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La storia di Fatima e il Rosario per la conversione dei peccatori

Ultimo Aggiornamento: 01/12/2017 09:27
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15/02/2016 00:28
 
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  Fatima: luce e pace 
   

«La cosa più dolce per un figlio è onorare la madre e pensare all’amore di cui è stato oggetto» 
(Prosper Guéranger, osb).

  

Non può non rimanere fortemente impressionato il pellegrino che ha la possibilità di fermarsi davanti alla preziosa corona che viene posta sulla statua della Madonna di Fatima e poter vedere, all’interno della stessa corona, incastonato il proiettile che trapassò il corpo di Giovanni Paolo II, nell’attentato di cui fu vittima in piazza san Pietro il 13 maggio 1981. «Una mano materna mi ha protetto», dirà il Papa, sapendo che quello era il giorno dell’apparizione a Fatima e per questo ha voluto che quel proiettile andasse ad aggiungersi ai tanti oggetti che impreziosiscono il museo "Luce e pace", allestito da alcuni anni ai margini della grande piazza: si tratta di uno spazio espositivo che è un vero itinerario di spiritualità.

Il visitatore è invitato ad entrare in un passaggio scuro fino a giungere ad una grande fotografia che rappresenta la tragedia della prima guerra mondiale (1914-1918): in quelle ore tenebrose di odio e violenze la Madonna apparve a tre pastorelli, Francesco, Giacinta e Lucia, il 13 maggio 1917, portando un messaggio di luce, di pace, di speranza. Un tunnel in penombra rappresenta simbolicamente il cammino che Dio propone all’umanità attraverso il messaggio di Fatima: dalla guerra alla pace; dalla notte al giorno; dalle tenebre alla luce. Al termine del percorso ci si trova in una zona illuminata dove si ammira la figura dell’Angelo del Portogallo, che apparve per tre volte nel 1916: egli preparò il cuore dei piccoli veggenti al grande evento dell’apparizione della Madonna.

È stato quello uno dei periodi più oscuri e burrascosi che la storia europea ricordi: odio e lotta contro la religione, ateismo imperante nella cultura e nella società, guerre e distruzioni, con milioni di morti. Anche la piccola Nazione portoghese fu travolta dall’ondata di ateismo e di persecuzione e in questa situazione la Madonna apparve per sei volte affidando ai tre fanciulli un messaggio di speranza e di amore, invitando alla preghiera, conversione e riparazione.

L’icona o immagine riassuntiva del messaggio di Fatima è il Cuore immacolato di Maria, alla cui devozione ha dedicato tutta la vita la veggente Lucia, morta il 13 maggio del 2005. Francesco e Giacinta, come aveva loro preannunciato la Mamma celeste, morirono ben presto, dopo sofferenze e tanti rosari, e furono beatificati il 13 maggio 2000 a Fatima.

Il cuore sta ad esprimere l’amore e la premura di Maria, quindi del Signore, nei confronti degli uomini; un cuore immacolato, colmo di grazia, totalmente disponibile alla volontà del Padre; un cuore incoronato di spine, per dire l’incomprensione umana, il tradimento, l’infedeltà e il dispiacere di una madre a non vedere raccolti i suoi figli in un’unica famiglia di Dio.

La Madonna è venuta ancora una volta a riproporre l’amore di Dio, a richiederne corrispondenza e conversione, fedeltà al Vangelo e soprattutto «preghiera e penitenza». Di qui la richiesta fatta in tutte le apparizioni di dire ogni giorno il rosario e di avere una profonda devozione al suo Cuore immacolato.

«Al riprendere conoscenza – dirà Giovanni Paolo II davanti alla Madonnina un anno dopo l’attentato – il mio pensiero si rivolse immediatamente a questo Santuario di Fatima, per deporre nel cuore della Madre celeste la mia gratitudine per avermi salvato dal pericolo. Ho visto in tutto l’accaduto – non mi stanco di ripeterlo – una speciale protezione materna della Madonna. E per coincidenza – non ci sono semplici coincidenze nei disegni della divina Provvidenza – ho visto anche un invito e, chissà, una chiamata per ricordare il messaggio partito di qui tramite i tre pastorelli, figli di umile gente di campagna».

L’8 ottobre del "Grande Giubileo" del 2000, Papa Wojtyla fece portare in Vaticano la statua della Madonna di Fatima per consacrare a lei il terzo millennio con la decisa affermazione: «Sono tempi duri quelli che viviamo; però la certezza è che non sarà il male ad avere l’ultima parola. Perché Maria ha detto: "Alla fine il mio Cuore immacolato trionferà"».

Giovanni Ciravegna









Tornerò a Fatima... dopo la mia morte

dal Numero 7 del 14 febbraio 2016
di Giovanni De Marchi

Molti conoscono le celebri apparizioni di Fatima, a pochi invece sono noti gli ultimi momenti della preziosa vita dei piccoli Veggenti. Il 20 febbraio 1920, data che poi fu scelta per la memoria dei due Beati pastorelli, moriva Giacinta Marto, 10 anni, nel letto di un Ospedale lontana dalla famiglia, come le aveva anticipato la Madonna...

Giacinta si trovava tanto bene nella “casa della Madonna di Fatima”, come ella chiamava l’orfanotrofio della Madonna dei Miracoli, che quasi dimenticava la sua terra, la famiglia e, chissà, forse anche Lucia.
La fanciulla, tuttavia, non era ancor giunta alla cima del suo calvario e non aveva ancor bevuto fino all’ultima stilla il calice del dolore. Gesù, per completare la sua opera, venne a chiederle altre separazioni: la separazione dalla madrina (la superiora della casa) Madre Godinho, e la separazione da Lui stesso, nascosto nel Tabernacolo della Madonna dei Miracoli. All’ospedale non c’era “Gesù nascosto”, né?la Madre!
Il dott. Lisboa, in verità, illudendosi di poter ancora salvare la fanciulla, ottenne infine di poterla ricoverare nell’ospedale di Don Estefania. Infatti, pochi giorni dopo, il 2 febbraio 1920, fece la sua entrata nella sala n. 1 dell’ospedale, occupando il letto n. 38, dell’infermeria dei bambini.
Giacinta era là, una dei tanti. L’ambiente dove si trovava ora era tanto freddo e desolato. Che differenza tra quell’infermeria e la semplice stanza in via Estrela. Quando la madrina la lasciò, Giacinta rimase sola e triste. Non c’era più nessuno con cui potesse liberamente parlare delle sue cose: soprattutto non c’era Gesù!
Ciò che maggiormente la faceva soffrire, però, era il vedere alcune infermiere ed altre persone che venivano a visitare gli ammalati, attraversare la corsia in un abbigliamento poco modesto. «A che serve tutto quello?» diceva, riferendosi a determinati abbigliamenti e acconciature. «Se sapessero che cos’è l’eternità!». Parlando poi di alcuni medici, che essa giudicava increduli, li compassionava dicendo: «Poveretti! Non sanno ciò che li aspetta!». La fanciulla affermava che la Madonna le era nuovamente apparsa e le aveva comunicato che il peccato che trascina più gente alla perdizione era il peccato della carne; era necessario abbandonare il lusso; non dovevano ostinarsi nel peccato come avevano fatto fino allora; era necessario far penitenza.
Tutti i giorni Madre Godinho veniva a visitare Giacinta. Erano momenti deliziosi di cui la piccola approfittava con gioia per sfogare le sue pene e fare a lei le sue confidenze. Assieme alla Religiosa venivano pure Dona Maria Amelia de Sande e Castro ed altre persone amiche. Una volta comparve anche il padre, signor Marto, per vedere la sua figliola. Fu però una visita fugace, perché il buon uomo doveva tornare a Fatima dove altri figli erano a letto e reclamavano la sua presenza.
Il giorno 10 febbraio Giacinta fu operata. Dovette soffrire immensamente, poiché non la si poté addormentare con l’etere, ma le si fece solo l’anestesia locale, causa l’estrema debolezza in cui si trovava. Ciò però che la fece soffrire di più fu l’umiliazione di vedersi svestita. Madre Godinho, che assisté fino al momento dell’operazione la fanciulla, ci riferisce che pianse molto vedendo il suo corpicciolo nelle mani dei medici.
Il risultato dell’operazione, fatta dal dott. Castro Freire, assistito dal dott. Elvas, sembrava incoraggiante. Dal lato sinistro furono cavate due costole e la piaga era tanto larga che era possibile introdurvi una mano. Soffrì dolori atroci, dolori che si rinnovavano tutte le volte che la ferita era medicata. «Ahi, Madonna mia! Ahi, Madonna mia!» era il suo unico gemito. Oppure: «Pazienza, tutti dobbiamo soffrire per andare in Cielo». Nessuno l’udiva lamentarsi. Sopportava tutto con la rassegnazione dei Santi: per espiare, come Gesù, non i suoi, ma i peccati degli altri. Più che mai Giacinta poteva dire a Gesù: «Ora puoi convertire molti peccatori, perché soffro molto!». 
Nel periodo di questo orribile martirio, la Vergine non aveva dimenticato la piccola vittima. Ogni tanto si abbassava sul letto su cui Giacinta giaceva crocifissa.
Quattro giorni prima di portarla definitivamente in Cielo la Bianca Signora di Fatima le tolse tutti i dolori. «Ora – confidava alla Madre Godinho – non mi lamento più. La Madonna mi apparve di nuovo e mi disse che presto verrà a prendermi e mi ha fatto scomparire tutti i dolori».
«Veramente, con la felice apparizione avvenuta in piena infermeria – racconta il dott. Lisboa – scomparvero tutti i dolori, e cominciò a desiderare di giocare e distrarsi, cosa che faceva guardando cartoline ed immagini religiose, fra le quali una rappresentante la Madonna di Sameiro che ella diceva essere quella che maggiormente le faceva ricordare la Madonna apparsale. Varie volte fui avvisato che la fanciulla desiderava una mia visita perché voleva rivelarmi un segreto. Essendo molte le mie occupazioni cliniche, ed essendo le notizie sul suo stato di salute alquanto migliori, rimandai, ma disgraziatamente non la potei più vedere».
Quando la madrina, che veniva a passare con lei tutti i giorni lungo tempo per farle compagnia, e soprattutto per edificarsi al contatto di quell’angelo di Cielo, si sedeva ai piedi del letto, ove era apparsa la Vergine, subito Giacinta protestava: «Si tolga di lì, madrina, perché lì stava la Madonna». Poco prima di morire, qualcuno le domandò se desiderava veder la mamma. «La mia famiglia – rispondeva la fanciulla – durerà poco tempo. Presto ci incontreremo in Cielo. La Madonna apparirà un’altra volta, non a me, perché di certo morrò, come mi disse Lei».
Giunse infine il giorno 20 febbraio, giorno fissato dalla bella Madonna della Cova per venire a prendere la sua piccola amica di Fatima. Era un venerdì di carnevale.
«Nel pomeriggio di quel 20 febbraio, alle diciotto, la fanciulla disse che si sentiva male e che desiderava ricevere i santi Sacramenti – depone il dott. Lisboa –. Fu chiamato il parroco della chiesa degli Angeli, dott. Pereira dos Reis, che ne ascoltò la Confessione verso le ore venti. Mi dissero che la fanciulla aveva insistito perché le portassero il Viatico, ma in questo il parroco non fu d’accordo, trovandola apparentemente ancora in condizioni non allarmanti; le promise di portarle Gesù il giorno seguente. Nuovamente la bambina insisté per ricevere la santa Comunione, dicendo che presto sarebbe morta. Ed infatti alle ore ventidue e mezzo si spense serenamente senza essersi comunicata».
Prezioso fiorellino di Fatima! Che il tuo profumo continui ad imbalsamare questa povera terra contaminata da tanti miasmi! Che la tua vita angelica sia luce che dirige alle altezze del bene! Che il tuo martirio sia stimolo al sacrificio! Che la tua morte apra, a chi non conosce la vera vita, le porte della Vita!
La notte del 20 febbraio, come era solita fare, la Vergine era venuta per l’ultima volta a visitare l’ammalata, ed era tornata in Cielo con quell’anima candida, lasciando qual ricordo alla terra e agli uomini le sue spoglie verginali. Gli altri ammalati continuarono a dormire, solo la giovane infermiera Aurora Gomes – “la mia Aurorina”, si compiaceva di chiamarla Giacinta – vegliava vicino a lei. 
Al mattino presto, cominciò a spargersi fra i Cattolici di Lisbona una notizia sensazionale: Giacinta, una delle privilegiate fanciulle che avevano visto la Madonna, era morta. Quel piccolo corpo, che tre anni di mortificazioni ed un anno e mezzo di martirio avevano santificato, fu ricoperto con un vestitino bianco, stretto ai fianchi da una fascia azzurra: i colori della Vergine (la bimba ne aveva espresso il desiderio). 
Il signor Antonio Almeida, agente delle pompe funebri che stette di guardia alla salma esposta nella chiesa degli Angeli nei tre giorni che precedettero il funerale, disse: «Mi sembra di vedere ancora l’angioletto. Ho visto molti morti, piccoli e grandi, ma non mi avvenne mai di vedere una tal cosa... Il più grande incredulo non potrebbe dubitarne. Si pensi all’odore che molte volte emanano i cadaveri... la fanciulla era morta da tre giorni e mezzo ed il suo odore era come quello di un mazzo composto dei più svariati fiori...».
«Io tornerò a Fatima, ma solo dopo la mia morte», aveva detto Giacinta alla madrina in uno dei suoi ultimi giorni d’esilio. La predizione della fanciulla si realizzava più tardi, il 12 settembre 1935, quando il Vescovo di Leira decise di trasportare i resti mortali della piccola Veggente nel cimitero di Fatima. Prima di partire da Vila Nova de Ourém, dove era stata sepolta, la cassa di zinco fu aperta e con grande meraviglia di tutti gli astanti il volto della bambina apparve perfettamente incorrotto. Di quel volto fu fatta una fotografia ed una copia fu inviata a Lucia, che si trovava già in Convento, e che così rispondeva al Vescovo di Leira: «Ringrazio, riconoscentissima, per le fotografie. Quanto mi siano care non lo posso dire, in special modo quella di Giacinta [...]: quasi assorta, provai la più grande gioia illudendomi di rivedere la mia più intima amica di fanciullezza. Ho fiducia che Gesù, per la gloria della Santissima Vergine, le concederà l’aureola della santità. Ella era fanciulla solo per l’età, ma sapeva già praticare la virtù e mostrare a Dio e alla Santissima Vergine il suo amore nella pratica del sacrificio...».     

tratto da “Era una Signora più splendente del sole





«Morirò tutta sola»
     

"Esprimo la mia riconoscenza a Giacinta per i sacrifici per il Santo Padre, che aveva visto soffrire"
(Giovanni Paolo II).
  

La sera del 20 febbraio 1920, sola, come la Madonna le aveva annunciato, moriva la più piccola dei veggenti di Fatima, Giacinta Marto.

Nel mese di febbraio ricorreva dunque l’anniversario della sua partenza per il Cielo e la Chiesa celebra la sua memoria da quando, il 13 maggio 2000, a Fatima, è stata proclamata Beata da Giovanni Paolo II insieme al fratello Francesco, anch’egli testimone e protagonista delle apparizioni di Fatima.

Chi era la piccola Giacinta Marto? E come è possibile che una bambina di soli dieci anni – ne aveva sette al tempo delle apparizioni – possa aver scalato in così poco tempo la vetta della santità tanto da indurre la Chiesa a elevarla alla gloria degli altari?

Aljustrel (Fatima), la casa natale di Giacinta e Francesco Marto.
Aljustrel (Fatima), la casa natale di Giacinta e Francesco Marto (foto Del Canale).

«Io prometto...»

Giacinta conduceva le pecore al pascolo con suo fratello Francesco in uno sperduto villaggio del Portogallo, alla Cova da Iria. Non aveva ancora fatto la prima Comunione quando le apparve la "Bella Signora", il 13 maggio 1917.

Entrambi i fratelli non erano particolarmente devoti. Lo conferma il modo piuttosto birichino che essi avevano di recitare il rosario: dicevano Padre nostro e poi subito infilavano le parole Ave Maria, una dietro l’altra, fino al Pater successivo. Così il rosario finiva in un baleno e loro potevano tornare, senza rimorsi, ai loro giochi.

Per primo apparve l’Angelo, insegnando loro una preghiera: «Mio Dio, io credo, adoro, spero e ti amo! Ti domando perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non ti amano…». Per poi aggiungere: «Pregate così. I Cuori santissimi di Gesù e Maria sono attenti alle vostre suppliche».

In seguito ai bambini – con Giacinta e Francesco c’era anche la cugina di qualche anno più grande, Lucia dos Santos – apparve la Vergine il 13 maggio 1917, chiedendo preghiere e sacrifici per i peccatori, la consacrazione al suo Cuore immacolato, ed annunciando infine una «grande promessa».

In che cosa consiste questa grande promessa di Fatima?

«Io prometto – disse la Vergine – di assistere nell’ora della morte, con le grazie necessarie alla salvezza, coloro che nel primo sabato di cinque mesi consecutivi si confesseranno, riceveranno la Comunione, diranno una corona del rosario e mi faranno compagnia per un quarto d’ora meditando i misteri del rosario, con l’intenzione di offrirmi riparazione».

La tomba di Giacinta nel Santuario-Basilica di Fatima.
La tomba di Giacinta nel Santuario-Basilica di Fatima (foto Giuliani).

Un dono totale

La consacrazione a Maria non deve essere un effimero entusiasmo, un fervore solo esteriore, ma un dono totale. Il dono di sé, nelle facoltà del corpo e dello spirito, a colei che è la cristifera, la soglia che ci introduce a Cristo, cuore del mistero trinitario. «Io prometto», dice la Vergine, e la sua non è una promessa alla maniera degli uomini, così facili a tirarsi indietro, così inclini al cambiamento. È una promessa che vale come salvacondotto per la vita eterna.

«Pregate molto»

Fin dal tempo delle prime apparizioni, Giacinta prese l’abitudine di dare la sua merenda ai poveri. Per saziare gli stimoli della fame si nutriva alla meglio con radici, ghiande, frutti selvatici. «Così si convertiranno più peccatori», diceva.

Sicura, per la promessa della Madre celeste, di dover lasciare presto la terra, Giacinta preferiva spesso saltare la scuola per fermarsi in chiesa a pregare.

Le sue giornate e quelle di Francesco erano puntellate di giaculatorie, atti d’amore a Gesù e Maria.

«Nella vicenda di questi due bambini – ha sottolineato Stefano De Fiores all’indomani della beatificazione dei fratelli Marto – c’è un piccolo trattato di antropologia cristiana. Chi è l’uomo? La tradizione illuminista lo vide una coscienza in grado di determinarsi. È una grande acquisizione. Ma ha rischiato di chiudere l’uomo su se stesso. Francesco e Giacinta, invece, vedono l’altro non come un estraneo, ma come qualcuno con cui solidarizzare fino al punto di assumersene il peso. È l’idea di un’antropologia relazionale, che in qualche modo è anche un riflesso della vita trinitaria».

Dopo le apparizioni, la piccola Marto cominciò a trascorrere lunghe ore in preghiera, specialmente nella recita del rosario, tanto raccomandato dalla Madonna. Le parole della Vergine si stamparono indelebilmente nel suo cuore, furono il faro di tutte le sue azioni. «Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori. Badate che molte, molte anime vanno all’inferno perché non vi è chi preghi e si sacrifichi per loro. Siete disposti a offrirvi al Signore, pronti a fare sacrifici e ad accettare volentieri tutte le sofferenze che egli vorrà mandarvi, in riparazione di tanti peccati con i quali viene offesa la sua divina maestà, per ottenere la conversione dei peccatori e in riparazione delle offese fatte contro l’immacolato Cuore di Maria?».

Cartolina postale raffigurante i tre pastorelli di Fatima.
Cartolina postale raffigurante i tre pastorelli di Fatima.

«O mio Gesù...»

Giacinta praticava l’immolazione nascosta per salvare i peccatori, portando una corda stretta attorno al corpo e sopportando in spirito di penitenza ogni contrarietà. Alla fine della sua vita, gravemente ammalata, fu internata in un ospedale di Lisbona, dove morì da sola. «O mio Gesù – furono le sue parole – ora puoi convertire molti peccatori, perché questo sacrificio è molto grande…».

Modello di santità

«Alla scuola della Vergine, l’anima progredisce di più in una settimana che in un anno fuori della sua scuola!», sosteneva il grande devoto di Maria, Grignion di Montfort. Queste parole nella vita di Giacinta si sono realizzate alla lettera. La pedagogia squisitamente materna di Maria in pochi anni ha fatto sì che Giacinta giungesse alle vette della santità. Del resto, «Giacinta era bambina soltanto negli anni», aveva detto di lei la cugina Lucia.

Un procedimento lungo e complesso, con difficoltà quasi insormontabili, ha portato Giacinta – e il fratello Fracesco – sugli altari. Il processo canonico circa l’eroicità delle loro virtù ha contribuito ad accertare, contro la convinzione dominante in precedenza, che anche i bambini possono essere santi.

La loro causa di beatificazione, infatti, era rimasta bloccata per vari decenni perché, secondo la dottrina tradizionale, si richiedeva che l’esercizio eroico delle virtù cristiane (quelle teologali di fede, speranza e carità e quelle cardinali di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) dovesse avvenire «per un periodo duraturo», il che escludeva dal prendere in considerazione dei fanciulli.

Nel 1981 il Dicastero per le cause dei santi dedicò un’assemblea allo studio di tale possibilità e la risposta da parte di teologi, giuristi, pedagoghi e psicologi fu affermativa. L’abolizione di quella restrizione, suffragata dai più moderni studi di psicologia infantile, ha così aperto la strada della santità canonica per i due fanciulli di Fatima e per altri che verranno dopo di loro.

La santità di Giacinta è stata nell’aver aderito pienamente al messaggio di Fatima. Quel messaggio era il Vangelo di Gesù predicato dalla Madonna. La piccola Marto, dunque, viene proposta come modello di santità non perché ha vissuto col fratellino Francesco l’esperienza di veggente della più importante apparizione mariana del ’900, ma, come ha efficacemente ribadito il postulatore della causa, il gesuita Paolo Molinari, «per come dei bambini hanno saputo sviluppare il loro spirito di fede nel Signore e mettere in pratica quello che la Madonna aveva loro detto: pregare il rosario e sacrificarsi per i peccatori».

Maria Di Lorenzo
  

Invito all’approfondimento: S. De Fiores, Il segreto di Fatima. Una luce sul futuro del mondo, San Paolo 2008, pp. 136, € 10,00; M. Carraro, I pastorelli di Fatima, Emp 2008, pp. 168, € 10,00.




[Modificato da Caterina63 20/02/2016 14:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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