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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Sempre cercando la lampada rossa dove Dio ci aspetta. L'Eucaristia il Tabernacolo

Ultimo Aggiornamento: 01/06/2016 13:36
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Sempre cercando la lampada rossa dove Dio ci aspetta.


La lampada della Veglia

“Supponete, caro amico, che il comunismo non sia che il più visibile degli strumenti di sovversione contro la Chiesa e contro la tradizione della rivelazione divina, allora noi stiamo per assistere all’invasione di tutto ciò che è spirituale, la filosofia, la scienza, il diritto, l’insegnamento, le arti, la stampa, la letteratura, il teatro e la religione. Io sono assillato dalla confidenze della Vergine alla piccola Lucia di Fatima.

Questa ostinazione della Buona Signora davanti al pericolo che minaccia la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio che rappresenterebbe l’alterazione della fede, nella sua liturgia, la sua teologia e la sua anima. Io sento intorno a me dei novatori che vogliono smantellare la Cappella sacra, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rifiutare i suoi ornamenti, darle rimorso per il suo passato storico. Ebbene, mio caro amico, ho la convinzione che la Chiesa di Pietro deve rivendicare il suo passato; altrimenti si scaverà la fossa.

Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, in cui la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato. Essa sarà tentata di credere che l’uomo è diventato Dio, che il Suo Figlio non è che un simbolo, una filosofia come tante altre, e nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta”.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15 ottobre 1989  
Lettera Orationis formas su alcuni aspetti della meditazione cristiana.
In molti cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all'avvertita esigenza di silenzio, di raccoglimento e di meditazione...


 

1 INTRODUZIONE

1. In molti cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all'avvertita esigenza di silenzio, di raccoglimento e di meditazione.
 
L'interesse a forme di meditazione connesse ad alcune religioni orientali ed ai loro peculiari modi di preghiera in questi anni hanno suscitato anche tra i cristiani è un segno non piccolo di tale bisogno di raccoglimento spirituale e di profondo contatto col mistero divino.

Di fronte a questo fenomeno, tuttavia, da molte parti è sentita pure la necessità di poter disporre di sicuri criteri di carattere dottrinale e pastorale che consentano di educare alla preghiera, nelle sue molteplici manifestazioni, restando nella luce della verità rivelatasi in Gesù, tramite la genuina tradizione della chiesa. A tale urgenza intende rispondere la presente lettera, affinché nelle varie chiese particolari, la pluralità di forme, anche nuove, di preghiera non ne faccia mai perdere di vista la precisa natura, personale e comunitaria.

Queste indicazioni sono rivolte anzitutto ai vescovi perché le rendano oggetto di sollecitudine pastorale verso le chiese loro affidate, così che tutto il popolo di Dio - sacerdoti, religiosi e laici - sia richiamato a pregare, con rinnovato vigore, il Padre mediante lo Spirito di Cristo nostro Signore.

2. Il contatto sempre più frequente con altre religioni e con i loro differenti stili e metodi di preghiera, ha condotto negli ultimi decenni molti fedeli ad interrogarsi sul valore che possono avere per i cristiani forme non cristiane di meditazione. La questione riguarda soprattutto i metodi orientali1. C'è chi si rivolge oggi a tali metodi per motivi terapeutici: l'irrequietezza spirituale di una vita sottoposta al ritmo assillante della società tecnologicamente avanzata spinge anche un certo numero di cristiani a cercare in essi la via della calma interiore e dell'equilibrio psichico.

Quest'aspetto psicologico non sarà considerato nella presente lettera, che intende invece evidenziare le implicazioni teologiche e spirituali della questione. Altri cristiani, sulla scia del movimento d'apertura e di scambio con religioni e culture diverse, sono e parere che la loro stessa preghiera abbia molto da guadagnare da tali metodi. Rilevando che, in tempi recenti, non pochi metodi tradizionali di meditazione, peculiari del cristianesimo, sono caduti in disuso, costoro si chiedono: non sarebbe allora possibile, attraverso una nuova educazione alla preghiera, arricchire la nostra eredità incorporandovi anche ciò che le era finora estraneo.

3. Per rispondere a questa domanda, occorre anzitutto considerare, sia pure a grandi linee, in che cosa consista la natura intima della preghiera cristiana, per vedere in seguito se e come possa essere arricchita da metodi di meditazione nati nel contesto di religioni e culture diverse. E' necessario a tale scopo formulare una decisiva premessa. La preghiera cristiana è sempre determinata dalla struttura della fede cristiana, nella quale risplende la verità stessa di Dio e della creatura. Per questo essa si configura, propriamente parlando, come un dialogo personale, intimo e profondo, tra l'uomo e Dio.

Essa esprime quindi la comunione delle creature redente con la vita intima delle Persone trinitarie. In questa comunione, che si fonda sul battesimo e sull'eucaristia, fonte e culmine della vita della chiesa, è implicato un atteggiamento di conversione, un esodo dall'io verso il tu di Dio. La preghiera cristiana, quindi, è sempre allo stesso tempo autenticamente personale e comunitaria. Rifugge da tecniche impersonali o incentrate sull'io, capaci di produrre automatismi nei quali l'orante resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace di un'apertura libera al Dio trascendente.

Nella chiesa la legittima ricerca di nuovi metodi di meditazione dovrà sempre tenere conto che a una preghiera autenticamente cristiana è essenziale l'incontro di due libertà, quella infinita di Dio con quella finita dell'uomo.


continua....


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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2 LA PREGHIERA CRISTIANA

ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

4. Come debba pregare l'uomo che accoglie la rivelazione biblica, lo insegna la Bibbia stessa. Nell'Antico Testamento c'è una meravigliosa raccolta di preghiere, rimasta viva lungo i secoli anche nella chiesa di Gesù Cristo, nella quale essa è diventata la base della preghiera ufficiale: il libro delle Lodi o dei Salmi2. Preghiere del tipo dei salmi si trovano già in testi più antichi o vengono riecheggiate in testi più recenti dell'Antico Testamento3. Le preghiere del libro dei Salmi narrano anzitutto le grandi opere di Dio per il popolo eletto. Israele medita, contempla e rende di nuovo presenti le meraviglie di Dio, facendone memoria attraverso la preghiera.

Nella rivelazione biblica Israele giunge a riconoscere e lodare Dio, presente in tutta la creazione e nel destino di ogni uomo. Cosi lo invoca, ad esempio, come soccorritore nel pericolo, nella malattia, nella persecuzione, nella tribolazione. Infine, sempre alla luce delle sue opere salvifiche, egli viene celebrato nella sua divina potenza e bontà, nella sua giustizia e misericordia, nella sua regale grandezza.

5. Grazie alle parole, alle opere, alla passione e risurrezione di Gesù Cristo, nel Nuovo Testamento la fede riconosce in lui la definitiva autorivelazione di Dio, la Parola incarnata che svela le profondità più intime del suo amore. È lo Spirito santo che fa penetrare in queste profondità di Dio, lui che, inviato nel cuore dei credenti, "scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio" (1Cor 2,10). Lo Spirito, secondo la promessa di Gesù ai discepoli, spiegherà tutto ciò che egli non poteva ancora dire loro. Però lo Spirito "non parlerà da sé, ... ma mi glorificherà perché prenderà dei mio e ve lo annunzierà" (Gv 16,13s). Quello che Gesù chiama qui "suo" è, come spiega in seguito, anche di Dio Padre, perché "tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà" (Gv 16,15).

Gli autori del Nuovo Testamento, con piena consapevolezza, hanno sempre parlato della rivelazione di Dio in Cristo all'interno di una visione illuminata dallo Spirito santo. I Vangeli sinottici narrano le opere e le parole di Gesù Cristo in base alla comprensione più profonda, acquisita dopo la pasqua, di ciò che i discepoli avevano visto e udito; tutto il Vangelo di Giovanni respira della contemplazione di colui che fin dall'inizio è il Verbo di Dio fatto carne; Paolo, al quale Gesù è apparso sulla via di Damasco nella sua maestà divina, tenta di educare i fedeli perché siano "in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità [del mistero di Cristo] e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Ef 3,18s). Per Paolo il "mistero di Dio è Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3) e - precisa l'apostolo - "Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti" (v. 4).

6. Esiste quindi uno stretto rapporto fra la rivelazione e la preghiera. La costituzione dogmatica Dei verbum ci insegna che mediante la sua rivelazione Dio invisibile "nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (Cf. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (Cf. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé"4.

Questa rivelazione si è attuata attraverso parole e opere che rinviano sempre, reciprocamente, le une alle altre; fin dall'inizio e di continuo tutto converge verso Cristo, pienezza della rivelazione e della grazia, e verso il dono dello Spirito santo. Questi rende l'uomo capace di accogliere e contemplare le parole e le opere di Dio e di ringraziarlo e adorarlo, nell'assemblea dei fedeli e nell'intimità del proprio cuore illuminato dalla grazia.

Per questo la chiesa raccomanda sempre la lettura della parola di Dio come sorgente della preghiera cristiana, e allo stesso tempo esorta a scoprire il senso profondo della sacra Scrittura mediante la preghiera "affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l'uomo; poiché "gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini""5.

7. Da quanto è stato ricordato derivano subito alcune conseguenze. Se la preghiera del cristiano deve inserirsi nel movimento trinitario di Dio, il suo contenuto essenziale dovrà necessariamente essere anche determinato dalla duplice direzione di tale movimento: nello Spirito santo il Figlio viene nel mondo per riconciliarlo con il Padre attraverso le sue opere e le sue sofferenze; d'altra parte, nello stesso movimento e nel medesimo Spirito, il Figlio incarnato ritorna al Padre, compiendo la sua volontà mediante la e la risurrezione. Il Padre nostro, la preghiera di Gesù, indica chiaramente l'unità di questo movimento: la volontà del Padre deve realizzarsi sulla terra come in cielo (le richieste di pane, di perdono, di protezione esplicitano le dimensioni fondamentali della volontà di Dio verso di noi) affinché una nuova terra viva e si sviluppi nella Gerusalemme celeste.

È alla chiesa che la preghiera di Gesù6 viene consegnata ("così voi dovete pregare", Mt 6,9) e per questo la preghiera cristiana, anche quando avviene nella solitudine, in realtà è sempre all'interno di quella "comunione dei santi" nella quale e con la quale si prega, tanto in forma pubblica e liturgica quanto in forma privata. Pertanto, essa deve compiersi sempre nello spirito autentico della chiesa in preghiera e quindi sotto la sua guida, che può concretizzarsi talvolta in una direzione spirituale sperimentata. Il cristiano, anche quando è solo e prega nel segreto, ha la consapevolezza di pregare sempre in unione con Cristo, nello Spirito santo, insieme con tutti i santi per il bene della chiesa7.

3 MODI ERRONEI DI PREGARE

8. Già nei primi secoli s'insinuarono nella chiesa modi erronei di pregare, dì cui già alcuni testi del Nuovo Testamento (Cf. lGv 4,3; 1Tm 1,3-7 e 4,3-4) fanno riconoscere le tracce. In seguito si possono rilevare due deviazioni fondamentali: la pseudognosi e il messalianismo, di cui si sono occupati i padri della chiesa. Da quella primitiva esperienza cristiana e dall'atteggiamento dei padri si può imparare molto per affrontare la problematica contemporanea.

Contro la deviazione della pseudognosi8 i padri affermano che la materia è creata da Dio e come tale non è cattiva. Inoltre sostengono che la grazia, la cui sorgente è sempre lo Spirito santo, non è un bene proprio dell'anima, ma dev'essere impetrata da Dio come dono. Perciò l'illuminazione o conoscenza superiore dello Spirito ("gnosi") non rende superflua la fede cristiana. Infine, per i padri, il segno autentico di una conoscenza superiore, frutto della preghiera, è sempre l'amore cristiano.

9. Se la perfezione della preghiera cristiana non può essere valutata in base alla sublimità della conoscenza gnostica, non può esserlo neppure in riferimento all'esperienza del divino, alla maniera del messalianismo9. I falsi carismatici del IV secolo identificavano la grazia dello Spirito santo con l'esperienza psicologica della sua presenza nell'anima. Contro di essi i padri insistettero sul fatto che l'unione dell'anima orante con Dio si compie nel mistero, in particolare attraverso i sacramenti della chiesa. Essa può inoltre realizzarsi perfino attraverso esperienze di afflizione e anche di desolazione. Contrariamente all'opinione dei messaliani, queste non sono necessariamente un segno che lo Spirito ha abbandonato l'anima.
Come hanno sempre chiaramente riconosciuto i maestri spirituali, possono invece essere un'autentica partecipazione allo stato di abbandono di nostro Signore sulla croce, il quale resta sempre modello e mediatore della preghiera10.

10. Tutte e due queste forme di errore continuano a essere una tentazione per l'uomo peccatore. Lo istigano a cercare di superare la distanza che separa la creatura dal Creatore, come qualcosa che non dovrebbe esserci; a considerare il cammino di Cristo sulla terra, con il quale egli ci vuole condurre al Padre, come realtà superata; ad abbassare ciò che viene accordato come pura grazia al livello della psicologia naturale, come "conoscenza superiore" o come "esperienza".

Riapparse di tanto in tanto nella storia ai margini della preghiera della chiesa, tali forme erronee oggi sembrano impressionare nuovamente molti cristiani, raccomandandosi loro come rimedio, sia psicologico che spirituale, e come rapido procedimento per trovare Dio11.

11. Ma queste forme erronee, dovunque sorgano, possono essere diagnosticate in maniera molto semplice. La meditazione cristiana orante cerca di cogliere nelle opere salvifiche di Dio in Cristo, Verbo incarnato, e nel dono del suo Spirito la profondità divina, che vi si rivela sempre attraverso la dimensione umano-terrena. Invece, in simili metodi di meditazione, anche quando si prende lo spunto da parole e opere di Gesù, si cerca di prescindere il più possibile da ciò che è terreno, sensibile e concettualmente limitato, per salire o immergersi nella sfera del divino, che in quanto tale non è né terrestre, né sensibile, né concettualízzabile12.

Questa tendenza, presente già nella tarda religiosità greca (soprattutto nel "neoplatonismo"), si riscontra, in fondo, nell'ispirazione religiosa di molti popoli, non appena essi abbiano riconosciuto il carattere precario delle loro rappresentazioni del divino e dei loro tentativi di avvicinarvisi.

12. Con l'attuale diffusione dei metodi orientali di meditazione nel mondo cristiano e nelle comunità ecclesiali, ci troviamo di fronte ad un acuto rinnovarsi del tentativo, non esente da rischi ed errori, di fondere la meditazione cristiana con quella non cristiana. Le proposte in questo senso sono numerose e più o meno radicali: alcune utilizzano metodi orientali solo ai fini di una preparazione psicofisica per una contemplazione realmente cristiana; altre vanno oltre e cercano dì generare, con diverse tecniche, esperienze spirituali analoghe a quelle di cui si parla in scritti di certi mistici cattolici13; altre ancora non temono di collocare quell'assoluto senza immagini e concetti, proprio della teoria buddista14, sullo stesso piano della maestà di Dio, rivelata in Cristo, che si eleva al di sopra della realtà finita e, a tal fine, sì servono di una "teologia negativa" che trascende ogni affermazione contenutistica su Dio, negando che le cose del mondo possono essere una traccia che rinvia all'infinità di Dio. Per questo propongono di abbandonare non solo la meditazione delle opere salvifiche che il Dio dell'antica e della nuova alleanza ha compiuto nella storia, ma anche l'idea stessa del Dio uno e trino, che è amore, in favore di un'immersione "nell'abisso indeterminato della divinità"15.

Queste proposte o altre analoghe di armonizzazione tra meditazione cristiana e tecniche orientali dovranno essere continuamente vagliate con accurato discernimento di contenuti e di metodo, per evitare la caduta in un pernicioso sincretismo.

continua.....

Fraternamente CaterinaLD

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4 LA VIA CRISTIANA DELL'UNIONE CON DIO

13. Per trovare la giusta "via" della preghiera, il cristiano considererà ciò che è stato precedentemente detto a proposito dei tratti salienti della via di Cristo, il cui "cibo è fare la volontà di colui che (lo) ha mandato a compiere la sua opera" (Gv 4,34). Gesù non vive con il Padre un'unione più intima e più stretta di questa, che per lui si traduce continuamente in una profonda preghiera.
 
La volontà del Padre lo invia agli uomini, ai peccatori, addirittura ai suoi uccisori ed egli non può essere più intimamente unito al Padre che obbedendo a questa volontà. Ciò non impedisce in alcun modo che nel cammino terreno egli si ritiri anche nella solitudine per pregare, per unirsi al Padre e ricevere da lui nuovo vigore per la sua missione nel mondo. Sul Tabor, dove certamente egli è unito al Padre in maniera manifesta, viene evocata la sua passione (Cf. Lc 9,3 1) e non viene neppure presa in considerazione la possibilità di permanere in "tre tende" sul monte della trasfigurazione. Ogni preghiera contemplativa cristiana rinvia continuamente all'amore del prossimo, all'azione e alla passione, e proprio così avvicina maggiormente a Dio.

14. Per accostarsi a quel mistero dell'unione con Dio, che i padri greci chiamavano divinizzazione dell'uomo, e per cogliere con precisione le modalità secondo cui essa si compie, occorre tenere presente anzitutto che l'uomo è essenzialmente creatura16, e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai possibile un assorbimento dell'io umano nell'io divino, neanche nei più alti stati di grazia. Si deve però riconoscere che la persona umana è creata "ad immagine e somiglianza" di Dio, e l'archetipo di questa immagine è il Figlio di Dio, nel quale e per il quale siamo stati creati (Cf. Col 1,16). Ora questo archetipo ci svela il più grande e il più bel mistero cristiano: il Figlio è dall'eternità "altro" rispetto al Padre e tuttavia, nello Spirito santo, è "della stessa sostanza"; di conseguenza, il fatto che ci sia un'alterità non è un male, ma piuttosto il massimo dei beni. C'è alterità in Dio stesso, che è una sola natura in tre persone, e c'è alterità tra Dio e la creatura, che sono per natura differenti. Infine, nella santa eucaristia, come anche negli altri sacramenti - e analogamente nelle sue opere e nelle sue parole - Cristo ci dona se stesso e ci rende partecipi della sua natura divina17,senza per altro sopprimere la nostra natura creata, alla quale egli stesso partecipa con la sua incarnazione.

15. Se si considerano insieme queste verità, si scopre, con profonda meraviglia, che nella realtà cristiana vengono adempiute, oltre ogni misura, tutte le aspirazioni presenti nella preghiera delle altre religioni, senza che con questo l'io personale e la sua creaturalità debbano essere annullati e scomparire nel mare dell'Assoluto. "Dio è amore" (1Gv 4,8): questa affermazione profondamente cristiana può conciliare l'unione perfetta con l'alterità tra amante e amato, con l'eterno scambio e l'eterno dialogo. Dio stesso è questo eterno scambio, e noi possiamo in piena verità diventare partecipi di Cristo, quali "figli adottivi", e gridare con il Figlio nello Spirito santo "Abbà, Padre". In questo senso, i padri hanno pienamente ragione di parlare di divinizzazione dell'uomo che, incorporato a Cristo Figlio di Dio per natura, diventa per la sua grazia partecipe della natura divina, "figlio nel Figlio". Il cristiano, ricevendo lo Spirito santo, glorifica il Padre e partecipa realmente alla vita trinitaria di Dio.

5 QUESTIONI DI METODO

16. La maggior parte delle grandi religioni che hanno cercato l'unione con Dio nella preghiera, hanno anche indicato le vie per conseguirla. Siccome "la chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni"18, non si dovranno disprezzare pregiudizialmente queste indicazioni in quanto non cristiane. Si potrà, al contrario, cogliere da esse ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze, poiché è all'interno di questa totalità che quei frammenti dovranno essere riformulati ed assunti. Tra di essi si può annoverare anzitutto l'umile accettazione di un maestro esperto nella vita di preghiera e delle sue direttive; di ciò si è sempre avuto consapevolezza nell'esperienza cristiana sin dai tempi antichi, dall'epoca dei padri del deserto. Questo maestro, esperto nel "sentire cum ecclesia", deve non solo guidare e richiamare l'attenzione su certi pericoli, ma, quale "padre spirituale", deve anche introdurre in maniera viva, da cuore a cuore, nella vita di preghiera, che è dono dello Spirito santo.

17. La tarda classicità non cristiana distingueva volentieri tre stadi nella vita di perfezione: la via della purificazione, dell'illuminazione e dell'unione. Questa dottrina è servita da modello per molte scuole di spiritualità cristiana. Questo schema, in se stesso valido, necessita tuttavia di alcune precisazioni, che ne permettano una corretta interpretazione cristiana, evitando pericolosi fraintendimenti.

18. La ricerca di Dio mediante la preghiera deve essere preceduta e accompagnata dalla ascesi e dalla purificazione dai propri peccati ed errori, perché secondo la parola di Gesù soltanto "i puri di cuore vedranno Dio" (Mt 5,8). Il Vangelo mira soprattutto a una purificazione morale dalla mancanza di verità e di amore e, su un piano più profondo, da tutti gli istinti egoistici che impediscono all'uomo di riconoscere e accettare la volontà di Dio nella sua purezza. Non sono le passioni in quanto tali ad essere negative (come pensavano gli stoici e i neoplatonici) ma la loro tendenza egoistica. È da essa che il cristiano deve liberarsi: per arrivare a quello stato di libertà positiva che la classicità cristiana chiamava "apatheia", il medioevo "impassibilitas" e gli Esercizi spirituali ignaziani "indiferencia"19.

Ciò è impossibile senza una radicale abnegazione, come si vede anche in san Paolo che usa apertamente la parola "mortificazione" (delle tendenze peccaminose)20. Solo questa abnegazione rende l'uomo libero di realizzare la volontà di Dio e di partecipare alla libertà dello Spirito santo.

19. Dovrà perciò essere interpretata rettamente la dottrina di quei maestri che raccomandano di "svuotare" lo spirito da ogni rappresentazione sensibile e da ogni concetto, mantenendo però un'amorosa attenzione a Dio, così che rimanga nell'orante un vuoto che può allora essere riempito dalla ricchezza divina. Il vuoto di cui Dio ha bisogno è quello della rinuncia al proprio egoismo, non necessariamente quello della rinuncia alle cose create che egli ci ha donato e tra le quali ci ha posti. Non vi è dubbio che nella preghiera ci si deve concentrare interamente su Dio ed escludere il più possibile quelle cose di questo mondo che ci incatenano al nostro egoismo. Sant'Agostino è, su questo punto, un maestro insigne: se vuoi trovare Dio, dice, abbandona il mondo esteriore e rientra in te stesso. Tuttavia, prosegue, non rimanere in te stesso, ma oltrepassa te stesso, perché tu non sei Dio: egli è più profondo e più grande di te. "Cerco la sua sostanza nella mia anima e non la trovo; ho meditato tuttavia sulla ricerca di Dio e, proteso verso di lui, attraverso le cose create, ho cercato di conoscere le "perfezioni invisibili di Dio" (Rm 1,20)"21. "Restare in se stessi": ecco il vero pericolo. Il grande dottore della chiesa raccomanda di concentrarsi in se stessi, ma anche di trascendere l'io che non è Dio, ma solo una creatura. Dio è "interior intimo meo, et superior summo meo"22. Dio infatti è in noi e con noi, ma ci trascende nel suo mistero23.

20. Dal punto di vista dogmatico, è impossibile arrivare all'amore perfetto di Dio se si prescinde dalla sua autodonazione nel Figlio incarnato, crocifisso e risuscitato. In lui, sotto l'azione dello Spirito santo, prendiamo parte, per pura grazia, alla vita intradivina. Quando Gesù dice: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9), non intende semplicemente la visione e la conoscenza esteriori della sua figura umana ("la carne non giova a nulla", Gv 6,63). Ciò che intende è piuttosto un "vedere" reso possibile dalla grazia della fede: vedere attraverso la manifestazione sensibile di Gesù ciò che questi, quale Verbo del Padre, vuole veramente mostrarci di Dio ("t lo Spirito che dà la vita... ; le parole che vi ho dette sono spirito e vita", Gv 6,63). In questo "vedere" non si tratta dell'astrazione puramente umana ("abstractio") dalla figura in cui Dio si è rivelato, ma del cogliere la realtà divina nella figura umana di Gesù, del cogliere la sua dimensione divina ed eterna nella sua temporalità. Come dice sant'Ignazio negli Esercizi spirituali, dovremmo tentare di cogliere "il profumo infinito e la dolcezza infinita della divinità" (n. 124), partendo dalla finita verità rivelata dalla quale abbiamo iniziato. Mentre ci eleva, Dio è libero di "svuotarci" di tutto ciò che ci trattiene in questo mondo, di attirarci completamente nella vita trinitaria del suo amore eterno. Tuttavia, questo dono può essere concesso solo "in Cristo attraverso lo Spirito santo" e non attraverso le proprie forze, astraendo dalla sua rivelazione.

21. Nel cammino della vita cristiana, alla purificazione segue l'illuminazione mediante l'amore che il Padre ci dona nel Figlio e l'unzione che da lui riceviamo nello Spirito santo (cf. lGv 2,20). Fin dall'antichità cristiana si fa riferimento alla "illuminazione" ricevuta nel battesimo. Essa introduce i fedeli, iniziati ai divini misteri, alla conoscenza di Cristo mediante la fede che opera per mezzo della carità. Anzi, alcuni scrittori ecclesiastici parlano in modo esplicito dell'illuminazione ricevuta nel battesimo come fondamento di quella sublime conoscenza di Cristo Gesù (cf. Fil 3,8) che viene definita come "theoria" o contemplazione24.

I fedeli, con la grazia dei battesimo, sono chiamati a progredire nella conoscenza e nella testimonianza dei misteri della fede mediante "la profonda intelligenza che essi esperiscono delle cose spirituali"25. Nessuna luce di Dio rende superate le verità della fede. Le eventuali grazie di illuminazione che Dio può concedere aiutano piuttosto a chiarir meglio la dimensione più profonda dei misteri confessati e celebrati dalla chiesa, in attesa che il cristiano possa contemplare Dio come egli è nella gloria (cf. 1Gv 3,2).

22. Il cristiano orante, infine, può arrivare, se Dio lo vuole, ad un'esperienza particolare di unione. I sacramenti, soprattutto il battesimo e l'eucaristia26, sono l'inizio obiettivo dell'unione del cristiano con Dio. Su questo fondamento, per una speciale grazia dello Spirito, l'orante può essere chiamato a quel tipo peculiare di unione con Dio che, nell'ambito cristiano, viene qualificato come mistica.

23. Certamente il cristiano ha bisogno di determinati tempi di ritiro nella solitudine per raccogliersi e ritrovare, presso Dio, il suo cammino. Ma, dato il suo carattere di creatura, e di creatura che sa di essere al sicuro solo nella grazia, il suo modo di avvicinarsi a Dio non si fonda su alcuna tecnica nel senso stretto della parola. Ciò contraddirebbe lo spirito d'infanzia richiesto dal Vangelo. La mistica cristiana autentica non ha niente a che vedere con la tecnica: è sempre un dono di Dio, di cui chi ne beneficia si sente indegno27.

24. Ci sono determinate grazie mistiche, conferite ad esempio ai fondatori di istituzioni ecclesiali in favore di tutta la loro fondazione nonché ad altri santi, che caratterizzano la loro peculiare esperienza di preghiera e che non possono, come tali, essere oggetto di imitazione e di aspirazione per altri fedeli, anche appartenenti alla stessa istituzione, e desiderosi di una preghiera sempre più perfetta28. Possono esserci diversi livelli e diverse modalità di partecipazione all'esperienza di preghiera di un fondatore, senza che a tutti debba venir conferita la medesima forma. Del resto l'esperienza di preghiera che ha un posto privilegiato in tutte le istituzioni autenticamente ecclesiali, antiche e moderne, è sempre in ultima analisi qualcosa di personale. Ed è alla persona che Dio dona le sue grazie in vista della preghiera.

25. A proposito della mistica si deve distinguere tra i doni dello Spirito santo e i carismi accordati in modo totalmente libero da Dio. I primi sono qualcosa che ogni cristiano può ravvivare in sé attraverso una vita zelante di fede, di speranza e di carità e così, attraverso una seria ascesi, arrivare a una certa esperienza di Dio e dei contenuti della fede. Quanto ai carismi, san Paolo dice che essi sono soprattutto in favore della chiesa, degli altri membri del corpo mistico di Cristo (cf. 1Cor 12,7). A questo proposito, va ricordato sia che i carismi non possono essere identificati con dei doni straordinari ("mistici") (cf. Rm 12,3-21), sia che la distinzione fra i "doni dello Spirito santo" e i "carismi" può essere fluida. Certo è che un carisma fecondo per la chiesa non può, nell'ambito neotestamentario, venir esercitato senza un determinato grado di perfezione personale e che, d'altra parte, ogni cristiano "vivo" possiede un compito peculiare (e in questo senso un "carisma") "per l'edificazione del corpo di Cristo" (cf. Ef 4,15-16)29, in comunione con la gerarchia, alla quale "spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono" (Lumen gentium, n. 12).

continua..........

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6 METODI PSICOFISICI-CORPOREI


26. L'esperienza umana dimostra che la posizione e l'atteggiamento del corpo non sono privi d'influenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito. E un dato al quale alcuni scrittori spirituali dell'oriente e dell'occidente cristiano hanno prestato attenzione.

Le loro riflessioni, pur presentando punti in comune con i metodi orientali non cristiani di meditazione, evitano quelle esagerazioni o unilateralità che, invece, spesso vengono oggi proposte a persone non sufficientemente preparate.

Questi autori spirituali hanno adottato quegli elementi che facilitano il raccoglimento nella preghiera, riconoscendone al contempo anche il valore relativo: essi sono utili se riformulati in vista del fine della preghiera cristiana30. Ad esempio, il digiuno nel cristianesimo possiede anzitutto il significato di un esercizio di penitenza e di sacrificio, ma, già presso i padri, era anche finalizzato a rendere l'uomo più disponibile all'incontro con Dio e il cristiano più capace di dominio di sé e allo stesso tempo più attento ai fratelli bisognosi.

Nella preghiera è tutto l'uomo che deve entrare in relazione con Dio, e dunque anche il suo corpo deve assumere la posizione più adatta per il raccoglimento31. Tale posizione può esprimere in modo simbolico la preghiera stessa, variando a seconda delle culture e della sensibilità personale. In alcune aree, i cristiani, oggi, stanno acquisendo maggior consapevolezza di quanto l'atteggiamento dei corpo possa favorire la preghiera.

27. La meditazione cristiana dell'oriente32 ha valorizzato il simbolismo psicofisico, spesso carente nella preghiera dell'occidente. Esso può partire da un determinato atteggiamento corporeo, fino a coinvolgere anche le funzioni vitali fondamentali, come la respirazione e il battito cardiaco. L'esercizio della "preghiera di Gesù", ad esempio, che si adatta al ritmo respiratorio naturale, può - almeno per un certo tempo - essere di reale aiuto per molti33. D'altra parte gli stessi maestri orientali hanno anche constatato che non tutti sono ugualmente idonei a far uso di questo simbolismo, perché non tutti sono in grado di passare dal segno materiale alla realtà spirituale ricercata. Compreso in modo inadeguato e non corretto, il simbolismo può diventare addirittura un idolo e, di conseguenza, un impedimento all'elevazione dello spirito a Dio. Vivere nell'ambito della preghiera tutta la realtà del proprio corpo come simbolo è ancora più difficile: ciò può degenerare in un culto del corpo e può portare a identificare surretiziamente tutte le sue sensazioni con esperienze spirituali.

28. Alcuni esercizi fisici producono automaticamente sensazioni di quiete e di distensione, sentimenti gratificanti, forse addirittura fenomeni di luce e di calore che assomigliano ad un benessere spirituale. Scambiarli per autentiche consolazioni dello Spirito santo sarebbe un modo totalmente erroneo di concepire il cammino spirituale. Attribuire loro significati simbolici tipici dell'esperienza mistica, quando l'atteggiamento morale dell'interessato non corrisponde ad essa, rappresenterebbe una specie di schizofrenia mentale, che può condurre perfino a disturbi psichici e, talvolta, ad aberrazioni morali.

Ciò non toglie che autentiche pratiche di meditazione provenienti dall'oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un'attrattiva sull'uomo di oggi diviso e disorientato, possano costituire un mezzo adatto per aiutare l'orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in mezzo alle sollecitazioni esterne.

Occorre tuttavia ricordare che l'unione abituale con Dio, o quell'atteggiamento di vigilanza interiore e di invocazione dell'aiuto divino che nel Nuovo Testamento viene chiamato la "preghiera continua"34, non si interrompe necessariamente quando ci si dedica anche, secondo la volontà di Dio, al lavoro e alla cura del prossimo. "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio", ci dice l'apostolo (1Cor 10,31). La preghiera autentica infatti, come sostengono i grandi maestri spirituali, desta negli oranti un'ardente carità che li spinge a collaborare alla missione della chiesa e al servizio dei fratelli per la maggior gloria di Dio35.

7 IO SONO LA VIA"

29. Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella varietà e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla chiesa, la propria via, il proprio modo di preghiera; ma tutte queste vie personali confluiscono, alla fine, in quella via al Padre, che Gesù Cristo ha detto di essere. Nella ricerca della propria via ognuno si lascerà quindi condurre non tanto dai suoi gusti personali quanto dallo Spirito santo, il quale lo guida, attraverso Cristo, al Padre.

30. Per chi si impegna seriamente verranno comunque tempi in cui gli sembrerà di vagare in un deserto e di non "sentire" nulla di Dio, malgrado tutti i suoi sforzi. Deve sapere che queste prove non vengono risparmiate a nessuno che prenda sul serio la preghiera. Ma egli non deve identificare immediatamente questa esperienza, comune a tutti i cristiani che pregano, con la "notte oscura" di tipo mistico. Ad ogni modo in quei periodi la preghiera, che egli si sforzerà di mantenere fermamente, potrà dargli l'impressione di una certa "artificiosità" benché si tratti in realtà di qualcosa di totalmente diverso: essa è infatti proprio allora espressione della sua fedeltà a Dio, alla presenza del quale egli vuole rimanere anche quando non è ricompensato da alcuna consolazione soggettiva.

In questi momenti apparentemente negativi diventa manifesto ciò che l'orante cerca realmente: se cerca proprio Dio che, nella sua infinita libertà, sempre lo supera, oppure se cerca solo se stesso, senza riuscire ad andare oltre le proprie "esperienze", sia che gli sembrino "esperienze" positive d'unione con Dio che "esperienze" negative di "vuoto" mistico.

31. L'amore di Dio, unico oggetto della contemplazione cristiana, è una realtà della quale non ci si può "impossessare" con nessun metodo o tecnica; anzi, dobbiamo aver sempre lo sguardo fisso in Gesù Cristo, nel quale l'amore divino è giunto per noi sulla croce a tal punto che egli si è assunto anche la condizione d'allontanamento dal Padre (cf. Me 15,34). Dobbiamo dunque lasciar decidere a Dio la maniera con cui egli vuole farei partecipi del suo amore. Ma non possiamo mai, in alcun modo, cercare di metterci allo stesso livello dell'oggetto contemplato, l'amore libero di Dio; neanche quando, per la misericordia di Dio Padre, mediante lo Spirito Santo mandato nei nostri cuori, ci viene donato in Cristo, gratuitamente, un riflesso sensibile di quest'amore divino e ci sentiamo come attirati dalla verità, dalla bontà e dalla bellezza del Signore.

Quanto più viene concesso ad una creatura di avvicinarsi a Dio, tanto maggiormente cresce in lei la riverenza davanti al Dio, tre volte santo. Si comprende allora la parola di sant'Agostino: "Tu puoi chiamarmi amico, io mi riconosco servo"36. Oppure la parola che ci è ancora più familiare, pronunciata da colei che è stata gratificata della più alta intimità con Dio: "Ha guardato l'umiltà della sua serva" (Le 1,48).

Il sommo pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'udienza concessa al sottoscritto cardinale prefetto, ha approvato la presente lettera, decisa nella riunione plenaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, il 15 ottobre 1989, nella festa di santa Teresa di Gesù.

+ JOSEPH card. RATZINGER, prefetto

+ ALBERTO BOVONE

arciv. tit. di Cesarea di Numidia

segretario



 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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11/02/2011 23:59
 
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NOTE

1 Con l'espressione "metodi orientali" s'intendono metodi ispirati all'induismo e al buddismo, come lo "Zen" o la "meditazione trascendentale" oppure lo "Yoga". Si tratta quindi di metodi di meditazione dell'estremo oriente non cristiano, che non di rado oggi sono adoperati anche da alcuni cristiani nella loro meditazione. Gli orientamenti di principio e di metodo contenuti nel presente documento intendono essere un punto di riferimento non solo in relazione a questo problema, ma anche, più in generale, per le diverse forme di preghiera oggi praticate nelle realtà ecclesiali, in particolar modo nelle associazioni, movimenti e gruppi.

2 Sul libro dei Salmi nella preghiera della chiesa, Cf. Institutio generali de Liturgia horarum, nn. 100-109: [EV 4/238-2471.

3 Cf. ad esempio Es. 15, Dt 32, 1Sani 2, 2Sam 22, taluni testi profetici, lCr 16.

4 CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Dei verbum 2: [EV 1/873]. Questo documento offre altre indicazioni sostanziose per una comprensione teologica e spirituale della preghiera cristiana; si vedano, ad es., nn. 3, 5, 8, 21: [EV 1/874.877.882-884.904].

5 DV 25: [EV 908s].

6 Sulla preghiera di Gesù si veda Istitutio generalis de Liturgia horarum, n. 9: [EV 4/135-137].

7 Cf. Institutio generalis de Liturgia horarum, n. 9: [EV 4/143].

8 La pseudognosi considerava la materia come qualcosa di impuro, di degradato, che avvolgeva l'anima in un'ignoranza dalla quale la preghiera avrebbe dovuto liberarla per ìnnalzarla alla vera conoscenza superiore e quindi alla purezza. Certamente non tutti ne erano capaci, ma solo gli uomini veramente spirituali; per i semplici credenti bastavano la fede e l'osservanza dei comandamenti di Cristo.

9 I messaliani furono già denunciati da sant'EFREM SIRO (Hymni contra heresis 22, 4: ed. E. BECK, CSCO 169, 1957, p. 79) e in seguito, tra gli altri, da EPIFANIO DI SALAMNA(Panarion, detto anche Adversus haereses: PG 41, 156-1200; PG 42, 9-832) e ANFILOCHIO, vescovo di lconio (Contra haeretícos: C. FICKER, Amphilochiana 1, Leipzig 1906, 21-77).

10 Cf., ad es., S. GIOVANNI DELLA CROCE, Subida del Monte Carmelo, II, c. 7, 1l.

11 Nel medioevo esistevano correnti estremistiche ai margini della chiesa, che vengono descritte, non senza ironia, da uno dei grandi contemplativi cristiani, il fiammingo Jan van Ruysbroek. Egli distingue nella vita mistica tre tipi di deviazione (Die gheestelike Brulocht 228,12-230,17; 230,18~232,22; 232,23-236,6) e riporta anche una critica generale riguardante queste forme (236,7-237,29). Tecniche simili sono state successivamente individuate e respinte da santa Teresa di Gesù, la quale osserva acutamente che "la stessa cura che si mette a non pensare a nulla sveglierà l'intelletto a pensare molto" e che lasciare da parte il mistero di Cristo nella meditazione cristiana è sempre una specie di tradimento (si veda: S.TERESA DI GESU', Vida, 12,5 e 22,1-5).

12 Additando a tutta la chiesa l'esempio e la dottrina di S. Teresa di Gesù, che a suo tempo dovette respingere la tentazione di certi metodi che invitavano a prescindere dall'umanità di Cristo a vantaggio dì un vago immergersi nell'abisso della divinità, papa Giovanni Paolo Il diceva in un'omelia del 1novembre 1982 che il grido di Teresa di Gesù in favore di una preghiera tutta centrata in Cristo "è valido anche ai nostri giorni contro alcuni metodi di orazione che non s'ispirano al Vangelo e che in pratica tendono a prescindere da Cristo, a vantaggio di un vuoto mentale che nel cristianesimo non ha senso. Ogni metodo di orazione è valido in quanto si ispira a Cri sto e conduce a Cristo, la via, la verità e la vita (cf. Gv 14,6)". Si veda: Homilia Abulae in honorem Sanctae Teresiae: AAS 75(1983), 256-259.

13 Si veda, ad esempio, La nube della non-conoscenza, opera spirituale di un anonimo scrittore inglese dei sec. XIV.

14 Il concetto di "nirvana" viene inteso nei testi religiosi del buddismo come uno stato di quiete che consiste nell'estinzione di ogni realtà concreta in quanto transitoria, e quindi deludente e dolorosa.

15 Maestro Eckhart parla di un'immersione "nell'abisso indeterminato della divinità", che è "una tenebra nella quale la luce della Trinità non e mai rifulsa". Cf. Serno "Ave gratia plena" in fine (J. QUINT, Deutsche Predigten und Traktate, Hanser 1955, 261).

16 Cf. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 19 [EV 11 1373]: "La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore".

17 Come scrive S.TOMMASO a proposito dell'eucaristia: "... proprius effectus huius sacramenti est conversio hominis in Christum, ut dicat cum Apostolo: Vivo ego, iam non ego; vivit vero in me Christus (Gal 2,20)" (In IV Sent., d. 12, q. 2, a. 1).

18 CONCILIO VATICANO 11, Dich. Nostra aetate. 2: [EV 1/8571.

19 S. IGNAZIO DI LOYOLA, Ejercicios espirituales, n. 23 e passim.

20 Cf. Col 3,5; Rm 6,11ss; Gal 5,24.

21 S. AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, XLI, 8: PL 36, 469.

22 S. AGOSTINO, Confessiones 3, 6, 11: PL 32, 688; cf. De vera religione 39,72: PL 34, 154.

23 Il senso cristiano positivo dello "svuotamento" delle creature risplende in maniera esemplare nel Poverello d'Assisi. San Francesco, proprio perché ha rinunciato alle creature per amore del Signore, le vede tutte riempite della sua presenza e fulgenti nella loro dignità di creature di Dio e ne intona la segreta melodia dell'essere nel suo Cantico delle creature (cf. C. ESSER, Opuscola Sancti Patris Francisci Assisiensis, Ed. Ad Claras Aquas, Grottaferrata-Roma 1978, pp. 83-86). Nello stesso senso scrive nella "Lettera a tutti i fedeli": "Ogni creatura che è in cielo e in terra e nel mare e nella profondità degli abissi (Ap 5,13) renda a Dio lode, gloria e onore e benedizione, poiché egli è la nostra vita e la nostra forza. Egli che solo è buono (Le 18,19), che solo è altissimo, che solo è onnipotente e ammirabile, glorioso e santo, degno di lode e benedetto per gli infiniti secoli dei secoli. Amen" (C. ESSER, Opuscola, p. 124). San Bonaventura fa notare come in ciascuna creatura Francesco percepiva il richiamo di Dio ed effondeva la sua anima nel grande inno della riconoscenza e della lode (cf. Legenda Sancti Francisci, e. 9, n. 1, in Opera omnia, Quaracchi 1898, vol. VIII, p. 530).

24 Si vedano, ad esempio, S. GIUSTINO, Apologia 1, 61, 12-13: PG 6, 420-421; CLEMENTE ALESSANDRINO, Paedagogus 1, 6, 25-31: PG 8, 281-284; S. BASILIO DI CESAREA, Homiliae diversae 13, 1: PG 31, 424-425; S. GREGORIO NAZIANZENO, Orationes 40, 3, 1: PG 36, 361.

25 DV 8: [EV 11883].

26 L'eucaristia, definita dalla cost. dogm. Lumen gentium "fonte e apice di tutta la vita cristiana" (LG 11: [EV 1/313]) ci fa "partecipare realmente al corpo del Signore" (LG 7: [EV 1/297]); in essa "siamo elevati alla comunione con lui" (LG 7: [EV 1/2971]).

27 Cf. S. TERESA DI GESU', Castillo interior IV, 1, 2.

28 Nessun orante, senza una grazia speciale, ambirà ad una visione globale della rivelazione di Dio quale san Gregorio Magno riconosce in san Benedetto, oppure a quello slancio mistico con cui san Francesco d'Assisi contemplava Dio in tutte le sue creature, o ad una visione ugualmente globale, come quella donata a sant'Ignazio al fiume Cardoner e della quale egli afferma che in fondo avrebbe potuto prendere per lui il posto della sacra Scrittura. La "notte oscura" descritta da san Giovanni della Croce, è parte del suo personale carisma d'orazione: ogni membro dei suo ordine non ha bisogno di viverla nello stesso modo per arrivare a quella perfezione nella preghiera cui è chiamato da Dio.

29 La chiamata dei cristiano ad esperienze "mistiche" può includere tanto ciò che san Tommaso qualifica come esperienza viva di Dio attraverso i doni dello Spirito, quanto le forme inimitabili (e quindi alle quali non si deve aspirare) di donazione della grazia. Cf. S. TOMMASO D'AQUINO, Summa theologiae I-II, a. 1 c, come pure a. 5 ad l.

30 Si vedano, ad esempio, gli scrittori antichi, che parlano dell'atteggiamento dell'orante assunto dai cristiani in preghiera: TERTULLIANO, De oratione XIV e XVII: PL 1, 1170 e 1174-76; ORIGENE, De oratione XXXI, 2: PG 11, 550-553, nonché del significato di tal gesto: BARNABA, Epistula XII, 2-4: PG 2, 760-761; S. GIUSTINO, Dialogus 90, 4-5: PG 6, 689-692; S. IPPOLITO ROMANO, Commentarium in Dan. 111, 24: GCS 1, 168, 8-17; ORIGIENE, Homiliae in Ex. XI, 4: PG 12, 377-378. Sulla posizione dei corpo si veda anche ORIGENE, De oratione XXXI, 3: PG 11, 553-555.

31 Cf. S. IGNAZIO Di LOYOLA, Ejercicios espirituales, n. 76.

32 Come ad esempio quella degli anacoreti esicasti. L'hesychia o quiete, esterna ed interna, viene considerata dagli anacoreti una condizione della preghiera; nella sua forma orientale è caratterizzata da solitudine e da tecniche di raccoglimento.

33 L'esercizio della "preghiera di Gesù", che consiste nel ripetere una formula densa di riferimenti biblici di invocazione e supplica (ad es. "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me"), si adatta al ritmo respiratorio naturale. A questo proposito si veda: S. IGNAZIO Di LOYOLA, Ejercicios espirituales, n. 258.

34 Cf. 1Ts 5,17. Si veda d'altra parte 2Ts 3,8-12. Da questi e altri testi sorge la problematica: Come conciliare l'obbligo della preghiera continua con quello dei lavoro? Si vedano, tra altri, S. AGOSTINO, Epistula 130, 20: PL 33, 501-502, e S. GIOVANNI CASSIANO, De institutis coenobiorum III, 1-3: SC 109, 92-93. Si legga anche la "Dimostrazione sulla preghiera" di Afraate, il primo padre della chiesa siriaca, e in particolare i numeri 14-15 dedicati alle cosiddette "opere della preghiera" (cf. l'edizione di J. PARISOT, Afraatis Sapientis Persae Demonstrationes IV: PS 1, pp. 170-174).

35 S. TERESA DI GESÙ, Castillo interior VII, 4,6.

36 S. AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos CXLU, 6: PL 37, 1849. Si veda anche: S. AGOSTINO, Tract. in Ioh. IV, 9: PL 35, 1410: "Quando autem nec ad hoc dignum se dicit, vere pienus Spiritu sancto erat, qui sic servus Dominum agnovit, et ex servo amicus fieri meruit".





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Cresce la pratica dell’adorazione eucaristica perpetua (I)


Intervista a don Alberto Pacini



di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 28 febbraio 2011 (ZENIT.org).- L’adorazione eucaristica perpetua è una realtà presente in tutto il mondo e coinvolge ormai milioni di persone.

In Italia è presente in circa 50 parrocchie con oltre 15.000 adoratori che hanno scelto di vivere la propria vita offrendo un’ora settimanale alla presenza di Gesù Eucarestia.

A Roma il 4 marzo prossimo, alle ore 18,00, nella Basilica di S. Anastasia al Palatino si celebrerà il decimo anno di adorazione eucaristica perpetua.

Ma a cosa serve l’adorazione eucaristica? Perchè c’è questo ritorno ad una pratica antica? Qual è il significato per i credenti? E perchè i non credenti dovrebbero prestargli attenzione?

Queste ed altre domande ZENIT le ha rivolte a don Alberto Pacini, predicatore e rettore della chiesa di S. Anastasia a Roma, che dieci anni fa ha iniziato l'adorazione eucaristica perpetua.

Dieci anni di adorazione perpetua. Da dove è nata questa necessità e quali sono stati i risultati?

Don Alberto Pacini: Nell’antica Basilica di S. Anastasia al Palatino, riaperta durante il Giubileo e funzionante come sacrestia durante gli eventi giubilari, nella zona più antica di Roma, a ridosso del Palatino e dei resti del primitivo insediamento dell’antica Roma, il 2 marzo 2001 iniziava l’adorazione eucaristica perpetua.

Giovanni Paolo II, aveva scritto: “Sì, carissimi Fratelli e Sorelle, le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche «scuole» di preghiera, dove l'incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero «invaghimento» del cuore. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall'impegno nella storia: aprendo il cuore all'amore di Dio, lo apre anche all'amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio”.

Egli accolse con entusiasmo la notizia della nascita di questa adorazione eucaristica perpetua, nella sua diocesi, proprio durante il Giubileo, in attuazione di quanto aveva precedentemente detto a Siviglia, nel 1993, alla conclusione del 45°Congresso eucaristico internazionale: "Spero che questa forma di Adorazione Perpetua, con esposizione permanente del SS. Sacramento continui in futuro. Specificamente, spero che il frutto di questo Congresso si manifesti nell’istituzione dell’Adorazione Eucaristica Perpetua in tutte le parrocchie e comunità Cristiane nel mondo" e fece pervenire la sua benedizione ai fedeli che la frequentavano. Più tardi lo stesso Benedetto XVI, durante l’annuale incontro col clero di Roma, all’inizio della Quaresima del 2006, ebbe a dire: “Non sapevo e sono grato di esserne stato informato, che adesso la chiesa (di S. Anastasia) è sede dell’adorazione perpetua; è quindi un punto focale della vita di fede a Roma. Questa proposta di creare nei cinque settori della Diocesi di Roma, cinque luoghi di adorazione perpetua la pongo fiduciosamente nelle mani del Cardinale Vicario. Vorrei soltanto dire: grazie a Dio perché dopo il Concilio, dopo un periodo in cui mancava un po’ il senso dell’adorazione eucaristica è rinata la gioia di questa adorazione dappertutto nella Chiesa, come abbiamo visto e sentito nel Sinodo sull’Eucaristia”.

Da quei meravigliosi incoraggiamenti, ci siamo sentiti motivati e spinti a portare avanti la nostra missione: non solo adorare il Signore, ma anche aiutare quanti più possibile ad adorarlo e trovare parrocchie che si aprissero all’adorazione perpetua del SS. Sacramento. Questo è avvenuto attuando un movimento di evangelizzazione eucaristica nella diocesi, in tutta l’Italia ed in alcune nazioni del mondo, con cui siamo collegati al fine di suscitare anche là tanti luoghi di adorazione.

Abbiamo sperimentato quanto sia vero che “La Chiesa vive dell’Eucaristia”, come ebbe a dire nella sua ultima enciclica Giovanni Paolo II, infatti tutte le parrocchie in cui si apriva l’adorazione eucaristica perpetua, sono oggi luoghi di una straordinaria vitalità e rinascita spirituale. I fedeli partecipano alla vita liturgica, catechetica, caritativa, missionaria con uno slancio ed uno zelo del tutto diversi. Le parrocchie sono rigenerate dal di dentro non dai carismi del pastore, ma dallo stesso autore di tutti i carismi: Gesù il Vivente.

Oggi, come disse in una udienza del mercoledì Benedetto XVI, “stiamo assistendo ad una nuova primavera eucaristica”. L’Anno sacerdotale, che è stato un grande richiamo a noi sacerdoti e a tutti i pastori della Chiesa, ci ha messo di fronte alla prospettiva di un modo nuovo ed al tempo stesso assai tradizionale di fare pastorale: collocare Gesù al centro delle nostre parrocchie, come polo gravitazionale di tutta la vita ecclesiale.

Giovanni Paolo II diceva che ogni programmazione pastorale dovrebbe essere fatta in vista della santità dei fedeli, lo ha detto e personalmente lo ha realizzato in pienezza e ci ha dato lo spunto per realizzarlo anche noi, in comunità centrate nell’Eucaristia, non soltanto ben celebrata, ma anche adorata e collocata al cuore della vita pastorale e dei singoli fedeli. Oggi, con il diffuso secolarismo assistiamo ad un grande ritorno ai valori dello spirito e la gente si sofferma volentieri nella meditazione e nell’ascolto. I pastori che desiderano essere al passo con i tempi si orientano proprio a questa nuova tendenza: Cristo al centro.

Cristo è presente in modo sostanziale proprio nell’Eucaristia e così chi lo celebra, adora ed ascolta, si troverà ben orientato verso la santità e la vera attuazione dei valori dello Spirito Santo, che non ha mai cessato di alimentare la Chiesa. “L’Eucaristia è una pentecoste perpetua”, disse Benedetto XVI ai giovani e tale si dimostra nelle parrocchie che con coraggio la sanno collocare al centro della vita pastorale.

Quante sono le parrocchie in Italia che svolgono l’adorazione perpetua e quante nel mondo?

Don Alberto Pacini: Oggi in Italia ci sono una cinquantina di adorazioni eucaristiche perpetue, di cui due in ospedali, ed in quasi tutte le regioni del Nord, Centro, Sud, mentre nel mondo sono oggi più di 9.500. Il risveglio eucaristico è un fenomeno in grande crescita ed è fortemente incoraggiato e promosso personalmente dal Papa Benedetto, ci ha detto il Card Piacenza in un incontro privato, che ci ha concesso nella sede della Congregazione del Clero ed è il vero antidoto alla crisi della Chiesa e del Clero. Non a caso le iniziative dell’Anno sacerdotale e la lettera per promuovere in tutto il mondo una cordata di adorazione eucaristica per la santificazione del Clero (8 dicembre 2007), sono centrate nel Sacramento dell’Eucaristia.



                   Gesù Carità Ostia Santa

Cresce la pratica dell’adorazione eucaristica perpetua (II)


Intervista a don Alberto Pacini


di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 1° marzo 2011 (ZENIT.org).- Porre l’Eucaristia al centro genera in tutti i parrocchiani “un grande risveglio” ed “un rinnovato slancio” ad una più viva partecipazione. E' quanto afferma a ZENIT don Alberto Pacini, predicatore e rettore della chiesa di S. Anastasia a Roma.

Cosa pensa il Pontefice dell’adorazione perpetua? Ed in che modo questa pratica sta entrando nella vita ordinaria delle parrocchie?

Don Alberto Pacini: Il Papa Benedetto scrive in Sacramentum Caritatis 66: « Già Agostino aveva detto: «nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando – Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo». Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa. Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo.

Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella celebrazione liturgica stessa. Infatti, «soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri».

Inoltre specificamente sull’adorazione perpetua dice in Sacramentum Caritatis 67: « A questo proposito, di grande giovamento sarà un'adeguata catechesi in cui si spieghi ai fedeli l'importanza di questo atto di culto che permette di vivere più profondamente e con maggiore frutto la stessa Celebrazione liturgica. Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente all'adorazione perpetua. Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia».

L’iniziativa portata avanti dalla Congregazione del Clero, di promuovere una cordata di adorazione perpetua per la santificazione dei sacerdoti, mostra con chiarezza la linea del Papa. Questa linea è stata rafforzata anche dall’Anno sacerdotale, in cui la figura del Santo Curato D’Ars è stato il riferimento della Chiesa intera per un ritorno al culto eucaristico, vissuto con profonda intensità in tutte le parrocchie, dopo un notevole raffreddamento nel post-Concilio.

Se dovesse spiegare ad un non credente o a un cattolico che non frequenta i sacramenti l’importanza della adorazione perpetua, cosa direbbe?

Don Alberto Pacini: Il Sacramento dell’Eucaristia istituito da Gesù durante la sua ultima Cena Pasquale con gli apostoli, lo rende presente in persona, secondo le sue parole: “questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”. Pertanto Gesù si dona a noi e continua ad essere presente nelle specie del pane consacrato. Quando esponiamo una particola consacrata e ci soffermiamo a fissare

lo sguardo su di essa, nel silenzio di una chiesa, nel raccoglimento della meditazione, troviamo che quel silenzio si riempie di “presenza”. Questo silenzio è molto eloquente anche per chi non crede, è un fatto oggettivo, come il senso di pace indicibile che si prova in un luogo dove tanti pregano a lungo… in questo silenzio e questa pace incontriamo Colui che riporta la pace nei nostri cuori e parla nel silenzio, in modo più eloquente di ogni altra voce.

Quali i frutti di questa devozione così decisiva per la fede cristiana? Può riportarci qualche commento di persone che praticano l’adorazione perpetua?

Don Alberto Pacini: In una “normale” parrocchia, la presenza dell’adorazione perpetua, non tanto la classica adorazione settimanale, il giovedì, o mensile il primo venerdì del mese, suscita un grande cambiamento, una vera rivoluzione copernicana della vita pastorale. Il fatto di aver collocato l’Eucaristia al centro, genera in tutti i parrocchiani un grande risveglio, specialmente se accompagnati e stimolati dall’esempio e dalla preghiera del pastore. La vita liturgica, catechistica, caritativa, dei movimenti più o meno presenti nella parrocchia in questione, vengono totalmente rinnovati. Nasce un grande impulso ed un rinnovato slancio ad una più viva partecipazione nel cuore di tutti, insomma, ognuno trova in Colui che è esposto solennemente sull’altare, il Buon Pastore che ancora oggi pasce il suo gregge e dona la vita per le sue pecorelle.

Qui di seguito offro alcune testimonianze, che possiamo trovare nel nostro sito, insieme a molte altre, incluse quelle di parroci che hanno scoperto questo modo per rigenerare la loro parrocchia, proprio come successe nel villaggio di Ars, ai tempi del santo Curato.

• I ragazzi ai quali faccio catechismo hanno sperimentato una nuova vita. Mentre all’inizio, quando gli ho proposto di fare dieci minuti di adorazione, molti di loro erano assai perplessi e dubbiosi su quanto avrebbero retto in silenzio, poi, passato il tempo della loro adorazione, sono venuti a dirmi di averci preso gusto e di voler riprovare. È nato il progetto girasole.

• Da Dio abbiamo ottenuto molte grazie, alcune strepitose. La fatica nel mettersi in adorazione e nel portare avanti l’impegno per tre anni è stato pienamente ripagato.

• È Nata una più profonda conoscenza del Signore, che molti hanno seguito e poi si sono impegnati a testimoniarlo presso i loro amici e conoscenti.

• L’adorazione è stata per me una fonte di vita rinnovata, che ha riempito e rigenerato il vuoto che il mondo lascia nei cuori. È stata un forte aiuto nel vivere i rapporti con gli altri; ho iniziato ad intercedere per il mondo giovanile.

• L’adorazione è un punto di riferimento importante per persone provenienti non solo da questa parrocchia ma anche da tanti luoghi diversi, è un luogo dove attingere e dove “scaricarsi” dei propri pesi. Specie la notte ha una ricchezza straordinaria, avevo molte paure, ma varcata la soglia di casa le mie paure sono finite nel nulla per lasciare il posto ad una indicibile gioia, via, via che mi avvicino alla cappella di adorazione.

• È una “valvola di sfogo” dove posso dire tutto al Signore, senza timore e senza essere giudicato da lui. Non posso più fare a meno di adorarlo di trascorrere il mio tempo con lui.

• È Dio stesso che provvede a comporre il mosaico della vita e dei tempi di adorazione, interviene quando ci sono problemi di riempimento di ore rimaste vuote. Ho ritrovato la forza nella mia sofferenza e nel dramma della malattia sentendomi avvolta dalla preghiera dei fratelli e dall’amore di Dio che ha alleviato le mie sofferenze.

• Nei momenti critici della vita, se non hai la fede non c’è niente da fare. Ho trasformato in preghiera i miei problemi.

• Bisognerebbe inventare l’adorazione eucaristica perpetua, se non ci fosse. Un’ora solo è poco.

• Gesù ha esaudito i desideri del mio cuore. La mia è una lode continua, intercedo perché Dio raggiunga tutti i cuori.

• Esperienza entusiasmante.

• Ha cambiato la mia vita ed il mio modo di pormi con Dio. Gioia interiore grande, mai provata prima.

• Sono passato da una preghiera egoistica ad un’attenzione agli altri.

• Ho scoperto l’amore di Dio e la sua misericordia.

• Se hai fede Dio ti ascolta e soddisfa anche le tue esigenze materiali. La fede è la chiave. Me lo hai promesso… lo devi dare.

• Tante guarigioni fisiche. Mi costringo a pubblicizzare l’adorazione. Non riesco ad ascoltare, ma parlo sempre io.

• Ho fatto una vita di turni, e mi sono detto che non avrei mai più fatto una notte! Sono adoratore della notte, non posso più farne a meno.

• In un paese come questo… comunista, non avrei mai creduto!

• Mi ha cambiato interiormente, sento di avere un amico che mi ama. Niente mi fa più paura. Vado avanti dritta, Gesù trova la strada.

• Mi sembrava di salire una montagna, in tre anni e tre mesi non sono mai mancata, niente mi può fermare.

Esistono realtà ecclesiali ufficialmente riconosciute dalla Chiesa che promuovono l’adorazione perpetua?

Don Alberto Pacini: La Federazione Mondiale delle Opere Eucaristiche, nata in Spagna originariamente per promuovere l’adorazione notturna, è stata riconosciuta con approvazione ufficiale dal Pontifico Consiglio per i Laici, il 22 gennaio 2009. A questa federazione possono aderire tutte le associazioni laicali locali che hanno lo scopo di promuovere il culto reso all’eucaristia. È interesse della Federazione promuovere un coordinamento in ogni nazione, che renda sempre più capillare e diffuso il Movimento Eucaristico.

In Italia il nostro coordinatore nazionale è don Giovanni Lo Sapio, parroco della Diocesi di Nola, che ha felicemente accolto la proposta dell’adorazione perpetua, ne è diventato strenuo promotore ed è anche ideatore del nostro Convegno Nazionale Adoratori. Siamo felicemente giunti al terzo Convegno Nazionale Adoratori, che quest’anno si svolgerà a Loreto dal 28 al 30 giugno e già in varie regioni italiane sono stati celebrati, o si celebreranno Convegni regionali: Campania, Toscana, Lazio, Triveneto, Emilia-Romagna.
 
Queste ed altre informazioni si possono attingere nel sito www.adorazioneperpetua.it.








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740717] [SM=g1740720] Cari Amici, insistiamo sempre sul rapporto indissolubile che c'è tra il Rosario e la Santa Eucaristia che non possiamo fare a meno di soffermarci sulle sante parole pronunciate dal santo Padre Benedetto XVI alla chiusura del Congresso Eucaristico di Ancona.
it.gloria.tv/?media=202239

Meditiamole, facciamole nostre, leggiamole con il Cuore della Santa Vergine attraverso il Rosario e portiamo questo immenso Tesoro nel mondo, al nostro Prossimo....

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[SM=g1740717] Canto Karaoke Questo è il mio Ciel

Cari Amici, entrando nel cuore della Quaresima vi offriamo in formato karaoke di conoscere ed imparare un dolcissimo canto all'Eucaristia, delle Monache Clarisse dell'Immacolata.....
Buona meditazione
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[Modificato da Caterina63 26/03/2012 14:29]
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«La Comunione spirituale»
del R.P. Huguet, marista




http://www.floscarmeli.org/Immagini_pregate/abbraccio.jpg

Allorquando un'anima ama davvero il divin Salvatore, trova che non le basta di riceverlo nel suo cuore una volta sola al giorno; le ore che la separano dal momento della comunione le sembrano lunghe e malinconiche, e sospirando continuamente dietro al suo diletto cerca nella comunione spirituale un ingegnoso compenso al suo amore.
«Se il mio Confessore non mi avesse insegnata questa maniera di comunione, io non avrei potuto vivere», diceva la beata Angela della Croce.

La comunione spirituale, raccomandata dal santo Concilio di Trento, è un'estensione vantaggiosssima del Sacramento adorabile della Eucaristia, la quale produce ed aumenta la grazia secondo i gradi di amore e l'ardore dei desideri l'accompagnano. Anche accade alcuna volta che il frutto della comunione spirituale eguaglia quello della comunione sacramentale, questo ha luogo quando la fede è più viva e il desiderio più ardente.
Nostro Signore può, anche senza venire corporalmente nei nostri cuori, comunicarci tutta l'abbondanza delle sue grazie. Non rese forse la sanità al servo dell'umile Centurione che gli diceva: Signore, io non son degno che entriate nella mia casa, ma dite solamente una parola, ed il mio servo sarà guarito? Altrettanto avvenne alla figliuola del principe della Sinagoga ed alla figliuola della Cananea. Gesù Cristo le guarì senza né vederle toccarle, come soleva fare riguardo ai malati. Or quello che ha fatto allora per i mali del corpo, come dubitare che lo possa fare per le malattie dell'anima? Teniamo pure per fermo, che l'umile desiderio di un'anima che prega, può anche adesso altrettanto presso del nostro Salvatore; e se noi lo desidereremo con ardore e lo pregheremo con umiltà, egli verrà spiritualmente in noi, guarirà le nostre infermità, fortificherà la nostra debolezza è ci ricolmerà delle sue grazie.

Sta scritto nella bolla di canonizzazione di S. Bonaventura, che un giorno egli aveva un desiderio ardentissimo di fare la Comunione, ma che per umiltà non osava accostarsi all'altare: Gesù, il quale è venuto sulla terra per recarvi il fuoco del cielo, gradì questa disposizione del suo servo, e quando il sacerdote diceva l'Agnus Dei, si spiccò una parte dell'ostia e volò miracolosamente nella bocca del Santo. L'ardore dell'amor suo trasse nel suo cuore il divin fuoco che arde sui nostri per infiammarci. Or quello che succedette visibilmente a S. Bonaventura, succederà invisibilmente per noi se, come lui, avremo un grandissimo desiderio di ricevere il nostro Dio.

Santa Maria Maddalena de' Pazzi fin dalla sua più tenera età aveva un desiderio estremo di comunicarsi, ma non potendo farlo a cagione dell'età,s'avvicinava alla sua buona madre nel giorno in cui questa faceva la comunione, gustando così, la sue delizie vicino a quelli che avevano avuto la bella sorte di ricevere Gesù Cristo.

Per un'anima che ama Gesù non vi è cosa più facile, che il fare spesso la comunione spirituale; e comunicare spiritualmente vuol dire compiacersi delle perfezioni infinite di Gesù Cristo ed invitarlo a venire a fermare nel nostro cuore il suo regno.

Comunicare spiritualmente vuol dire desiderare notte e giorno di parlare, da cuore a cuore con Gesù, invidiare, per così dire, la sorte della piccola lampada che arde e si consuma alla sua presenza ed affrettare col desiderio il felice momento, in cui sciolti dai vicoli del corpo potremo amarlo senza mutamento e senza misura.

Siate dunque costante, o anima devota, a far soventi la comunione spirituale; fate allora un atto di fede, credendo fermamente nella presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia; un atto di, amore pentendovi dei vostri peccati, dandogli il vostro cuore, e finalmente un atto di desiderio, invitando Gesù Cristo a discendere nella vostra anima. Innalzate il vostro cuore verso Dio dicendogli:

«Signore, io non son degno di ricevervi, ma la mia stessa miseria e la mia indegnità mi fanno desiderare anche più ardentemente questo cibo celeste. La mia languidezza è estrema, perché, come dice lo Spirito Santo, una speranza differita affligge sempre l'animo. Oh! quanto è lunga una settimana, o mio Dio, quando altri vi desidera e vi ama.
Ma poiché io non posso oggi partecipare d' un bene così grande, datemi almeno le briciole preziose che cadono dalla vostra mensa. Basta che voi, o divino Gesù, mi volgiate uno sguardo; e per arricchirmi dei tesori della vostra grazia basta che lo vogliate: comandate, o Signore, ed io sarò giustificato. Se una volta bastava mirare il serpente di bronzo per guarire dalla morsicatura dei serpenti, mi basterà pure guardarvi con pura e viva fede, e con una brama ardente di ricevervi per guarire da tutte le piaghe dell'anima mia Venite, mio Gesù, venite a prendere possesso del mio cuore, ed a renderlo degno d'unirsi al vostro; venite, perché senza di voi tutte le ore passano nella mestizia, voi solo siete la mia, gioia nel tempo e nella eternità«.

Testo tratto da: R. P. Huguet, L'anima levata nella considerazione dell'Eucaristia, Torino: Speirani, 1988/2, pp. 203-208.



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27/11/2015 10:52
 
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La comunione spirituale, questa sconosciuta

Nel sinodo è stata proposta per i divorziati risposati, impossibilitati di ricevere l'eucaristia. Ma ciascuno la immagina a modo suo e la confusione è grande. Su "Nova et Vetera" un teologo fa il punto della controversia 

di Sandro Magister




ROMA, 31 dicembre 2014 – Fra i tre paragrafi della relazione finale del sinodo che non hanno ottenuto l'approvazione dei due terzi dei padri c'è quello che riguarda la comunione spirituale per i divorziati risposati.

È il paragrafo 53, che testualmente dice:

"Alcuni padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio".

A questo paragrafo i placet sono stati 112 e i non placet 64. Papa Jorge Mario Bergoglio, nell'intervista a "La Nación" del 7 dicembre, ha spiegato così la mancata approvazione del paragrafo:

"Ditemi: non occorre essere in grazia di Dio per ricevere la comunione spirituale? Per questo la comunione spirituale è stata quella che ha ottenuto meno voti nella 'Relatio synodi', perché non erano d’accordo né gli uni né gli altri. Quelli che la sostengono, perché era poco, hanno votato contro. E quelli che non la sostengono e vogliono l’altra, perché non ha valore".

A parte l'inesattezza fattuale (il meno votato, con 104 placet, non è stato questo paragrafo, ma quello sulla comunione sacramentale ai divorziati risposati) papa Francesco ha espresso efficacemente la confusione che regna ovunque sul concetto stesso di comunione spirituale.

*

L'ipotesi della comunione spirituale per i divorziati risposati era stata sollevata in vista del sinodo dal cardinale Walter Kasper, nella controversa relazione da lui tenuta al concistoro dei cardinali del febbraio 2014:

> Kasper cambia il paradigma, Bergoglio applaude

Dopo aver attribuito alla congregazione per la dottrina della fede e a papa Benedetto XVI la tesi che i divorziati risposati non possono fare la comunione sacramentale ma quella spirituale sì, Kasper aveva obiettato:

"Chi riceve la comunione spirituale è una cosa sola con Gesù Cristo. Perché, quindi, non può ricevere anche la comunione sacramentale?".

In realtà papa Joseph Ratzinger, durante l’incontro internazionale delle famiglie a Milano nel 2012 citato da Kasper, non aveva parlato della comunione spirituale come di un equivalente della comunione sacramentale.

Aveva semplicemente detto che i divorziati risposati "non sono 'fuori', anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’eucaristia. Devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa… Anche senza la ricezione 'corporale' del sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo corpo".

Anche nella sezione conclusiva di un suo vecchio articolo da lui completamente riscritta nel 2014 prima del sinodo, Ratzinger si è espresso in modo analogo riguardo alle "persone che vivono in un secondo matrimonio e quindi non sono ammesse alla mensa del Signore", sostenendo che "una comunione spirituale intensa con il Signore, con tutto il suo corpo, con la Chiesa, potrebbe essere per loro un'esperienza spirituale che le rafforza e le aiuta". 

L'arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha ripreso l'argomento alla vigilia del sinodo dello scorso ottobre, in un articolo sulla rivista di teologia "Communio":

> Scola: quattro soluzioni per i divorziati risposati

Scola ha incluso appunto "la comunione spirituale, cioè la pratica di comunicare con il Cristo eucaristico nella preghiera, di offrire a lui il proprio desiderio del suo corpo e sangue, assieme al dolore per gli impedimenti alla realizzazione di questo desiderio", tra i "gesti che la spiritualità tradizionale ha raccomandato come un sostegno per coloro che si trovano in situazioni che non permettono di accostarsi ai sacramenti".

È dunque, propriamente, la comunione spirituale "di desiderio" quella che è ritenuta adatta a queste persone non solo da Ratzinger e da Scola ma dalla pratica tradizionale della Chiesa cattolica.

La riprova è nel contributo dato alla discussione sinodale da un tipico esponente di questa linea pastorale come padre Carlo Buzzi, del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, in una lettera dalla sua missione in Bangladesh pubblicata lo scorso maggio in questo sito:

> Comunione ai risposati? Sì, di desiderio

Come c'è il battesimo di desiderio per chi è impedito dal riceverlo sacramentalmente – ha scritto padre Buzzi – così ci può essere anche la comunione di desiderio, che "sembra proprio adatta per chi non è in stato di grazia e vorrebbe uscire da questo stato, ma per vari motivi non può".

*

Ha dunque avuto ragione, il sinodo, a sollecitare "un approfondimento della tematica" da qui alla prossima sessione in agenda nell'ottobre del 2015, anche se manca qualsiasi riferimento ad essa nelle 47 domande del questionario distribuito alle conferenze episcopali:

> Lineamenta

La comunione spirituale, infatti, può essere intesa in modi diversi e quindi prestarsi ad equivoci anche gravi.

Il testo che segue è stato scritto proprio per fare chiarezza su questo punto.

L'autore, il teologo domenicano Paul Jerome Keller, professore dell'Athenaeum of Ohio di Cincinnati, l'ha pubblicato sull'ultimo numero dell'edizione inglese di "Nova et Vetera", la rivista di teologia già distintasi la scorsa estate per un numero speciale dedicato ai temi del sinodo, con otto saggi di altrettanti dotti domenicani degli Stati Uniti, tutti su posizioni alternative a quelle del cardinale Kasper.

I link agli otto articoli del numero speciale, in cinque lingue, sono a disposizione sulla home page della rivista:

> Nova et Vetera


Anche il nuovo articolo di Keller può essere letto nella sua integralità:

> Is Spiritual Communion for Everyone?


Questi che seguono sono i suoi passaggi principali.

__________



LA COMUNIONE SPIRITUALE È PER TUTTI?

di Paul Jerome Keller O.P.



Forse quasi dimenticata da molti cattolici e dai più neppure mai sentita nominare fino al recente riferimento che ne ha fatto il cardinale Walter Kasper, la nozione della comunione spirituale ha fatto notizia sulla stampa cattolica di questa stagione. […]

Il cardinale Kasper [...] ammette che la comunione spirituale non si applica a tutti i divorziati, ma solo a coloro che sono ben disposti. Ma, si chiede, se una persona che riceve la comunione spirituale è una cosa sola con Gesù Cristo, come può essere in contrasto con il comandamento di Cristo? Perché, allora, questa stessa persona non può ricevere la comunione sacramentale? […]

È il significato della comunione spirituale che è in questione, prima di tutto. […] Ciò che noi oggi comunemente chiamiamo "comunione spirituale" è quella che per San Tommaso d'Aquino è una comunione di desiderio, "in voto". Ed è distinta dalla ricezione spirituale che è l'effetto inerente alla ricezione reale della santa comunione. Tommaso paragona la comunione "in voto" al battesimo di desiderio, "flaminis". Il battesimo di desiderio si verifica in genere nel caso di un catecumeno al quale, se muore prima di essere battezzato con acqua ma esplicitamente desiderando il battesimo, è assicurata la salvezza (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1259). […]


Il Concilio di Trento sulla comunione spirituale


Richiamandosi agli insegnamenti dei Padri, il Concilio di Trento spiega così la triplice distinzione nella ricezione della santa comunione:

“[Alcuni la ricevono] solo sacramentalmente perché sono peccatori. Altri la ricevono solo spiritualmente; e sono quelli che, ricevendo nel desiderio il pane celeste messo davanti a loro, con una fede vivente 'attraverso l'amore' (Gal. 5:6), godono i suoi frutti e ne beneficiano. Un terzo gruppo la riceve sia sacramentalmente che spiritualmente (can. 8); e sono quelli che si esaminano e si preparano in anticipo ad avvicinarsi a questa mensa divina, vestiti con l'abito nuziale (cfr. Mt. 22, 11s)”.

Nel capitolo appena prima di questo insegnamento sulla ricezione eucaristica il Concilio ribadisce che la santa eucaristia può essere ricevuta solo degnamente. […] Il canone 11 dello stesso Concilio è ancora più esplicito:

"Se qualcuno dice che la sola fede è preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della santa eucaristia, sia anatema. E per timore che un sacramento così grande vada ricevuto indegnamente e quindi a morte e condanna questo santo Concilio definisce e decreta che coloro la cui coscienza è gravata di peccato mortale, non importa quanto contriti possono pensare che siano, in primo luogo devono necessariamente fare una confessione sacramentale se un confessore è disponibile. Se qualcuno pretende di insegnare o predicare od ostinatamente mantenere o difendere in disputa pubblica l'opposto di ciò, egli sarà per questo fatto stesso scomunicato". […]


Il significato della comunione spirituale nei documenti recenti


È un po’ sorprendente non trovare una menzione della comunione eucaristica spirituale in nessuna delle quattro costituzioni del Concilio Vaticano II o nel Catechismo della Chiesa cattolica. È forse per questo motivo che l'idea di fare una comunione spirituale non è un'opzione familiare ai fedeli dei nostri giorni. Quando la comunione spirituale è menzionata nell’insegnamento ufficiale della Chiesa [di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI] sembra esserlo unicamente nei termini di una comunione di desiderio. […]

È in questo quadro che noi possiamo procedere a esaminare la posizione del cardinale Kasper sulla santa comunione ai divorziati risposati, chiarendo ciò che è messo in gioco riguardo alla comunione spirituale.


Chi può fare una comunione spirituale?


Quando il cardinale Kasper [...] chiede come una persona che fa una comunione spirituale ed è quindi una cosa sola con Gesù Cristo possa essere in contraddizione con il comandamento di Cristo, il cardinale giunge al cuore del problema, poiché uno deve accettare Cristo nella sua interezza per essere in comunione con lui. Siccome Cristo ha stabilito il legame matrimoniale sacramentale come indissolubile, e a motivo di ciò Cristo non consente il divorzio e un nuovo matrimonio, una persona che vuole risposarsi mentre un suo precedente legame sacramentale di matrimonio continua a sussistere non può pretendere di essere una cosa sola con Gesù Cristo, perché così contraddice almeno questa parte del comandamento di Cristo.

Pertanto, tale persona non è in grado di ricevere la comunione sacramentalmente e nemmeno spiritualmente. Solo una persona che realmente stia cercando di rimediare a ciò che le impedisce la piena comunione con Cristo può iniziare a essere in condizione di fare una comunione spirituale. […]

Dunque, per rispondere alla preoccupazione del cardinale Kasper, sì, la persona che fa una comunione spirituale dovrebbe anche poter fare una comunione sacramentale, se disposta correttamente. Tuttavia, non è ammissibile che uno che non abbia le corrette disposizioni per fare la comunione sacramentale possa pensare di essere in grado di fare una comunione spirituale, non importa in quali circostanze.


Necessari chiarimenti


Richiamando la distinzione tomistica tra comunione spirituale come atto di nutrimento spirituale ("spiritualis manducatio") e come desiderio spirituale ("in voto"), è chiaro che per una persona che ha frapposto un ostacolo all’unione con Cristo vivendo fuori del suo comandamento nessuno dei due tipi di comunione spirituale è possibile. Usare lo stesso termine, comunione spirituale, per riferirsi a due diverse situazioni morali e a due rapporti molto diversi con l’eucaristia è problematico.

Qui stiamo parlando della disposizione corretta rispetto alla disposizione incorretta per entrambi i tipi di comunione. Quando [l'esortazione apostolica post-sinodale del 2007] "Sacramentum caritatis" usa impropriamente il termine "comunione spirituale" come una opzione per i divorziati risposati, una possibile lettura è che il Santo Padre intenda incoraggiare tali persone a cominciare a "desiderare" in modo appropriato la santa comunione e, quindi, a rettificare la loro situazione morale. In caso contrario, le parole indicherebbero che qualcuno impropriamente disposto per la comunione sacramentale potrebbe nondimeno fare una comunione spirituale. Questa confusione porta alla logica domanda posta dal cardinale Kasper. Se a uno è consentito fare una comunione spirituale, allora perché non una comunione sacramentale?

Dobbiamo evitare l'errore di pensare che la comunione spirituale sia il sostituto della comunione sacramentale per i divorziati risposati e in definitiva per chiunque sia impedito a ricevere l'eucaristia a causa di un peccato mortale. Il pericolo pastorale insito in questa credenza è che prendano spazio un errore e una confusione circa la dottrina della Chiesa, inducendo a pensare che il peccato che impedisce la comunione sacramentale "non sia poi così male", poiché uno può avere a disposizione comunque la sostanza della comunione. […]

Per poter ricevere le grazie della comunione con Cristo, sia sacramentale che spirituale, per tutti in qualsiasi stato di vita, ciò che è necessario è l'interiore conversione a Cristo e una manifestazione di questa conversione nelle azioni esterne e nel modo di vivere. […]


Implicazioni cultuali


[…] La grazia è sempre al lavoro. Anche la "preparazione dell'uomo per l'accoglienza della grazia è già una grazia" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2001). […] Non dobbiamo offuscare la distinzione tra il vivere nello stato di grazia e la grazia di essere mossi alla contrizione. […] È così che papa Giovanni Paolo II [nella "Familiaris consortio”] sollecita i divorziati risposati ad aprirsi all'azione effettiva della grazia, ad esempio ascoltando le Scritture, frequentando la messa, pregando e così via.

Il papa sta ammaestrandoci sull'essenza del culto cristiano. […] Fin dalla rivelazione di Cristo e dall'istituzione del sacramento dell’eucaristia, la sola forma adeguata di adorazione dovuta a Dio avviene attraverso Cristo e in Cristo, ed è compiuta nel grado sommo nella celebrazione della sacra liturgia. Questo è vero per tutti i battezzati, che siano o no in grado di partecipare alla santa comunione. […] Non c'è nessuno che mancherà di trarre profitto dalla partecipazione alla messa, cioè dalla celebrazione liturgica. Anche la persona a cui è impedita la più piena espressione del culto, la ricezione della santa comunione, è sempre in grado di ricevere delle grazie prevenienti il pentimento, come anche delle grazie effettive per l’adorazione.


Non inedia, ma fame


In risposta alle domande del cardinale Kasper sull'accesso alla santa comunione per i divorziati risposati, abbiamo dunque mostrato che esso non è possibile. […]

Dall'insegnamento di San Paolo fino ai nostri giorni, la tradizione della Chiesa ha insegnato costantemente la necessità per chi riceve la santa comunione di essere in stato di grazia. […] Anche se ci può essere qualche confusione circa il significato della comunione spirituale nel recente insegnamento magisteriale, rimane fermo che una vera comunione spirituale è possibile solo per chi è anche in condizione di ricevere la comunione sacramentale. […]

La Chiesa non chiede, come il cardinale Kasper sembra suggerire, che i divorziati risposati trovino la salvezza extra-sacramentalmente. Ad essi è offerta la stessa possibilità per la conversione e per la piena comunione – ecclesiale e sacramentale – che è offerta a chiunque. […] Il cardinale chiede se questa non-ricezione dell'eucaristia sia un prezzo troppo alto da pagare? La risposta a questa domanda dipende dalla volontà dell'individuo di essere conforme a Cristo. Tuttavia, dobbiamo essere chiari. Non è la Chiesa che frappone l'ostacolo alla piena comunione, ma è l'individuo che perpetua la scelta di violare il legame sacramentale del matrimonio. […]

Il cardinale Kasper pone inoltre questo diversivo: la regola della non ricezione dell'eucaristia non è forse una strumentalizzazione della persona che sta soffrendo e chiedendo aiuto, quando ne facciamo un segno e un avvertimento per gli altri? Questa domanda sottintende che la Chiesa non abbia il compito di proteggere i fedeli dalla condanna che possono attirare su di loro, come avverte San Paolo. Se infatti la Chiesa rimanesse passiva e permettesse la santa comunione a chi non fosse correttamente disposto, sarebbe essa stessa soggetta a condanna, per un diverso tipo di oppressione: l'incapacità di trattenere i suoi figli da atti illeciti e dal peccato, così come l'incapacità di custodire fedelmente e di dispensare i sacramenti. Questa plurisecolare vigilanza della Chiesa non è strumentalizzazione o manipolazione; è carità pura e semplice. È la preoccupazione della madre che i figli non ingeriscano la medicina sbagliata, affinché non diventi un veleno. […]

Non c'è nessuna strumentalizzazione della persona sofferente, sia essa il divorziato risposato o il catecumeno (che anche lui deve essere reso giusto sacramentalmente prima di ricevere la santa comunione). C'è solo la mano tesa e trafitta del Crocifisso e Risorto, il quale, tramite la Chiesa, offre la salvezza a ogni persona che sceglie di rivolgersi a Cristo, abbracciando lui solo anche nelle decisioni più difficili della vita. Egli offre continuamente il suo corpo e il suo sangue affinché tutti coloro che scelgono di indossare l'abito nuziale bianco (cfr Mt 22, 11-14; Ap 19, 8) possano accedere al suo banchetto eterno.

Esposta davanti ad ogni persona c'è la festa dell’eucaristia, offerta in modo che tutti noi possiamo sperimentare sempre di più la fame per il pane della vita, sia sacramentalmente che spiritualmente. Per ogni cristiano, il pentimento è la trasformazione dell’inedia in fame, una fame che Cristo promette di soddisfare al di là di ogni nostra immaginazione.

__________


Nel suo saggio, Keller fa più volte riferimento a un articolo del 2011 dell'edizione svizzera di "Nova et Vetera", scritto dal suo confratello domenicano Benoît-Dominique de La Soujeole:

> Communion sacramentelle et communion spirituelle

In questo articolo, La Soujeole distingue tra comunione di desiderio e desiderio di comunione.

Keller riprende e precisa questa distinzione. Preferisce la formula "comunione di desiderio" per chi non può fare la comunione sacramentale per impedimenti solo esteriori e la formula "desiderio di comunione" per chi è invece privo delle condizioni per accedere alla comunione sacramentale ma è sinceramente desideroso di rimuovere tali ostacoli.

 



__________
31.12.2014 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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01/06/2016 13:36
 
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  DOMANDA DELLE DOMANDE: QUAL È IL RITARDO AMMESSO PERCHÉ LA MESSA DOMENICALE SIA «VALIDA»?

Domanda delle domande: qual è il ritardo ammesso perché la Messa domenicale sia «valida»?
Quesito

Caro padre Angelo,
 
la ringrazio molto per il servizio che svolge sul sito, penso sia una fonte importante di crescita nell'amore della Verità per molti.
 Alcune domeniche, poche ringraziando il buon Dio, mi è capitato di arrivare tardi alla Santa Messa e in un paio di volte ho rinunciato alla Santa Eucaristia e mi sono persino confessato perché ritenevo di aver mancato contro il precetto di santificare le feste.
 Preciso che alcune volte ho tardato contro la mia volontà e che ritengo che con un po' di impegno sia difficile arrivare tardi alla Santa Messa, ma in caso di ritardo quando si può considerare che la nostra partecipazione alla celebrazione sia valida.
 Ricordo che mia madre sin da piccolo mi diceva che la Messa è valida se si arriva prima della proclamazione del Vangelo.
Esiste una regola? Se sì, può darmi alcune indicazioni?
 
La ringrazio e la saluto con stima.
 
Assicuro la mia preghiera per voi che svolgente un servizio al servizio della VERITA'.

 


Carissimo,
ti ringrazio anzitutto per la stima nei confronti del nostro sito.
Ti ringrazio ancora di più per la preghiera con cui sostieni il nostro servizio alla Verità, che è quanto dire il servizio a Gesù Cristo e alla sua causa.

1. Venendo adesso alla tua domanda, va detto anzitutto che la Riforma liturgica ha voluto mettere in risalto che la Messa consiste da sempre nella partecipazione alla mensa della parola e a quella del sacrificio.
Il Concilio di Trento, in opposizione ai protestanti che negavano il valore sacrificale della Messa, ha affermato che la Messa è la perpetuazione del sacrificio di Cristo sui nostri altari.
Inoltre, dal momento che la liturgia della parola era fatta in latino e a bassa voce (ad eccezione che per le Messe cantate), si diceva che per la partecipazione alla Messa era necessario essere presenti almeno dall’inizio dell’offertorio. 
Ma dopo il Vaticano II, e giustamente, non è più così. È necessario partecipare anche alla liturgia della parola che, prima di essere un dovere, è un’esigenza di nutrimento per la propria vita cristiana.
Si tratta di un discorso analogo a quello del nutrimento del proprio corpo. Nessuno di noi va a pranzo o a cena per soddisfare un obbligo, ma va per un’esigenza intrinseca del corpo.

2. Tuttavia può capitare che per motivi indipendenti dalla propria volontà si arrivi alla Messa in ritardo, come del resto talvolta capita anche per le mense aziendali. E allora uno si accontenta di quello che rimane.
Ma se vi fosse qualche negligenza nel non essere puntuali alla Messa, certamente vi sarebbe una mancanza di rispetto per il Signore (e cioè un peccato). È come se gli si dicesse che la sua parola e la sua presenza nell’assemblea santa non ci importa più di tanto.

3. Un manuale di teologia morale (Aertnys-Damen-Visser, Theologia moralis), che tiene conto di quanto voluto dal Concilio che esorta alla partecipazione integra della Messa (Sacrosantum Concilium 28) e che tiene conto anche di quello che può capitare quando si decide di andare a Messa (la macchina non parte, una persona che ci ferma e ci saluta, un contrattempo...), dice che le parti prima del Vangelo non obbligano sotto pena di peccato grave.
Come vedi, questo corrisponde alla sentenza di tua madre.

4. Pertanto se uno arriva in ritardo e prima dell’offertorio, deve cercare di rimediare a quanto gli manca per il nutrimento.
Praticamente, se subito dopo inizia un’altra celebrazione della Messa, come capita nella parrocchie più grosse, può partecipare alla liturgia della parola nella Messa seguente.
Se questo è impossibile, si prenda il foglietto e faccia per conto suo le letture e un pò di meditazione.

5. Gli autori menzionati dicono anche che “sembra insolito obbligare sotto pena di peccato grave all’ascolto di un’omelia più o meno lunga, più o meno dotta, pia, o anche fastidiosa” (III, 116).
Mi pare che questi autori tengano i piedi per terra e ragionino col buon senso.
Tuttavia non si può partire di qui per dire che queste parti della messa possano essere omesse senza mancare di rispetto per Dio.
Pertanto ogni cristiano, per una esigenza del cuore, deve fare di tutto per amare il Signore con la totalità di se stesso, senza farsi sconti.

Ti ringrazio ancora, ricambio con ricordo particolare nella celebrazione della Messa e ti benedico.
Padre Angelo




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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