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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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LA SCRITTURA E LA SUA INTERPRETAZIONE

Ultimo Aggiornamento: 03/08/2009 20:06
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03/08/2009 20:06
 
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I. IL TESTO BIBLICO E LA SUA INTERPRETAZIONE


1. GLI ANTICHI MANOSCRITTI BIBLICI FINO ALL'INVENZIONE DELLA STAMPA

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Da: Soprannome MSN°GinoInviato: 29/06/2003 18.11
2. I "TESTI CRITICI” DELLA BIBBIA MASORETICA EBRAICA, DELLA BIBBIA GRECA DEI LXX, DELLA VULGATA E DEL NUOVO TESTAMENTO E GLI STRUMENTI SCIENTIFICI DI STUDIO

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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 12/08/2003 16.55

CRITERI PER UNA CORRETTA INTERPRETAZIONE DELLA SCRITTURA

Ecco alcuni esempi di come la Parola di Dio se non correttamente intepretata può condurre all'errore.

Se l’agiografo non avesse nessun ruolo attivo (cultura personale, esperienze ecc.) nella stesura del libro, allora tutti i libri sacri dovrebbero presentare uno stile unico; viceversa ogni libro rivela lo stile dell’autore umano. Inoltre è impensabile che le differenze e le imperfezioni di stile e di lingua dovrebbero attribuirsi a Dio.
Ci aspetteremmo un unico stile qualora l’ispirazione verbale consistesse nella rivelazione, in una dettatura di ciascuna parola da parte di Dio. Invece l’ispirazione verbale consiste in questo: l’agiografo sceglie liberamente la parola sotto l’influsso divino.
La varietà di stile propria di ciascun agiografo attesta che egli esercita liberamente la sua attività propria, benché sotto l’azione efficace dell’ispirazione.
Se ogni singola parola fosse ispirata non si spiegherebbero le divergenze nei passi paralleli, specialmente nei punti più importanti, come nelle parole della consacrazione e nel Pater nostro, che certo furono pronunziate dal Signore in un solo modo, oppure i diversi modi di raccontare ciò che c’era scritto nella parte superiore delle croce nel momento della crocifissione.
Anche fra i cattolici vi furono alcuni che deviarono il giusto concetto di ispirazione, tra questi ci fu Sisto da Siena (1529 d.C.) Leonardo Lessio (1623 d.C.) Giacomo Bonfrère, suo discepolo (1642 d.C.) e anche il benedettino D. Haneberg, ma il magistero della Chiesa non diede seguito e credito alle loro tesi.
L’enciclica Providentissimus Deus così descrive l’ispirazione: "Lo Spirito Santo con un’azione soprannaturale eccitò e mosse gli agiografi a scrivere e li assistette mentre scrivevano in modo tale che essi concepissero rettamente con la loro intelligenza tutte le cose che Egli voleva, si proponessero di scriverle fedelmente e le esponessero in forma conveniente, secondo verità infallibile; altrimenti Egli non sarebbe più autore di tutta quanta la Scrittura".
Dunque l’ispirazione nell’agiografo è luce alla mente, mozione alla volontà, assistenza alle facoltà esecutive.
Di ogni libro della Scrittura è ispirato direttamente solo il testo originale, anzi a rigore solo l’autografo (cioè il manoscritto originale) dell’autore ispirato. Le copie sono ispirate equivalentemente cioè se ed in quanto trascrivono fedelmente l’autografo. Le traduzioni in altre lingue sono da considerarsi ispirate equivalentemente, se ed in quanto riproducono fedelmente i pensieri e, fin che è possibile anche la forma letteraria dell’originale.
L’enciclica Divino afflante Spiritu invita gli esegeti a indagare "le condizioni di vita" e "in qual tempo sia vissuto" l’agiografo; la stessa enciclica, facendo sue le parole di S. Atanasio, ed estendendole a tutti i libri della S. Scrittura avverte: "Qui, come in ogni altro luogo della Scrittura si ha da fare, deve osservarsi in qual occasione abbia parlato l’Apostolo, chi sia la persona a cui scrive, per quale motivo le scriva; a tutto ciò si deve attentamente e imparzialmente badare, perché non ci accada, ignorando tali cose o fraintendendo l’una o l’altra, di andare lontano dal vero pensiero dell’autore".
Inoltre alcune volte lo scrittore descrive i fenomeni della natura con linguaggio figurato, specialmente nei libri e brani poetici. Perciò, quando dice, per es., che le stelle "si rallegrano e rispondono all’appello divino", sarebbe errato concludere da questo e simili testi che la Scrittura concepisce la natura come animata: è solo un linguaggio poetico che, attraverso un’ardita ma bellissima metafora, vuole esprimere una realtà più elevata: l’onnipotenza divina, al cui comando gli astri sono perfettamente soggetti.


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Da: Soprannome MSN°TeofiloInviato: 12/08/2003 16.56

Ecco quindi che Giosuè dicendo: "fermati o sole, fermati o luna" non ha voluto dettare formule fisiche, matematiche e astronomiche, ma usando un linguaggio poetico ha voluto sottolineare l’onnipotenza di Dio che domina tutto l’universo e qualsiasi prodigio gli è possibile, infatti lo scorrere del tempo si fermò per un po’ ad opera di Dio.
S. Agostino a chi voleva indagare che cosa la Scrittura insegnasse intorno alla configurazione del cielo, rispondeva che "lo Spirito Santo non volle insegnare agli uomini cose che non hanno alcuna utilità per la salvezza eterna… Il Signore non promise lo Spirito Santo per istruirci intorno al corso del sole e della luna: Egli voleva fare dei cristiani, non dei matematici".
Anche ai nostri giorni gli stessi scienziati nella conversazione corrente usano lo stesso linguaggio e dicono: "il sole sorge, il sole tramonta" pur sapendo benissimo che la realtà è diversa. Tuttavia ai sensi sembra che sia il sole, e non la terra, a muoversi, e ciò basta a giustificare il linguaggio corrente, come anche il linguaggio biblico (Eccl 1,5 s.).
Galileo nella sua lettera a Madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana, partendo dal presupposto che la Scrittura non può mai mentire, sottolinea che la Scrittura non ha uno scopo scientifico ma religioso, e cita ripetutamente un detto del Baronio, cioè "che è intenzione dello Spirito Santo d’insegnarci (nella Scrittura) come si va in cielo, non come va il cielo.
Nell’antichità (tanti secoli prima di Galileo) infatti il cielo era descritto come un’immensa volta solida, poggiata su colonne; esso divide le acque in due parti: quelle al di sopra e quelle al di sotto del cielo. Le acque superiori formano un gran serbatoio che Dio apre quando vuol mandare la pioggia; le acque inferiori formano l’oceano, nel quale si trovano le fondamenta della terra. Anche la neve e la grandine si trovano in grandi serbatoi collocati al di sopra della volta del cielo; i venti pure sono tenuti come in grandi serbatoi. Sulla volta del cielo sono infissi gli astri, dei quali i maggiori sono il sole e la luna; la terra poi è supposta immobile mentre il sole le gira intorno (Gen 1,6-8; 16; 7,1 ss. Giob. 26,11; 37,18; 38,22 ecc.). Questa descrizione, corrispondente alla concezione non solo degli Ebrei, ma di tutta l’antichità, non è scientifica, ma è fatta secondo ciò che appare ai sensi. Come anche in Isaia 40,22 si legge: "Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette". Alcune traduzioni come la Diodati traducono "Egli siede sopra il globo del mondo…" oppure in Pr 8,22 leggiamo: "dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo."
In ogni caso bisogna sempre comprendere ed accettare il concetto del messaggio divino, le singole parole possono riferirsi a fatti o cose che i sensi umani percepiscono, ma non necessariamente debbono corrispondere alla realtà scientifica.
Bisogna stare sempre attenti nel valutare i contenuti biblici, altrimenti si va a cozzare contro alcune apparenti contraddizioni che troviamo nella Bibbia. In realtà la Bibbia non si contraddice mai, e in nessun versetto, basta solo saper riconoscere lo scopo dei messaggi divini.
Ad esempio nelle S. Scritture troviamo diverse imprecazioni, per imprecazioni s’intendono le espressioni che augurano del male. Le imprecazioni che si trovano nella Bibbia hanno per oggetto svariati mali e castighi temporali, e persino la morte; sono contenute soprattutto nei salmi così detti "imprecatori".
Queste imprecazioni sembrano espressioni di odio personale contro il nemico e contrarie alla virtù della carità. Per risolvere tale difficoltà bisogna esaminare caso per caso, tenendo presenti i principi che seguono.
Nell’A.T. vigeva la legge del taglione legge dura ma in sé giusta, perché basata sul principio, moralmente onesto, che la colpa deve essere adeguatamente punita. Questa legge era largamente diffusa nel mondo semitico e Dio l’aveva approvata anche per il suo popolo.
Non va giudicata in base al precetto evangelico del perdono, anzi dell’amore verso i nemici
(Mt 5,43-48); rispetto ad esso è certamente imperfetta, ma in sé non si può dire disonesta.
Le imprecazioni si presentano generalmente non come sfoghi di odio personale, ma come invocazioni a Dio perché compia la giusta vendetta secondo la legge del taglione o portando ad esecuzione le sue minacce di maledizione contro i trasgressori della Legge (Lev 26, Dt 28).
Il motivo per cui l’imprecante è perseguitato è il suo attaccamento alla legge di Dio; così la causa personale diventa la causa stessa di Dio che ha promesso le sue benedizioni ai fedeli.
Egli è mosso dunque dal sentimento della giustizia (caratteristica dell’A.T.), meno perfetto del sentimento della carità (caratteristica del N.T.). Che questi appelli alla giustizia di Dio, affinché vendichi il diritto violato, contengano anche una parte di risentimento personale degli autori umani, è comprensibile; "i cristiani che seguono (e che seguiamo) così male gli esempi e insegnamenti del Cristo, non hanno diritto di scandalizzarsi; farebbero meglio ad attingere da essi uno zelo più ardente per l’avvento del Regno di Dio che deve stabilire la giustizia definitiva.
Ecco perché nella dottrina cattolica troviamo che il V.T. contiene alcune cose caduche e imperfette, queste cose temporanee vengono adempite e completate nel Nuovo Testamento, in quest’ultimo non vige più ad esempio la legge del taglione, ma la frase "porgi l’altra guancia", che deriva dalla carità predicata da Gesù.
Certe imprecazioni sono da considerarsi piuttosto profezie. Così S. Pietro ha applicato il Salmo 109,8 (contro un traditore) a Giuda, traditore di Gesù.
Anche quando nella Bibbia troviamo lodi verso qualcuno, sarebbe opportuno saper discernere correttamente, infatti la lode generica di un personaggio, non implica affatto l’approvazione di tutte le sue azioni. Così il lettore può facilmente notare il contrasto fra la poligamia di Lamec (Gen 4,19) e l’unità del matrimonio come fu inizialmente istituito da Dio stesso (Gen 2,23). "Se la Scrittura narra certi fatti non è perché li imitiamo ma perché ce ne guardiamo" (S. Agostino).
Così l’elogio delle due levatrici in Es 1,19 s. non implica l’approvazione della loro bugia, né l’elogio di Giuditta comporta l’approvazione del suo inganno (Giudit. 10,11 ss.).
Tenendo presenti i suddetti principi si può apprezzare rettamente ciò che la Scrittura dice intorno alla guerra. Vi sono però casi in cui Dio stesso dà ordine di distruggere città, di sterminare popoli (Num 21,2 s.; Dt 7,1-6; anzi la riprovazione di Saul ebbe inizio dalla trasgressione di un ordine simile: I Sam 15).
Bisogna allora notare che tali ordini avevano lo scopo di prevenire il pericolo che gli Israeliti si lasciassero trascinare all’idolatria e alla corruzione dei costumi: nel conflitto tra il bene materiale altrui e il bene spirituale proprio, a quello fu preferito quest’ultimo. Inoltre Dio, padrone della vita e della morte, si servì del popolo eletto per punire le popolazioni cananee delle loro gravi perversioni morali (Gen 15,16; Dt 9,4 s.; 18,9-12; Sap 12,1-7)
Malgrado l’altezza dei principi morali che contiene, l’A.T. non è un codice morale: esso testimonia l’attività di un Dio condiscendente che volle adeguare la propria azione alla debolezza umana (Mt 19,8). Questa è in ultima analisi la spiegazione delle imperfezioni morali che si riscontrano negli eroi biblici. La Bibbia testimonia una pedagogia divina e una pedagogia progressiva.
Presi gli uomini in uno stato morale e intellettuale inferiore, Dio li ha condotti fino al vangelo;
ma solo a poco a poco ha rivelato il loro ideale, e non fa meraviglia se alle prime tappe della storia sacra non si manifesta la conoscenza di quelle leggi divine che sono al livello del Discorso della montagna.
Ecco quindi ancora che non sono importanti le singole parole ma il concetto dell’insegnamento.

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