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Nulla è perduto con la Pace, tutto può esserlo con la guerra (Pio XII)

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2010 17:57
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24/08/2009 18:04
 
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Il radiomessaggio di Pio XII del 24 agosto 1939

«Nulla è perduto con la pace
Tutto può esserlo con la guerra»


Sessant'anni fa, la sera di giovedì 24 agosto 1939, all'indomani del patto di non aggressione stipulato tra Germania nazista e Unione sovietica - più noto come Patto Molotov-Ribbentrop - Pio XII, presagendo lo scoppio imminente della guerra, pronunciava il radiomessaggio di cui oggi ripubblichiamo il testo. Quattro giorni prima, Papa Pacelli aveva rivolto ai fedeli delle diocesi venete un discorso per il venticinquesimo della morte di Pio X, di cui pubblichiamo l'ultima parte. 

Pio XII A tutto il mondo. Un'ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana; ora di tremende deliberazioni, delle quali non può disinteressarsi il Nostro cuore, non deve disinteressarsi la Nostra Autorità spirituale, che da Dio Ci viene, per condurre gli animi sulle vie della giustizia e della pace.

Ed eccoCi con voi tutti, che in questo momento portate il peso di tanta responsabilità, perché a traverso la Nostra ascoltiate la voce di quel Cristo da cui il mondo ebbe alta scuola di vita e nel quale milioni e milioni di anime ripongono la loro fiducia in un frangente in cui solo la sua parola può signoreggiare tutti i rumori della terra.
 
EccoCi con voi, condottieri di popoli, uomini della politica e delle armi, scrittori, oratori della radio e della tribuna, e quanti altri avete autorità sul pensiero e l'azione dei fratelli, responsabilità delle loro sorti.

Noi, non d'altro armati che della parola di Verità, al disopra delle pubbliche competizioni e passioni, vi parliamo nel nome di Dio, da cui ogni paternità in cielo ed in terra prende nome (Efesini, 3, 15) - di Gesù Cristo, Signore Nostro, che tutti gli uomini ha voluto fratelli - dello Spirito Santo, dono di Dio altissimo, fonte inesausta di amore nei cuori.

Oggi che, nonostante le Nostre ripetute esortazioni e il Nostro particolare interessamento, più assillanti si fanno i timori di un sanguinoso conflitto internazionale; oggi che la tensione degli spiriti sembra giunta a tal segno da far giudicare imminente lo scatenarsi del tremendo turbine della guerra, rivolgiamo con animo paterno un nuovo e più caldo appello ai Governanti e ai popoli:  a quelli, perché, deposte le accuse, le minacce, le cause della reciproca diffidenza, tentino di risolvere le attuali divergenze coll'unico mezzo a ciò adatto, cioè con comuni e leali intese:  a questi, perché, nella calma e nella serenità, senza incomposte agitazioni, incoraggino i tentativi pacifici di chi li governa.

È con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la Giustizia si fa strada. E gl'imperi non fondati sulla Giustizia non sono benedetti da Dio. La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che così la vogliono.
Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo.

Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo.

E si sentiranno grandi - della vera grandezza - se imponendo silenzio alle voci della passione, sia collettiva che privata, e lasciando alla ragione il suo impero, avranno risparmiato il sangue dei fratelli e alla patria rovine.
Faccia l'Onnipotente che la voce di questo Padre della famiglia cristiana, di questo Servo dei servi, che di Gesù Cristo porta, indegnamente sì, ma realmente tra gli uomini, la persona, la parola, l'autorità, trovi nelle menti e nei cuori pronta e volenterosa accoglienza.

Ci ascoltino i forti, per non diventar deboli nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell'ordine e nel lavoro.

Noi li supplichiamo per il sangue di Cristo, la cui forza vincitrice del mondo fu la mansuetudine nella vita e nella morte. E supplicandoli, sappiamo e sentiamo di aver con Noi tutti i retti di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di Giustizia - tutti quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore. Abbiamo con Noi il cuore delle madri, che batte col Nostro; i padri, che dovrebbero abbandonare le loro famiglie; gli umili, che lavorano e non sanno; gli innocenti, su cui pesa la tremenda minaccia; i giovani, cavalieri generosi dei più puri e nobili ideali. Ed è con Noi l'anima di questa vecchia Europa, che fu opera della fede e del genio cristiano. Con Noi l'umanità intera, che aspetta giustizia, pane, libertà, non ferro che uccide e distrugge. Con Noi quel Cristo, che dell'amore fraterno ha fatto il Suo comandamento, fondamentale, solenne; la sostanza della sua Religione, la promessa della salute per gli individui e per le Nazioni.

Memori infine che le umane industrie a nulla valgono senza il divino aiuto, invitiamo tutti a volgere lo sguardo in Alto ed a chiedere con fervide preci al Signore che la sua grazia discenda abbondante su questo mondo sconvolto, plachi le ire, riconcilii gli animi e faccia risplendere l'alba di un più sereno avvenire. In questa attesa e con questa speranza impartiamo a tutti di cuore la Nostra paterna Benedizione.



Dal discorso del 20 agosto 1939 ai fedeli delle diocesi venete per il
25° della morte di Pio X

La pace frutto della giustizia


 Questa benedizione desideriamo, nelle circostanze attuali, che avanti ogni cosa implori la pace:  la pace d'Italia, la pace d'Europa, la pace del mondo. All'ammirabile Pontefice, di cui oggi abbiamo qui con voi rievocato la cara e santa memoria, l'intima angoscia per lo scoppiare della guerra spezzò il cuore, quasi che egli avesse previsto e presentito tutti gli orrori e le stragi del conflitto mondiale. Per la pace il suo Successore, Benedetto XV di f. m. [felice memoria], sospirò, parlò, pregò, invocò quella moderazione negli animi ch'è oblio della lotta nella concordia delle nazioni.

Per la pace il Nostro immediato Predecessore Pio XI, la cui veneranda figura in questo momento sta viva innanzi agli occhi del Nostro spirito insieme con quella di Pio X, fece a Dio, or è quasi un anno, con atto paterno che commosse il mondo, l'offerta della sua vita.

Nell'ora presente, che rinnova acuta l'ansia e la trepidazione dei cuori, Noi stessi, fin dal primo giorno del Nostro Pontificato, abbiamo tentato e fatto quanto era nelle Nostre forze per allontanare il pericolo della guerra e per cooperare al conseguimento di una solida pace, fondata sulla giustizia e che salvaguardi la libertà e l'onore dei popoli. Abbiamo anzi, nei limiti del possibile e per quanto Ce lo consentivano i doveri del Nostro Apostolico ministero, riposti indietro altri compiti e altre preoccupazioni che gravavano l'animo Nostro; Ci siamo imposte prudenti riserve, affine di non renderCi da nessuna parte più difficile o impossibile l'operare a pro della pace, consci di tutto quello che in questo campo dovevamo e dobbiamo ai figli della Chiesa cattolica e a tutta l'umanità.

Noi non vogliamo, né Ci dà il cuore neanche ora di rinunziare alla speranza che i sensi di moderazione e di obiettività valgano ad evitare un conflitto, che secondo ogni previsione supererebbe anche il passato in distruzioni e rovine materiali e spirituali. Noi non cessiamo di confidare che i Reggitori dei popoli nell'ora della decisione rifuggiranno dall'assumere la indicibile responsabilità di un appello alla forza. Ma sopra tutte le umane speranze riposte nel fondo della bontà e nei lumi della sapienza degli uomini, il Nostro sguardo si leva all'Onnipotente, al Padre delle misericordie e al Dio di ogni consolazione.

Da Lui, nelle cui mani sono i cuori al pari che le menti dei Governanti, vogliamo, - uniti in questa memoranda giornata con voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, con tutti i cattolici della terra e avendo altresì presenti nella preghiera tante anime di buona volontà che pur vivono fuori della Chiesa e parimenti aspirano alla pace - vogliamo nuovamente implorare che, nella sua infinita bontà e misericordia verso il genere umano, ponga fine alla guerra, dove ora imperversa, e tutti benignamente preservi dal flagello di nuovi e più immani conflitti sanguinosi.

Sopra questo mondo inquieto e turbato come mare in tempesta faccia Dio apparire e risplendere l'iride della calma, della pace e dell'operosa concordia fra i popoli e le nazioni; e con raddoppiato fervore non cessi di innalzarsi a Lui la istante supplica:  Da pacem, Domine, in diebus nostris! 

 


(©L'Osservatore Romano - 24-25 agosto 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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26/08/2009 19:26
 
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Vent'anni fa la lettera apostolica di Giovanni Paolo II  in occasione del 50° anniversario dell'inizio della seconda guerra mondiale

«Mi hai gettato nella fossa profonda»


Vent'anni fa, il 27 agosto 1989, in occasione del 50º anniversario dell'inizio della seconda guerra mondiale, veniva resa nota la lettera apostolica di Giovanni Paolo II che oggi ripubblichiamo.

Ai miei fratelli nell'Episcopato,
ai sacerdoti e alle famiglie religiose,
ai figli e alle figlie della Chiesa, i governanti,
a tutti gli uomini di buona volontà.
L'ora delle tenebre
"Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell'ombra di morte" (Salmi, 88[87], 7). Quante volte questo grido di sofferenza si è dovuto levare dal cuore di milioni di donne e di uomini che, dal 1° settembre 1939 alla fine dell'estate 1945, sono stati scossi da una delle tragedie tra le più devastanti e tra le più disumane della nostra storia!

Mentre l'Europa era ancora sotto il trauma dei colpi di forza, che erano stati perpetrati dal Reich e che avevano condotto all'annessione dell'Austria, allo smembramento della Cecoslovacchia e alla conquista dell'Albania, il primo giorno del mese di settembre 1939, la Polonia si vedeva invasa ad Occidente dalle truppe tedesche e, il 17 dello stesso mese, ad Oriente dall'Armata Rossa. La distruzione dell'esercito polacco e il martirio di un intero popolo dovevano purtroppo essere il preludio alla sorte che sarebbe stata ben presto riservata a numerosi popoli europei e, successivamente e nella maggior parte dei cinque continenti, a molti altri. 
Infatti, sin dal 1940 i Tedeschi occuparono la Norvegia, la Danimarca, l'Olanda, il Belgio e metà della Francia. Durante quel periodo, l'Unione Sovietica, già ampliatasi con una parte della Polonia, si annetteva l'Estonia, la Lettonia e la Lituania e toglieva sia la Bessarabia alla Romania che alcuni territori alla Finlandia.
Poi, come un fuoco distruttore che si propaga, la guerra e i drammi umani, che inesorabilmente l'accompagnano, cominciarono a debordare rapidamente dalle frontiere del "vecchio continente" per divenire "mondiali". Da una parte, la Germania e l'Italia portarono i combattimenti oltre i Balcani e nell'Africa mediterranea, e, dall'altra, il Reich invase improvvisamente la Russia. Infine, nel distruggere Pearl-Harbour, i Giapponesi spinsero gli Stati Uniti d'America in guerra a fianco della Gran Bretagna. Terminava l'anno 1941.

Fu necessario attendere il 1943, con il successo della controffensiva russa che liberò la città di Stalingrado dalla morsa tedesca, perché si producesse una svolta nella storia della guerra. Le forze alleate da una parte e le truppe sovietiche dall'altra riuscirono, al prezzo di combattimenti accaniti che, dall'Egitto a Mosca, inflissero sofferenze indicibili a milioni di civili indifesi, a sconfiggere la Germania. Questa, l'8 maggio 1945, offerse la propria incondizionata capitolazione.
Ma la lotta continuò nel Pacifico, Per affrettarne il termine, due bombe atomiche, all'inizio del mese di agosto dello stesso anno, furono lanciate sulle città giapponesi di Hiroshima e di Nagasaki. All'indomani di questo spaventoso avvenimento, il Giappone presentò a sua volta la domanda di capitolazione. Era il 10 agosto 1945.
Nessun'altra guerra ha talmente meritato il nome di "guerra mondiale". Essa fu pure totale, infatti non è possibile dimenticare che alle operazioni militari terrestri si aggiunsero combattimenti aerei e navali in tutti i cieli e i mari del globo. Intere città furono soggette a distruzioni impietose, che immersero popolazioni terrorizzate nell'angoscia e nella miseria. Roma stessa fu minacciata e l'intervento di Papa Pio XII evitò all'"Urbe" di diventare un campo di battaglia.
Ecco il buio quadro degli avvenimenti dei quali oggi facciamo memoria. Questi fatti provocarono la morte di cinquantacinque milioni di persone, lasciarono i vincitori divisi e l'Europa da ricostruire.

Ricordarsi

Cinquant'anni dopo, abbiamo il dovere di ricordarci davanti a Dio di quei fatti drammatici, per onorare i morti e per compiangere tutti quelli che questo dilagare di crudeltà, ha feriti nel cuore e nel corpo, completamente perdonando le offese.
Nella mia sollecitudine per tutta la Chiesa e nella mia attenzione al bene dell'intera umanità, non potevo lasciar trascorrere questo anniversario senza invitare i fratelli nell'Episcopato, i sacerdoti, i fedeli come pure tutti gli uomini di buona volontà a riflettere sul processo che ha condotto tale conflitto sino agli abissi della disumanità e della desolazione.
Sento, infatti il dovere di ricavare una lezione da quel passato perché non si possa mai più rinnovare il fascio di cause capaci di innescare nuovamente un'analoga conflagrazione.
È ormai noto per esperienza che la divisione arbitraria di nazioni, lo spostamento forzato di popolazioni, il riarmo senza limiti, l'uso incontrollato di armi sofisticate, la violazione dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli, la non osservanza delle regole di comportamento internazionale come l'imposizione di ideologie totalitarie non possono che condurre alla rovina dell'umanità.

Azione della Santa Sede

Dall'inizio del suo pontificato, il 2 marzo 1939, Papa Pio XII non mancò di lanciare un appello per la pace, che tutti erano concordi nel considerare seriamente minacciata. Alcuni giorni prima dello scoppio delle ostilità, il 24 agosto 1939, egli pronunciò delle parole premonitrici, l'eco delle quali riecheggia ancora:  "Un'ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana (...). Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra" (Nuntius radiophonicus, die 24 augusti 1939:  "Acta Apostolicae Sedis" 31 [1939] 333-334). 
Purtroppo l'avvertimento di quel grande Pontefice non fu affatto ascoltato e il disastro arrivò. Non avendo potuto contribuire ad evitare la guerra, la Santa Sede si sforzò - nei limiti dei suoi mezzi - di circoscriverne l'estensione. Il Papa ed i suoi collaboratori vi lavorarono incessantemente, sia a livello diplomatico che nell'ambito umanitario, senza lasciarsi trascinare a schierarsi da una parte o dall'altra, in un conflitto che opponeva popoli di ideologie e religioni differenti. In questo lavoro la loro preoccupazione fu anche quella di non aggravare la situazione e di non compromettere la sicurezza delle popolazioni sottomesse a prove non comuni. Ascoltiamo ancora Papa Pio XII, quando a proposito di ciò che accadeva in Polonia, dichiarò:  "Noi dovremmo dire parole di fuoco contro simili cose, e la sola ragione che ce ne dissuade è di sapere che, se parlassimo, renderemmo ancora più dura la condizione di quegli sfortunati" (Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, 1970, vol. i, p. 455).
Alcuni mesi dopo la conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945) e all'indomani della fine della guerra in Europa, lo stesso Papa, indirizzandosi - il 2 giugno 1945 - al sacro Collegio, non mancò di rivolgere la propria attenzione al futuro del mondo e di perorare la vittoria del diritto:  "Le Nazioni, segnatamente quelle medie e piccole, reclamano che sia loro dato di prendere in mano i propri destini. Esse possono essere condotte a contrarre, con il loro pieno gradimento, nell'interesse del progresso comune, vincoli che modifichino i loro diritti sovrani. Ma dopo aver sostenuto la loro parte, la loro larga parte, di sacrifici per distruggere il sistema della violenza brutale, esse sono nel diritto di non accettare che venga loro imposto un nuovo sistema politico o culturale che la grande maggioranza delle loro popolazioni recisamente respinge (...). Nel fondo della loro coscienza i popoli sentono che i loro reggitori si screditerebbero se, al folle delirio di un'egemonia della forza, non facessero seguire la vittoria del diritto" ("Acta Apostolicae Sedis", 37 [1945] 166).


L'uomo disprezzato

Questa "vittoria del diritto" resta la miglior garanzia del rispetto delle persone. Ora, quando ci si volge a quei sei, terribili anni, non si può che essere giustamente inorriditi per il disprezzo di cui l'uomo e stato oggetto.
Alle rovine materiali, all'annientamento delle risorse agricole e industriali dei paesi devastati da combattimenti e distruzioni, che sono giunte sino all'olocausto nucleare di due città giapponesi, si sono aggiunti massacri e miseria.
Penso, in particolare, alla sorte crudele che fu inflitta alle popolazioni delle grandi pianure dell'Est. Io stesso ne sono stato lo scosso testimone a fianco dell'Arcivescovo di Cracovia monsignor Adam Stefan Sapieha. Le disumane richieste dell'occupante del momento hanno colpito in modo brutale gli oppositori e le persone sospette, mentre le donne, i bambini ed i vecchi erano sottomessi a costanti umiliazioni.
Non si può neppure dimenticare il dramma causato dallo spostamento forzato di popolazioni, che furono gettate sulle strade d'Europa, esposte ai pericoli, in cerca di un rifugio e di mezzi per vivere.
Una speciale menzione deve essere, altresì, fatta per i prigionieri di guerra che, nell'isolamento, nella spoliazione e nell'umiliazione, hanno anch'essi pagato, dopo l'asprezza dei combattimenti, un altro pesante tributo.
È doveroso infine ricordare che la creazione di governi imposti dall'occupante negli Stati dell'Europa centrale e orientale è stata accompagnata da misure repressive ed anche da una moltitudine di esecuzioni capitali, per sottomettere le popolazioni refrattarie.

Le persecuzioni contro gli Ebrei

Ma, fra tutte quelle misure antiumane, ve ne è una che resta per sempre una vergogna per l'umanità:  la barbarie pianificata che si è accanita contro il popolo ebraico.
Oggetto della "soluzione finale" pensata da un'ideologia aberrante, gli Ebrei sono stati sottomessi a privazioni e brutalità a malapena descrivibili. Perseguitati inizialmente mediante misure vessatorie o discriminatorie, essi, poi, finirono a milioni nei campi di sterminio.
Gli Ebrei in Polonia, più di altri, hanno vissuto quel calvario:  le immagini dell'assedio del ghetto di Varsavia, come le notizie apprese sui campi di concentramento di Auschwitz, di Majdanek o di Treblinka superano quanto si può umanamente concepire.
Va pure ricordato che questa follia omicida si è abbattuta su molti altri gruppi, che avevano il torto di essere "differenti" o ribelli alla tirannia dell'occupante.
In occasione di questo doloroso anniversario, faccio appello ancora una volta a tutti gli uomini, invitandoli a superare i pregiudizi ed a combattere tutte le forme di razzismo, accettando di riconoscere in ogni persona umana la dignità fondamentale e il bene che vi dimorano, a prendere sempre più coscienza di appartenere ad un'unica famiglia umana voluta e riunita da Dio.
Desidero qui ridire con forza che l'ostilità o l'odio verso l'ebraismo sono in completa contraddizione con la visione cristiana della dignità dell'uomo.

Le prove della Chiesa cattolica

Il nuovo paganesimo e i sistemi, che gli erano connessi, si accanivano certamente contro gli Ebrei, ma si indirizzavano del pari contro il cristianesimo, il cui insegnamento aveva formato l'anima dell'Europa. Mediante la persecuzione del popolo, da cui "proviene Cristo secondo la carne" (Romani, 9, 5), il messaggio evangelico della pari dignità di tutti i figli di Dio veniva schernito.
Il mio predecessore, il Papa Pio XI mostrò la consueta lucidità quando, nell'enciclica Mit brennender Sorge, dichiarò:  "Chiunque eleva la razza o il popolo, o lo Stato o una delle sue forme determinate, i depositari del potere o di altri elementi fondamentali della società umana (...) a regola suprema di tutto, anche dei valori religiosi, e li divinizza con un culto idolatrico, questi perverte ed altera l'ordine delle cose creato e voluto da Dio" (Mit Brennender Sorge, die 14 martii 1937; "Acta Apostolicae Sedis, 29 [1937] 149 et 171).
Questa pretesa dell'ideologia del sistema nazionalsocialista non risparmiò le Chiese, e la Chiesa cattolica in particolare la quale, prima e durante il conflitto, conobbe anch'essa la passione. La sua sorte non è stata certamente migliore nelle contrade, dove si impose l'ideologia marxista del materialismo dialettico.
Tuttavia, dobbiamo rendere grazie a Dio per i numerosi testimoni, noti e ignoti, che - in quelle ore di tribolazione - hanno avuto il coraggio di professare intrepidamente la fede, che hanno saputo ergersi contro l'arbitrio ateo e che non si sono piegati sotto la forza.

Totalitarismo e religione

Infatti, in ultima analisi, il paganesimo nazista e il dogma marxista hanno in comune il fatto di essere delle ideologie totalitarie, con una tendenza a divenire delle religioni sostitutive.
Già ben prima del 1939, in certi settori della cultura europea appariva una volontà di cancellare Dio e la sua immagine dall'orizzonte dell'uomo. Si iniziava a indottrinare in tal senso i fanciulli, fin dalla loro più tenera età.
L'esperienza ha sfortunatamente mostrato che l'uomo consegnato al solo potere dell'uomo, mutilato nelle sue aspirazioni religiose, diventa presto un numero o un oggetto. D'altro canto, nessuna epoca dell'umanità è sfuggita al rischio del chiuso ripiegamento dell'uomo su se stesso, in un atteggiamento di orgogliosa sufficienza. Ma tale rischio si è accentuato in questo secolo nella misura in cui la forza delle armi, la scienza e la tecnica hanno potuto dare all'uomo contemporaneo l'illusione di diventare il solo padrone della natura e della storia. Questa è la pretesa che si trova alla base degli eccessi che deploriamo.
L'abisso morale, nel quale il disprezzo di Dio - e quindi dell'uomo - ha cinquant'anni or sono gettato il mondo, ci fa toccare con mano la potenza del "Principe di questo mondo" (Giovanni, 14, 30), che può sedurre le coscienze con la menzogna, con il disprezzo dell'uomo e del diritto, con il culto del potere e della potenza.
Oggi noi ricordiamo tutto ciò e meditiamo sugli estremismi, cui può condurre l'abbandono di ogni riferimento a Dio e di ogni legge morale trascendente.

Rispettare i diritti dei popoli

Ma quanto è vero per l'uomo è vero anche per i popoli. Commemorare gli avvenimenti del 1939 significa ricordare che l'ultimo conflitto mondiale ha avuto come causa l'annientamento sia dei diritti dei popoli che di quelli delle persone. L'ho ricordato ieri, indirizzandomi alla Conferenza Episcopale Polacca.
Non c'è pace se i diritti di tutti i popoli - e particolarmente di quelli più vulnerabili - non sono rispettati! L'intero edificio del diritto internazionale poggia sul principio dell'uguale rispetto degli Stati, del diritto all'autodeterminazione di ciascun popolo e della libera cooperazione in vista del superiore bene comune dell'umanità.
È essenziale che oggi situazioni analoghe a quella della Polonia del 1939, devastata e frantumata a piacimento da invasori senza scrupoli, non si riproducano più. A tal riguardo non si può impedire di pensare ai paesi, che non hanno ancora ottenuto la loro piena indipendenza, ed a quelli che sono sotto la minaccia di perderla. In tale contesto e in questi giorni è necessario evocare il caso del Libano, dove forze congiunte, che perseguono loro propri interessi, non esitano a mettere in pericolo l'esistenza stessa di una nazione.
Non dimentichiamo che l'Organizzazione delle Nazioni Unite è nata, dopo il secondo conflitto mondiale, quale strumento di dialogo e di pace, fondato sul rispetto della eguaglianza dei diritti dei popoli.

Il disarmo

Ma una delle condizioni essenziali di questo "vivere insieme" è il disarmo.
Le terribili prove subite dai militari e dalle popolazioni civili, al tempo dell'ultimo conflitto mondiale, non possono che incitare i responsabili delle nazioni a fare tutto il possibile perché senza tardare si arrivi all'elaborazione di processi di cooperazione, di controllo e di disarmo, che rendano la guerra impensabile. Chi oserebbe giustificare ancora l'uso delle armi più crudeli, che uccidono gli uomini e distruggono le loro realizzazioni, per risolvere le vertenze tra gli Stati? Come ho avuto occasione di dire:  "La guerra è in sé irrazionale e (...) il principio etico del regolamento pacifico dei conflitti è la sola via degna dell'uomo" (Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro anno Domini 1984", 4, die 8 decembris 1983:  Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI, 2 [1983] 1278).
È per questo che noi non possiamo che accogliere con favore i negoziati in corso per il disarmo nucleare e convenzionale come per la messa al bando totale delle armi chimiche ed altre. La Santa Sede a più riprese ha dichiarato che stima necessario che le parti giungano almeno ad un livello di armamento che sia il più basso possibile compatibilmente con le loro esigenze di sicurezza e di difesa.
Questi passi promettenti avranno tuttavia possibilità di successo solamente nel caso siano sostenuti e accompagnati da una volontà di intensificare in pari modo la cooperazione negli altri ambiti, specificatamente quelli economici e culturali. L'ultima riunione della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, tenutasi recentemente a Parigi sul tema della "dimensione umana", ha registrato l'auspicio, espresso da paesi delle due parti d'Europa, di veder instaurato ovunque il regime dello Stato di diritto. Questa forma di Stato appare, infatti, come il migliore garante dei diritti della persona, ivi compreso il diritto alla libertà religiosa, il cui rispetto è un elemento insostituibile della pace sociale e internazionale.

Educare le giovani generazioni

Edotti dagli errori e dalle deviazioni del passato, gli Europei d'oggi hanno ormai il dovere di trasmettere alle giovani generazioni uno stile di vita e una cultura ispirata dalla solidarietà e dalla stima per l'altro. A tal riguardo, il cristianesimo, che ha forgiato così profondamente i valori spirituali di detto continente, dovrebbe essere una fonte di costante ispirazione:  la sua dottrina sulla persona creata ad immagine di Dio non può che contribuire allo sviluppo di un umanesimo rinnovato.
Nell'inevitabile dibattito sociale, dove si affrontano differenti concezioni della società, gli adulti devono darsi l'esempio del rispetto reciproco, sapendo sempre riconoscere la parte di verità che è nell'altro.
In un continente con non pochi contrasti, bisogna che le persone, le etnie ed i paesi di cultura, di credenza o di sistema sociale differenti reimparino incessantemente la mutua accettazione.
Gli educatori ed i mass-media hanno a tal riguardo un ruolo fondamentale. Purtroppo è giocoforza costatare che l'educazione al rispetto della dignità della persona creata a immagine di Dio non è certamente favorita dagli spettacoli di violenza o di depravazione che troppo frequentemente sono diffusi dai mezzi di comunicazione sociale:  le giovani coscienze in via di formazione ne sono turbate e il senso morale degli adulti ne è ottenebrato.

Moralizzare la vita pubblica

La vita pubblica, in effetti, non può prescindere dai criteri etici. La pace si propaga in primo luogo sul terreno dei valori umani, vissuti e trasmessi dai cittadini e dai popoli. Quando si sfilaccia il tessuto morale di una nazione, tutto è da temere.
La vigile memoria del passato dovrebbe rendere i nostri contemporanei attenti agli abusi sempre possibili nell'esercizio della libertà, che la generazione di quest'epoca ha conquistato al prezzo di molti sacrifici. L'equilibrio fragile della pace potrebbe essere compromesso qualora nelle coscienze si risveglino mali come l'odio razziale, il disprezzo per lo straniero, la segregazione del malato o del vecchio, l'emarginazione del povero, il ricorso alla violenza privata e collettiva.
Spetta ai cittadini il saper distinguere tra le proposte politiche quelle che si ispirano alla ragione ed ai valori morali, ed è compito degli Stati il vigilare a che siano bloccate le cause dell'esasperazione o dell'insofferenza di uno o dell'altro gruppo svantaggiato della società.

Appello all'Europa

A voi, uomini di governo e responsabili delle nazioni, ridico ancora una volta la mia profonda convinzione che il rispetto di Dio e il rispetto dell'uomo vanno di pari passo. Essi costituiscono il principio assoluto che permetterà agli Stati e ai blocchi politici di andare oltre i loro antagonismi.
Non possiamo dimenticare, in particolare, l'Europa dove è nato quel terribile conflitto e che per sei anni ha vissuto una vera "passione", che l'ha rovinata e resa esangue. Sin dal 1945, siamo testimoni e attori di lodevoli sforzi condotti felicemente a termine in vista della sua ricostruzione materiale e spirituale.
Ieri, questo continente ha esportato la guerra; oggi gli spetta di essere "artefice di pace". Confido che il messaggio di umanesimo e di liberazione, eredità della sua storia cristiana, saprà ancora fecondare i suoi popoli e continuerà ad irradiarsi nel mondo. 
Sì, Europa, tutti ti guardano, coscienti che tu hai sempre qualcosa da dire, dopo il naufragio di quegli anni di fuoco:  che la vera civiltà non è nella forza, che essa è frutto della vittoria su noi stessi, sulle potenze dell'ingiustizia, dell'egoismo e dell'odio, che possono giungere sino a sfigurare l'uomo!

Indirizzo ai cattolici

Terminando, desidero rivolgermi in modo tutto particolare ai pastori e ai fedeli della Chiesa cattolica.
Abbiamo or ora ricordato una delle guerre più omicide della storia, nata in un continente di tradizione cristiana.
Una tale constatazione non può che incitarci ad un esame di coscienza sulla qualità dell'evangelizzazione dell'Europa. La caduta dei valori cristiani, che ha favorito gli errori di ieri, deve renderci vigili circa la modalità con cui oggi il Vangelo è annunciato e vissuto.
Dobbiamo purtroppo osservare che in molti ambiti della sua esistenza l'uomo moderno pensa, vive e lavora come se Dio non esistesse. Esiste qui lo stesso pericolo di ieri:  l'uomo consegnato al potere dell'uomo.
Mentre l'Europa si appresta ad assumere un nuovo volto, mentre sviluppi positivi hanno luogo in certi paesi della sua parte centrale ed orientale e mentre i responsabili delle nazioni collaborano sempre più alla soluzione dei grandi problemi dell'umanità, Dio chiama la sua Chiesa a portare il proprio contributo all'avvento di un mondo più fraterno.
Con le altre Chiese cristiane, malgrado la nostra imperfetta unità, noi vogliamo ridire all'umanità d'oggi che l'uomo è vero solo quando si riconosce di Dio, come creatura; che l'uomo è cosciente della sua dignità solo quando riconosce in sé e negli altri l'impronta di Dio che l'ha creato a sua immagine; che egli è grande solo nella misura in cui fa della sua vita una risposta all'amore di Dio e si mette al servizio dei fratelli.
Dio non dispera dell'uomo. Cristiani, neppure noi possiamo disperare dell'uomo, perché sappiamo che egli è sempre più grande dei suoi errori e delle sue colpe.
Ricordandoci della beatitudine un tempo pronunciata dal Signore:  "Beati gli operatori di pace" (Matteo, 5, 9), desideriamo invitare tutti gli uomini a perdonare e a mettersi gli uni a servizio degli altri, a causa di colui che, nella sua carne, ha una volta per tutte "ucciso l'odio" (Efesini, 2, 16).

A Maria, regina della pace, affido questa umanità, raccomandando alla sua materna intercessione la storia di cui noi siamo gli attori.
Affinché il mondo non conosca più la disumanità e la barbarie, che l'hanno devastato cinquant'anni fa, annunciamo senza stancarci il "Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione" (Romani, 5, 11), pegno della riconciliazione di tutti gli uomini tra di loro.
Che la sua pace e la sua benedizione siano con tutti voi!


(©L'Osservatore Romano - 27 agosto 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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«Guerra alla guerra» del 1948 restaurato e presentato al Festival del cinema di Venezia

Pio XII e il suo grido nel deserto


di Luca Pellegrini


Il mondo è lacerato. Le ferite sembrano insanabili. La speranza è crollata sotto i bombardamenti, che non hanno risparmiato nazioni, persone e cose. La ricostruzione latita. Un tale orrore non deve ripetersi.

Ora è necessario iniziare una nuova guerra che faccia guerra a se stessa, perché troppo fragile è l'animo umano, troppo volubile il suo cuore. Nel clima di propaganda, all'indomani della fine dei combattimenti, il cinema si inserisce come uno degli strumenti meno vulnerabili e capaci di penetrare maggiormente una società in bilico, spaesata, avvilita. Riconoscono questa grande opportunità anche i cattolici, soprattutto la riconosce Pio XII.

Nasce in questo contesto, nel 1948, uno dei documenti cinematografici più interessanti nella storia del Novecento e certamente meno visti dal pubblico di ieri e di oggi:  Guerra alla guerra. Prodotto dalla Orbis con il sostegno del Centro Cattolico Cinematografico, diretto da due registi italiani piuttosto sconosciuti, Romolo Marcellini - già autore del precedente e più famoso Pastor Angelicus girato nel 1942 - e Giorgio Simonelli, il film è stato proiettato a Venezia per la sezione "Questi Fantasmi" curata da Sergio Toffetti.

 
Pio XII"Di Guerra alla guerra si è parlato tanto - precisa il curatore - ma quasi nessuno ebbe la possibilità di vederlo perché la sua distribuzione fu quasi inesistente. Si è deciso il restauro, in collaborazione con la Filmoteca Vaticana, lavorando sul positivo e sul controtipo conservati nell'archivio della Cineteca Nazionale, cercando di recuperare quei materiali in grado di farci ottenere la copia migliore possibile".

La sceneggiatura si deve a Diego Fabbri, Turi Vasile e Cesare Zavattini. "Fabbri e Vasile furono le teste pensanti alla base della fondazione della casa di produzione Orbis. Era un tentativo di competere nell'ambito del cinema d'autore, del cinema di regia, con gli altri nascenti poli cinematografici italiani, facendo sì che il cattolicesimo potesse avere in questo settore della comunicazione e dell'arte una sua voce di riferimento, un suo strumento. In questo clima e con queste finalità nasce Guerra alla guerra, che indirettamente ebbe l'approvazione di Papa Pacelli".

Il film è costruito incastrando abilmente documenti visivi dell'epoca entro una narrazione molto chiara, appositamente girata e dal sapore neorealista. Una famiglia felice soffre la perdita di un figlio a causa di un bombardamento, che distrugge completamente anche la loro casa. Le scene di guerra, quelle di morte, violenza, orrore sono, invece, tutte reali e più che mai esplicite e impressionanti per l'epoca, quando la guerra forse la si voleva dimenticare più che rivedere sullo schermo. La fase bellica è preparata contrapponendo alla natura pacifica e idilliaca nella quale l'uomo lavora quotidianamente per la sua necessaria sussistenza, la realtà delle fabbriche nelle quali, come fucine di morte, si costruiscono armi. In questo modo si degrada, si snatura il lavoro umano che cambia la sua finalità, che crea morte anziché vita.

"In qualche modo direi che il film è animato da un pensiero fichtiano - precisa Toffetti. Come all'"io" si contrappone un "non-io", così nel film l'uomo crea manufatti e oggetti che servono alla sua vita quotidiana e per il bene, ma anche strumenti per la sua morte e per il male. Inoltre, siamo in quella particolare stagione della storia italiana in cui il Paese, uscito dalla guerra, sta per passare da un'economia prevalentemente agricola a una industriale e proprio l'industria deve convertirsi definitivamente al bene dell'umanità, contrapponendosi alla stagione precedente in cui era dedita alla distruzione".

Nel film, chiunque tiene in mano un'arma o manovri una macchina da guerra o sganci una bomba sulla popolazione innocente e inerme - vediamo anche l'esplosione dell'atomica - è additato come nemico dell'umanità. Per questo non ci sono divise ed eserciti identificabili, non si fa distinzione tra Paesi, né tra vincitori e vinti.

Nel moltiplicarsi delle distruzioni e degli orrori, mentre nel film ci si domanda:  "mansueti e pacifici, dove sono?", si leva una voce che assomiglia a quella di colui che "grida nel deserto".

È la voce di Pio XII, che vediamo ripreso in momenti famosi - l'arrivo al quartiere di San Lorenzo a Roma dopo il bombardamento, quando il Papa è descritto come "la bianca colomba che vola per portare a termine la sua opera di carità" - e in atteggiamenti pastorali meno noti. L'invocazione alla pace, a mano a mano che le atrocità crescono, si fa più insistente:  "Venga la pace", "Servire la pace" e Pio XII diventa il protagonista. Lo scorgiamo in profonda preghiera, mentre conforta e benedice. Quando la logica delle armi prevale sulla ragione, quando il "veleno" circola ovunque e la stessa Roma è in pericolo, la voce fuori campo esclama:  "Vogliono far tacere Cristo".

Ma il Padre - così è chiamato il Papa - non tace:  riceve in udienza i potenti del mondo, quelli che ne detengono le sorti prima e dopo la guerra; organizza l'allestimento dei campi di raccolta e di soccorso, ordina di aprire la residenza di Castel Gandolfo e i conventi di Roma per dare rifugio ai dispersi; accoglie, benedice, esorta alla pace e al perdono. "Non sappiamo se Pio XII sia stato direttamente coinvolto nella produzione e fino a che punto l'abbia sostenuta personalmente - spiega Toffetti - ma l'aver concesso l'uso copioso della sua immagine è un implicito avallo del film".

"Per questo motivo era importante acquisire la pellicola - aggiunge Claudia Di Giovanni, direttore della Filmoteca Vaticana - e la collaborazione con la Cineteca Nazionale l'ha reso possibile. Ora è nostro desiderio organizzare una speciale proiezione da offrire alla Curia romana, per l'importanza che nel film occupa la figura di Papa Pacelli, per come sono descritti i suoi sforzi per la pace".

La proiezione veneziana è stata introdotta dal breve I figli delle macerie commissionato ad Amedeo Castellazzi, sempre nel 1948, dall'Associazione nazionale combattenti e reduci, squarcio intenso di vita nel quale la voce di una mamma morta invoca la protezione del suo bambino rimasto orfano e abbandonato. Molti dei suoi piccoli compagni abbrutiti e soli si aggirano nei paesi distrutti mentre le bambine sono fortunatamente accolte nei madrinati provinciali gestiti da alcune Congregazioni di religiose. La speranza rinasce da qui e il cinema se ne fa interprete.



(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/11/2010 17:57
 
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Nel 1943 i vescovi non ritennero prudente diffonderla

La lettera di Pio xii ai cattolici tedeschi


«Non posso tacere che nella prima parte della venerata Lettera di Sua Santità, compaiono certe parole che potrebbero suscitare una fortissima ira sia nel Governo sia nel partito nazionalsocialista. Il Governo del Reich accoglie sempre tranquillamente critiche e lagnanze espresse con parole molto severe, purché non giungano a conoscenza del popolo e delle nazioni ostili. Invece le critiche rivolte pubblicamente e portate a conoscenza dei nemici provocano accesissime collere».

Così il cardinale di Breslavia Adolf Bertram, presidente della Conferenza episcopale di Fulda, giustificava i motivi per i quali l'episcopato tedesco aveva deciso di non divulgare la lettera scritta da Pio xii ai cattolici tedeschi il 3 gennaio del 1943.
Il documento di Papa Pacelli — come ricorda padre Giovanni Sale in un articolo in uscita sul prossimo quaderno de «La Civiltà Cattolica» — pur essendo stato pubblicato nel 1966 negli Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale (ii, p. 285) è pressoché ignorato. Papa Pacelli più di ogni altra cosa temeva che il suo pensiero fosse travisato dai fedeli cattolici, soprattutto in Germania. In particolare egli aveva cura che le sue prese di posizione contro la politica aggressiva e distruttrice di Hitler non dovessero penalizzare l'intero popolo tedesco ignaro di quanto stava accadendo.

Un altro motivo di amarezza di Pio xii riguardava il fatto che i suoi radiomessaggi natalizi in cui erano fissate le linee guida della sua azione pastorale in difesa della pace e dei diritti delle persone non fossero divulgati tra i fedeli tedeschi. Specie il messaggio del 1942, per le allusioni alle persecuzioni e al massacro degli ebrei, aveva creato una fortissima irritazione a Hitler ed era stato interpretato come un attacco frontale al nazismo.
«Da alcuni sintomi parrebbe che il Vaticano sia disposto ad abbandonare il suo normale atteggiamento di neutralità e a prendere posizioni contro la Germania» — osservò il ministro degli Esteri von Ribbentrop tramite l'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede. «Sta a voi informarlo che in tal caso la Germania non è priva di mezzi di rappresaglia».

E nondimeno Pio xii decise di rivolgersi direttamente ai cattolici tedeschi. Nella sua lettera diceva tra l'altro: «L'ultimo decennio di vita, di sequela e di attività cattoliche sul suolo tedesco, è una via crucis, della quale l'amarezza e l'opera distruttrice nella sua intera impressionante entità soltanto da Dio sono conosciute». Inoltre il Papa parlava di quanti attratti dalla propaganda nazista avevano abbandonato la Chiesa: «Noi proviamo una profonda tristezza per tutti quelli che sono venuti a mancare al giuramento di fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa». E tuttavia — proseguiva — siamo ricolmi di gioia nel sapere che il numero delle defezioni dalla santa Chiesa è minimo «rispetto alla fitta schiera di quelli che hanno resistito eroicamente alle vacue seduzioni e minacce».

Nel messaggio di accompagnamento della Lettera pontificia il cardinale segretario di Stato, Luigi Maglione, considerate le «difficoltà e i pericoli dell'ora presente», lasciava alla prudenza e al giudizio del cardinale Bertram se e quando convenisse diffondere la lettera tra il clero e il popolo di Germania, affinché nessuno potesse in alcun modo sospettare che «l'Augusto Pontefice, mentre infuria la guerra, intenda fare qualcosa che nuoccia al popolo tedesco». Bertram sul momento decise di non diffondere il documento e di investire della questione la successiva Conferenza episcopale di Fulda che si sarebbe tenuta solo nell'agosto 1943. La cosa — sottolinea padre Sale — non mancò di creare qualche imbarazzo in Vaticano.

Il Papa però non volle modificare l'indirizzo da lui sempre adottato: dovevano essere i vescovi a decidere in loco ciò che doveva o non doveva essere fatto per il maggior bene della Chiesa.

(raffaele alessandrini)

(©L'Osservatore Romano - 19 novembre 2010)
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