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L'apostasia e la cristofobia che inquieta l'Europa autodistruggendola, l'omofobia è una falsità

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2011 12:43
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Cattolicesimo e secolarismo nell'età contemporanea

Un'apostasia che inquieta l'Europa


Pubblichiamo ampi stralci di una lezione tenuta dall'arcivescovo prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi ai docenti e agli studenti della University of Notre Dame nell'Indiana (Stati Uniti).

di Angelo Amato

europaCosa comporta per l'Europa il distacco dal cristianesimo? Nel 2005 il cardinale Joseph Ratzinger, lamentava la crisi religiosa e morale del continente europeo, dove "si è sviluppata una cultura che costituisce la contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell'umanità" (L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Siena, Cantagalli, 2005, p. 37). E difatti nella Costituzione europea manca ogni riferimento a Dio e alle radici cristiane della sua civiltà. In tal modo si dimentica che la struttura profonda di una società è spirituale e culturale, più che politica ed economica. E si sfigura l'identità europea.
L'accento sulle radici cristiane dell'Europa è un'offesa ai non cristiani, oggi massicciamente presenti nel vecchio continente?

"Chi verrebbe offeso? - si chiedeva il cardinale Ratzinger - L'identità di chi viene minacciata? I musulmani, che a tale riguardo spesso e volentieri vengono tirati in ballo, non si sentono minacciati dalle nostre basi morali cristiane, ma dal cinismo di una cultura secolarizzata che nega le proprie basi. E anche i nostri concittadini ebrei non vengono offesi dal riferimento alle radici cristiane dell'Europa, in quanto queste radici risalgono fino al monte Sinai:  portano l'impronta della voce che si fece sentire sul monte di Dio e ci uniscono nei grandi orientamenti fondamentali che il decalogo ha donato all'umanità. Lo stesso vale per il riferimento a Dio:  non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio" (p. 40).
 
La motivazione di questo duplice "no", a Dio e alla radici cristiane, risiede nel presupposto che soltanto la cultura razionalistica radicale può costituire l'identità europea. Ma la tragica storia dell'Europa del secolo scorso ha dimostrato che la libertà umana, sganciata da Dio e dalla sua legge, conduce a un dogmatismo che, alla fine, umilia l'uomo, sopprimendone la libertà. Le ideologie atee naziste e comuniste non hanno prodotto paradisi terrestri, ma solo tragici regimi di terrore, che hanno negato dignità e libertà all'essere umano, alle vittime e agli stessi carnefici.

La risposta cristiana al secolarismo ateo è fondata sull'esperienza dei secoli, sulla regula aurea, secondo la quale "vivere nella verità può cambiare quello che nella storia sembra incambiabile".

Nell'Europa contemporanea l'emancipazione da Dio e la negazione della sua legge produce comportamenti pratici biasimevoli. Come per l'economia e la politica, anche per la biomedicina e la biotecnologia, una ricerca sganciata dall'etica permette all'uomo di disporre impunemente della vita di altri esseri umani, soprattutto dei più deboli e indifesi. Una "biopolitica", che non fa riferimento alla legge naturale, può permettere, ad esempio, l'annientamento dei feti, la manipolazione degli embrioni considerati semplice materiale biologico, la clonazione, l'ibridazione, la contraccezione, l'eutanasia. La vita perde la sua inviolabilità e l'essere umano smarrisce la sua identità. Si intacca, poi, la stessa nozione di "famiglia" come comunità composta dal padre, dalla madre e dai figli. Si permette il "matrimonio" non più solo tra uomo e donna e si ammette l'adozione di bambini anche da parte di coppie omosessuali.

Se questa è l'Europa - ci si può chiedere - perché insistere sulle sue radici cristiane dal momento che essa si riscopre culturalmente aliena al cristianesimo?

La risposta risiede nel fatto che l'Europa non si comprende senza il cristianesimo. Essa perde la sua identità e la sua originalità. La storia europea mostra che il "concetto Europa" è una costruzione plurimillenaria costituita da strati diversi e complementari (Joseph Ratzinger, Chiesa, ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1987, pp. 207-221).
Il primo strato è offerto dalla civiltà greca. L'Europa come parola e come concetto geografico e spirituale è una creazione greca. Gli elementi di questa grecità potrebbero essere così sintetizzati:  diritto della coscienza, relazione tra ratio e religio, affermazione della democrazia in armonia vincolante con ciò che è giusto e retto.

Il secondo è dato dall'eredità cristiana, dal suo umanesimo, che in Gesù Cristo opera la sintesi tra la fede d'Israele e lo spirito greco.

Il terzo strato è costituito dall'eredità latina. Nella storia l'Europa è stata identificata con l'occidente, e cioè con la sfera della cultura e della Chiesa latina, che, però, abbracciava, oltre ai popoli romanici, anche i germani, gli anglosassoni e una parte degli slavi. La res publica christiana non era certo una realtà europea politicamente costituita, ma si muoveva in un insieme di cultura unitaria, visibile nei sistemi giuridici, nelle università, nei concili, negli ordini religiosi, nella circolazione della vita ecclesiale. Il tutto aveva Roma come suo centro.

Infine, l'eredità dell'era moderna costituisce il quarto strato dell'Europa. Gli elementi di tale eredità sono:  la distinzione tra Stato e Chiesa, la libertà di coscienza, i diritti umani e l'autoresponsabilità della ragione.

Tutti questi diversi elementi sono stati portati a unità dalla Chiesa di Cristo, che è stata la matrice della civiltà europea, della sua difesa e della sua diffusione nel mondo. Nel volume Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale (Siena, Cantagalli, 2007, pagine 272, euro 18,50), Thomas E. Woods jr. elenca il molteplice contributo che la Chiesa cattolica ha apportato alla civiltà europea, con i monasteri, le università, la ricerca scientifica, l'arte, il diritto internazionale, l'economia, la carità, l'etica, e soprattutto con la libertà.

Di conseguenza, l'Europa del futuro non può essere solo il prodotto di una unificazione politica ed economica, ma anche la sintesi dei valori ereditati dalla tradizione. Dovrebbe, quindi, tener conto delle sue radici greche e dell'intima relazione tra democrazia ed eunomìa, fondando le sue leggi su norme morali rispettose della legge naturale. Dovrebbe, inoltre, vincolare il suo diritto pubblico al rispetto dei valori morali del cristianesimo, non relegando Dio nel solo spazio privato, ma riconoscendolo pubblicamente come valore supremo. Un ateismo esasperato non garantirebbe la sopravvivenza di uno Stato di diritto.

Per questo la Chiesa cattolica, soprattutto mediante il magistero papale sia di Giovanni Paolo II con la sua esortazione postsinodale Ecclesia in Europa, sia di Benedetto XVI, con le tre esemplari lezioni di Ratisbona (12 settembre 2006), di Roma (università La Sapienza, 18 gennaio 2008) e di Parigi (13 settembre 2008), non si appiattisce sull'agenda del secolarismo ideologico e politico, ma continuamente sollecita un atteggiamento di "laicità positiva", che valorizzi l'apporto del cristianesimo, con il suo "sì" alla vita, alla libertà, alla democrazia, al rispetto della dignità di ogni essere umano. Questo atteggiamento sembra richiamare l'appello che Blaise Pascal rivolgeva ai suoi amici non credenti, invitandoli a vivere veluti si Deus daretur. In tal modo nessuno perde la sua libertà e le decisioni morali trovano un fondamento sicuro, di cui hanno urgentemente bisogno.

Con la sua avversione al cristianesimo, la comunità europea è un corpo che cresce sempre di più, ma senza anima. Joseph H. H. Weiler - un ebreo ortodosso, nato in Sud Africa, professore di diritto alla New York University School of Law - analizzando il progetto della costituzione europea, riconosce l'assurdità storica di eliminare il cristianesimo dalla storia moderna europea. Giunge anzi ad affermare che una costituzione europea, che deliberatamente ignora le radici cristiane dell'Europa, sarebbe costituzionalmente illegittima (cfr. Un'Europa cristiana:  Un saggio esplorativo, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2003, pagine 197, euro 7,50). Un'Europa cristiana, infatti, rispetterebbe i diritti di tutti i cittadini, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani. Il deficit delle radici cristiane porta al deficit di democrazia.

Anche Weiler parla di "cristofobia" che si manifesta con accenti e motivazioni diverse. Ad esempio, con l'errata convinzione  degli  intellettuali  euro-pei che considerano la tragedia della Shoah come logica conclusione dell'antigiudaismo storico, mentre è la diretta conseguenza della concezione atea del nazionalsocialismo. Una seconda componente della cristofobia è presente negli epigoni della rivoluzione giovanile degli anni Sessanta che fu sostanzialmente anticristiana. Inoltre, la cristofobia è il contraccolpo psicologico e ideologico alla caduta del comunismo nel 1989 nell'Europa dell'Est dovuta all'influenza straordinaria della personalità di Giovanni Paolo II.

Ma è impensabile sognare un'Europa come "un'area speciale di speranza umana" (preambolo del progetto di costituzione europea) senza gli uomini e le donne, grandi e piccoli, che hanno dato ingegno e creatività alla civiltà europea. Così come è impensabile che l'Europa difenda "i valori universali degli inviolabili e inalienabili diritti della persona umana" senza il fondamento della civiltà cristiana.

Questa apostasia dal cristianesimo, che viene propagandata dalla cronaca quotidiana, in realtà sta sprofondando l'Europa in una grave crisi morale e sociale:  "Relativismo, laicismo, scientismo e tutto quello che oggi viene messo al posto della fede sono i veleni, non gli antidoti, i virus che aggrediscono il corpo già malato, non gli anticorpi che lo difendono" (Marcello Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo l'Europa l'Etica, Milano, Mondadori, 2008, p. 5).

L'esperimento che è in corso oggi in Europa - e cioè vivere come se Dio non esistesse - non sta dando i frutti promessi per tre ragioni. Anzitutto perché il secolarismo, che sta alla base dei diritti civili, non si autogiustifica senza un riferimento forte al bene e al vero. Il secolarismo resta senza fondamento. Mentre, il cristianesimo, con l'idea dell'uomo immagine di Dio, apporta alla società il valore incommensurabile della dignità personale, senza la quale non c'è né libertà, né uguaglianza, né solidarietà, né giustizia (ibidem, p. 6).

Inoltre, da una parte, l'Europa si vanta di essere diventata la terra più scristianizzata dell'Occidente, ritenendo il cristianesimo un ostacolo al suo sviluppo civile; dall'altra, gli europeisti si lamentano di una mancanza di "identità europea" e cercano un'anima alla nuova Europa. Ma senza l'identità cristiana l'Europa non risulta più aperta, più tollerante, più pacifica. Al contrario:  "Senza la consapevolezza dell'identità cristiana, l'Europa si distacca dall'America e divide l'Occidente; perde il senso dei propri confini e diventa un contenitore indistinto; non riesce a integrare gli immigrati, anzi li ghettizza o si arrende alla loro cultura; non è in grado di vincere il fondamentalismo islamico, anzi favorisce il martirio dei cristiani in tante parti del mondo e anche in casa propria" (ibidem).

In terzo luogo, si afferma che la libertà consiste nel dare cittadinanza a tutte le libertà e quindi non bisognerebbe insistere sulla religione cristiana, dal momento che la democrazia è religione in se stessa. Si scopre, però, come aveva già visto Platone, che una tale democrazia relativistica è autofagica, divora se stessa. (cfr. Platone, La Repubblica, viii, xi-xiv). Se non c'è più la verità, ma solo la somma delle varie credenze; se non c'è più la legge morale naturale, ma solo l'assoluta libertà dell'individuo, "allora il bene morale può essere solo sottoposto al voto e il voto, si guardi alle nostre legislazioni in materia di bioetica, può decidere che è bene qualunque cosa" (M. Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani, p. 7).

L'Europa se vuole ritrovare la sua anima, la sua identità, i suoi fondamenti e la verità delle cose deve dirsi cristiana. I grandi teorici del liberalismo, John Locke, Thomas Jefferson, Immanuel Kant esaltavano la libertà umana, ma ponevano una condizione precisa per poterla realizzare:  il rispetto della legge naturale. Ciò che assicurava questo rispetto, per Kant e per gli altri, era il dovere di coscienza di aderire al principio del bene e non a quello del male. E il bene al quale Kant si riferiva con la sua religione nei limiti della ragione era proprio l'etica cristiana.

Sono molte le ragioni che dovrebbero motivare gli europei a dirsi cristiani:  la memoria della loro origine; la possibilità di superare la crisi della loro società; la disumanità di un secolarismo autosufficiente e ateo; il mantenimento della stabilità sociale; l'orgoglio dell'universalità della civiltà europea; la fondazione razionale e non pregiudiziale della distinzione tra Stato e Chiesa; la sopravvivenza delle istituzioni sociopolitiche.

Nel 1942 Benedetto Croce scrisse il saggio Perché non possiamo non dirci cristiani. Per lui il cristianesimo era la più grande rivoluzione dell'umanità, che ha prodotto una straordinaria civiltà umana, che ancora oggi sostiene la società contemporanea. Il cristianesimo è al fondo del pensiero moderno e del suo ideale etico. Per Kant, ad esempio, è proprio dell'uomo vivere velut si Deus daretur, anzi, è moralmente necessario ammettere l'esistenza di Dio (Critica della ragion pratica, Bari, Laterza, 1966 p. 156).

"Vivere come se Dio esistesse - commenta Marcello Pera - significa negare all'uomo quel senso di onnipotenza e di libertà assoluta che prima lo esalta e poi lo avvilisce e degrada, riconoscere la nostra condizione di finitezza, essere consapevoli dell'esistenza di limiti etici del nostro agire, che è precisamente uno dei punti del decalogo delle ragioni per cui i liberali devono dirsi cristiani" (Perché dobbiamo dirci cristiani, pp. 57-58).

Velut si Deus daretur è la condizione moralmente necessaria perché l'Europa possa ritrovare la sua identità e coltivare la speranza. L'Europa deve ricordare che all'inizio e in tutto il corso della sua storia c'è il Vangelo:  "Il Cristianesimo è l'anima dell'Europa, non perché non si sia mescolato con altre culture, ma perché le ha portate ad unità, le ha articolate, fuse, composte in un quadro che ha fatto della terra in cui sbarcarono Pietro e Paolo il continente cristiano" (ibidem, p. 96).

La tradizione cristiana dell'Europa ha amalgamato nella croce di Cristo la ratio dei Greci, il diritto delle genti dei Romani, le leggi di Mosè. L'Europa è oggi senz'anima perché rifiuta quella cristiana che la storia le ha dato. Non è sufficiente parlare di unità nella diversità o di meticciato di culture, formule evasive e ambigue perché non forniscono identità. Una integrazione presuppone un soggetto integrante. Integrare non significa solo ospitare, accogliere o aggregare.

In conclusione, l'Europa deve dirsi cristiana se vuole unificarsi, se vuole affermarsi come civiltà dei diritti umani fondamentali; se vuole difendersi ed evitare guerre di religione; se vuole superare la stagione tragica del suo recente passato; se intende battere la sua profonda crisi morale.

Perché milioni di persone da altri continenti e da altre culture non cristiane bussano non solo alle porte degli Stati Uniti d'America, ma anche a quelle dell'Europa, invadendola? Lo fanno solo per trovare un lavoro e una migliore condizione di vita? Forse. Ma la ragione più profonda è una sola:  perché qui trovano libertà, perché la vera patria dell'uomo non è il suolo dove è nato, ma la terra dove può vivere libero.

Se l'Europa vuole continuare a vivere nella libertà per tutti deve continuare a vivere etsi Deus daretur e a fondarsi sulla tradizione cristiana. Se l'Europa vuole integrare persone provenienti da altre culture non può essere senza identità, ma deve avere ancora fiducia nei suoi valori identitari, apprezzarli e anche avere la serenità di considerarli buoni e, forse, anche migliori di altri. Se non lo fossero, non sarebbero desiderati da milioni di immigrati. 

Integrazione significa allora conversione al cristianesimo? apostasiaNon necessariamente. Integrazione significa adesione ai valori fondamentali della civiltà europea:  "Se l'Europa non è un melting pot ma solo un contenitore, è perché non ha energia identitaria sufficiente a fondere il contenuto" (ibidem). La comunità senza Dio che l'Europa mediante il laicismo, il relativismo, lo scientismo e il multiculturalismo sta costruendo non è solo un ostacolo alla sua identità, è anche un impedimento alle politiche di integrazione. Con ciò si propone un nuovo fondamentalismo cristiano? No, perché il cristianesimo, pur riconoscendosi come religione della salvezza universale nel mistero di Cristo, evita il fondamentalismo mediante l'antidoto della libertà religiosa, del rispetto della coscienza individuale, della distinzione tra errore ed errante, del comandamento della carità verso tutti, anche verso i nemici.

L'atteggiamento della Chiesa nei confronti dell'Europa contemporanea rispecchia il messaggio evangelico della carità e della libertà:  "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo" (Marco, 16, 15-16); "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio" (Giovanni, 1, 11-12). La Chiesa propone non impone il Vangelo.

Il Vangelo è essenzialmente una buona notizia anche per oggi. Per questo la nostra riflessione sulla situazione del cattolicesimo nell'Europa secolarizzata intende essere una buona notizia.

Il compito della Chiesa in Europa è triplice:  proclamare il Vangelo; testimoniarlo con coerenza; annunciare il Vangelo nei moderni areopaghi della cultura, della politica, dei massmedia, dell'educazione dei giovani. Per l'Europa il Vangelo resta anche per il terzo millennio il suo Libro per eccellenza, un libro di vita, di verità e di luce, come è vita, verità e luce Cristo, Parola di Dio incarnata. Riprendiamo in mano questo Libro, divoriamolo, gustiamolo e celebriamolo:  questa era l'esortazione del servo di Dio Giovanni Paolo II.

Dal canto suo Benedetto XVI, grande studioso dell'Europa e della sua identità cristiana, a più riprese ha incoraggiato l'Europa a non vergognarsi del Vangelo, ma ad apprezzarlo e a viverlo. A Parigi, nell'incontro con gli intellettuali francesi il 12 settembre 2008, ha affermato:  "Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto (...). Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell'Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura".



(©L'Osservatore Romano - 9 agosto 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il cardinale Bagnasco alla festa di san Lorenzo

Senza morale
la società è fragile



La libertà della Chiesa e di ogni cristiano non si imprigiona. Come non è l'opinione pubblica a scegliere cosa è morale o immorale. Il bene e il male non possono essere decisi con i numeri. Nell'omelia per la solennità di san Lorenzo, l'arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, difende la libertà del credente, ancora vittima di violenza e intolleranza in alcune parti del mondo, e invita la società a far udire la voce universale della coscienza per sconfiggere disumanità e individualismo. Qui di seguito pubblichiamo il testo quasi integrale dell'omelia pronunciata lunedì 10 agosto.


San Lorenzo ci si presenta come un campione di libertà; un campione perché - per affermare la libertà della Chiesa rispetto all'imperatore ingiusto - ha pagato con la vita.
Oggi i poteri ingiusti, che vorrebbero imprigionare la libertà del credente, sono molti. Siamo noi disposti a pagare il prezzo della libertà che Gesù ci ha donato? A volte, purtroppo, il prezzo è ancora la persecuzione fisica, la tortura e la morte, come in alcune parti del mondo.
Tranne quella del Santo Padre, non sento voci alte, forti e costanti a condannare tanta intolleranza. Non basta, infatti, una voce e una volta condannare il male e invocare il diritto alla libertà religiosa o alla vita umana, o alla giustizia e alla pace. È necessario - e lo vediamo in alcuni campi - proseguire e insistere perché le orecchie dei responsabili prestino attenzione e passino a decisioni coerenti. Una sola, sporadica voce, si perde nella notte come il lampo di una stella cadente.

Tutto, poi, ricade nel buio di prima. San Lorenzo ha resistito di fronte alle pretese ingiuste dell'imperatore Valeriano che gli intimava di consegnargli tutti i beni della Chiesa di Roma. Ma ha dato la vita. Forse per difendere i beni materiali? Dei privilegi? Del potere? Siamo nel quarto secolo. No! Semplicemente per difendere la libertà della Chiesa e di ogni cristiano: libertà di professare la fede in Gesù, libertà di aiutare i poveri e i sofferenti nella testimonianza della carità, libertà di fare le opere coerenti con la sua missione.

Dicevo che oggi i poteri ingiusti, che vorrebbero imprigionare la libertà della Chiesa e dei cattolici, sono molteplici. Uno di questi - forse il più subdolo e strisciante - è il dominio della cosiddetta opinione pubblica. Sembra che il bene e il male dipendano dall'opinione pubblica, cioè da ciò che gli altri - rappresentati come maggioranza - pensano sui valori. Come se ciò che è morale o immorale dipendesse, in fondo, dai numeri.
A dire il vero, c'è anche chi ritiene e proclama che non ha più senso parlare di moralità e di immoralità, poiché, essendo impossibile - essi pensano - conoscere la verità delle cose, ognuno decide individualmente e assolutamente ciò che è bene o meno, basta non disturbare troppo gli altri. Come è esperienza di tutti, col passare del tempo questo "disturbare non troppo" restringe sempre di più il suo campo, e la libertà individuale - coincidente con le voglie e le emozioni individuali - si allarga sempre di più nell'affermazione di sé.

San Lorenzo - se vivesse oggi - reagirebbe con decisione a questo imperio rovinoso per il singolo e per la società. È, questa, una vera e propria ideologia che mina alla radice la costruzione della persona: essa, in questo modo, non è riconosciuta responsabile di sé, ma è consegnata in balia di se stessa, senza punti di riferimento etici, senza principi di fondo universali e assoluti.
Si trova smarrita e frantumata: quale tipo di società potrà uscirne, se non una società smarrita e fragile, esposta al più forte, seppur illusa di essere libera perché liberata dalle categorie morali valide per tutti? Il bene e il male non può essere deciso con i numeri, ma in virtù di quella voce universale che è nel cuore di ogni uomo e che è la coscienza: essa - se viene ascoltata senza pregiudizi - fa echeggiare quelle verità assolute e prime il cui affermarsi permette all'uomo di essere integralmente uomo e alla società di essere veramente umana.

San Lorenzo, con il suo crudele martirio, ha affermato questo. All'imperatore, che in quel momento storico aveva la pretesa di essere l'opinione pubblica e di definire il bene e il male in modo arbitrario, Lorenzo dice "no", e afferma un "prima" che niente e nessuno può scavalcare. Il prima dell'etica che affonda le radici nel cuore creato da Dio. Oggi diremmo che san Lorenzo non solo ha difeso la libertà della Chiesa, ma anche ha difeso a caro prezzo la libertà dell'uomo, la sua umanità, la fonte di ogni vera democrazia.




(©L'Osservatore Romano - 10-11 agosto 2009)

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Fine di un pericoloso disegno di legge
Postato il Mercoledì, 14 ottobre @ 10:00:00 CEST di Peppone

 

Sbarrata la strada al reato di omofobia.
Una vittoria dell’ordine naturale e cristiano

                       


Riportiamo di seguito un intervento del Prof. Roberto de Mattei…



Il tentativo di introdurre il reato di omofobia nel nostro ordinamento è per il momento fallito, grazie alla mobilitazione, principalmente su Internet, delle associazioni cattoliche e all’impegno profuso da alcuni parlamentari del Pdl e dell’Udc.

Vale la pena ricostruire la vicenda nei suoi passaggi essenziali. Alla fine del 1999, su proposta dell’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema, venne per la prima volta proposta l’introduzione nel nostro Paese del reato di omofobia. Il Governo D’Alema cadde e ci si avviò verso le elezioni anticipate che portarono al primo Governo Berlusconi. La sinistra non desistette dal suo obiettivo che reiterò nel corso del secondo Governo Prodi (2006-2008). Anche Prodi cadde anticipatamente e di fronte a un nuovo Governo Berlusconi, gli omosessualisti vollero procedere in maniera più cauta assicurandosi, se possibile, l’appoggio della maggioranza, o di una parte di essa. L’on. Anna Paola Concia (Pd), unica omosessuale dichiarata del nostro Parlamento e relatore del progetto di legge sull’omofobia presentato all’inizio della legislatura, ha spiegato nel suo sito (http://www.paolaconcia.it/b/ ) di voler arrivare all’obiettivo “senza megafoni, senza frasi ad effetto, senza propaganda politica”, ovvero senza creare allarmismi, ma anzi “tessendo tele” e “convincendo” gli avversari. È quanto è accaduto il 12 ottobre con l’approvazione del testo unico sull’omofobia da parte della Commissione Giustizia della Camera.

La manovra è quella di introdurre il reato di omofobia nel nostro codice penale attraverso la “circostanza aggravante inerente all’orientamento e alla discriminazione sessuale”. E’ questo il titolo della proposta di legge Concia, che inserisce nell’art. 61 del codice le seguenti parole: “11-quater) l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato”.

Queste tre righe sono devastanti. Per la prima volta nel nostro ordinamento, gli omosessuali vengono riconosciuti come categoria giuridica meritevole di speciale tutela, con tutte le conseguenze che da questo derivano. Qualcuno potrebbe pensare che “l’aggravante sessuale” prevista dal testo per alcuni reati  non abbia nulla a che fare col diritto di critica alle unioni omosessuali. Questa interpretazione trascura il carattere processuale della Rivoluzione anticristiana, che procede attraverso passaggi non solo storici, ma innanzitutto logici e concettuali, ognuno dei quali contiene in germe quello successivo. Quali sono infatti i delitti contro la “libertà morale” a cui si riferisce il testo? Si tratta di “violenze” non solo fisiche, ma morali, come ingiurie, diffamazioni, aspre critiche rivolte non solo verso la persona omosessuale in quanto tale, ma verso tutta la categoria omosessuale. La condizione omosessuale del soggetto viene protetta dal testo di legge prima ancora della sua integrità fisica e morale.

In coerenza con la proposta di legge, l’omosessualità non potrebbe essere pubblicamente criticata o “discriminata” in quanto tale, perché ciò implica una indiretta lesione morale di tutti gli appartenenti alla categoria. Criticare l’omosessualità potrebbe essere considerato dal giudice più grave della violenza fisica contro un singolo omosessuale, perché la critica colpisce alla radice proprio quell’orientamento sessuale, che è giuridicamente tutelato dalla legge. La norma, come viene osservato, non solo penalizza coloro che considerano l’omosessualità un disvalore, ma promuove l’omosessualità come un valore positivo, nel diritto e nel costume. Per interpretare la legge, la magistratura si appellerebbe al famigerato articolo 21 sulla discriminazione della Carta dei diritti di Nizza, annessa al Trattato di Lisbona, e alle analoghe indicazioni in materia del Parlamento europeo.

Esiste inoltre un evidente aspetto di incostituzionalità del progetto, che è stato messo in luce da otto parlamentari del Pdl e dall’avvocato Claudio Vitelli, di “Famiglia Domani”, in due documenti ai quali rimandiamo e che in aula, il 13 ottobre, è stato sollevato come questione pregiudiziale dall’Udc. L’assemblea di Montecitorio, con i voti di Pdl, Lega e Udc, ha clamorosamente bocciato il testo approvato in Commissione. Occorre tuttavia tenere alta la guardia, per evitare che il reato di omofobia divenga una sinistra realtà.
 
(Roberto de Mattei)

Newsletter Associazione Famiglia Domani
http://www.famigliadomani.it/

Prof. Roberto De Mattei autore del libro:

La liturgia della Chiesa nell’epoca della secolarizzazione, prof. R. De Mattei


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[SM=g1740733] Giornali e riviste che vogliono dirsi CATTOLICHE, si prodighino a seminare la VERITA' e non le personali opinioni spesse volte distorte dalle mode dei tempi.....

Combatti la buona battaglia con la corretta informazione!

Che si chiamino Unioni di fatto, Pacs o Dico il fine è il medesimo: togliere dal senso comune la nozione di famiglia naturale, fondata sul matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna.

Siamo, infatti, quotidianamente vittime di una subdola, ma intensissima propaganda mediatica, intesa farci inconsciamente accettare come "normale", ciò che normale non è.

Dopo aver reso disponibile la più ampia documentazione sulleUunioni di fatto www.fattisentire.org/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&... presente nel web, FattiSentire vuole oggi contribuire a svelare retroscena e finalità occulte del progetto delle lobby progressiste.

Si tratta di un denso opuscolo di 60 pagine scaricabile gratuitamente cliccando qui:

www.totustuustools.net/DICO.zip

Buona lettura!

oppure leggerlo qui on-line:


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[Modificato da Caterina63 26/10/2009 10:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Atteggiamenti anticristiani

Quando l'illuminismo diventa chiacchiera da bar


Pubblichiamo l'editoriale apparso sul "Corriere della Sera" del 21 marzo 2010. L'autore è professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Istituto Italiano di Scienze Umane.

di Ernesto Galli della Loggia

Sempre più di frequente il discorso pubblico delle società occidentali mostra un atteggiamento sprezzante, quando non apertamente ostile, verso il Cristianesimo. All'indifferenza e alla lontananza che fino a qualche anno fa erano la regola, a una secolarizzazione per così dire silenziosa, vanno progressivamente sostituendosi un'irrisione impaziente, un'aperta aggressività che non è più solo appannaggio di ristrette cerchie di colti, come invece avveniva un tempo. Il bersaglio vero e maggiore è nella sostanza l'idea cristiana nel suo complesso, come dicevo, ma naturalmente, non foss'altro che per ragioni numeriche e di rappresentanza simbolica, sono poi quasi sempre il cattolicesimo e la sua Chiesa a essere presi in special modo di mira. Dappertutto, ma, come è ovvio, in Italia più che altrove.

Il celibato, il maschilismo, la pedofilia, l'autoritarismo gerarchico, la manipolazione della vera figura di Gesù, l'adulterazione dei testi fondativi, la complicità nella persecuzione degli ebrei, le speculazioni finanziarie, il disprezzo verso le donne e la conseguente negazione dei loro "diritti", il sessismo antiomosessuale, il disconoscimento del desiderio di paternità e maternità, il sostegno al fascismo, l'ostilità all'uso dei preservativi e dunque l'appoggio di fatto alla diffusione dell'Aids, la diffidenza verso la scienza, il dogmatismo e perciò l'intolleranza congenita:  la lista dei capi d'accusa è pressoché infinita, come si vede, e se ne assommano di vecchi, di nuovi e di nuovissimi. Ma da un po' di tempo vi si aggiunge qualcosa che contribuisce a dare a quelle imputazioni un peso e un senso diversi, un impatto più largo e distruttivo, finendo per unirle tutte nel segno di un attacco solo complessivo.

Questo qualcosa è un radicalismo enfatico nutrito d'acrimonia; è, insieme, una contestazione sul terreno dei principi, un chiedere conto dal tono oltraggiato e perentorio che dà tutta l'idea di voler preludere a una storica resa dei conti. Ciò che più colpisce, infatti, della situazione odierna - e non solo immagino chi è credente ma pure, e forse più, chi come il sottoscritto non lo è - è soprattutto l'ovvietà ideologico-culturale della posizione anticristiana, la sua facile diffusione, oramai, anche in ambienti e strati sociali non particolarmente colti ma "medi", anche "popolari". Ai preti, alla Chiesa, alla vicenda cristiana non viene più perdonato da nessuno più nulla. Si direbbe - esagero certo, ma appena un poco - che ormai nelle nostre società, a cominciare dall'Italia, lo stesso senso comune della maggioranza stia diventando di fatto anticristiano. Anche se esso preferisce perlopiù nascondersi dietro la polemica contro le "colpe" o i "ritardi" della Chiesa cattolica.

Tra i tanti e assai complessi motivi che stanno dietro questa grande trasformazione dello spirito pubblico del Paese ne cito tre che mi paiono particolarmente significativi.
Al primo posto l'ingenuità modernista, l'illuminismo divenuto chiacchiera da bar. Ci piace pensarci compiutamente moderni, e modernità sembra voler dire che gli unici limiti legittimi siano quelli che ci poniamo noi stessi.

Le vecchie autorità sono tutte morte e al loro posto ha diritto di sedere solo la Scienza. Siamo capaci di amministrarci finalmente da soli, non c'è bisogno d'alcuna trascendenza che c'insegni dov'è il bene e dov'è il male. Che cosa c'entrano dunque la religione con i suoi comandamenti, i preti con i loro divieti? Accade così che ogni cosa che getta ombra sull'una o sugli altri ci appaia allora come la rassicurante conferma della nostra superiorità:  alla fin fine siamo migliori di chi pure vorrebbe farci continuamente la lezione.

E poi - ecco un secondo motivo - la Chiesa e tutto ciò che la riguarda (religione inclusa) ricadono nella condanna liquidatoria del passato, di qualsiasi passato, che in Italia si manifesta con un'ampiezza che non ha eguali. Il che significa non solo che tutto ciò che è antico, che sta in una tradizione, è perciò stesso sempre più sentito come lontano ed estraneo (unica eccezione l'eno-gastronomia:  l'ideologia dello slow food è la sola tradizione in cui gli italiani di oggi si riconoscono realmente), ma significa anche, questa messa in mora del passato, che il pensare in termini storici sta ormai diventando una rarità. Sempre più diffusi, invece, l'ignoranza della storia, dei contenuti reali delle questioni, e l'antistoricismo, l'applicazione dei criteri di oggi ai fatti di ieri:  da cui la ridicola condanna di tutte le malefatte, le uccisioni e le incomprensioni addebitabili al Cristianesimo, a maggior gloria di un eticismo presuntuoso che pensa di avere l'ultima parola su tutto.

E da ultimo il cinismo della secolare antropologia italiana, e cioè il fondo limaccioso che si agita al di sotto dell'appena sopraggiunta ingenuità modernista. Il cinismo che sa come va il mondo e dunque non se la beve; che appena sente predicare il bene sospetta subito il male; che ha il piacere dello sporco, del proclamarne l'ubiquità e la forza. Quel feroce tratto nazionale che per principio non può credere in alcuna cosa che cerchi la luce, che miri oltre e tenga lo sguardo rivolto in alto, perché ha sempre bisogno di abbassare tutto alla sua bassezza.


(©L'Osservatore Romano - 22-23 marzo 2010)
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06/07/2010 18:51
 
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In Europa, il “matrimonio” omosessuale non è un diritto


Sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani



STRASBURGO, martedì, 6 luglio 2010 (ZENIT.org).- Lo European Centre for Law and Justice (ECLJ) ha appoggiato la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (ECHR) che ha affermato che non esiste un diritto di matrimonio o di partnership registrata per gli omosessuali in base alla Convenzione Europea dei Diritti Umani.

Analizzando la sentenza Schalk e Kopf v. Austria (n° 30141/04), la Corte ha affermato il 24 giugno scorso che il Governo austriaco non ha discriminato la coppia non permettendo a due uomini di contrarre matrimonio.

La Corte ha ribadito all'unanimità che il diritto di sposarsi è garantito solo a “uomini e donne”, come esposto nell'articolo 12 della Convenzione.

Ha anche osservato che tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa “non c'è ancora una maggioranza di Stati per fornire un riconoscimento legale alle coppie dello stesso sesso. L'area in questione, dunque, deve ancora essere considerata uno dei diritti in evoluzione con un consenso non stabilito”.

Visto che “il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali profondamente radicate che possono differire ampiamente da una società all'altra, la Corte ribadisce che non deve affrettarsi a sostituire il proprio giudizio a quello delle autorità nazionali, che sono le più adatte ad affrontare e a rispondere alle necessità della società” (§62), e che “gli Stati sono ancora liberi, in base all'articolo 12 della Convenzione e all'articolo 14 considerato insieme all'articolo 8, di restringere l'accesso al matrimonio alle coppie di sesso diverso” (§108).

In altre parole, la Corte ha prudentemente rinunciato, anche se solo per il momento, a imporre agli Stati nazionali il riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso.

Gregor Puppinck, direttore dell'ECLJ, interpreta questa rinuncia prudente alla luce dell'attuale “ribellione” di una dozzina di Stati membri nel caso italiano del crocifisso (Lautsi v. Italia) contro una tendenza della Corte di imporre nuovi diritti umani “post-moderni” che contraddicono i valori sottostanti la Convenzione.

“Gli Stati non possono essere vincolati ad accettare nuovi obblighi che non si trovino nella Convenzione e siano inoltre contrari ad essa”, ha aggiunto Puppinck in alcune dichiarazioni inviate a ZENIT.

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14/08/2010 22:32
 
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500 aborti al giorno in Gran Bretagna la stanno trasformando in paese islamico

di Gianfranco Amato

Cinquecento aborti al giorno. Questa è la drammatica media delle interruzioni di gravidanza in Gran Bretagna. Il dato è di quelli destinati a lasciare il segno nei flussi demografici, soprattutto se si raffronta con la cifra complessiva dei 2.000 neonati che vengono quotidianamente al mondo nel Regno Unito.

A lanciare l’allarme è stato Lord Alton of Liverpool, membro della Camera dei Lord, il quale ha invocato un dibattito nazionale sull’entità di un fenomeno che ha ormai ampiamente superato i limiti della soglia di guardia.

L’Abortion Act del 1967, la legge che ha introdotto l’aborto in Gran Bretagna, era stata previsto per consentire legalmente l’interruzione di una gravidanza in caso di serio rischio per la salute della donna. Le cifre ufficiali, rilasciate da fonti governative, parlano di 6,1 milioni di aborti procurati negli ultimi quarant’anni.

Di questi, soltanto 24.100, ovvero lo 0,4%, sono stati giustificati dalla previsione normativa di tutelare la salute fisica e mentale della madre. Tutti gli altri aborti, infatti, sono stati praticati sulla base di motivazioni di carattere sociale ed economico. Quelle motivazioni che hanno finito, poi, per costituire il pretesto del ricorso agli aborti selettivi.

Lord Alton non ha usato mezzi termini nel denunciare il tradimento dello spirito della legge del 1967, e nell’evidenziare come il numero impressionante di 500 aborti quotidiani significhi che una gravidanza su cinque finisce per essere interrotta. Tutto questo, secondo il nobile parlamentare, rappresenta una vera e propria «bizzarria».

È singolare, infatti, la presenza di un tasso di aborti così drammaticamente elevato in un Paese dove molte donne spendono migliaia di sterline per diventare mamme grazie alla fecondazione artificiale, o per adottare bambini dall’estero, visto che in Gran Bretagna non esistono più minori da dare in adozione.

Non poteva mancare la replica. Kate Smurthwaite, vice presidente dell’associazione pro-choice Abortion Rights, ha contestato le considerazioni di Lord Alton, affermando che non esiste un numero “giusto” di aborti [sì, esiste: è zero], in quanto «il numero giusto è quello che ogni donna decide o necessita di avere».

Io aggiungerei un’ulteriore bizzarria rispetto a quella segnalata da Lord Alton. Secondo la legge coranica l’aborto è un atto intrinsecamente ingiusto e viene considerato dai musulmani come haram, cioè proibito. È ancora più ingiusto - insegna l’Islam - quando viene praticato adducendo motivazioni sociali o cause economiche, perché in questo caso si trasgredirebbe la parola stessa del Corano, e in particolare il versetto 31 della sura 17: «Non uccidete i vostri figli per timore della miseria […].. Ucciderli è veramente un peccato gravissimo».

I cinquecento innocenti che vengono giornalmente eliminati sono, infatti, pressoché tutti figli di donne occidentali. Nel frattempo, mentre la strage erodiana si ripete quotidianamente, Mohamed è diventato il nome più diffuso tra i neonati maschi di Londra. È due volte più popolare di Daniel, il secondo nome in graduatoria. Le statistiche demografiche, inoltre, registrano che il tasso di natalità delle donne inglesi è di 1.1, mentre quello delle donne musulmane è di 3.4.

I dati ufficiali dell’Office for National Statistics evidenziano che la popolazione musulmana in Gran Bretagna è cresciuta, in quattro anni, di 500.000 persone, passando da 1.870.000 abitanti nel 2004 a 2.400.000 nel 2008. Sempre secondo l’O.N.S. la presenza musulmana nel Regno Unito è aumentata a un ritmo dieci volte superiore rispetto al resto della società, mentre nello stesso periodo il numero dei cristiani è diminuito di 2.000.000 di individui.

Esistono previsioni sull’incremento della popolazione musulmana britannica per il 2023, che spingono alcuni commentatori a parlare di emergenza demografica, se non addirittura di una «demopraphic time bomb».

Alle ultime elezioni politiche tenute lo scorso 6 maggio il numero dei musulmani nel parlamento britannico è raddoppiato. Il governo sovvenziona ed elargisce fondi pubblici a sette scuole islamiche, tra cui l’Al Furqan School di Birmingham, l’Islamia School di Londra e il Feversham College di Bradford.

Il municipio londinese Harrow Council ha appena sottoscritto con la società di catering Harrison’s contratti per la somministrazione di cibo halal, cioè preparato con ingredienti e modalità prescritte dalla legge coranica, per tutti gli studenti, compresi i non musulmani, delle nove scuole elementari pubbliche del circondario.

Sono ufficialmente censite, in tutto il Regno Unito, più di cinquecento moschee, alle quali vengono concesse agevolazioni fiscali, mentre si considera che siano molte di più le moschee non ufficialmente riconosciute. Dei circa mille imam che predicano l’Islam, soltanto trenta hanno ricevuto una formazione religiosa in Gran Bretagna. I matrimoni celebrati secondo il rito islamico sono ufficialmente riconosciuti dall’ordinamento giuridico britannico, così come vengono riconosciuti i riti funebri per i defunti musulmani, ai quali viene riservata, nei cimiteri pubblici, un’area particolare e separata.

È in progetto la costruzione della controversa megamoschea di Abbey Mills, finanziata dal gruppo missionario islamico radicale Tablighi Jamaat, nel quartiere londinese di Newham, zona East End, a cinquecento metri di distanza da dove sorgerà il villaggio Olimpico per i Giochi del 2012. Lo scopo dell’iniziativa, infatti, è di dare una visibilità internazionale alla presenza islamica in Gran Bretagna, attraverso quella che dovrebbe essere la più grande moschea del mondo occidentale, costituita da un edificio principale, una madrassa, residenze per studenti, una biblioteca, un giardino e un centro di accoglienza, per una capienza complessiva di settanta mila fedeli.

Questi dati rendono una semplice evidenza. Mentre da una parte un’intera generazione finisce tra i rifiuti speciali ospedalieri, dall’altra una nuova generazione portatrice di una cultura allogena, avanza a ritmi esponenziali.

Forse ha ragione David Coleman, docente di demografia alla Oxford University, quando spiega che una popolazione in crescita, caratterizzata da una spiccata propensione culturale per la vita, «tende a esprimere una voce sempre più forte in termini politici, quanto meno perché viviamo in una democrazia dove gruppi religiosi e radicali detengono un forte controllo del consenso e, quindi, dei voti».

E conterà sempre di più rispetto a una popolazione che vive una fase calante della propria parabola demografica, e che sembra caratterizzata - tra aborto, contraccezione, eutanasia - da una sorta di necrofilia culturale. I politici britannici sono avvertiti.

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interessanti interventi nel Blog di Messainlatino sull'argomento che troverete cliccando sul titolo:

500 aborti al giorno in Gran Bretagna la stanno trasformando in paese islamico





 
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03/11/2010 09:03
 
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Il progetto di unione politica del Vecchio Continente non deve dimenticare i suoi ideali originari

Dietro le note
dell'"Inno alla gioia"


Il 3 novembre, nella Sala Marconi di Radio Vaticana, viene presentato il libro curato da Cosimo Semeraro I padri dell'Europa. Alle radici dell'Unione Europea (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 94, euro 9). Anticipiamo alcuni stralci dell'intervento dell'Ambasciatore capo delegazione della Commissione delle Comunità Europee presso la Santa Sede.

di Yves Gazzo


L'Inno alla Gioia di Friedrich Schiller, scritto nel 1785, è una poesia vivace che celebra la fratellanza, l'unione del genere umano, la riconciliazione e Dio. Il compatriota di Schiller, Ludwig van Beethoven, l'ha usata come base per la composizione del movimento finale della sua Sinfonia n. 9, completata nel 1824.

Nel 1985 una versione strumentale dell'opera di Beethoven, arrangiata da Herbert von Karajan, è diventata l'inno ufficiale dell'Unione europea.

Considerate le sfide e le critiche con cui deve ripetutamente confrontarsi gli scettici potrebbero sostenere che l'Inno alla gioia di Schiller sia un prisma piuttosto inappropriato attraverso il quale guardare la posizione politica, economica e sociale dell'Unione, ora che ci apprestiamo a entrare nella seconda decade del ventunesimo secolo.
Per i padri fondatori dell'Europa, che avevano ancora i penosi ricordi degli orrori delle due guerre mondiali, perseguire i valori e la pace era una fonte di forte entusiasmo.

Non dimentichiamoci che i nostri valori sono stati conquistati con fatica. In molte parti del mondo, questi valori devono essere ancora completamente rivendicati da molti popoli che sottostanno a Governi oppressivi.
Se l'Unione vuole realmente avere un ruolo globale, i nostri valori dovrebbero essere una fonte di gioia da difendere.

Il Trattato di Lisbona sottolinea la necessità di un'Unione europea più democratica e più vicina ai cittadini. Oggi però un concetto machiavellico della politica come ricerca manipolativa del potere sfortunatamente ha messo da parte l'antica originale cultura greca della politica come ricerca di una vita "bella". Gli sforzi per riaccendere la passione e l'entusiasmo e il fatto di rivolgersi direttamente ai nostri cittadini saranno cruciali per il successo futuro del progetto europeo.
Ma cosa significa essere un "buon europeo"?

Questa è la grande domanda che non può essere definita da un parlamento o dalla politica o dal discorso di un ambasciatore a una tavola rotonda. È una domanda che riguarda la società, una domanda su cui i cittadini europei devono riflettere e discutere.

In questo contesto ci chiediamo:  se i valori sono intrinsechi al progetto europeo, che posto ricopre la religione? Le società europee sono diventate meno omogenee e più pluraliste. Ciò ha portato a una riconsiderazione del ruolo della religione pubblica in Europa.
I religiosi deplorano la misura in cui la religione sia stata relegata nella sfera privata. Altri vedono troppa religione nella sfera pubblica. In breve, "l'anima dell'Europa" è diventata il soggetto del dibattito e della contestazione.

Inquadrare il dibattito come un conflitto cosmico tra un'anima "laica" e una "religiosa" ci porterà soltanto a false dicotomie, esagerazioni e dialogo mancato. Molta della confusione deriva dal fatto che il concetto di laicità ha significati diversi per persone diverse.
Sotto l'aspetto della libertà di religione, della libertà di coscienza, dei diritti umani e della separazione istituzionale tra la Chiesa e lo Stato, l'Europa deve essere laica. La maggior parte dei leader religiosi probabilmente concordano sul fatto che questa sia una cosa buona.

L'Unione europea persegue il bene comune di tutti i suoi cittadini, siano essi cristiani, ebrei, musulmani o atei; oggi i tribunali sono tenuti a decidere sempre di più su questioni che, in passato, nessuno avrebbe persino immaginato di porre. I cittadini non religiosi si sentono minacciati e quelli religiosi si sentono discriminati e relegati nella sfera privata. È interessante notare come i tribunali si trovino sempre più spesso a dover tracciare i confini pratici tra laico e religioso.

In questa atmosfera pesante, il dialogo è più importante che mai. Il dialogo sulla religione, l'ateismo e la verità deve avvenire all'interno della società civile visto che l'Unione europea non ha mandato per farlo. Le rivendicazioni sulla verità religiosa e filosofica non possono essere giudicate dai tribunali o legiferate dai politici.

Tuttavia, in linea con l'articolo 17 del Trattato di Lisbona, l'Unione si impegna a mantenere un "dialogo aperto, trasparente e regolare con le chiese e le comunità di convinzione su questioni politiche di comune interesse (articolo 17.3)". Se l'Unione viene vista solo come un mucchio di istituzioni senza valori e senza anima, non avrà successo.


(©L'Osservatore Romano - 2-3 novembre 2010)

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15/11/2010 16:36
 
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E se l’islam fosse il nostro futuro?


ROMA, lunedì, 15 novembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la risposta a un lettore di padre Piero Gheddo, già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria.


* * *

Carissimo Padre,

in riferimento a quanto da Lei pubblicato su “Zenit” (cfr. "Terrorismo: una novità dalla Norvegia"), mi viene spontaneo chiederle se Lei vorrebbe che la posizione del governo norvegese fosse la posizione di tutti i governi occidentali, come una specie di "braccio secolare " che toglie "le castagne dal fuoco" al posto della Chiesa. O, magari, Lei addirittura si augura che quella decisione diventi la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica? Lei sa meglio di me, però, che la Chiesa non ha una posizione unanime nei confronti dell'Islam. Basti citare, per es., solo due Vescovi: il cardinal Dionigi Tettamanzi e monsignor Luigi Negri. Reazioni diverse per l'eclatante episodio dell'occupazione della piazza del Duomo di Milano da parte dei "sederi sollevati in aria ". Il cardinal Dionigi affermò, tra l'altro, se ben ricordo, che la reciprocità non è assolutamente una condizione evangelica necessaria perché un cristiano riconosca ai seguaci di Maometto il diritto di ottenere spazi per la preghiera comune. Il che significa offrire sempre l'"altra guancia".

Nella storia della Chiesa questo atteggiamento, però, mi sembra in contraddizione con la promulgazione delle Sante Crociate, che a mio avviso sarebbero da ripetere, se ci fosse una Cristianità e, complessivamente un Occidente, consapevoli della minaccia del terrorismo islamico. Una coscienza inesistente del pericolo, invece, come Lei giustamente rileva.

Non conosco le Missioni e magari posso dire delle stupidaggini. Tuttavia mi sembra che si sarebbe dovuto pensare da tempo, dove fosse stato anche meno difficile realizzarle, a delle milizie cristiane di autodifesa, proprio perché un po' ovunque, non da oggi, i Cristiani vengono allegramente ammazzati. Ci sono Vescovi, sacerdoti e anche laici che non lasceranno mai le loro terre e che sono disposti al martirio. Se io fossi un cristiano di quei luoghi me ne sarei andato da un pezzo con i miei cari o sarei perito difendendo legittimamente me e i miei. E, soprattutto, mandando qualche fanatico all'inferno, non per scherzo. Ma forse  io ragiono troppo da “occidentale”.

Cordialmente,

Carlo Martinelli


Caro Martinelli,

grazie della sua lettera alla quale rispondo volentieri, perché mi dà modo di precisare il mio pensiero. Due punti:

1) ho citato il governo norvegese che non dà il permesso di costruire una moschea a Oslo, finanziata dall'Arabia Saudita, fin che in Arabia i cristiani non potranno costruire la prima chiesa. Così

almeno scrivono i giornali. Non penso che tutti i governi occidentali debbano fare così, per un motivo facile da capire: si andrebbe verso un confronto aspro con i governi islamici, i cui popoli pensano di essere oppressi e colonizzati dai cristiani, cioè dall’Occidente. Legga il mio volume “La sfida dell’islam all’Occidente” (San Paolo 2007, pagg. 164), dove spiego ampiamente come e perchè si è formata questa psicosi nei popoli islamici, che l’Occidente cristiano è il nemico dell’islam, la prima causa della decadenza dell’islam negli ultimi secoli. E’ una mentalità che i testi scolastici insegnano ai loro bambini e studenti, per non parlare di quel che dicono gli imam nelle moschee e i giornali popolari nelle lingue locali! Questo spiega “il martirio per l’islam” che entra nella mentalità dei giovani, con tutte le conseguenze che sappiamo.

D’altra parte, abbiamo sperimentato, con le guerre in Iraq e in Afghanistan, che lo “scontro di civiltà” e la violenza non migliorano la situazione, anzi la peggiorano. Fino al crollo del muro di Berlino l’Occidente affrontava un’ideologia nemica, il comunismo, ed era un’ideologia politico-culturale; oggi siamo di fronte ad un’ideologia di radice religiosa (non la religione islamica in sé, ma l’islam strumentalizzato da politici, capi religiosi, intellettuali), che non si sgonfia facilmente come il comunismo, imploso dall’interno! I musulmani sono molto divisi fra di loro, ma uniti contro l’Occidente: un miliardo e 300 milioni di persone.

2)  Il governo della Norvegia ha compiuto un gesto nuovo che, ho scritto, “meriterebbe almeno di essere discusso, acquistare rilievo in giornali e televisioni. Invece niente, nessuno ne parla. L’Europa non ha ancora preso coscienza che il terrorismo di matrice islamica non è rivolto solo contro i cristiani, ma contro l’Occidente cristiano, gli Stati Uniti e l’Europa cristiana”. La maggioranza dei popoli europei non hanno ancora preso coscienza di questo pericolo che ci minaccia. Quindi, il primo imperativo è di parlarne, discuterne, sperimentare soluzioni. E poi, cosa fare?

A)  I governi e le forze politiche e sociali dovrebbero, trattando con i governi dei paesi islamici quasi tutti nostri alleati, avere l’atteggiamento che in genere è adottato con la Cina: ricordare con forza che debbono osservare i diritti dell’uomo, fra i quali la piena libertà religiosa.  E compiere anche gesti forti come quello del governo norvegese, che certo non otterrà risposta positiva, ma almeno mette quei governanti di fronte alle loro responsabilità. E coinvolgere in questi gesti i musulmani d’Italia, le echiesto a noi di costruire una moschea? Bene, prima però scrivete, in modo ufficiale attraverso la vostra Ambasciata, una richiesta al vostro governo, firmata da molti vostri correligionari, affinchè conceda anche ai cristiani quello che voi chiedete in Italia: la piena libertà religiosa. E vediamo cosa il vostro governo risponde”. Insomma, esistono molti modi di esercitare pressioni amichevoli, fraterne, senza offendere né suscitare reazioni violente.

B)  Diverso è il discorso per la Chiesa e per noi come cristiani, che abbiamo il dovere anzitutto di pregare, di aiutare e accogliere i nostri fratelli di fede perseguitati. Poi c’è il dialogo con i musulmani, l’aiuto ai poveri; infine di dire agli italiani che il modo migliore per dialogare con l’islam è di tornare a Cristo, alla fede e alla pratica religiosa. Anzitutto perché, convertendoci a Cristo in modo sincero, risolveremmo molti nostri problemi personali, familiari e sociali. In altre parole, in una società di cristiani autentici (quello che oggi non siamo) si vive tutti meglio.  E daremmo miglior testimonianza del cristianesimo ai popoli altri.

L’alternativa del ritorno a Cristo è quella dell’Europa cristiana com’è oggi, compresa la nostra Italia,  che appare ai musulmani come un continente ricco, evoluto, democratico, colto, ma lontano da Dio, vuoto di ideali e di bambini. I giornali islamici ripetono spesso, come gli imam nelle moschee e gli insegnanti nelle scuole: “Noi musulmani abbiamo un compito storico: riportare l’Europa a Dio”. E’ inevitabile che un vuoto religioso, come oggi appare l’Europa, prima o poi venga in qualche modo riempito da popoli che hanno una forte identità religiosa. E se fosse questo, in prospettiva storica, il nostro futuro?



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Il negazionismo degli euroburocrati

Nel giro di poche ore l'Ue si dimentica delle festività critiane e si rifiuta di equiparare le vittime del comunismo a quelle del nazismo. E se ne frega se attaccano le chiese in Nigeria e nelle Filippine

di Marcello Veneziani


Tratto da Il Giornale del 27 dicembre 2010

Per l’Unione europea il Natale non esi­ste, la Pasqua nemmeno, e se uccidono i cristiani in Nigeria e nelle Filippine, co­me è accaduto nel giorno di Natale, chi se ne frega, la cosa non ci riguarda. I cri­stiani saranno una setta del posto. Noi europei ci occupiamo di misurare le ba­nane, mica di religioni, superstizioni, stragi e amenità varie. Noi siamo civili, lavoriamo in banca, mica pensiamo alle festività religiose. E poi in questi giorni la Commissione europea non lavora, è in vacanza natalizia, anche se non si sa uffi­cialmente la ragione di queste festività, sarà l’anniversario dell’euro o l’onoma­stico di Babbo Natale...
 
Non sto vaneg­giando per overdose di spumanti e pa­nettoni. È stata diffusa in milioni di copie e in migliaia di scuole, in tutta Europa e forse anche nei Paesi islamici, l’agenda ufficia­le dell’Europa, firmata della Commissione europea. Nel diario europeo, che mi è capitato di vedere, c’è traccia delle più estrose festività relative alle più minoritarie religioni, ma non c’è alcun riferimen­to alle festività antiche, canoniche e ufficiali della cristianità europea. Non si sa perché festeggiamo Natale e le altre festività religiose, nulla è ac­cennato sull’agenda che ricordi la Natività, la Resurrezione e tutto il re­sto, nulla che segni in rosso una san­­ta festività. Ma quale Natale, Pasqua, Epifania, diceva Totò, a cui evidente­mente si ispira l’Unione Europea. L’ha fatto notare, protestando, il mi­nistro degli Esteri Frattini, ma in que­sti giorni l’Unione europea è chiusa per inventario merci (non esistendo il Santo Natale) e dunque la protesta affonda nel vuoto vacanziero di que­sta vuota Europa.

A ragion veduta possiamo perciò accusare l’Unione europea di nega­zionismo. L’Unione europea è un’as­sociazione vigliacca di smemorati banchieri fondata sul negazioni­smo. Nel giro di poche ore, l’Unione eu­ropea ha infatti negato le festività cri­stiane e dunque la sua tradizione principale ancora viva da cui provie­ne e nel cui nome ha un calendario e un sistema di festività. Ed ha pure ne­gato ai Paesi dolorosamente usciti dal comunismo il diritto di conside­rare i loro milioni di vittime sullo stes­so piano delle vittime del nazismo. Come sapete, la Commissione eu­ropea ha nega­to che si possano equi­parare gli stermini comunisti a quelli nazisti e possa dunque scattare an­che per loro il reato di negazionismo. Pur avendo commesso «atti orren­di», i regimi del gulag, secondo la Commissione europea, «non hanno preso di mira minoranze etniche». E che vuol dire, sterminare i borghesi o i contadini è meglio che sterminare gli appartenenti a una razza? Uccide­re chi non la pensa come te è un cri­mine meno efferato che uccidere chi è di un’altra razza? Tra le fosse di Ka­tyn, le foibe e le camere a gas di Da­chau, qual è la differenza etica, giuri­dica ed umana? Tra chi nega gli ster­mini di popolazioni civili di Paesi in­vasi dal comunismo e chi nega gli stermini etnici, qual è la differenza? È ideologica, signori, puramente ide­ologica.

Come ideologica è la nega­zione delle tradizioni cristiane più popolari. Non parliamo infatti del dogma trinitario o di altri quesiti teo­logici, qui parliamo di Natale e Pa­squa, avete presente? Alla base del­l’Europa c’è un negazionismo vi­gliacco e bugiardo, che non è solo quello di negare alcuni colossali orro­ri per riconoscere e perseguirne de­gli altri; ma negare l’Europa stessa, la sua vita, il calendario che scandisce i suoi giorni, la sua realtà e la sua veri­tà, la sua tradizione e la sua storia. Il negazionismo dell’Unione euro­p­ea è ancora più grave del negazioni­smo elevato a reato: perché non ne­ga solo alcuni orrori, ma nega anche in positivo la storia, la provenienza, la vita europea.

Del suo passato l’Unione resetta tutto, difende solo la memoria della Shoah, e poi cancella millenni di civiltà cristiana, millenni di natali e pasque, orrori del comuni­smo e di altre tirannidi. Che schifo. Io non ho ancora capito a che serve l’Unione europea fuori dall’ambito economico. Non è un soggetto politi­co che esprime posizioni unitarie, non ha un governo passato dal con­senso del popolo europeo, la sua stes­sa unione non fu voluta o almeno rati­ficata da un referendum costitutivo del popolo sovrano. Non è un sogget­to cul­turale e civile perché non fa nul­la per affermare, difendere o valoriz­zare l’identità europea, anzi fa di tut­to per negarla. Non ha una sua carta costituzionale dove declina le sue ge­neralità storiche, le sue affinità idea­li, i suoi principi, le sue provenienze civili e religiose.
 
Non ha una sua poli­tica es­tera unitaria o una strategia in­ternazionale, e non si occupa di stra­gi dei cristiani, semmai si agita solo se c’è una donna condannata a mor­te per aver ucciso il marito in Iran. Insomma, l’Europa non è mai nata e ha paura pure della sua ombra. Esi­ste solo un sistema monetario unico, un sistema di dazi e di regole, di ban­che e di finanziamenti. È un ente eco­nomico, un istituto per il commer­cio. Per questo l’Unione europea non esiste, abbiamo ancora la Cee, la Comunità economica europea. Anzi non sprechiamo la parola comunità per un consorzio economico, tornia­mo al Mec, Mercato europeo comu­ne. L’Europa è un morto che cammi­na.


Nostro commento: e pensare che i padri fondatori dell'Europa, come Monnet e Adenauer, erano ferventi cattolici, per non parlare dei Servi di Dio Schuman e De Gasperi. E che la bandiera stessa dell'Europa è formata da 12 stelle sopra un manto azzurro: vi ricorda nulla? Ma il rifiuto di inserire nel preambolo della costituzione europea il riferimento alle radici giudaico-cristiane, ha rappresentato l'inizio della fine di questa già nobile istituzione, ormai rimasta senz'anima, senza fondamento, senza futuro.




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"Il Mascellaro" nell'articolo si chiede: "Io non ho ancora capito a che serve l’Unione europea ".......  
non posso fare a meno che pensare ai "SEGNI DEI TEMPI" a questi eventi scandalosi, si, ma "NECESSARI", necessari poichè è necessario l'avvento dell'Anticristo e tutto si sta preparando a questa venuta.... non sappiamo certamente  "nè il giorno, ne l'ora" ma arriverà, a noi il compito di guardare i SEGNI E PRESERVARE NELLA FEDE....."Quando il Figlio dell'uomo tornerà sulla terra, troverà ancora la fede nell'uomo"?  

Ciò che si sta preparando è LA NEGAZIONE DI CRISTO IN QUANTO DIO E SALVATORE, già le nuove generazioni crescono, in alcuni Stati come la Spagna, con l'indicazione che non esiste un padre e una madre" termini infatti ABOLITI dalla sua Costituzione e dall'anagrafe dei Comuni.... in molte scuole europee è già TEMA DI INSEGNAMENTO che non vi è differenza fra l'uomo e la donna e che le coppie dello stesso sesso possono formare ugualmente una famiglia NORMALE.....  
In molte scuole è oramai MATERIA DI INSEGNAMENTO che l'aborto NON è un omicidio, ma un atto "LEGITTIMO E MORALMENTE LECITO".....  
 
La Chiesa è sempre più ISOLATA e va avanti spesso con piccoli e grandi compromessi a livelli locali.... purchè LA FACCIATA DEL "VOLEMOSE BENE E DELLA PACE UMANA E PACIFISTA" SIA PRESERVATA....  
Mai la Santa Sede aveva raggiunto un numero così immenso di ACCREDITAMENTI di Ambasciate all'interno del piccolo ma immenso Stato Vaticano, eppure mai così come oggi viviamo il paradosso che la Chiesa NON è affatto ascoltata, anzi, più mantiene i contatti con il mondo, più viene isolata!  
 
Diceva san Tommaso d'Aquino: "....e quando cesserà il DRITTO NATURALE, allora comincerà l'avvento del regno dell'Anticristo"....  
gli interpreti sostengono che l'aquinate si riferisca a quel "diritto naturale" della LEGGE DIVINA che la Chiesa, con il potere Temporale, sapeva infondere nei regni e nei regnanti che si succedevano e negli Stati e nei Regni che le restavano FEDELI pur mantenendo una propria autonomia ed indipendenza dalla Chiesa....  
non a caso le legislature, anno dopo anno e secolo dopo secolo, hanno saputo inserire nelle leggi umane anche la Legge Divina, i Dieci Comandamenti o parte di essi come la nascita della FESTA DELLA DOMENICA in qualità di GIORNO FESTIVO.... il "non uccidere", non rubare, la falsa testimonianza.... il giurare di dire tutta la verità ponendo la mano sulla Bibbia.... la condanna pubblica della bestemmia (non nominare il nome di Dio invano )..... l'aborto era UN REATO oltre che un peccato.... e potremmo continuare.... ma tutto questo sta finendo! si sta già modificando, le leggi degli uomini hanno intrapreso una via che li condurrà alla morte..... la strada all'Anticristo è stata spianata....  
 
E' fondamentale ricordarsi delle parole del Cristo: PERSEVERATE NELLA VERA FEDE.... IO HO VINTO IL MONDO!!




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/12/2011 12:43
 
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«Luca era gay» e il tabù della conversione

Da La Bussola di Chiara Mantovani del 13-12-2011

L’incontro con un ragazzo che, dopo aver trascorso molta parte della propria vita comportandosi da omosessuale, ha deciso di guardarsi dentro, ha ricevuto una forte motivazione religiosa e ha cambiato stile di vita è, evidentemente, un messaggio troppo forte da accettare.

Così, l’ennesima conferenza di Luca (che "era gay e adesso sta con lei"), a Ferrara la settimana scorsa, ha ancora una volta sollevato il problema del cambiamento radicale da omosessuale a eterosessuale, ricevendo una tanto accesa contestazione da suscitare almeno alcuni “perché?”. Perché non è possibile ascoltare senza polemiche il racconto di una conversione? Perché non sopire i toni contestatori e smettere di negare un fatto solo perché è in contrasto con la propria vita? Perché c’è sempre qualcuno che parla di sopruso e discriminazione verso gli omosessuali, quando la prima cosa che si dichiara è che il rispetto verso le singole persone è pieno e sincero?

Con un titolo che non lasciava spazio alle illazioni: “Ero gay, con Maria ho ritrovato me stesso”, il racconto di Luca si è svolto in una parrocchia, organizzato da associazioni dichiaratamente cattoliche, preceduto e concluso da una preghiera: nessun dubbio, si era in una prospettiva di fede, in un contesto culturale che dichiara di credere nella legge naturale, accetta i dati biologici senza per questo idolatrarli, consapevole che gli esseri umani sono degli spiriti incarnati, corpi ma non solo, anime immortali ma intessute di fisicità.
Il racconto di Luca è filato liscio, anche se qualche commento sarcastico ha sottolineato i passaggi più fideistici, ma fin qui nessuna meraviglia. Il folto gruppo di rappresentanti dell’ARCI gay cittadina aveva iniziato già il giorno prima a promettere la contestazione del relatore e ad esigere di essere ascoltati, inoltrando tramite i giornali locali l’invito a intervenire per esternare le proprie posizioni e a “picchettare” l’ingresso. Se si fosse trattato di un pubblico dibattito sulle teorie scientifiche e psicologiche dell’omosessualità, ci sarebbe stato qualche motivo per chiedere la parola, ma il contesto di testimonianza, e i toni accesi della lettera ai quotidiani, consigliava di accettare solo domande scritte.

A detta dei contestatori, questo era inaccettabile e ha dato origine ad intolleranze verbali. Ma la ribalta alle rivendicazioni gay e alle derisioni del cattolicesimo è francamente abbondante sui media e persino nei consessi internazionali: l’accusa di non avere spazi di espressione appare davvero risibile.
Avendo scorso tutti i foglietti delle domande (ma avendone potuto leggere ad alta voce solo tre prima dell’interruzione), resto sempre più profondamente persuasa che il problema non sia tanto (e solo) l’omosessualità: il primo, decisivo, problema è la concezione stessa di persona. Cui deriva, immediatamente, quella di libertà. Ho visto ragazzi arrabbiati perché convinti che è giusto comportarsi come suggerisce un desiderio o una pulsione, che non c’è un modo giusto e uno sbagliato di vivere, che non c’è nulla di radicabile in una giustizia che abbia fondamento al di fuori della soggettività, che la libertà da rivendicare consiste nell’agire come si vuole.
Luca è stato toccante mentre raccontava i profondi disagi che la sua precedente condizione gli procurava, il dolore per la morte degli amici, il vuoto di senso che accompagnava la sua vita brillante e lussuosa: disagi tipici di ogni storia di conversione; ma la dimensione religiosa non è stata riconosciuta, è stata stigmatizzata come disprezzo, come illusione, come violenza verso chi non la condivide.

La serata non è finita male, perché i frati ospitanti e molti intervenuti hanno intavolato un dialogo personale con i contestatori e così è emerso una volta di più che è il rapporto interpersonale che consente un dialogo vero, sincero, libero dagli ideologismi, altrimenti quasi obbligati se si è schierati da una certa parte. E perché nel parlare a tu per tu emerge che si può discutere anche veementemente quando si confrontano le idee, ma che il rispetto reciproco è realizzabile solo faccia a faccia, in un rapporto interpersonale.
A me resta una profonda tristezza nel vedere il disastro educativo e la nefanda influenza del “dogma” relativistico: abbiamo ancora molto da crescere, da studiare e da pregare per testimoniare efficacemente che la libertà vera non è quella di fare tutto, ma solo quella di fare il bene.




[SM=g1740733]

L'omosessualità è una patologia che la società di oggi, con l'orgoglio gay che non è l'omosessualità in se ma la difesa dell'atto e l'orgolgio di praticarlo, ha reso ancor più perverso e pervertitore nella sua ideologia....  
dal Catechismo stesso, e dallo stesso san Tommaso d'Aquino, apprendiamo che il concetto di perversione appartiene a tutto ciò che distorce il senso naturale, la stessa legge naturale, così anche l'aborto è una perversione, anche l'ostinarsi nel peccare è una perversione, non sono mai le persone in quanto tali ma gli atti che compiamo ad essere perversi quando, appunto, si dissociano dalla legge naturale... Wink  
ed è vero, la sodomia è pratica molto anche fra gli etero, e ci sono molti cristiani e che tali si dicono che pure ritengono tale pratica "naturale".... alcuni seguaci di don Tonino Bello la giustificano, leggere qui..... modificare il senso delle Scritture per favorire certi atti è pura perversione....  
Purtroppo il sesso è stato il primo strumento usato da Satana per corrompere i Figli di Dio, da questo ne deriva che è uno dei peccati più frequenti e più abbondanti perchè vanno a colpire I SENSI, la concupiscenza, la soddisfazione dei sensi, l'appagamento temporaneo attraverso il quale far dimenticare all'Uomo la sua trascendenza e la capacità dell'astinenza per un valore più grande ma non immediato.... un valore che si guadagna con il sacrificio, con la rinuncia e dunque un percorso, un cammino nel quale le tentazioni sono molte....  
Ma il Signore PERMETTE LE TENTAZIONI e nella Scrittura siamo sollecitati a vedere nella tentazione una BEATITUDINE perchè ci da la possibilità di vincere il peccato, di superare noi stessi.... è anche per questo che l'uomo si differenzia dagli ANIMALI perchè è capace di ragionare e DI DOMINARE SUGLI ISTINTI.... ma siamo in una società che vuole e pretende di essere se stessa dando una collocazione agli istinti, e così anche alle perversioni finendo per legittimarle... ma Isaia cap.5 ci aveva ammoniti:  
20  Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro!  
Embarassed  
Con Cristo abbiamo ricevuto dei poteri..... possiamo CONVERTIRCI, possiamo cambiare, e se è vero che molto dipende dall'evangelizzazione, è anche vero che il fine lo possiamo raggiungere con un atto DI VOLONTA': o con Dio o contro Dio...  
 
Un abbraccio a Luca per aver avuto il coraggio di cambiare e di rimettersi in gioco..... e un incoraggiamento anche a noi a divulgare questa informazione e a seminare sempre la Verità, anche quando questa fa male udirla....

[SM=g1740738]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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