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Il Papa incontra i suoi ex allievi e continua ad insegnare

Ultimo Aggiornamento: 06/09/2015 21:43
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23/08/2009 11:11
 
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Si svolgerà dal 28 al 31 agosto a Castel Gandolfo

Dedicato alla missione l'incontro annuale
degli ex allievi del Papa


La missione ad gentes è il tema del tradizionale seminario estivo degli ex allievi di Benedetto XVI - riuniti nel cosiddetto Ratzinger Schülerkreis - che si svolgerà nel centro congressi Mariapoli di Castel Gandolfo, da venerdì 28 a lunedì 31 agosto.
Quarantadue i partecipanti all'incontro di quest'anno, tutti antichi studenti che hanno discusso le loro tesi con Joseph Ratzinger negli anni della sua docenza in Germania.
 

ex allievi Due le relazioni principali, entrambe affidate a studiosi che sono stati colleghi dell'attuale Pontefice. La prima sarà svolta dal professore emerito di missiologia e teologia ecumenica Peter Beyerhaus e la seconda dal teologo evangelico Horst Bürkle, professore emerito di scienza della missione presso la Ludwig-Maximilians Universität di Monaco di Baviera, convertitosi alla fine degli anni Ottanta. Beyerhaus tratterà il tema "Missione ad gentes, la sua giustificazione e la sua forma oggi", mentre Bürkle parlerà su "Chiesa e missione in dialogo con gli uomini  e  le  differenti  religioni  e culture".

I nomi dei due relatori principali, così come il tema dell'incontro - riferisce al nostro giornale il salvatoriano tedesco Stephan Horn, presidente dell'associazione degli ex allievi del Papa - sono stati indicati e approvati dallo stesso Benedetto XVI tra una rosa di scelte possibili propostagli dagli organizzatori. La maggioranza dei partecipanti proviene dalla Germania e dall'Austria, ma non mancano un italiano, un portoghese, un irlandese, un olandese, un africano, una coreana, un indiano e un canadese.

L'incontro, curato per l'aspetto organizzativo da padre Horn, si svolgerà a porte chiuse e avrà il suo momento conclusivo lunedì mattina 31 agosto, quando gli ex allievi parteciperanno alla messa presieduta da Benedetto XVI. Tra i presenti ci saranno il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, il vescovo ausiliare di Amburgo Hans-Jochen Jaschke, docenti, parroci, religiosi, religiose e laici.

Il primo incontro di Ratzinger con i suoi ex allievi avvenne nel marzo 1977, quando fu nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga. Da allora, ogni anno l'appuntamento si ripete su un tema particolare. La consuetudine non si è interrotta neanche dopo la sua elezione al soglio pontificio. "Nel 2005, quando il cardinale Ratzinger divenne Pontefice - racconta padre Horn - un gruppo di ex allievi si felicitò con lui. In quell'occasione, egli mi espresse il desiderio di continuare a organizzare l'incontro annuale a Castel Gandolfo. Da quella proposta nacquero gli attuali seminari estivi".

Gli ex allievi promossero anche la fondazione "Joseph Ratzinger Papa Benedetto XVI", con sede a Monaco di Baviera, che ha per scopo la preparazione e l'organizzazione dell'incontro annuale e la pubblicazione dei libri di Benedetto XVI. Da quest'anno è stato costituito il circolo dei nuovi ex allievi, di coloro cioè che hanno svolto la loro tesi di laurea su testi di Ratzinger.


(©L'Osservatore Romano - 23 agosto 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/09/2009 13:53
 
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CELEBRAZIONE EUCARISTICA DEL SANTO PADRE CON I SUOI EX-ALUNNI (30 AGOSTO 2009, CASTEL GANDOLFO) , 14.09.2009


  • Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica con il circolo dei suoi ex-alunni, domenica 30 agosto a Castel Gandolfo:

  • TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

  •  
  • Cari fratelli e sorelle!
  • Nel Vangelo ci viene incontro uno dei temi fondamentali della storia religiosa dell’umanità: la questione della purezza dell’uomo davanti a Dio. Volgendo lo sguardo verso Dio, l’uomo riconosce di essere "inquinato" e di trovarsi in una condizione nella quale non può accedere al Santo. Emerge così la domanda su come egli possa diventare puro, liberarsi dallo "sporco" che lo separa da Dio. In questo modo sono nati, nelle diverse religioni, riti purificatori, cammini di purificazione interiore ed esteriore.

    Nel Vangelo di oggi incontriamo riti di purificazione, che sono radicati nella tradizione veterotestamentaria, ma che vengono, comunque, gestiti in una maniera molto unilaterale. Di conseguenza non servono più per un aprirsi dell’uomo a Dio, non sono più cammini di purificazione e di salvezza, ma diventano elementi di un sistema autonomo di adempimenti che, per essere veramente eseguito in pienezza, esige addirittura degli specialisti. Il cuore dell’uomo non viene più raggiunto. L’uomo, che si muove all’interno di questo sistema, o si sente schiavizzato o cade nella superbia di potersi giustificare da sé.

    L’esegesi liberale dice che in questo Vangelo si rivelerebbe il fatto che Gesù avrebbe sostituito il culto con la morale. Egli avrebbe accantonato il culto con tutte le sue pratiche inutili. Il rapporto tra l’uomo e Dio si baserebbe ora unicamente sulla morale. Se ciò fosse vero, significherebbe che il cristianesimo, nella sua essenza, è moralità – che cioè noi stessi ci rendiamo puri e buoni mediante il nostro agire morale. Se riflettiamo in modo più profondo su tale opinione, risulta ovvio che questa non può essere la risposta completa di Gesù alla questione circa la purezza. Se vogliamo sentire e comprendere il messaggio del Signore pienamente, allora dobbiamo anche ascoltare pienamente – non possiamo accontentarci di un dettaglio, ma dobbiamo prestare attenzione all’intero suo messaggio. In altre parole, dobbiamo leggere interamente i Vangeli, tutto il Nuovo Testamento e l’Antico insieme con esso.

    La prima lettura di oggi, tratta dal Libro del Deuteronomio, ci offre un particolare importante di una risposta e ci fa fare un passo avanti. Qui ascoltiamo qualcosa forse sorprendente per noi, che cioè Israele viene invitato da Dio stesso ad essere grato ed a provare una umile fierezza per il fatto di conoscere la volontà di Dio e così di essere saggio. Proprio in quel periodo l’umanità, sia in ambiente greco che semitico, cercava la sapienza: cercava di comprendere ciò che conta. La scienza ci dice molte cose e ci è utile sotto tanti aspetti, ma la sapienza è conoscenza dell’essenziale – conoscenza dello scopo della nostra esistenza e di come dobbiamo vivere perché la vita riesca nel modo giusto.

    La lettura tratta dal Deuteronomio accenna al fatto che la sapienza, in ultima analisi, è identica alla Torà – alla Parola di Dio che ci rivela ciò che è essenziale, per quale fine e in quale maniera dobbiamo vivere. Così la Legge non appare come una schiavitù, ma è – similmente a quanto è detto nel grande Salmo 119 – causa di una grande gioia: noi non andiamo a tastoni nel buio, non andiamo vagando invano alla ricerca di ciò che potrebbe essere retto, non siamo come pecore senza pastore, che non sanno dove sia la via giusta. Dio si è manifestato. Egli stesso ci indica la strada. Conosciamo la sua volontà e con ciò la verità che conta nella nostra vita. Sono due le cose che ci vengono dette circa Dio: da una parte, che Egli si è manifestato e che ci indica la via giusta; dall’altra, che Dio è un Dio che ascolta, che ci è vicino, ci risponde e ci guida.

    Con ciò è toccato anche il tema della purezza: la sua volontà ci purifica, la sua vicinanza ci guida.

    Credo che valga la pena di soffermarsi un attimo sulla gioia di Israele per il fatto di conoscere la volontà di Dio e di aver così ricevuto in dono la sapienza che ci guarisce e che non possiamo trovare da soli. Esiste tra noi, nella Chiesa di oggi, un simile sentimento di gioia per la vicinanza di Dio e per il dono della sua Parola? Chi volesse dimostrare una tale gioia, sarebbe ben presto accusato di trionfalismo. Ma, appunto, non è la nostra abilità ad indicarci la vera volontà di Dio. È un dono immeritato che ci rende allo stesso tempo umili e lieti. Se riflettiamo sulla perplessità del mondo di fronte alle grandi questioni del presente e del futuro, allora anche dentro di noi dovrebbe sbocciare nuovamente la gioia per il fatto che Dio ci ha mostrato gratuitamente il suo volto, la sua volontà, se stesso.

    Se questa gioia riemergerà in noi, essa toccherà anche il cuore dei non-credenti. Senza questa gioia noi non siamo convincenti. Dove, però, tale gioia è presente, essa – anche senza volerlo – possiede una forza missionaria.
     Suscita, infatti, negli uomini la domanda se non si trovi forse veramente qui la via – se questa gioia non guidi forse effettivamente sulle tracce di Dio stesso
    .

    Tutto ciò si trova ulteriormente approfondito nel brano, tratto dalla Lettera di san Giacomo, che la Chiesa oggi ci propone. Io amo la Lettera di san Giacomo soprattutto perché, grazie ad essa, possiamo farci un’idea della devozione della famiglia di Gesù. Era questa una famiglia osservante. Osservante nel senso che viveva la gioia deuteronomica per la vicinanza di Dio, che ci è donata nella sua Parola e nel suo Comandamento. È un genere di osservanza del tutto diverso da quella che incontriamo nei farisei del Vangelo, che ne avevano fatto un sistema esteriorizzato e schiavizzante. È anche un genere di osservanza diverso da quella che Paolo, come rabbino, aveva appreso: quella era – come vediamo dalle sue lettere – l’osservanza di uno specialista che conosceva tutto e sapeva tutto; che era fiero della sua conoscenza e della sua giustizia, e che, tuttavia, soffriva sotto il peso delle prescrizioni, così che la Legge non appariva più come guida gioiosa verso Dio, ma piuttosto come un’esigenza che, in definitiva, non poteva essere adempiuta.

    Nella Lettera di san Giacomo troviamo quell’osservanza che non guarda a se stessa, ma si volge gioiosamente verso il Dio vicino, che ci dona la sua vicinanza e ci indica la via giusta. Così la Lettera di san Giacomo parla della Legge perfetta della libertà e intende con ciò la comprensione nuova ed approfondita della Legge donataci dal Signore. Per Giacomo la Legge non è un’esigenza che pretende troppo da noi, che ci sta di fronte dall’esterno e non può mai essere soddisfatta. Egli pensa nella prospettiva che incontriamo in una frase dei discorsi di addio di Gesù: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15). Colui al quale è rivelato tutto, appartiene alla famiglia; non è più servo, ma libero perché, appunto, fa parte egli stesso della casa.

    Una simile, iniziale introduzione nel pensiero di Dio stesso è avvenuta in Israele presso il monte Sinai. È avvenuta poi in modo definitivo e grande nel Cenacolo e, in genere, mediante l’opera, la vita, la passione e la risurrezione di Gesù; in Lui Dio ci ha detto tutto, si è manifestato completamente. Non siamo più servi, ma amici. E la Legge non è più una prescrizione per persone non libere, ma è il contatto con l’amore di Dio – l’essere introdotti a far parte della famiglia, atto che ci rende liberi e "perfetti". È in questo senso che Giacomo dice, nella lettura di oggi, che il Signore ci ha generati per mezzo della sua Parola, che Egli ha piantato la sua Parola nel nostro intimo come forza di vita. Qui si parla anche della "religione pura" che consiste nell’amore verso il prossimo – particolarmente verso gli orfani e le vedove, verso coloro che hanno più bisogno di noi – e nella libertà di fronte alle mode di questo mondo, che ci contaminano.

    La Legge, come parola dell’amore, non è una contraddizione alla libertà, ma un rinnovamento dal di dentro mediante l’amicizia con Dio. Qualcosa di simile si manifesta quando Gesù, nel discorso sulla vite, dice ai discepoli: "Voi siete puri, a causa della parola che vi ho annunciato" (Gv 15, 3). E un’altra volta appare la stessa cosa nella Preghiera sacerdotale: Voi siete consacrati nella verità (cfr Gv 17, 17-19). Così troviamo ora la giusta struttura del processo di purificazione e di purezza: non siamo noi a creare ciò che è buono – questo sarebbe un semplice moralismo –, ma la Verità ci viene incontro. Egli stesso è la Verità, la Verità in persona. La purezza è un avvenimento dialogico. Essa inizia col fatto che Egli ci viene incontro – Egli, che è la Verità e l’Amore –, ci prende per mano, compenetra il nostro essere. Nella misura in cui ci lasciamo toccare da Lui, in cui l’incontro diventa amicizia e amore, diventiamo noi stessi, a partire della sua purezza, persone pure e poi persone che amano con il suo amore, persone che introducono anche altri nella sua purezza e nel suo amore.

    Agostino ha riassunto tutto questo processo nella bella espressione: Da quod iubes et iube quod vis – concedi quello che comandi e poi comanda ciò che vuoi. Tale richiesta vogliamo in quest’ora portare davanti al Signore e pregarLo: Sì, purificaci nella verità. Sii tu la Verità che ci rende puri. Fa’ che mediante l’amicizia con te diventiamo liberi e così veramente figli di Dio, fa’ che diventiamo capaci di sedere alla tua mensa e di diffondere in questo mondo la luce della tua purezza e bontà.

    Amen.

                           Pope Benedict XVI greets the faithful during his Sunday Angelus prayer at his summer residence of Castelgandolfo, south of Rome, September 13, 2009.


    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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    04/09/2012 22:36
     
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    Il Papa: anche nella Chiesa c’è lo stesso fenomeno: elementi umani si aggiungono e conducono o alla presunzione, al cosiddetto trionfalismo che vanta se stesso invece di dare la lode a Dio, o al vincolo, che bisogna togliere, spezzare e schiacciare.
    Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire?
    Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita

     
    Vedi anche:

    Il Papa agli ex allievi: «Non abbiamo la verità, apparteniamo alla Verità» (Cardinale)

    Papa Benedetto, la “sporca latrina” e “l’Israele diventato universale” (Magister)

    Il Papa invita i suoi ex allievi a lasciarsi guidare dalla verità (Andrea Gagliarducci)

    Non siamo noi a possedere la verità ma è lei che ci possiede. L’omelia del Papa durante la messa con i suoi ex allievi presieduta domenica a Castel Gandolfo (O.R.)

    Il Papa: L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità


    Allo studio del Papa una sintesi purificatrice con i luterani (nella fede). Il commento di Paolo Rodari

    Padre Horn: il Papa ci ha parlato con serenità anche di Vatileaks (Izzo)

    "Ratzinger Schülerkreis". Il presidente, padre Horn: il Papa pensa alla purificazione della memoria con i luterani (R.V.)

    Messa del Papa per i suoi ex allievi: non abbiamo la verità, apparteniamo alla Verità (Radio Vaticana)





    [SM=g1740758]


    SANTA MESSA A CONCLUSIONE DELL’INCONTRO CON IL "RATZINGER SCHÜLERKREIS" , 02.09.2012
     
    Dal 30 agosto al 3 settembre si è svolto a Castel Gandolfo il tradizionale seminario estivo degli ex-allievi di Papa Benedetto XVI (Ratzinger Schülerkreis), incentrato quest’anno sul tema: "Risultati e domande ecumenici nel dialogo con il luteranesimo e l’anglicanesimo".
     A conclusione, alle ore 8 di questa mattina, il Santo Padre ha presieduto nel Centro Mariapoli la Santa Messa con i suoi ex-allievi.
     Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha pronunciato nel corso della celebrazione eucaristica:
     
    OMELIA DEL SANTO PADRE
     
    TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA
     
    Cari fratelli e sorelle,
     
    risuonano ancora profondamente in me le parole con cui, tre anni fa, il Cardinale Schönborn ci ha fatto l’esegesi di questo Vangelo: la misteriosa correlazione dell’intimo con l’esterno e quello che rende l’uomo impuro, quello che lo contamina e quello che è puro. Oggi, perciò, non voglio fare anch’io l’esegesi di questo stesso Vangelo, o la farò soltanto marginalmente. Proverò invece a dire una parola sulle due Letture.
     Nel Deuteronomio vediamo la «gioia della legge»: legge non come vincolo, come qualcosa che ci toglie la libertà, ma come regalo e dono. Quando gli altri popoli guarderanno verso questo grande popolo - così dice la Lettura, così dice Mosè -, allora diranno: Che popolo saggio! Ammireranno la saggezza di questo popolo, l’equità della legge e la vicinanza del Dio che sta al suo fianco e che gli risponde quando viene chiamato. E’ questa la gioia umile di Israele: ricevere un dono da Dio.
     Questo è diverso dal trionfalismo, dall’orgoglio di ciò che viene da se stessi: Israele non è orgoglioso della propria legge come Roma poteva esserlo del diritto romano quale dono all’umanità, come la Francia forse del «Code Napoléon», come la Prussia del «Preußisches Landrecht» ecc. – opere del diritto che riconosciamo.
     Ma Israele sa: questa legge non l’ha fatta egli stesso, non è frutto della sua genialità, è dono. Dio gli ha mostrato che cos’è il diritto.
     Dio gli ha dato saggezza. La legge è saggezza. Saggezza è l’arte dell’essere uomini, l’arte di poter vivere bene e di poter morire bene. E si può vivere e morire bene solo quando si è ricevuta la verità e quando la verità ci indica il cammino. Essere grati per il dono che noi non abbiamo inventato, ma che ci è stato dato in dono, e vivere nella saggezza; imparare, grazie al dono di Dio, ad essere uomini in modo retto.
     
    Il Vangelo ci mostra però che c’è anche un pericolo – come si dice pure direttamente all`inizio del brano odierno del Deuteronomio: «non aggiungere, non togliere nulla». Ci insegna che, con il passare del tempo, al dono di Dio si sono aggiunti applicazioni, opere, costumi umani, che crescendo nascondono ciò che è proprio della saggezza donata da Dio, così da diventare un vero vincolo che bisogna spezzare, oppure da portare alla presunzione: noi l’abbiamo inventato!

     
    Ma passiamo a noi, alla Chiesa. Secondo la nostra fede, infatti, la Chiesa è l’Israele che è diventato universale, nel quale tutti diventano, attraverso il Signore, figli di Abramo; l’Israele diventato universale, nel quale persiste il nucleo essenziale della legge, privo delle contingenze del tempo e del popolo. Questo nucleo è semplicemente Cristo stesso, l’amore di Dio per noi ed il nostro amore per Lui e per gli uomini. Egli è la Torah vivente, è il dono di Dio per noi, nel quale, ora, riceviamo tutti la saggezza di Dio. Nell’essere uniti con Cristo, nel «con-camminare» e «con-vivere» con Lui, impariamo noi stessi come essere uomini in modo giusto, riceviamo la saggezza che è verità, sappiamo vivere e morire, perché Lui stesso è la vita e la verità.

     
    Conviene, quindi, alla Chiesa, come per Israele, essere piena di gratitudine e di gioia. «Quale popolo può dire che Dio gli sia così vicino? Quale popolo ha ricevuto questo dono?».

     Non lo abbiamo fatto noi, ci è stato donato. Gioia e gratitudine per il fatto che lo possiamo conoscere, che abbiamo ricevuto la saggezza del vivere bene, che è ciò che dovrebbe caratterizzare il cristiano. Infatti, nel Cristianesimo delle origini era così: l’essere liberato dalle tenebre dell’andare a tastoni, dell’ignoranza - che cosa sono? perché sono? come devo andare avanti? -, l’essere diventato libero, l’essere nella luce, nell’ampiezza della verità. Questa era la consapevolezza fondamentale. Una gratitudine che si irradiava intorno e che così univa gli uomini nella Chiesa di Gesù Cristo.
     
    Ma anche nella Chiesa c’è lo stesso fenomeno: elementi umani si aggiungono e conducono o alla presunzione, al cosiddetto trionfalismo che vanta se stesso invece di dare la lode a Dio, o al vincolo, che bisogna togliere, spezzare e schiacciare. Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire? Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita.

     
    Se leggiamo oggi, ad esempio, nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata?

     Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso.
     Nessuno può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e, giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei. Solo se ci lasciamo guidare e muovere da lei, rimaniamo in lei, solo se siamo, con lei e in lei, pellegrini della verità, allora è in noi e per noi.
     Penso che dobbiamo imparare di nuovo questo «non-avere-la-verità». Come nessuno può dire: ho dei figli – non sono un nostro possesso, sono un dono, e come dono di Dio ci sono dati per un compito - così non possiamo dire: ho la verità, ma la verità è venuta verso di noi e ci spinge. Dobbiamo imparare a farci muovere da lei, a farci condurre da lei. E allora brillerà di nuovo: se essa stessa ci conduce e ci compenetra.

     Cari amici, vogliamo chiedere al Signore che ci faccia questo dono. San Giacomo ci dice oggi nella Lettura: non dovete limitarvi ad ascoltare la Parola, la dovete mettere in pratica. Questo è un avvertimento circa l’intellettualizzazione della fede e della teologia. E’ un mio timore in questo tempo, quando leggo tante cose intelligenti: che diventi un gioco dell’intelletto nel quale «ci passiamo la palla», nel quale tutto è solo un mondo intellettuale che non compenetra e forma la nostra vita, e che quindi non ci introduce nella verità. Credo che queste parole di san Giacomo si dirigano proprio a noi come teologi: non solo ascoltare, non solo intelletto – fare, lasciarsi formare dalla verità, lasciarsi guidare da lei!

    Preghiamo il Signore che ci accada questo, e che così la verità diventi potente sopra di noi, e che conquisti forza nel mondo attraverso di noi.

     La Chiesa ha posto la parola del Deuteronomio - «Dov`è un popolo al quale Dio è così vicino come il nostro Dio è vicino a noi, ogni volta che lo invochiamo?» - nel centro dell’Officio divino del Corpus Domini, e gli ha dato così un nuovo significato: dov`è un popolo al quale il suo Dio è così vicino come il nostro Dio lo è a noi? Nell’Eucaristia questo è diventato piena realtà. Certo, non è solo un aspetto esteriore: qualcuno può stare vicino al tabernacolo e, allo stesso tempo, essere lontano dal Dio vivente. Ciò che conta è la vicinanza interiore! Dio ci è diventato così vicino che Egli stesso è un uomo: questo ci deve sconcertare e sorprendere sempre di nuovo! Egli è così vicino che è uno di noi.
     Conosce l’essere umano, il «sapore» dell’essere umano, lo conosce dal di dentro, lo ha provato con le sue gioie e le sue sofferenze. Come uomo, mi è vicino, vicino «a portata di voce» – così vicino che mi ascolta e che posso sapere: Lui mi sente e mi esaudisce, anche se forse non come io me lo immagino.
     
    Lasciamoci riempire di nuovo di questa gioia: dov’è un popolo al quale Dio è così vicino come il nostro Dio lo è a noi? Così vicino da essere uno di noi, da toccarmi dal di dentro. Sì, da entrare dentro di me nella santa Eucaristia. Un pensiero perfino sconcertante. Su questo processo, San Bonaventura ha utilizzato, una volta, nelle sue preghiere di Comunione, una formulazione che scuote, quasi spaventa. Egli dice: mio Signore, come ha potuto venirti in mente di entrare nella sporca latrina del mio corpo?

     Sì, Lui entra dentro la nostra miseria, lo fa con consapevolezza e lo fa per compenetrarci, per pulirci e per rinnovarci, affinché, attraverso di noi, in noi, la verità sia nel mondo e si realizzi la salvezza. Chiediamo al Signore perdono per la nostra indifferenza, per la nostra miseria che ci fa pensare solo a noi stessi, per il nostro egoismo che non cerca la verità, ma che segue la propria abitudine, e che forse spesso fa sembrare il Cristianesimo solo come un sistema di abitudini.
     Chiediamogli che Egli entri, con potenza, nelle nostre anime, che si faccia presente in noi e attraverso di noi – e che così la gioia nasca anche in noi: Dio è qui, e mi ama, è la nostra salvezza!
    Amen.
     
    [SM=g1740722]





    Fraternamente CaterinaLD

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    BENEDETTO XVI CELEBRA LA MESSA PER IL "RATZINGER SCHÜLERKREIS"

    Città del Vaticano, 1° settembre 2013 (VIS). 

    Ci troviamo sulla via giusta se proviamo a diventare persone che “scendono” per servire e portare la gratuità di Dio. Così in sintesi il Papa emerito Benedetto XVI nella Messa celebrata ieri mattina nella cappella del Governatorato in Vaticano, in occasione del tradizionale seminario estivo dei suoi ex-allievi, il cosiddetto Ratzinger Schülerkreis. 

    L’incontro degli studenti come di consueto è organizzato a Castel Gandolfo ma quest’anno Benedetto XVI non vi ha partecipato. Questa 38.ma edizione è stata dedicata a “La questione di Dio sullo sfondo della secolarizzazione” alla luce della produzione filosofica e teologica di Rémi Brague, teorico francese premiato l'anno scorso con il "Premio Ratzinger" per la teologia. Una cinquantina di persone hanno partecipato alla Messa concelebrata con il Papa emerito dai cardinali Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna; gli arcivescovi Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia e Barthelemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, e il vescovo ausiliare di Amburgo, mons. Hans-Jochen Jaschke. Il servizio di Debora Donnini: 


    Ognuno nella vita vuole trovare il suo posto buono. Ma quale è veramente il posto giusto? L’omelia di Benedetto XVI nella Messa celebrata in occasione dell’incontro dei suoi ex-allievi è, in fondo, una risposta a questa domanda e parte dal Vangelo di oggi, nel quale Gesù invita a prendere l’ultimo posto.

    “Un posto che può sembrare molto buono, può rivelarsi per essere un posto molto brutto”, nota il Papa emerito facendo riferimento a quanto accaduto già in questo mondo, anche negli ultimi decenni, dove vediamo come “i primi” sono stati rovesciati e improvvisamente sono diventati “ultimi” e quel posto che sembrava buono era invece “sbagliato”. Anche nei discorsi che si tennero durante l’Ultima Cena, i discepoli si litigano i posti migliori. Gesù si presenta invece come Colui che serve. Lui “nato nella stalla” e “morto sulla Croce” “ci dice” – afferma Benedetto XVI – che il posto giusto è quello vicino a Lui, “il posto secondo la sua misura”. 

    E l’apostolo, in quanto inviato di Cristo “è l’ultimo nell’opinione del mondo”, e proprio per questo è vicino a Gesù: 

    Wer in dieser Welt und in dieser Geschichte vielleicht nach vorn gedrängt wird, …
    “Chi, in questo mondo e in questa Storia forse viene spinto in avanti e arriva ai primi posti, deve sapere di essere in pericolo; deve guardare ancora di più al Signore, misurarsi a Lui, misurarsi alla responsabilità per l’altro, deve diventare colui che serve, quello che nella realtà è seduto ai piedi dell’altro, e così benedice e a sua volta diventa benedetto”.

    E, dunque, qualunque sia il posto che la Storia vorrà assegnarci, quello che è determinante – sottolinea il Papa emerito – è “la responsabilità davanti a Lui, e la responsabilità per l’amore, per la giustizia e per la verità”. Nel Vangelo di oggi il Signore ricorda che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. E Benedetto XVI fa notare che “Cristo, il Figlio di Dio, scende per servire noi e questo fa l’essenza di Dio” che “consiste nel piegarsi verso di noi: l’amore, il ‘sì’ ai sofferenti, l’elevazione dall’umiliazione”: 
    Wir sind auf dem Weg Christi auf dem richtigen Weg, wenn wir als Er und wie Er …
    “Noi ci troviamo sulla via di Cristo, sulla giusta via se in Sua vece e come Lui proviamo a diventare persone che “scendono” per entrare nella vera grandezza, nella grandezza di Dio che è la grandezza dell’amore”.

    Benedetto XVI fa dunque nell’omelia una catechesi sul senso dell’abbassamento di Cristo e sull’essenza dell’amore di Dio. “La Croce, nella Storia, è l’ultimo posto” e il “Crocifisso non ha nessun posto, è un ‘non-posto’”, è stato spogliato, “è un nessuno” eppure – nota Benedetto XVI – Giovanni nel Vangelo vede “questa umiliazione estrema” come “la vera esaltazione”:
    Höher ist Jesus so; ja, Er ist auf der Höhe Gottes weil die Höhe des Kreuzes …
    “Così, Gesù è più alto; sì, è all’altezza di Dio perché l’altezza della Croce è l’altezza dell’amore di Dio, l’altezza della rinuncia di se stesso e la dedizione agli altri. Così, questo è il posto divino, e noi vogliamo pregare Dio che ci doni di comprendere questo sempre di più e di accettare con umiltà, ciascuno a modo proprio, questo mistero dell’esaltazione e dell’umiliazione”.

    Infine il Papa emerito ricorda che Gesù esorta a “invitare” a prescindere dai vantaggi, cioè a invitare i paralitici, gli storpi, i poveri perché Lui stesso lo ha fatto invitando “noi alla mensa di Dio”, e in questo modo mostrandoci cosa sia la gratuità. Giustamente l’economia si poggia sulla “giustizia commutativa”, sul do ut des, ma perfino in questo ambito rimane qualcosa di gratuito, ricorda Benedetto XVI sottolineando che “senza la gratuità del perdono nessuna società può crescere”, tanto è vero che le più grandi cose della vita, cioè “l’amore, l’amicizia, la bontà, il perdono” “non le possiamo pagare”, “sono gratis, nello stesso modo che in cui Dio ci dona a titolo gratuito”: 
    So dürfen wir, mitten in allem Ringen für die Gerechtigkeit in der Welt, nie vergessen …
    “Così, pur nella lotta per la giustizia nel mondo, non dobbiamo mai dimenticare la ‘gratuità’ di Dio, il continuo dare e ricevere, e dobbiamo costruire sul fatto che il Signore dona a noi, che ci sono persone buone che ci donano ‘gratis’ la loro bontà, che ci sopportano a titolo gratuito, ci amano e sono buone con noi ‘gratis’; e poi, a nostra volta, donare questa ‘gratuità’ per avvicinare così il mondo a Dio, per diventare simili a Lui, per aprirci a Lui”.

    Quindi Benedetto XVI si sofferma sulla liturgia, sull’umiltà della liturgia cristiana che è insieme “incommensurabilmente grande” perché ci si unisce alle schiere degli angeli e dei santi nella festosa gioia di Dio. E il sangue di Cristo, che è al centro dell’Eucaristia, significa proprio “entrare nello splendore del raduno gioioso di Dio”: “questo Sangue è il suo amore - conclude Benedetto XVI – è il Monte di Dio e ci apre alla gloria di Dio”.











    [Modificato da Caterina63 27/08/2014 19:16]
    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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    Si legge ancora e sempre il tono e il senso magisteriale perchè è proprio vero il dogma Petrino: Tu sei Pietro.... 
    ed anche se "in ritiro dal mondo" ed anche se in una situazione paradossale a noi incomprensibile, "Tu sei ancora Pietro"....
    Lo si legge fra le righe, lo si vede in poche foto, bramate qua e la, che ci riempiono però il cuore di gioia e di speranza...
    Grazie Benedetto XVI, solo un puro e semplice grazie per le poche parole trapelate 
    ma che ancora una volta ci rafforzano e ci tengono uniti in quel grande Mistero che riempie le tue giornate:
    la Divina Eucaristia!

     

    Benedetto XVI ai Schülerkreis: "La Chiesa non è governata da decisioni personali ma dalla Fede".

    Nei giorni scorsi gli allievi del Benedetto XVI, hanno concluso l’annuale incontro. Il tema di quest’anno è stato dedicato alla ‘teologia della Croce’. Il progetto teologico ogni anno vede riuniti il Pontefice emerito e i suoi ex-allievi. Una tradizione che è iniziata negli anni ‘70, quando l’illustre Teologo bavarese era ancora docente di Teologia, e che non si è interrotta neanche dopo la sua elezione a Sommo Pontefice. 

    Proponiamo alcune riflessioni proposte da Benedetto XVI durante la messa conclusiva celebrata al Cimitero teutonico in Vaticano:

    “Il luogo dove si trova il “Camposanto Teutonico”, il cimitero germanico di Roma, era un tempo parte del circolo di Nerone, che arrivava fino all’attuale piazza San Pietro. È questo il luogo in cui i primi martiri di Roma sono morti per Cristo. La Chiesa non è governata da decisioni personali prese a maggioranza, ma dalla fede, che matura nell’incontro con Cristo nella celebrazione eucaristica. “Il ministero petrino è primato nell’amore, ovvero preoccupazione perché la Chiesa riceva la sua dimensione dall’eucaristia. Essa sarà tanto più unita, quanto più vivrà del criterio eucaristico e nell’eucarestia si manterrà fedele al criterio della tradizione della fede. Tanto più, allora, dall’unita crescerà anche l’amore che si rivolge al mondo: l’eucaristia si fonda infatti sull’atto d’amore di Gesù Cristo fino alla morte…”.

    La storia del “Ratzinger Schülerkreis”, iniziata alla fine degli anni ’70 quando Benedetto XVI, insegnava nelle università tedesche e subito dopo la sua nomina ad arcivescovo di Monaco e Frisinga. Un periodo di grande produzione teologica in Germania nell’immediato post concilio. Erano anni fecondi, nel 1972 insieme ad Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac ed altri grandi teologi, Joseph Ratzinger dette inizio alla rivista di teologia “Communio”. Dal 1981, anno in cui il già arcivescovo cardinale Joseph Ratzinger, diventa Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, gli incontri si tengono a Roma, in due o tre conventi diversi. 

    Nell’ultimo incontro, quello del 2004, i partecipanti si congedarono con un accordo preciso: nelle riunioni del Circolo del 2005 si sarebbe parlato del rapporto con l’Islam. 
    Con l’elezione del cardinale Ratzinger a Sommo Pontefice gli “studenti” pensarono che un ciclco si fosse chiuso, ma Benedetto XVI, fece sapere ai suoi amici ed ex allievi che non cambiava nulla e che l’incontro, con il tema previsto, si sarebbe svolto ugualmente in privato. E fu talmente privato che per molti mesi nessuno seppe nulla dell’incontro che si era svolto a Castel Gandolfo.

    A curare la logistica e a guidare durante tutto l’anno il lavoro del circolo c’è il salvatoriano Stephan Horn, presidente della Joseph Ratzinger — Papst Benedict XVI. — Stiftung, la fondazione intitolata a Papa Ratzinger con sede a Monaco di Baviera. Tra i suoi scopi proprio quello di prepare l’incontro annuale, la promozione degli studi intrapresi da Ratzinger quando era docente, la diffusione del suo insegnamento teologico e della sua spiritualità, oltre che la pubblicazione dei libri di Benedetto XVI. 
    Dal 1977 sino all’incontro prossimo del 2014 il Circolo si è riunito 39 volte.

     

     e da Avvenire:

    Domenica (24 agosto)  c’è stato poi il culmine solenne, con la celebrazione della Messa nel Camposanto Teutonico, presieduta da Papa Benedetto XVI. "La sua predica è stata fresca: e la prova è stata nell’incontro successivo, dove ci è apparso più fresco che un anno fa… Naturalmente, è passato un altro anno, ma la freschezza spirituale e la gioia che ci ha dimostrato sono state straordinarie!".

    Ancora non si sa quale sarà il tema del prossimo anno. "Forse ne posso indicare due, ma non abbiamo ancora deciso niente. Uno dei temi è “Come parlare oggi di Dio?”. L’altro riguarda la questione del gender. Sarà nostro impegno affrontare questo argomento, che pure sollecita tante emozioni, nella maniera più obiettiva e lucida possibile, senza lasciarci trascinare dall’emozione, ma soprattutto a livelli molto alti, affinché gli argomenti possano essere esposti e valutati nel modopiù chiaro" spiega ancora Horn.




     





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      Schülerkreis 2015, come parlare oggi di Dio



    shuler
     

    Ci sono incontri che cambiano la vita. Così è stato per padre Stephan Otto Horn, religioso salvatoriano, quando nel 1970 ha conosciuto il prof. Joseph Ratzinger, divenuto ben presto “padre di una famiglia teologica e anche spirituale”.


    Padre Horn, che di Ratzinger è stato allievo e assistente universitario a Ratisbona e che oggi è incaricato di custodire l’opera e il pensiero del Papa emerito mediante l’impegno nelle diverse istituzioni che portano il suo nome, definisce quell’incontro e l’ingresso nel Circolo degli Allievi “una delle più grandi grazie che ho ricevuto nella mia vita”.
    In questa intervista – che offriamo ai nostri lettori nell’imminenza del Natale – padre Horn, docente emerito di Teologia fondamentale, fa rivivere i ricordi degli anni universitari, la nascita dello Schülerkreis, e si sofferma sull’eredità teologica di Benedetto XVI.

    Padre Horn, come avviene il suo incontro con il prof. Ratzinger?

    Ho condotto i miei studi a Passau, una bellissima città al confine con l’Austria, dove studiavano i salvatoriani, congregazione alla quale appartengo. Il mio professore di Teologia dogmatica pensava che io potessi essere il suo successore… Quando sono andato a Ratisbona a incontrare per la prima volta il prof. Ratzinger, lui non sapeva che a Monaco ero stato dottorando di Michael Schmaus, il quale aveva fatto enormi difficoltà per impedirgli l’abilitazione a docente. Questa era stata una delle grandi crisi nella vita del giovane Ratzinger, che desiderava da sempre essere professore. Ma poi ha avuto successo e ha anche ristabilito una buona relazione con Schmaus. Quando sono andato da Ratzinger, io non ero a conoscenza di tutte queste cose, mi sono presentato e abbiamo parlato della mia tesi.

    Che anno era?
    Era l’inizio del 1970. Lui era arrivato a Ratisbona nell’autunno del 1969. Mi ha accettato senza problemi, molto benevolmente, nonostante venissi da un’altra teologia. E così è stato per i 25 studenti che intendevano svolgere la tesi con lui. Ci incontravamo ogni due-tre settimane, non in università ma in seminario e avevamo l’impressione che in lui teologia e spiritualità fossero unite. L’incontro iniziava con la Messa, durante la quale il nostro maestro oppure uno di noi teneva l’omelia. Dopo si discuteva tutti insieme. Lui temeva che potesse risultarci problematico non essere guidati personalmente ma attraverso questi incontri, nei quali ciascuno presentava il suo studio per poi discutere insieme con grande libertà, ma anche intensamente. Quando avanzavamo qualche proposta, Ratzinger non dava una risposta immediata, ma poi riusciva a riassumere i nostri discorsi meglio di quanto potessimo fare noi, aggiungendo le sue riflessioni. Lui però non si imponeva: aveva un pensiero chiarissimo, ma si discuteva sempre liberamente. Voleva solo accertare la verità e tutto si svolgeva con grande semplicità. È sempre stato un po’ timido, però con noi questa timidezza non si avvertiva.

    Quale argomento trattava la sua tesi?
    La mia tesi per l’abilitazione all’insegnamento universitario verteva su Leone Magno e il Concilio di Calcedonia, da un punto di vista ecclesiologico, trattando quindi la relazione tra il successore di Pietro e un Concilio. Indagavo un fatto storico, ma anche la relazione tra Roma e Costantinopoli, tra Roma e l’Est della Chiesa, e dunque un tema ecumenico. Il Concilio di Calcedonia mostra come ciò che il successore di Pietro dice si accordi con ciò che gli altri vescovi presenti in un Concilio possono fare. Un tema storico, quindi, ma allo stesso tempo utile soprattutto per il dialogo tra Chiesa cattolica e ortodossia.

    E dopo la sua abilitazione?
    Due anni dopo il nostro primo incontro, il prof. Ratzinger mi chiamò per essere il suo assistente, ruolo che ho svolto dal 1972 al 1977, quando è ritornato a Monaco come arcivescovo. Sono rimasto lì anche dopo, per un breve periodo, e lui da arcivescovo ogni tanto veniva per seguire i suoi ultimi dottorandi. In seguito sono cominciati gli incontri annuali dello Schülerkreis, il Circolo degli allievi.

    È in quell’epoca che nasce lo Schülerkreis?
    No, è nato dopo, nell’81, verso la fine del suo ministero di cardinale arcivescovo di Monaco. In realtà è difficile individuare con precisione una data: prima c’erano stati gli incontri e i colloqui con i dottorandi. All’inizio del 1978, alcuni mesi dopo la sua ordinazione episcopale e la nomina a cardinale, ci siamo riuniti tutti, non solo i dottorandi di Ratisbona, ma anche quelli di Bonn, di Münster e di Tubinga, dato che in ogni università in cui aveva insegnato aveva il suo gruppo. Quella è stata la prima volta, poi alcuni anni dopo abbiamo iniziato a farlo regolarmente. Già a Tubinga e poi a Ratisbona, tuttavia, Ratzinger promuoveva un incontro dei suoi allievi con un altro professore, coinvolgendo grandissimi teologi come Hans Urs von Balthasar e Karl Barth e altri. Alla fine di ogni anno accademico si svolgeva un incontro in un luogo diverso, al quale invitava un altro grande teologo a tenere delle conferenze, così potevamo discutere con professori protestanti, con filosofi… Da questa esperienza sono nati i simposi con lui, ai quali invitava sempre un docente e durante i quali si pregava, si studiava e si discuteva, ogni volta su un tema diverso.


    Quanti eravate tutti i dottorandi nel 1978?
    A Ratisbona eravamo circa 25 tra dottorandi e abilitandi. Alla nascita dello Schülerkreis tutti insieme eravamo più di 50.

    Quali sono i capisaldi della teologia di Ratzinger?
    Noi abbiamo sempre avuto l’impressione che Ratzinger fosse un teologo dogmatico e un professore di Teologia fondamentale, ma allo stesso tempo un esegeta, che ha studiato e meditato molto la Parola di Dio, l’Antico e il Nuovo Testamento. Per noi è stato l’esempio di un teologo nella linea del Concilio Vaticano II, secondo cui la Sacra Scrittura è il fondamento e l’anima di tutta la teologia, anche alla luce dei primi Padri della Chiesa: il Verbo di Dio e la Chiesa si sono intrecciati nel suo pensiero. La teologia è fondata sulla Sacra Scrittura, ma anche la Sacra Scrittura è interpretata dal centro della fede della Chiesa. Non è una esegesi isolata dalla Chiesa, ma vive nella Chiesa e in essa è interpretata. Inoltre, secondo Ratzinger, i primi teologi sono i santi, che non studiano la parola di Dio, ma la assumono con tutto il loro cuore e la loro vita. Sono loro i primi esegeti e i teologi devono pertanto essere fondati sulla scienza dei santi. È una sua ferma convinzione. La teologia, dunque, dev’essere sempre in relazione con una vera spiritualità.


    Ci sono dei pensatori che hanno influito nello sviluppo della teologia ratzingeriana?
    Alcuni grandi pensieri li aveva tratti da Sant’Agostino, su cui aveva svolto la sua prima tesi, sviluppando anche una teologia eucaristica: centro della Chiesa è l’eucarestia, è Cristo che ci trae a sé quando si dona a noi, noi siamo tutti attratti da Lui e siamo uniti in Lui. E dunque la Chiesa non è solamente popolo di Dio, ma è popolo di Dio come corpo di Cristo, perché siamo uniti in Cristo. Cristo è il centro della Chiesa e ci trasforma in se stesso e così la Chiesa cresce nell’eucarestia. Dunque l’eucarestia è il centro della Chiesa – questa è una convinzione fondamentale – e così entra anche in dialogo con i teologi ortodossi che hanno una ecclesiologia eucaristica. Ma per loro ogni Chiesa è completa in se stessa, mentre per Ratzinger l’eucarestia celebrata nella Chiesa locale fa pienamente presente la Chiesa quando la Chiesa locale è unita con la Chiesa universale. È una differenza notevole e noi cerchiamo di sviluppare relazioni tra Chiesa cattolica e ortodossia attraverso una approfondita teologia eucaristica.
    Un altro grande pensiero deriva da Bonaventura: la rivelazione non è solamente una somma di verità che sono tramandate nel tempo, ma è l’autorivelazione di Dio a noi, dunque una storia tra Dio e l’uomo. Dio parla con noi e noi riceviamo la rivelazione e questa finisce solamente nella fede: la rivelazione è nel cuore che si apre a Dio che si rivela all’uomo. Dunque è un dialogo, si può dire. Schmaus pensava che questo fosse soggettivismo: quando Dio si rivela all’uomo, ognuno lo recepisce nella sua maniera e ciò costituisce una grande difficoltà. Secondo Ratzinger, però, questa rivelazione non è rivolta solamente a una persona, ma al popolo di Dio, alla Chiesa, che è soggetto della rivelazione e quindi è escluso il soggettivismo.

    Nella sua vita, padre Horn, c’è un prima e un dopo Ratzinger?
    Da giovane studente, io nutrivo il desiderio di capire bene la teologia e ho avuto un grande professore, Alois Winkllhofer, che prima del Concilio ci ha aperto la strada per il Concilio. Il Vaticano II per me non è stato una cesura, ma una evoluzione. E poi con Ratzinger giungeva per me un nuovo sviluppo. Con lui tutto è stato molto intenso, nutrendo amore per la Chiesa e un’amicizia tra tutti noi. Una esperienza di vita, senza la quale io non sarei potuto essere professore: lì è venuta la vera gioia di essere teologo. Nel ’77 sono poi tornato nella mia casa, dai Salvatoriani, e per un semestre sono stato docente a Passau. Quindi sono andato ad Augusta, nell’81, come professore di Teologia dogmatica e nell’86 nuovamente a Passau, come professore di Teologia fondamentale.


    E oggi lei è emerito di Teologia fondamentale…
    Sì, già dal ’99, sono anziano…
    Ma così ha potuto adempiere meglio il suo impegno nelle diverse realtà incaricate di diffondere l’opera e il pensiero del teologo Ratzinger… Può illustrarcelo, insieme alle varie iniziative che realizzate?
    Vorrei prima dire una parola riguardo agli incontri dello Schülerkreis. Io e il professor Siegfried Wiedenhofer, ultimi assistenti di Ratzinger, abbiamo preparato i primi incontri dello Schülerkreis, ogni anno in una località diversa, specie in Baviera, ma anche in altre parti della Germania. Ma diventando via via un impegno troppo gravoso per il cardinale Ratzinger, abbiamo iniziato a riunirci vicino a Ratisbona nel periodo delle sue vacanze, a fine agosto o inizio settembre e lui arrivava al Simposio dalla sua casa a Pentling. Quando poi è stato eletto Papa, ci ha invitati una volta a Castel Gandolfo. Noi gli abbiamo preso un po’ la mano e gli abbiamo domandato di farlo ogni anno, come prima…

    E questo continua ancora?
    In un certo modo sì, perché noi ci troviamo a Castel Gandolfo e poi lo incontriamo in Vaticano, non solo per la Santa Messa, ma anche per un momento personale: ognuno lo può salutare e lui parla con ciascuno. Questa è una grande gioia per noi, ma anche per lui, perché si sente come il padre di una famiglia teologica e anche spirituale.


    Quanti siete oggi nel Circolo?
    Alcuni sono morti, altri sono ammalati o troppo anziani e non possono intervenire. Quelli che abbiamo la possibilità di partecipare siamo circa 30-35, ma normalmente qualcuno manca.
    Torniamo ai diversi istituti che diffondono la teologia e la spiritualità del teologo Ratzinger.
    Già prima della sua elezione a Papa volevamo fare in modo che la sua teologia restasse viva e abbiamo pensato di istituire una Fondazione. Ciò è avvenuto nel 2007, con la Joseph Ratzinger Papst Benedikt XVI.-Stiftung, a Monaco. In risposta all’esigenza di cercare dei giovani teologi che studiano la teologia di Ratzinger, nel 2008 abbiamo poi fondato un altro Circolo degli allievi, cui abbiamo dato il nome di Nuovo Schülerkreis. Hanno un nome simile, dunque si vedono presi in questa famiglia, anche se non sono exallievi, ma allievi in un altro modo. Loro si riunivano pure a Castel Gandolfo, ma quando Papa Ratzinger ci raggiungeva per discutere la teologia, preferiva che la sua famiglia teologica rimanesse sola con lui e loro intrattenevano discussioni separate. Però adesso, dopo la rinuncia del Santo Padre, ci siamo riuniti nelle discussioni teologiche, anche se loro hanno un giorno per loro stessi, così come noi. Facciamo uno scambio di esperienze teologiche, spirituali, pastorali e dunque non solamente di teologia, ma anche di vita. Infine la domenica incontriamo il Santo Padre per l’eucarestia.


    Quale sarà il tema di quest’anno?
    Normalmente lo Schülerkreis, durante la riunione a Castel Gandolfo, propone tre argomenti e i nomi di alcune personalità per l’anno seguente. Al termine dell’incontro io vado dal Santo Padre per presentarglieli. Questa volta, dopo una riflessione ulteriore, a fine novembre il Papa emerito Benedetto ha scelto il tema “Come parlare oggi di Dio”, invitando il professor Tomás Halík, sacerdote ceco, un uomo speciale, con varie esperienze del mondo moderno.


    Come operano i vari istituti cui ha accennato?
    Il cardinale Ratzinger ha sempre desiderato che tutti questi istituti che lavorano per la sua teologia e spiritualità non agissero isolati e nemmeno l’uno contro l’altro, perché in certo modo sono uniti. Pertanto noi – la Fondazione di Monaco in Baviera – siamo in relazione con l’Institut Papst Benedikt XVI di Ratisbona, che cura la pubblicazione della sua Opera omnia e ogni anno organizza un Simposio riguardo al libro che viene edito. Lavoriamo con loro, alcuni di noi sono inseriti in questo istituto e il nuovo vescovo di Ratisbona in un certo modo appartiene alla nostra Fondazione. Dunque sono intrecciati. Volevano inoltre che uno di noi facesse parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Vaticana e sono stato eletto io, perché parlo l’italiano e rappresento la Stiftung, insieme a un altro collega. Siamo anche in relazione con la Fondazione della città dove è nato il Santo Padre, Marktl am Inn, denominata Stiftung Geburtshaus Joseph Ratzinger, che ogni anno ha promosso un Simposio, al quale abbiamo partecipato.


    Che rapporto c’è con la Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI?
    Noi siamo debitori con la Fondazione Vaticana, specialmente perché ci ha aiutato molto nell’organizzazione di due simposi in Africa, entrambi sul “Gesù di Nazaret”. Ambedue questi incontri hanno raggiunto ottimi risultati. Il primo si è svolto in Benin, nel settembre del 2013, in francese. È stato un grande evento, nel corso dell’Anno della fede.
    Quest’anno siamo andati a Morogoro, a marzo, in una università fondata dalla mia Congregazione per i religiosi che non potevano studiare nei seminari, perché questi erano pieni. Un simposio in inglese con quasi 500 i partecipanti e tra loro anche cinque vescovi e molti religiosi e suore. In Benin l’impostazione è stata più scientifica, in Tanzania più pastorale, con un livello accessibile a tutti. In Africa normalmente non v’è la possibilità di leggere molto di Ratzinger, sono libri costosi… Abbiamo offerto una introduzione alla sua teologia in vista della grande opera che è il “Gesù di Nazaret” e l’hanno accolta con immensa gioia. L’entusiasmo è stato veramente notevole, perché non avevano ancora conosciuto la teologia di Ratzinger, con la sua grande ricchezza anche spirituale e questo ha aperto i cuori. Sentiamo dunque il dovere e l’impegno di lavorare maggiormente in questa linea. Noi adesso vogliamo preparare, se è possibile, un Simposio a Berlino, sui grandi temi sociali e politici, sugli importanti discorsi del Santo Padre a Ratisbona, a Berlino, a Parigi, a Londra e altri… Questa è una grande sfida, che si realizzerà forse il prossimo anno.

    Lei ha da poco festeggiato gli 80 anni…
    È stata una grande sorpresa per me che al termine del Convegno di quest’anno, dopo l’eucarestia con il Santo Padre, mi abbiano consegnato un libro, non lo sapevo… Un volume realizzato dal Nuovo Schülerkreis con altri, tra i quali il cardinale Koch e il cardinale Schönborn, che ha scritto l’introduzione. Si intitola “Dienst und Einheit” (Servizio e Unità), e raccoglie studi sul primato di Pietro, sotto l’aspetto ecumenico. Il filo rosso del volume – che è stato curato da Michaela C. Hastetter e Christoph Ohly, portavoci del Nuovo Schülerkreis – è lo studio della teologia dell’ufficio petrino sviluppata da Joseph Ratzinger.


    Dopo un’esistenza dedicata alla teologia e alla preghiera, cosa si capisce della vita e della fede? Cosa sente di dire ai giovani e più in generale agli uomini comuni?
    Che cosa vorrei dire? Da giovane teologo ho ritenuto molto utile, anzi necessario, aver trovato un professore che è stato per me una guida personale. Un giovane teologo ha forse molte domande e anche tante oscurità e poter parlare con uomini che sono un esempio sacerdotale e di vero teologo è stato per me un grande beneficio. Per noi studenti di Ratzinger, inoltre, è stata una vera, grandissima grazia aver trovato degli amici che vivono in una certa fratellanza, e penso che per i giovani di oggi sia ancor più necessario avere degli amici che da una parte discutono sulla teologia, ma dall’altra fanno un’esperienza di vita comune, di vita spirituale. Oggi anche in Germania ci sono giovani che stanno cercando una stretta relazione con l’eucarestia e che desiderano un momento di silenzio e di adorazione e quindi una relazione personale con Gesù. Mi sembra opportuno che ci siano tali possibilità di entrare nella fede, cioè degli incontri nei quali si illustra il centro della fede, si possono porre domande e parlare della fede e delle difficoltà collegate con essa e con la Chiesa. Dobbiamo offrire queste opportunità ai giovani, così possono crescere. Ma anche momenti di silenzio davanti al Cristo eucaristico seguiti da uno scambio di opinioni. Queste esperienze sono molto utili, forse più che ai nostri tempi. Naturalmente la teologia può presentare delle difficoltà per la fede: ci sono tanti teologi e diversità di pensiero. Ma trovare un grande teologo che è al contempo un uomo di Chiesa e un uomo di spiritualità e studiare una tale teologia, come quella di Papa Benedetto o di teologi a lui simili, può costituire veramente un grandissimo aiuto per un giovane. Teologia e spiritualità, teologia e Chiesa: quando tutto questo va insieme, aiuta molto.
    Io come giovane teologo ho potuto far parte di questo Circolo di allievi che hanno compiuto ricerche teologiche; ma lì sono nate anche delle amicizie e io che sono un religioso ho pure la mia famiglia religiosa. Ma questi due elementi della mia vita non sono mai stati opposti, l’uno ha sostenuto l’altro e questo mi ha aiutato molto nella mia esistenza. Naturalmente una delle più grandi grazie che ho ricevuto nella mia vita è l’aver incontrato Ratzinger in un modo così forte.


    Concludiamo appunto con un ricordo del suo rapporto col prof. Ratzinger…
    Abbiamo intrattenuto dei discorsi amichevoli, lui si è sempre interessato alla mia attività e a quella dello Schülerkreis… Ma ricordo che quando ero suo assistente io mi occupavo anche della cura degli studenti stranieri, che arrivavano magari da un altro continente. Lui voleva che stringessi delle relazioni con loro, conoscessi le loro difficoltà. Si interessava anche dei mezzi finanziari per sostenerli. Una volta uno studente non voleva accettare un aiuto e Ratzinger gli disse: “Colui che non vuole accettare, non deve dare”. Uno che non è così umile da accettare qualcosa da un altro, non può dare qualcosa agli altri. Se io sono pronto a ricevere dall’altro un dono, allora in questa umiltà del ricevere posso anche dare. Lo studente che mi ha raccontato questa storia non ha mai dimenticato la lezione.

    * l’intervista è stata realizzata per la Fondazione Ratzinger

    Nella foto: 27 febbraio 1977, monastero di Weltenburg (Baviera): il prof. Ratzinger con Karl Rahner, l’abate e i dottorandi di Ratisbona (archivio Institut Papst Benedikt di Ratisbona)


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     CITTÀ DEL VATICANO , 30 agosto, 2015 / (ACI Stampa).- 








    Verità, amore e bontà che vengono da Dio rendono l’uomo puro, e verità, amore e bontà si incontrano nella Parola, che libera dalla ‘smemoratezza’ di un mondo che non pensa più a Dio”

    È il cuore dell’omelia che il Papa emerito Benedetto XVI ha pronunciato questa mattina durante la celebrazione eucaristica da lui presieduta presso la chiesa del Campo Santo Teutonico in Vaticano, alla quale hanno partecipato i membri dello Schülerkreis (il Circolo degli Allievi di Ratzinger) e del Nuovo Schülerkreis, che si sono riuniti nei giorni scorsi a Castel Gandolfo per riflettere sul tema “Come parlare oggi di Dio”, animati dal sacerdote e filosofo ceco Tomás Halík.

    Nell’omelia in tedesco, il Papa emerito si è soffermato sul Vangelo secondo Marco proclamato questa domenica. Benedetto XVI ha iniziato ricordando come esattamente tre anni fa, in occasione dell’incontro dello Schülerkreis, veniva letto lo stesso Vangelo e il cardinale Schönborn che teneva l’omelia aveva posto la domanda: “Ma non si deve forse essere purificati anche dall’esterno e non solo dall’interno? Il male viene solo dall’interno o anche dall’esterno?”. 
    Benedetto XVI ha ammesso di non ricordare la risposta che allora diede il cardinale, ma di aver trovato molto interessante la domanda. E proprio sulla risposta ad essa ha concentrato la sua meditazione. “Per una risposta adeguata – ha osservato – bisogna ampliare la domanda e tenere in considerazione non solo questo passo del Vangelo, ma il Vangelo nella sua interezza”.

    Non viene forse a noi anche dall’esterno il male che ci aggredisce? È il senso dell’interrogativo posto dal Pontefice emerito. Certo, è necessario essere purificati da tutta l’impurità che sta fuori: “potremmo dire – ha affermato Benedetto XVI – rispondere con un’igiene esteriore alle tante malattie e a volte epidemie che ci minacciano”. 
    È bene avere questo tipo di responsabilità per l’esteriore affinché la morte non prevalga, ha notato il Papa emerito. E tuttavia, ha proseguito, questo non basta, perché c’è anche “l’epidemia del cuore”, quella interiore, che “porta alla corruzione e ad altre sporcizie ancora, quelle che conducono l’uomo a pensare solo a sé e non al bene”. 
    Così assume importanza decisiva, accanto al culto, l’ethos, ovvero “l’igiene interiore”: “Cosa fa l’uomo puro? Qual è l’autentica forza di purificazione? Come si giunge all’igiene del cuore?” ha domandato Benedetto XVI.“In un altro passo del Vangelo – ha continuato – il Signore dice ai suoi: ‘Voi siete puri, a causa della parola che vi ho annunciato’ ”. Si diventa dunque puri per mezzo della Parola: “Verità, amore e bontà che vengono da Dio rendono l’uomo puro, e verità, amore e bontà si incontrano nella Parola, che libera dalla ‘smemoratezza’ di un mondo che non pensa più a Dio”. “La Parola è molto più delle parole, perché è attraverso le parole che incontriamo la Parola, Lui stesso – ha sostenuto il Papa emerito –. 
    La Parola è Gesù Cristo stesso e noi incontriamo la Parola anche in coloro che Lo riflettono, che ci mostrano il volto di Dio e che riflettono la sua mitezza, la sua umiltà di cuore, la sua semplicità, la sua amorevolezza, la sua sincerità”. “Che il Signore – ha concluso Benedetto XVI – ci conceda questa ‘igiene del cuore’, per mezzo della Verità, che viene da Dio: è questa la forza di purificazione”.

    Nella preghiera dei fedeli, si è pregato tra l’altro per Papa Francesco, perché il Signore lo assista nella sua opera, specialmente per l’Anno Santo della Misericordia.

    Al termine della Messa, si è svolta nei locali attigui del Campo Santo Teutonico una cerimonia per l’inaugurazione dell’Aula Papa Benedetto – Joseph Ratzinger, che il Papa emerito ha benedetto. Nel suo intervento introduttivo, monsignor Hans Peter Fischer, rettore del Collegio Teutonico, ha inoltre annunciato che il 18 novembre si terrà la cerimonia di apertura della Biblioteca Romana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, interamente dedicata alla sua vita e al suo pensiero come studioso e come Pontefice, all’interno della Biblioteca del Collegio Teutonico e dell’Istituto Romano della Società di Görres, in Vaticano

    L’evento prevede una prolusione del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, sul tema: “Dalla Bibbia alla Biblioteca – Benedetto XVI e la Cultura della Parola”.

    La Biblioteca intitolata al Papa emerito – iniziativa sostenuta dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI – dispone di circa mille volumi nelle diverse lingue e si caratterizza come un luogo aperto a quanti sono interessati alle pubblicazioni di e su Joseph Ratzinger, per conoscere la sua vita e approfondire la sua teologia. Molti volumi sono stati donati dallo stesso Benedetto XVI, altri invece dalla Fondazione Vaticana.

    È possibile accedere ai locali della Biblioteca e consultare i volumi dal lunedì al mercoledì, dalle 15.30 alle 19.30. “La Fondazione Ratzinger – ha osservato monsignor Fischer – ha assicurato gli esperti necessari per assistere e guidare gli interessati nella Biblioteca e nelle possibilità che essa offre”.

     



    Fraternamente CaterinaLD

    "Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
    (fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
    Maestro dell’Ordine)
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