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Curiosità .... Cattoliche e dalla Città del Vaticano...

Ultimo Aggiornamento: 06/10/2010 19:14
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Intervista a Paolo Sagretti, responsabile della Floreria della Città del Vaticano

Il mobiliere del Palazzo Apostolico


di Nicola Gori

Floriere:  un termine antico che affonda le radici nella storia del Palazzo Apostolico. Un nome la cui etimologia non esprime più ai nostri tempi il suo significato. Un incarico di fiducia dalle molteplici funzioni e responsabilità, prima fra tutte quella di coordinare la preparazione logistica delle udienze e delle cerimonie pontificie. Altro compito affidato alla Floreria è di occuparsi dell'arredamento dei vari immobili vaticani, a cominciare dall'appartamento del Pontefice. In questa intervista al nostro giornale, l'ingegnere Paolo Sagretti, floriere e vice direttore della direzione dei servizi generali del Governatorato, ci introduce in una realtà sconosciuta ai più. 

vaticano Quali sono le origini della Floreria?

Esattamente non sappiamo da dove venga il nome Floreria. Anticamente, vi era il floriere maggiore, come vi era anche il foriere maggiore che sono due cose diverse. Il floriere aveva la sua divisa particolare e faceva parte della corte papale. Occupava una posizione determinata nella processione quando era presente il Pontefice. Non sappiamo nemmeno a che epoca risalga la fondazione della Floreria. Un tempo si chiamava Floreria apostolica perché dipendeva direttamente dal Palazzo Apostolico. La nostra attività si svolgeva alla diretta dipendenza del Papa, della Segreteria di Stato e dalla Prefettura della Casa Pontificia. Poi negli anni Sessanta e Settanta l'attività fu trasferita alla dipendenza del Governatorato con la dicitura "Servizio della Floreria". Qualche anno fa siamo tornati all'antico nome di Floreria, senza più l'aggettivo Apostolica. Io sono entrato in Floreria nel 1988; sono divenuto assistente nel 1991 e dal 2002 sono il Floriere. Nel 2007 ho avuto l'onore di essere anche nominato vice direttore della direzione dei servizi generali, che riuniscono la Floreria, l'ufficio merci e l'autoparco.

Di cosa si occupa esattamente?

La Floreria si occupa di tantissime cose. Compito principale è la preparazione logistica delle udienze e delle cerimonie nella basilica Vaticana, in piazza San Pietro, all'interno delle basiliche papali romane, nell'Aula Paolo VI e di tutte le udienze che si svolgono nel Palazzo Apostolico. Secondariamente si occupa dell'arredamento, con i mobili che abbiamo in dotazione, degli appartamenti vaticani, da quello del Papa, a quelli dei cardinali, dei vescovi e dei prelati di Curia. Degli arredi di questi appartamenti curiamo anche la manutenzione ordinaria. Del resto arredare vuol dire anche restaurare. E noi abbiamo tre laboratori per i lavori di restauro:  uno di tappezzeria e cucitura, dove vengono preparati e riparati salotti, sedie, poltrone, cuciti parati e approntati i grandi palchi per le cerimonie. Un laboratorio di ebanisteria e restauro per i mobili e un laboratorio di doratura. C'è poi il reparto degli allestitori, il personale addetto cioè alla movimentazione di tutti gli oggetti. È un lavoro essenzialmente di facchinaggio, quindi molto duro, perché si deve spostare mobilia varia, anche molto pesante, e tutta l'attrezzatura per la preparazione delle cerimonie. In alcune occasioni, si spostano anche 30.000 sedie per volta. Gli allestitori fanno anche parte del servizio cerimoniale-liturgico del Papa. In tutto la Floreria conta 38 dipendenti. Nei laboratori ci sono 6 tappezzieri, 6 falegnami, 3 doratori e 3 cucitrici di cui 2 religiose.

Dove si trovano i locali della Floreria?

Ce ne è più di uno all'interno del Vaticano. I laboratori si trovano nella zona della Zecca, in piazza del Forno. Nella salita del Grottone c'è il laboratorio di doratura e poi abbiamo i più svariati magazzini sparsi all'interno del Vaticano. Uno per esempio è al Triangolo, nel cortile di San Damaso, uno nel cortile del Pappagallo. Questo perché abbiamo tanti oggetti da sistemare e anche cose di valore da custodire. Siamo pochi e quindi con poco tempo a disposizione per la sistemazione dei magazzini, che meriterebbero ben altra cura. D'altra parte la mole di lavoro è grande e continua.

Che arredamento c'è nell'appartamento pontificio?

Ovviamente dopo 25 anni è stato necessario compiere una profonda opera di ristrutturazione e di ammodernamento sia dell'appartamento nobile che di quello privato. Durante il pontificato di Paolo VI agli appartamenti era stato dato un aspetto piuttosto conventuale, con toni dal grigio al grigio verde. Anche le cornici dorate dei quadri erano state rivestite lateralmente di velluto grigio. Giovanni Paolo II non aveva voluto operare cambiamenti sostanziali e aveva lasciato l'impronta del precedente Pontefice. Solo verso la fine del suo pontificato si era iniziato a risistemare le stanze, con un arredo più ricercato. Oggi i lavori sono terminati e tutti gli appartamenti, compreso  quello  di rappresentanza della Segreteria di Stato, hanno avuto il giusto e auspicato "lifting".
Anche altre stanze del Palazzo Apostolico hanno avuto interventi migliorativi negli ultimi tempi. Stiamo parlando sempre di sale di rappresentanza dove vengono ricevute alte cariche e rappresentanti diplomatici. Oltre a ciò, abbiamo anche rinnovato gli interni delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo e di parecchi immobili extraterritoriali fra San Calisto, a Trastevere, e via della Conciliazione.

Dovete rispondere a richieste di mobili particolari?

Il clero proviene da ogni parte del mondo, di conseguenza anche i gusti sono vari. Molto dipende dalle origini della famiglia, dalla cultura, dalla personalità. Quando un prelato arriva in Vaticano richiede, spesso, il nostro intervento per arredare l'immobile destinatogli. Alcuni rimangono solo cinque anni e poi ripartono, quindi non hanno molte esigenze, non cercano mobili in stile, preferiscono un arredamento pratico e funzionale. C'è invece chi desidera mobili di rappresentanza e allora si cerca di venire incontro alle varie esigenze. L'arredo viene fornito gratuitamente in comodato d'uso. Tutte le forme di restauro della parte lignea o di ritappezzatura richieste sono a pagamento. Nei magazzini poi c'è l'opportunità di trovare un arredo completo per un appartamento, compresi quadri, suppellettili, lampadari. Il progresso, grazie all'introduzione dell'informatica che negli ultimissimi anni ha sviluppato molto la fotografia digitale e la grandissima capacità di memoria dei moderni sistemi hardware ci ha fornito la grande possibilità di presentare delle mostre di arredi su carta o meglio su video. Tutto questo ha alleggerito molto il lavoro del reparto allestitori. La maggior parte dell'arredo disponibile è del xx secolo, i mobili in genere non hanno meno di 60-70 anni. Tra gli oggetti custoditi vi sono indubbiamente anche mobili di valore e di antiquariato. 

vaticano Parlando di oggetti di valore, è in vostra custodia il trono usato dal Papa nelle celebrazioni in San Pietro?

Benedetto XVI utilizza numerosi troni o meglio cattedre per le varie udienze nel Palazzo Apostolico o per le varie cerimonie. Ce ne sono di molto antichi, ovviamente molti di questi li teniamo noi in gestione, specialmente quelli utilizzati per le cerimonie, altri occupano delle postazioni fisse nelle varie sale di Palazzo che tra l'altro prendono nome proprio dalla cattedra:  sala del Trono, sala del Tronetto. Tra i più antichi, usati ultimamente, ci sono:  quelli appartenuti a Pio ix, e a Leone xiii e altri altrettanto antichi ai quali i Pontefici succedutisi solevano solamente far cambiare gli stemmi.

In cosa consiste la vostra attività durante il conclave?

Fino al conclave in cui venne eletto Giovanni Paolo II, alla Floreria spettava tutta la sistemazione, la preparazione e la difficile logistica degli alloggi di "fortuna" per i cardinali. Poi Giovanni Paolo II, il quale aveva partecipato a due conclavi molto ravvicinati e quindi aveva potuto valutare con dovizia di particolari le difficoltà che incontravano anche i cardinali in quei giorni, fece costruire la residenza di Santa Marta per ospitare più degnamente gli stessi durante i futuri conclavi. I vecchi dipendenti della Floreria che hanno dovuto preparare quei due conclavi del 1978 nel giro di due mesi hanno tuttora ricordi da "girone dantesco". Attualmente, a noi spetta parte della preparazione e l'arredo completo della Cappella Sistina, dell'Aula della Benedizione e della Cappella Paolina, che nell'ultimo conclave era in restauro. Da non dimenticare che contestualmente alla preparazione di un conclave, la Floreria è seriamente impegnata per tutto ciò che riguarda l'avvenuta morte del Pontefice, dalla preparazione ed esposizione del corpo prima nella sala Clementina e poi nella basilica di San Pietro, ai novendiali, al grande funerale nella piazza, sino alla tumulazione nelle Grotte vaticane, è un aspetto logistico che ci impegna al massimo.

Come acquisite nuovi mobili?

Molte volte ci arrivano per eredità, alcuni li acquistiamo, ma pochi e non di antiquariato per evitare spese eccessive. Oltretutto, abbiamo problemi di magazzino, perché non abbiamo molto spazio a disposizione. D'altra parte un mobile ben restaurato che rientra da una casa dove è stato trattato con le dovute cure, potrebbe essere riconsegnato nello stesso stato a un eventuale nuovo inquilino, se invece viene accatasto malamente, per esigenze di spazio, si deteriora e, quando occorre, si è costretti a restaurarlo di nuovo.


(©L'Osservatore Romano - 23 luglio 2009)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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A colloquio con Silvano Bellizi, sediario pontificio

Per il Papa non ci sono più
le spalle di una volta


di Mario Ponzi


"Le vede queste spalle? Hanno portato Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo i. Invece Giovanni Paolo II non lo ha mai permesso a nessuno. Ma sarei stato pronto anche per lui. Non credo che oggi in giro ce ne siano tanti che possono raccontare di avere avuto questo onore".

Ottant'anni compiuti, fisico asciutto, spalle ancora dritte, spirito gioviale e memoria fresca, Silvano Bellizi - per quarant'anni sediario pontificio - custodisce gelosamente i ricordi di una stagione vissuta con fierezza. "Nel mio armadio - dice - c'è ancora la divisa viola e il collare argentato che ho indossato per tanti anni. Ogni tanto li guardo, ripasso le centinaia di fotografie che raccontano la mia storia con i Papi e mi chiedo se un giorno i miei nipoti, e poi i loro nipoti e così via, rivedranno mai il Papa sulla sedia gestatoria. Era uno spettacolo grandioso e noi, con quella sedia e il suo prezioso carico sulle spalle, ci sentivamo dei privilegiati, anche invidiati da tutti".
 

sediarioÈ un po' restio ad aprire lo scrigno delle sue memorie, ma alla fine qualche "perla" la regala. "Era un mercoledì del 1959 - racconta - ed eravamo nella basilica di San Pietro, davanti al gruppo marmoreo della Pietà di Michelangelo. Papa Giovanni XXIII stava scendendo con l'ascensore dal suo appartamento per l'udienza generale. In quel tempo le udienze più numerose si svolgevano nella basilica Vaticana, mai all'aperto. Nel portare la sedia gestatoria, gli addetti della Floreria provocarono inavvertitamente un piccolo danno alla staffa nella quale dovevamo infilare l'asta per la portantina. Non ce ne accorgemmo se non quando, con il Pontefice già seduto, non ci riuscì di introdurre la staffa. Io ero proprio sotto il Papa, dal lato destro. Mi chinai sulla staffa e, con il tacco di una scarpa, colpendola più volte, riuscii a raddrizzarla. Infilai la stecca, la bloccai con la sicura e mi rialzai pronto per ricevere l'ordine del decano:  "Alzate". Fu allora che mi sentii addosso gli occhi di Giovanni XXIII. Mi guardava preoccupato. Poi, con tutta la sua delicatezza, mi chiese:  "Figliolo, è tutto a posto?". Gli risposi subito di sì e volli tranquillizzarlo. E lui, con quel suo volto bonario, aperto sempre al sorriso, mi disse "Figliolo - ci chiamava sempre figlioli - io sono tranquillissimo. Ma non vorrei essere il primo Papa a cadere dalla sedia gestatoria e passare alla storia per questo"".

Di Paolo VI il sediario conserva un ricordo tutto particolare. "L'ultimo anno - racconta - quando il dolore al ginocchio gli impediva di camminare e provava sofferenze atroci anche a fare pochi passi, avevamo a disposizione anche una piccola sedia che usavamo per gli spostamenti più brevi. La sera del Corpus Domini del 1975, di ritorno dalla celebrazione a San Giovanni in Laterano, mentre, rientrati in Vaticano, mi accingevo a sollevare la sedia piccola, incrociai il suo sguardo. Era sofferente. Ci fissò per un attimo e ci disse:  "Grazie. Voi siete le mie gambe sane". Quasi in coro gli rispondemmo "Per noi è un onore, Santità"".

sedia gestatoriaLa memoria di Papa Luciani è legata al suo insediamento sulla Cathedra Romana a San Giovanni in Laterano. "Papa Luciani - ricorda Silvano Bellizi - era andato a visitare gli appartamenti pontifici. Poi doveva fare ingresso in basilica per la celebrazione. Noi lo aspettavamo nell'atrio, nei pressi dell'ascensore. Lui uscì, ci guardò di sfuggita e tirò dritto. Il cerimoniere gli si fece incontro, lo fermò e lo convinse a tornare sui suoi passi e prendere posto sulla sedia. Ci guardò rassegnato e, con un filo di voce, ci disse:  "Mi dispiace, ma mi costringono a farlo". E da quel momento ogni volta per lui era quasi una sofferenza". 

Giovanni Paolo II invece fu irremovibile:  rinunciò all'uso della sedia gestatoria e nessuno riuscì mai a fargli cambiare idea, "neppure l'ultimo anno, quando stava male - racconta commosso Bellizi - tanto da camminare con estrema difficoltà e a costo di grandi sofferenze. A spalle lo abbiamo portato solo quando era disteso sul feretro; lo facemmo a turno in segno di devozione. In tanti avevamo gli occhi lucidi:  quella sarebbe rimasta la prima e ultima volta che portavamo a spalla Papa Wojtyla".

Da allora ai sediari sono rimasti i compiti di aprire il corteo ufficiale che introduce le personalità in udienza dal Papa in occasioni solenni previste dal protocollo, di fare gli onori di casa durante le udienze in appartamento e di ricevere e sistemare nei posti assegnati i pellegrini che partecipano agli incontri col Pontefice, in particolare alle  udienze  generali.

Neppure Benedetto XVI ha mai voluto usare la sedia gestatoria.
Benedetto XVI"Confesso - ricorda Bellizi - che qualcuno di noi sperava nel ripristino dell'uso della sedia. Ma in realtà ci basta la gioia di poter servire, anche così, il Papa da vicino
".

Oggi sono rimasti cinque sediari di numero e diciassette di soprannumero. Sono comunque testimoni di una storia che affonda le radici in tempi assai remoti, tanto da essere considerati "il collegio di laici al servizio del Pontefice più antico esistente, anche più della Guardia Svizzera".

Pio XIIL'origine delle loro mansioni viene fatta tradizionalmente risalire addirittura agli anni tra il 150 e il 215. Sembra infatti che negli Ordines Romani si menzionassero dei laici che avevano il compito di portare una sedia laddove il Papa doveva presiedere una celebrazione. Il documento ipotizza che nelle prime chiese o basiliche cimiteriali romane, "non esistendo altare né tanto meno cattedre, si doveva portare un seggio per il vescovo di Roma chiamato a presiedere la sinassi domenicale o la celebrazione del martire nel dies natalis così come riportato nei martirologi". Per il Pontefice dunque occorreva "portare una sedia da fuori".

Stando a quanto contenuto nei successivi Ordines Romani, si fa risalire a Papa Pelagio I - eletto nel 556 e morto nel 561 - l'uso di portare direttamente il Papa  sulla  sedia  sino al luogo della celebrazione.

Secondo Gaetano Moroni, autore del celeberrimo e vastissimo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da san Pietro sino ai giorni nostri in 103 volumi, più sei di indice (1840-1879), in un certo periodo della storia accanto ai sediari comparvero i palafrenieri, la cui funzione era quella di occuparsi dei cavalli. A quei tempi infatti i cavalli costituivano l'elemento centrale del trasporto. Dunque anche i Pontefici avevano bisogno di cavalli e carrozze per muoversi, e quindi dei palafrenieri. Con il tempo sediari e palafrenieri vennero equiparati.

Con la soppressione delle scuderie pontificie, in seguito alla modernizzazione dei trasporti, il collegio dei palafrenieri confluì definitivamente in quello dei sediari. Del resto già dal 1378 erano riuniti in una confraternita - ritenuta la più antica di Roma tra quelle ancora esistenti - intitolata a sant'Anna, loro patrona. Pio IV, nel 1565, concesse alla confraternita di edificare una chiesa nei pressi del più antico varco dell'attuale accesso allo Stato della Città del Vaticano, intitolata alla patrona. Fu progettata dal Vignola e oggi è la parrocchia della Città del Vaticano.

Compito principale dei sediari è sempre stato quello, naturalmente, di trasportare il Papa in sedia gestatoria. Inizialmente solo all'interno dello Stato pontificio, anche se dalle cronache risulta che alcuni sediari seguirono Pio IX durante il suo esilio a Gaeta nel 1848. Così come i loro predecessori avevano seguito Clemente VII nella fortezza di Castel Sant'Angelo durante l'assedio dei Lanzichenecchi, al tempo del Sacco di Roma del 1527, e nel successivo esilio a Orvieto. Con la fine dello Stato pontificio, nel 1870, i sediari non hanno più accompagnato il Papa durante i suoi viaggi, a eccezione di quando furono inviati a Venezia, nel 1959, in occasione della traslazione della salma di Papa Pio X. In quella occasione portarono le spoglie del Pontefice, in un suggestivo viaggio lagunare in gondola per sorreggere il talamo funebre in spalla.
 
La nomina a sediario avveniva con foglio a firma del Pontefice ed era notificata al candidato dal maestro di Palazzo dopo il visto della Segreteria di Stato. Sino agli inizi degli anni Sessanta chiunque poteva essere nominato sediario, secondo la discrezionalità del Papa. Quando Montini, con la Pontificalis domus del 28 marzo 1968, soppresse definitivamente la Corte pontificia - le cui storiche funzioni furono assorbite dalla Prefettura della Casa Pontificia - per una serie di modifiche normative la nomina dei sediari passò di fatto alla discrezionalità del prefetto della Casa Pontificia.

Tra le curiosità legate alla storia di questo collegio, ricordiamo che tra i suoi più conosciuti appartenenti c'è stato anche il marchese Onofrio del Grillo - reso celebre dall'omonimo film interpretato da Alberto Sordi - la cui memoria è impressa in una lapide posta, alla fine del XVIII secolo, all'ingresso della chiesa di Sant'Anna.

Per restare nel campo cinematografica, ricordiamo anche il film di Guido Brignone Santo disonore del 1949 - ispirato all'omonimo dramma teatrale composto da Leone Ciprelli e messo in scena al teatro Quirino di Roma nel 1907 - che narra la storia del figlio filogaribaldino di un sediario pontificio in continuo contrasto con il padre, fermo sostenitore del potere temporale del Papa. La storia finisce nel dramma, con il sediario trovato ucciso e il figlio accusato di parricidio.

E tra le minuzie storiche si ricorda il privilegio, concesso da Papa Pio VII all'arciconfraternita pontificia e reale di Gesù Nazareno di Siviglia, di consentire a quattro confratelli, di provata fede e dottrina, di indossare la divisa dei sediari pontifici durante le solenni processioni della Settimana Santa, tradizione ancora oggi orgogliosamente tramandata.


(©L'Osservatore Romano - 9 settembre 2009)
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07/10/2009 18:12
 
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Gli auguri di Benedetto XVI ai trenta nuovi gendarmi che hanno prestato giuramento

Lo spirito della missione per un servizio discreto


 gendarmeria VaticanoTrenta nuovi gendarmi dello Stato della Città del Vaticano hanno prestato giuramento domenica pomeriggio, 4 ottobre. La cerimonia - presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, alla presenza del segretario particolare di Benedetto XVI, monsignor Georg Gänswein - si è svolta nell'ambito dell'annuale celebrazione della festa di san Michele Arcangelo, patrono del Corpo. Si è trattato di una manifestazione solenne che è stata introdotta da una messa nella basilica Vaticana. È stata presieduta dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Hanno concelebrato tra gli altri gli arcivescovi Carlo Maria Viganò, segretario generale, Giorgio Corbellini, presidente dell'Ufficio del Lavoro  della  Sede  Apostolica  e  vice segretario generale, con monsignor Giulio Viviani, cappellano della Gendarmeria.

È poi seguita la cerimonia del giuramento che ha avuto luogo sul piazzale del Governatorato. Davanti ai reparti schierati il direttore del Corpo, Domenico Giani, ha salutato le numerose autorità intervenute. Presenze significative, che hanno reso evidente l'apprezzamento di un servizio svolto "con gioia e con coerenza nella fede - come ha scritto Benedetto XVI nel telegramma augurale indirizzato al cardinale Lajolo e al direttore Giani - e nella testimonianza di vita cristiana".

Al Papa è andato il primo ringraziamento del comandante. In particolare Giani ha voluto esprimere la soddisfazione dei gendarmi per essere "tanto benevolmente seguiti" dal Papa, nell'espletamento di un servizio "inteso e svolto come una missione". Dopo aver ricordato le importanti innovazioni apportate in questi anni, il comandante ha annunciato l'istituzione dell'Associazione dei Gendarmi in congedo "affinché la loro indimenticata testimonianza - ha detto - divenga presenza tra di noi". Presidente è stato nominato l'ex capitano Antonio Di Giovambattista. Un pensiero Giani lo ha poi dedicato al compianto giudice Marrone "per noi un padre - ha detto - un punto di riferimento sicuro e costante, nei momenti più difficili come in quelli più gioiosi"

Successivamente il cardinale Lajolo ha fatto gli onori di casa ringraziando a sua volta le tante autorità intervenute "a questa nostra sentita festa". Poi ha notato come la coincidenza della manifestazione con la memoria liturgica di san Francesco abbia di fatto posto il giuramento dei nuovi gendarmi nel segno del poverello d'Assisi, santo della  fratellanza  universale  e  della pace.

Infine l'arcivescovo Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, trasmettendo "i sentimenti di viva gratitudine di Benedetto XVI", ha posto l'accento sulla "lealtà e sulla dedizione con cui i gendarmi servono il successore di Pietro e la Chiesa mediante il loro paziente e costante lavoro all'interno della Città del Vaticano, garantendo a quanti vi risiedono, e ai pellegrini che quotidianamente giungono, ordine sicurezza e serenità". L'arcivescovo ha anche sottolineato "l'importante e discreto servizio che svolgete in occasione delle visite pastorali di Sua Santità in Italia e durante i suoi viaggi apostolici in altri Paesi". Il sostituto ha poi letto il  telegramma  augurale  firmato  dal Papa.

La formula del giuramento è stata proclamata dal vice direttore Raul Bonarelli. Monsignor Viviani invece ha letto i nomi dei nuovi Gendarmi. Erano anche presenti i cardinali Eduardo Martínez Somalo, Jean-Louis Tauran, Giovanni Coppa, Bernard Law e Raffaele Farina, numerosi arcivescovi e vescovi, e l'assessore alla Segreteria di Stato monsignor Peter Brian Wells. Numerose anche le autorità militari italiane e le autorità civili.
Tra i membri del Corpo Diplomatico accreditati presso la Santa Sede, c'era l'ambasciatore d'Italia Antonio Zanardi Landi. Erano anche presenti il comandante della Guardia Svizzera, colonnello Daniel Rudolf Arning, il prefetto Salvatore Festa, il dirigente generale dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, Giulio Callini e il direttore del nostro giornale. La cerimonia si è conclusa con l'esibizione della banda musicale della Gendarmeria e con uno spettacolo pirotecnico.

(
mario ponzi)


(©L'Osservatore Romano - 8 ottobre 2009)
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26/10/2009 19:31
 
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È stato a lungo comandante della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano
 (qui nella foto si vede al seguito del Pontefice Benedetto XVI)

La morte di Camillo Cibin


Camillo Cibin è morto ieri, domenica 25 ottobre, in una clinica romana, all'età di 83 anni. Nella Gendarmeria Pontificia aveva fedelmente servito sei Pontefici. Era sposato e aveva tre figli.

Scorreva sangue montanaro nelle sue vene e ne andava fiero. Era nato a Salgareda, in provincia di Treviso, il 5 giugno del 1926. Entrato in servizio effettivo nella Gendarmeria Pontificia il 1° maggio del 1947, raggiungendo il grado di tenente, ed era rimasto in servizio per ben cinquantasette anni.


Quando il 20 gennaio 1971 il Corpo venne sciolto, Cibin fu nominato vice sovrastante responsabile del nuovo Ufficio Centrale di Vigilanza dello Stato della Città del Vaticano. Il 1° agosto successivo venne promosso sovrastante e, nel luglio del 1975, dirigente dell'Ufficio. Dal 1978 divenne l'ombra di Giovanni Paolo II quando questi era tra la gente, in Vaticano, in Italia o in qualunque altro Paese del mondo.

Immagini che hanno fatto il giro del pianeta lo ritraggono mentre, in piazza San Pietro, salta le transenne per inseguire e catturare Alì Agca che aveva appena sparato al Papa il 13 maggio del 1981.

Appena il Pontefice si riprese, Cibin presentò le sue dimissioni per quel tragico evento. Giovanni Paolo II le respinse con decisione, manifestandogli grande riconoscenza per la devozione dimostrata in quegli anni. L'anno seguente, a Fátima, fu la sua prontezza nell'afferrare la mano di un prete folle, che impugnava un'arma da taglio, a evitare il peggio per il Papa. Nel gennaio di quello stesso anno era stato nominato capo ufficio.

In seguito, con la modifica dell'ufficio divenuto Corpo di Vigilanza, nel 1991, e successivamente Corpo della Gendarmeria, Cibin era stato nominato Ispettore Generale. Il 5 giugno del 2006 era andato in pensione.
Era stato insignito delle più alte onorificenze pontificie:  la Pro Ecclesia et Pontifice, il cavalierato di San Gregorio Magno, la commenda di San Silvestro, la commenda con placca di San Gregorio e il cavalierato di Gran Croce di San Gregorio Magno. Aveva seguito Paolo VI nei suoi 9 viaggi internazionali; Giovanni Paolo II in tutti i suoi 104 viaggi internazionali e nei 146 italiani; e Benedetto XVI nei primi due viaggi internazionali e nei primi due in Italia.

La camera ardente è stata allestita nella chiesa di Santo Stefano degli Abissini in Vaticano. La salma resterà esposta sino a martedì pomeriggio quando, alle ore 17, all'altare della cattedra nella basilica di San Pietro, il cardinale Giovanni Lajolo celebrerà le esequie.



(©L'Osservatore Romano - 26-27 ottobre 2009)

Ci uniamo al cordoglio dei Familiari e di quanti l'hanno conosciuto personalmente... e da parte di noi, fedeli laici sempre pronti a correre per trovare uno spazio nel quale dare la mano al Papa, un ringraziamento per l'opera di queste persone sempre attente affinchè tutto vada bene e nessuno si faccia male....


Fraternamente CaterinaLD

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29/10/2009 15:41
 
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I giardini vaticani dal medioevo al Novecento

Novità architettoniche
a ogni orto di Papa


Mercoledì 28 a Palazzo Barberini, a Roma, viene presentato il volume Gli orti dei Papi. I giardini vaticani dal medioevo al Novecento (Milano, Jaca Book, 2009, pagine 352, euro 130). Pubblichiamo uno stralcio dall'introduzione dell'autrice.
 

di Alberta Campitelli

Nell'attuale estensione a verde di circa 22 ettari, la metà dell'intero Stato del Vaticano, si alternano architetture e giardini, fontane e boschetti, monumenti e panorami, testimonianze di una storia di molti secoli, dell'avvicendarsi di personalità di committenti estremamente diverse, dell'evoluzione del gusto nell'arte dei giardini. Il viridarium, documentato fin dal Duecento all'interno della cinta muraria fatta edificare da Leone iv, attesta trattarsi del più antico giardino di Roma pervenuto ai giorni nostri. Alla straordinaria continuità nei secoli corrisponde una complessa stratificazione di fasi costruttive, la cui ricostruzione è stata possibile grazie a un'indagine condotta a largo spettro, che ha permesso scoperte di grande interesse basate su una ricca documentazione inedita.
 
I giardini vaticani sono noti e famosi in tutto il mondo ma, nonostante ciò, non sono riscontrabili studi specialistici rivolti a indagarne la storia e le trasformazioni in modo complessivo, dalle origini duecentesche fino alle innovazioni che hanno fatto seguito al Concordato, stipulato tra il Regno d'Italia e la Chiesa nel 1929. Molti e approfonditi studi sono peraltro stati dedicati ai nuclei architettonici di maggior rilievo, in particolare al Palazzetto del Belvedere, al Cortile delle Statue, alle Logge e alla Casina di Pio iv, presi in esame, però, non come elementi di un complesso straordinario e non indagati, quindi, in connessione con gli spazi a giardino nei quali sono inseriti.

Per comprendere appieno la complessità dei giardini vaticani va considerato in primo luogo l'elemento caratterizzante costituito dalla successione di Pontefici di provenienza e famiglia diverse e quindi dalla discontinuità di committenza che si è verificata in un così lungo periodo temporale. L'appartenenza ininterrotta alla Chiesa potrebbe apparire come un fattore di continuità in analogia con quella di alcune ville nobiliari che per secoli sono state di pertinenza della medesima famiglia. Ne è un esempio, per restare in ambito romano, Villa Borghese, residenza della stessa famiglia per quattro secoli, dove ogni intervento promosso dai discendenti del cardinale Scipione, il primo committente, era mirato a esaltare la continuità con l'opera degli avi, in un processo di emulazione virtuosa che ha permesso l'evolversi armonico e organico dei giardini, pur nel mutare del gusto.

Completamente diverso è il caso dei giardini vaticani, la cui evoluzione è frutto della committenza di innumerevoli Pontefici, spesso succedutisi a cadenza molto ravvicinata, ciascuno dei quali era interessato a lasciare un segno individuale del proprio passaggio. Anche se non sono mancati interventi caratterizzati dalla volontà di continuità con l'opera del predecessore, la diversa impostazione politica, l'appartenenza a famiglie a volte in rivalità tra loro, hanno nella maggioranza dei casi indotto a promuovere opere originali e non sempre in armonia con l'assetto dei luoghi che si era ereditato. Si sono infatti verificati casi di brusche variazioni di progetti già avviati o appena conclusi e anche di traumatiche distruzioni di pregevoli elementi di arredo. Tra gli esempi più eclatanti di discontinuità va segnalata la vicenda della Casina di Pio iv, simbolo insuperato di armoniosa coesistenza di simbologia cristiana e di edonismo pagano, "moralizzata" una prima volta immediatamente dopo la conclusione dei lavori dal Pontefice Pio v, in accordo con il nuovo clima controriformista, e di nuovo nei primi anni dell'Ottocento da Leone xii, quale frutto di radicali mutamenti nella politica della Chiesa.

Altre trasformazioni - con sostanziali modifiche dell'assetto precedente - sono da imputarsi invece a una evoluzione del gusto, come nel caso della sostituzione dello scenografico e vignolesco rustico fondale della Fontana della Galera con una piatta e banale parete a finto bugnato, realizzata a fine Settecento per volere di Pio vi, oppure la distruzione dello splendido pergolato del Giardino Segreto di Paolo IIi, per far luogo prima a ordinate e simmetriche aiuole e quindi a un assetto irregolare in omaggio alla moda all'inglese.

Esempio emblematico delle alterne vicende di continuità e discontinuità che hanno nei secoli caratterizzato i giardini vaticani è la storia del Giardino dei Semplici, l'Orto Botanico Vaticano impiantato nei pressi della Casina di Pio iv nel 1561 e smantellato nel 1659. In un primo tempo, dopo la sua realizzazione da parte dell'insigne naturalista Michele Mercati, per incarico di Pio v, il Giardino dei Semplici ha goduto di cure e attenzioni, con l'arrivo di piante esotiche e rare dalle Americhe, coniugando bellezza e ricerca scientifica. Nei primi decenni del Seicento, secondo una ricostruzione qui per la prima volta formulata, il Giardino accrebbe fama e splendore sotto la direzione di Johannes Faber, illustre membro dell'Accademia dei Lincei, confermato nel suo incarico da ben cinque Pontefici, il quale fu promotore di scambi internazionali di piante pregiate tra i maggiori collezionisti del tempo. Ma, nonostante così illustri precedenti, nel 1659 Alessandro vii ne decretò la fine, trasferendo l'Orto Botanico sul Gianicolo e privando i giardini vaticani di un'attrazione che aveva richiamato eruditi visitatori da tutta Europa.

Esempi di continuità hanno invece riguardato le opere di Donato Bramante, il quale, su incarico di Giulio ii, avviò la costruzione delle Logge, consolidate e riprese nella committenza di Paolo IIi, e del Cortile della Pigna, il cui Nicchione fu successivamente completato da Pirro Ligorio per volere di Pio iv. Indubbiamente risultava relativamente più semplice modificare aiuole, fioriture, arredi o decori piuttosto che architetture le quali, in genere, potevano essere ampliate e abbellite, suggellate da scritte e da iscrizioni celebrative del nuovo committente, ma non distrutte. Per lo stesso motivo si sono conservate nel sito originario le monumentali e architettoniche Fontane volute da Paolo v, mentre le fontane più semplici sono state rimosse, riesumate o spostate più volte con il mutare delle esigenze d'uso di cortili o giardini.

La trasformazione più rilevante risale però al secolo scorso ed è direttamente collegata a un radicale cambiamento dello scenario politico:  dopo il Concordato, con il riconoscimento della Città del Vaticano come stato sovrano, tutta l'area compresa all'interno delle mura è stata interessata da una mole di interventi che ne hanno cambiato sostanzialmente l'assetto, con numerose nuove costruzioni disseminate su tutta l'area. In questo modo è stata purtroppo per sempre eliminata una caratteristica presente lungo tutta la storia dei giardini vaticani:  ai giardini di delizia, in origine situati nei pressi dei Palazzi Apostolici, quindi estesi a occupare tutta l'area compresa tra questi e il Palazzetto del Belvedere, si affiancava la tenuta agricola. La presenza delle Mura leonine ha avuto, fino a tempi recenti, il ruolo di delimitazione tra i due settori distinti:  da un lato fiori pregiati e spettacolari provenienti da Paesi lontani, boschetti di agrumi in varietà, pergolati, spalliere di rose e di mirto, elaborati parterres???, nei quali si inserivano fontane, statue, arredi antichi e moderni; dall'altro vigne e canneti, frutteti e orti, con attorno rustiche casupole usate come fienili, ricoveri di attrezzi, abitazioni dei coloni.

I terrazzamenti coltivati che si succedevano nei terreni retrostanti la basilica, in contrasto con le curate aiuole dei giardini, sono ancora ben evidenti in alcune belle riproduzioni fotografiche di inizi Novecento, che confermano la duplicità di funzioni delle due aree che i documenti d'archivio attestano fin dal XIII secolo. Più nulla resta di questa tradizione produttiva, con la sola eccezione del minuscolo orto che le Clarisse curano per il Pontefice, situato accanto al loro convento.

L'immagine dei giardini vaticani oggi più diffusa e nota si basa sulle sistemazioni novecentesche, spesso revival spettacolari di tipologie molto più antiche, mentre le vestigia storiche, per essere individuate, richiedono attenzione e conoscenza delle vicende di trasformazione che si sono succedute nei secoli. Proprio questo è lo scopo di questo libro:  ritessere il processo storico che ha determinato l'aspetto attuale dei giardini, riconnettere i vari elementi che li compongono, evocare quegli elementi oggi non più visibili ma che ne hanno determinato l'evoluzione e, in molti casi, lasciato un segno nella storia dell'arte dei giardini.


(©L'Osservatore Romano - 29 ottobre 2009)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/11/2009 19:17
 
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La cerimonia presieduta dal cardinale Lajolo

Inaugurato il salone centrale delle Poste Vaticane


Duecentocinquantamila chili di posta in partenza, sessantamila di quella in arrivo e cinquantamila di quella interna. Sono alcuni dati annuali che offrono l'idea del lavoro dell'ufficio centrale delle Poste Vaticane, il cui rinnovato salone è stato inaugurato sabato mattina, 7 novembre, dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato.

L'arcivescovo Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, è intervenuto alla cerimonia per trasmettere al personale e a quanti hanno contribuito ai lavori, la benedizione del Papa e del cardinale Tarcisio Bertone, e la gratitudine della Segreteria di Stato per l'attività svolta al servizio del Pontefice e della Santa Sede.

Dopo aver benedetto i locali, il cardinale Lajolo ha ricordato che dal salone centrale "parte e giunge corrispondenza diretta al Papa e ai dicasteri e uffici che lo coadiuvano alla guida della Chiesa universale". La struttura ha subito innovazioni a livello di allestimento e operativo.

Basti pensare alla completa informatizzazione dei servizi, alla delocalizzazione dei telegrammi, all'adeguamento alle norme di sicurezza, alla costruzione di una rampa per l'accesso dei disabili, al lancio, nel 2010, del servizio di pagamento dei bollettini di conto corrente in collaborazione con le Poste Italiane. Novità che si affiancano a quelle già attive, come il recapito veloce della corrispondenza con "posta espresso".

Alla cerimonia hanno partecipato, tra gli altri, l'arcivescovo Carlo Maria Viganò, segretario generale del Governatorato, padre Fernando Vérgez Alzaga, dei Legionari di Cristo, direttore delle Telecomunicazioni vaticane, gli orionini don Attilio Riva, capo ufficio delle Poste e Telegrafo, e don Stefano Bortolato, Pier Carlo Cuscianna, direttore dei Servizi Tecnici, e Massimo Sarmi, amministratore delegato delle Poste Italiane.


(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2009)

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11/11/2009 10:59
 
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Il Circolo San Pietro per i poveri di Roma



Addobbi natalizi e strenne colorate attendono quanti visiteranno la tradizionale esposizione del Circolo San Pietro, che apre i battenti mercoledì 11 novembre, per concludersi sabato 14. L'appuntamento è realizzato nella sede dello storico sodalizio a Palazzo San Calisto. Le sale del Circolo nei quattro giorni saranno animate e colorate e la sala dei Papi diventa una sorta di bazar sotto gli occhi dei Pontefici che vi sono ritratti.

L'esposizione natalizia è il secondo appuntamento di questo genere per il Circolo San Pietro, che ogni anno realizza, nei mesi di maggio e di novembre, iniziative per autofinanziare le opere caritative al servizio dei poveri e degli indigenti di Roma.

Sono diverse, infatti, le realtà del sodalizio nella città: l'assistenza è rivolta ai senza fissa dimora, alle persone con difficoltà economiche, alle famiglie che vivono il dramma della malattia di un figlio piccolo. Opere presenti da oltre un secolo, con case di ospitalità per ragazze universitarie indigenti e familiari di bambini ricoverati all'ospedale pediatrico Bambino Gesù, mense, dette "cucine economiche" che sfamano circa ottantamila persone (dopo aver nutrito negli anni successivi alla seconda guerra mondiale oltre quattro milioni di poveri), centri di distribuzione di indumenti e generi di prima necessità, luoghi di ospitalità notturni e un servizio di volontariato altamente qualificato per il sostegno ai malati cronici presso l'Hospice Sacro Cuore, specializzato in cure palliative a persone con patologie incurabili.

L'esposizione è una forma di sostegno per le molteplici attività dell'associazione, dal 1996, data di nascita dell'esperienza. Ad allestire gli stand sono le "dame" del Circolo, che acquistano personalmente nei loro viaggi gli oggetti da destinare alla mostra. Sono le stesse che poi curano gli oggetti esposti e che si occupano delle persone che accorrono a Palazzo San Calisto per partecipare a questa gara di solidarietà.

"L'edizione precedente nel mese di maggio - sottolinea il presidente generale del Circolo, Leopoldo Torlonia - è stata un vero successo. Mi auguro che anche in questi giorni l'affluenza sia elevata". L'attività infatti - ricorda il presidente - "è ormai diventata una nostra tradizione e dimostra come il Circolo è vivo in questa forma di solidarietà".

Ma in cosa consistono esattamente i due appuntamenti del Circolo San Pietro? Nel mese di novembre gli articoli sono in prevalenza a vocazione natalizia. Si possono trovare abbigliamento caldo per l'inverno, bigiotteria, oggetti di artigianato e di arredamento. A maggio invece l'esposizione è pensata per la stagione estativa: articoli da giardinaggio, sciarpe di seta, borse di tela, cotone, e cuoio, mobili, pergolati per esterni e complementi di arredo.
(marta rovagna)



(©L'Osservatore Romano - 11 novembre 2009)


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24/11/2009 22:11
 
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In occasione della festa di santa Cecilia

Concerto della banda musicale
della Gendarmeria Vaticana


Banda VaticanaL'esecuzione del Bayernhymne di Konrad Max Kunz, in piazza San Pietro - sotto le finestre aperte dell'appartamento pontificio - ha inaugurato la serata-concerto con la quale la banda musicale del Corpo della Gendarmeria Vaticana ha celebrato la festa di santa Cecilia, patrona dei musicisti. Lunedì sera, 23 novembre, i cento elementi della banda - fondata nel 2007 dal comandante della Gendarmeria, Domenico Giani per rispondere a un desiderio espresso dal cardinale Giovanni Lajolo,  presidente del Governatorato, e  condiviso  dal  cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone - oltre al Bayernhymne hanno eseguito alcuni brani musicali prima di rientrare in Vaticano dove, nel cortile della caserma della Gendarmeria, hanno riproposto tra l'altro le note di un componimento musicale del 1848 di Victorin Hallmayr, scelto come inno pontificio da Pio IX nel 1857 e rimasto in vigore sino a quando, nel 1949, Pio XII lo sostituì con l'attuale, opera di Gounoud. Erano presenti, oltre al cardinale Giovanni Lajolo, il segretario generale del Governatorato, arcivescovo Carlo Maria Viganò, il cappellano della Gendarmeria monsignor Giulio Viviani, il comandante Domenico Giani, con il vice comandante Raul Bonarelli. La banda, comandata dal commendatore Giuseppe D'Amico, è stata diretta dal maestro Giuseppe Cimini.


(©L'Osservatore Romano - 25 novembre 2009)
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03/12/2009 22:36
 
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La messa presieduta dall'arcivescovo Carlo Maria Viganò

La festa dei Vigili del Fuoco in Vaticano





È stata celebrata questa mattina, giovedì 3 dicembre, la festa dei santi Leone IV e Barbara, patroni dei Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano. Per l'occasione l'arcivescovo Carlo Maria Viganò, segretario Generale del Governatorato, ha benedetto i nuovi locali realizzati nella caserma Vaticana.

Tra i presenti il direttore dei servizi di sicurezza e protezione civile del Vaticano, Domenico Giani, il cappellano monsignor Giulio Viviani, il coordinatore dei Vigili del Fuoco Paolo De Angelis, e rappresentanti dei colleghi italiani.

Nella cappella del Governatorato l'arcivescovo Viganò, durante la messa, prendendo spunto dal Vangelo del giorno, ha riproposto il raffronto tra la casa costruita sulla roccia e quella edificata sulla sabbia, e ha ricordato la necessità della coerenza cristiana, soprattutto "tra le parole e i fatti". "Chi in terra - ha concluso - pensa di aprire ogni porta con la sua parlantina, non ha tante speranze di farla franca" nel Regno dei cieli, dove la porta si apre solo per chi fa la volontà di Dio. All'inizio della cerimonia il direttore Giani aveva sottolineato la capacità operativa dei Vigili del Fuoco "testimoniata anche nel loro solidale intervento tra i terremotati d'Abruzzo".



(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2009)

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10/12/2009 19:27
 
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Un merlo bianco
nei giardini del Papa


di Francesco M. Valiante


Avesse dato retta al Merlo bianco, oggi Pinocchio sarebbe un altro. Magari un attempato signore in pensione dopo un'onesta vita trascorsa tra famiglia e lavoro. Poco o niente da raccontare ai nipotini:  una fanciullezza tranquilla, spensierata, mai un giorno di scuola marinato, sempre alla larga dai pasticci e dai guai. Solo quello strano ricordo di un lungo naso di legno, retaggio di vecchi incubi infantili presto svaniti.

E dire che l'avvertimento del volatile non difettava di buon senso:  "Non dar retta - gli aveva gridato - ai consigli dei cattivi compagni se no, te ne pentirai". La penna accorta di Carlo Collodi glielo aveva fatto incontrare proprio sul cammino che dal teatro dei burattini portava alla casa di Geppetto. Un'ancora di salvezza a metà strada tra la rovina e la redenzione. Ma non c'era stato niente da fare. Anche perché a tacitare la già esitante coscienza  di Pinocchio ci aveva pensato il  Gatto, che con un balzo si era avventato sull'uccello divorandolo in un sol boccone prima che potesse proferire altro.
 
Diciamo la verità:  a nessun bambino verrebbe in mente di rimpiangere il povero animaletto. Chi può immaginare un libro di fiabe orfano delle peripezie del burattino più famoso del mondo? Destino ingrato, quello del giudizioso volatile. E di tutti quei consiglieri saggi e assennati che diventano sempre più rari compagni di strada lungo i sentieri della vita. Proprio come i merli bianchi.

Che poi, a dispetto della simbologia popolare, tanto rari non sono, stando alle acquisizioni della scienza ornitologica. "Aberrazioni cromatiche" le chiamano gli studiosi, con un'espressione che, in verità, sembra evocare terrificanti alchimie genetiche piuttosto che innocenti scherzi della natura. Pare sia tutta una questione di pigmenti:  nel caso dei merli le melanine, agenti responsabili della colorazione scura del piumaggio.


Quando sono del tutto assenti si parla di albinismo, quando sono prodotte in quantità minime si è in presenza di leucismo.

Merli albini e merli leucistici - discendenti dell'illustre ma sfortunato progenitore finito tra le grinfie del gatto di Pinocchio - non sono così insoliti da osservare, assicurano gli esperti. Anche in un angolo verde del tutto particolare come i Giardini Vaticani. Ce n'è un esemplare nella zona del giardino alla francese, alle spalle della Grotta di Lourdes, che non di rado si concede all'osservazione dei bird-watcher più fortunati nella cerchia delle Mura leonine. Tra i quali lo stesso Benedetto XVI e uno dei suoi segretari, monsignor Alfred Xuereb, che lo hanno notato durante la quotidiana preghiera del rosario recitato passeggiando lungo i viali.

Fortuna che nessuno dei due ha propensioni venatorie, verrebbe da dire. Fatto sta che il prelato, incoraggiato anche dal Papa, si è messo di impegno con l'intenzione di "catturarlo". Ma per farlo è bastata una macchina fotografica dotata di un potente obiettivo. Che unita a una buona dose di pazienza e a uno spirito di osservazione non comune gli ha consentito il giorno seguente, al termine di un appostamento neanche tanto lungo, di immortalare in una serie di splendidi scatti (pubblicati in questa pagina) il volatile. Del tutto ignaro - soprattutto dopo la cattiva sorte capitata al suo più celebre avo - di essere divenuto oggetto nientedimeno che dell'attenzione del Romano Pontefice.
 
I suoi "colleghi" neri - una delle colonie più numerose tra le specie di uccelli che affollano i Giardini Vaticani - non se ne avranno certo a male. Anche perché, a dare ascolto a un'altra leggenda, quell'esemplare dal piumaggio candido custodirebbe in realtà le sembianze della loro originaria bellezza. Altro che pigmenti e melanine. Pare infatti che un tempo tutti i merli fossero bianchi. La loro attuale colorazione corvina sarebbe legata al freddo rigido delle ultime tre giornate di gennaio - da qui l'espressione "i giorni della merla" - che avrebbe costretto appunto una merla intirizzita a rifugiarsi con i piccoli all'interno di un comignolo. Dal quale sarebbero poi usciti ricoperti di fuliggine. E perciò, da allora, completamente neri. Dev'essere per questo che un altro acuto osservatore naturalista come il romanziere francese Jules Renard ha scritto:  "Il merlo bianco esiste; il merlo nero non ne è che l'ombra". C'è da scommettere che cominci a pensarlo anche il Papa.



(©L'Osservatore Romano - 11 dicembre 2009)

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03/02/2010 12:27
 
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La geografia del clero regolare in Vaticano

Sono numerosi gli esponenti di ordini religiosi che ricoprono incarichi di responsabilità nella Curia Romana. Accanto alle congregazioni «storiche», non mancano realtà ecclesiali di più recente origine come l’Opus Dei e i Legionari di Cristo

DA ROMA

GIANNI CARDINALE

Negli ultimi decenni il numero dei sacerdoti religiosi è calato in modo particolare, con un trend ancora più negativo rispetto ai preti diocesani. Non si può dire lo stesso invece riguardo alla presenza di esponenti del clero cosiddetto regolare in posti di responsabilità in Vaticano. Beninteso, nei Sacri Palazzi la presenza istituzionale di ordini e congregazioni non è una storia di oggi. Anzi. Basti pensare ai Gesuiti, che gestiscono la Radio e la Specola vaticana. O ai Salesiani che si occupano della Tipografia.

O gli Orionini cui sono affidati le poste e i telefoni. Senza contare poi che il teologo della Casa pontificia è storicamente un domenicano – oggi padre Wojciech Giertych –, mentre il predicatore ufficiale è un frate cappuccino – ora padre Raniero Cantalamessa.

Particolarmente durante il pontificato di Benedetto XVI, non pochi religiosi sono stati anche chiamati a ricoprire incarichi di prestigio tra gli officiali superiori dei vari dicasteri della Curia Romana. A cominciare dal segretario di Stato, il più stretto collaboratore del Papa nel governo della Chiesa universale. A questo incarico nevralgico papa Ratzinger ha chiamato il cardinale salesiano Tarcisio Bertone e per trovare un altro religioso tra i suoi predecessori bisogna risalire alla prima metà dell’ 800.

I figli di don Bosco sono attualmente i più rappresentati nella Curia Romana. Oltre a Bertone abbiamo il cardinale Raffaele Farina come archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, l’arcivescovo Angelo Amato come prefetto della Congregazione delle cause dei santi e il neonominato vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. ( Bisogna ricordare comunque che già negli anni Ottanta in Curia operarono tre cardinali salesiani: Stickler, Javierre Ortas e Castillo Lara).

Anche i seguaci di Sant’Ignazio, dopo un periodo di assenza dai vertici, con Benedetto XVI hanno riacquistato visibilità nella Curia. Sono ratzingeriane infatti le nomine dei Gesuiti Luis Ladaria e Cyril Vasil come arcivescovi segretari della Congregazione, rispettivamente, per la dottrina della fede e per le Chiese orientali. Gesuita è poi padre Federico Lombardi, scelto sempre da Benedetto XVI a guidare la sala stampa vaticana.

All’attuale pontificato risalgono poi le nomine dei Domenicani Joseph Augustine Di Noia e Jean- Louis Brugues a segretari di altri due dicasteri: quello per il culto divino e l’educazione religiosa. Alla famiglia francescana appartengono invece il prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale Claudio Hummes ( frate minore) e i Conventuali Gianfranco Gardin ( arcivescovo segretario del dicastero per i religiosi) e Gianfranco Girotti ( reggente della penitenzieria pontificia): i primi due sono di nomina ratzingeriane, il terzo venne scelto da Giovanni Paolo II. Gardin comunque è stato da poco inviato a guidare la diocesi di Treviso.

Altri «regolari» presenti nella curia romana sono poi il cardinale lazzarista Franc Rodé ( prefetto della Congregazione per i religiosi), il premostratense Frans Daneels (vescovo segretario della Segnatura apostolica), l’ospitaliero José Luis Redrado Machite ( vescovo segretario del Consiglio per la pastorale sanitaria), lo scalabriniano Velasio de Paolis ( arcivescovo presidente della prefettura per gli affari economici) e il barnabita Sergio Pagano ( vescovo prefetto dell’Archivio vaticano).

Questo per quanto riguarda gli ordini e le congregazioni storiche. Ma nella Curia Romana sono presenti anche esponenti di realtà ecclesiali di più recente fondazione. Così abbiamo il vescovo Juan Ignacio Arrieta dell’Opus Dei come segretario del pontificio Consiglio per i testi legislativi ( mentre alla fraternità sacerdotale della Santa Croce appartiene il neonominato sottosegretario al clero, monsignor Celso Morga Iruzubieta). O il vescovo Brian Farrell dei Legionari di Cristo, segretario del Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani. Amici dei Focolarini sono poi il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Consiglio per la famiglia e l’arcivescovo Luciano Suriani, delegato delle rappresentanze pontificie in Segreteria di Stato. Senza dimenticare infine che sono Memores Domini (Comunione e liberazione) le laiche consacrate che accudiscono l’appartamento pontificio.

Avvenire, 3 febbraio 2010



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17/02/2010 19:16
 
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torie e immagini dai Giardini Vaticani in un libro fotografico

Annone, l'elefante bianco
che abitava gli "horti" del Papa


di Francesco M. Valiante

Anche il merlo bianco avvistato di recente da Benedetto XVI e da uno dei suoi segretari tra gli alberi dei Giardini Vaticani impallidirebbe (si fa per dire) se sapesse che, cinquecento anni prima, non lontano da lì scorrazzava nientemeno che un elefante albino. Era un dono che nel 1514 il re del Portogallo aveva fatto a Papa Leone x per la sua incoronazione. L'elefante - al quale Silvio A. Bedini ha dedicato nel 1997 il libro The Pope's elephant - era stato chiamato Annone, in onore di uno dei generali di Annibale.

Per qualche tempo il bizzarro pachiderma, originario dell'India, era riuscito a sopravvivere al clima non proprio ideale della zona degli antichi Vaticani horti, prima di venire stroncato nel 1516, ad appena sette anni, da una malattia causata dall'eccessiva umidità.

Niente a che vedere, comunque, con la schiera di daini, gazzelle, struzzi e pellicani che, quasi quattro secoli più tardi, erano arrivati in regalo dal cardinale Charles-Martial Allemand Lavigerie a Leone xiii. Il quale aveva trasformato un angolo del verde vaticano in una sorta di serraglio esotico a cielo aperto, dove non disdegnava di sostare per ammirare da vicino gli insoliti animali e dar loro da mangiare.

Si racconta che un giorno, avvicinatosi a una gazzella un po' troppo esuberante, avesse persino rischiato di esserne travolto, rincuorando subito dopo gli attoniti presenti con un'autoironica rassicurazione:  "Un "leone" non può avere paura di una gazzella!".

Queste e altre curiosità costellano la storia dei Giardini Vaticani, singolare mosaico di architettura botanica custodito all'interno delle mura leonine.

Una storia le cui origini datano dalla fine del Duecento, quando Niccolò iii creò il primo nucleo degli horti a ovest del mons sancti Aegidii, una delle alture del colle Vaticano, affiancando al più antico frutteto (pomerium) un praticello (pratellum) e un vero e proprio giardino (viridarium).

In quasi otto secoli trasformazioni urbanistiche, sistemazioni territoriali ed evoluzione naturale hanno prodotto l'attuale assetto dello spazio di verde che ricopre la metà del territorio vaticano:  ventidue ettari circa, su cui si alternano alberi, fiori, cespugli, ma anche fontane, statue, mosaici, maioliche, antichi e moderni monumenti. Una felice contaminazione tra natura, arte e storia, oggi riproposta attraverso immagini e testi dal volume I Giardini Vaticani di Nik Barlo jr. e Vincenzo Scaccioni (Ratisbona - Città del Vaticano, Schnell & Steiner - Musei Vaticani, 2009, pagine 240, euro 49,90), presentato a Benedetto XVI durante l'udienza generale di mercoledì 17 febbraio.

Pagine che spalancano gli scorci più suggestivi, e talora inconsueti, dei Giardini del Papa. Grazie soprattutto all'obiettivo raffinato del fotografo tedesco Barlo - esperto riconosciuto nelle tecniche raffigurative in campo paesaggistico e botanico - che si è dedicato all'opera realizzando in Vaticano due lunghe sessioni di lavoro, della durata complessiva di quaranta giorni, nella primavera e nell'autunno del 2008.

Nei suoi scatti - definiti non a caso "meditazioni fotografiche" - è evidente non solo la ricerca estetica dell'inquadratura o dei soggetti, ma soprattutto lo sforzo di catturare atmosfere, sensazioni, stati d'animo. Di dare corpo alla magia - persino ai suoni e ai silenzi, verrebbe da dire - di un luogo unico, dove il fascino della natura si intreccia al richiamo dello spirito, in un gioco mutevole di forme e di colori modellati dal tocco sapiente e discreto della mano dell'uomo.
 
Da buon artigiano della fotografia, Barlo adopera esclusivamente la pellicola tradizionale ed evita qualsiasi ritocco o correzione digitale:  lo sguardo dell'artista resta fissato così nell'eterno presente dello scatto, sottraendosi a ogni artificio virtuale destinato ad alterarne l'originaria ispirazione visiva.

Sobri e piani, i testi del volume accompagnano le immagini come una sorta di lunga didascalia. Si devono alla penna del giovane abruzzese Scaccioni, che dopo una serie di ricerche condotte nei Giardini Vaticani tra il 2001 e il 2003 - sulle quali ha basato la sua tesi di laurea, la prima in assoluto dedicata a questo luogo - ne è diventato nel 2003 agronomo responsabile botanico.
 
Ma più che da studioso o da esperto, Scaccioni scrive da testimone. Parla di posti dove è ormai di casa, racconta di itinerari percorsi tante volte con l'interesse dell'uomo di scienza e la sensibilità del naturalista. Questo gli consente di badare all'essenziale, unendo alle indispensabili competenze tecniche il gusto di particolari e dettagli spesso trascurati agli occhi dei più.

Scaccioni ha il merito di riepilogare in linguaggio accessibile la ricchezza della letteratura più dotta ed erudita sui Giardini, spogliandola da orpelli o tecnicismi e rendendola familiare anche alla curiosità dei visitatori culturalmente meno attrezzati. Ne sintetizza la storia dalle origini più remote - a partire dall'antichissimo Vaticum posto sotto il dominio degli etruschi tra il ix e l'viii secolo prima della nascita di Cristo - fino ai giorni nostri, guidando poi il lettore in un'ideale passeggiata attraverso i siti e le aree ricomprese nell'attuale sistemazione:  la zona dei primi giardini, il Giardino Quadrato, la Casina di Pio iv, il bosco, la Torre del Gallinaro, le serre, il Governatorato, la aiuole che compongono lo stemma pontificio, la fontana della Conchiglia, l'orto del monastero Mater Ecclesiae, la palazzina Leone xiii, il giardino all'italiana, la Grotta di Lourdes, il giardino alla francese.

Utili, alla fine del testo, la cronologia dei Papi da Leone i a Benedetto XVI e l'elenco delle specie vegetali più importanti, compilato attingendo all'Index plantarum Vaticani Horti che nel 2001 ha catalogato per la prima volta con criteri scientifici le circa 100 famiglie botaniche presenti sul territorio, individuandone i 380 generi, le 340 specie e gli oltre 6.900 soggetti di dimensioni misurabili.


(©L'Osservatore Romano - 18 febbraio 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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27/02/2010 00:41
 
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A colloquio con Fiorenzo Angelini

I ricordi
dell'unico cardinale di Roma



di Mario Ponzi


È l'unico "romano de Roma" che oggi figura nel collegio cardinalizio. Novantaquattro anni da compiere il prossimo mese di agosto - solo tre porporati sono più anziani di lui - il cardinale Fiorenzo Angelini, mentre si racconta al nostro giornale, si mostra ancora oggi uomo di fede con una forte propensione all'agire. Anche se il passo è meno sciolto di un tempo, non rinuncia a organizzare, tenere conferenze, partecipare a eventi. Parlare con lui significa ripercorrere un tratto del cammino contemporaneo della Chiesa - lungo settanta anni, tanti sono quelli del suo sacerdozio, appena celebrati - e ancor più raccogliere il racconto lucido di un testimone dello snodarsi della storia del Novecento. Apre scenari in cui trovano spazio episodi che vanno dall'incontro con Pio xii, tra le macerie di Roma bombardata, all'attentato contro Giovanni Paolo II, al rapporto amichevole con Giulio Andreotti, Renato Guttuso e Luigi Longo. Dipinge ritratti nitidi e inconsueti di persone e personaggi, resoconti di viaggi in ogni parte del mondo. Offre ricostruzioni storiche vive ed efficaci, dal fascismo allo scontro tra Democrazia cristiana e Fronte popolare del primo dopoguerra, dal fermento sessantottino al crollo del muro di Berlino. Con la stessa intensità parla di calcio, del suo amore per la squadra, neppure a dirlo, della Roma. Nel salottino d'attesa del suo ufficio, accanto a un quadro dell'amico Renato Guttuso, c'è un pallone con le firme di giocatori italiani. Da Guttuso a Gattuso, ci viene da dire pensando al calciatore della nazionale italiana.

"Qualsiasi espressione dell'ingegno e delle doti di un uomo - non si scompone affatto il cardinale - è arte e come tale va ammirata", anche se il suo punto di riferimento calcistico, ci tiene a precisarlo, è Francesco Totti.

La partecipazione del porporato cresce però quando parla della sua dedizione all'apostolato nel mondo della sofferenza, divenuta più profonda dopo l'incontro con Giovanni Paolo II. Una sofferenza che ha poi sublimato nell'iniziativa "Il volto dei volti" per promuovere la devozione al volto di Cristo.

Ha un solo cruccio e non esita a manifestarlo:  "hanno chiuso - dice con la solita schiettezza trasformata in quell'umoristica ironia che lo contraddistingue - la fucina nella quale siamo stati forgiati, noi vecchi romani e vecchi sacerdoti. Oggi è tutto all'acqua di rose" e per questo si professa "in dissonanza assoluta con la mentalità odierna".

Qualche rimpianto, dunque, eminenza?

No, rimpianti assolutamente no. Anzi se devo ripensare i miei novantaquattro anni di vita e i miei settanta di sacerdozio, non vedo alternative possibili alla mia scelta di essere sacerdote di Cristo e della sua Chiesa. Sono andato e vado avanti amando la vita e la Chiesa.

Quando e come è nato quest'amore?

È una storia lunga. Sono figlio di un emigrato negli Stati Uniti d'America il quale, rientrato in Italia, fu costretto a vivere in condizioni di vita più che modeste. Eravamo buoni parrocchiani di San Lorenzo in Lucina, abitavamo a Campo Marzio. Ricordo ancora gli occhi sbarrati del mio parroco quando gli manifestai l'intenzione di diventare sacerdote. Mi conosceva bene, sapeva del mio carattere, a dir poco esuberante. E mi disse, guardandomi dritto negli occhi:  "Tu puoi al massimo diventare canonico di piazza!". Anche mio padre si oppose all'inizio. Un po' perché non voleva lasciarmi andare via, un po' perché non avevamo abbastanza soldi per pagarmi gli studi. Ci pensò la provvidenza. Fui presentato a monsignor Alessandro Solari, canonico di Santa Maria Maggiore. Gli parlai del mio desiderio e lui mi affidò alla generosità di una dama straniera che abitava a Roma. Ci accolse con i miei genitori nel suo sontuoso appartamento. Ricordo di essere rimasto intimidito da tutta quella maestosità. Evidentemente suscitai nella signora una tenerezza talmente profonda che, da quel momento, pensò a tutto lei. Ne conservo grato il ricordo nel profondo del cuore.

Nella sua Roma si dice:  da allora "quant'acqua è passata sotto li ponti"...

Già. Ne è passata veramente tanta. E non era sempre acqua pulita.

Parliamo di inquinamento?

Sì, ma non di quello ambientalistico. Faccio un esempio. Ero un giovane seminarista quando fu firmata in Italia la Conciliazione fra Stato e Chiesa. Avevo solo tredici anni ma colsi il fatto che, soprattutto a livello popolare, quella soluzione di composizione tra Chiesa e regime fascista non fu ben presa da tutti. Anche se non se ne fece parola sui media di allora. Ma io non sapevo  che  la  stampa  non  era  completamente libera e che si pubblicava solo ciò che faceva comodo al regime. Persino "L'Osservatore Romano" degli anni 1926 e 1927 non riferì mai, per esempio, la vicenda dei parlamentari aventiniani, né l'arresto di Alcide De Gasperi. E molto forzata mi apparve successivamente  l'insistenza  dei  giornali sulle presunte benemerenze religiose di Mussolini. Le facevano risalire a una frase di Pio xi sul Duce, estrapolata da un discorso di altro tenore. Il Papa parlò di lui come dell'"uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare", ma il riferimento era esclusivamente alla questione della Conciliazione. Sfruttata ad arte dal regime, ingenerò nell'opinione pubblica la convinzione di una certa ammirazione per il regime fascista. Fu un luogo comune infondato che ci portammo addosso per qualche tempo. Negli anni a seguire venni poi a conoscenza di tante violenze.

Per esempio?

Per esempio quelle per le quali persino il giornale del Papa subì delle conseguenze. Mi riferisco alle azioni squadriste contro i circoli dell'Azione Cattolica in varie parti d'Italia. "L'Osservatore Romano" pubblicò un elenco dettagliato dei circoli che erano stati attaccati, informò sul palazzo vescovile di Verona e sui seminari di Rimini, di Padova e di Benevento presi di mira. La stampa di regime non ne fece mai cenno alcuno. "L'Osservatore Romano" invece continuò per giorni a dare queste notizie, tanto che alla fine, come è noto, la sua diffusione in Italia venne interdetta. Ma ne parlò solo "L'Avanti". Il giornale dedicò alla censura del quotidiano del Vaticano addirittura tutta una prima pagina [il cardinale si riferisce all'edizione settimanale de "L'Avanti" che il 14 giugno del 1931 titolò un articolo di prima pagina della edizione che si stampava a Parigi Tra fascismo e Vaticano]. Ricordo questo particolare perché il rettore del Seminario romano minore un giorno venne nella nostra classe - era la primavera del 1931 - e sventolando una copia de "L'Osservatore Romano" ci mise al corrente di quello che non esitava a definire un grande successo:  "Nonostante i tentativi di tappargli la bocca - ci disse - il giornale ha ormai raggiunto le centomila copie, rispetto alle quattromila del 1929. È la vittoria della verità e la sconfitta del silenzio". Solo qualche tempo dopo capii cosa era successo. Quando fu pubblicata l'enciclica Non abbiamo bisogno in difesa dell'Azione Cattolica in Italia, dalle pagine emergeva un'accusa precisa contro il regime per gli attacchi all'associazione.

È' per questo che, una volta sacerdote, per ben quindici anni ne è stato assistente ecclesiastico?

Non solo per questo. In cuor mio ho ammirato da sempre l'associazione, tanto che nella mia prima parrocchia, quella della Natività, fondai l'associazione maschile di Azione Cattolica Mater mea, fiducia mea. Anzi fu proprio in occasione della inaugurazione dell'associazione che incontrai l'uomo che mi doveva legare definitivamente all'Azione Cattolica, Luigi Gedda. Quando nel 1946 divenne presidente dell'unione nazionale degli uomini di Azione Cattolica, mi volle accanto a sé. E di lì iniziò la mia lunga avventura con l'associazione. Proprio per questa militanza sono rimasto molto scosso nell'ascoltare il cardinale Bagnasco che, nella sua relazione al consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, parlava del suo sogno di vedere una nuova generazione di laici cattolici impegnati in politica. Certo non avrebbe dovuto sognare se l'Azione Cattolica avesse mantenuto la sua forza propositiva.

Cosa è cambiato secondo lei?

Dal concilio Vaticano ii è uscita una figura di laicato molto, molto importante, elevata a una grandissima dignità. Stranamente in Italia si è registrato un fenomeno contrario, che a poco a poco ci ha portato alla paradossale situazione odierna, segnata da politici che si dicono cattolici ma che non sanno nulla o quasi nulla della dottrina della Chiesa cattolica. E questo pur vivendo a Roma e vicino al Santo Padre. Io credo che alla Chiesa manchi qualcosa dell'Azione Cattolica nel senso pieno e tradizionale della sua missione, quell'apostolato di massa che ci caratterizzava. C'è tanto frazionamento. I movimenti sono certamente una benedizione del Signore, ma essi dovrebbero trasformarsi insieme in un elemento di spinta e di guida dell'intero laicato cattolico. Invece oggi ciò non accade. Sono divisi. A volte percorrono sentieri paralleli ma distinti. Manca una forza capace di coesione. E questa è una carenza che fa male alla Chiesa. In tanti si dicono e si sentono laici cattolici, si riempiono la bocca di questo termine. Ma nei fatti...

Nei fatti?

Nei fatti mi dica lei dove sono questi laici che nella vita pubblica si comportano da cristiani, da cattolici? Quanti ce ne sono nelle istituzioni internazionali? Quanti nel Parlamento italiano e nella politica in generale? Dove sono i luminari che attirano i giovani? Dov'è un Enrico Medi, dov'è un Giorgio La Pira? Gente che si alzava in Parlamento per citare la Parola di Dio, per parlare della Madonna e tutti, anche quelli che non erano cristiani, restavano incantati nel sentire questi "sacerdoti laici". Dove sono oggi? Perché non escono fuori e non si ribellano davanti all'immoralità, all'inganno, alla spasmodica ricerca del dio denaro che sembra essere l'unico orientamento della politica? Ho ancora negli occhi la celebrazione del trentesimo anniversario dell'Azione Cattolica Uomini. Presidente era Gedda, io assistente ecclesiastico generale. Centomila uomini, solo uomini, vennero a Roma e riempirono tutta piazza San Pietro. Il giorno dopo in Parlamento Giuseppe Saragat, prima ancora che divenisse presidente della Repubblica, disse:  "Ieri, mescolato tra la folla degli uomini dell'Azione Cattolica in piazza San Pietro, ho dovuto constatare che la Chiesa ha veramente con sé tanti lavoratori". Dove sono oggi? Forse che uno tsunami delle coscienze ha trascinato via tutto? Oppure noi abbiamo abdicato davanti a una mal concepita libertà di pensiero a proposito dei dogmi della fede, della coscienza religiosa, dei valori della nostra fede? È valido ancora il concetto di vita veramente umana e veramente cristiana? Queste sono le domande che agitano oggi la mia coscienza.

Eppure lei ha lavorato a stretto contatto con tanti laici, per la verità non tutti rigorosamente cattolici o comunque cristiani.

È vero. E con questi ultimi, quelli non cattolici, ho avuto la possibilità di fare il prete. Tutti sanno delle mie amicizie con tanti personaggi pubblici, non ho nulla da nascondere. Andreotti è il più caro. Con lui ragionavamo della nostra fede. Longo quello con il quale ho più dovuto argomentare, Guttuso l'uomo del quale ho raccolto la confessione di fede in punto di morte. E potrei citarne tanti, tanti altri. Soprattutto quelli che ho incontrato nella mia missione di Vescovo al servizio della Chiesa di Roma prima e della Curia romana successivamente. Per questo se mi lamento per quanto vedo oggi, ne ho ben motivo.

Tra le cose che "sanno tutti", come lei dice, c'è anche la sua amicizia con Pio xii, il vostro primo incontro tra le macerie di Roma appena bombardata.

Quando tra le mani mi capita quella foto che ha fatto il giro del mondo, nella quale compaio accanto a Pio XII mentre prega tra le vittime del bombardamento della città, rivivo un momento emozionante, che ha indubbiamente segnato la mia vita. Ho conosciuto un uomo, un sacerdote, un vescovo, un Papa eccezionale. Io so, perché l'ho vissuto in prima persona, quello che egli ha fatto in quel periodo. Ricordo quanto raccomandava a noi sacerdoti e parroci di Roma, ho raccolto il senso dei suoi patimenti per non compromettere quel che si faceva nascostamente. A lui, alla sua testimonianza devo molto della mia anima sacerdotale. Chi mai si sarebbe aspettato l'umiltà di un Pontefice come lui nell'accettare il consiglio di un giovanissimo e sconosciuto sacerdote della sua diocesi in un momento tanto tragico, come può essere quello dopo un bombardamento? La storia l'ho raccontata tante volte. Aveva chiesto a Montini di distribuire tra i presenti i soldi che aveva portato con sé per aiutarli a superare quel momento. Mi permisi di suggerire di affidare quei soldi ai due parroci del quartiere perché li consegnassero a quanti ne avevano più bisogno:  a chi in quel momento magari non era lì perché stava scavando sotto le macerie per tentare di salvare un genitore o un figlio. Dette retta al più piccolo dei suoi, a me. Ne sono rimasto segnato per tutta la vita.

In che modo?

Intanto nell'ascoltare quanto ci raccomandava. Anche se dovevo sopportare conseguenze e correre pericoli. Ancora oggi mi tremano le gambe al ricordo dell'arrivo nella parrocchia della Natività, dove ero viceparroco, di cinque tedeschi armati di tutto punto, decisi ad arrestarmi. Avevano saputo che davo ospitalità a fuggiaschi e ricercati, ebrei e non. Avevo organizzato una piccola mensa nella quale distribuivamo un pasto caldo a chiunque bussasse alla porta. Non chiedevamo certo documenti, anzi eravamo felici di aiutare tutti, indistintamente. Facevo lo spaccalegna, il cuoco, il cameriere. Distribuivamo anche duemila minestre al giorno. Davamo fastidio a qualcuno. Per questo mi cercavano. Riuscii a scamparla uscendo dalla canonica di soppiatto. Cose che oggi si vedono grazie a vecchie pellicole. Ma le assicuro che non rappresentano affatto quello che realmente abbiamo vissuto in prima persona.

Fu questa sua esperienza tra i sofferenti a suggerire al Papa di affidarle, a guerra finita, la pastorale dei malati e dei sofferenti a Roma?

Effettivamente nessuno aveva mai pensato prima che, in una città come Roma, i malati e le famiglie dei malati costituivano una diocesi nella diocesi. Da un calcolo approssimativo di allora - si era intorno al 1955 - si constatò che almeno un milione e mezzo di persone faceva ricorso agli ospedali e agli altri luoghi di cura della diocesi. Pio xii, che aveva molto a cuore le persone sofferenti, avvertì la necessità di offrire a costoro un servizio pastorale privilegiato e specifico. Mi affidò l'incarico. Fui ordinato vescovo il 28 giugno 1956 e da quel giorno iniziai a occuparmi dei malati ininterrottamente, si può dire sino ad oggi.

Dove l'ha portata questa missione?

Intanto mi ha portato in tutti i luoghi di ricovero e cura, non solo romani. Ho girato il mondo per incontrare i malati dovunque essi fossero, per vedere dove e come erano assistiti e, nel caso, cosa fare per aiutarli. Ma mi ha portato anche e soprattutto a incontrare il personale, gli operatori sanitari, in ogni contesto. Mi ricordo che i primi tempi giravo a Roma con l'elenco telefonico per capire dove fossero ospedali e cliniche. Sentivo di dover andare e andavo. Il primo incarico nazionale lo ricoprii sotto il pontificato di Giovanni xxiii:  fondai l'associazione dei medici cattolici d'Italia e ne divenni assistente ecclesiastico nel 1959. La svolta in questa missione ci fu però con l'elezione alla cattedra di Pietro di Giovanni Paolo II. Pochi sanno della felice coincidenza che ci unì in modo particolare. Scoprimmo che tutto quello che io facevo a Roma in termini di pastorale sanitaria, altrettanto faceva lui a Cracovia. Intenderci, dunque, fu questione di un attimo:  il suo amore per i malati era il mio. Non a caso appena si affacciò, dopo l'elezione, alla Loggia della Benedizione, salutò i malati e si rimise alle loro preghiere. E la sua prima uscita, il giorno dopo l'elezione, ebbe come meta il Policlinico Gemelli, più precisamente il letto di sofferenza del suo amico monsignor Deskur. Il suo amore per i sofferenti lo portò poi all'istituzione di un dicastero per la pastorale degli operatori sanitari, cioè per tutti quelli che vivevano e vivono accanto ai malati. Dicastero al quale ho dato per tanti anni tutto me stesso.

Che effetto le fa vedere quello che succede oggi in diverse parti del mondo proprio nel campo della sanità?

Provo una grande tristezza. Soprattutto provo tristezza perché chi parla non si prende mai la briga di andare negli ospedali senza clamore, per vedere realmente le loro condizioni. Guardi cosa accade negli Stati Uniti dove si gioca il futuro del Paese sulla sanità. E non parliamo di cosa accade in Italia con la sanità.

Eminenza, abbiamo cominciato con Roma e con Roma concludiamo.

La mia città, e lo dico con dolore, ha perso molto del suo splendore nel senso cristiano. Anche io sono pronto, nel mio piccolo, ad assumermi le mie responsabilità. L'immagine che di questa città diffondiamo nel mondo non è certo esempio edificante di come si prega, di come si sta in chiesa, ma neppure di come si vive. E con rammarico ripenso a quello che diceva Pio xii:  "Roma vale l'Italia, l'Italia vale il mondo". Comunque amo molto questa città.

Quanto la sua squadra di calcio?

Questa è una passione e non si discute. Le racconto un episodio. Ai tempi del seminario giocavo a pallone su un campetto sterrato. Giocavamo con la tonaca nera tirata su fino alla cintola. Non avevamo magliette e non sapevo come fare per indossare qualcosa di giallo-rosso, i colori della mia Roma. Mi feci portare una cinta giallo-rossa con la quale sorreggevo la tonaca. Ero felice.

In quale ruolo giocava?

Sono sempre stato un attaccante, per natura. Quando mi regalarono un bel paio di scarpini, da indossare di nascosto sotto la tonaca, cominciai a segnare gol a valanga. Da parroco fondai anche una squadra nel 1942, si chiamava Florentia, la maglia era gialla. Giocammo la prima partita al Gelsomino, dove oggi sorge l'Oratorio San Pietro. Il nostro portiere era Ugo Zatterin.

Riconosce nel calcio di oggi lo spirito della Florentia?

Una volta si giocava a palletta, con qualsiasi tipo di scarpe. Un giorno un ragazzino si presentò al campo con scarpe da balletto. Zatterin indossava negli allenamenti scarpe di cuoio bianche, ma più che scarpini erano scarponi con i tacchetti sotto. Eppure ci si divertiva veramente tanto e il tifo era genuino, simpatico, campanilistico ma sempre garbato e contenuto. Oggi capisco il tifoso che dice "la Roma è una fede", perché so la passione che c'è dietro. Tornano dallo stadio "ingrugnati", come si dice a Roma, se hanno perso, felici ed inebriati se hanno vinto. Eppure c'è qualcosa che ha distrutto la bellezza, la poesia, la verità dello sport. Lo sport è diventato un'industria e dunque l'ideale di De Coubertin è stato stravolto; oggi l'importante è vincere, non partecipare. Quando lei pensa che in una squadra - non voglio fare nomi per non suscitare polemiche - giocano solo giocatori di altre nazionalità e anche gli allenatori, quando non gli stessi proprietari e presidenti, sono stranieri, allora lei capisce bene che per quanti hanno vissuto la purezza di questo sport non può essere la stessa cosa. E le assicuro che qui non c'entra nulla il razzismo né la xenofobia, anche se non riescono più a tenere fuori dagli stadi neppure questi atteggiamenti. Se scrive queste cose diranno che sono un vecchio arroccato su posizioni passate e sepolte, che sono fuori del tempo. Io non rinnego i valori per i quali ho vissuto una vita intera. E poi amo così tanto il dono della vita che mi ha fatto il buon Dio da sentirmi perennemente giovane in lui. È una buona medicina. La consiglio a tutti.


(©L'Osservatore Romano - 27 febbraio 2010)
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31/03/2010 23:10
 
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Il singolare tabernacolo della Cappella dei Beneficiati nella Sagrestia di San Pietro

Donatello e la Madonna della febbre


Pubblichiamo stralci del saggio contenuto nel bollettino numero 9 dell'"Archivum Sancti Petri" intitolato Tabernacolo di Donatello. Museo storico artistico del Tesoro di San Pietro (Città del Vaticano, Capitolo Vaticano, 2010, pagine 20, euro 10).

di Carlo La Bella

Nei primi anni Settanta del secolo scorso gli ambienti settecenteschi della Sagrestia dei Beneficiati di San Pietro furono destinati a ospitare stabilmente il rinnovato museo del Tesoro, e anche l'elegante cappellina ellittica, riservata alle celebrazioni dei chierici, rimase inevitabilmente inglobata nel nuovo percorso espositivo. Era qui che sin dal momento della consacrazione della cappella (1784) era stato riallestito il Tabernacolo del Sacramento di Donatello, insieme al venerato frammento pittorico della Madonna della febbre di cui da tempo costituiva la preziosa cornice. Quella già straordinaria collezione di manufatti vaticani si arricchiva così di uno dei più alti capolavori di scultura rinascimentale apprezzabile a Roma.

La ravvisabile incoerenza del manufatto con la funzione di tabernacolo mariano, cui era stato adattato, e la qualità altissima almeno di parte del suo apparato scultoreo, ne permisero l'identificazione, solo sul finire dell'Ottocento, con un'opera vaticana del grande maestro toscano ritenuta fino ad allora perduta, di cui rimaneva il puntuale ricordo del Vasari:  "[Donatello] Partissi poi da Fiorenza, et a Roma si trasferì, cercando volere imitare le cose de gli antichi più ch'e' poteva, e quelle studiando, lavorò di pietra in quel tempo un tabernacolo del Sacramento, che oggi dì si truova in San Pietro".

Nel descrivere la sontuosa cappella sacramentale all'interno della biografia di Perin del Vaga, il Vasari lasciò una seconda, preziosa menzione del tabernacolo:  "Stava nel medesimo San Pietro il Sacramento, per lo amor della muraglia, molto poco onorato. Laonde fatti sopra la Compagnia di quello uomini deputati, ordinorono che e' si facesse in mezzo la chiesa vecchia una cappella, et Antonio da San Gallo la fece fare, parte di spoglie di colonne di marmo antiche e parte aggiugnendovi altri ornamenti e di marmi e di bronzi e di stucchi, mettendo un tabernacolo in mezzo di mano di Donatello per più ornamento, e faccendovi un sopra cielo bellissimo con molte storie minute de le figure del Testamento vecchio, figurative del Sacramento".

Con l'avvio del pontificato di Paolo v Borghese (1605-1621) si procedette al definitivo atterramento degli ultimi resti della basilica costantiniana per lasciar spazio al completamento dell'edificio moderno. L'altare sangallesco, al pari dei molti altri sacrari che gremivano l'antica chiesa, venne pertanto sconsacrato e smantellato (1605) subendo la disgregazione e la dispersione dei suoi componenti architettonici e dei suoi arredi. Perduta ormai inevitabilmente la funzione sacramentale, il tabernacolo di Donatello si sottrasse al disuso ospitando, nel corso dei decenni successivi, il miracoloso frammento della Madonna della febbre, anch'esso prelevato dalla basilica antica, seguendone probabilmente le diverse traslazioni tra le Grotte e la Basilica.

Il tabernacolo vaticano presenta la forma di un originale organismo architettonico d'ispirazione classica, restituito in dimensioni ridotte e accessibile tramite un solenne portale timpanato, costituito da uno stilobate decorato su cui svettanti semipilastrini corinzi sostengono un'alta trabeazione a chiusura rettilinea.

Con questa inedita composizione, che  non  ha  mancato, proprio per la sua profonda originalità, di suscitare un certo disorientamento nella critica, Donatello dava forma tangibile alla valenza simbolica della custodia eucaristica come tomba gloriosa di Cristo, raffigurata tradizionalmente in forma di tempio, configurando nel marmo un piccolo edificio che sembra estendersi al di là della parete su cui è applicato un unico fronte.

Le proiezioni laterali, che replicano specularmente a ridosso del muro di fondo il partito architettonico e figurativo del prospetto, svelano apertamente la tridimensionalità illusoria del monumento che si sviluppa su una pianta centrale cruciforme e di fronte al quale doveva in origine disporsi una mensa d'altare, probabilmente dotata di un dossale scolpito.

L'inedita soluzione dell'alto fastigio abitato da angeli, disposti singolarmente sui plinti poggiati alla sommità dei pilastri, applica a questo piccolo organismo lo schema degli attici degli archi di trionfo imperiali. Nel contempo, a enfatizzare la simbologia funeraria del complesso, queste classiche figure alate acquisiscono postura e funzione di reggicortina, come nelle camere mortuarie delle tombe medievali, rivelando così ai fedeli l'emozionante apparizione della scena del Compianto sul Cristo morto, il cui corpo viene gravemente calato in corrispondenza della reale custodia eucaristica, e con cui Donatello lasciò a Roma una prova magistrale del suo celebre stiacciato.


(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2010)
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27/04/2010 01:02
 
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Satana su rotaia

La fede è il mezzo con cui normalmente conosciamo le cose. Non siete d'accordo? No? La mia è solo l'opinione falsa e reazionaria di un cattolico? Allora vi chiedo questo: in quale parte del film "Casablanca" Humphrey Bogart dice la famosa frase "Suonala ancora, Sam?"
Risposta: mai. Non ci credete? Guardate il film...

Altra domanda. E' universalmente noto che
Papa Gregorio XVI vietò a Roma, durante il suo pontificato, i lampioni a gas e la ferrovia. La ferrovia, in particolare, venne da lui definita "satanica".
Bene, e quando lo disse?
"In un'enciclica"
Bene,
ce le abbiamo tutte qui. Quale in particolare?
"Ehm...no, era una bolla".
"Ecco qui
le bolle. Mi sapresti indicare..."
"Dammi un minuto...questo no, neanche questa..."
Mi sapresti almeno dire la frase esatta di condanna?
"La definì infernale. Anzi,
satanica. No, infernale..."
Esatta, avevo chiesto...
"Ah, ecco: all'inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici, la prima strada ferrata italiana! Disse che si trattava di "
Satana su rotaia". Addirittura!"
Che strano. Ferdinando II era ben cattolico, trovo curioso che avesse acconsentito ad una pratica condannata dalla Chiesa. Poi, guarda, una
citazione di un giornale d'epoca:

Dopo questo primo viaggio (prova) fu preparato un altare per la solenne benedizione, e a ciò vi adempì Monsignor Giusti, Vicario di Napoli. Una salva di artiglieria annunziò al pubblico l'adempimento di quell'atto religioso

Non è strano che addirittura il Vicario abbia benedetto ciò che il suo diretto superiore definiva satanico?
"Uh...aspetta, aspetta: ecco qui,
disse "Chemin de fer, chemin d'enfer".
Interessante. Quindi un frate camaldolese sancì la condanna delle diaboliche ferrovie facendo un gioco di parole in francese?

"Sia come sia...intanto tutta Europa ne rideva."
Ah, sì, questo lo scrisse Massimo d'Azeglio, delegato dalla massoneria a propagandare la causa della distruzione della casa pontificia presso i Savoia, in un
saggio sull'ammodernamento dello Stato Pontificio del 1846. Strano però: dice che il Papa non aveva fede nelle ferrovie, ma niente accenni a Belzebù...boh! sarà stato male informato...
"Intanto il Papa scrisse al primo ministro inglese Gladstone
che le ferrovie causavano la tisi...e lo dice addirittura Wiki, figuriamoci!"
Questa un pochettino la trovo diffile da credere. Non fosse altro che, all'epoca della morte di Gregorio,
Gladstone aveva trentacinque anni ed era da poco entrato in politica. Sarà primo ministro per la prima volta 22 anni dopo. Aggiungerò che nella biografia di Gladstone questo aneddoto proprio non si riesce a trovare.
"Però credeva che il motore a vapore fosse opera del demonio! Questo non lo puoi negare! Tutti quei fumi, il fuoco..."
Non si spiega allora come mai
promosse il servizio dei battelli a vapore sul Tevere. E da uno di quei battelli sputacchianti fumo salutava la folla...

"Ma allora, perchè vietò le ferrovie?"
Non le vietò. Semplicemente
non ne autorizzò la costruzione. Una commissione fu istituita nel 1840, ma i progetti presentati erano tutt'altro che vantaggiosi.
Ti ricordo che era scoperta nuova e tutt'altro che sicura; anzi si erano
verificati incidenti anche piuttosto gravi.  Lo Stato pontificio non aveva nè il ferro nè il carbone nè la tecnologia, che si sarebbe dovuta fare arrivare dall'estero; vale a dire quell'Inghilterra che ai cattolici l'aveva giurata e che, qualche anno dopo, finanzierà l'avventura garibaldina. Il costo era spropositato, specie per le magre finanze romane. C'erano dei timori economici, e probabilmente anche politici.
Malgrado ciò, Gregorio ebbe a dire che sicuramente il suo successore avrebbe dovuto metter mano alla faccenda. Di fatto, appena insediato
Pio IX diede il via alle costruzioni che, con alterne vicende, terminarono dieci anni dopo.
Alla morte di Gregorio il totale delle strade ferrate italiane era 260 chilometri. Il Regno di Sardegna - sì, proprio quello degli avanzatissimi Savoia -  non ne aveva alcuna.

"Insomma! Era un bieco oscurantista antiscientifico! E' noto che il cattolico ha paura della scienza, nuove tecnologie, degli avanzamenti nei trasporti!"
Intendi dire delle centrali nucleari, degli OGM, del ponte sullo
Stretto di Messina, della TAV...? 
"Ma...cosa c'entra...ci sono buone ragioni...ragioni..."
Sì?
Allora, dicevamo all'inizio: la fede è il modo con cui si conosce normalmente. Ma credere senza prove, solo basandosi sulla fede in copiaincolla wikipedici scritti da laicisti menzogneri può essere pericoloso...per i creduloni.

PS: in effetti, un uomo di religione contrario alla ferrovia c'è stato. In questo secolo. Si chiamava Gandhi.

Una lettera di berlic




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/05/2010 10:40
 
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Un ushak per il Papa

                                     Un ushak per il Papa thumbnail
By Redazione
Published: maggio 17, 2010

Container Concept Store
via del Carmine 11 a Torino

presenta un iniziativa di

USHAK – Atelier di Meraviglie

&

DE REVIZIIS – Tappetirari.com

*

Sabato 22 Maggio 2010 dalle ore 15.00

UN USHAK PER IL PAPA

Omaggio

della ditta CLASSICAL CARPETS

al Santo Padre nell’anno di ostensione della Sindone.

*

A seguire la presentazione il tappeto per il Papa sarà esposto

nella galleria De Reviziis

in Via del Carmine 8/b

a Torino

Interverranno e condivideranno con il pubblico il racconto di qiuesta iniziativa: Antonietta Altamore titolare di Container Concept store l’Architetto Andrea Pacciani progettista della classical carpets e del tappeto per il papa, Alberto De Reviziis studioso storico del tappeto di Torino, Mario Antonio Colombo esperto e storico del tappeto.

per informazioni:

Tappetirari.com
Expert Rug Traders
Via del Carmine 8/b
10122 Torino
www.tappetirari.com
+390118170662
infotappetirari@tiscali.it

Dal 13° fino al 17 ° secolo, alcuni dei più bei tappeti sono stati annodati in Anatolia centrale, nella zona che oggi conosciamo come la Turchia. Questi tappeti sono stati commercializzati in tutta Europa, e dipinti da molti pittori del Rinascimento, tra cui Lotto, Holbein e Ghirlandaio, i cui nomi oggi usiamo per chiamare alcuni di questi modelli. Le antiche versioni di questi tappeti si trovano nelle più importanti collezioni private e museali. Come la musica classica, o l’architettura classica, questi disegni sono ritenuti come le più alte espressioni di questa arte, nonchè tra le più rare.

La nostra azienda è dedicata al rilancio di questi modelli classici. I nostri tappeti sono annodati a mano da artigiani tessitori dell’ Anatolia centrale, nella stessa città e nei villaggi da cui questi disegni traggono origine, utilizzando lana cardata a mano e coloranti vegetali o minerali naturali. Nella nostra produzione abbiamo voluto includere tutti i dettagli visti nei tappeti antichi, compresa la tintura della lana delle trame e degli orditi, l’abbondante kilim e le lunghe frange. I nostri modelli sono prodotti in edizioni limitate, e, siccome i tappeti sono annodati a mano con lane filate e tinte a mano, ognuno è unico nel suo genere. Facciamo ogni sforzo per assicurare che essi siano tra i più raffinati tappeti della produzione contemporanea nel rispetto della storia e della tradizione di quest’arte.

In aggiunta alla nostra linea standard abbiamo anche la capacità progettuale e la flessibilità produttiva per realizzare tappeti su misura; di solito sono le versioni dei nostri modelli classici che si alternano in dimensione e configurazione della bordura. Siamo inoltre in grado di personalizzare i disegni in altri modi, tra cui la scelta dei colori, le altezze del vello, le finiture, il tutto però sempre in maniera da mantenere l’integrità della tradizione storica di origine di questi modelli.

Noi non facciamo nè “copie”, né nuovi tappeti “originali”, ma produciamo tappeti contemporanei, con disegni classici come fonte d’ispirazione, con una dedizione verso la comprensione e l’apprezzamento di chi ci ha preceduto in questa arte che vogliamo prolungare nella sua identità. Così noi stessi ci sentiamo parte di questa tradizione artigianale, in continuità con qualcosa che è stata tramandata per migliaia di anni, e “Inshallah”, a Dio piacendo, deve andare avanti per altre migliaia di anni. Siamo infinitamente grati in particolare verso tutti coloro che sono stati di sostegno ai nostri sforzi, in particolare a Stefano Ionescu e Alberto Boralevi. Non dobbiamo inoltre mai dimenticare il nostro infinito debito verso gli anonimi designer e annodatori che prima di noi hanno creato e perfezionato questi magici modelli nel passato.

Come oggetti funzionali, come doni di Dio, come manifestazione della ricchezza della natura, come espressione del mondo animale (lana) e vegetale (colori) unita alla forza della fantasia umana, questi tappeti non saranno mai dimenticati. 

Photo © Classical Carpets - www.classicalcarpets.com 


 

Fraternamente CaterinaLD

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29/05/2010 21:07
 
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Nella Cappella di San Pellegrino in Vaticano

La fede dei viaggiatori e il sangue degli eroi


È  stato  presentato  in  Vaticano  presso il Collegio Teutonico, il volume di Giulio Viviani  La  Cappella  di  San  Pellegrino nella Città del Vaticano (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010,  pagine  100, euro  10). Pubblichiamo l'intervento del direttore dei Musei Vaticani.

di Antonio Paolucci

Tra le tante cappelle che popolano i musei, i palazzi e i percorsi vaticani, ce n'è una che porta il titolo di San Pellegrino. Oggi cura il servizio religioso per gli uomini della Gendarmeria, per secoli e fino al 1977, è stata la Cappella della Guardia Svizzera.

Il suo aspetto sia esterno che interno è modesto:  di garbate forme tardo classiche la facciata, relitti di affreschi molto antichi e arredi moderni di varia qualità e provenienza all'interno.
 
Tuttavia questo piccolo luogo sacro che pochi conoscono è carico di storia ed evoca straordinarie suggestioni. Quella del pellegrinaggio prima di tutto. Peregrinus, prete romano evangelizzatore della Gallia nel tardo terzo secolo, è il titolare della cappella e si capisce perché. Per chi veniva dal Nord in viaggio penitenziale ad limina Petri, il primo incontro con Roma avveniva qui.

Proviamo a immaginare i pellegrinaggi medievali (la cappella è testimoniata fin dai tempi di Carlo Magno) quando le moltitudini dei devoti si affacciavano alla Città. Venivano dalla Lombardia e dalla Croazia, dall'Inghilterra e dalla Polonia, avevano percorso la via Cassia da Siena a Bolsena, a Vetralla, a Sutri, e finalmente, dopo centinaia spesso migliaia di chilometri, erano in vista dell'Urbe. Da Monte Mario là dove c'è oggi l'Hilton - Mons Gaudi monte della gioia si chiamava perché da lì si vedeva la meta agognata - di fronte a essi si estendeva la Città Eterna con la basilica di San Pietro, le colonne tortili, la Piramide Cestia, il Colosseo.

Le Mirabilia Urbis erano davanti a loro e questo li compensava della lunga fatica, dei pericoli, delle privazioni, dei disagi del viaggio. Scesi da Monte Mario, prima di entrare in San Pietro, prima di varcare il Tevere, i pellegrini entravano nella cappella che del loro santo patrono porta il nome. Qui ringraziavano il Signore per il buon esito della loro avventura, qui negli ospizi e nelle infermerie annesse trovavano accoglienza e conforto:  un pasto caldo e un giaciglio, cure per i malati, consigli per la visita alle basiliche, alla Scala Santa, alle infinite prodigiose reliquie di cui brulicavano le chiese di Roma.

In ginocchio di fronte al Cristo Pantocratore affrescato nel catino absidale e oggi dopo infinite ridipinture e restauri ridotto all'ombra dell'ombra di quello che era, i cristiani d'Italia e d'Europa capivano che la felicità è la fine del viaggio, che il viaggio è metafora della vita, che il Paradiso attende ogni credente sotto il cielo.

Altre vicende evoca la Cappella di San Pellegrino. Per secoli è stato il luogo di culto della Guardia Svizzera, il corpo armato a difesa della persona del Pontefice che Giulio ii istituì nel 1506. Le pareti sono gremite di affreschi con il nome e lo stemma dei capitani della guardia. Ce n'è uno che mi ha colpito in maniera speciale. La persona ricordata è il capitano Gaspare Rost. L'iscrizione in latino recita cecidit fortiter pugnans in illa infelici urbis direptione pridie non. madii anno 1527.

Ed ecco improvvisamente evocato il terribile maggio del 1527, il Sacco di Roma. Quattordicimila lanzichenecchi, in buona parte luterani, guidati da Georg Frundesberg, danno l'assalto ai Palazzi Apostolici. A difenderli ci sono centoquarantasette Svizzeri. Fu uno scontro feroce all'arma bianca; picca contro picca, spada e pugnale contro spada e pugnale. Al termine della macelleria atroce tutti gli Svizzeri del Papa erano morti.

Fra gli altri anche il capitano Gaspare Rost che si era immolato con i suoi soldati per permettere a Papa Clemente vii di ritirarsi con la sua corte nell'inespugnabile Castel Sant'Angelo. Ora che la storia e gli arredi della Cappella di San Pellegrino sono affidati a una pubblicazione piccola e preziosa curata da monsignor Giulio Viviani per i tipi della Editrice Vaticana, mi piace ricordare, fra tutti, Gaspare Rost.


(©L'Osservatore Romano - 30 maggio 2010)
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16/06/2010 18:23
 
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Inventariato l'archivio dei canonici del Laterano

Quando cominciarono a pagare le ferie


Il 16 giugno viene presentato all'École française di Roma il volume di Louis Duval-Arnould Le pergamene dell'Archivio capitolare Lateranense. Inventario della serie Q e Bollario della chiesa Lateranense (Roma, Archivio capitolare Lateranense, 2010, pagine 418, euro 40).

di Agostino Paravicini Bagliani
 

L'archivio dei canonici del Laterano conserva una delle più importanti collezioni di documenti originali esistenti a Roma. Da tempo gli studiosi attendevano di poter disporre di uno strumento che facilitasse loro l'accesso a una raccolta documentaria di ampie dimensioni e che riguarda la storia della cattedrale del vescovo di Roma e del collegio dei canonici preposto dagli ultimi secoli del medioevo in poi all'organizzazione della sua vita liturgica. L'opera di inventariazione delle pergamene svolta dal canonico lateranense Louis Duval-Arnould, già scrittore della Biblioteca Vaticana e autore di innumerevoli studi su problemi di storia religiosa del periodo medievale, colma quindi una lacuna importante e costituisce un sicuro modello del genere per grandi istituzioni canoniali pontificie e romane.

L'inventario si compone di tre grandi parti, comprendenti l'inventario delle pergamene secondo l'ordine con cui erano state classificate nel 1763 dal grande erudito e scrittore della Biblioteca Vaticana Pier Luigi Galletti; l'inventario a 75 iniziato sotto Bonifacio VIII (il Papa che trasformò l'istituzione lateranense da un collegio di canonici regolari in un collegio di canonici secolari) e il registro a 31, rifatto dopo il 1508 e contenente ottantasei bolle pontificie nonché documenti del re di Francia Luigi XI.

Nel 1483, Luigi XI aveva concesso al capitolo lateranense dei diritti sull'abbazia di Clairac. Quando il re di Francia Enrico IV, nel 1604, li confermò, i canonici fecero erigere una statua all'effigie del re di Francia che si vide attribuire il titolo di "canonico d'onore", che ora viene regolarmente conferito ai presidenti della Repubblica francese.

Non tutti i documenti relativi alla basilica del Laterano e a suo capitolo canoniale sono oggi conservati all'Archivio Lateranense, ma sono dispersi presso la Casa generalizia dei Canonici regolari del Laterano a San Pietro in Vincoli. Altri ancora si trovano a Firenze, all'Archivio di Stato, nel fondo del monastero di San Bartolomeo dei Rocchettini di Fiesole.

Le pergamene conservate al Laterano non interessano soltanto l'istituzione canoniale o la basilica ma un gran numero di istituzioni religiose cui erano legate o da cui dipendevano, come il priorato di canonici regolari San Tommaso di Ascoli, l'abbazia benedettina di San Pietro di Ferentillo, l'abbazia di Santa Maria della Gloria ad Anagni, appartenente all'ordine di Gioacchino da Fiore o ancora l'abbazia benedettina di Saint-Pierre de Clairac. Uno dei principali interessi di questa grande opera di inventariazione non consiste dunque nel rivelare le pergamene relative alla basilica e ai canonici del Laterano ma di aprire nuove prospettive di studio su un gran numero di istituzioni monastiche ed ecclesiali.

L'inventario delle pergamene che ora presenta Louis Duval Arnould mette perfettamente in evidenza i punti forti che scandiscono cronologicamente le relazioni tra il papato, la basilica e i canonici del Laterano, in particolare nel XIi secolo, sotto il pontificato di Bonifacio VIII, il lungo periodo in cui i Papi risiedono ad Avignone ma anche per il periodo moderno, fino al Seicento. Sono documenti che rispecchiano i grandi problemi ecclesiali, politici, istitituzionali della basilica che nel medioevo fu definita la madre di tutte le Chiese della Cristianità, un primato che Papa Gregorio XI confermò nel 1377, al suo ritorno a Roma.

Importanti sono anche i documenti che testimoniano della vita interna del capitolo. Con una lettera del 3 settembre 1299, Bonifacio VIII permise, ad esempio, ai canonici di poter percepire i loro benefici anche se assenti nei mesi di luglio, agosto e settembre. Si tratta di un documento che testimonia del fatto che fin dall'inizio del Duecento, ossia dal pontificato di Innocenzo iii (1198-1216) in poi, la curia romana, e quindi anche i canonici del Laterano, usavano passare i mesi estivi in una delle città dello Stato pontificio, anche per evitare la malaria che imperversava a Roma nei mesi caldi. Non a caso l'autore di una delle più interessanti guide della Roma medievale, Maesto Gregorio, definì, intorno al 1230, il palazzo del Papa al Laterano "Palazzo d'inverno".

Nell'indice cronologico delle pergamene redatto dall'autore l'occhio non può non cadere sull'anno 1308, per il quale vengono elencati ben undici documenti. Il fatto è che la basilica del Laterano fu distrutta nella notte del 6 maggio 1308 da un terribile incendio (tutti i documenti del 1308 qui inventariati sono del mese di agosto). Papa Clemente v risiedeva allora ad Avignone e si preoccupò subito di farla ricostruire, ma i lavori furono terminati soltanto sotto il suo successore, Giovanni xXIi. L'indice cronologico non contiene invece documenti che portano la data del 1361, anno in cui la basilica subirà un altro incendio e fu di nuovo restaurata dal Pontefice regnante, Urbano v, che ne affidò il lavoro all'architetto Giovanni Stefani.

Da sottolineare l'interesse della documentazione per la cappella San Lorenzo ad Sancta Sanctorum o San Lorenzo in Palatio nella quale il Papa usava celebrare, da solo, il Giovedì Santo, e che custodiva una delle più preziose raccolte di reliquie ora conservate ai Musei Vaticani, tra le quali l'icona dell'immagine acheropita del Redentore che veniva portata regolarmente in processione dai Papi. La storia di questa cappella - uno dei gioielli artistici della capitale della cristianità - attende ancora studi più completi, soprattutto per il periodo moderno.

I documenti qui inventariati si rivelano preziosi anche per la storia della Società della Sacra Immagine del Salvatore e dell'Ospedale Sant'Angelo appartenente a questa confraternita romana.


(©L'Osservatore Romano - 17 giugno 2010)

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Il crollo nei Musei Vaticani

Una notizia deludente


di Antonio Paolucci


Nella notte fra il 7 e l'8 giugno scorsi circa duecento metri quadri di controsoffitto hanno ceduto nella Sala Polifunzionale dei Musei Vaticani.

Bisogna prima spiegare che cos'è la Sala Polifunzionale. È uno spazio coperto sopraelevato che, in prossimità dell'ingresso, è stato progettato e realizzato dieci anni fa in occasione del Grande Giubileo. Doveva servire e ancora serve per ospitare mostre (il "Laocoonte", nel 2006, "Astrum" l'anno scorso, le "Oreficerie" dell'Aquila scampate al terremoto l'ultima esposizione, rimasta aperta al pubblico fino al 31 maggio scorso) oppure raduni del personale, attività didattiche e così via. Da ciò il titolo "polifunzionale".

Il soffitto collassato è di cartongesso, e quindi è improbabile che qualcuno si possa fare seriamente male anche se gli cadesse in testa. Nessun danno in ogni caso hanno subito le oreficerie e gli arredi che erano esposti in quella zona.

Mi rendo conto che così com'è la notizia è deludente. Ben altro effetto mediatico avrebbe il crollo di un bel soffitto storico magari con stucchi di Daniele da Volterra e affreschi di Federico Zuccari. In realtà i Musei del Papa sono saldissimi. Portano nelle loro vecchie ossa parecchi secoli, sono percorsi (e consumati) ogni anno da quattro milioni e mezzo di persone (nove milioni di piedi che strisciano, nove milioni di mani che toccano o possono toccare) eppure continuano a fare egregiamente il loro mestiere.

Evidentemente fanno meno bene il loro mestiere i materiali messi in opera dieci anni fa; il controsoffitto della Sala Polifunzionale e anche quello della moderna aula d'ingresso ora interessato da una attenta sistematica revisione, subito disposta.

Resta il mistero dei segni. Perché le oreficerie delle povere Chiese dell'Aquila e provincia hanno subito due terremoti a meno di un anno di distanza l'uno dall'altro? Vero e devastante il primo, simbolico e virtuale il secondo? Un giorno, come ci insegna san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi (nunc videmus per speculum et in enigmate) lo capiremo.


(©L'Osservatore Romano - 17 giugno 2010)
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03/07/2010 01:24
 
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Realizzata tra il palazzo del Governatorato e l'abside della basilica Vaticana, sarà inaugurata dal Papa lunedì 5 luglio

La centesima fontana della Città del Vaticano


di Pier Carlo Cuscianna


Un mormorio d'acqua, un frusciare di foglie, il lento e armonico dispiegarsi di storie che si srotolano come antichi manoscritti, nascendo dalla nuda pietra quasi per il ripetersi di un miracolo. Sono queste le suggestioni e i motivi ispiratori alla base della progettazione della nuova fontana - la centesima della Città del Vaticano - che il cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato, ha voluto dedicare a san Giuseppe e che sarà inaugurata da Benedetto XVI lunedì 5 luglio.

Il progetto, redatto dal vice direttore dei Servizi tecnici del Governatorato, l'architetto Giuseppe Facchini, con la collaborazione dell'architetto Barbara Bellano, dell'ufficio studi e progetti, e la supervisione del direttore dei Servizi tecnici, si sviluppa attraverso la rielaborazione di forme semplici e sinuose che richiamano, per certi aspetti, l'immediatezza e la naturalità compositiva della corolla di un fiore. L'opera è stata sponsorizzata per la quasi totalità dai Patrons of the Arts of the Vatican Museums, a cui si sono aggiunti la provincia di Trento, i comuni trentini di Carisolo, Giustino e Pinzolo, e alcune ditte della stessa provincia. Alla loro generosità si è anche associato il piccolo monastero giapponese delle suore di San Giuseppe, a Kyoto.

Sullo sfondo dello scorcio prospettico delimitato dal palazzo del Governatorato, a sinistra, e dalla maestosità dell'abside della basilica Vaticana, sul lato destro, al di sotto di una delle ultime propaggini dei Giardini Vaticani, due grandi vasche ellittiche si compenetrano - una delle due più piccola e leggermente sopraelevata rispetto alla maggiore - raccogliendo l'acqua che sgorga da una spaccatura della roccia di un'aspra scogliera, così simile, nella sua aridità, ai petrosi paesaggi dei luoghi del Vangelo.

Dalla durezza della roccia si leva, quale "germoglio di ceppo fecondo", una verde e piccola palma, anch'essa così iconograficamente vicina alla terra di Palestina, che con la sua ombra sembra proteggere o aggiungere freschezza all'acqua che sgorga. Dalla parte posteriore delle vasche, quasi scaturendo anch'essi da un punto di germinazione proprio della scogliera di roccia, si svolgono dei muretti di diversa altezza curvilinei e tra loro paralleli che, proprio grazie alla sinuosità che li contraddistingue, sembrano perdere quasi la durezza e la pesantezza della materia che li compone per somigliare, appunto, ai petali di una sconosciuta efflorescenza. Abbracciano le due vasche ellittiche creando, nello spazio che intercorre tra essi e le vasche stesse, un percorso, una cordonata che ascende fino a raggiungere e a toccare la fonte.

Questo spazio di ascesa curvilineo è pavimentato con cubetti di basalto che creano un contrasto di colore con quello dell'intera fontana. Due di questi muretti, rivestiti di tonalite - una roccia intermedia tra il granito e la diorite - si prolungano simmetricamente ai due lati della fontana arricciandosi quasi come viticci. Ma questi muretti non richiamano soltanto l'immagine dei petali:  rappresentano anche, e soprattutto, i fogli, gli antichi rotoli di cui si diceva, che raccontano, con la lingua universale dell'arte, una storia:  quella di Giuseppe.

Sei pannelli, sei scene. Ciascuna di esse racconta un episodio evangelico che riguarda lo sposo della Vergine Maria. E soltanto sei pannelli bastano a raccontare la breve vita di un uomo che scompare dopo aver compiuto, con silenziosa obbedienza, la sua missione di padre, secondo la legge:  il matrimonio con Maria, il primo sogno di Giuseppe, la nascita di Gesù, la fuga in Egitto, Gesù al tempio, Gesù nella bottega di Giuseppe artigiano. Singole scene, episodi e descrizioni tratte dai Vangeli di Matteo e Luca che sono diventate immagini, volti e figure fuse nel bronzo grazie all'opera dello scultore bellunese Franco Murer, già autore di due medaglie commemorative per Giovanni Paolo i e di una Via Crucis in bronzo collocata a Canale d'Agordo, il paese del bellunese che ha dato i natali a Papa Luciani. Murer è risultato il vincitore di un concorso che ha coinvolto cinque artisti selezionati in base alle loro caratteristiche e al loro percorso professionale.

Dal punto di vista prettamente tecnico le due vasche sono state realizzate con blocchi di tonalite, perfettamente sagomati secondo le indicazioni progettuali e poi assemblati insieme con l'ausilio di resine epossidiche. In seguito è stata effettuata la perfetta stuccatura dei giunti mediante una malta ottenuta mescolando la polvere di tonalite a resine speciali. Tutta la pietra servita alla realizzazione della fontana è stata fornita, lavorata e assemblata dalla ditta Pedretti Graniti, che ha utilizzato le più moderne tecnologie di taglio con apparecchiature controllate elettronicamente allo scopo di avere pezzi perfettamente combacianti. I muretti sono invece stati realizzati con la tecnica consueta del calcestruzzo armato rivestito poi con listelli di pietra. Tutto il sistema idraulico della nuova fontana è stato progettato dall'ufficio laboratori e impianti del Governatorato, che ne ha curato anche tutte le fasi relative alla realizzazione.

Sul lato destro della fontana, incastonata nella pietra grezza della scogliera che la circonda, una targa in travertino con la dedica a Benedetto XVI (ne pubblichiamo il testo a parte). Dal lato opposto della stessa scogliera un'altra targa di pietra di Trani riporta i nomi di tutti gli sponsor della provincia di Trento e, sul prato antistante la fontana, è posta la targa con i nomi dei donatori dei Patrons of the Arts:  Michael e Dorothy Hintze, e Robert Castrignano.

Ai piedi della fontana, in corrispondenza dell'asse principale, è stato inserito lo stemma di Benedetto XVI, realizzato con intarsi di marmo colorato nella pavimentazione. A destra di quest'ultimo è stato inserito lo stemma del cardinale Lajolo mentre, sul lato sinistro, una targa con lo stemma del Governatorato. Un'ultima scritta, posta sulla parte interna del muretto di sinistra, dove inizia il percorso di lettura dei pannelli della fontana, riporta le parole del libro della Genesi (49, 22):  "Germoglio di ceppo fecondo è Giuseppe; germoglio di ceppo fecondo presso una fonte; i cui rami si stendono sul muro".

Per far conoscere l'immenso patrimonio artistico e culturale che si trova nei monumenti d'acqua della Città del Vaticano la direzione dei Servizi tecnici celebrerà l'occasione della centesima fontana con la pubblicazione di una collana di tre volumi, che usciranno a cadenza annuale:  il primo su Fontane nei Viali e nel Bosco, il secondo su Fontane nei Palazzi e Monumenti, il terzo su Fontane nelle Piazze e nei Giardini.
 

La targa con la dedica a Benedetto XVI


benedicto XVI in petri apostoli munere successori cui in baptismali fonte sanctus joseph tutelaris caelitus est datus hinc fons in honorem eiusdem deiparae virginis mariae sponsi sacrae familiae custodis ecclesiaeque universae tutoris necnon opificum patroni civitas vaticanae centesimus liberalitate praesertim vaticanis in museis artium fautorum dono dicatur die V julii a.d. MMX pont. VI

Questa una traduzione italiana del testo latino.

A Benedetto XVI, successore dell'apostolo Pietro, al quale nel fonte battesimale san Giuseppe è stato dato come celeste patrono, questa fontana in onore dello sposo della Vergine Maria madre di Dio, custode della Sacra famiglia, protettore della Chiesa universale e patrono dei lavoratori, centesima della Città del Vaticano, offerta in dono soprattutto dalla generosità dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums, il 5 luglio dell'anno del Signore 2010, sesto del pontificato.


(©L'Osservatore Romano - 3 luglio 2010)


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Signori e Signore
!

E’ per me motivo di gioia inaugurare questa fontana nei Giardini Vaticani, in un contesto naturale di singolare bellezza. E’ un’opera che va ad incrementare il patrimonio artistico di questo incantevole spazio verde della Città del Vaticano, ricco di testimonianze storico-artistiche di varie epoche. Infatti, non solo i prati, i fiori, le piante, gli alberi, ma anche le torri, le casine, i tempietti, le fontane, le statue e le altre costruzioni fanno di questi Giardini un unicum affascinante.

Essi sono stati per i miei Predecessori, e sono anche per me uno spazio vitale, un luogo che volentieri frequento per trascorrere un po’ di tempo in preghiera e in serena distensione.

Nel rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, desidero manifestare viva riconoscenza per questo dono, che mi avete offerto, dedicandolo a san Giuseppe. Grazie per questo delicato e cortese pensiero! E’ stata un'impresa impegnativa, che ha visto la collaborazione di molti. Ringrazio anzitutto il Signor Cardinale Giovanni Lajolo anche per le parole che mi ha rivolto e per l'interessante presentazione dei lavori svolti. Con lui ringrazio l’Arcivescovo Mons. Carlo Maria Viganò e il Vescovo Mons. Giorgio Corbellini, rispettivamente Segretario Generale e Vice-Segretario Generale del Governatorato. Esprimo vivo apprezzamento alla Direzione dei Servizi Tecnici, al progettista e allo scultore, ai consulenti e alle maestranze, con un pensiero speciale per i Coniugi Hintze e per il Signor Castrignano, di Londra, che hanno generosamente finanziato l'opera, come pure per le Suore del Monastero di San Giuseppe in Kyoto. Una parola di gratitudine alla Provincia di Trento, ai Comuni e alle Ditte trentine, per il loro contributo.

Questa fontana è intitolata a san Giuseppe, figura cara e vicina al cuore del Popolo di Dio e al mio cuore.

I sei pannelli di bronzo che la impreziosiscono, evocano altrettanti momenti della sua vita. Desidero brevemente soffermarmi su questi. Il primo pannello rappresenta lo sposalizio tra Giuseppe e Maria; è un episodio che riveste grande importanza.

Giuseppe era della stirpe reale di Davide e, in virtù del suo matrimonio con Maria, conferirà al Figlio della Vergine – al Figlio di Dio – il titolo legale di "figlio di Davide", adempiendo così le profezie. Lo sposalizio di Giuseppe e Maria è, perciò, un evento umano, ma determinante nella storia di salvezza dell’umanità, nella realizzazione delle promesse di Dio; ha perciò anche una connotazione soprannaturale, che i due protagonisti accettano con umiltà e fiducia.

Ben presto per Giuseppe arriva il momento della prova, una prova impegnativa per la sua fede. Promesso sposo di Maria, prima di andare a vivere con lei, ne scopre la misteriosa maternità e rimane turbato.

L’evangelista Matteo sottolinea che, essendo giusto, non voleva ripudiarla, pertanto decise di licenziarla in segreto (cfr Mt 1,19). Ma in sogno – come è raffigurato nel secondo pannello - l’angelo gli fece comprendere che ciò che avveniva in Maria era opera dello Spirito Santo; e Giuseppe, fidandosi di Dio, acconsente e coopera al piano della salvezza. Certo, l’intervento divino nella sua vita non poteva non turbare il suo cuore.

Affidarsi a Dio non significa vedere tutto chiaro secondo i nostri criteri, non significa realizzare ciò che noi abbiamo progettato; affidarsi a Dio vuol dire svuotarsi di sé, rinunciare a se stessi, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere "giusto" come san Giuseppe, può conformare, cioè, la propria volontà a quella di Dio e così realizzarsi.

Il Vangelo, come sappiamo, non ha conservato alcuna parola di Giuseppe, il quale svolge la sua attività nel silenzio. E’ lo stile che lo caratterizza in tutta l’esistenza, sia prima di trovarsi di fronte al mistero dell’azione di Dio nella sua sposa, sia quando - consapevole di questo mistero – è accanto a Maria nella Natività - rappresentata nella terza formella. In quella santa notte, a Betlemme, con Maria e il Bambino, c’è Giuseppe, al quale il Padre Celeste ha affidato la cura quotidiana del suo Figlio sulla terra, una cura svolta nell’umiltà e nel silenzio.

Il quarto pannello riproduce la scena drammatica della Fuga in Egitto per sottrarsi alla violenza omicida di Erode. Giuseppe è costretto a lasciare la sua terra con la sua famiglia, in fretta: è un altro momento misterioso nella sua vita; un’altra prova in cui gli è richiesta piena fedeltà al disegno di Dio.

Poi, nei Vangeli, Giuseppe appare solo in un altro episodio, quando si reca a Gerusalemme e vive l’angoscia di smarrire il figlio Gesù. San Luca descrive l’affannosa ricerca e la meraviglia di ritrovarlo nel Tempio – come appare nella quinta formella -, ma ancor più lo stupore di sentire le misteriose parole: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49). E’ questa duplice domanda del Figlio di Dio che ci aiuta a capire il mistero della paternità di Giuseppe. Ricordando ai propri genitori il primato di Colui che chiama "Padre mio", Gesù afferma il primato della volontà di Dio su ogni altra volontà, e rivela a Giuseppe la verità profonda del suo ruolo: anch’egli è chiamato ad essere discepolo di Gesù, dedicando l'esistenza al servizio del Figlio di Dio e della Vergine Madre, in obbedienza al Padre Celeste.

Il sesto pannello rappresenta il lavoro di Giuseppe nell’officina di Nazaret. Accanto a lui ha lavorato Gesù. Il Figlio di Dio è nascosto agli uomini e solo Maria e Giuseppe custodiscono il suo mistero e lo vivono ogni giorno: il Verbo incarnato cresce come uomo all’ombra dei suoi genitori, ma, nello stesso tempo, questi rimangono, a loro volta, nascosti in Cristo, nel suo mistero, vivendo la loro vocazione.

Cari fratelli e sorelle, questa bella fontana dedicata a san Giuseppe costituisce un simbolico richiamo ai valori della semplicità e dell’umiltà nel compiere quotidianamente la volontà di Dio, valori che hanno contraddistinto la vita silenziosa, ma preziosa del Custode del Redentore. Alla sua intercessione affido le attese della Chiesa e del mondo. Insieme alla Vergine Maria, sua sposa, egli guidi sempre il mio e il vostro cammino, affinché possiamo essere strumenti gioiosi di pace e di salvezza.






Pope Benedict XVI waves during an unveiling ceremony for a new fountain dedicated to him in the Vatican Gardens at the Vatican July 5, 2010.

Pope Benedict XVI (C) waves from atop a hill inside Vatican's City gardens during the inaguration of a new fountain on July 5, 2010.

Pope Benedict XVI is sheltered from the sun as he walks during an unveiling ceremony for a new fountain dedicated to him in the Vatican Gardens at the Vatican July 5, 2010.Pope Benedict XVI is sheltered from the sun as he walks during an unveiling ceremony for a new fountain dedicated to him in the Vatican Gardens at the Vatican July 5, 2010.

Pope Benedict XVI is sheltered from the sun as he walks during an unveiling ceremony for a new fountain dedicated to him in the Vatican Gardens at the Vatican July 5, 2010.Pope Benedict XVI is sheltered from the sun as he walks during an unveiling ceremony for a new fountain dedicated to him in the Vatican Gardens at the Vatican July 5, 2010.



[Modificato da Caterina63 05/07/2010 14:26]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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"Affidarsi a Dio non significa realizzare ciò che noi abbiamo progettato"; ma "svuotarsi di sé, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere ''giusto'' come san Giuseppe".

Lo ha sottolineato oggi Benedetto XVI, inaugurando una nuova fontana nei Giardini Vaticani, intitolata a San Giuseppe. "Questa bella fontana -- ha chiarito -- costituisce un simbolico richiamo ai valori della semplicità e dell''umiltà nel compiere quotidianamente la volontà di Dio, valori che hanno contraddistinto la vita silenziosa, ma preziosa del Custode del Redentore".

Devozione al Santo falegname di Nazaret e omaggio a Benedetto XVI sono, quindi, gli elementi che hanno ispirato la realizzazione dell''opera [SM=g1740722]

it.gloria.tv/?media=86074


[SM=g1740717]

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Settant'anni fa monsignor Tardini previde questo articolo

Dalla barca di Pietro
alla flotta vaticana


di Mario Ponzi

Un mare anche per il Vaticano, ovviamente un "mare nel cassetto". Il cassetto è quello di un ufficio del Governatorato. Contiene addirittura un porto. Il porto del Vaticano. Nulla a che vedere con quello di Ripetta, sul Tevere, ormai solo un lontano ricordo dello Stato pontificio.

Qui si parla di un porto che nessuno ha mai visto. Insomma c'è, ma non si vede. Eppure lo è a tutti gli effetti e con tutti i valori che il diritto internazionale di navigazione marittima riconosce a un porto, ovunque sia.


Le prime tracce si trovano tra le carte dell'Archivio internazionale della navigazione, dove si fa riferimento a una non meglio precisata flotta dello Stato della Città del Vaticano, e la conferma in un documento ufficiale della Sede Apostolica. Effettivamente dunque lo Stato ha il suo porto. È rimasto però sulla carta, quella del decreto della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, numero lXVIi, che reca il titolo La navigazione marittima sotto bandiera dello Stato della Città del Vaticano. Compare negli "Acta Apostolicae Sedis" del 15 settembre 1951, numero 1o, anno xii, nella sezione supplementare per le leggi e le disposizioni dello Stato.

Nell'articolo 1 del testo si legge chiaramente che "ai trasporti per via marittima di persone o cose dirette alla Città del Vaticano o da questa provenienti possono essere adibite navi appartenenti allo Stato, a cittadini vaticani o a enti vaticani debitamente autorizzati dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano". L'articolo 2 stabilisce che "essendo la direzione e l'amministrazione del servizio dei trasporti marittimi del Vaticano esercitate dal Governatorato in apposito ufficio" di conseguenza "il detto ufficio costituisce il porto d'iscrizione delle navi vaticane. Esso provvede altresì alla tenuta del registro navale".

Nessun dubbio dunque, il porto vaticano esiste, anche se rinchiuso in una vecchia scrivania nei piani alti del Palazzo del Governatorato.

Del resto nel preambolo della convenzione sulla libertà di transito, siglata a Barcellona il 20 aprile 1921 (codice indicativo SR.0.740.4) e nell'atto finale della stessa conferenza indetta dalla Società delle Nazioni nella città spagnola - 1923, n. 228 nell'edizione in lingua francese, una delle due lingue ufficiali della conferenza; l'altra lingua era l'inglese - si legge:  "I sottoscritti, debitamente autorizzati a questo scopo, riconoscono la bandiera di qualsiasi Stato sprovvisto di litorale marittimo, quando sono registrate in un luogo determinato situato sul loro territorio, questo luogo costituirà porto di registrazione per le sue navi". La possibilità per il Vaticano di avere uno sbocco al mare dunque fu sancita dalla dichiarazione di Barcellona, prima ancora dei Patti Lateranensi.

Ne venne fatto nuovo cenno nel 1927, quando vennero indicate due località per la possibile collocazione del porto:  una zona nei pressi della Torre Clementina a Fiumicino o, in alternativa, un tratto di costa dell'alto Lazio compreso tra Torre Flavia, vicino a Ladispoli, e Civitavecchia.

Non se ne è più parlato sino a quando, con il decreto del 1951 della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, si è voluto dare seguito alla norma contenuta nella dichiarazione e si è voluto comunque compiere tutti gli adempimenti necessari a mettere lo Stato in grado di varare una sua ipotetica flotta, o comunque di consentire la navigazione a navi battenti bandiera vaticana.
 
Non risulta che, nei tempi moderni, una nave vaticana, o comunque battente bandiera vaticana, abbia mai solcato i mari. Si ha notizia tuttavia che siano state avanzate diverse richieste di poter utilizzare la bandiera vaticana per missioni in mare. La prima sarebbe stata quella di un frate francescano, missionario tra i sampang di Hong Kong.
 Voleva inalberare bandiera bianca e gialla, con le simboliche chiavi, perché riteneva che la sua missione avrebbe così acquistato maggiore credibilità e sarebbe stata più protetta. La domanda non sarebbe stata accolta dall'"ammiragliato" vaticano, perché non sarebbe stato ritenuto opportuno creare un precedente per possibili tentativi di "coinvolgere la sede di Pietro nei traffici che con grande facilità si intrecciano nei mari d'Oriente".

Risulta anche che alla Santa Sede fu proposto di armare una sua flotta. Accadde durante l'ultima guerra mondiale. Certo l'idea non era quella di rispolverare il ricordo dei tempi in cui le navi del Papa, per ordine di Niccoló v (1447-1455), andavano per mare sin quasi alle porte di Costantinopoli, che stava per cadere. Si pensava, al contrario, a una missione per alleviare le sofferenze delle popolazioni europee sconvolte dalla guerra, secondo una delle preoccupazioni che principalmente assillavano Pio xii.
 
Il suggerimento, accompagnato dall'offerta delle navi, era venuto dal maresciallo Petain, presidente della Repubblica collaborazionista francese di Vichy. "Le potenze marittime - si legge in una lettera di richiesta da lui inviata a Papa Pacelli, e successivamente resa pubblica da alcune testate giornalistiche - crediamo che non ostacolerebbero una flotta neutrale, sotto una bandiera universalmente venerata, che trasportasse, dai continenti americani, i viveri e le medicine di cui l'Europa ha tanto bisogno".

Anche in questo caso non se ne fece nulla. Il Papa fu sconsigliato dall'imbarcarsi in simile avventura da monsignor Domenico Tardini, segretario della Sacra Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari.

Stando ai racconti del tempo, Tardini, chiosando la proposta pervenuta a Pio xii con il suo consueto e disarmante sarcasmo, avrebbe esclamato:  "E perché no?!? Ci manca solo che indiciamo un concorso per nominare un ammiraglio e un articolo de "L'Osservatore Romano" con un bel titolo, che potrebbe suonare così "Dalla barca di Pietro alla flotta vaticana"".

Anche se mai fu messa in mare un'imbarcazione battente bandiera dello Stato della Città del Vaticano, tuttavia tutto è pronto e stabilito nel caso di un ipotetico varo. Dalle caratteristiche che dovrebbero avere le navi, alle specificità delle conoscenze dell'ammiraglio, alle competenze dei marinai, per finire con la stesura del "diritto marittimo Vaticano".

Per le navi nulla è lasciato al caso. Una volta riconosciute "idonee alla navigazione" (articolo 7 del decreto numero lXVIi), saranno distinte "ciascuna da un proprio nome, approvato dalla Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano"; dovrà essere scritto a poppa e a prua in modo che sia "ben visibile" e sotto dovrà comparire la dicitura "Città del Vaticano" (articolo 8); la bandiera dovrà essere "inalberata sull'albero maestro" e sui fianchi dovrà esserci "lo stemma ufficiale dello Stato vaticano". E, sempre per non lasciare nulla al caso, è stabilito anche che le imbarcazioni "appartenenti allo Stato sono sempre considerate territorio dello Stato"; così come quelle appartenenti ai privati, ma battenti bandiera vaticana "sono anch'esse considerate, in alto mare, territorio dello Stato" (articolo 13).

Quanto all'ammiraglio, o al comunque comandante della nave dello Stato vaticano, avrebbe gli stessi poteri di un qualsiasi collega della marina italiana, statunitense o francese che sia:  "Presiede all'applicazione del diritto internazionale di navigazione con gli annessi doveri; cura il giornale di bordo; esercita, durante la navigazione, tutti i poteri di polizia e di disciplina su tutti quanti sono a bordo; riferisce di qualsiasi cosa sia avvenuta sulla nave al rappresentante della Santa Sede nel porto di approdo" e così via.

Figura immancabile nella "flotta vaticana" è quella del cappellano. A tale proposito recita così l'articolo 17 del Titolo 3:  "Su ogni nave e per ogni viaggio un sacerdote esercita la funzione di cappellano" e "prende il posto gerarchicamente subito dopo il comandante" (articolo 18). La ciurma dovrà essere reclutata dall'armatore, ma dovrà anche ricevere l'approvazione del governatore dello Stato "il quale può, senza obbligo di addurne i motivi, esigere che sia eliminato qualche elemento".

Per quanto attiene alle fonti del diritto marittimo vaticano, esse si rifanno in toto alle leggi internazionali. In materia penale il riferimento invece è l'apposita legislazione vigente nello Stato della Città del Vaticano. Sono state varate anche disposizioni particolari, come per esempio quelle del Titolo vii che prevedono pene "per chiunque, senza averne diritto, inalbera bandiera vaticana sul mare", passibile di arresto e detenzione "da uno a cinque anni con multa il cui ammontare non supera il valore della nave" (articolo 28), e per "chiunque, pur avendo il diritto di inalberare bandiera vaticana, applica abusivamente sulla nave lo stemma ufficiale dello Stato", punibile con "la reclusione fino a due anni e multa fino a un milione e cinquecentomila lire" (articolo 29).

Nelle disposizioni non è fatto invece alcun cenno alla cittadinanza che devono avere comandante e marinai, come per esempio capita per la Guardia Svizzera Pontificia. Quindi, in teoria, sarebbe anche possibile reclutare un equipaggio multietnico. Un problema che comunque per ora non si pone, visto che l'unica barca in acqua in questo momento appartenente al Vaticano, è la galea in ferro battuto, opera attribuita a Giovanni Vasanzio, risalente al XVIi secolo, che dà forma ad una caratteristica fontana situata nei giardini Vaticani.

Per il resto tutto è in quel cassetto del Governatorato, così come recitano i versi di una nota canzone degli anni Sessanta:  "Vieni a vedere il mio mare, io lo tengo nel cassetto. Una conchiglia, due stelle, tre gocce di mare blu, un cavalluccio marino, un sasso color del sole...". I meno giovani la ricorderanno, fu interpretata per la prima volta al festival di Sanremo, edizione 1961 da due famosi cantanti (Milva e Gino Latilla). Ottenne un discreto successo, non fosse altro per l'originalità del testo. Però "un tuffo dove l'acqua è più blu", come cantava Lucio Battisti, per i cittadini vaticani resta ancora un sogno. Lontano.



(©L'Osservatore Romano - 11 luglio 2010)
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10/07/2010 22:21
 
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Vaticano: bilancio 2009 ancora rosso, ma migliora dopo crisi

Anche per citta' pontificia deficit di quasi 8 milioni euro


CITTA' DEL VATICANO

Sia per la Santa Sede, con tutti i sui dicasteri, sia per il Governatorato della Citta' del Vaticano i conti del bilancio consuntivo del 2009 sono ancora in rosso, tuttavia in netto miglioramento rispetto al 2008. E' quanto emerge dal
comunicato diffuso oggi dalla sala stampa vaticana dopo la riunione del Consiglio dei cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede, presieduta dal segretario di Stato Vaticano, card. Tarcisio Bertone.

Il bilancio consuntivo consolidato del 2009 della Santa Sede registra entrate per 250 milioni 182 mila euro circa ed uscite per 254 milioni, 284 mila euro con un disavanzo di esercizio di 4 milioni 102 mila euro. ''In relazione ai risultati conseguiti nel 2009 - si legge in una nota - e' stato possibile assorbire le fluttuazioni negative che erano state sospese nel 2008 mediante la ricezione di criteri contabili adottati internazionalmente''.
Anche il Governatorato della Citta' del Vaticano ha chiuso con un disavanzo di 7 milioni 815 mila euro: vi e' stata pero' una variazione in positivo rispetto al 2008 di quasi 7,5 milioni di euro. Il portavoce Vaticano, padre Federico Lombardi, nell'illustrare questi dati ai giornalisti, ha spiegato che si tratta di un andamento equilibrato e che se non ci fossero state le perdite del 2008 (dovute alla crisi economica) il bilancio avrebbe potuto anche essere positivo.

IN AUMENTO OFFERTE, 82,5 MLN DLR DONAZIONI A PAPA

Nel 2009 l'Obolo di San Pietro, ovvero le offerte che arrivano al papa dai fedeli e dalle chiese nazionali, e' ammontato a 82 milioni 529 mila dollari, con un incremento di donazioni rispetto all'anno precedente.
E' quanto afferma un comunicato della Santa Sede, diffuso al termine della tradizionale riunione dei cardinali sulla situazione economica vaticana.

I maggiori contributi per il Fondo di carita' del papa sono arrivati dai cattolici degli Stati Uniti, dell'Italia e della Francia; in ''significativo'' aumento il contributo di Corea e Giappone.
Oltre 31 milioni di dollari sono arrivati dalle Conferenze episcopali nazionali per il governo centrale della chiesa. L'apporto piu' rilevante e' stato quello degli Stati Uniti e della Germania. Tali contributi sono da distinguersi da quelli stabiliti negli accordi bilaterali, come ad esempio l'otto per mille in Italia, di cui non beneficia la Santa Sede, ma che sono destinati alle chiese particolari, per attivita' di culto e di carita'. Sempre per l'attivita' del papa, lo Ior (la banca vaticana) ha donato nel 2009 50 milioni di euro.

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18/07/2010 07:35
 
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Castelgandolfo e i Papi

Il Castello e le Ville Pontificie dall'imperatore Domiziano a Benedetto XVI. Aneddoti e curiosità, fino alla tragedia della seconda guerra mondiale. Le foto esclusive.

Il mantra dei romani: "Il Papa è a Castello"

16/07/2010
Benedetto XVI nel giardino della Villa
Benedetto XVI nel giardino della Villa

 

A Roma avvisano: “Il Papa è a Castello”. Lo dicono da sempre, come un mantra ordinario e regolare. O almeno lo dicevano finché Giovanni Paolo II cominciò a fare la vacanze anche altrove sulle Alpi. E anche Benedetto XVI per qualche anno ha seguito la tradizione recente di Karol Wojtyla. Ma quest’anno ha deciso di tornare alla tradizione antica quando i Papi raggiungevano la Villa affacciata sul lago di Castelgandolfo.

    
Perché abbia deciso così Joseph Ratzinger non è dato saperlo, almeno ufficialmente. Qualcuno ha detto che voleva dare un segnale di sobrietà per via della crisi economica. Altri hanno fatto sapere che Benedetto XVI voleva stare in assoluta tranquillità, per scrivere le pagine del nuovo libro a cui sta lavorando, un testo che completa la trilogia su Gesù di Nazareth, questa volta sulla infanzia di Gesù. E poi che avrebbe anche messo mano alla bozza della nuova enciclica, anche questa per completare la trilogia sulle virtù teologali: dopo la carità e la speranza ecco la fede.


     Il Papa ama passeggiare nell’immenso giardino della Villa, può leggere, pregare in assoluta tranquillità.

Alla fine di settembre incontrerà alla Villa, come di consueto i suoi compagni di scuola e i suoi studenti del periodo in cui era professore in Germania. E’ un colloquio importante, una sorta di seminario che serve per fare il punto sulla teologia attuale. La gente di Castelgandolfo è contenta che il Papa stia lì per tutta l’estate accanto a loro. Alla domenica il cortile della Villa si riempie per la recita dell’Angelus. La presenza del Papa ha anche un ritorno economico per l’economia della zona.

     Il 15 agosto il Papa esce dalla Villa e va a celebrare la messa nella piccola chiesa sulla piazza principale del Paese. Una volta i Papi passeggiavano per il borgo.

Pio IX andava per i vicoli e entrava anche nelle case
e spesso sollevava il coperchio della pentola sui fornelli per saggiare la consistenza del brodo. E se vedeva che il cibo non era sufficiente lasciava un po’ di denaro alla famiglia.

In questo dossier raccontiamo il Castello, la Villa e i suoi speciali inquilini.




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21/07/2010 19:53
 
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E' Benedetto XVI il settimo Papa della storia per anagrafe dal 1400 in poi

Benedetto XVI è divenuto il 19 luglio scorso il settimo Pontefice nella storia per anzianità, tra i Papi degli ultimi 600 anni. La notizia, diffusa due giorni fa dal blog “Popes-and-papacy.com”, è stata ripresa da diversi siti web e agenzie, che hanno messo in risalto con commenti e servizi questa particolare curiosità statistica. Il servizio di Alessandro De Carolis:


E’ un esperto di sistemi informatici Ibm e da decenni consulente delle maggiori aziende internazionali del settore tecnologico, nonché autore ed editore del mensile "i-BigBlue Professionals", l’ideatore della singolare graduatoria che da due giorni sta rimbalzando sui principali siti Internet più attenti alle notizie vaticane. Con una passione dichiarata per la storia dei Papi e delle cattedrali, Anura Gurugé – questo il nome dell’esperto – ha notato che lo scorso 19 luglio Benedetto XVI è divenuto, per anagrafe, il settimo Papa della storia, in una graduatoria che vede al primo posto Leone XIII, che si spense il 20 luglio 1903 all’età di 93 anni. In realtà, per ammissione dello stesso autore, questo rilievo statistico ha un valore relativo, poiché nel computo che ha portato a stilare la curiosa classifica figurano solo i Papi dal 1400 ai giorni nostri, essendo le date antecedenti – dichiara Gurugé – “troppo inaffidabili” per consentire “confronti significativi”.

Accanto a dati indiscutibili e verificabili – come le date di inizio e fine Pontificato, gli anni complessivi di regno e, per l’appunto, l’età dei Papi al momento della loro scomparsa – la graduatoria preparata da Gurugé offre anche nell’ultima colonna sulla sinistra una stima davvero insolita: la percentuale di vita trascorsa nelle vesti e nel ministero di Pontefice da parte degli undici Papi presi in considerazione, dalla quale si evince che coi suoi oltre 31 anni di regno, dal 1846 al 1878, Pio IX ha vissuto come Papa ben un terzo di tutta la sua esistenza. Un dato curioso, “leggero”, certo. Che pure suggerisce una riflessione più profonda, se lo si guarda a un livello diverso dalla mera curiosità “estiva”. Suggerisce una caratteristica spirituale propria del ministero petrino, che si coniuga al valore relativo della longevità, come ebbe a osservare nel novembre del 2008 Benedetto XVI:

Vera anzianità veneranda non è solo la lunga età, ma la saggezza e un’esistenza pura, senza malizia (…) Il mondo reputa fortunato chi vive a lungo, ma Dio, più che all’età, guarda alla rettitudine del cuore. Il mondo dà credito ai ‘sapienti’ e ai ‘dotti’, mentre Dio predilige i ‘piccoli’”.

“Dio – affermò ancora il Papa – è la vera sapienza che non invecchia, è la ricchezza autentica che non marcisce, è la felicità a cui aspira in profondità il cuore di ogni uomo”.

Fonte:  Radio Vaticana

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Intervista a Patrizio Polisca

Lei diventerà medico del Papa



di Mario Ponzi

"Ma io, che non ho per bene l'abbracciar nebbia, non ho voluto narrar niuna di queste e di somiglianti novelle, ed indovinazioni, e sonomi anzi studiato di dir sempre cose o vere, o sommamente probabili, producendo per tutto Uomini, che sicuramente furono nella dignità, della qual ragiono".

Così il celebre archivista vaticano Gaetano Marini rivendicava la novità della sua opera Degli archiatri Pontificj, pubblicata a Roma nel 1784, rispetto al precedente Thèatron in quo maximorum Christiani orbis pontificum archiatros Prosper Mandosius nobilis Romanus ordinis Sancti Stephani eques spectandos exhibet stampato, sempre a Roma, nel 1696.

Il termine "archiatra" è all'origine piuttosto generico - così notava anche monsignor Marini, scrivendo che in età tardoantica "la voce Archiater fu adoperata" per "tutti i Professori di Medicina in Roma ed in Costantinopoli, le due gran Capitali dell'Universo" - ma progressivamente è venuto a indicare il medico del Papa, da tempo non più in modo ufficiale benché l'uso non sia del tutto abbandonato.

Dal 15 giugno 2009, succedendo a Renato Buzzonetti nominato quel giorno "archiatra emerito", ricopre l'incarico Patrizio Polisca, che il 5 luglio scorso è divenuto anche direttore dei Servizi di Sanità e Igiene dello Stato della Città del Vaticano. In questo colloquio con chi scrive e con il direttore del nostro giornale l'archiatra, riservato e cordiale al tempo stesso, si racconta. Ed è una storia tanto semplice quanto provvidenzialmente tracciata. Che emerge dalle sue stesse parole, evitando quel rischio di "abbracciar nebbia" paventato più di due secoli fa da monsignor Marini.

Quando pensò di diventare medico?

La mia vita è segnata da tante scelte che possono sembrare, a me per primo, illogiche, cioè senza un'apparente ragionevolezza. Sono nato a Petriano nel 1953, un paese in provincia di Pesaro, da una famiglia modesta e senza molti mezzi economici. A diciott'anni, fresco di liceo, cominciai a guardarmi intorno. La realtà dove ero cresciuto avrebbe dovuto inclinarmi verso scelte più alla portata della mia famiglia. Invece sentii nascere in me una forte spinta a diventare medico, appassionandomi l'idea di chi può fare e fa qualcosa per gli altri. I miei genitori, nonostante tutte le loro perplessità e preoccupazioni, mi sostennero, e insieme cogliemmo l'occasione di un concorso a Roma. Lo vinsi e il Pio Sodalizio dei Piceni mi assegnò una borsa di studio, da utilizzare in un collegio a mia discrezione. Scelsi allora la Residenza universitaria internazionale dell'Opus Dei a Roma. Era l'anno accademico 1972-1973. Vi rimasi sei anni. Non appartengo alla prelatura, ma devo dire di avere ricevuto in quell'ambiente un avvio di formazione significativo, che ha lasciato in me un segno molto importante. Appena laureato sono tornato nelle Marche, perché avrei voluto svolgere lì la mia attività professionale. Ma non c'erano possibilità. A darmi un po' di respiro giunse il servizio militare. Che svolsi come sottotenente medico negli alpini per quindici mesi. Poi decisi di tornare a Roma.

In che modo?

Seguendo un'altra delle mie scelte in apparenza illogiche. Medico alle prime armi, senza appartenere ad alcuna scuola accademica, avrei dovuto tornarmene a casa, per occuparmi dei pazienti che il servizio sanitario nazionale mi avrebbe assegnato, sposarmi e vivere tranquillamente. Invece - e davvero non so perché - decisi di tentare la via dell'università. Scelta illogica perché, soprattutto in quegli anni, era impensabile la carriera universitaria senza avere qualcuno alle spalle. Mi specializzai in malattie infettive, poi in cardiologia, quindi in anestesia e rianimazione. E decisi di metter su famiglia:  mia moglie e io abbiamo tre figli.

Come si mantenne?

Ho lavorato in alcune cliniche romane, e soprattutto in una gestita da una congregazione di religiose. Anzi a queste suore è legato un episodio che ha poi finito per incidere veramente nella mia vita. La superiora - una spagnola, madre Caridad - continuava a ripetermi che avrei dovuto andare a lavorare in Vaticano. E quando obiettavo che, non essendoci un ospedale, il luogo non rientrava nella mia logica professionale, lei mi rispondeva tranquillamente:  "No, lei deve andare perché diventerà medico del Papa". E non me lo disse una volta sola; continuava a ripetermelo con un'insistenza impressionante. Era, se ricordo bene, il 1986 quando il medico di Giovanni Paolo II, il dottor Renato Buzzonetti - che era anche direttore dei Servizi di sanità del Vaticano e al quale resto legato da profonda gratitudine e amicizia - mi chiamò per un colloquio. Ricordo l'emozione di quando varcai la soglia dello Stato:  provai una sensazione stranissima, ma non capivo cosa fosse. E non lo compresi neppure quando avvertii di nuovo quella sensazione nell'ascoltare la sua proposta:  fare qualche guardia medica a Castel Gandolfo nel periodo estivo. Lo capii invece poco più tardi, quando, proprio a Castello incontrai quasi per caso Papa Wojtyla. Era l'estate del 1987. Giovanni Paolo II aveva appena celebrato la messa e lo vidi nel cortile del palazzo. Il suo segretario particolare, don Stanislao, mi presentò dicendo:  "È il medico di guardia oggi". Ricordo che il Pontefice mi guardò un po' sorpreso e disse:  "Così giovane?". In quel momento mi resi conto di quanto mi stava capitando. Mi trovavo davanti al Papa. Ed ero lì per lui, se mai avesse avuto bisogno di un medico. Forse ero davvero troppo giovane per una responsabilità così grande. Ma il volto di Karol Wojtyla, che sorrise subito dopo quelle parole, mi sollevò. E fu proprio allora che mi tornarono in mente le parole di madre Caridad:  una sensazione indimenticabile, che ancora oggi mi fa venire i brividi. Non ci pensai più di tanto, però. Le sentii piuttosto come un'occasione di crescita professionale, maturata in un senso a me più congeniale, o almeno più vicino alla mia sensibilità cristiana:  la mia vita professionale ha sempre ruotato intorno al lavoro interpretato in senso cristiano. Ho cercato persino di approfondire un po' di teologia, sostenendo anche un paio di esami, ma poi non ho avuto più il tempo per proseguire.

Quanto tempo è durato questo servizio estivo a Castel Gandolfo?

Sino al 1994, quando Buzzonetti mi propose di divenire ufficiale sanitario, inserito nel corpo medico del Vaticano. Ero naturalmente molto contento, ma non immaginavo quello che mi sarebbe toccato in sorte. Non che mi ponessi il problema:  non avevo mire specifiche di carriera, e quanto mi capitava sembrava seguire un disegno preciso. Certamente non il mio, anche se era bellissimo e mi riempiva di gioia e di nuovo entusiasmo. Lo stesso accadde quando verso la fine del 1997, mentre si preparava nel riserbo il viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba, il suo medico mi chiamò, legandomi al segreto, e mi chiese di accompagnarlo per aiutarlo durante il viaggio, in programma nel gennaio dell'anno successivo. Naturalmente accettai con entusiasmo ma - devo confessarlo - con altrettanto timore. Di quel primo viaggio invece oggi ricordo con piacere ogni momento, quasi ogni volto incrociato, gli occhi rossi e penetranti di Fidel Castro, lo sguardo deciso e sereno di Giovanni Paolo II e il magnetismo da lui esercitato sulle folle, che mi impressionò tantissimo. Più tardi, vivendo le stesse emozioni con il suo successore, ho capito che erano proprio queste esperienze accanto al Papa a catturarmi.

Vi furono altri viaggi con Giovanni Paolo II?

Sì, Buzzonetti mi chiamò altre volte, soprattutto quando c'erano viaggi lunghi da affrontare; per quelli più brevi il medico del Pontefice andava da solo. Dal 2003 cominciai a seguire anch'io tutti i viaggi papali. Conservo tantissimi ricordi, ma indimenticabile resta per me la messa celebrata nel Cenacolo, durante il viaggio del 2000 in Terra Santa.

Le è mai capitato di dovere intervenire durante uno dei viaggi con Papa Wojtyla?

A Bratislava il Pontefice ebbe un piccolo ma dolorosissimo incidente rientrando in nunziatura. Il dolore che dovette provare fu talmente acuto da innescare una crisi respiratoria. Fui assalito dal terrore, una sensazione mai vissuta prima. Ma la questione si risolse bene in una manciata di minuti.

Lei ha assistito Giovanni Paolo II anche negli ultimi istanti della sua vita?

Sono rimasto accanto a lui dal giovedì pomeriggio sino al mattino di sabato. Poi gli ho baciato la fronte e sono andato via. Non credo che mi abbia riconosciuto. Non ero con lui quando è spirato.

Come è cambiata la sua vita professionale in Vaticano?

Come sempre, ha guidato le cose la Provvidenza. Buzzonetti mi chiese di assicurare, con due infermieri, l'assistenza ai cardinali in conclave. Un'esperienza personale molto importante per la mia vita. Soprattutto quella interiore:  compresi il senso del mio appartenere alla Chiesa di Cristo; presi coscienza di cosa significasse servire il Papa e, attraverso lui, la Chiesa.  Poi  arrivò  l'elezione  del  cardinale Joseph Ratzinger.

Cosa ricorda?

Conoscevo il cardinale decano da qualche tempo, e Buzzonetti e io fummo i primi laici a essere salutati dal nuovo Papa, prima lui e poi io. E qui ebbi una gran sorpresa, perché salutandomi riandò al nostro primo incontro. Era avvenuto circa quindici anni prima, intorno al 1990, ma il Pontefice ricordava perfettamente che in quell'occasione avevamo parlato di san Bonaventura. Rimasi stupefatto, incapace di una qualsiasi reazione. Rimasi talmente sorpreso da non riuscire a dire nulla; forse abbozzai uno di quegli strani sorrisi che si accennano quando non sai cosa dire.

Nominando il dottor Buzzonetti archiatra emerito, Benedetto XVI ha scelto lei come suo medico:  in quel momento ha pensato alla suora spagnola e a quello che le ripeteva?

Passata la prima emozione, confesso di averci pensato. Ora madre Caridad è piuttosto anziana e vive in un convento a Barcellona. Vorrei andare a trovarla, ma ormai la mia vita è cambiata e il poco tempo che rimane lo dedico alla mia famiglia.

Cosa fa il medico del Papa durante la giornata?

Proprio per la grande responsabilità affidatagli, ha il dovere di tenersi costantemente aggiornato per non perdere la professionalità acquisita. Ecco perché sono rimasto al Policlinico universitario di Tor Vergata, dove sono impegnato in un reparto di cardiochirurgia, e dunque alle prese con quadri clinici molto complessi. C'è poi la necessità di continuare a studiare, ed è quello che mi occupa principalmente il sabato e la domenica.

E  qual  è  il  rapporto  tra  il  Pontefice  e  il  suo medico?

Le racconto un episodio. Un giorno incrociai un docente universitario mio collega. Con fare grave ed emozionato mi chiese:  "Ma tu il Papa lo visiti?". In quel momento sentii correre un brivido lungo la schiena. Dovevo rispondere a quella domanda, ma mi rendevo conto di essere più sorpreso di lui. E devo anche avere assunto un'espressione piuttosto sbalordita, perché anche il mio collega mi guardò e non insistette. Ora, a mente fredda, tornando alla domanda, posso dire che non riesco a pensare alla mia vita senza la responsabilità nei confronti del Papa e della Chiesa. Ma la vivo come una gioia, che condivido con la mia famiglia. Del resto è un sogno che si avvera:  esercitare la professione medica, e avere la possibilità di farlo in una dimensione che è la mia da sempre:  quella cristiana, al massimo della sua espressione terrena.

Lei presiede anche la commissione medica chiamata a giudicare le guarigioni miracolose all'esame della Congregazione per le Cause dei Santi.

È un'altra meravigliosa esperienza che mi è dato di vivere da quando mi chiamò in congregazione il cardinale Palazzini. Della commissione fanno parte illustri colleghi. Ed essere entrato in questa équipe è un onore per me. Siamo chiamati a dare il nostro parere sulle guarigioni miracolose, quelle cioè che non sono spiegabili con la scienza e sono attribuibili all'intercessione dei santi.

Ricorda un caso particolare?

Mi ha molto impressionato la guarigione istantanea, contemporanea e duratura di due bambini delle Ande peruviane attribuita all'intercessione del vescovo Giuseppe Marello, beatificato nel 1993 e canonizzato nel 2001:  avevano una forma di polmonite gravissima e certamente letale; guarirono all'istante, contemporaneamente e senza alcuna terapia.

Ma quando si affrontano casi lontanissimi nel tempo come si riesce ad accertare le caratteristiche cui faceva cenno?

I medici di un tempo non solo erano bravi, ma anche molto scrupolosi e annotavano minuziosamente tutto. E sulla base dei documenti, soprattutto quelli clinici, e dei convincimenti di quei medici, riusciamo a giungere il più delle volte a conclusione. Attualmente il caso più lontano risale agli ultimi decenni dell'Ottocento.

E per il nuovo incarico di Direttore del Servizio di Sanità ed Igiene del Vaticano?

È di grande responsabilità:  si tratta di assicurare assistenza e cura a tante persone che vivono, lavorano o passano in Vaticano. Proseguirò su una strada ben tracciata, ma mi riservo un po' di tempo per approfondire meglio la conoscenza del sistema e delle persone che lo fanno funzionare. Conosco tutti, e ora si tratta di coordinare e compiere insieme una missione importante. Cercheremo di farlo sempre meglio.



(©L'Osservatore Romano - 21 agosto 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Intervista al presidente dell'Associazione Santi Pietro e Paolo

Servizio e accoglienza
nella Casa del Papa


di Gianluca Biccini

È la prima associazione di volontariato di istituzione pontificia. Ma è anche l'erede diretta di un corpo armato che è stato demilitarizzato; in pratica un antico esercito, che oggi si occupa di accoglienza e assistenza. Si può riassumere così la storia dell'Associazione Santi Pietro e Paolo, che si appresta a celebrare un duplice anniversario:  il quarantesimo di fondazione e i 160 anni dalla nascita della Guardia Palatina, da cui ha raccolto il testimone nel segno della continuità. Nella sede al Cortile di San Damaso abbiamo incontrato il presidente Calvino Gasparini. Quasi inevitabile chiedergli anzitutto il perché di quel nome piuttosto inusuale. "È una storia personale legata ai miei antenati - spiega - che non ha niente a che vedere con il protestantesimo. Pensi che sono entrato nella Guardia Palatina nel 1962. Avevo diciassette anni e operavo nel gruppo ragazzi di cui era responsabile Gianluigi Marrone, il primo presidente dell'associazione".

È stato proprio a lei a raccoglierne l'eredità lo scorso anno.

Sì, nel maggio 2009 dopo la morte di Marrone, a lungo Giudice unico dello Stato della Città del Vaticano. Nelle elezioni è stato rinnovato l'intero consiglio di presidenza, visto che lo statuto datoci da Papa Montini nel 1971 prevedeva una sorta di referendum, legando tutto il consiglio alla presidenza. Il mese seguente, a giugno, la Segreteria di Stato ha approvato l'elezione.

Ci spieghi meglio il legame con la Guardia Palatina.

Quando Paolo VI, con lettera del 14 settembre 1970, comunicò al cardinale Villot, suo segretario di Stato, la decisione di sciogliere i corpi militari pontifici a eccezione dell'antichissima Guardia Svizzera, in pratica azzerò la Guardia Palatina, ma non sciolse i suoi membri dal giuramento di fedeltà al Papa e ai suoi successori. Questo comportò la conservazione di quel legame e diede vita alla prima associazione di volontariato di istituzione pontificia. Per evitare sovrapposizioni con il Circolo San Pietro, Villot suggerì il titolo di Associazione Santi Pietro e Paolo. Il primo animatore e assistente fu monsignor Giovanni Coppa, oggi cardinale, al quale va tutta la nostra riconoscenza. Poi Giovanni Paolo II ci chiamò l'Associazione della Casa del Papa. Forse siamo un caso unico nella storia:  un corpo militare che è stato demilitarizzato, per svolgere incarichi di servizio e per l'accoglienza nelle celebrazioni pontificie e in San Pietro. Credo che nessun esercito al mondo abbia subito un cambiamento del genere, così radicale.

Nella nascita dell'associazione appare evidente il ruolo della Segreteria di Stato. C'è ancora questo collegamento?

Certo. Basti pensare che essa nomina il nostro assistente spirituale, scegliendolo tra suoi officiali. Attualmente è monsignor Joseph Murphy, che ha come vice monsignor Mitja Leskovar. L'assistente emerito è monsignor Alfred Xuereb - oggi nella segreteria particolare di Benedetto XVI - che a sua volta era il vice di monsignor Francesco Follo, attuale Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Unesco a Parigi.

Camminando nella sede dell'associazione notiamo alcune antiche uniformi, persino armi d'epoca. Viene da chiedere:  allora eravate soldati a tutti gli effetti?

La Guardia Palatina d'onore fu istituita dal beato Pio IX con regolamento emanato il 14 dicembre 1850 attraverso la fusione di due corpi armati civili - la Milizia Urbana e la Civita Scelta - già esistenti da secoli nello Stato pontificio. Entrambi avevano compiti nell'Urbe e, a conferma che la Guardia ne era la continuatrice, venne nominato primo comandante palatino Giuseppe Guglielmi. Fu lui a comunicare ai militari che il Papa aveva decorato il Corpo con il titolo "d'onore" per la fedeltà dimostrata e il servizio prestato. Papa Mastai Ferretti, inoltre, nella stessa circostanza concesse il Concerto musicale, rimasto ancora oggi il corpo bandistico ufficiale dello Stato della Città del Vaticano, anche se assorbito dalla prefettura della Casa Pontificia in occasione della riforma di Paolo VI. Questo perché la Guardia Svizzera non possedeva una banda musicale propria per i cerimoniali con le udienze ad ambasciatori e capi di Stato.

In pratica la banda musicale è stata distaccata da voi?

Noi come associazione possiamo chiedere alla Prefettura, per concessione di affinità, i servizi della banda due volte l'anno:  a Pasqua e in occasione della nostra festa patronale del 29 giugno, come già faceva la Guardia Palatina che, in quelle date, solennizzava l'avvenimento rinnovando sulla tomba di san Pietro il giuramento di fedeltà al suo successore. Attualmente stiamo ricostituendo un piccolo gruppo di ottoni per i nostri momenti liturgici o per particolari occasioni. Durante la festa dell'associazione, nel giugno scorso, questo gruppo ha eseguito la famosa Marcia delle trombe d'argento per Pio IX alla presenza di noi tutti.

Abbiamo parlato delle uniformi e della banda. Per completare un esercito mancano le armi e la bandiera.

Pio IX concesse il vessillo su cui campeggiava lo stemma del Pontefice fondatore. Questa bandiera è conservata al Museo lateranense, in quanto ha una particolare rilevanza storica:  è l'unica dello Stato pontificio ancora esistente. Quanto alle armi in dotazione la logica ottocentesca era quella di porre livelli successivi di difesa. All'esterno del Palazzo Apostolico vi erano la Guardia Svizzera e la Gendarmeria, mentre al piano terra del Palazzo, nei Cortili di San Damaso, del Belvedere e della Pigna, c'era la Guardia Palatina:  circa cinquecento romani, che nel Cortile del Triangolo avevano persino due cannoni. Infine al primo piano c'era la Guardia Nobile. Altra funzione aveva il servizio di "anticamera":  nella Sala Clementina c'era la Guardia Svizzera, poi nella seconda sala c'era la Gendarmeria, nella terza che era d'angolo c'eravamo noi, nella quarta i Bussolanti, poi i Camerieri di cappa e spada, e prima dello Studio privato del Pontefice la Guardia Nobile. Fino allo scioglimento facevamo servizio di anticamera e la nostra sede era, come già detto, nella Sala d'Angolo, con una sentinella nella sala dei Gendarmi, alla porta della chiocciola che scende nel Cortile sistino. Nel dopoguerra, a partire dal 1947, siamo passati alla sistemazione attuale. Il quartiere andava dall'ingresso nel cortile di san Damaso, che è quello che usiamo ora, a quello ordinario nel cortile del Triangolo, che dava accesso alle camerate e ai locali di servizio. All'uniforme si associava, come arma, il moschetto Remington a retrocarica con baionetta, dono dei cattolici belgi nel 1868.

Poi ci fu la trasformazione voluta da Papa Montini. Quante guardie divennero soci?

Nel 1970 la Guardia Palatina d'onore costituiva in Vaticano una realtà che si era arricchita di ausiliari nel corso dell'ultimo conflitto mondiale per i servizi di vigilanza anche nelle zone extraterritoriali, raggiungendo il numero di 1.500 unità. Durante l'avanzata delle truppe alleate, soprattutto a Castel Gandolfo le guardie si distinsero per coraggiose iniziative di soccorso e solidarietà alle numerose vittime della guerra. Tra questi volontari, che ebbero anche scontri con le ss e le milizie fasciste, ricordiamo il professor Salvatore Canalis, allievo ausiliario palatino, che il 24 marzo 1944 venne trucidato nell'eccidio delle fosse Ardeatine. Nel 1971, con l'approvazione dello statuto dell'Associazione Santi Pietro e Paolo, aderirono la maggior parte dei membri della Palatina e, passato il periodo in cui parlare della Guardia significava voler fare del revanscismo, iniziammo ad ammettere cattolici romani che - come recita lo Statuto - "nel desiderio di rendere particolarmente testimonianza di vita cristiana e di fedeltà alla Sede di Pietro" dedicano una parte del loro tempo libero alle attività dell'Associazione. Oggi delle cinquecento guardie originarie siamo rimasti in duecento, per questioni naturali di età, ma integrati da circa trecento nuovi soci.

Come si entra a farne parte?

Vengono accolte non più di venti domande di ammissione l'anno. Ora vorremmo lavorare più sui giovani. I nuovi soci prima di essere ammessi seguono una formazione spirituale e umana di due anni. Tra soci attivi, soci sostenitori e gruppo anziani, abbiamo raggiunto la cifra di circa novecento persone. Consideri che il nostro carico di lavoro per una celebrazione pontificia - si scende in basilica tre o quattro ore prima dell'orario d'inizio, per poi ritirarsi quando tutti i fedeli hanno lasciato il sagrato o la basilica - ha un impegno che va dalle sei alle otto ore.

Fermiamoci un momento e spieghiamo in dettaglio che cosa fate esattamente.

L'Associazione, che fonda le sue basi sul motto già appartenuto alla Guardia Palatina Fide constamus avita, svolge  il proprio operato attraverso tre sezioni:  liturgia, cultura e carità.

Iniziamo dall'ultima.

Essa risale a un'antica tradizione. La Santa Sede dava alla Guardia Palatina un piccolo appannaggio, che ordinariamente veniva devoluto per la dote delle ragazze bisognose assistite da ordini religiosi. Questa pratica è rimasta in uso fino al 1870. Poi si passò ad altre forme di autosostegno, che nel 1936 si concretizzarono nella fondazione di una conferenza di San Vincenzo de' Paoli. Nello spirito vincenziano, uno dei compiti delle reclute consisteva nel recarsi tutte le domeniche presso il vicino ospedale di Santo Spirito in Sassia per distribuire la stampa cattolica - in particolare L'Osservatore Romano e Famiglia Cristiana - e consegnare quei beni di prima necessità che le suore infermiere ci richiedevano per i ricoverati. La conferenza di San Vincenzo è ancora attiva. Oggi siamo passati a progetti di più ampio respiro, come quello che ci sta impegnando per il sostegno del seminario dell'arcidiocesi di Ranchi, in India. Molte sono anche le famiglie da noi assistite grazie a uno stile fatto di dialogo, prima che di elemosina. Infine svolgiamo un piccolo servizio alla mensa della casa Dono di Maria e alcuni nostri volontari medici e odontoiatri collaborano attivamente con il dispensario pediatrico Santa Marta per la cura dei bambini e, qualche volta, anche dei genitori.

Ma gli abiti blu, con le cravatte a righe giallorosse dell'associazione, si vedono soprattutto nelle messe del Papa.

E di questo si occupa la sezione liturgia, che su richiesta dei superiori partecipa a tutte le celebrazioni pontificie in Vaticano e, in particolari occasioni, al Laterano. In alcuni casi lo facciamo anche a San Paolo fuori le Mura. Svolgiamo inoltre un servizio continuo quotidiano di accoglienza nella basilica di San Pietro. Infine, vorrei ricordare il ruolo, ormai storico, svolto durante la processione del Corpus Domini da San Giovanni a Santa Maria Maggiore, che ci vede tutti impegnati. Fu Papa Wojtyla a dirci una volta:  "Voi che sapete stare in riga perché non fate una bella processione?".

E la commissione culturale?

Uno dei nostri cappellani, monsignor Amleto Tondini, segretario dei brevi ai Principi, vedeva la necessità che le guardie palatine fossero formate nel modo di vivere della realtà vaticana, sotto tutti gli aspetti, soprattutto artistico e storico:  diceva che solo immedesimandosi in quel tipo di cultura si capiva in quale ambiente ci si muoveva. Era indiscutibilmente vero, tanto che l'abbiamo riportato poi nello statuto dell'Associazione. Per dare sostegno all'informazione e al legame dei palatini, monsignor Tondini nel 1945 fondò il giornale Vita Palatina, che mensilmente faceva la cronaca degli avvenimenti vaticani e del magistero pontificio. Tale tradizione è proseguita con Incontro, il trimestrale dell'Associazione. Ora la sezione culturale svolge attività di formazione e informazione indirizzata soprattutto ai nuovi soci, ma organizza anche conferenze, mostre, pellegrinaggi e stimola la partecipazione di tutti a queste attività. Il frutto di questa cultura, che nasce dal motto palatino, chiarisce come si sia potuti passare dalla Guardia all'Associazione senza traumi:  è fondamentale la volontà degli aderenti - fondata su una sincera vocazione cristiana - che illuminati dalla luce della carità del magistero pontificio sono pronti a tutte le prove. Del resto, lo stile dell'Associazione è quello di sempre:  "Umile nei suoi compiti, grande nel suo animo, assoluta nella sua fede".



(©L'Osservatore Romano - 22 agosto 2010)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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25/08/2010 18:33
 
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La Guardia Svizzera Pontificia in Baviera

Nei luoghi di Joseph Ratzinger


di Nicola Gori

Un pellegrinaggio in Baviera, nella terra dove è nato ed è vissuto per lunghi anni Joseph Ratzinger. Il corpo della Guardia Svizzera Pontificia ha scelto di trascorrere così una parte del periodo estivo, visitando i luoghi più significativi legati alla vita di Benedetto XVI.
 
L'idea di questa iniziativa - spiega il cappellano monsignor Alain de Raemy - è nata già alcuni anni fa. "Quando nel 2006 è stato celebrato il giubileo della Guardia Svizzera Pontificia - racconta - è stato deciso di fare un pellegrinaggio sulle orme di san Martino di Tours, il patrono del nostro Corpo. Era la prima volta che le guardie compivano un viaggio insieme per alcuni giorni. Vista la buona riuscita di quell'esperienza, ci siamo chiesti se non fosse il caso di ripeterla regolarmente ogni due o tre anni. Il risultato più importante di quel viaggio, infatti, è stato quello di consentire alle guardie di stare insieme al di fuori del contesto quotidiano del servizio lavorativo, con lo scopo di aumentarne la motivazione più profonda".

Per la scelta del luogo dove compiere il pellegrinaggio sono state avanzate varie proposte. "Alcuni - riferisce il cappellano - hanno indicato la Terra Santa, altri hanno suggerito Czestochowa, in Polonia, altri ancora l'Ungheria, dove è nato san Martino. Confrontando le proposte, alla fine abbiamo scelto di andare in Baviera, nel Paese del Papa. Per vari motivi, ma soprattutto per aiutare le guardie a capire più da vicino la personalità del Pontefice, attraverso il contatto diretto con i suoi luoghi natali, la sua terra, la sua gente".

Questa esperienza, al tempo stesso spirituale e culturale, è stata aperta a tutte le guardie e si è svolta proprio in coincidenza con l'inizio delle vacanze del Papa. "Per ragioni di servizio - spiega ancora monsignor de Raemy - abbiamo dovuto scaglionare le partenze, dividendoci in tre gruppi composti ciascuno da trenta o quaranta guardie:  il primo di lingua tedesca, il secondo francese, con i ticinesi, il terzo ancora tedesco, con un gruppetto di lingua francese".

Diverse le tappe principali toccate durante il pellegrinaggio. "Devo dire - aggiunge il cappellano - che l'itinerario percorso non ha seguito un criterio cronologico ma piuttosto di praticità. Siamo atterrati a Monaco. Il primo gruppo era guidato dal comandante del corpo, il colonnello Daniel Rudolf Anrig. Ci sono stati vari momenti ufficiali, tra i quali un incontro con i giornalisti, scelti dai portavoce delle diocesi visitate, ai quali abbiamo spiegato la nostra iniziativa. Tutto il viaggio, poi, è stato ripreso da una troupe della televisione bavarese, che ha prodotto un bel documentario di circa un'ora già andato in onda sull'emittente".

La prima tappa è stata Regensburg, "perché - rivela monsignor de Raemy - volevamo visitare i luoghi dove il professor Ratzinger ha svolto la sua attività di studio e di ricerca. Siamo stati accolti in cattedrale dal vescovo Gerhard Ludwig Müller. Nei pressi del duomo abbiamo assistito a una prova del coro dei Domspatzen, i famosi cantori diretti per tanti anni dal fratello del Pontefice. Abbiamo anche avuto la possibilità di incontrare monsignor Georg Ratzinger nella casa privata dove il Papa pensava di ritirarsi a vivere prima che lo nominassero arcivescovo di Monaco".

Successivamente, il gruppo si è spostato al santuario di Altötting e nei suoi dintorni, là dove il Papa trascorse l'infanzia e la gioventù. "Nel santuario mariano - racconta - ci ha accolto il vescovo di Passau Wilhelm Schraml. Lì abbiamo celebrato una messa, durante la quale abbiamo deposto vicino all'altare della Vergine un'immagine votiva del nostro pellegrinaggio. Poi siamo andati nel paese natale del Papa, a Marktl am Inn, per visitare la sua casa e la chiesa dove è stato battezzato. Ci siamo quindi spostati a Hufschlag, presso Traunstein, dove hanno vissuto i suoi genitori dopo che il padre era andato in pensione. In questa casa il Pontefice ha abitato dal 1937 al 1945 ed è stato qui che da ragazzo ha vissuto direttamente le vicende della guerra. A qualche chilometro dalla casa c'è la chiesa parrocchiale, dove i fratelli Ratzinger hanno celebrato la prima messa".

A Traunstein le guardie hanno avuto la possibilità di incontrare il terzo compagno di messa del Pontefice, il quale ha raccontato loro degli episodi interessanti sui tempi del dopoguerra in seminario. "A Traunstein - prosegue il cappellano - c'è anche lo Studienseminar, dove il Papa ha studiato e conseguito la maturità. Uno dei rettori è stato monsignor Thomas Frauenlob, attuale officiale della Congregazione per l'Educazione Cattolica, che ha ricevuto tante volte il cardinale Ratzinger durante le sue vacanze di Natale e che ci ha accompagnati in questo viaggio in Baviera.
 
Lì abbiamo trascorso insieme con gli studenti una bella serata:  prima di preghiera, con la celebrazione dei vespri, e poi di sport, con una partita di calcio tra le nostre due squadre. Successivamente siamo andati a Maria Eck, dove c'è una casa di accoglienza dei francescani. Era un punto di ritrovo nel quale il Papa incontrava i compagni di scuola della maturità. Il terzo giorno abbiamo visitato Monaco e Freising, l'antica sede della diocesi. Il primo momento è stato l'incontro nella cattedrale di Monaco, dove Joseph Ratzinger venne consacrato vescovo. Ci ha accolti l'attuale arcivescovo Reinhard Marx. Nel pomeriggio, invece, ci siamo spostati a Freising, dove il Pontefice è stato ordinato sacerdote e dove ha insegnato nel locale seminario".

Un viaggio così ricco di interesse non poteva non lasciare un segno nei partecipanti, come conferma monsignor de Raemy. "Due cose in particolare - dice - ci hanno colpito. I nostri giovani provengono dalla Svizzera e si sono resi conto che in un Paese per molti versi simile al nostro, tanta gente che ha conosciuto il Papa conserva un grande affetto nei suoi confronti. Molte persone che abbiamo avuto modo di incontrare ricordano ancora episodi legati alla vita del Pontefice in Baviera e sono contente che sia stato eletto come Successore di Pietro.
 
La seconda cosa è stata la grande impressione che ci ha fatto l'esperienza di poter vedere da vicino i luoghi dove ha vissuto il Papa, a cominciare da quelli natali, quelli della giovinezza, del tempo di guerra, del periodo in cui fu docente, fino a quelli legati all'ordinazione sacerdotale e alla nomina ad arcivescovo e poi a cardinale".

Naturalmente, questa esperienza ha offerto la possibilità di sperimentare tra le guardie l'amicizia, la condivisione, la fraternità. E visto il buon esito, è quasi scontato che in futuro verrà riproposta. In quale luogo? Il cappellano dice che per il momento non è stato ancora deciso. "So che il vescovo ungherese della diocesi dove è nato san Martino di Tours ci ha invitato tante volte. Un'altra idea è quella di fare un pellegrinaggio in Terra Santa. Forse sarebbe meglio proporlo con cadenza annuale, in piccoli gruppi, come già facciamo con il pellegrinaggio internazionale militare a Lourdes".


(©L'Osservatore Romano - 25 agosto 2010)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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26/08/2010 20:08
 
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Monsignor Bordin illustra la collezione del museo storico artistico della basilica Vaticana

Chi va a San Pietro
trova un tesoro


di Nicola Gori

I fedeli o i visitatori che entrano in San Pietro trovano all'ingresso un cartello con una scritta che non passa certo inosservata:  "Museo del tesoro". Difficile andare oltre senza prima aver soddisfatto la curiosità di sapere che cos'è questo "tesoro" e cosa ha a vedere con la basilica. Seguendo le indicazioni si giunge nel corridoio che porta alla sagrestia e procedendo in direzione del flusso dei pellegrini ci si ritrova davanti all'ingresso del museo. Si apre così davanti agli occhi un mondo inatteso. È un ambiente che trasuda storia e arte. Si possono ammirare oggetti sacri, arredi, preziosi, croci, quadri, statue, opere artistiche di straordinario valore e bellezza, delle più svariate epoche. A cosa si deve questo "tesoro" della basilica? La risposta è semplice:  la tomba dell'apostolo Pietro, poche decine di metri più in là. È in suo onore che papi, re, principi, governanti, ma anche migliaia di semplici fedeli, hanno donato nel corso dei secoli queste meraviglie dell'arte orafa, pittorica, plastica. Il tutto raccolto pazientemente dal Capitolo vaticano ed esposto con cura per soddisfare l'interesse dei visitatori. Abbiamo chiesto a monsignor Giuseppe Bordin, camerlengo del Capitolo e responsabile del museo, di accompagnarci nella visita e di illustrarci le caratteristiche principali di questa singolare collezione.

Cosa si intende per "tesoro"?

Con questo termine si intende l'insieme degli oggetti preziosi, raccolti nel corso dei secoli, che costituiscono la ricchezza di una chiesa. Dobbiamo risalire ai primi anni del iv secolo per trovare il primo donatore:  l'imperatore romano Costantino. Negli anni che vanno dal 319 al 337 fece costruire una basilica sul luogo del martirio dell'apostolo Pietro. Volle arricchirne la sepoltura offrendo una croce d'oro pesante 150 libbre, recante impressa l'iscrizione dei lavori compiuti alla Confessione. Donò anche un altare d'argento ornato di gemme, corone, candelabri, pietre preziose e vasi intarsiati.

E dopo Costantino?

Nel corso dei secoli, papi, imperatori, re, cardinali e persone appartenenti a ogni ceto sociale mantennero viva la tradizione di donare degli oggetti alla basilica di San Pietro. Purtroppo, accanto a tanti donatori, la storia vide anche l'affacciarsi di tanti predatori, a cominciare dai saccheggi compiuti dai visigoti di Alarico, nel 410, e dai vandali di Genserico nel 455. Altre donazioni supplirono a queste prime razzie, ma nuove se ne presentarono all'orizzonte, come quella dei goti di Totila nel 545. Seguirono generosi donativi nei secoli seguenti:  basti ricordare Clodoveo, che regalò una corona votiva con gemme preziose, per testimoniare la conversione sua e del suo popolo a Cristo, o Carlo Magno, il quale donò numerosi calici, patene e vasi in occasione dell'incoronazione imperiale del Natale dell'800. Anni dopo, però, il saccheggio per mano dei saraceni dell'846 fece molto scalpore, perché venne violato il sepolcro dell'apostolo e asportato l'altare. Per evitare ulteriori episodi del genere, Leone iv fece costruire una cinta muraria per difendere il colle Vaticano e per riparare all'offesa. Benedetto iii fece poi ricoprire la tomba di Pietro con una lastra d'oro. Per alcuni secoli non si ebbero grandi perdite del tesoro, ma nel 1084 i normanni di Roberto il Guiscardo razziarono numerosi oggetti.

Furono presi ulteriori provvedimenti per tutelare l'integrità del tesoro?

I papi cercarono di farlo comminando pene e scomuniche a chiunque avesse asportato o alienato oggetti appartenenti a esso. Urbano vi nel 1387 lanciò perfino una scomunica contro quanti - anche se cardinali, re o imperatori - avessero alienato o acquistato beni del tesoro. Con l'indizione del primo Anno santo, nel 1300, le donazioni crebbero notevolmente per l'afflusso di molti pellegrini da ogni parte d'Europa. Il sacco di Roma del 5 maggio 1527 assestò un colpo tremendo all'integrità del tesoro. Infatti, nonostante i tentativi dei canonici di salvare gli oggetti, la gran parte di essi venne dispersa, venduta e barattata. Si pensi che i canonici riuscirono a salvare il busto reliquiario di san Luca nascondendolo nel pozzo della sagrestia. Altri oggetti vennero riscattati dai lanzichenecchi a suon di scudi. Terminata la tragedia del sacco, le donazioni ripresero fino al grande ricatto operato da Napoleone, il quale con il trattato di Tolentino del 1797 impose a Pio vi il pagamento di 15 milioni di lire tornesi di Francia per evitare l'occupazione militare di Roma. Lo Stato pontificio non disponeva di tale somma e allora il Pontefice ordinò di raccogliere nelle varie chiese e monasteri degli argenti e preziosi. Per coniare le lire richieste da Napoleone occorsero ben tremila chili di oggetti in argento e quindi anche il tesoro dovette fare la sua parte. Ma i francesi non rispettarono gli accordi e agli inizi del 1798, Roma venne occupata. Si pensi che ai canonici non vennero lasciati neppure i candelieri per la festa di san Pietro. Secondo calcoli attendibili, se il tesoro fosse scampato ai continui saccheggi e ruberie oggi sarebbe cento volte più grande. Nonostante ciò, esso rimane il segno tangibile dell'amore e della devozione dei fedeli nei confronti dell'apostolo Pietro.

Come è nata l'idea di aprire un museo del tesoro?

In ogni famiglia ci sono sempre dei ricordi che servono per rievocarne la storia. Così è per la basilica, i cui ricordi sono nel museo del tesoro. Non c'è stata una istituzione formale. Si è cominciato a raccogliere i doni che i fedeli regalavano al Capitolo vaticano e alla basilica. Questi doni, con l'andare del tempo, diventati numerosi, crearono l'esigenza di trovare una soluzione per la loro sistemazione. In genere, tutto ciò che era liturgico - calici, candelieri, tovaglie - veniva usato per la sagrestia. Gli altri oggetti erano messi da parte in qualche locale vicino alla sagrestia e conservati senza un criterio logico. Chi voleva vedere questi oggetti doveva chiedere il permesso al Capitolo vaticano, al quale era stato demandato dai papi il compito di amministrare il patrimonio artistico della basilica. Fino a tutto il xix secolo, la possibilità di vedere gli oggetti del tesoro rimase un privilegio per pochi visitatori. La situazione cambiò radicalmente nel 1909 quando il Capitolo decise di fare qualcosa. Vennero utilizzate due grandi sale destinate ai beneficiati e il 1° novembre di quell'anno venne aperto il primo nucleo del museo del tesoro.

Chi sono i capitolari?

Il museo è del Capitolo vaticano, che è composto dal cardinale arciprete, dai canonici e dai coadiutori. Anticamente i coadiutori erano composti dai beneficiati e dai chierici beneficiati il cui compito era di aiutare nello svolgimento delle celebrazioni liturgiche che avvenivano in basilica. Tanto i canonici come i beneficiati e i chierici beneficiati avevano la loro cappella.

E chi è il responsabile del museo?

Il Capitolo si serve del proprio camerlengo per la gestione. Avendo egli anche altre responsabilità si avvale di un sovrastante, che a sua volta è aiutato da due assistenti, in maniera che il museo non è mai senza un responsabile.

Tornando alla storia del museo, come venne realizzata la prima esposizione degli oggetti?

Vennero utilizzati criteri essenzialmente devozionali, mettendo in evidenza gli oggetti che più colpivano la sensibilità dei fedeli. Nel 1949 si pensò di ampliare il museo utilizzando la terza sala dei beneficiati. Venne compiuto un inventario a cura di Angelo Lipinsky, ma l'allestimento non seguì criteri storico-artistici. Anche questa terza sala venne dotata di grandi armadi chiusi da vetrine di cristallo, dentro i quali gli oggetti erano illuminati da luci elettriche.

Quando si è arrivati a costituire un vero proprio museo del tesoro?

Si deve attendere fino agli anni Settanta, quando il Capitolo vaticano affidò i lavori di allestimento e ampliamento dei locali a Franco Minissi. Il celebre architetto mise le sale in comunicazione tra loro e creò un itinerario "a senso unico" con due centri fondamentali nelle sale di maggior interesse:  la sagrestia dei beneficiati e la sagrestia dei chierici beneficiati. In quest'ultima realizzò una galleria pensile per salire e vedere dall'alto il monumento funebre bronzeo di Sisto iv. Per dare maggior risalto agli oggetti esposti, il Minissi mantenne nel suo aspetto originario la sala dei beneficiati, cioè la prima del percorso, ma tappezzò le altre con una moquette color grigio scuro. Vennero installate due tipi di luci:  una diretta e mirata sugli oggetti, e una indiretta e soffusa lungo il percorso. Furono poste delle vetrine isolate al centro delle sale, in modo da facilitare la visione degli oggetti dai quattro lati. Nel 2000 si iniziò ad effettuare dei lavori che dettero nuovo impulso al museo. La necessità di non chiudere il museo impone dei ritmi molto lenti, nel programma di restauro. Un lavoro eseguito è stato intorno alle pareti della "galleria" della prima sala, dove abbiamo sistemato delle opere d'arte contemporanea.

Qual è il rapporto del museo con i papi?

Il rapporto con i Pontefici è stato sempre cordiale. Sono stati i primi benefattori della basilica e hanno sempre continuato a donare in segno di omaggio all'apostolo Pietro. I papi hanno anche contribuito alla conservazione delle cose preziose che il Capitolo vaticano poi faceva proprie. L'ultimo Pontefice che ha visitato il museo, inaugurando le sue sette sale dopo i lavori di sistemazione, è stato Paolo vi il 29 dicembre 1974. Papa Montini regalò l'urna dell'acqua santa in argento e bronzo, opera di Pericle Fazzini e lo stupendo "polittico bizantino". Giovanni Paolo ii ha lasciato dei paramenti sacri. Tanta generosità da parte dei papi ha impresso un incremento notevole alla qualità dei reperti conservati nel museo.

Quali sono gli oggetti più significativi conservati nel museo?

Oltre agli oggetti sacri e liturgici, alcuni molto preziosi, possiamo ricordare il quadro dei santi Pietro e Paolo, risalente al xiv secolo e attribuito alla scuola di Giotto, che è stato esposto anche alla mostra del Vittoriano. Va ricordato anche uno dei tre esemplari della bolla originale del primo giubileo del 1300 indetto da Bonifacio viii. O ancora, il celebre sarcofago di Giunio Basso del iv secolo, proveniente dalle Grotte Vaticane, e la Croce di Giustino.

Tante opere d'arte hanno bisogno di continui restauri. Come siete organizzati in tal senso?

Il museo dispone di un servizio interno di restauro, per evitare che le opere siano portate all'esterno. Abbiamo adattato dei locali nel sottosuolo del Palazzo dei canonici, dopo averli dotati di impianto di climatizzazione e deumidificazione. Alcuni li abbiamo trasformati in magazzino per depositare gli oggetti in vendita nel negozio di souvenir che si trova all'interno dei museo. Uno l'abbiamo destinato ai restauri, l'altro a laboratorio fotografico. In questo modo, i restauratori possono lavorare in loco, senza portare via gli oggetti dal palazzo del Capitolo. Il monumento funebre di Sisto iv è stato restaurato sul posto, nelle sale dei beneficiati, perché era difficile spostarlo. La croce di Giustino ii del vi secolo, proveniente da Bisanzio, invece, è stata restaurata nei locali predisposti. Riguardo a questa preziosissima opera d'arte orafa - in argento dorato e pietre preziose - donata dall'imperatore d'Oriente Giustino ii a Papa Giovanni iii, abbiamo un progetto. Vorremmo riprodurla in scala, per metterla a disposizione dei collezionisti in tiratura numerata e limitata.

Come si accede al museo e quali sono gli orari di apertura?

La sede del museo è stata ricavata da locali già esistenti, quindi non si è potuto cambiare molto. L'ingresso ufficiale è dall'interno della basilica di San Pietro. Nei lavori abbiamo provveduto ad aprire le uscite di sicurezza per mettere i locali a norma. Si può accedere al museo anche dalla sagrestia. I visitatori sono ogni anno circa 400.000. Il prezzo del biglietto d'ingresso è 6 euro. Vi sono riduzioni per gli studenti minori di 26 anni in possesso di documento scolastico, per le scuole che presentano domanda su carte intestata dell'istituto e per i ragazzi dai 7 ai 12 anni. Per i disabili l'ingresso è gratuito, anche per l'accompagnatore. Vi è la possibilità di prendere un'audioguida che accompagna il visitatore per tutto il percorso museale. L'orario di apertura è dalle ore 8 alle ore 18.30, dal 1° ottobre al 31 marzo, e dalle 8 alle 19, dal 1° aprile al 30 settembre. Siamo aperti sette giorni su sette, escluso i giorni di Natale e di Pasqua e il mercoledì mattina, quando si tiene l'udienza generale in piazza San Pietro. Per prenotazioni e informazioni è possibile chiamare il numero 06.69881840. Ci stiamo organizzando anche per allestire un sito internet, in modo da poter offrire la possibilità di acquistare i biglietti da casa.


(©L'Osservatore Romano - 27 agosto 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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13/09/2010 15:19
 
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Quando Paolo VI abolì i corpi 'armati' pontifici


Due articoli dall'Osservatore romano di ieri. Commemorano un gesto del solito Paolo VI che, sempre "con grande rammarico" per quanto sta per fare, abolisce, sopprime, scioglie e modifica: ora la liturgia, ora una tradizione secolare, ora una devozione o pratica di pietà cara a molti. Un quindicennio di continue implosioni. Questa volta, si ricorda la scure abbatutasi sui corpi armati pontifici, sciolti perché "non corrispondono più alle necessità per le quali erano stati istituiti". Bella scoperta, evidentemente sfuggita ai predecessori di Montini dal 187o in poi... Con la stessa logica, perché non eliminare l'Ordine di Malta, visto che le crociate son finite da un pezzo, o i domenicani, dato che di catari in giro non ce ne son più?


Addio alle armi


Pochi giorni prima del centenario della presa di Roma (20 settembre 1870), che segnò la fine del potere temporale, Paolo VI annunciava la decisione di sciogliere i Corpi armati pontifici, eccettuata l'"antichissima" Guardia svizzera. Il provvedimento era comunicato con una lettera al cardinale segretario di Stato, Jean Villot, datata 14 settembre 1970 e resa nota il giorno successivo. [..]

Signor Cardinale,
Nella sua qualità di Nostro primo collaboratore, Ella non ignora la Nostra volontà di far sì che tutto ciò che circonda il Successore di Pietro manifesti con chiarezza il carattere religioso della sua missione, sempre più sinceramente ispirata ad una linea di schietta semplicità evangelica. È stato questo uno degli orientamenti che abbiamo raccolto dal Concilio Vaticano ii e che ci sforziamo di portare a compimento. È stato, fin dall'inizio, l'oggetto di varie disposizioni che si sono già concretate nella riforma della Casa e della Famiglia Pontificia.

In questo contesto, che si è maturato per un processo storico e psicologico, Noi comprendiamo bene come, fra l'altro, i Nostri pur tanto benemeriti Corpi militari tuttora esistenti al servizio della Santa Sede non corrispondano più alle necessità per le quali essi erano stati istituiti.
Le diciamo, pertanto, Signor Cardinale, che si è venuta maturando in Noi, dopo attenta riflessione, e pur con grande rammarico, la decisione di sciogliere i Corpi militari Pontifici, ad eccezione dell'antichissima Guardia Svizzera, la quale continuerà ad assicurare, insieme ad uno speciale Ufficio, da costituirsi presso il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, il servizio d'ordine e di vigilanza.

Nell'annunciare la Nostra determinazione, e i motivi che l'hanno suggerita, Noi desideriamo fin d'ora esprimere la Nostra gratitudine - che ci farà restare loro perennemente obbligati - a quanti hanno finora fatto motivo della loro vita servire il Papa e la Sede Apostolica e sono stati attorno a Noi, come ai Nostri Predecessori in tante indimenticabili occasioni.
Siamo certi che i sentimenti che li hanno spinti a scegliere di far parte dei Corpi Pontifici, continueranno ad animarli anche in avvenire, in una forma che, pur spoglia di ogni esteriorità - come vuole la mentalità del nostro tempo - risponde agli ideali che li hanno sorretti nel loro servizio: l'amore a Cristo e alla Chiesa, la fedeltà alla Santa Sede, la pratica generosa e coraggiosa della Fede. Anzi non dubitiamo che essi saranno sempre esemplari animatori delle comunità ecclesiali, testimoni di Cristo e della Chiesa nel mondo.

***

Il tramonto delle milizie in Vaticano

La "pallida fine di un buon esercito". Il laconico commento dello storico militare Attilio Vigevano (1874-1927) allo scioglimento dell'esercito pontificio, deciso da Pio IX dopo l'ingresso a Roma delle truppe italiane, risuonò esattamente cento anni dopo allorché, il 14 settembre 1970, Paolo VI con lettera al cardinale segretario di Stato Jean Villot, comunicava la sua decisione di sciogliere ciò che rimaneva dei Corpi Armati Pontifici a eccezione della Guardia Svizzera. E proprio Papa Montini fu il primo a esprimere un grande rammarico per il tramonto delle milizie pontificie, anche se deciso dopo attenta riflessione e nel quadro di una semplificazione delle strutture interne dello Stato.

Le prime avvisaglie della decisione si ebbero per la verità già sul finire degli anni Cinquanta quando Giovanni XXIII agli albori del suo pontificato, invitò la Guardia Nobile a rinfoderare le sciabole durante le sacre funzioni papali e la Guardia Palatina d'Onore a lasciare il fucile in caserma durante i servizi prestati nelle basiliche romane. Lo stesso Paolo VI, agli inizi del suo pontificato, aveva fatto accantonare l'uniforme napoleonica della Gendarmeria che, sebbene fosse stata definita da Guglielmo ii la più bella d'Europa, appariva troppo imponente, forse per via del vistoso colbacco. Poi la decisione del settembre 1970, dalla quale si salvò solo il Corpo armato più antico e caratteristico, sia per l'uniforme conosciuta in tutto il mondo, sia per la nazionalità dei suoi militi: la Guardia Svizzera che nel 2006 ha celebrato il suo quinto centenario.

Più complesse le vicende riguardanti il Corpo che nel territorio vaticano esercita le funzioni di polizia: il Corpo della Gendarmeria. Già Papa Eugenio IV (1431-1447) aveva reclutato militi permanenti addetti ai servizi di polizia agli ordini di un Soldanus o ministro di polizia. Tuttavia la Gendarmeria vera e propria era stata fondata nel 1816 da Pio VII con il nome di "Carabinieri Pontifici". Il 17 settembre 1849 Pio IX sostituì tale denominazione con "Veliti Pontifici", poco dopo modificata in "Gendarmeria Pontificia".

Contemporaneamente allo scioglimento del 1970, Papa Montini stabilì l'istituzione di analogo organismo civile. Il 21 gennaio 1971 subentrò così alla Gendarmeria un ente non militare che, con riferimento ai particolari speciali compiti da svolgere, fu denominato Ufficio Centrale di Vigilanza, modificato poi in Corpo di Vigilanza dello Stato della Città del Vaticano. Il 1° febbraio 2003 Giovanni Paolo ii approvava l'ultima denominazione proposta dalla Pontificia Commissione del Governatorato: Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano.

Tra i Corpi Armati pontifici disciolti figura la Guardia Palatina. Era stata istituita da Pio IX il 14 dicembre 1850. Nasceva dalla fusione di due corpi civili: la "Milizia Urbana" e "Civita Scelta" già esistenti da secoli. Il Papa successivamente aveva decorato il Corpo con il titolo "d'onore" in considerazione dello zelo e della fedeltà dimostrati nonché a riconoscimento del servizio, completamente gratuito, prestato alla Chiesa e al Papa stesso. Pio IX nella stessa circostanza concesse il "Concerto Musicale", rimasto a tutt'oggi il Corpo bandistico ufficiale dello Stato. Al momento dello scioglimento, per volere di Paolo vi, fu creata l'Associazione dei Santi Pietro e Paolo inizialmente costituita dai militari della Guardia Palatina e arricchitasi poi con l'adesione di cattolici romani che nel desiderio di rendere particolare testimonianza di vita cristiana e di fedeltà alla Sede di Pietro, dedicano il tempo libero allo sviluppo di diverse iniziative caritative e culturali.
Per quanto riguarda la Guardia Nobile di Sua Santità, essa è stato il primo Corpo a essere stato sciolto nel 1970 e anche l'unico a non essere stato sostituito. Era stata fondata da Pio VII l'11 maggio 1801 con la denominazione di "Guardia Nobile del Corpo di Sua Santità".

Infine una notazione. Il ritorno all'antico nome del Corpo della Gendarmeria non volle significare, come sottolinea il comandante Domenico Giani, una marcia indietro rispetto alla decisione di Papa Montini, ma solo un modo per meglio rappresentare l'effettivo impegno del Corpo - civile anche se militarmente organizzato - nell'espletare un comune servizio di polizia all'interno dello Stato della Città del Vaticano.
(bruno luti)



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 ATTENZIONE....visto il successo riscosso da questo thread, apriamo un altro per agevolarvi nella lettura e nella scelta degli argomenti....questo thread si conclude qui, per continuare qui:

Curiosità .... Cattoliche e dalla Città del Vaticano... (2)



[Modificato da Caterina63 06/10/2010 19:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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