuto a distanza.

Soloviev l'ha detto profondamente: «Anche ammettendo -contro la tradizione della chiesa sia orientale che occidentale- che Pietro non sia mai andato fisicamente a Roma, si può, dal punto di vista religioso, affermare una trasmissione spirituale e mistica del suo potere sovrano al vescovo della città eterna. Lo spirito di Pietro, diretto dalla volontà onnipotente del suo Signore, poteva bene, per perpetuare il centro dell'unità ecclesiastica, fissarsi nel centro dell'unità politica preformato dalla Provvidenza e fare del vescovo di Roma l'erede del suo primato ».

Questo non è in alcun modo un sottovalutare, la storia o, come si vuole forzatamente attribuirci, un abbandonare « totalmente il richiamo alla vita del Pietro storico » . È semplicemente, come avevamo cercato di fare, un ordinare gerarchicamente le certezze:

quelle della storia, quelle dell'apologetica, quelle della fede.

<DIR>

d) Il cattolicesimo non confonde nè separa la fede e la ragione, ma distingue per unire.</DIR>

Bisognerebbe una buona volta cessare di confondere la certezza di fede, che è divina, e la certezza di credibilità, che è umana. Non confondere nè separare, ma distinguere per unire: tutto il cattolicesimo sta in questa formula.

1. Noi crediamo di fede divina che il primato di Pietro si perpetua nei pontefici romani.

Le ricerche storiche possono:

a) attestare la presenza di questa fede nella Chiesa primitiva;

b) stabilire, con i metodi loro propri, il fatto della venuta e della morte di S. Pietro a Roma.

Esse non arriveranno mai, di per sé, a qualcosa di più che a delle certezze o probabilità umane.

Una certezza divina e mistica non potrà mai poggiare, nel senso preciso della parola, su delle certezze o delle probabilità umane e razionali.

2. Le certezze di fede non sono razionali, nè, tanto meno, irrazionali, sono transrazionali.

Le certezze della storia e dell'apologetica, le certezze della credibilità sono razionali. Esse ci dicono che non è irragionevole, ma al contrario supremamente ragionevole di credere nei misteri sopraragionevoli, e che è, al contrario, irragionevole non crederli. « La nostra religione è saggezza e follia. Saggezza perché è la più dotta, e la più fondata in fatti storici, miracoli, profezie ecc. Follia, perché non da tutto questo dipende che le si appartenga; tutto questo fa, sì, condannare chi ad essa non appartiene, ma non fa credere chi le appartiene. La croce, ecco ciò che fa credere.

3. Cose divine e cose umane, certezza di fede e certezza di ragione, giudizio soprannaturale e giudizio naturale: ancora una volta, queste cose non vanno confuse, queste cose non vanno separate. Occorre distinguere per unire.

il fideismo del protestantesimo della Riforma, nè il razionalismo del protestantesimo liberale. Ma due doni disuguali di Dio all'uomo: la fede divina e la ragione umana.

e) Perché la coscienza del primato di Pietro, sempre viva a Roma, ha potuto velarsi in certe regioni della cristianità


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/10/2003 19.49

1. Se Pietro deteneva, lui solo, il potere transapostolico strutturale di reggere la Chiesa universale, gli apostoli possedevano quanto lui, sebbene a titolo straordinario, il potere esecutivo di fondare delle missioni e delle chiese locali. Su un punto erano dunque suoi eguali, e il suo diritto poteva apparire in qualche modo come limitato e neutralizzato, o piuttosto velato, dal loro.

Ciò spiega, non soltanto che S. Paolo o S. Giacomo abbiano potuto agire con una grande libertà ma anche come il primato giurisdizionale, che fìn dall'inizio ha risieduto in Pietro e si è trasmesso poi ai suoi successori sulla cattedra di Roma, non abbia fìn dall'inizio dispiegato tutte le sue virtualità.

Non per nulla S. Clemente papa è contemporaneo di S. Giovanni apostolo.

2. Ciò spiega anche un altro fatto. Mentre la coscienza del primato è rimasta sempre viva a Roma, si direbbe (questo emerge dalle lettere di S. Ignazio, dagli scritti di S.Cipriano e più tardi dei Padri di Cappadocia) che, nelle chiese che stavano al di fuori del raggio della diretta influenza romana, si sia creduto, dal momento che i vescovi erano i successori degli apostoli, di poter passare senza dislivello dal governo degli apostoli al governo dei vescovi, come se fosse bastato ai vescovi di mettersi d'accordo per poter dispensare alla Chiesa universale quella bella unità che gli apostoli le assicuravano quando erano in vita. Qui si insinuava una parte di illusione. Perché gli apostoli avevano ricevuto, oltre alla semplice giurisdizione episcopale, un potere straordinario di governo che non era destinato a perpetuarsi nei vescovi, bensì a lasciare il posto dopo la loro morte, al primato giurisdizionale di Pietro e dei suoi successori .

<DIR>

f) La promessa di Gesù « fonda » la preminenza ulteriore della chiesa romana, e la preminenza «realizza » la promessa.

</DIR>

Se si crede che Gesù è Dio, la promessa ch'egli fa a Pietro di fondare su di lui la sua chiesa destinata ad affrontare la città del male, di dargli le chiavi del suo regno, di costituirlo pastore dei suoi agnelli e delle sue pecore, non poteva non essere veridica.

Resta allora da chiedersi dove la profezia di Gesù si sia avverata. Quale sede episcopale ha difeso attraverso i secoli, in Oriente come in Occidente, la divinità di Cristo, l'ispirazione divina della Scrittura, il valore assoluto della Rivelazione, il mistero della divina e organica unità della Chiesa...?

Da questo punto di vista è la chiesa romana che corrisponde alla profezia di Gesù. Ma a sua volta la chiesa romana chiarisce la profezia di Gesù, così come sempre e ovunque, l'avverarsi di una profezia chiarisce il senso della profezia stessa. Non vi è alcun circolo vizioso.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 27/10/2003 19.51

b) II circolo vizioso in cui sarebbero presi i cattolici.

Vi sono alcuni che accusano i cattolici dicendo : « È un circolo vizioso, una petitio principii affermare che, poiché da un lato la promessa di Gesù a Pietro sussiste e dall'altro si può constatare il fatto che Roma ha abbastanza presto cominciato ad esercitare il primato, si deve desumerne che tale primato poggia su quella promessa in modo tale da essere normativo per ogni epoca. Infatti il rapporto che intercorre fra Matt. 16, 17 ss. e la posizione di preminenza assunta più tardi da Roma è proprio quello che occorre pròvare.

Ma noi respingiamo questi sofismi. Il circolo vizioso starebbe nel dire: noi giustifichiamo la nostra interpretazione della profezia di Gesù facendo riferimento alla posizione assunta dalla chiesa romana; e giustifichiamo la posizione assunta dalla chiesa romana ricorrendo alla nostra interpretazione della profezia di Gesù. Ma non è così che noi ragioniamo. Noi giustifichiamo la nostra interpretazione della profezia di Gesù sulla base del testo stesso del Vangelo. Noi crediamo che Gesù è Dio, che ogni potenza gli è stata data in cielo e sulla terra, che egli è padrone di tutto lo svolgimento dei secoli, ch'egli non ha ignorato il tempo della sua Chiesa nè l'ora del proprio ritorno. Noi leggiamo la sua profezia senza prima sentire il bisogno di smembrarla, senza cominciare col separare il vers. 19, sulle chiavi del regno, dal vers. 18 sul fondamento della Chiesa. Noi vediamo che Gesù, per rendere sicura la sua Chiesa contro gli attacchi della città del male, la fonda strutturalmente, verticalmente, quanto alla sua permanenza nel presente, su Pietro, a cui da le chiavi del suo regno, e a cui affida, in sua assenza, i suoi agnelli e le sue pecore. Il fondamento strutturale della Chiesa durerà quanto la Chiesa; se la persona di Pietro muore, la funzione di Pietro sopravvive. Tutto questo noi lo sappiamo dando alla profezia evangelica, di cui abbiamo rispettato l'unità, la sua profondità massima. E noi sappiamo anche, in sovrappiù, che così facendo noi la leggiamo con gli occhi della Chiesa.

Quando poi, nel luogo dove Pietro muore, noi vediamo apparire la posizione di preminenza della Chiesa romana, noi sappiamo di possederne la vera spiegazione. Essa è di natura spirituale, mistica, divina; dovremmo travisare il Vangelo per poterlo dimenticare. Noi non cerchiamo di far ricorso a spiegazioni naturalistiche, di render conto del prestigio spirituale della chiesa romana con la situazione politica di Roma nell'Impero pagano. Tutto è più semplice, e più profondo, più divino: noi spieghiamo la preminenza effettiva della chiesa romana così come spieghiamo la preminenza effettiva di Pietro negli Atti degli apostoli, mediante la virtù spirituale della promessa di Gesù.E reciprocamente, il primato della chiesa di Roma nel mondo, esattamente come il primato di Pietro negli Atti degli Apostoli, illumina la promessa di Gesù: perchè sempre e ovunque, l'avveramento della profezia illumina la profezia. Gesù prova costantemente la sua missione con la profezia dell'Antico testamento, e costantemente illumina la profezia dell'Antico Testamento con la sua missione. Il circolo, se c'è, non è vizioso, ma divino.

Tratto da una risposta di Charles Journes a O.Culmann

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26/09/2009 18:46
 
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Consiglia  Messaggio 1 di 4 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°Teofilo  (Messaggio originale)Inviato: 07/11/2003 20.34
Il fatto che Pietro si fosse o meno recato fisicamente a Roma, abbiamo visto sopra che non è determinante affinchè la sede del primato fosse stato fissato a Roma.
Tuttavia cerchiamo ugualmente di capire la seguente espressione usata da Pietro nella sua prima lettera per indicare il luogo in cui si trovava.

1 Pt 5,13
La chiesa che è in Babilonia eletta come voi, vi saluta; e così fa Marco, il mio figliuolo.


Questo versetto che Pietro cita quasi in chiusura della sua lettera ha suscitato interesse e molte discussioni, soprattutto perchè il termine Babilonia,  veniva usato metaforicamente. 


Si pone la domanda: come mai Luca non descrive mai nessun viaggio di Pietro per Roma?

E come mai nella Scrittura non troviamo nessuna indicazione inequivocabile circa una permanenza di Pietro a Roma?



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Consiglia  Messaggio 2 di 4 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 07/11/2003 20.36

Cerchiamo di capire quali possono essere i motivi. Luca, dopo la cattura di Pietro da parte delle guardie di Erode e lo scampato pericolo di morte a seguito della sua prodigiosa liberazione, descritta al capitolo 12 degli Atti, annota:

Atti 12,17: Pietro... andò in un altro luogo.

Un commento evangelico a questo versetto, desunto dalla Parola.net, dice:

.... Ed è, quasi certo che l'autore non ha voluto dir altro che questo: "Uscì dalla casa di Maria e si cercò altrove un rifugio più sicuro per meglio sfuggire alle ricerche della polizia". Qualunque altro rifugio, in Gerusalemme stessa, o nei dintorni, o a, Lidda, o a Ioppe, o in qualche altro luogo vicino, risponde meglio all'idea del testo;

Luca non scrive o NON VUOLE SCRIVERE il luogo dove Pietro si era recato:

Ho messo in evidenza che Pietro cercava un rifugio PER MEGLIO SFUGGIRE ALLE RICERCHE DELLA POLIZIA.

Luca, era ben consapevole di questo pericolo che Pietro correva, soprattutto in seguito al rischio di essere messo a morte. Le guardie e gli uomini del tempio, ricercavano soprattutto lui, non a caso, ma proprio per la sua posizione particolare. L'eliminazione di Pietro costituiva un obiettivo importante per togliere alla Chiesa nascente l'esponente di primo piano. Per questo la Chiesa aveva pregato per lui, e il Signore aveva accolto la loro preghiera: doveva avverarsi la profezia di Gesù: quando sarai vecchio un altro ti condurrà.... : Pietro non sarebbe morto da giovane, ma avrebbe dovuto servire Cristo fino alla vecchiaia.

Dopo il capitolo 15 degli Atti, in cui Luca riferisce che Pietro era a Gerusalemme dove fu convocato il primo Concilio, di lui non ci comunica altri fatti.

I motivi possono essere due: Luca, essendosi messo al seguito di Paolo, non aveva altre notizie su Pietro. Oppure le aveva ma preferì non parlarne per non segnalare la presenza di Pietro ovunque andasse.

In questa stessa ottica possiamo comprendere il motivo per cui troviamo la stessa circospezione nel non designare il luogo dove egli si trovasse, nella prima lettera dello stesso Pietro, (5,13).

Egli usa il nome Babilonia per indicare il luogo da cui scriveva; ma, è ragionevole pensare che Pietro non abbia fornito con tale indicazione il luogo reale dove si trovava ma abbia dato un appellativo, che verrà usato anche da Giovanni nell'apocalisse, per designare la città di Roma, dove imperava il paganesimo, e questo, ancora una volta, per non rivelare apertamente ad eventuali nemici la sua residenza.

La patristica ci offre diverse attestazioni della attività di Pietro a Roma e della presenza di Marco, che raccolse nell'omonimo vangelo i suoi insegnamenti.

Vediamo più in dettaglio la questione di Babilonia.


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Consiglia  Messaggio 3 di 4 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 07/11/2003 20.36

Vediamo intanto un commento di parte evangelica:

Il testo dice letteralmente: La coeletta in Babilonia. .... Le versioni siriaca, armena e vulgata portano addirittura: La chiesa che..., come il msc. sinaitico. I saluti da chiesa a chiesa erano una delle manifestazioni dell'unità spirituale e della fraternità cristiana. ...". Nel Marco, chiamato qui da Pietro suo figliuolo sia perchè l'avesse condotto lui alla fede, essendo in relazione colla famiglia Atti 12:12 ,sia perchè Marco gli era molto affezionato, si suole con ragione vedere l'evangelista mentovato negli Atti e nelle Epistole: Aveva accompagnato Paolo e Barnaba di cui era cugino nel loro primo viaggio missionario, fino in Panfilia. Era stato cagione involontaria della separazione di Barnaba da Paolo e col primo aveva lavorato in Cipro Atti 15:37,39 .Più tardi lo si ritrova in compagnia di Paolo Filemone 24; 2Timoteo 4:11 e da Colossesi 4:10 risulta che ha dovuto tornare da Roma in Asia Minore. Egli non era quindi ignoto del tutto alle chiese e ciò spiega il saluto che manda loro per mezzo di Pietro di cui, secondo la tradizione (Papia, Clemente Al., Tertulliano), egli sarebbe stato l'interprete. Il nome geografico Babilonia è stato inteso in senso allegorico da alcuni interpreti antichi e moderni che vi hanno scorto la designazione di Roma considerata come persecutrice del popolo di Dio. Si cita in appoggio l'Apocalisse di Giovanni Apocalisse 14:8; 17:5,9; 18:2 ;>; ma la data più antica assegnata da una parte dei critici all'Apocalisse è il 69, mentre non va dimenticato che Ireneo, fra gli altri, la pone intorno al 95. Inoltre non risulta che negli ambienti giudeo-cristiani Roma fosse chiamata Babilonia prima della distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70. Ora l'Epistola dovette esser scritta prima.

Si cita ancora la tradizione secondo la quale Pietro sarebbe morto a Roma; ma, anche ammettendo questa tradizione; non ne segue che non abbia potuto scrivere l'Epistola da Babilonia. D'altra parte lo stile semplice e piano della lettera, e il fatto che il suo autore non è uomo di accesa fantasia, parlano in favore del senso meramente geografico della parola. Babilonia era uno dei centri giudaici del tempo e le comunità delle rive dell'Eufrate avevano frequenti relazioni con Gerusalemme. Pietro si trovava dunque colà nel campo speciale assegnatogli secondo Galati 2:9 >. Vero è che Flavio Giuseppe riferisce che un 50000 Giudei furono espulsi da Babilonia per ordine di Claudio imperatore intorno al 41; ma non dice quanti siano rimasti, nè quanti siano tornati di poi nella città.

Ecco ora il commento tdg

A pagina 381 del libro Ragioniamo si trova la seguente domanda: "Pietro stava a Roma?".

Una simile domanda è retorica: lo si fa capire nel corso della "risposta". E spinge a dare risposta negativa. La quale - nel capitolo intitolato "Successione apostolica" - insinuerà che il papa non può essere successore di Pietro come vescovo di una città, Roma, in cui Pietro non sarebbe mai "stato". E a chi si convincesse di ciò il Corpo Direttivo potrebbe tranquillamente dire: "Vedi quanto è bugiarda la tua Chiesa? Ti ha fatto onorare il papa come ... successore di Pietro!".

Ecco la ...risposta che "Ragioniamo..." presenta alla domanda "Pietro stava a Roma?": ne diamo il testo integralmente, e facciamo, in parentesi, le dovute osservazioni.

"Roma è menzionata in nove versetti delle Sacre Scritture, nessuno dei quali dice che Pietro si trovasse lì". (Perché? Semplicemente perché non vi si tratta di Pietro! Del resto, NESSUNO di quei versetti dice che Pietro non "si trovasse lì".

Questa prima bordata del Corpo Direttivo non prova quindi nulla: ma provoca nel lettore una nuova spinta psicologica, che rinforza il dubbio inoculato dalla domanda "Pietro stava a Roma?"). "Primo Pietro 5:13" (cioè la 1^ lettera di S. Pietro) "indica che egli era a Babilonia". (In questo passo S. Pietro scrive: "Vi saluta la comunità che è in Babilonia"] "Questo era forse un riferimento allusivo a Roma? (Sì. Lo sanno tutti, anche il Corpo Direttivo che non osa negarlo esplicitamente; e si trincera dietro un’altra delle solite domande retoriche per insinuare una risposta negativa nei lettori.

Tutti gli storici seri sanno che da documenti letterari ineccepibili risulta quanto segue: i primi cristiani chiamavano spregiativamente "Babilonia" la città e lo stato romano; perché? perché Roma voleva distruggere la Chiesa - "nuova Gerusalemme" - così come l’antica Babilonia aveva distrutto Gerusalemme nel 586 a.C.; e anche perché a Roma vedevano la babele, la confusione delle lingue e dei culti pagani più disparati. San Pietro scriveva da Roma per dare animo ai cristiani perseguitati: e chiama "Babilonia" la capitale dello stato persecutore. Per di più: secondo la mentalità ebraica era "Babilonia" ogni realtà in contrasto con la fede.)

"Che egli si trovasse a Babilonia" (continua a dire il Corpo Direttivo che intende la città della Mesopotamia) "era coerente" (Non è vero: tra poco vedremo perché. Ma intanto il Corpo Direttivo comincia qui la ... "dimostrazione" diretta della sua ... "verità") "con l’incarico affidatogli di predicare ai giudei"(Dovunque fossero: e a Roma ve n’erano tanti che, impadronitisi del commercio, costrinsero i Romani ad adattare il calendario dividendo l’anno in settimane)"(come indicato in Galati 2:9), dal momento che Babilonia ospitava una folta comunità ebraica". (Quando? Al tempo di Pietro? Assolutamente no. Però al Corpo Direttivo serve far credere che proprio al tempo di Pietro "Babilonia ospitava una folta comunità ebraica": che importava, infatti, per le tesi del Corpo Direttivo se ciò si fosse verificato prima della nascita o dopo la morte di Pietro? Ed ecco come ai loro lettori, culturalmente indifesi, fanno credere che proprio un’autorevole opera giudaica dia la prova che al tempo di Pietro c’era a Babilonia "una una folta comunità ebraica". Ecco la ... "prova":) "L’Encyclopaedia Judaica (Gerusalemme, 1971, Vol. 15, col. 755)" (Notate la ostentata accuratezza: serve a catturare la fiducia dei lettori?) "parlando della stesura del Talmud babilonese, menziona le ’grandi accademie [del giudaismo] a Babilonia’ durante l’era volgare". (Dunque questa sarebbe la prova: l’esistenza di "grandi accademie [del giudaismo] a Babilonia" - durante la vita di Pietro -, periodo in cui sarebbe esistita a Babilonia "una folta comunità ebraica" a cui "era coerente" che Pietro predicasse: e questo si sarebbe verificato durante la "stesura del Talmud babilonese". Chi di voi sa cos’è il Talmud? Chi di voi sa a quale epoca risale la sua "stesura"? Ebbene: proprio approfittando della quasi generale ignoranza su tali dati - roba da specialisti! - il Corpo Direttivo ha imbastito la sua audacissima frode storica, esprimendosi - in quella pagina 381 - con accostamenti i quali fanno credere al lettore che il Talmud orientale sia stato composto a Babilonia proprio quando Pietro era in vita. Invece esso risale all’inizio del secolo V: cioè oltre 350 anni dopo la morte di Pietro!...

Quanta audacia! E quanta fiducia ha il Corpo Direttivo nell’ignoranza dei suoi lettori! Qualsiasi storico serio può confermare la nostra data. C’è da aggiungere che anche il Corpo Direttivo la conosceva, e che la conosceva già da decenni: infatti, a pagina 75 del suo volume "Preparato per ogni opera buona" - edito in inglese nel 1946 - ha scritto: "Secondo una voce autorevole, il Talmud Babilonese risale al 420 d.C.". Quindi, ben 39 anni prima di pubblicare "Ragioniamo..." il Corpo Direttivo sapeva che "la stesura del Talmud babilonese", risalente al 420 d.C., non poteva in alcun modo provare la presenza a Babilonia di "una folta comunità ebraica" al tempo di Pietro (alla quale fosse "coerente" che egli predicasse): questo non significa forse MENTIRE SAPENDO DI MENTIRE? E che il Corpo Direttivo sapesse di mentire lo dimostra l’ultima espressione: "durante l’era volgare": vorrebbe essere una disinvolta scappatoia; ma con chi funziona? Con chi non sa che "l’era volgare" dura da quasi 2000 anni, essendo nul’altro che l’epoca dopo Cristo; con chi non è capace di accorgersi che accostare "la stesura del Talmud Babilonese" e "le ’grandi accademie [del giudaismo] a Babilonia durante l’era volgare" non ha nessun senso: infatti, equivarrebbe a dire: l’Encyclopaedia Judaica, "parlando della stesura del Talmud Babilonese" nel 420 d.C., "menziona le 'grandi accademie [del giudaismo] a Babilonia' durante i 2000 anni dell’era cristiana. Che significa? Quindi la scappatoia funziona solo con chi si lascia persuadere da un non-senso. Però che dire di chi si approfitta dell’incapacità critica di tali persone? Cosa avranno pensato di questa ... citazione i redattori dell’Encyclopaedia Judaica? Se ne saranno ... rallegrati? Vi avranno visto attuata la raccomandazione fatta dal Corpo Direttivo a pagina 155 del suo "Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico"?

<DIR> <DIR>

Ogni evidenza deve essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal contesto. Accertatevi che ciò che volete dire sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire". - Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, p.155, §11. (Cfr. Matteo 23:3b).

</DIR></DIR>

(<http://www.infotdgeova.it/citazioni.htm>) Le "do l’autorizzazione a citare dal mio libro 'I Testimoni di Geova non hanno la Bibbia', a patto che ogni citazione sia accurata ed esattissima. ... L. Minuti".

Riguardo alla città mesopotamica di Babilonia dalla storia apprendiamo quanto segue:

Seleuco I (304-280) ed Antioco I (280-261) fecero costruire la nuova città di Seleucia (sul fiume Tigri), con l'intento di soppiantare la vecchia Babilonia (sull'Eufrate). Nel 275 a.C. fu quindi emanato un editto in base al quale tutti i babilonesi avrebbero dovuto lasciare Babilonia per recarsi a Seleucia: le mura e le fortezze di Babilonia furono smantellate e la sua vita economica e politica venne ridotta ai minimi termini. Babilonia continuò però a vivere perché non fu abbandonata da tutti. Verso il 120 a.C. i seleucidi entrarono in guerra con i Parti, popolo situato ad oriente della Persia: la città fu abbandonata, i resti di quella che era stata una grande città furono rasi al suolo e la rovina di Babilonia fu completa.

Flavio Giuseppe riferisce che un 50000 Giudei furono espulsi da Babilonia per ordine di Claudio imperatore intorno al 41 d.C.

Nel 116 d.C. Traiano svernò a Babilonia, ma secondo gli storici del tempo la città era ormai diventata un cumulo di macerie.

Da quanto sopra, è ragionevole pensare che Pietro abbia scritto la sua lettera proprio da Roma.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 23/01/2004 9.52

Babilonia, il nome che designa la donna che siede sulla bestia dalle sette teste (Ap.17,3) e anche la capitale del suo regno (verso 18) era usato dai Giudei del tempo e dai primi cristiani per indicare Roma. Così, per esempio, l’autore giudeo dei passi principali del quinto dei LIBRI SIBILLINI dice che Nerone fugge presso i Parti, partendo da "Babilonia" (v.143) e predice che "una gigantesca stella, cadendo dal cielo, incendierà il mare profondo e la stessa Babilonia, come pure le terre italiche", come castigo per l’annientamento di gran parte del popolo giudaico.(v.159 ss)

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[SM=g1740733]  Nella tempesta, la tenerezza del Signore per i suoi fanciulli


«Il Padre celeste continua e continuerà a guidare i loro passi di fanciulli con fermezza e tenerezza, solo che si lascino condurre da Lui e confidino nella potenza e nella saggezza del suo amore per loro».
Così papa Pio XII nella solennità dei santi apostoli e martiri Pietro e Paolo del 1941



In questa solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, il vostro devoto pensiero e affetto, diletti figli della Chiesa cattolica universa, si rivolge a Roma con la strofa trionfale: «O Roma felix, quae duorum Principum – es consecrata glorioso sanguine! / O Roma felice, che sei stata consacrata dal sangue glorioso di questi due Principi!».

Ma la felicità di Roma, che è felicità di sangue e di fede, è pure la vostra; perché la fede di Roma, qui sigillata sulla destra e sulla sinistra sponda del Tevere col sangue dei Principi degli apostoli, è la fede che fu annunziata a voi, che si annunzia e si annunzierà nell’universo mondo. Voi esultate nel pensiero e nel saluto di Roma, perché sentite in voi il balzo della universale romanità della vostra fede.

Da diciannove secoli nel sangue glorioso del primo Vicario di Cristo e del Dottore delle Genti la Roma dei Cesari fu battezzata Roma di Cristo, a eterno segnale del principato indefettibile della sacra autorità e dell’infallibile magistero della fede della Chiesa; e in quel sangue si scrissero le prime pagine di una nuova magnifica storia delle sacre lotte e vittorie di Roma.

Vi siete voi mai domandati quali dovevano essere i sentimenti e i timori del piccolo gruppo di cristiani sparsi nella grande città pagana, allorché, dopo aver frettolosamente sepolti i corpi dei due grandi martiri, l’uno al piede del Vaticano e l’altro sulla via Ostiense, si raccolsero i più nelle loro stanzette di schiavi o di poveri artigiani, alcuni nelle loro ricche dimore, e si sentirono soli e quasi orfani in quella scomparsa dei due sommi apostoli?
Era il furore della tempesta poco prima scatenata sulla Chiesa nascente dalla crudeltà di Nerone; davanti ai loro occhi si levava ancora l’orribile visione delle torce umane fumanti a notte nei giardini cesarei e dei corpi lacerati palpitanti nei circhi e nelle vie. Parve allora che l’implacabile crudeltà avesse trionfato, colpendo e abbattendo le due colonne, la cui sola presenza sosteneva la fede e il coraggio del piccolo gruppo di cristiani. In quel tramonto di sangue, come i loro cuori dovevano provare la stretta del dolore al trovarsi senza il conforto e la compagnia di quelle due voci potenti, abbandonati alla ferocia di un Nerone e al formidabile braccio della grandezza imperiale romana!

Ma contro il ferro e la forza materiale del tiranno e dei suoi ministri essi avevano ricevuto lo Spirito di forza e di amore, più gagliardo dei tormenti e della morte. E a Noi sembra di vedere, alla susseguente riunione, nel mezzo della comunità desolata, il vecchio Lino, colui che per primo era stato chiamato a sostituire Pietro scomparso, prendere fra le sue mani tremanti di emozione i fogli che conservavano preziosamente il testo della Lettera già inviata dall’apostolo ai fedeli dell’Asia Minore e rileggervi lentamente le frasi di benedizione, di fiducia e di conforto: «Benedetto Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, il quale secondo la sua grande misericordia ci ha rigenerati a una viva speranza, mediante la risurrezione di Gesù Cristo... Allora voi esulterete, se per un poco adesso vi conviene di essere afflitti con varie tentazioni... Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio… gettando in Lui ogni vostra sollecitudine, poiché Egli ha cura di voi... Il Dio di ogni grazia, il quale ci ha chiamati all’eterna sua gloria in Cristo Gesù, con un po’ di patire vi perfezionerà, vi conforterà e vi renderà saldi. A Lui la gloria e l’impero per i secoli dei secoli!» (1Pt 1, 3.6; 5, 6-7.10-11).

Anche Noi, cari figli, che per un inscrutabile consiglio di Dio, abbiamo ricevuto, dopo Pietro, dopo Lino e cento altri santi pontefici, la missione di confermare e consolare i nostri fratelli in Gesù Cristo (cfr. Lc 22, 32), Noi, come voi, sentiamo il nostro cuore stringersi al pensiero del turbine di mali, di sofferenze e di angosce, che imperversa oggi sul mondo. […]

Davanti a un tale cumulo di mali, di cimenti di virtù, di prove di ogni sorta, pare che la mente e il giudizio umano si smarriscano e si confondano, e forse nel cuore di più d’uno tra voi è sorto il terribile pensiero di dubbio, che per avventura già, dinanzi alla morte dei due apostoli, tentò o turbò alcuni cristiani meno fermi: Come può Dio permettere tutto questo? Come è possibile che un Dio onnipotente, infinitamente saggio e infinitamente buono, permetta tanti mali a Lui così facili a impedire? E sale alle labbra la parola di Pietro, ancora imperfetto, all’annunzio della passione: «Non sia mai vero, o Signore» (Mt 16, 22). No, mio Dio – essi pensano –, né la vostra sapienza, né la vostra bontà, né il vostro stesso onore possono lasciare che a tal segno il male e la violenza dominino nel mondo, si prendano giuoco di Voi, e trionfino del vostro silenzio. Dov’è la vostra potenza e provvidenza? Dovremo dunque dubitare o del vostro divino governo o del vostro amore per noi?

«Tu non hai la sapienza di Dio, ma quella degli uomini» (Mt 16, 23), rispose Cristo a Pietro, come aveva fatto dire al popolo di Giuda dal profeta Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, e le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55, 8).

Tutti gli uomini sono quasi fanciulli dinanzi a Dio, tutti, anche i più profondi pensatori e i più sperimentati condottieri dei popoli.

Essi vorrebbero la giustizia immediata e si scandalizzano dinanzi alla potenza effimera dei nemici di Dio, alle sofferenze e alle umiliazioni dei buoni; ma il Padre celeste, che nel lume della sua eternità abbraccia, penetra e domina le vicende dei tempi, al pari della serena pace dei secoli senza fine, Dio, che è Trinità beata, piena di compassione per le debolezze, le ignoranze, le impazienze umane, ma che troppo ama gli uomini, perché le loro colpe valgano a stornarlo dalle vie della sua sapienza e del suo amore, continua e continuerà a far sorgere il suo sole sopra i buoni e i cattivi, a piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5, 45), a guidare i loro passi di fanciulli con fermezza e tenerezza, solo che si lascino condurre da Lui e confidino nella potenza e nella saggezza del suo amore per loro.

Che significa confidare in Dio?
Aver fiducia in Dio significa abbandonarsi con tutta la forza della volontà sostenuta dalla grazia e dall’amore, nonostante tutti i dubbi suggeriti dalle contrarie apparenze, all’onnipotenza, alla sapienza, all’amore infinito di Dio. È credere che nulla in questo mondo sfugge alla sua Provvidenza, così nell’ordine universale, come nel particolare; che nulla di grande o di piccolo accade se non previsto, voluto o permesso, diretto sempre da Essa ai suoi alti fini, che in questo mondo sono sempre fini di amore per gli uomini. […]

Per la fede che si è illanguidita nei cuori umani, per l’edonismo che informa e affascina la vita, gli uomini sono portati a giudicare come mali, e mali assoluti, tutte le sventure fisiche di questa terra. Hanno dimenticato che il dolore sta all’albore della vita umana come via ai sorrisi della culla; hanno dimenticato che il più delle volte esso è una proiezione della Croce del Calvario sul sentiero della risurrezione; hanno dimenticato che la croce è spesso un dono di Dio, dono necessario per offrire alla divina giustizia anche la nostra parte di espiazione; hanno dimenticato che il solo vero male è la colpa che offende Dio; hanno dimenticato ciò che dice l’Apostolo: «I patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la futura gloria che si manifesterà in noi» (Rm 8, 18); che dobbiamo mirare all’autore e consumatore della fede, Gesù, il quale, propostosi il gaudio, sostenne la croce (cfr. Eb 12, 2).

A Cristo crocifisso sul Golgota, virtù e sapienza che converte a sé l’universo, guardarono nelle immense tribolazioni della diffusione del Vangelo, vivendo confitti alla croce con Cristo, i due Principi degli apostoli, morendo Pietro crocifisso, Paolo curvando il capo sotto il ferro del carnefice, quali campioni, maestri e testimoni che nella croce è conforto e salvezza e che nell’amore di Cristo non si vive senza dolore. A questa croce, fulgente di via, di verità e di vita, guardarono i protomartiri romani e i primi cristiani nell’ora del dolore e della persecuzione. Guardate anche voi, o diletti figli, così nelle vostre sofferenze; e troverete la forza non solo di accettarle con rassegnazione, ma di amarle, ma di gloriarvene, come le amarono e se ne gloriarono gli apostoli e i santi, nostri padri e fratelli maggiori, che pure furono plasmati della medesima vostra carne e vestiti della stessa vostra sensibilità.

Guardate le vostre sofferenze e gli affanni vostri attraverso i dolori del Crocifisso, attraverso i dolori della Vergine, la più innocente delle creature e la più partecipe della divina Passione, e saprete comprendere che la conformità all’immagine del Figlio di Dio, Re dei dolori, è la più augusta e sicura via del cielo e del trionfo. Non guardate solo le spine, onde il dolore vi affligge e vi fa soffrire, ma ancora il merito che dal vostro soffrire fiorisce come rosa di celeste corona; e troverete allora con la grazia di Dio il coraggio e la fortezza di quell’eroismo cristiano, che è sacrificio e insieme vittoria e pace superante ogni senso; eroismo, che la vostra fede ha il diritto di esigere da voi.

«Finalmente [ripeteremo con le parole di san Pietro] siate tutti unanimi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendendo male per male, né maledizione per maledizione, ma al contrario benedicendo...: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo: a cui è gloria e impero nei secoli dei secoli» (1Pt 3, 8-9; 4, 11).

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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