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Pio XI fonda nel 1929 il Collegio RUSSICUM (una storia da riscoprire)

Ultimo Aggiornamento: 02/04/2016 12:13
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31/08/2009 22:35
 
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....amici, mi sono imbattuta in questo video da "La Storia siamo noi - il Collegio Russicum".... forse molti non conoscono le origini di questo Collegio o lo conoscono solo superficialmente....
Il video è ben fatto (scaricabile anche da emule e non credo che sia illegale visto che è un documentario televisivo), e ci fa scoprire veramente quanti SANTI E MARTIRI a noi sconosciuti il Signore ha suscitato sempre in tempi difficili.... i Martiri SILENZIOSI ma operanti ed operativi in un mondo chiassoso e a volte troppo rumoroso.....
Questa storia mi ha fatto innamorare ancora di più della Chiesa....

 Sorriso

Russicum

È il 1929 e Papa Pio XI su suggerimento di padre Michel d’Herbigny, fonda il Collegium Russicum volto alla preparazione di giovani preti da inviare nell'URSS dove l'ideologia comunista aveva eliminato tutte le gerarchie ecclesiastiche.

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/pop/schedaVideo.aspx?id=1453


Anche se c'è chi ha creduto o pensato che Russicum fosse un "covo di spie" i fatti dimostrarono che esso fu fucina di MARTIRI.....

La Russia comunista

Nella Russia ortodossa dei primi del Novecento le Chiese di rito occidentale funzionanti sono quasi duemila, oltre duemila sono i sacerdoti cattolici e oltre cinque milioni i fedeli, ma con la Rivoluzione russa del 1917 la situazione per la Chiesa cattolica si fa sempre più difficile.

Dopo una prima fase costituzional-democratica frutto della “rivoluzione di febbraio” del 1905 che pone fine al regime zarista, infatti, l’insurrezione dei bolscevichi del 1917 porta a un regime dittatoriale e socialista fondato sul potere dei Soviet che prevede, tra l'altro, la ridistribuzione tra i contadini delle terre dei latifondisti e la totale negazione dell’esistenza di Dio.

E se nella nuova Costituzione varata nel luglio del 1918 si parla solamente di “separazione” fra Chiesa e Stato, di fatto i bolscevichi annullano ogni forma di religione all’interno del Paese: Lenin impone fin dall’inizio il compito di organizzare non solo una propaganda antireligiosa, ma anche l’ateismo militante contro la Chiesa ortodossa (l’istituzione più importante in Russia) e contro la Chiesa cattolica.

Con un decreto, i bolscevichi guidati da Lenin espropriano tutti i beni della Chiesa, dalle terre ai luoghi di culto, dai monasteri a tutti gli edifici sacri, e tolgono il diritto di voto ai sacerdoti che si vedono anche estromettere dalle parrocchie. Il leader del partito vuole che la Chiesa venga colpita con “tale forza da restare distrutta per almeno 50 anni”. Dopo questi primi provvedimenti nel 1919 arrivano anche i primi arresti che, usati inizialmente solo come semplici intimidazioni, iniziano a crescere esponenzialmente dal ’22 quando si comincia da accusare i sacerdoti di “attività controrivoluzionaria”.

Il primo processo collettivo ai cattolici avviene infatti proprio nel 1922, il secondo e il terzo tra il '28 e il '32. Con questi tre processi viene praticamente arrestato tutto il clero russo; di conseguenza tutta la comunità cattolica dell’Unione Sovietica rimane senza guide spirituali, elemento di grande preoccupazione per il Vaticano.

Come racconta lo scienziato Anatolij Krasikov «molti dei dirigenti dello Stato e del partito, erano  ex allievi dei seminari ortodossi, e quindi nel loro nuovo ruolo avevano introdotto i ritratti dei membri dell’ufficio politico al posto delle icone, e trasformato i riti religiosi in riti politici».

Tra il '22 e '23, proprio nel periodo in cui avvengono i primi arresti e le prime deportazioni nei gulag destinati al clero, viene avviata una trattativa diplomatica tra il governo bolscevico e il Vaticano al fine di rendere meno tesi i rapporti: in questo periodo infatti l’Unione Sovietica è del tutto isolata politicamente e ha un vitale bisogno  di riconoscimento internazionale, mentre il Vaticano è interessato al dialogo proprio perché mira alla ricostruzione di una gerarchia ecclesiastica in Unione Sovietica. Ma i canali diplomatici tra le due potenze non portano ai risultati sperati, e così già nel 1926 in Unione Sovietica non vi è più nemmeno un Vescovo.

Michel d'Herbigny e il Collegium Russicum

È il 1929 e Papa Pio XI, su suggerimento del gesuita francese, padre Michel d'Herbigny, fonda il Collegium Russicum la cui storia però risale a qualche anno prima e precisamente al 1912 quando padre Wlodimir Ledochowski, futuro generale dei gesuiti, scrive un documento in cui esprime la sua preoccupazione rispetto all' Unione Sovietica e alla necessità di preparare  cattolici da inviare in quella terra dove, già dalla rivoluzione di febbraio, si stava facendo pressioni sempre maggiori sulla comunità cattolica.

Prima di fondare il Collegium Papa Pio XI manda padre d'Herbigny per due volte a Mosca; ma queste “spedizioni” sono ancora avvolte nel mistero in quanto molti dei documenti che le riguardano sono tuttora segreti. Quello che si sa lo racconta lo storico e giornalista padre Antoine Wenger: «Non c’erano più vescovi e per la chiesa cattolica non c’era modo di sopravvivere senza vescovi; il problema era capitale e fu in questa fase che monsignor d'Herbigny concepì il suo piano segreto: riuscì a convincere il Papa e il suo Segretario di Stato, Pietro Gasparri, a mandarlo a Mosca dopo essere stato segretamente nominato vescovo a Berlino. In questo modo avrebbe potuto consacrare  nuovi vescovi in Russia senza destare sospetti. Non a caso Gasparri (Segretario di Stato del Vaticano, dal 1919 al 1930) gli diede come titolo quello di “Vescovo di Troia”; era una sorta di cavallo di Troia».

Dopo essere stato consacrato segretamente vescovo il 29 marzo del '26, il 21 aprile monsignor d'Herbigny arriva a Mosca e alloggia all’hotel Savoy (ancora oggi esistente). La mattina molto presto si reca nella chiesa di San Luigi dei Francesi e consacra a sua volta vescovo padre Eugène Neveu, il parroco francese di Makeevka, in un'atmosfera di grande semplicità e alla vista di pochissimi testimoni. In seguito consacrerà altri tre amministratori apostolici per le città di Leningrado, Minsk e Odessa.

Ma queste due brevi spedizioni non sono sufficienti a ridare corpo alle gerarchie ecclesiastiche, servono nuovi sacerdoti. Dunque nel 1929 viene fondato a Roma il Collegium Russicum al fine di formare nuovi sacerdoti con una duplice missione: diventare apostoli del Vangelo e andare incontro alle necessità spirituali della Russia. L’idea originale è quella di fare del collegio un centro per studenti di nazionalità russa e di rito bizantino - slavonico, ma trovare candidati russi che non siano di rito ortodosso è molto difficile, ben presto quindi il Russicum si riempie di candidati di varie nazionalità, ma uniti dallo stesso scopo: annunciare e predicare il vangelo in Russia, anche a costo della morte.

La storia di Pietro Leoni
Padre Pietro Leoni nasce a Premilcuore,  in provincia di Forlì nel gennaio del 1909, ed è il quinto di sei fratelli di una modesta famiglia contadina. Entrato in seminario nel 1922 e poi nella compagnia di Gesù nel 1927 è tra coloro che vengono preparati all’interno del Collegium Russicum. Vi arriva nel 1934 e qui dopo cinque anni viene ordinato sacerdote in un clima di intenso fervore religioso: la preoccupazione per la sorte dei cristiani nell’Unione Sovietica è sempre più forte in seno al Vaticano e tra i fedeli, e questo non fa che dare maggiore forza alla vocazione del padre romagnolo.

Pietro Leoni parte per la Russia in veste di cappellano militare nel 1941. Tornato in Italia dopo la sconfitta del 1942, decide di ripartire per l'Unione Sovietica come parroco della comunità cattolica di Odessa, dove però viene arrestato il 29 aprile del ’45. La guerra è ormai finita, anzi vinta, e Stalin cancella  quella poca tolleranza religiosa che si era imposto per rinsaldare lo spirito del popolo russo di fronte ai sacrifici inumani provocati dal conflitto.

Per Padre Leoni inizia un lungo calvario, a partire dall’inquisizione del KGB a cui risponde: «Io di crimini contro la potestà sovietica non ne ho commessi; lo spionaggio non so neppure come si fa. E dalla propaganda antisovietica mi sono sempre astenuto per non compromettere l’apostolato, a meno che per voi non sia propaganda antisovietica il predicare il vangelo…nel qual caso allora sì, sarei colpevole».

Dopo l'arresto viene trasferito a Mosca e poiché durante gli interrogatori si rifiuta di fare i nomi degli altri sacerdoti che operano in Russia e inoltre si oppone apertamente all governo bolscevico, affermando che nell’Unione Sovietica manca la democrazia e la libertà di parola e di stampa, la sua istruttoria viene chiusa con la condanna a dieci anni nei campi di rieducazione, tra cui il gulag dell’arcipelago delle Solovki.

Solovki, l’arcipelago gulag

Si dice che nel XVII secolo un monaco che era stato il confessore dello zar Pietro il Grande, arrivò a Solovki, l’arcipelago russo posto a 160 km dal circolo polare artico, e qui venne imprigionato in una fortezza dove una sera ebbe una visone: la madre di Dio gli annunciò che una collina di quell’isola sarebbe diventata il nuovo Golgota e quindi un luogo di grande sofferenza. Questa profezia si è avverata con l’avvento al potere dei bolscevichi, quando viene creato il primo gulag sovietico: nel 1923 il magnifico santuario ortodosso costruito su una delle isole dell’arcipelago viene trasformato in un campo di concentramento, in una sorta di accademia dell’orrore dove si studiano le violenze più scientifiche e le tecniche più adeguate di fucilazione.

I primi preti ad arrivare a Solovki sono gli ortodossi processati a Mosca nel ’24. Nel ’26 è la volta del primo sacerdote di rito latino e a questi ne seguiranno molti altri condannati per spionaggio e, in base all’articolo 58 del Codice penale della Repubblica Sovietica Federale Socialista, anche per attività controrivoluzionaria. È proprio grazie a questo articolo del codice penale russo che punisce “chiunque agisce in modo controrivoluzionario” che Stalin può liberarsi di qualunque suo oppositore, condannandolo alla fucilazione oppure alla deportazione nei gulag.

Le carte in tutto parlano di 1 milione di prigionieri finiti nel lager; di questi almeno 250mila hanno trovato la morte. A farne le spese sono intellettuali, scrittori, artisti, scienziati, uomini dello zar, militanti politici e tutti coloro che in qualche modo potevano essere di ostacolo al regime comunista. Tra questi anche i sacerdoti.

È Alexej Judin a spiegare perché i bolscevichi guardavano con tanto sospetto all’operato dei sacerdoti: «Certamente il regime comunista guardava a tutto ciò con occhi diversi, innanzitutto perché per loro la loro fede cristiana non aveva alcun valore: Dio non esiste e se Dio non esiste, questi preti missionari che vengono a fare se non per motivi di spionaggio politico e industriale?!».

Pietro Leoni viene liberato

Dopo nove anni dal giorno del suo arresto, il 5 ottobre del ’54, la sorella del sacerdote riceve una sua cartolina. La località è ignota, anche se porta il timbro di Mosca. “Carissima sorella è già le seconda volta che ti scrivo, ma dubito che la precedente cartolina ti sia giunta. La mia salute è deboluccia, a causa di disturbi di stomaco, ma il morale è sempre elevato, Gesù e Maria sono la mia fortezza…”.

Qualche mese dopo un prete, anche lui missionario in Russia, torna in Italia e riferisce ai familiari di aver conosciuto padre Leoni nell’isola di Solovski. I famigliari iniziano quindi le ricerche e si rivolgono al Ministero degli Esteri il quale entra in contatto con la Russia, nella quale ormai il potere era passato, brevemente, a Georgij Malenkov. Il KGB manda due foto e un referto medico: le foto mostrano il prete con un abito elegante, per dimostrare che sta bene, ma in seguito Pietro Leoni racconterà di aver cercato di mostrare delle corna con la mano nella foto, corna che però erano state prontamente tagliate!

Intanto in Unione Sovietica, il nuovo leader del partito, Nikita Chruscev opera una revisione critica dello stalinismo: si tratta del primo timido avvicinamento tra Unione Sovietica e Occidente. È in questo panorama politico che va collocato il ritorno in Italia, il 26 maggio del ’55, di Padre Leoni e padre Dante Ughetti, liberati dai Sovietici al fine di allentare le tensioni con l’Occidente.

Al suo ritorno Padre Leoni racconterà del suo silenzio di fronte ai militari bolscevichi e di essere stato condannato ai lavori forzati, dove ha fatto i lavori più disparati: dal minatore al calzolaio, dal sarto al muratore e allo “stufaro”. Racconterà di aver lottato contro la neve e il gelo, ed è molto difficile riuscire a immaginare il suo fisico così esile e minuto resistere in un gulag. Secondo la sua testimonianza a dargli forza è stato il suo ottimismo, nutrito dall’amore verso Dio.

Nel 1959 lascerà l’Italia per servire una comunità russa in Canada, dove morirà nel 1995.

I martiri

Il bilancio finale dell’operazione Russicum può forse essere definito un fallimento, perché troppi sono stati i missionari morti o finiti nei gulag, ma è anche vero che lo spirito del Collegium ha favorito l’incontro tra Unione Sovietica e Occidente.

Tra i martiri del Russicum, ricordiamo:

Paul Chalair deportato
Fabian Abrantowicz morto nei gulag
Jan kellner fucilato
Jerzy Moskwa fucilato
Jean Nicolas deportato
Pietro Leoni deportato
Vendelin Javorka deportato
Walter Ciszek deportato
Victor Novikov deportato
Teodor Romza assassinato


Una puntata di Amedeo Ricucci

Alcune immagini che ho tratto dal video.... Occhiolino



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Pio XI alla luce delle nuove fonti archivistiche

Soluzioni coraggiose a problemi senza precedenti



È stato presentato il volume, curato da Cosimo Semeraro, La sollecitudine ecclesiale di Pio XI. Alla luce delle nuove fonti archivistiche (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 490, euro 40). Pubblichiamo la sintesi di uno degli interventi.


di Rita Tolomeo


Non è facile delineare con pochi tratti tutta la complessità di un pontificato (6 febbraio 1922 - 10 febbraio 1939) che coincise pressoché totalmente con il periodo tra le due guerre mondiali. In un mondo fortemente segnato dalle decisioni prese a Versailles, caratterizzato da derive nazionaliste e da opposti totalitarismi, Pio XI scelse come motto del suo pontificato Pax Christi in Regno Christi.

Era il segno della sua volontà di improntare alla pace ogni decisione; a tale fiducia non erano certo estranee le sue origini brianzole di cui conservava gelosamente i caratteri, una religiosità antica e profonda assorbita attraverso la figura materna. A tali insegnamenti avrebbe ispirato tutto il suo operato:  dagli incarichi ricoperti prima nella Biblioteca Ambrosiana di Milano e poi in quella Vaticana, alla inaspettata missione in Polonia e Lituania affidatagli da Benedetto xv al termine della prima guerra mondiale, fino al magistero pontificio.

Oggi gli studi su Pio xi hanno conosciuto un nuovo slancio e l'apertura nel 2006 degli Archivi Vaticani alla consultazione dei fondi del pontificato di Achille Ratti ha offerto ai ricercatori gli strumenti necessari per meglio ricostruire gli eventi e l'ambiente religioso e sociale del ventennio tra le due guerre. Si tratta di fatti per molti aspetti già noti attraverso l'esame di materiali coevi, che ora possono essere arricchiti grazie all'analisi del "ragionamento interno" che li ha determinati.

È possibile insomma per usare le parole dello studioso francese Jean-Dominique Durand "definire lo stile e il metodo di governo di un Pontefice costretto a confrontarsi con problemi senza precedenti". Un valido e importante risultato in tal senso è il volume La sollecitudine ecclesiale di Pio XI. Alla luce delle nuove fonti archivistiche (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 490, euro 40) curato da Cosimo Semeraro, segretario del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.

Il volume raccoglie gli atti del convegno internazionale di studi organizzato dallo stesso Pontificio Comitato nella Sala del Collegio teutonico (Città del Vaticano) dal 26 al 28 febbraio 2009. Si tratta della presentazione dei primi esiti delle ricerche sul pontificato di Pio XI condotte dopo il 2006 negli Archivi Vaticani il cui patrimonio documentario relativo al solo pontificato rattiano è di tale rilevanza da aver richiesto un decennio di lavoro per essere preparato alla consultazione degli studiosi. Il volume è aperto da una prolusione del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone sul pastore di una Chiesa che, lasciandosi alle spalle forme di organizzazione legate a un modello temporale ottocentesco, si muove da protagonista sul piano internazionale.

Sul piano pastorale tale azione doveva tradursi nella promozione del clero e degli episcopati indigeni, in una rinnovata attenzione verso la Russia e l'Oriente cristiano, in uno sguardo attento ai mutamenti sociali.

Monsignor Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Vaticano, offre agli studiosi una importante ricostruzione relativa al funzionamento dei dicasteri e uffici curiali di Pio xi ma anche del metodo di lavoro del Pontefice. Il ricco archivio della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, invece, ha consentito a Roberto Regoli di rintracciare il funzionamento interno e l'evoluzione della sua struttura voluta dallo stesso Papa Ratti in rapporto con la Segreteria di Stato.

Dai verbali della Congregazione è possibile ricavare il pensiero del Pontefice, rilevare il suo costante "interventismo", ma anche il coinvolgimento dei suoi collaboratori, dai segretari di Stato Gasparri e Pacelli, agli altri cardinali la cui scelta risponde non solo a un sentimento di fiducia e di certezza della loro lealtà ma anche di competenza e di esperienza.

I taccuini su cui l'allora segretario di Stato Pacelli a partire dal 10 agosto 1930 andò prendendo nota delle udienze quasi quotidiane del Papa hanno suscitato grande interesse e la loro prossima pubblicazione costituirà un ulteriore e importante strumento di comprensione delle pratiche pontificie e dell'atteggiamento verso realtà che Papa Ratti aveva avuto modo di conoscere di persona nella breve ma intensa esperienza di delegato apostolico e poi nunzio a Varsavia.

Gli erano ben noti i difficili rapporti tra polacchi, lituani e bielorussi in Lituania e all'avversione nei confronti del comunismo si dice che non fosse del tutto estranea l'avanzata dei bolscevichi fermata sulla Vistola alle porte di una Varsavia abbandonata da tutti ma non da lui, unico "rappresentante diplomatico" che si era rifiutato nella sua fermezza e dignità brianzola di abbandonare la città in un momento così grave.

È importante ricordare anche che Pio xi appoggia moralmente e finanziariamente la fondazione dell'Università Cattolica di Milano voluta da Agostino Gemelli, un'istituzione che rispondeva a pieno al suo disegno di "ricomposizione, attorno a Roma, della cattolicità" e dà vita nel 1936 all'Accademia Pontificia delle scienze, un passo verso l'apertura pratica e teorica alle scienze profane in anni di grandi dibattiti scientifici, tema questo trattato da Régis Ladous. È utile ricordare che, in anni in cui radio e cinema erano ancora percepiti come strumenti di diffusione di una visione pagana dell'esistenza, Papa Ratti aveva voluto la Radio Vaticana, inaugurata il 12 febbraio 1931 alla presenza di Guglielmo Marconi e al cinema aveva consacrato un'enciclica, la Vigilanti cura.

La ricerca condotta sulle nuove fonti archivistiche certamente non poteva non toccare temi caldi su cui la storiografia ha offerto interpretazioni diverse. Sono le questioni relative ai rapporti con il fascismo, alla liquidazione del partito popolare analizzate da Francesco Malgeri che riportarono, "forzatamente ad un livello prepolitico l'impegno dei cattolici" secondo una linea che agli occhi della storiografia italiana è conservatrice, ma che secondo Philippe Levillain è stata invece letta in modo totalmente opposto dalla storiografia grazie alla condanna dell'Action Française e alla rinascita del cattolicesimo in Francia.


(©L'Osservatore Romano - 17 aprile 2010)
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09/02/2014 16:43
 
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  75.mo morte Pio XI. Gavazzi: contrastò i totalitarismi per difendere la persona umana




Il 10 febbraio 1939 moriva Pio XI, al secolo Achille Ratti. Eletto Pontefice nel 1922, Papa Ratti guidò la Chiesa universale per 17 anni, in un periodo storico difficile. Tre gli aspetti significativi del suo Pontificato: la firma dei Patti Lateranensi con lo Stato italiano, nel 1929; la creazione della Radio Vaticana, nel 1931, e la condanna esplicita dei totalitarismi. Per una riflessione su Pio XI a 75 anni dalla sua morte, Isabella Piro ha intervistato Agostino Gavazzi, presidente del Centro Internazionale di Studi e Documentazione “Pio XI”, con sede a Desio, città natale del Pontefice:RealAudioMP3 

R. - Un primo aspetto che metterei in luce è la grande attualità di questo Pontefice: una attualità che possiamo rilevare nel Concordato che, voluto fortemente da Pio XI e realizzato nel 1929, ancora oggi è attuale, anche dopo le revisioni di Craxi e del cardinale Nicora nel 1984. Alcune biografie di Pio XI ricordano che, quando era studente in seminario, pare avesse detto ai suoi amici: “Se io un giorno diventassi Papa, vorrei fare la pace con lo Stato italiano con un Concordato”. 

D. - Un altro aspetto fondamentale del Pontificato di Pio XI è l’attenzione alla comunicazione: fu proprio lui, infatti, a volere la nascita della Radio Vaticana nel febbraio del 1931... 

R. - Pio XI è sempre stato attento a tutti i mezzi di comunicazione ed ha voluto che i suoi uffici fossero dotati di telefoni e macchine da scrivere. Resosi conto dell’importanza della radio, chiese a Guglielmo Marconi di creare una stazione radiofonica che gli permettesse di parlare al mondo. Un altro tema di comunicazione del Pontificato di Pio XI fu il cinematografo: per opera del Pontefice, nacque una rivista cattolica sul cinema, per una maggior conoscenza della religione cattolica. 

D. - Papa Ratti visse anni storicamente e politicamente difficili, dominati dal nazismo e dal comunismo. Pio XI fece sempre sentire la voce della Chiesa in difesa della persona umana... 

R. - Senz’altro! Lo fece con Encicliche che hanno condannato sia il comunismo ateo, come lesivo della dignità umana, sia il fascismo come totalitarismo che impediva la libertà e la crescita dell’individuo, sia il nazismo con la sua brutalità. Pio XI ebbe un coraggio da leone, ed assunse un atteggiamento molto esplicito di condanna per il bene della Chiesa e il bene delle persone perseguitate. 

D. - Pio XI scrisse molto: se pensiamo solo alle Encicliche, in diciassette anni di Pontificato ne ha scritte ben ventisei... 

R. - A me piace soprattutto la Qaudrageismo Anno, importante Enciclica sociale che parla, forse per la prima volta, del principio di sussidiarietà. In questa Enciclica si parla anche del lavoro come strumento della dignità dell’uomo, per la sua crescita; si parla del profitto, che non è una cosa negativa in sé, ma lo diventa se portato all’arricchimento di pochi e non alla creazione del benessere di tutta l’umanità. E in questo, nuovamente, emerge l’attualità del pensiero di Papa Ratti.

D. - La casa natale di Achille Ratti, a Desio, oggi è divenuta un Museo. Quali oggetti vi sono conservati? 

R. - Si tratta di abiti, sia da cardinale che da Pontefice, dell’arredamento dello studio che Pio XI ha usato nei pochi mesi in cui è stato cardinale di Milano. Il Museo conserva anche una bottiglia di vino: nel 1938, Achille Ratti era stato malato; aveva avuto in dono delle bottiglie di vino da Cartagine ed aveva deciso di lasciarne da parte due “per il Papa del 2000”. Il fatto interessante è che Pio XI si considerava “vescovo polacco” perché ordinato vescovo mentre era Nunzio apostolico in Polonia, e il Papa del 2000 che ha ricevuto le bottiglie in dono era il Papa polacco, Karol Wojtyła! Giovanni Paolo II tenne una di queste bottiglie per sé, mentre la seconda volle donarla al Museo di Desio. E noi oggi abbiamo questa bottiglia in esposizione, con l’etichetta “Pio XI per il suo Successore dell’anno 2000”.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/02/09/75.mo_morte_pio_xi._gavazzi:_contrast%C3%B2_i_totalitarismi_per_difendere/it1-771416 
del sito Radio Vaticana 












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I gesuiti chiudono il "Russicum". E dimenticano le sue glorie passate



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russicum


"Russicum" addio. Per il glorioso collegio pontificio fondato nel 1929 da papa Pio XI per la formazione a Roma dei seminaristi russi ma più ancora per tener viva la fede cattolica nell'allora Unione sovietica, la chiusura è segnata.


I gesuiti, che l'hanno in gestione, ne cederanno l'edificio all'adiacente Pontificio Istituto Orientale, anch'esso retto dalla Compagnia di Gesù, che nell'imminenza dei cent'anni della sua fondazione, nel 2017, aspira ad ampliarsi, ad aumentare le facoltà e a salire di grado, da istituto a università.


Non è che l'Orientale scoppi di salute, dopo il terremoto che l'ha scosso un anno fa, con la decapitazione dei suoi vertici:

> Terremoto tra i gesuiti, al Pontificio Istituto Orientale

Ma il nuovo rettore, il gesuita canadese di origini ucraine David Nazar, già superiore della Compagnia di Gesù in Ucraina dal 2005 al 2015, vuole tirare dritto, anche a costo di sopprimere un collegio che è stato "habitat" di storici incontri e di ospiti illustri. E conta di avere presto il via libera, oltre che dalla congregazione vaticana per le Chiese orientali, il cui prefetto, il cardinale argentino Leonardo Sandri, è gran cancelliere dell'Istituto, anche dal pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e naturalmente da papa Francesco, per non dire del beneplacito del patriarcato di Mosca e del Cremlino.

Il patriarca Kirill, in realtà, è un frequentatore di lunga data del "Russicum". Alloggiava lì quando da giovane veniva a Roma al seguito del suo mentore Nikodim, grande ecumenista, all'epoca metropolita di Leningrado e capo del dipartimento delle relazioni estere del patriarcato.

Nikodim con i gesuiti di Roma era di casa. Quando non soggiornava al "Russicum" era ospite di Villa Cavalletti a Frascati, con gli onori dall'allora generale della Compagnia di Gesù Pedro Arrupe.

A Leningrado, NIkodim chiamò come professore nella sua Accademia Teologica il gesuita Miguel Arranz, in cambio di uno stuolo di studenti ortodossi inviati a Roma a studiare nelle università pontificie.

E fu padre Arranz a fare da interprete nel colloquio che Nikodim ebbe in Vaticano con papa Giovanni Paolo I il 5 settembre 1978, durante il quale si accasciò a terra stroncato da un infarto. Il gesuita non volle mai rivelare che cosa il metropolita disse al papa, che sarebbe morto anche lui tre settimane dopo.

Con la scomparsa di Nikodim calò l'inverno su quello che è stato il momento più alto fin qui raggiunto nel dialogo tra la Chiesa di Roma e il patriarcato di Mosca, che in quegli anni autorizzò persino l'intercomunione eucaristica tra ortodossi e cattolici, poco tempo dopo di nuovo proibita per le pressioni del rivale patriarcato di Costantinopoli, che l'intercomunione con i cattolici non l'ha mai ammessa, a dispetto della sua fama superdialogante.

È curioso che di quella felice primavera ecumenica padre Antonio Spadaro non abbia fatto cenno, nel celebrare su "La Civiltà Cattolica" del 12 marzo l'abbraccio di Francesco e Kirill all'Avana, come fosse l'inizio di una storia senza passato.

Omissione di puro stile revisionista sovietico. Al pari dell'imminente cancellazione del glorioso "Russicum".







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