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La Santa Messa: FONTE DI VITA VERA

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 12:30
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05/09/2009 12:25

LA MESSA FONTE DI VITA

Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo!


ILDEBRANDO A. SANTANGELO
COMUNITÀ EDITRICE - ADRANO (CT) 1999


IL SACRIFICIO EUCARISTICO
1. Il Simbolo


Dio tutto ha creato per la sua gloria. Quando l'uomo impiega tut­ta la sua intelligenza e tutte le sue risorse per fabbricare un bel pa­lazzo per sé o per un altro uomo certamente fa bene; ma se questo facesse per un essere a lui inferiore, per es. per un cane, certamente sarebbe stolto.

Nessuno è uguale a Dio e quindi Dio, perché sapientissimo, non poteva creare l'universo per altro scopo che per la sua gloria. Questa gloria egli l'ottiene soltanto dall'uomo. È solo l'uomo infatti che può ammirare le divine perfezioni, diffuse nella natura, riferirle a Dio, lo­dare e glorificare Dio delle opere sue. C'è ancora un grado superiore di gloria che l'uomo può e quindi deve dare a Dio: offrirgli, cioè ri­tornargli, quanto da Lui ha ricevuto. Questo l'uomo lo ha capito fin dai primissimi tempi e fin d'allora ha offerto i suoi sacrifici a Dio. Talora gli offriva le primizie dei frutti, distruggendoli o lasciandoli disfare in suo onore; ma il principale e più simbolico sacrificio era l'offerta degli animali. Il sacrificio dell'animale era il sacrificio classi­co.

I fini intrinseci di ogni sacrificio erano e sono sempre quattro:

1) Latreutico. Luomo offrendo l'animale a Dio riconosce Dio co­me padrone di quanto esiste sulla terra e padrone assoluto della vi­ta e della morte. Con la distruzione dell'animale l'uomo si intende prostrare in adorazione ed annientare dinanzi all'infinita maestà di Dio. Nello stesso tempo si priva di quanto gli è utile e caro e ne fa un cordiale omaggio a Dio.

2) Eucaristico. Luomo riconosce che tutto quanto sulla terra è stato creato da Dio e a Dio appartiene; Dio nella sua infinita bontà glielo ha messo a disposizione. È giusto che l'uomo sia riconoscente ed in segno della sua riconoscenza Gli offre gli animali più belli e più utili. (Gli animali difettosi non potevano essere offerti in sacrifi­cio).

3) Impetratorio. Gratiarum actio, nova petitio. Il ringraziamento è in sé stesso una nuova domanda: esso ben dispone il benefattore verso il beneficato. Chi è buono e fa del bene non si aspetta ricom­pensa da coloro che benefica si aspetta però sempre la riconoscenza.

Niente più ci affligge dell'ingratitudine di coloro che abbiamo bene­ficato. Col sacrificio l'uomo si attira la benevolenza di Dio. L'uomo, conscio di questo, sottomette umilmente a Dio durante il sacrificio i suoi desideri e le sue preghiere fiducioso di essere esaudito.

4) Soddisfattorio. L'uomo sa che Dio, pur facendolo re dell'uni­verso, gli ha dato delle leggi alle quali è doveroso obbedire, anzitut­to per giusto rispetto e sottomissione a Dio, quindi per meglio rag­giungere i suoi fini terreni e ultraterreni.

Nello stesso tempo è conscio della sua fragilità e dei suoi molti peccati. Non ha coraggio di presentarsi a Dio, né mezzo di placarlo; geme dei castighi subiti, dei quali non si può liberare; teme quelli fu­turi che non potrà scongiurare. In questa dolorosa situazione vede un riparo: chiedere umilmente perdono a Dio; e cerca di distruggere i suoi peccati col sacrificio. Piglia un animale, gli stende le mani so­pra, intendendo con questo gesto scaricare su di esso i suoi peccati. Quindi fa immolare dal sacerdote e distruggere col fuoco l'animale confidando che insieme all'animale vengano distrutti i suoi peccati. Pur avendo ogni sacrificio questi quattro fini, l'uomo generalmente nel fare il suo sacrificio se ne prefiggeva uno e precisamente o il rin­graziamento o l'espiazione, per cui i sacrifici si distinguevano in Ho­stia laudis ed in holocaustum pro peccato.

Le parti del sacrificio erano ugualmente quattro:

1) Offerta. L'animale da immolare veniva dedicato a Dio con una preghiera. Da quel momento diventava cosa sacra, cessava di appar­tenere all'uomo e non poteva più essere adoperato per usi profani, anche se per essere immolato doveva passare molto tempo.

2) Immolazione. L'animale veniva ucciso dal sacerdote e col suo sangue si aspergeva l'altare. L'immolazione era la parte centrale del sacrificio.

3) Trasformazione. L'animale, posto su una catasta di legna, veniva bruciato o consumato nel fuoco. Mediante il fuoco il suo corpo cambiava di natura cioè si trasformava in fumo e in fuoco. Questa distruzione dell'essere, per cui la materia cambiava di stato diven­tando luce e calore, onorava sommamente Dio, perché per esse ve­niva riconosciuto il più assoluto dominio di Dio. Distruggendosi l'a­nimale venivano simbolicamente distrutti i peccati degli offerenti che su di esso li avevano scaricati.

4) Comunione. Questo era il compimento del sacrificio. Mentre l'animale si consumava nel fuoco ed il profumo saliva in odore di soa­vità a Dio, una parte della vittima veniva data all'offerente perché la mangiasse. Così la vittima serviva da monte tra l'uomo e Dio, con­giungeva il cielo e la terra e faceva comunicare l'uomo con Dio. Questa unione onorava sommamente Iddio perché per essa l'uomo, già purificato dai suoi peccati, distrutti nella trasformazione dell'ani­male, ritornava al suo Creatore.

Ma quale capacità poteva avere una povera bestia di purificare l'uo­mo dai suoi peccati? Poteva l'uomo con la riparazione offerta nel sa­crificio di un animale soddisfare la giustizia di Dio, riparare l'oltrag­gio infinito fattogli, pagare il suo debito infinito? Se tanto non poteva col sacrificio della sua persona come lo avrebbe potuto col sacrificio di un animale? Eppure con quei sacrifici l'uomo si propiziava Dio: Dio placava la sua giusta ira provocata dai peccati degli uomini, so­spendeva i suoi castighi, le guerre e le pestilenze, ricolmava gli uomi­ni dei suoi benefici, mandava loro l'acqua, i buoni raccolti, la prospe­rità. Perché un animale immolato aveva tanto potere su Lui? Unica­mente perché il sacrificio dell'animale simboleggiava il sacrificio di Gesù, l'unico sacrificio degno di Dio. Nell'animale ucciso e steso sul­l'altare Dio vedeva Gesù immolato e appeso nella Croce.



2. La realtà

Dio tutto ha creato per la sua gloria; tale gloria ottiene quando l'uomo ritorna a Lui liberamente.

L'uomo può dare gloria a Dio:

1) Ammirando e glorificando Dio per le opere sue.

In tal modo riferi­sce a Dio e idealmente a Lui ritorna la creazione.

2) Offrendo a Dio dei sacrifici;

in tal modo egli ritorna praticamen­te quando c'è di meglio nella creazione.

3) Offrendo sé stesso a Dio in sacrificio.

Tale sacrificio è quanto di più perfetto l'uomo possa fare. Con esso torna liberamente a Dio il suo capolavoro e si attua, per quanto è nell'uomo, la massima gloria di Dio. Ma anche il sacrificio dell'uomo era indegno di Dio, sia perché l'uomo era bacato dal peccato originale e dai peccati attuali, sia per­ché, per quanto nobile, era sempre una povera creatura, infinita­mente distante da Dio.

Se Dio non avesse potuto ottenere da tutta l'opera della creazione che il sacrificio di miseri uomini, sacrificio peraltro che ben pochi sarebbero stati disposti a fare personalmente, avrebbe ottenuto un risultato troppo scarso dall'opera sua.

Perciò Dio decreta fin dall'eternità l'incarnazione del Verbo. Gesù viene per rendere a Dio tutta la gloria possibile a forze umane e a forze divine, perché riunisce in sé tutte le perfezioni dell'umanità e tutte le perfezioni di Dio.

Infatti come il vegetale assomma tutte le perfezioni del minerale e le eleva ad un principio superiore di vita vegetativa; come l'animale assomma tutte le perfezioni dei minerali e dei vegetali e le eleva a un principio superiore di vita sensitiva; come l'uomo assomma tutte le perfezioni dei minerali, dei vegetali e degli animali e le eleva ad un principio di vita razionale; così Gesù riunendo per effetto dell'unio­ne ipostatica l'uomo completo, corpo ed anima, nella persona del Verbo, assomma in sé tutte le perfezioni dell'umanità e conseguente­mente di tutto il creato e le eleva ad un principio infinitamente su­periore, cioè alla vita divina. D'altro lato, essendo Gesù Dio, ogni sua azione ha un valore infinito. Quindi facendo Gesù il sacrificio di sé dà a Dio la massima gloria possibile, una gloria infinita. E per questo venne Gesù al mondo: « Hai rigettato le offerte e gli olocau­sti; mi hai quindi preparato un corpo. Ecco, o Signore, io vengo per fare la tua volontà » (Ebr. 10, 5).

Gesù è venuto per fare l'unico sacrificio degno di Dio, sacrificio di cui tutti quelli antichi erano simbolo e da cui traevano valore. Perché questo sacrificio fosse totale era necessario che abbrac­ciasse tutti gli istanti della vita di Gesù, tutti i sensi e tutte le fibre del suo corpo, tutte le facoltà e le potenze della sua anima, e che il tutto fosse consumato in olocausto perfetto. Così Gesù dà al Padre tutta la adorazione di cui Lui è degno, Lo riconosce il solo Buono, il solo Santo, il solo Altissimo Dio di infinita gloria; lo ringrazia de­gnamente per l'infinito amore e l'infinita misericordia con cui ha creato l'universo ed ha ricapitolato tutto quanto è in cielo ed in ter­ra al suo unico Figliuolo; gli offre una vittima di valore infinito e con ciò ripara tutti i doveri degli uomini, i sacrifici non fatti o mal­fatti ed espia tutti i peccati del mondo; Lo prega con la certezza di essere esaudito, per la remissione dei peccati degli uomini, per la loro conversione, per la loro santificazione e per tutti i loro bisogni temporali.

Il sacrificio di Gesù, come ogni sacrificio, consta di quattro parti:



1) OFFERTA. Gesù si offre al Padre fin dal primo istante della sua Incarnazione. « A principio del libro c'è scritto di me che io faccia, o Dio, la tua volontà » (Ps. 39, 11). Quando Gesù a quaranta giorni è portato per la prima volta al tempio, viene offerto pubblicamente da Maria SS. al sacerdote Simeone, il quale lo piglia e solennemente lo presenta ed offre al Padre. Quindi Gesù è cosa sacra, consacrata e ri­servata al Padre. Gesù non può vivere che per fare la volontà del Pa­dre e gli interessi del Padre. Quindi è:

1) Obbediente. I suoi passi, le sue opere, i suoi respiri, tutta la sua vita sono mossi non dalla sua volontà, ma da quella del Padre. Gesù nulla fa per sé: « Il mio cibo è far la volontà del Padre mio » (Jo. 4, 34). È obbediente fino alla croce e quando il prospetto delle immen­se pene fisiche e morali da sostenere lo abbatte nell'orto, così prega: « Padre, se è possibile passi da me questo calice; tuttavia si faccia non la mia ma la tua volontà » (Mt. 26, 3).

2) Umile. È assurdo che Gesù potesse essere superbo. La super­bia è la soverchia stima di sé, cioè l'attribuirsi perfezioni che non si hanno. Gesù ha tutte le perfezioni in grado infinito, e siccome non c'è nulla superiore all'infinito, Gesù non può avere né dare di sé un concetto superiore a quello che è, né stimarsi o farsi stimare più di quanto vale. Per essere meglio riservato al Padre, Egli non solo non si fa ammirare, ma si nasconde; non solo non cerca di essere ono­rato, ma cerca di essere disprezzato. Ed era conveniente che fosse umile. L'uomo infatti si insuperbisce o per i beni materiali o per le doti del corpo o per quelle dell'anima. Chi è Dio si avvilirebbe a fregiarsi di tutte queste cose infinitamente inferiori a sé. Gesù non solo non manifesta le sue perfezioni, ma positivamente le nascon­de per offrirle e riservarle al Padre. « Non cerco la mia gloria » (Io. 8,50).

3) Povero. La povertà assoluta lo accompagna dalla culla. Gesù si fa passare per il figlio del falegname Giuseppe, si confonde con la povera gente, se la fa con le persone dei più bassi ranghi sociali; mangia con i pubblicani, conversa con i peccatori, è affabile con tut­ti, tutti attira a sé per portarli al Padre suo. Lava i piedi agli apostoli, si fa coronare re di burla, sceglie di farsi sacrificare col supplizio più infamante, quello riservato agli schiavi delinquenti. È povero. La po­vertà assoluta lo accompagna dalla culla alla croce. Non ha nulla e nulla mai possiede nella sua vita. Era conveniente che così fosse. Il padrone dell'universo si sarebbe degradato ed avvilito se si fosse fat­to signore di una terra, di un castello, di qualunque altra proprietà. Essendo disceso dal cielo ed avendo occultata la sua infinita maestà, era giusto che non fosse padrone di cosa alcuna. « Le volpi - Egli poté dire - hanno le loro tane, gli uccelli i loro nidi, ma il Figlio del­l'Uomo non ha dove posare il capo » (Mt. 8, 20). Così, insieme al sacrificio di sé, Gesù fece al Padre il sacrificio di tutto il creato, che pure gli apparteneva.

4) Sacrificio. Il suo corpo appartiene al Padre e deve servire solo per il Padre, non per aver delle soddisfazioni. Ed era conveniente che così fosse. I Vangeli notano spesso che Gesù era triste, narrano che diverse volte ha pianto, mai che abbia riso. Gesù vive nel totale sa­crificio dei sensi, nel totale distacco dal mondo e muore fra i più atroci tormenti. Così riserva tutti suoi sensi, tutte le sue fibre al Pa­dre e le consuma integralmente nel suo sacrificio.

5) Zelante. Nella sua vita Gesù cerca solo la gloria del Padre e per essa spende tutte le sue energie e compie il suo sacrificio. Alla madre sua, che gli chiede perché si fosse eclissato per tre giorni lasciando nella costernazione lei e S. Giuseppe, risponde: « Non sapevate che io debbo trovarmi nelle cose che riguardano il Padre mio? » (Lc. 2, 49). Vive continuamente la sua consacrazione al Padre stando a Lui sempre unito nella preghiera, e, dopo aver faticato tutto il giorno a fare del bene e a predicare il Vangelo per attirare gli uomini al Padre, passa le notti prostrato in preghiera. La sua vita si riduce a questo: parlare agli uomini di Dio, parlare a Dio degli uomini per supplire i loro doveri verso Dio.



II) IMMOLAZIONE. Nessuno ha maggiore amore di chi dà la sua vi­ta per la persona amata. A Gesù non basta perdere la sua vita, cioè cessare di vivere per amore del Padre. Dopo tutto a vivere in quelle condizioni in cui Egli visse non c'era gusto e morire sarebbe stata una liberazione. Gesù volle positivamente annientare la sua vita fra gli strazi per amore del Padre. Era conveniente che così facesse per­ché fosse perfettissimo il suo sacrifico: così infatti non restava più che cosa soffrire e cosa sacrificare per il Padre.

Tutte le fibre della sua carne, tutti i suoi sensi e tutte le facoltà del­la sua anima soffrirono quanto umanamente potevano soffrire. Tutti i suoi organi oltrepassarono i limiti della sopportazione.

Tutto in Lui perì quando per la violenza dei crampi e dell'agonia il suo cuore cessò di battere.

Mai morte umana fu più completa e simultanea di quella di Gesù. Tutto il suo corpo divenne livido, mentre della sua anima Gesù po­té dire: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato! » (Mt. 45, 46). È grande come il mare la sua attrizione e nessuno potrà mai ar­rivare a comprenderlo e a compatirlo (Lamentaz. 2, 13).

Gesù soffrì non semplicemente quanto un uomo poteva soffrire, ma quanto poteva soffrire un uomo sostenuto dalla divinità. Niente ci fu al mondo più grande di Gesù; in Gesù niente più grande del suo sacrificio; nel suo sacrificio niente più grande della sua passio­ne; nella sua passione niente più grande della sua morte.

La morte di Gesù è la suprema glorificazione di Dio, il maggiore avvenimento della creazione; essa è il punto che divide i tempi. Bastava una sola goccia del sangue di Gesù a soddisfare la giusti­zia del Padre, a glorificarLo degnamente, a salvare tutti gli uomini. Gesù volle soffrire tutto quanto era possibile soffrire perché fosse completo il suo sacrificio, perché potesse dare la massima prova del suo amore, perché fosse sovrabbondante la glorificazione del Padre e la redenzione degli uomini.



III) TRASFORMAZIONE. Ma ancora dopo morto, il corpo di Gesù re­stava così come il Padre glielo aveva formato. Bisognava che il fuoco consumasse questo corpo perché il sacrificio di Gesù potesse dirsi completo. Dio lo investe col suo amore e, come aveva fatto col sa­crificio di Elia e di Salomone, lo consuma e lo fa brillare trasforman­dolo in un corpo glorioso, non più opaco e pesante, ma luminoso e leggero, non più materiale, corruttibile e deformabile, ma spirituale, bellissimo ed immortale. Ora quel Corpo è puro da ogni scoria umana, è degno di Dio perché già i peccati umani da Lui presi sono stati distrutti con la morte. Ora finalmente l'opera della espiazione e redenzione è completa; ora si attua la più grande gloria di Dio che è la ricompensa del giusto.

Dio ha dimostrato la sua giustizia annientando Gesù e ricevendo da Lui la riparazione completa dei peccati degli uomini. Tuttavia Gesù ha fatto tutto questo non per debito personale, poiché non aveva peccato, ma per amore al Padre e agli uomini. Egli è innocen­te. Resta quindi scoperta una partita importante. Dio è in debito, de­ve ricompensare Gesù e non può sopportare dilazioni a un siffatto debito. Per questo fu scritto: « Non permetterà che il suo Santo veda la corruzione » (Ps. 15, 10). Per questo all'alba del terzo giorno Dio lo risuscita; lo riempie di tutte le perfezioni possibili e concepibili per un corpo umano, lo rende in tutto degno di sedere alla destra del Padre e di godere la somma ed eterna felicità.



IV) COMUNIONE. Finalmente era tempo che Gesù, uscito dal Pa­dre, ritornasse al Padre. L'opera per cui il Padre l'aveva mandato nel mondo era compiuta. Il corpo suo risuscitato era ormai degno di entrare in cielo e sedere glorioso alla destra del Padre, perché nel se­polcro aveva lasciato tutto quello che era corruttibile e mortale. E così dopo quaranta giorni dalla resurrezione, fondata e confermata la Chiesa, Gesù ascende al cielo.

Ma se con l'ascesa al cielo Gesù avesse chiuso completamente la sua missione, la sua sarebbe stata una unione, non comunione e quindi il suo sacrificio sarebbe stato incompleto.

La giustizia di Dio era soddisfatta ma alla gloria di Dio mancava­no ancora gli uomini che dovevano a Lui essere condotti, e con Lui comunicare per la sua gloria e per la loro felicità.

Perciò Gesù prima di morire istituisce l'Eucaristia che sarà il mez­zo con cui unirà intimamente a Sé gli uomini in modo da formare con tutti essi una cosa sola, un Corpo Mistico da poter offrire al Pa­dre.



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