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Perchè la Chiesa Cattolica ha condannato il Comunismo (importante)

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2016 21:26
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09/09/2009 17:43
 
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Forse pochi lo sanno, ma esiste una condanna ed una scomuna, mai rettificata, da parte della Chiesa, contro il Comunismo....con quanto segue cerchiamo di capire il perchè....

(foto: atto di Scomunica al Comunismo e a chi ne sostiene le tesi)

                                 scomunica comunismo 1949

                        scomunica


Perché la Chiesa ha condannato il comunismo


ROMA, sabato, 16 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo di Massimo Introvigne, fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR).




* * *

I vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino offrono occasione di riflettere sul Magistero cattolico in tema di comunismo. La Chiesa – come ricorda Papa Pio XI (1857-1939) nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937 (n. 4) – ha condannato il comunismo già prima che fosse pubblicato, nel 1848, il Manifesto del Partito Comunista, precisamente nel 1846 con l’enciclica Qui pluribus del Beato Pio IX (1792-1878).

La stessa Divini Redemptoris – pubblicata cinque giorni dopo l’enciclica sul nazional-socialismo Mit brennender Sorge per evitare l’uso propagandistico della condanna dell’avversario da parte dell’uno come dell’altro regime – costituisce la più articolata analisi del fenomeno comunista da parte della Chiesa.

Ma i documenti sono letteralmente centinaia, e fra i più recenti spiccano l’istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede (allora presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger) Libertatis nuntius su alcuni aspetti della “teologia della liberazione”, del 1984, e i riferimenti al marxismo nell’enciclica
Spe salvi, del 2007, di Benedetto XVI.

Ma perché la Chiesa ha condannato il comunismo? Come ricorda la stessa Divini Redemptoris le risposte “perché insegna e diffonde l’ateismo” e “perché perseguita la Chiesa” non sono di per sé sbagliate, ma sono inadeguate e incomplete. Esaminando il Magistero sul comunismo, emergono sei punti che vale la pena di ricordare e di meditare.

(1) Il comunismo è un sistema intrinsecamente perverso, per sua natura anti-religioso e contro l’uomo.

Va sicuramente di moda oggi – a fronte, è vero, di un involgarimento delle dottrine politiche – riconoscere al comunismo almeno una certa coerenza interna ed eleganza di sistema. È un giudizio che si sente enunciare anche da cattolici e da uomini di Chiesa. Non tutto è falso in questo riconoscimento. Ma c’è il rischio che faccia dimenticare l’essenziale: il comunismo è “intrinsecamente perverso” (Divini Redemptoris, n. 58), e non lo è per caso, per circostanze storiche, per malvagità individuale di qualcuno.

Le atrocità del comunismo non sono “un fenomeno transitorio solito ad accompagnarsi a qualunque grande rivoluzione, isolati eccessi di esasperazione comuni ad ogni guerra; no, sono frutti naturali del sistema” (ibid., n. 21).

Certo, il comunismo è ateo, anzi è la versione più radicale ed estrema dell’ateismo: “per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta, e accuratamente preparata dell’uomo contro tutto ciò che è divino. Il comunismo è per sua natura antireligioso, e considera la religione come l’oppio del popolo perché i princìpi religiosi, che parlano della vita d’oltre tomba, distolgono il proletario dal mirare al conseguimento del paradiso sovietico, che è di questa terra” (ibid., n. 22).

Ma, una volta instaurato l’ateismo assoluto, ne segue anche la negazione dei diritti fondamentali della persona umana. La dottrina fondata sui due presupposti “del materialismo dialettico e del materialismo storico (…) insegna che esiste una sola realtà, la materia, con le sue forze cieche, la quale evolvendosi diventa pianta, animale, uomo. Anche la società umana non ha altro che un’apparenza e una forma della materia che si evolve nel detto modo, e per ineluttabile necessità tende, in un perpetuo conflitto delle forze, verso la sintesi finale: una società senza classi. In tale dottrina, com’è evidente, non vi è posto per l’idea di Dio, non esiste differenza fra spirito e materia, né tra anima e corpo; non si dà sopravvivenza dell’anima dopo la morte, e quindi nessuna speranza in un’altra vita. Insistendo sull’aspetto dialettico del loro materialismo, i comunisti pretendono che il conflitto, che porta il mondo verso la sintesi finale, può essere accelerato dagli uomini.

Quindi si sforzano di rendere più acuti gli antagonismi che sorgono fra le diverse classi della società; e la lotta di classe, con i suoi odi e le sue distruzioni, prende l’aspetto d’una crociata per il progresso dell’umanità. Invece, tutte le forze, quali che esse siano, che resistono a quelle violenze sistematiche, debbono essere annientate come nemiche del genere umano. Inoltre il comunismo spoglia l’uomo della sua libertà, principio spirituale della sua condotta morale; toglie ogni dignità alla persona umana e ogni ritegno morale contro l’assalto degli stimoli ciechi. All’uomo individuo non è riconosciuto, di fronte alla collettività, alcun diritto naturale della personalità umana, essendo essa, nel comunismo, semplice ruota e ingranaggio del sistema” (ibid., nn. 9-10).

 Tutti e due gli elementi, “l’ateismo e la negazione della persona umana, della sua libertà e dei suoi diritti, sono centrali nella concezione marxista” (Libertatis nuntius, n. 9); “il disconoscimento della natura spirituale della persona porta a subordinare totalmente quest’ultima alla collettività e a negare, così, i principi di una vita sociale e politica conforme alla dignità umana” (ibidem) Né varrebbe obiettare che esistono diversi marxismi, che il marxismo di questo o quel partito o pensatore è diverso dalla “più efferata barbarie” (Divini Redemptoris, n. 21) di cui il comunismo ha offerto il triste spettacolo dove e quando è andato al potere. “È vero che il pensiero marxista fin dai suoi inizi, ma in maniera più accentuata in questi ultimi anni, si è diversificato per dare vita a varie correnti che divergono considerevolmente le une dalle altre. Nella misura in cui restano realmente marxiste, queste correnti continuano a ricollegarsi ad un certo numero di tesi fondamentali incompatibili con la concezione cristiana dell’uomo e della società” (Libertatis nuntius, n. 8).

(2) Il comunismo è un blocco: non si può separare il materialismo storico dal materialismo dialettico

Benché uno dei fondatori della “teologia della liberazione” d’impronta marxista, padre Clodovis Boff O.S.M., in un articolo autocritico del 2007 che ha fatto molto rumore (“Teologia da Libertação e volta ao fundamento”, Revista Eclesiástica Brasileira, vol. 67, n. 268, ottobre 2007, pp. 1001-1022), abbia sostenuto che questa teologia ha portato lentamente ma inesorabilmente i suoi più conseguenti promotori verso l’ateismo, la maggioranza dei simpatizzanti cattolici del marxismo non si è dichiarata atea. Ha affermato di rifiutare nel marxismo il materialismo dialettico – cioè la filosofia atea – e di accettare il materialismo storico, cioè l’analisi economica e sociale.

Ha sostenuto non solo che questa analisi è utile ma che, una volta separato dal materialismo dialettico, il materialismo storico potrebbe dare frutti positivi e sfuggire a quelle conseguenze negative che si sono manifestate nei regimi comunisti, le quali dipenderebbero dagli elementi filosofici e non dalla teoria economica e sociale. Ma in realtà, come insegna Papa Paolo VI (1897-1978) nella lettera apostolica del 1971 Octogesima adveniens (n. 34), non è possibile separare materialismo storico e materialismo dialettico, analisi e ideologia: “sarebbe illusorio e pericoloso giungere a dimenticare l’intimo legame che tali aspetti radicalmente unisce, accettare gli elementi dell’analisi marxista senza riconoscere i loro rapporti con l’ideologia”.


Spiega la Congregazione per la Dottrina della Fede, nel linguaggio filosofico rigoroso che è tipico del cardinale Ratzinger: “il pensiero di [Karl] Marx [1818-1883] costituisce una concezione totalizzante del mondo nella quale numerosi dati di osservazione e di analisi descrittiva sono integrati in una struttura filosofico-ideologica, che predetermina il significato e l’importanza relativa che si riconosce loro. Gli a priori ideologici sono presupposti alla lettura della realtà sociale. Così la dissociazione degli elementi eterogenei che compongono questo amalgama epistemologicamente ibrido diventa impossibile, per cui mentre si crede di accettare solo ciò che si presenta come un’analisi, si è trascinati ad accettare la stessa filosofia o ideologia” (Libertatis nuntius, n. 6).
Per Marx la critica della religione è il presupposto di ogni critica: “la critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della teologia nella critica della politica” (Spe salvi, n. 20).

(3) Anche il materialismo storico, ipoteticamente separato dal materialismo dialettico, è intrinsecamente perverso, è una ricetta non per la giustizia ma per l’oppressione e la vergogna

Ma vi è di più. La risposta alla domanda “è possibile separare il materialismo storico dal materialismo dialettico?” è negativa. Immaginiamo per un momento una realtà parallela in cui questa separazione fosse possibile. Il giudizio del Magistero sul materialismo storico – accompagnato da una filosofia non atea, anzi eventualmente favorevole alla religione o anche dichiaratamente cristiana – sarebbe per questo positivo? Niente affatto. La Chiesa Cattolica non difende solo la religione contro l’ateismo. Insegna pure una dottrina sociale, che è parte integrante del suo Magistero, in base alla quale il comunismo – anche se fosse possibile esaminarlo prescindendo dall’ateismo – è, nei suoi aspetti economici e sociali, una ricetta per l’oppressione e per la miseria.


Quello che è successo nei Paesi comunisti non è – insegna Benedetto XVI – il risultato di una cattiva interpretazione di Marx. Al contrario, rivela “l'errore fondamentale di Marx”, il quale “supponeva semplicemente che con l'espropriazione della classe dominante, con la caduta del potere politico e con la socializzazione dei mezzi di produzione si sarebbe realizzata la Nuova Gerusalemme
. Allora, infatti, sarebbero state annullate tutte le contraddizioni, l'uomo e il mondo avrebbero visto finalmente chiaro in se stessi. Allora tutto avrebbe potuto procedere da sé sulla retta via, perché tutto sarebbe appartenuto a tutti e tutti avrebbero voluto il meglio l'uno per l'altro. Così, dopo la rivoluzione riuscita, [Vladimir Il’ic] Lenin [1870-1924] dovette accorgersi che negli scritti del maestro non si trovava nessun'indicazione sul come procedere. Sì, egli aveva parlato della fase intermedia della dittatura del proletariato come di una necessità che, però, in un secondo tempo da sé si sarebbe dimostrata caduca. Questa ‘fase intermedia’ la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia poi sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante” (Spe salvi, n. 21).

Distruzione, dunque, e vergogna. Scriveva nel 1984 la Congregazione per la Dottrina della Fede: “Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell’uomo. Coloro che, forse per incoscienza, si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono servire” (Libertatis nuntius, n. 10).

Certo, Marx risponderebbe che la dittatura del proletariato è una necessità della “fase intermedia” detta società socialista, che segna la massima espansione dello Stato, ma che dopo verrà il mondo nuovo, la società comunista, dove lo Stato – “deperendo” – si ritirerà. Tuttavia, rileva ancora Benedetto XVI, “Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo – di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Che egli di ciò non dica nulla, è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua libertà” (Spe salvi, n. 21).
 
Dopo quasi cento anni di regimi comunisti, ormai davvero “questa ‘fase intermedia’ la conosciamo benissimo” (ibidem), e sappiamo che non è affatto intermedia: la società comunista senza Stato nessuno l’ha mai vista, è un traguardo spostato continuamente in avanti per illudere gli schiavi mentre li si mantiene nelle “condizioni di schiavitù indegne dell’uomo” (Libertatis nuntius, n. 10) della società socialista.

(4) Il comunismo non nasce da una nobile lotta contro l’ingiustizia, ma da un vizio morale e ideologico

Si sente spesso dire che almeno nel comunismo sarebbe positivo il momento esigenziale di lotta per la giustizia di fronte alla miseria e allo sfruttamento. Come si è visto, il Magistero fa notare che il comunismo ha provato storicamente di non risolvere il problema della miseria ma di aggravarlo. Il momento esigenziale esiste sicuramente in alcuni militanti e simpatizzanti ingenui. Non è però alle origini dell’ideologia, che nasce da un vizio di carattere morale: con le premesse del marxismo “viene messa radicalmente in causa la natura stessa dell’etica. Infatti, nell’ottica della lotta di classe viene implicitamente negato il carattere trascendente della distinzione tra il bene e il male, principio della moralità” (Libertatis nuntius, n. 9).
 
Dove viene meno la moralità s’instaura il vizio. E il vizio non nasce dai problemi reali dei poveri, li sfrutta. Sul punto si era già espresso correttamente lo storico comunista, poi ex-comunista, Arthur Rosenberg (1889-1943): “Marx non si rifece […] dal proletariato, dai suoi bisogni e dalle sue sofferenze, dalla necessità di liberarnelo, per trovare poi, come unica via della salvezza del proletariato, la Rivoluzione. Al contrario, egli camminò proprio all'inverso […]. Nel cercare la possibilità della Rivoluzione, Marx trova il proletariato” (Storia del Bolscevismo, trad. it., Sansoni, Firenze 1969, p. 3).

Pio XI nota a proposito del comunismo che “uno pseudo-ideale di giustizia, di uguaglianza e di fraternità nel lavoro, pervade tutta la sua dottrina, e tutta la sua attività d’un certo falso misticismo, che alle folle adescate da fallaci promesse comunica uno slancio e un entusiasmo contagioso, specialmente in un tempo come il nostro, in cui da una distribuzione difettosa delle cose di questo mondo risulta una miseria non consueta” (Divini Redemptoris, n. 8).
Ma si tratta appunto di un adescamento: “assai pochi hanno potuto penetrare la vera natura del comunismo; i più invece cedono alla tentazione abilmente presentata sotto le più abbaglianti promesse. Con il pretesto che si vuole soltanto migliorare la sorte delle classi lavoratrici, togliere abusi reali prodotti dall’economia liberale e ottenere una più equa distribuzione dei beni terreni (scopi senza dubbio pienamente legittimi), e approfittando della mondiale crisi economica, si riesce ad attirare nella sfera d’influenza del comunismo anche quei ceti della popolazione che per principio rigettano ogni materialismo e ogni terrorismo […] per coprire, quando conviene, la crudezza ributtante e inumana dei princìpi e dei metodi del comunismo” (ibid., n. 15).

(5) Il comunismo è una tappa di un itinerario rivoluzionario più ampio

Dopo gli eventi del 1989 la dichiarazione Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato dell’Assemblea Straordinaria per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, del 1991 (in Enchiridion del Sinodo dei Vescovi, vol. II, 1989-1995, EDB Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2006, pp. 3472-3517), rileva che “il crollo del comunismo mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista, e mostra coi fatti, oltre che in linea di principio, che non è possibile disgiungere la causa di Dio dalla causa dell’uomo”.

Il comunismo non può essere considerato isolatamente. È la tappa a suo modo finale di un itinerario. Non si riesce a capirlo, nota già la Divini Redemptoris (n. 16), senza la preparazione costituita dal liberalismo illuminista il quale, quando lo coglie l’assalto comunista, da decenni se non da secoli “continuava a promuovere positivamente il laicismo. Si raccoglie dunque ora l’eredità di errori dai Nostri Predecessori e da Noi stessi tante volte denunciati, e non è da meravigliarsi che in un mondo già largamente scristianizzato dilaghi l’errore comunista”.

In un modo più complesso e articolato, il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI del 12 settembre 2006 e l’enciclica Spe salvi del 2007 situano il comunismo nell’ambito di un processo di demolizione dell’edificio europeo e occidentale faticosamente costruito sull’armonia fra fede e ragione, fra Rivelazione ebraica e cristiana e filosofia greca. Si tratta, secondo il discorso di Ratisbona, di tre successive “deellenizzazioni”, manifestazioni non tanto di antipatia verso lo stile o il linguaggio greco ma verso l’equilibrio tra fede e ragione che il Medioevo cristiano aveva trovato grazie all’incontro con la Grecia, costituite rispettivamente dall’attacco contro la ragione di Martin Lutero (1483-1546) e dalla sostituzione di una ragione misurata dalla verità delle cose con una ragione strumentale misurata dal successo da parte dell’Illuminismo razionalista e scientista prima e del marxismo poi. Queste tappe sono ulteriormente scandite nell’enciclica Spe salvi con riferimento ancora a Lutero, a un itinerario scientista che va da Francesco Bacone (1561-1626) all’Illuminismo della Rivoluzione francese e infine al comunismo.

Il crollo del comunismo effettivamente rivela e “mette in questione” tutto questo processo, che la scuola contro-rivoluzionaria (di cui si può dire, senza forzare il quadro, che in questi testi di Magistero come del resto in altri precedenti c’è più di un’eco) chiama Prima, Seconda e Terza Rivoluzione. “La Rivoluzione è un blocco”, secondo l’espressione tante volte citata dell’uomo politico francese Georges Clemenceau (1841-1929), e non si può né capire né coprire il suo fronte rappresentato dal comunismo senza considerare il processo rivoluzionario nel suo insieme.

(6) Rispetto alle fasi precedenti del processo rivoluzionario, il comunismo rappresenta una fase più avanzata, dunque dal punto di vista della dottrina cattolica peggiore per ampiezza e violenza

Il processo rivoluzionario è a suo modo lineare: “nel corso dei secoli uno sconvolgimento è succeduto all’altro fino alla rivoluzione dei nostri giorni” (Divini Redemptoris, n. 2). Ogni Rivoluzione, ogni attacco alla sintesi di fede e ragione, ogni “deellenizzazione” è peggiore della precedente, e si spinge più oltre. Questo fatto non rende naturalmente buona né “rivaluta” ciascuna fase della Rivoluzione quando sulla scena della storia ne irrompe una peggiore. Tuttavia l’esistenza di gradi all’interno del processo rivoluzionario non è neppure irrilevante. Dire che il comunismo “supera in ampiezza e violenza quanto si ebbe a sperimentare nelle precedenti persecuzioni contro la Chiesa” (ibidem), che una “spaventevole distruzione viene eseguita con un odio, una barbarie e una efferatezza che non si sarebbero creduti possibili” (ibidem, n. 20), che si è di fronte alla “vergogna del nostro tempo” (Libertatis nuntius, n. 10) non toglie vigore alla critica del liberalismo laicista e relativista e delle sue conseguenze nella vita economica e sociale proposte dal Magistero (e neppure alla critica di quegli aspetti del pensiero protestante che mettono in crisi l’equilibrio fra fede e ragione).

E tuttavia vi è una diversità di accenti che non è solo questione di stile o di retorica.

Il comunismo, in quanto terza tappa di un processo, porta in sé tutti i vizi delle prime due ma li esaspera e ne aggiunge di nuovi. Questo giudizio è di grandissima importanza quando si tratta di dottrina dell’azione, e aiuta a evitare molti errori ed equivoci. Il fideismo protestante, il laicismo illuminista con le sue conseguenze sociali e il comunismo sono ugualmente condannabili e condannati.
La dottrina sociale invita sempre a richiamare l’ideale di una posizione integralmente cattolica, non compromessa con nessuna delle fasi del processo rivoluzionario – e la mancanza di questo richiamo ha gravi conseguenze pedagogiche.

Tuttavia, in circostanze particolari, la differenza di grado fra le tre fasi spiega perché di fronte al pericolo socialista e comunista la Chiesa abbia favorito un’alleanza tattica di cattolici con protestanti e anche con liberali contro il socialismo – è questa la logica del cosiddetto “patto Gentiloni” del 1913, voluto dal Papa San Pio X (1835-1914) – mentre la condanna della “teologia della liberazione” d’impronta marxista nella Libertatis nuntius condanna precisamente, tra l’altro, l’alleanza di cattolici e comunisti contro i liberali. In queste indicazioni non vi è, naturalmente, nessuna impropria o assurda beatificazione del liberalismo, di cui anzi si continuano a denunciare gli aspetti inaccettabili, ma semplicemente la consapevolezza della natura di processo della Rivoluzione e del fatto che di questo processo che va sempre peggiorando il comunismo, rispetto al liberalismo, costituisca una fase ulteriore che appunto “supera in ampiezza e violenza” gli errori e gli orrori delle fasi precedenti.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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09/09/2009 18:07
 
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Riaguardo alla Scomunica riportata sopra è da specificare quanto segue:

La stessa congregazione del Sant'Uffizio pubblicò dieci anni più tardi, il 4 aprile 1959, un Dubium(4 aprile 1959, in Acta Apostolicae Sedis, 1959, p. 271-272 ), con lo scopo di chiarire il senso e la portata del precedente decreto, aggiornandolo alle mutate condizioni politiche:

« È stato chiesto a questa Suprema Sacra Congregazione se sia lecito ai cittadini cattolici dare il proprio voto durante le elezioni a quei partiti o candidati che, pur non professando princìpi contrari alla dottrina cattolica o anzi assumendo il nome cristiano, tuttavia nei fatti si associano ai comunisti e con il proprio comportamento li aiutano.
25 marzo 1959

I Cardinali preposti alla tutela della fede e della morale risposero decretando:

negativo, a norma del Decreto del Sant'Uffizio del 1/7/1949, numero 1.

Il giorno 2 aprile dello stesso anno il Papa Giovanni XXIII, nell'udienza al Pro-Segretario del Santo Ufficio, ha approvato la decisione dei Padri e ha ordinato di pubblicarla. »
(Dubium, 4 aprile 1959)


è interessante notare come la nota di specificazione del '59 era ancora più dura di quella di dieci anni prima: si dice apertamente che non solo non è lecito iscriversi ai partiti comunisti, ma addirittura sostenerli da semplici elettori!

E il tutto fu approvato da Giovanni XXIII, il quale qualche anno dopo scomunicò Fidel Castro per la sua adesione al marxismo. Era il Papa buono, ma certamente non era buonista!
__________________
"Il Concilio va letto in ginocchio" Card. Siri


In definitiva: L'abolizione del canone 1399 del Codice di Diritto Canonico avvenuta sotto papa Paolo VI (in Decretum de interpretatione «Notificatio» die 14 iunii 1966 circa «Indicem» librorum prohibitorum, 15 novembre 1966 in AAS 58, P.1186), influisce ed modifica solo il punti 2 e 3 del decreto del 1949, mentre i rimanenti punti restano ancora validi, fino alla eventuale abolizione o nuova modifica del decreto.

Va altresì precisato quanto segue:

l'intervista al Card. Ottaviani nel settimanale "Gente" 13 aprile 1966:


Citazione:
...a proposito di questo decreto c'è stata molta confusione. Bisogna difatti ricordare che la scomunica si applica a coloro che professano dottrine marxiste, non a coloro che aderiscono sic et simpliciter al partito comunista. Chi vota per i comunisti o è iscritto al partito, ma non aderisce al materialismo dialettico, non è scomunicato.
In Italia molte persone non sanno niente di marxismo, vanno in chiesa, credono in Dio e votano per i comunisti. Essi non sono scomunicati. Però commettono un'azione illecita, cioè peccano. Il confessore ha l'obbligo di avvertirli del loro errore e, se insistono, negare loro l'assoluzione, come per qualunque altro peccato di cui il fedele non si pente e che non si propone di non commettere.
Una cosa ad ogni modo deve essere chiara anche a proposito dei comunisti; più che mai, oggi, la Chiesa non desidera condannare, ma persuadere. Essa ama tutta l'umanità, e tutti vuole condurre a sé..

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...nel comunismo ci sono elementi oggettivamente buoni (di matrice cristiana infatti) deformati... tuttavia in un sistema razionalista totalizzante, il cui dio si chiama "popolo", il cui paradiso è "l'alba nuova del proletariato", il cui strumento di affermazione è la lotta di classe. I valori cristiani, sganciati dal cristianesimo, diventano spesso e volentieri verità impazzite, nomi vuoti, che fanno bella mostra di sè e ingannano le persone.

Le decisioni del Sant'Uffizio, pur promulgate dal Santo Padre, sono venute meno con l'entrata in vigore del Codex del 1983. Infatti, per il "can. 6 - §1. Entrando in vigore questo Codice, sono abrogati... 3) qualsiasi legge penale, sia universale sia particolare emanata dalla Sede Apostolica, a meno che non sia ripresa in questo stesso Codice...".

Ciò non toglie la responsabilità morale di coloro che, coscientemente, danno sostegno a movimenti, associazioni e partiti che programmaticamente propugnano idee e prassi contrarie alla fede e alla morale. Se tale responsabilità costituisce peccato grave e pubblico/notorio (come nel caso di Welby!) possono derivare le relative conseguenze in tema di ricezione dei sacramenti (anche senza la scomunica).
Se questo sostegno, poi, concretizza eresia, scisma o apostasia, si applicano - al singolo - le pene previste in generale dalla legge canonica.

Limiti (pubblici!) all'amministrazione/ricezione dei sacramenti possono sussistere anche senza scomunica, come dimostrano i casi dei divorziati risposati....

In definitiva:
come deve regolarsi un vero Cattolico?


a questo risponde:

La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito anche il parere del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ritenuto opportuno pubblicare la presente “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”.
La Nota è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle società democratiche.



I. Un insegnamento costante

1. L’impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia si è espresso seguendo percorsi diversi. Uno è stato attuato nella partecipazione all’azione politica: i cristiani, affermava uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli, «partecipano alla vita pubblica come cittadini».[1] La Chiesa venera tra i suoi Santi numerosi uomini e donne che hanno servito Dio mediante il loro generoso impegno nelle attività politiche e di governo. Tra di essi, S. Tommaso Moro, proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici, seppe testimoniare fino al martirio la «dignità inalienabile della coscienza».[2] Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica, rifiutò ogni compromesso, e senza abbandonare «la costante fedeltà all’autorità e alle istituzioni legittime» che lo distinse, affermò con la sua vita e con la sua morte che «l’uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale».[3]

Le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà,[4] richiedono nuove e più ampie forme di partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini, cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono contribuire attraverso il voto all’elezione dei legislatori e dei governanti e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti politici e delle scelte legislative che a loro avviso giovano maggiormente al bene comune.[5] La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi proficuamente senza l’attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti, «sia pure con diversità e complementarità di forme, livelli, compiti e responsabilità».[6]

Mediante l’adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla coscienza cristiana»,[7] in conformità ai valori che con essa sono congruenti, i fedeli laici svolgono anche il compito loro proprio di animare cristianamente l’ordine temporale, rispettandone la natura e la legittima autonomia,[8] e cooperando con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità.[9] Conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è che «i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla “politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune»,[10] che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc.

La presente Nota non ha la pretesa di riproporre l’intero insegnamento della Chiesa in materia, riassunto peraltro nelle sue linee essenziali nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ma intende soltanto richiamare alcuni principi propri della coscienza cristiana che ispirano l’impegno sociale e politico dei cattolici nelle società democratiche.[11] E ciò perché in questi ultimi tempi, spesso per l’incalzare degli eventi, sono emersi orientamenti ambigui e posizioni discutibili, che rendono opportuna la chiarificazione di aspetti e dimensioni importanti della tematica in questione.

(...)

6. Il richiamo che spesso viene fatto in riferimento alla “laicità” che dovrebbe guidare l’impegno dei cattolici, richiede una chiarificazione non solo terminologica. La promozione secondo coscienza del bene comune della società politica nulla ha a che vedere con il “confessionalismo” o l’intolleranza religiosa. Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica - ma non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto.[23]

(..)

Questione completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona. Il fatto che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la “laicità” dell’impegno di coloro che in esse si riconoscono, indipendentemente dal ruolo che la ricerca razionale e la conferma procedente dalla fede abbiano svolto nel loro riconoscimento da parte di ogni singolo cittadino. La “laicità”, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una. Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa.


(..)


7. È avvenuto in recenti circostanze che anche all’interno di alcune associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della Chiesa. Tali scelte e condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari della coscienza cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza ad associazioni o organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente, è da rilevare che alcune Riviste e Periodici cattolici in certi Paesi hanno orientato i lettori in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente, equivocando sul senso dell’autonomia dei cattolici in politica e senza tenere in considerazione i principi a cui si è fatto riferimento.


La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità di presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un’urgenza non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei cattolici.



qui per il collegamento al testo integrale:
www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20021124_politica...


[SM=g1740733]

Decretum contra communismum - Decr. S. Officii, 1.7.1949 (DS 3865)

- Utrum licitum sit, partibus communistarum nomen dare vel eisdem favorem praestare.
R. Negative: Communismus enim est materialisticus et antichristianus; communistarum autem duces, etsi verbis quandoque profitentur se religionem non oppugnare, re tamen, sive doctrina sive actione, Deo veraeque religioni et Ecclesiae Christi sese infensos esse ostendunt.

2 - Utrum licitum sit edere, propagare vel legere libros, periodica, diaria vel folia, quae doctrine vel actioni communistarum patrocinantur, vel in eis scribere.
R. Negative: Prohibentur enim ipso iure.

3 - Utrum christifideles, qui actus, de quibus in n.1 et 2, scienter et libere posuerint, ad sacramenta admitti possint.
R. Negative, secundum ordinaria principia de sacramentis denegandis iis, Qui non sunt dispositi.

4 - Utrum christifideles, qui communistarum doctrinam materialisticam et antichristianam profitentur, et in primis, qui eam defendunt vel propagant, ipso facto, tamquan apostatae a fide catholica, incurrant in excommunicationem speciali modo Sedi Apostolicae reservatam.
R. Affirmative.

(in italiano)

1 - Se sia lecito iscriversi ai partiti comunisti, od approvarli.
R. No: il Comunismo infatti è materialistico ed anticristiano; i capi dei comunisti, poi, anche se a parole dichiarano di non avversare la religione, tuttavia mostrano di essere ostili sia nella teoria che nella pratica a Dio e alla vera religione e alla Chiesa di Cristo.

2 - Se sia lecito pubblicare, diffondere o leggere libri, periodici, giornali e pubblicazioni che sostengono dottrine o azioni di comunisti, o scrivere in essi.
R. No: ciò infatti è proibito dalla legge stessa.


3 - Se i fedeli di Cristo, che avessero messo in pratica consapevolmente e in piena libertà ciò di cui si è trattato nei punti 1 e 2, possano essere ammessi ai sacramenti.
R. No, secondo i principi generali che riguardano l'esclusione dai sacramenti di coloro che non sono disposti.

4 - Se i fedeli di Cristo, che professano la dottrina materialistica e anticristiana dei comunisti, e per primi coloro che la difendono o la divulgano, incorrano per ciò stesso, come apostati dalla fede cattolica, nella scomunica riservata in modo speciale alla Sede Apostolica.
R. Si.


[Modificato da Caterina63 23/11/2011 23:30]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Due casi eclatanti che ci aiutano a comprendere.....I DANNI apportati alla Chiesa.....

il primo è la riflessione di padre Scalesi che condivido in pieno....il secondo è il racconto, breve di un sacerdote caduto nella trappola comunista e, grazie a Dio, rinsavito
....

Dossetti e Baget Bozzo

Strano destino quello di don Giuseppe Dossetti e don Gianni Baget Bozzo: i due sacerdoti hanno una storia molto simile, ma con esiti opposti. Entrambi militano nella DC (all’inizio su posizioni affini); entrambi lasciano la politica attiva e diventano sacerdoti; entrambi crescono all’ombra di due figure emblematiche della Chiesa italiana del Novecento (il Card. Giacomo Lercaro e il Card. Giuseppe Siri). Ma forse proprio per questo, per essersi formati alla scuola di due Vescovi cosí diversi fra loro, finiscono per ritrovarsi su fronti opposti. Entrambi diventano esponenti, ispiratori, “anime” del movimento cattolico italiano, ciascuno di uno dei due schieramenti che oggi si fronteggiano: uno diventa ispiratore dei “cattolici democratici”; l’altro, dei “cattolici liberali”. Il primo potrebbe essere considerato il gran patron di Prodi e, in qualche modo, il promotore dell’Ulivo prima e del Partito Democratico poi; il secondo, il gran patron di Berlusconi e il “padre spirituale” della Casa delle libertà prima e del Partito della Libertà poi (già solo questa osservazione la dice lunga sull’influsso tuttora esercitato dal cattolicesimo nella politica italiana).

Se si considera l’evoluzione della loro esperienza, ci si accorge che non solo sul piano intellettuale si ritrovano su fronti opposti, ma anche le loro scelte di vita si differenziano in maniera radicale. Dossetti, dopo aver lasciato la politica ed essere diventato sacerdote, a un certo punto abbandona anche la presenza attiva nella Chiesa e si dà completamente a vita monastica; Baget Bozzo, al contrario, una volta diventato prete, continua ad occuparsi di politica, non solo, ma a un certo punto torna alla militanza attiva e, per questo, viene sospeso a divinis. Se si fa un confronto fra le due figure, la prima potrebbe apparire molto piú spirituale della seconda. E di fatto lo è. Ma possiamo affermare categoricamente che Dossetti fu piú cattolico di Baget Bozzo? Devo ammettere di non conoscere abbastanza le due figure per esprimere un giudizio definitivo; ma ci sono degli indizi che mi portano a concludere che Baget Bozzo, al di là delle apparenze, fosse piú cattolico di Dossetti.

Recentemente è stato pubblicato il libro, scritto da Baget Bozzo in collaborazione con Pier Paolo Saleri, Giuseppe Dossetti. La Costituzione come ideologia politica, Ares, pp. 272. Sul sito della casa editrice
Ares si può trovare il link alle diverse recensioni comparse sulla stampa in occasione dell’uscita del volume. Il 1° luglio 2009 il Giornale ha riprodotto un brano tratto da tale volume. Lo trovo estremamente illuminante, perché riassume in poche battute l’evoluzione politico-spirituale di Dossetti e il suo influsso nella vita della Chiesa (in tale brano non ci si occupa del suo influsso sulla politica italiana).

Confesso che non sapevo del ruolo di primo piano svolto da Dossetti durante il Concilio Vaticano II, come “segretario dei moderatori” (e questo spiega come mai la “Scuola bolognese” si sia poi considerata l’interprete autorevole del Vaticano II e la custode dell’autentico “spirito del Concilio”). Non sapevo del suo «tentativo di dare una svolta radicale al Concilio ponendo ai voti la dichiarazione sulla collegialità della Chiesa», tentativo che trovò in Paolo VI un inflessibile oppositore. E non sapevo che tale opposizione perdurò dopo il Concilio; anzi, si radicalizzò fino al punto che Papa Montini rifiutò di nominare Dossetti, già vicario generale dell’Arcidiocesi di Bologna, anche vescovo ausiliare. «Fu la definitiva rottura di Dossetti con il papato».

Alla luce di queste, che a me appaiono come vere e proprie rivelazioni, si comprende tutto il resto dell’esperienza dossettiana. Anche la sua scelta monastica non va piú vista tanto come la naturale maturazione di un’esperienza spirituale, quanto piuttosto come espressione della suddetta opposizione fra il monaco e il papato e, piú in generale, fra una ipotetica “Chiesa spirituale” (che sarebbe dovuta scaturire, nelle intenzioni di Dossetti, dal Vaticano II) e la Chiesa istituzionale, che aveva trovato in Paolo VI il suo strenuo difensore. Si trattava di una concezione radicalmente diversa di Chiesa, alternativa a quella tradizionale riaffermata dal Vaticano II.

Il Concilio riconosce nella Chiesa una tensione fra la dimensione istituzionale e quella pneumatica, tensione che va ultimamente ricondotta alla sua costituzione teandrica; ma mai oppone le due realtà, quasi che siano inconciliabili o alternative (cf Lumen gentium, n. 8). Tale tensione è sempre esistita nella Chiesa: giustamente Baget Bozzo richiama «la contrapposizione antica, nella Chiesa, fra il monaco e il vescovo». Ciò che risulta nuovo, nell’esperienza di Dossetti, è il passaggio dalla tradizionale contrapposizione «fra il monaco e il vescovo» a quella, inedita, «tra il monaco e il Papa». Quest’ultima non appare mai nella tradizione, se non nei movimenti ereticali. Perché, se c’è stato un modo, nella storia della Chiesa, per superare l’opposizione fra monachesimo e potere episcopale, è sempre stata la stretta alleanza tra vita religiosa e papato (cosa che si è ripresentata ai nostri giorni con i movimenti ecclesiali).

Il titolista del Giornale ha forse esagerato nel riassumere il contenuto dell’articolo nell’espressione: «Dossetti, l’eretico che volle riformare anche il Vaticano»; ma certamente ha colto un elemento reale presente nella concezione ecclesiologica dossettiana: questa idea di “Chiesa spirituale” non appartiene alla tradizione cattolica; essa è propria dei movimenti ereticali (si pensi a Gioacchino da Fiore). Probabilmente non c’è mai stata in don Giuseppe Dossetti una piena consapevolezza della pericolosità della sua posizione (giustamente Baget Bozzo fa notare: «Dossetti non era un teologo né un esegeta»); probabilmente egli visse la sua esperienza spirituale in assoluta buona fede; ma ciò non toglie che si trattasse, oggettivamente, di una posizione del tutto aliena dalla tradizione cattolica.




La vicenda del gesuita che prima divenne comunista e poi ritornò in Chiesa


Il giornalista Andrea Galli racconta la vita di Padre Alighiero Tondi


ROMA, lunedì, 11 ottobre 2004 (ZENIT.org).- Padre Alighiero Tondi era un gesuita di punta della Gregoriana negli anni Cinquanta: artista, scrittore e collaboratore dell'Enciclopedia Cattolica.

Infatuatosi della dottrina marxista e travolto da una profonda crisi di coscienza, nel 1952 lasciò improvvisamente la Compagnia di Gesù e aderì al Partito Comunista Italiano.

Fu un caso clamoroso, con un'eco internazionale, ripreso per mesi dai giornali, anche perché Tondi divenne presto il contraltare dell'ex-confratello Padre Riccardo Lombardi, tenendo comizi in tutta Italia per il PCI e scrivendo velenosi libri tradotti in più lingue, come "Vaticano e neofascismo" o "I Gesuiti", che ebbero un'enorme diffusione.

Tondi sposò poi una parlamentare comunista, Carmen Zanti, e ad un certo punto fu mandato dal partito a insegnare all'Università Humboldt, nella Germania dell’est, dove però iniziò un altro - e noto a pochi - periodo di crisi.

Spentisi i riflettori dei media su di lui, resosi conto di essere stato usato dai comunisti come mero strumento di propaganda, toccato con mano cos'era il socialismo reale nei paesi dell'Est, dove viaggiò a lungo, Tondi maturò un cocente e silenzioso pentimento.

Tornato in Italia a metà anni '60 si eclissò dalla scena politica. E quando la moglie morì, nel 1978, pienamente pentito, chiese umilmente ed ottenne dal Vaticano il reintegro nella stato sacerdotale, vivendo gli ultimi anni della vita celebrando la Santa Messa.

Quando morì, nel 1984, in solitudine, lasciò anche un'interessante autobiografia incompiuta, il cui manoscritto sembra perso, tanto che P. Giacomo Martina SJ, nella sua ultima "Storia dei gesuiti in Italia" si chiedeva che fine mai avesse fatto.

Della vicenda Tondi si è occupato con una accurata inchiesta Andrea Galli, giornalista collaboratore di “Avvenire” e membro del servizio nazionale per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana. ZENIT lo ha intervistato.

Chi è stato veramente Alighiero Tondi?

Andrea Galli: Una figura dall'animo nobile, quanto passionale ed emotivo. Un religioso le cui disavventure prefigurarono, in un certo senso, quelle di tanti altri negli anni del disorientamento post-conciliare. Ma con un finale simile alla parabola del Figliol prodigo, come disse nel 1984 l'allora vescovo di Reggio Emilia mons. Gilberto Baroni.

Cosa lo portò ad aderire al marxismo?

Andrea Galli: L'approfondimento della filosofia marxista fece probabilmente contatto con la tradizione socialista della famiglia e la ricezione distorta della sensibilità per le tematiche sociali che andava allora maturando nella Compagnia: va ricordato che è del 1946 la lettera all'Ordine del generale Janssen sull'apostolato sociale e del 1948 la nascita a Milano della rivista Aggiornamenti Sociali, che segna per i gesuiti italiani l’inizio di quella svolta pastorale, di quella preferenza per i poveri, che diventerà manifesta sotto la guida di padre Arrupe. In più giocò un ruolo il carattere dello stesso Tondi, incline a entusiasmi e scelte di campo radicali.

Cosa significò il trasferimento nella Germania dell'Est?

Andrea Galli: Il trasferimento nella Germania Democratica intanto diede la stura a una serie di voci che vedevano in Tondi la longa manus di Stalin in Vaticano, spia in talare addestrata dal KGB, trafugatore di documenti segreti dai Sacri Palazzi, ecc. che rimbalzarono in tutto il mondo e ancora circolano qua e là, come dimostra un articolo uscito nel 2002 sul quotidiano argentino “La voz del interior”, che le ha riprese integralmente.

Una leggenda nera, la cui diffusione fu senza dubbio facilitata dal silenzio che ad un certo punto avvolse la vicenda dell'ex-gesuita. Costui fece infatti rientro in patria nel 1963, ma fu ignorato praticamente da tutti, in primis da chi lo aveva lanciato anni prima nell'agone politico, fatta eccezione per alcuni intellettuali del PCI come Ambrogio Donini.

Il motivo era che, negli anni berlinesi, oltre a sperimentare una cocente e inaspettata marginalità, Tondi aveva potuto ammirare di persona le conquiste del socialismo reale, dalla Polonia alla Cecoslovacchia alla stessa Russia, in cui aveva compiuto lunghi viaggi. Era insomma tornato alquanto traumatizzato e avviato sulla strada di un ultimo, definitivo pentimento, che si sarebbe manifestato soprattutto in due successivi momenti.

Quali?

Andrea Galli: Nel '63 Tondi e la Zanti, che si erano sposati civilmente, chiesero ed ottennero dal Pontefice la sanatio in radice del proprio matrimonio, che fu elevato alla dignità di sacramento. E alla morte di Lei, nel 1978, Tondi riuscì addirittura a farsi reintegrare nello stato sacerdotale, venendo incardinato nella diocesi di Reggio Emilia, dove visse gli ultimi anni della vita celebrando la Santa Messa.

Ma altrettanto significativa fu l'autobiografia che Tondi lasciò incompiuta al momento della morte, avvenuta nel settembre del 1984, e il cui manoscritto, rimasto intatto fra le sue carte personali, è tornato alla luce dopo vent'anni di oblio.

Un testo frammentario e più volte rimaneggiato, dominato dall'amarezza per un'ideologia abbracciata a suo tempo come verità, per le miserie umane di tante realtà attraversate nell'arco di una vita: "In questo libro si leggeranno parecchie critiche rivolte al Partito Comunista Italiano ma non soltanto a lui e alcuni riconoscimenti", si legge all'inizio della narrazione.

Ma soprattutto pagine punteggiate dalle prese di distanza rispetto agli scritti anticlericali degli anni '50, dalla confutazione delle dicerie complottistiche sul suo conto e dalla riaffermazione di una fede cristiana pienamente ritrovata.

Oltre che ornate dall'omaggio postumo a figure come Papa Montini: "Paolo VI era completamente diverso. La prima volta che gli parlai fu in Vaticano, quand'egli era in Segreteria di Stato. Modesto, semplice, naturale, schietto, quest'uomo mi fece un’impressione profonda, indimenticabile. Mi trovai subito a mio agio e capii di avere di fronte una personalità straordinaria".

O dai ricordi commossi della moglie Carmen, morta secondo Tondi da credente, nonostante il parere contrario di parenti e compagni di partito, che pretesero per lei un funerale rigorosamente civile. Tondi e moglie che, per la cronaca, oggi riposano uno accanto all'altra nel cimitero di Cavriago, il piccolo paese in provincia di Reggio Emilia che diede i natali, oltre che a Carmen Zanti, a un personaggio emblematico nel rapporto tra cattolicesimo e comunismo, quale fu Giuseppe Dossetti.

 ci salvi la Vergine Maria dal Comunismo....e protegga i suoi Sacerdoti...


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Storia di un vescovo romeno per 16 anni nelle prigioni comuniste

CITTA’ DEL VATICANO, martedì 23 marzo 2004 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il doloroso racconto del Monsignor Tertulian Ioan Langa, dell’Eparchia di Cluj-Gherla (Romania), sui suoi lunghi anni di prigionia, fatto a margine della Conferenza Stampa di presentazione del volume: "Fede e martirio. Le Chiese orientali cattoliche nell’Europa del Novecento". [SM=g1740720]

Alla presentazione del volume, frutto degli Atti del Convegno di storia ecclesiastica contemporanea tenutosi nella Città del Vaticano, nei giorni 22-24 ottobre 1998, hanno partecipato anche il Cardinale Ignace Moussa I Daoud, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; il Prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio; e il Monsignor Pavlo Vasylyk, Vescovo dell’Eparchia di Kolomyia-Chernivtsi (Ucraina).



* * *



Il mio nome è Tertulian Langa e della mia vita sono ben 82 gli anni che non ho più. Di questi, 16 regalati alle prigioni comuniste …

Avendo come formatore spirituale, già dalla prima adolescenza, colui che sarebbe stato il Vescovo martire Ioan Suciu, e poi come guide intellettuali altri tre martiri - Monsignor Vladimir Ghika, il Vescovo Vasilie Aftenie e il Vescovo Tit-Liviu Chinezu, tutti vittime del comunismo ateo - era normale che tutta la mia vita portasse l’impronta della loro spiritualità.

Attraverso loro ho scoperto cosa sia il comunismo, cosa significhi eliminare Cristo dalla vita sociale e quanto mutilata possa diventare l’anima umana, l’intera società e la famiglia senza Chiesa, senza la Santissima Eucaristia e senza il culto della Santissima Vergine. In più, come uomo con il senso della realtà storica e sociale, non ho potuto ignorare la massiccia e minacciosa presenza sovietica atea alle frontiere della Romania e della nostra spiritualità. A questi fattori devo tutto l’orientamento spirituale e storico della mia vita. A me spetta soltanto la recettività.

La presenza violenta ed atroce del comunismo ateo non ha costituito per gli occidentali una realtà immediata e concreta, ma meramente libresca. Ciò spiega la differenza flagrante di percezione e di reazione di fronte al comunismo che manifestano i cristiani e gli intellettuali di Occidente, paragonata a coloro, nell’Est europeo, che hanno vissuto e subìto il mondo comunista.

A 24 anni, nel 1946, ero un neo assistente alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Bucarest. La presenza brutale e umiliante delle truppe sovietiche, che avevano occupato quasi un terzo del territorio nazionale, l’ho subìta, a livello personale, col fatto che mi era stato intimato, come membro del Corpo didattico universitario, di iscrivermi di urgenza nel Sindacato manipolato dal Partito comunista e imposto al potere dai blindati sovietici.

Già d’allora ero pienamente edificato sul fermo atteggiamento magisteriale che la Chiesa Cattolica aveva adottato contro il comunismo dichiarato avente un male intrinseco. Con questa informazione di principio radicale non trovavano posto nella mia coscienza pretesti per un compromesso. Ho rinunciato alla carriera universitaria, presentando spontaneamente le dimissioni e ritirandomi in campagna come operaio agricolo; ma non fu sufficiente, poiché ero conosciuto, già alla Facoltà, come militante cattolico e anticomunista.

Velocemente fu improvvisato a mio carico anche un dossier penale; e visto che le accuse si fondavano su fatti che il Codice Penale non incriminava fino a quell’epoca (rapporti stretti con il nostro Episcopato, con la Nunziatura, e anche l’apostolato laico), il mio Dossier fu affiancato a quello della grande industria.

Dopo atroci trattamenti durante gli interrogatori, il Procuratore, in istanza, dichiarò che "Al dossier dell’accusato non si trova nessuna prova sulla sua colpevolezza; ma chiediamo il massimo della pena: 15 anni di lavori forzati. Poiché, se non fosse colpevole, non si troverebbe qui" – in una perfetta logica atea. Replicai: "Non è possibile che mi condanniate senza avere nessuna prova!" "Non è possibile ? Guarda come è possibile: 20 anni di lavori forzati per aver protestato contro la Giustizia del popolo. Questa è la sentenza definitiva ed irrevocabile". Quindi è stato possibile …

Considero che sia un esempio edificante, per chiunque, su che cosa significhi una giustizia comunista, come quella che noi abbiamo sopportato e subìto e ancora subiamo, ora che stiamo per rientrare in Europa. Ciò avveniva quando la Chiesa Greco-Cattolica di Romania ancora non era stata messa fuori legge, quando si dava per scontato che il mio arresto e le torture inflittemi sarebbero riuscite a trasformarmi in uno strumento a favore della futura incriminazione dei Vescovi nostri, della Chiesa Greco-Cattolica, e della Nunziatura.

Riferisco soltanto alcuni momenti più significativi, tra le centinaia che ho vissuto, durante gli interrogatori e la detenzione nelle prigioni e nei campi di sterminio comunisti. Sono stato arrestato a Blaj, nell’ufficio del Vescovo Ioan Suciu, allora Amministratore Apostolico della Metropolia Greco-Cattolica di Romania.

Mi ero presentato al Capo della nostra Chiesa per chiedere un consiglio alla Santa Provvidenza, giacché il mio padre spirituale, mons. Vladimir Ghika, era all’epoca nascosto. Mi era stata offerta da qualcuno la possibilità di partire per l’estero. Trattandosi di un passo importante, non volevo compierlo senza confrontarlo con la Provvidenza. E la risposta arrivò: il mio arresto. Capivo che avrei passato la mia vita, a tempo indeterminato, nelle prigioni create dal regime comunista, ma ero sereno: seguivo il percorso della Santa Provvidenza …

Descriverò un particolare momento. Era il Giovedì Santo dell’anno 1948. Fino allora, per due settimane, ogni giorno ero percosso con un ferro, sulla pianta dei piedi, attraverso gli scarponi: dei veri fulmini sembrava che mi percorrevano la spina dorsale e mi esplodevano nel cervello, senza però che mi fosse rivolta alcuna domanda: mi preparavano col ferro, per arrivare più morbido all’interrogatorio.

Legato dalle mani e dai piedi e appeso con la testa verso il suolo, i miei carcerieri mi avevano infilato in bocca un calzino, usato a lungo negli scarponi e in bocca da altri beneficiari dell’umanismo socialista. Il calzino era diventato il nuovo metodo antifonico attraverso il quale si impediva al suono di oltrepassare il luogo dell’interrogatorio. D’altra parte, era praticamente impossibile emettere un solo gemito. Per di più, mi ero autobloccato psichicamente: non ero più capace di gridare o di muovermi.

I miei torturatori hanno interpretato questo atteggiamento come fanatismo da parte mia. Continuarono più accaniti, alternandosi nel torturarmi. Notte dopo notte e giorno dopo giorno. Non chiedevano nulla, poiché non era la risposta ciò che li interessava, ma l’annichilamento della personalità, fatto che tardava ad avverarsi. E allungando sempre lo sforzo di annichilire la mia volontà, di ottenebrare il mio pensiero, si prolungava indefinitamente la tortura. Gli scarponi sfracellati mi caddero dai piedi, pezzo dopo pezzo.

Nella notte, nei paraggi, in una chiesa sperduta, si celebrava un ufficio liturgico, come pianto dai suoni spenti di campane spaventate. Trasalii. Gesù avrà sentito tutto per intero il mio grido muto, quando, in qualche modo, ho urlato. E come se ho urlato! Come dall’inferno: GESÙ! GESÙ! ... Evaso attraverso il calzino, il mio grido non è stato compreso.

Ma, trattandosi del primo suono che sentivano, gli aguzzini si dichiararono contenti, considerando che mi avevano piegato. Poi, mi trascinarono con la coperta, fino alla cella dove svenni. Al mio risveglio, davanti a me stava l’inquirente, con in mano una risma di carta: "Ti sei ostinato, bandito, ma non uscirai di qui finché non avrai tirato fuori tutto ciò che tieni nascosto dentro. Hai 500 fogli. Scrivi tutto ciò che hai vissuto: tutto su tua madre, su tuo padre, sulle sorelle, i fratelli, i cognati e i parenti, i compagni e i conoscenti, i Vescovi, i Sacerdoti, i religiosi e le religiosi e su politici, i Professori, i vicini e i banditi come te. Non ti fermare finché non avrai finito la carta.

Ma non scrissi nulla; non per chissà quale fanatismo, ma perché non ne avevo la forza.
Dopo circa quattro giorni, lo stesso individuo: "Hai finito di scrivere?" Vedendo che i fogli non erano stati toccati, disse: "Se così stanno le cose, spogliati! Ti voglio vedere come Adamo nel paradiso!" Certo, perché di nuovo non avevo scritto nulla. Non soltanto il corpo, ma sembra che anche la mente era svuotata.

Passarono così altri giorni, vissuti a pelle nuda, sul pavimento di mosaico: conforto specifico del socialismo umano. Un altro individuo mi si presentò, dopo un po’ di tempo, davanti alla porta. "Vediamo, cosa c’è allora sulla carta? ... Nulla, non hai nulla ? Sempre ostinato! Abbiamo anche altri metodi." Dopo di che uscì. Ritornò accompagnato da un cane-lupo immenso, con le zanne minacciose, in vista.

"La vedi? E’ Diana, la cagna eroina, alla quale hanno sparato i tuoi banditi sulle montagne [1]. Lei ti insegnerà cosa devi fare. Comincia a correre!". "Come a correre in una stanza di soli 3 metri?". Nella stanza c’era poi una lampadina di 300 watt: enorme per una stanza larga solo 2 metri e lunga solo 3; lampadina fissata non in alto, ma sul muro, a livello del viso. "Comincia a correre!" La lupa, ringhiando in modo truce, stava pronta ad attaccare.

Corsi per circa sei – sette ore, ma di ciò mi resi conto soltanto verso l’alba, vedendo la luce facendosi strada nella cella e sentendo movimenti nell’edificio. Ogni tanto faceva uscire la lupa per i bisogni. A me non era concesso … Quando cominciai a perdere l’equilibrio e accennavo a fermarmi, la lupa vigilante, come al comando, mi ficcava le sue zanne nella spalla, nella nuca e nel braccio …

Ho corso, sotto i suoi occhi e le sue zanne, per ben 39 ore, senza interruzione! Ma alla fine, crollai. Non ho adesso il tempo a disposizione per descrivervi la psicologia di una corsa sotto la minaccia di una lupa. Quando mi fermai, si lanciò su di me.

Mi azzannò il collo, senza strozzarmi però la gola. Come stavo così, sdraiato, vedevo solo una forma indefinita scura. Non riuscivo a distinguere bene. Soltanto quando, sulla fronte e sulle palpebre, sentii scorrere qualcosa caldo e bruciante, capii che la bestia, schifata, mi orinò sul viso. Dalle parole dei miei carnefici, ho capito che avevo corso per 39 ore. "Questo lo possiamo mandare alla maratona di Rio! Che resistenza, la bestia fascista!" Vedendo che nemmeno la Maratona era riuscita a convincermi a rilasciare una dichiarazione sui Vescovi, sulla Nunziatura, o su qualche compagno ricercato, ritennero utile passare ad un altro metodo di convincimento: il sacchetto di sabbia.

Il giorno dopo, in un ufficio, mi legarono, mani e piedi, su una sedia, davanti a un tavolo con un sacchetto sopra. Non riuscivo a decifrare il decoro. Dietro si è impalato un aguzzino: muto, come un intero paese imbavagliato. Ad una scrivania nell’angolo, un individuo calvo con un pizzetto di caprone, che si voleva rassomigliante a Lenin.

Muto anche lui, fece un segno muovendo solo la testa. Il mio boia capì il comando. Prese in mano il sacchetto e me lo scaraventò in testa, non molto violento, ma ritmico, accompagnando ogni colpo dalla parola: PARLA! e di nuovo: PARLA! decine di volte, centinaia di volte, non so, magari migliaia: PARLA! Solo che nessuno mi chiedeva qualcosa. Soltanto una voce di caverna, monotona, mi ficcava nel cervello l’idea imperativa e irreprensibile di dire, di rispondere ad ogni domanda sottoposta alla mia coscienza dall’organo inquisitore.

Non mi fu difficile di decifrare la satanica idea di voler eliminare e subordinare la mia volontà. Dopo circa 20 colpi, cominciai ad applicare, anche lì, il principio morale: Agere contra, dicendomi in coscienza: NON PARLO ! ad ogni colpo: NON PARLO ! decine di volte, centinaia di volte. Con l’auto-suggestione mi ero impiantato lo stereotipo NON PARLO ! - l’unica maniera per non essere manovrabile, col rischio di diventare schiavo di quest’unico modo di esprimermi.

Il fatto si confermò d’altronde quando, d’allora in poi, automaticamente, irreprensibilmente, ad ogni domanda rivoltami, non importa su quale argomento, io rispondevo con NON PARLO ! Mi rendevo conto del blocco intellettuale e addirittura intravedevo un farsi permanente di questo stato. Tentai, per un anno intero, di combatterlo, e con molta difficoltà riuscii a liberarmi di questo sinistro riflesso automatico.

Come soggetto privo di valore e interesse negli interrogatori, fui trasferito nella prigione sotterranea della zona paludosa di Jilava, profonda, a 8 metri sotto terra, che era stata costruita un tempo come fortezza di difesa della Capitale, ma allora completamente inutilizzabile, a causa delle forti infiltrazioni di acqua che penetravano il beton. Nulla e nessuno vi resisteva.

Solo l’uomo, il più alto tesoro del materialismo storico! Nelle stanze di Jilava, i poveri uomini facevano l’esperienza delle sardine: però non nell’olio, ma nel succo proprio, di sudori, orine e acque di infiltrazione, che scorrevano senza sosta sulle mura. Lo spazio era sfruttato nel modo più scientifico: lungo due metri e largo ventotto centimetri, per una persona stesa per terra, sul fianco. Alcuni, più anziani, stavano stesi su delle tavole di legno, senza lenzuola o coperta. Il contatto col legno avveniva mediante l’osso omerale, la protuberanza più rilevante dell’articolazione cogito-femorale, e la parte esterna del ginocchio e della caviglia. Stavamo sulla punta delle ossa, per occupare uno spazio minimo.

La mano non poteva appoggiarsi che sull’anca o sulla spalla del vicino. Non resistevamo così più di mezzora; poi tutti, al comando, poiché non era possibile separatamente e uno dopo l’altro, ci voltavamo sull’altro fianco. La catasta di corpi stipati, così disposti, aveva due livelli, improvvisandosi in un letto a castello. Al di sotto di questi due, c’era un terzo livello, dove i detenuti giacevano direttamente sul cemento.

Sul cemento i vapori di condensa dal respiro dei settanta uomini, assieme alle acque di infiltrazione e all’orina che non entrava più nelle latrine improvvisate, costituivano una miscela viscosa in cui serpeggiavano i malcapitati di quest’ultimo livello. Al centro della stanza-tomba di Jilava troneggiava un recipiente metallico, di circa 70-80 (settanta-ottanta) litri, per l’orina e le feci di 70 uomini. Non aveva coperchio, perciò l’odore e il liquido traboccavano abbondantemente. Per raggiungerlo, si supponeva che eri già passato per il "filtro", vale a dire per un controllo severo applicato a pelle nuda, controllo nel quale veniva verificato l’intero organismo ed ogni orificio.

Con una o bacchetta di legno ci raspavano in bocca, sotto la lingua e le gengive, nel caso in cui i banditi avessero nascosto qualcosa. La stessa bacchetta ci perforava le narici, le orecchie, l’ano, sotto i testicoli, rimanendo sempre la stessa, rigorosamente la stessa per tutti, come segno dell’egualitarismo che assicurava la stessa norma per tutti.

Le finestre di Jilava non erano per offrire la luce, ma per ostacolarla, poiché tutte erano attentamente inchiodate con tavole di legno. La carenza d’aria era così grande che per respirare, tre per volta, ci susseguivamo, a turni, pancia in giù, con la bocca accanto allo spiraglio della porta, posizione in cui contavamo rigorosamente 60 respiri, affinché anche altri compagni potessero riprendersi dallo svenimento e dall’ipossiemia [2] .Contribuivamo, a nostro modo, all’edificazione del più umano sistema del mondo …

Sapevano queste cose Churchill e Roosevelt, quando, con un colpo di penna, sul tavolo della vergogna di Teheran, stabilivano che noi Rumeni fossimo dei destini macinati dalle fauci del moloc [3] Orientale rosso, che facessimo da cordone di sicurezza per la loro comodità ? E la Santa Sede poteva forse immaginare qualcosa?

Da Jilava, saltando dei lunghi anni di profanazioni umane, siamo stati trasferiti, catene a piedi, al carcere di massimo isolamento, chiamato Zarka [4], padiglione di terrore della prigione di Aiud. L’accoglienza ricevuta si è svolta secondo lo stesso rituale sinistro, diabolico, di profanazione dell’uomo creato dall’amore di Dio.

La stessa raspatura, gli stessi stivali tremendi che ci si ficcavano nelle costole, nella pancia e nei reni. Nonostante ciò, notammo una differenza: non eravamo più sottoposti al regime di conservazione in orine, sudori, condensa e ipossiemia, ma siamo stati sottomessi ad una intensa cura di ossigenazione. A pelle nuda, bandito dopo bandito (da intendere ministri, generali, professori universitari, scienziati, poeti) e il sottoscritto, che non rappresentavo nulla, tranne che un NON PARLO ! gigante, una ferma e umile fiducia nella grazia che mi avrebbe fatto superare la prova.

Tutti dovevamo scomparire come nemici del popolo. Altrimenti, non poteva più farsi avanti il tanto proclamato Uomo nuovo sovietico, uomo che ancora si perpetua sulla nostra sofferenza. La cella in cui ero stato introdotto non conteneva nulla: né letto, né coperta, né lenzuolo o cuscino, né tavolo, né sedia, né stuoia e nemmeno finestre. Soltanto sbarre di acciaio, ed io, come tutti gli altri, da solo nella cella: mi meravigliavo di me stesso, vestito con la sola pelle e coperto dal freddo.

Era verso la fine di novembre. Il freddo si faceva sempre più penetrante, come uno scomodo compagno di cella. Dopo circa tre giorni, dalla porta violentemente sbattuta mi furono buttati un pantalone usato, una camicia di maniche corte, mutande, una divisa a strisce e un paio di scarponi del tutto consumati, senza lacci, senza calzini. Nulla da mettere in testa.

E’arrivata in cambio una specie di latrina, un oggetto misero di circa quattro litri. Mi sono vestito come un razzo; congelato, il quarto giorno ci hanno contati. Al posto del nome, mi hanno dato un numero: K-1700 – l’anno in cui la Chiesa della Transilvania si ri-univa con Roma. Anagraficamente, ero già ucciso. Sopravvivevo solo statisticamente. Arrivò poi il "brodo", servito col mestolo da 125 (centoventicinque) grammi: uno lungo fluido risultato dalla bollitura della farina di mais.

Come pranzo ci fu distribuita una minestra di fagioli, nella quale ho potuto contare all’incirca otto, nove chicchi, con parecchie bucce vuote, senza contenuto. Per la cena, ci portarono un tè di crosta di pane bruciato. Dopo una settimana, i fagioli furono sostituiti da un passato di crusche, nel quale ho scoperto quattordici chicchi. Di tanto in tanto, i fagioli si alternavano con il passato di crusche. Vivevamo con meno di quanto riceve una gallina. Per sopravvivere al freddo, eravamo costretti a muoverci continuamente, a far ginnastica. Nel momento in cui cadevamo stremati dalla stanchezza e dalla fame, precipitavamo nel sonno; un sonno di qualche secondo, giacché il freddo era tagliente.

Da un tale sonno mi svegliò un giorno una voce proveniente dall’altra parte del muro: "Qui Professor Tomescu (ex Ministro della Sanità). Chi sei ?" Sentendo il mio nome, disse: "Ho sentito parlare di te. Ascoltami attentamente: siamo stati portati qui per essere sterminati. Non collaboreremo mai con loro. Ma chi non si muove, muore e diventa quindi collaboratore. Trasmettilo agli altri: chi non si muove, muore! Passeggiare senza sosta! Chi si ferma, muore!" Il padiglione, immerso nel silenzio lugubre della morte, risuonava sotto i nostri scarponi senza lacci. Eravamo animati dall’enigmatica volontà del popolo di rimanere nella storia e della vocazione della Chiesa di rimanere viva.

Ci fermavamo dal camminare solamente intorno alle 12,30, per una mezzora quando il sole si fermava avaro per noi nell’angolo della stanza. Là, rannicchiato col sole sul viso, rubavo un fiocco di sonno e un raggio di speranza. Quando il sole mi abbandonava anche lui, sentivo però di non essere abbandonato dalla Grazia. Sapevo di dover sopravvivere. Camminavo, dicendomi come in un ritornello, come privo di ragione, avanzando sillabando: NON VOGLIO MORIRE ! NON VOGLIO MORIRE ! e non sono morto ! Con ogni passo cadenzavo nella mente una preghiera, componevo litanie, rimembravo Salmi.

Continuammo a passeggiare, così, inciampando verso la morte, 17 (diciassette) settimane. Chi non ebbe la forza o la determinazione di muoversi, si fermava nella morte. Degli 80 uomini entrati nella Zarka, appena 30 sopravvissero. La sbarre di ferro, piano piano, si rivestivano di brina, formatasi dagli aliti di vita del nostro respiro, brillante abito di passaggio verso il cielo.

Ero convinto, credevo fortemente che sarei arrivato fino ai margini della notte. Ma avevo ancora lunga strada da percorrere. Arrivato poi in ciò che immaginavo dovesse essere la libertà, costatai che non era in realtà che un nuovo modo di essere della notte, che il gelo tra la Chiesa Greco-Cattolica e la Gerarchia della Chiesa Sorella non si lasciava sciogliere ancora; le nostre chiese continuavano ad essere confiscate, e il gregge diminuiva sempre, ucciso dalle promesse. Ma anche il Signore Cristo ha vinto soltanto quando ha potuto pronunciare con l’ultimo respiro: Consummatum est ! ... (Tutto è compiuto! )
Umilmente chiedo perdono a tutti coloro che "non ci sono più", per aver accettato che le centinaia di anni di prigione dei martiri dell’Unione li comprimessi in appena qualche pagina.

Non ho scritto molto di queste drammatiche esperienze. Chi può credere a ciò che sembra incredibile? Chi può credere che le leggi della biologia possono essere superate dalla volontà ? E se dovessi raccontare i miracoli che ho vissuto ? Non sarebbero considerati delle fantasmagorie? Sopporterei più difficilmente questo che non altri anni di prigione. Ma nemmeno Gesù è stato creduto da tutti coloro che l’hanno visto … Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui (Gv 6,66).

Nulla è per caso nella vita. Ogni attimo che il Signore ci concede è gravido della Grazia – impazienza benevola di Dio – e della nostra chance di rispondergli o temerarietà di rifiutarlo. Spetta a ciascuno di noi di non ridurre tutto a un semplice racconto duro, feroce, incredibile. E’ invece un momento per capire che la grazia accolta non frena l’uomo, ma lo porta oltre le sue aspettative e forze e "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (cfr. Mt 16,18); e che con questo incontro il Signore aspetta da ciascuno un agire personale e professionale. Questa testimonianza, cosa serve a me che racconto, come aiuta voi qui presenti, aprirà essa o chiuderà la porta di chi, tramite voi, la conoscerà ? Spero di cuore che apra una finestra di Cielo. Perché è di più il cielo sopra di noi che non la terra sotto i nostri piedi.
______________________________
1 Le Montagne Făgăras famose come luogo di resistenza dei partigiani anticomunisti.
2 Carenza di ossigeno nei tessuti.
3 Dio semitico cui si sacrificavano vittime umane; (fig.) essere o entità di mostruosa e malefica potenza.
4 Significherebbe un carcere chiuso, gattabuia, di dimensioni ridotte, al buio.


[SM=g1740720] [SM=g1740750]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Gli orrori della “cacciata di Cristo” dalla storia


Intervista a Rosa Alberoni, autrice di un libro sull’argomento


ROMA, domenica, 12 marzo 2006 (ZENIT.org).- E’ appena arrivato in libreria il volume scritto da Rosa Alberoni: “La cacciata di Cristo” (Rizzoli, pp. 222, 17 Euro), in cui l’autrice spiega, con estrema chiarezza, gli orrori creati dalle ideologie che hanno voluto respingere Cristo dalla storia.

In particolare la professoressa Alberoni, Docente di Sociologia Generale alla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, indica nel Giacobinismo, nel Comunismo e nel Nazismo, tre prodotti di questo modo di pensare.

Il volume parte dalla considerazione espressa più volte dai Pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, secondo cui “la storia ha ampiamente dimostrato che fare guerra a Dio per estirparlo dal cuore degli uomini porta l’umanità impaurita e impoverita verso scelte che non hanno futuro”.

Secondo Rosa Alberini, queste tre ideologie “hanno cacciato Cristo per poter schiacciare i popoli esattamente seguendo quanto detto da Voltaire che aveva urlato ‘schiacciate l’infame’ cioè Cristo”.

Dopo aver approfondito in forma chiara e scorrevole le idee e le figure di René Descartes (Cartesio), Jean Jacques Rousseau, Jean-Antoine-Nicolas-Caritat, marchese di Condorcet, Gianbattista Vico, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Karl Marx ed Adolf Hitler, la Docente di Sociologia spiega perché Cristo ed il Cristianesimo rappresentano l’unica e grande rivoluzione, quella che dà senso alla vita umana e traccia le strade della civiltà.

La professoressa Rosa Alberoni è anche giornalista e scrittrice. Ha una rubrica sul “magazine del Corriere della Sera” ed ha pubblicato numerosi saggi e romanzi. Di seguito vi proponiamo l’intervista da lei concessa a ZENIT.

Nel suo libro lei sostiene che l'Illuminismo e soprattutto demagoghi come Rousseau eliminano Dio, negano Cristo, legittimano la dittatura, cancellano gli individui e diffondono il paganesimo. Può spiegarci il perché di questo giudizio così drastico?

Rosa Alberoni: Non è un giudizio, è una constatazione incontestabile. E’ storia. E la storia è ostinata perché mostra i fatti: i campi di concentramento, le tombe, l’arroganza dei dittatori come Robespierre Stalin e Hitler che hanno messo in pratica i modelli di società proposti da Rousseau e da Marx. D’altra parte basta leggere quanto Rousseau scrive nelle sue opere politiche “Discorso sull’origine della disuguaglianza” e nel “Contratto Sociale” per verificare la mostruosità del suo pensiero.

Nella storia della cacciata di Cristo dall’Europa il posto più eminente va dato a Rousseau, il capostipite degli Anticristo. Con l’idea del buon selvaggio, il filosofo francese nega la Creazione da parte di Dio e la Redenzione di Cristo dell’uomo, e rifiuta ogni progresso storico perché sarebbe espressione di corruzione e degenerazione. Per Rousseau le cause prime della degenerazione del buon selvaggio sono addirittura l’uso della libertà e la famiglia. Nella sua opera il “Contratto Sociale”, il filosofo francese disegna una società disumana, dove gli uomini “cedono”, “alienano” senza possibilità di ritorno tutta la loro umanità al “Corpo Sovrano” che governa mediante una divinità astratta che è la “Volontà generale”. Così un popolo dovrebbe immolarsi per aver in cambio la schiavitù più feroce. Una forma di schiavitù mai esistita prima nella storia dell’umanità. Neanche Moloch, il dio babilonese dei sacrifici umani aveva chiesto tanto. Oggi sappiamo che il concetto di “Volontà generale” di Rousseau ha dato legittimità al totalitarismo, un modello preso come esempio dalle peggiori dittature del ventesimo secolo: Comunismo e Nazismo.

La Rivoluzione francese non è stata solo una guerra fra aristocrazia e nascente borghesia ma è stata anche una guerra scatenata contro il Cristianesimo. Un guerra per sostenere le diverse divinità e idoli di una nuova religione quella cosiddetta “dei lumi”, sempre con l’intento di cacciare Cristo ed il suo messaggio rivoluzionario e redentore. Rousseau, Condorcet, Robespierre, hanno negato Dio e cacciato Cristo, presentandoci prima un dio dei deisti, indeterminato senza nome, senza una storia sacra, poi ci hanno presentato il dio dei massoni, il Grande Architetto dell’Universo con tante divinità. Il corpo sovrano identificato con “la Repubblica”, la “Volontà generale” di Rousseau e infine la “dea ragione” dei giacobini a cui viene tributato addirittura un culto pubblico. Tutti questi dei hanno un solo avversario: la Chiesa di Cristo.

Vorrei ricordare che il 6 ottobre 1793, la Convenzione francese abolì la datazione cristiana e la sostituì con quella rivoluzionaria. Per i rivoluzionari francesi la storia non inizia con Cristo, ma con la Repubblica francese e la dea ragione. In merito alla storia della scienza, forse oggi si dimentica che la scienza moderna è nata sui principi della civiltà cristiana. E poi Nicola Copernico, Galileo Galilei, Giovanni Keplero, Isaac Newton e Biagio Pascal erano tutti cristiani credenti.

Lei sostiene che Gesù è il più grande rivoluzionario della storia. Perché?

Rosa Alberoni: Perché Gesù proclama che tutti gli uomini sono fratelli e quindi uguali dinanzi al Padre celeste. In questo modo Cristo elimina gli steccati della dignità umana, posti sin dai primordi della storia fra nobili e plebei, fra forti, sani e belli, e malformati ed emarginati. Con la sua rivelazione Gesù dà a ciascuno la certezza che il Padre ama tutti i figli allo stesso modo.

Al Padre non interessano le diversità fisiche, razziali, sociali, culturali dei propri figli, ma solo la purezza del loro cuore, il loro agire sulla terra. Perché il suo è il regno dello Spirito, che è eterno, e non della materia, che è contingente.

Gesù conquista prima il cuore e poi la mente degli uomini, scardina l’antica mentalità pagana, rivoluziona l’essenza dell’essere umano e del Suo essere nel mondo. L’avvento di Cristo illumina il progresso terrestre con la speranza, per i credenti si ha la certezza che veniamo da Dio e a Dio ritorneremo. Il passaggio sulla terra è un pellegrinaggio, una prova per riconquistarsi il Paradiso perduto. Chiunque può redimersi con le proprie azioni e con atti d’amore. Ma anche per chi non crede, il percorso storico è illuminato di senso, perché sa che ciò che compie e produce nel tempo è utile per l’avvenire.

Il Cristianesimo spezza i cicli della mentalità pagana, caccia il fato e con esso l’idea dell’ineluttabilità della distruzione delle civiltà e affida alla responsabilità dell’uomo il proprio avvenire, oltre a rassicurarlo con la presenza costante della provvidenza. Il Cristianesimo dà un senso e una meta alla vita terrena.

Si può davvero cacciare Cristo dalla storia?

Rosa Alberoni: Cristo no, ma i cristiani sì. Abbiamo oggi altre civiltà che vedono le nazioni dove si è insediata da duemila anni la civiltà cristiana, soprattutto l’Europa, come un territorio da conquistare. E’ ora, quindi, che i figli della civiltà cristiana - credenti e non credenti - si sveglino e difendano la propria identità - cioè la propria cultura e la propria tradizione - che è seriamente minacciata. Se cediamo alla tentazione della paura e alla tentazione del relativismo finiremo presto schiavi. E molti saranno martiri come è già avvenuto con il giacobinismo il comunismo e il nazismo.

Come valuta l’Enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI?

Rosa Alberoni: L’amore è la cosa più grande. Essere innamorati, pensare insieme, costruire la casa e la famiglia, pensare al futuro, tutto questo è stato descritto da mio marito (Francesco Alberoni ndr) come l’amore vero che trasfigura. È naturale che i giovani provino attrazione fra di loro ma bisogna non confondere l’infatuazione con l’amore. Ebbene leggendo Deus caritas est posso dire che non ho mai provato nessun autore che conosca così bene e che abbia descritto così profondamente che cos’è l’amore. Non ho mai trovato un libro così chiaro e vero sull’amore, come l’Enciclica di papa Benedetto XVI. Il Pontefice è veramente un grande scrittore, la limpidezza del suo pensiero è straordinaria




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I DANNI DEL COMUNISMO.....leggere anche il terzo post qui, a firma di Padre Scalese sul caso Dossetti-Bozzo....

Leggere l’ultimo libro di Baget Bozzo e scoprire i segreti dell’utopia dossettiana
 di Roberto de Mattei



Le trasformazioni di un “professorino” costituente e partigiano. Il rapporto con Prodi, la sconfitta del modello Berlinguer e la vera influenza avuta da Dossetti nel centrosinistra.

[Da «Il Foglio», del 22 luglio 2009]

Il rapporto tra cattolici e comunisti resta la principale chiave interpretativa della storia italiana del Secondo dopoguerra. Questo rapporto fu teorizzato e vissuto da due forti personalità intellettuali, pur tra loro divergenti: Giuseppe Dossetti (1913-1996) e Franco Rodano (1920-1983). Per entrambi il comunismo non fu il nemico, ma l’occasione storica per realizzare il programma sociale cristiano, che essi contrapponevano al sistema capitalistico dell’occidente.

Il compito dei cattolici, secondo Rodano, doveva essere quello di dare dimensione religiosa e metafisica, all’azione politica di Palmiro Togliatti. Dossetti pensava invece che si dovesse agire all’interno della Dc di De Gasperi, “rifondandola” per conquistare lo stato. Il gruppo “catto-comunista”, che faceva capo a Rodano riteneva che marxismo e cattolicesimo dovessero realizzare, nella comune prassi, una nuova idea di Rivoluzione.

Per la sinistra dossettiana, invece, l’idea di “Rivoluzione” era incorporata nella costituzione antifascista, che andava attuata in tutte le sue potenzialità.

All’inizio degli anni Settanta del Novecento, Rodano fu il mentore di Enrico Berlinguer, in cui vide il realizzatore della politica di Togliatti. L’epoca del compromesso storico, tra il 1974 e il 1978, fu quella del maggior successo comunista in Italia e, simultaneamente, della peggior crisi del mondo cattolico, che vide il passaggio del divorzio e dell’aborto, sotto governi a guida democristiana.

La morte, nel 1978, di Aldo Moro e di Paolo VI, segnò però il definitivo naufragio del progetto rodanian-berlingueriano. In quegli anni, don Giuseppe Dossetti, dopo aver abbandonato la politica attiva ed essere stato ordinato sacerdote, viveva in ritiro monastico. Il suo programma, dopo aver trovato un primo interprete in Fanfani e nei teorici della “terza via”, avrebbe conosciuto l’ora di apparente trionfo solo vent’anni dopo, con l’entrata in scena di Romano Prodi, sua creatura politica.

Franco Rodano trovò il suo più rigoroso critico in Augusto Del Noce (Il cattolico comunista, Rusconi, Milano 1981); Giuseppe Dossetti lo ha trovato in Gianni Baget Bozzo, di cui è appena uscito postumo, in collaborazione con Pier Paolo Saleri, “Giuseppe Dossetti. La Costituzione come ideologia politica” (Ares, Milano 2009). Il Foglio ha già dedicato a Dossetti ampi articoli di Maurizio Crippa e dello stesso Baget Bozzo. Chi è interessato a meglio comprendere l’influenza esercitata da Dossetti nella società italiana, troverà ora in questo volume nuovi elementi su cui riflettere.

Il pensiero di Dossetti si era in parte alimentato alle posizioni filo-fasciste dell’Università Cattolica di padre Agostino Gemelli. Si trattava, osserva Baget Bozzo, di una interruzione interruzione significativa del pensiero cattolico sul diritto naturale (p. 51). Per il giusnaturalismo cattolico, infatti, la legge naturale non può essere assorbita dal diritto positivo dello stato. Il fascismo però produsse nel mondo cattolico l’idea che fosse lo stato il garante naturale della chiesa nella società e l’unica fonte del diritto. Saleri osserva che Dossetti, proprio attraverso la sua esperienza nella Resistenza, capì che nel fascismo c’era un elemento che andava salvato, seppure in forma democratica e antifascista: lo stato che dà forma alla società in chiave anticapitalista (p. 84).
Questo stato poteva essere realizzato solo attraverso una stretta alleanza tra i cattolici e le sinistre, in particolare il Pci, in quanto partito capace di dare un senso forte alle istituzioni. “Così il dossettismo appare soprattutto come una connessione nel mondo cattolico, tra la concezione fascista e quella comunista dello stato, nella forma che essa prese in Italia, un paese che doveva rimanere occidentale e in cui il comunismo non poteva prendere il potere in forma rivoluzionaria” (p. 52).

Il ruolo politico di Dossetti è legato a due momenti precisi: il 1948, che vide il giovane “professorino” trasformarsi nel sagace “costituente” che trattò con Togliatti l’articolo 7 della costituzione, e gli anni Novanta, quando l’antico costituente si trasformò in un nuovo “partigiano” della costituzione repubblicana.

In quel momento, dopo il crollo del muro di Berlino, vi era una sola possibilità per i comunisti di cambiare la situazione politica: servirsi della magistratura, che poteva non essere soltanto un potere delle istituzioni, ma anche “un potere sulle istituzioni”.

Per Dossetti l’azione della magistratura corrispondeva alla sua tesi fondamentale, quella per cui la Resistenza era incorporata nella costituzione e le forniva un valore metafisico: l’antifascismo (p. 41). La politica della costituzione antifascista divenne la chiave della legittimità politica dopo la fine dell’egemonia democristiana. I partiti antifascisti, cattolici e comunisti, erano l’essenza della Repubblica costituzionale e la democrazia italiana, secondo Dossetti, si era allontanata, con l’anticomunismo, dall’antifascismo costituzionale. I magistrati erano l’unico potere che non traeva legittimità dal voto popolare, ma dalla costituzione, senza passare attraverso i partiti. Dossetti divenne dunque il garante dell’integrità della costituzione.

Il “gran vecchio” scese dalla Montagna e ritornò sulla scena, promuovendo in tutta Italia i comitati per la difesa della costituzione, per combattere la “democrazia populista” di Silvio Berlusconi, simbolo a un tempo della società borghese e della sovranità popolare che minacciava la costituzione.

La coalizione di sinistra guidata da Romano Prodi, designato a questo ruolo dallo stesso Dossetti, riuscì a vincere le elezioni politiche contro Berlusconi, prima nel 1996 e poi nel 2006. Il ruolo di Dossetti, nelle elezioni del 1996, fu quello di un “contropotere spirituale” rispetto al Vaticano: un monaco che si sostituiva alla chiesa di Roma, assumendo su di sé il ruolo di guida spirituale dei cattolici.

Il cardinale di Milano Carlo Maria Martini fu il suo maggiore alleato. La chiesa fu costretta ad accettare l’uomo di Dossetti, legittimato da Martini, come mediatore tra la chiesa e lo stato (p. 59). Il monaco Dossetti compì in nome del suo potere spirituale ciò che il politico Dossetti aveva tessuto in forma materiale. “Dossetti e Prodi – sottolinea Baget Bozzo – appartengono alla storia religiosa d’Italia, non soltanto a quella politica” (p. 64). “Senza il tocco monastico, il dossettismo pieno e vero, cioè il prodismo, non sarebbe nato” (p. 65). Il gruppo di Dossetti aveva visto nella costituente e nella costituzione un evento rivoluzionario che dava un nuovo fondamento e un nuovo inizio alla società italiana.

Il secondo evento fu il Concilio Vaticano II. Dossetti era convinto che la collusione con il potere della chiesa post tridentina aveva portato alla separazione tra Dio e il popolo. Per riconciliarli, non era sufficiente l’azione politica, ma occorreva una riforma teologica della chiesa. Il libro di Baget Bozzo e Saleri accenna, ma lascia a margine quest’aspetto, che andrebbe integrato con la lettura dell’ampio saggio di Giuseppe Alberigo, Giuseppe Dossetti al Concilio Vaticano II, contenuto nella raccolta di saggi dello storico dossettiano, Transizione epocale. Studi sul Concilio Vaticano II (Il Mulino, Bologna 2009, pp. 393-504).

Dossetti partecipò al Concilio come “esperto” del cardinale Giacomo Lercaro, attorno a cui costituì l’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna di cui lo stesso Alberigo, e oggi Alberto Melloni, sono eredi. Durante il Concilio, Dossetti e il gruppo di Bologna cercarono di spingere la chiesa sulla via del “conciliarismo”, spogliandola del suo Primato Romano. Il tentativo di trasformare in senso “collegiale” il governo della chiesa fallì, ma la scuola di Bologna divenne il centro di diffusione dello ‘spirito del concilio’ cioè di una chiesa, come ricordò Baget Bozzo sul Foglio, del 23 febbraio 2007, liberata dalla monarchia papale e fondata dal governo dei vescovi.

Quando, il 15 dicembre 1996, il monacopartigiano muore, a 83 anni, nella Comunità da lui fondata di Oliveto, accorrono a pregare sulla sua bara il capo dello stato Oscar Luigi Scalfaro e il presidente del Consiglio Romano Prodi. Quest’ultimo, come annota il “Corriere della Sera” del 16 dicembre, afferma di aver perduto in Dossetti “la sua guida
spirituale”. Anche il cardinale Martini lo piange definendolo una “figura profetica per il nostro tempo”, e dichiarando di aver avuto in lui “un grande amico e ispiratore”.

Tredici anni della nostra storia sono da allora passati. L’ascesa al Pontificato di Benedetto XVI nel 2005 e la disfatta politica di Romano Prodi nel 2008 sono state svolte epocali che hanno visto l’inesorabile tramonto di un Dossetti profeta politico-religioso, capace di “leggere la storia” e discernere “i segni dei tempi”. Il pensiero di don Giuseppe Dossetti, come quello di Franco Rodano, è oggi archiviato nella storia delle utopie.

(Roberto de Mattei)

si ringrazia il sito: Contro la leggenda nera

dal cui sito raccomandiamo la lettura anche di questo:

La sfida al modernismo nell’enciclica Pascendi
 

di Emanuele Samek Lodovici

Nell’analisi della Pascendi Dominici Gregis (1907), l’enciclica antimodernistica di San Pio X, Samek Lodovici mette in luce gli aspetti di attualità del documento magisteriale, la sua eccezionale carica teoretica e, di converso, il dogmatismo insito nel modernismo. Perché il giudizio degli storici non può qualificare il valore dell’enciclica. (Leggi Tutto)

La coscienza liberalizzata
del Cardinal Giuseppe Siri (1906 – 1989)

La ribellione alla Humanae Vitae ha fatto leva sull’appello alla «coscienza». Ma alla persona – grande ma pur sempre soggetta a Dio creatore – e alla sua libertà vanno sempre congiunte la legge e la sanzione. La coscienza, sebbene sia la norma prossima della moralità, necessita di criteri per giudicare e non può dunque «creare» la legge. Il Cardinal Siri spiega perché in nessuno modo è possibile «liberalizzare» la coscienza.
(Leggi Tutto)







[Modificato da Caterina63 11/09/2009 23:40]
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Luigi Gedda (1902-2000) spese tutta la propria vita per l’Italia e per il Papa.

Tuttavia, oggi si ricorda soltanto che fu grazie alle sue naturali doti organizzative che venne sconfitto il blocco socialista nelle elezioni del 1948.

Infatti, nell’udienza del 10-1-1948, Papa Pio XII affermò che le previste elezioni erano "una lotta decisiva e che perciò è il momento di impegnare tutte le nostre forze", ribadendo la propria scontentezza "per gli errori commessi dai democristiani, per le beghe interne al partito, per la leggerezza con la quale essi affrontano i problemi
".

Certo, questa vittoria è il suo principale merito davanti all’Italia, ma agli occhi di Maria Santissima contano forse di più la fortezza interiore con cui Luigi Gedda sopportò la successiva, ininterrotta, opera di denigrazione e diffamazione di cui fu oggetto fino al suo ultimo giorno di vita.

Questa fortezza era il frutto di una profonda vita interiore incentrata sulla Passione. Il volumetto che, grazie ai figli spirituali del prof. Gedda confluiti negli “Operai di Cristo”, Associazione di Diritto Pontificio, oggi distribuiamo gratuitamente è uno dei molti – il più breve – che possono introdurre ad una spiritualità orientata all’azione per una nuova affermazione del cattolicesimo nel nostro martoriato Paese.


Nota: E’ possibile scaricare gratuitamente  l’opera “Getsemani” dal sito www.societaoperaia.org e vi è una recensione delle “Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare” a questo indirizzo: http://www.totustuus.biz/users/altrastoria/c281_a03.htm



4. Il Comitato Civico

L'8 febbraio del 1948, il giorno in cui Luigi Gedda su mandato di Pio XII fondò il Comitato Civico provocando la più massiccia mobilitazione delle coscienze del dopo guerra, io ero ancora ragasso iscritto alla sezione pre-juniores dell'Associazione di Azione cattolica "Contardo Ferrini" di Mondovì Breo.
Quell'anno, la situazione politica, economica e sociale dell'Italia rifletteva tutto il peso delle conseguenze drammatiche della guerra.

il fascismo era stato finalmente sconfitto, ma il futuro si presentava denso di incognite.
Si era alla vigilia delle elezioni del 18 aprile ed i cattolici temevano l'eventuale vittoria del Fronte popolare, guidato dal partito comunista italiano.
Per la verità, io allora non comprendevo la gravità della nuova situazione politica che si era creata soprattutto dal punto di vista dell'avvenire del Paese.
Pensavo che grazie all'epica insurrezione generale del 25 aprile del '45 contro gli ultimi focolai della dittatura fascista, che portò al ripristino delle libertà civiche e politiche, l'Italia non avrebbe più corso alcun pericolo.

Ero ingenuo e disinformato.

Sentivo parlare del pericolo comunista ma immaginavo una realtà lontana, anche perché a Mondovì, io che frequentavo gli ambienti giovanili cattolici, non conoscevo una sola persona che apertamente si dichiarasse comunista.
Quando però decisi di chiarire a me stesso l'argomento, di verificare se veramente il comunismo si identificava con il materialismo, con la lotta feroce alla Chiesa ed alle libertà dell'uomo, allora scattò nel mio animo, sempre tormentato dalla ricerca della verità, il desiderio di approfondire le basi teoriche di quella dottrina materialista.

Ero povero, mio padre era tornato da un campo di concentramento in Germania, ed io non avevo il denaro per acquisire i libri che mi servivano per la ricerca e, inoltre, non volevo fare sapere a nessuno, compresi i miei genitori, che avrebbero sicuramente disapprovato, quello che stavo per fare. Senza troppa convinzione, tramite l'Ambasciatore sovietico a Roma, scrissi a Stalin (25) una lettera pregandolo di volermi offrire qualche libro per conoscere la dottrina comunista.

Inaspettatamente, quindici giorni dopo ricevetti presso la mia abitazione un voluminoso pacco.
Erano i libri richiesti che mi affrettai a leggere con attenzione, quasi con avidità.

Mi convinsi subito dell'enorme pericolo per la Chiesa, per l'Italia, per la libertà di ogni uomo, rappresentato da quella dottrina che voleva annientare con l'idea stessa di Dio, ogni religione, negare ogni realtà soprannaturale e fondare tutto sul materialismo dialettico e storico
.

Oggi, in una situazione storica radicalmente mutata, con una Italia democratica inserita in un concerto di democrazie europee, non è facile comprendere quegli anni e quel periodo.
Allora si trattava di difendere l'avvenire stesso del popolo italiano, di non fare cadere il nostro Paese nella sfera di influenza del comunismo sovietico, notoriamente una dittatura peggiore della dittatura fascista.

Nacque allora, come ricordato, il Comitato Civico.
Un merito storico di Luigi Gedda, un "miracolo organizzativo senza precedenti": "...in pochi giorni i cattolici italiani vengono mobilitati grazie all'istituzione di ventimila Comitati elettorali, i quali promuovevano una propaganda diretta a fare emergere il dovere religioso e morale di impegnarsi in una "battaglia di civiltà" contro l'astensionismo e il comunismo" (26).
Da notare che il Comitato Civico non è mai stato una organizzazione partitica, non tendeva ad una rappresentanza politica.

Le motivazioni profonde della difesa della libertà erano meramente religiose.
Si combatteva il materialismo che rischiava di dilagare nelle coscienze, si contrastava l'errore favorendo il risanamento morale dell'ambiente sociale. Questo era l'insegnamento dettato e continuamente ribadito ai quadri dirigenti da Luigi Gedda e da Padre Lucio Migliaccio O.M.D., splendida figura di sacerdote e Assistente ecclesiastico nazionale dell'organizzazione.

Una missione religiosa dunque, un autentico apostolato civico, "un'articolazione tra la coscienza cristiana di un vasto elettorato e la forza politica che si propose di rappresentarlo".
Apprendemmo inoltre, attraverso le parole di Gedda, che il "cattolico-cittadino", per usare l'espressione adoperata da Paolo VI nel discorso ai Comitati Civici del 30 gennaio 1965, "è il cattolico che sente il dovere di assolvere ad una missione che oltrepassa la sua persona, una missione sociale e precisamente una missione civica, essendo il civismo un particolare aspetto dell'attività sociale della persona umana" (27).

A cento anni dalla sua nascita, la figura di Luigi Gedda gicanteggia come una dei principali artefici della grande vittoria del 18 aprile 1948.
Un merito che soltanto le generazioni di domani sapranno valutare nella giusta dimensione storica, in un'ottica religiosa e nel suo significato più autentico anche perché "il nome di Luigi Gedda è di quelli destinati a suscitare ancora oggi, passioni e polemiche. La memoria collettiva ed il lavoro di una generazione di storici tengono alla ribalta il ruolo che questo medico e scienziato di vaglia ha avuto nell'ora drammatica per l'Italia e per gli italiani del passaggio tra fascismo e democrazia, della fondazione e del consolidmento della Repubblica" (28).


Per inciso ricordo alcuni dati che a mio avviso sono sufficienti per comprendere l'ampiezza della vittoria del 18 aprile 1948: nelle elezioni per l'Assemblea Costituente del 1946, gli elettori che scelsero la Democrazia cristiana furono 8.101.004; nelle elezioni del 1948 per la Camera dei Deputati, le persone che votarono per la Democrazia Cristiana furono 12.741.299.
Un incremento di circa cinque milioni di voti, straordinario sotto ogni aspetto, che è stato reso possibile soltanto a seguito della mobilitazione generale dei cattolici operata dal Comitato Civico in un momento di svolta dall'inequivocabile significato spirituale delle vicende italiane. Difatti, come autorevolmente osserva Giuseppe Vedovato, per chiarire appunto il senso vero di quei drammatici ed esaltanti eventi "Luigi Gedda affidava a Tabor, la rivista per la vita spirituale e culturale dei laici, un articolo dal titolo: "Significato spirituale del 18 aprile" (marzo-aprile 1988) in cui inseriva quegli eventi nello sviluppo dell'Azione Cattolica negli anni Venti, trenta e Quaranta, "che rappresenta lo zoccolo sul quale la Democrazia Cristiana ha potuto raccogliere intorno a sè un elettorato ragguardevole".

Aggiungeva anzi che tutto il processo di rinnovamento della Chiesa fino ai giorni di Giovanni Paolo II è stato consentito anche grazie alla vittoria del 18 aprile ed al suo valore di libertà per tutti, per la vita politica italiana e non solo italiana. (29).
Sono convinto che la storia non si fa con il senno di poi e che la vera storia è quella che si scrive nelle coscienze; tuttavia, mi sia consentita una domanda che non vuole apparire retorica e che quasi sicuramente non potrà trovare risposta, ma che comunque ancora oggi angustia il mio animo: quale sarebbe stato l'avvenire del nostro Paese e dell'Europa senza la vittoria del 18 aprile?
Ma grazie a Pio XII, il Pontefice che con il suo Magistero ha illuminato la Chiesa "come fonte che zampilla in pubblica piazza" (30) e l'apostolo laico Luigi Gedda, l'Italia ha potuto intraprendere il suo cammino di libertà, di progresso civile, di giustizia e di pace
.


Il resto qui





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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domenica 5 aprile 2009 (blog Messainlatino)

cliccare sul link del titolo:

Mons. Marchetto: "La scuola di Bologna ha dato un'immagine del Concilio distorta e mistificatrice"


L’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e storico del Concilio Vaticano II, è intervenuto oggi all’Accademia dei Ponti a Firenze con una relazione sulle letture ermeneutiche dell’assise conciliare. Ce ne parla Sergio Centofanti.

Mons. Marchetto ha affrontato la questione di “una ermeneutica veritiera, cioè di una interpretazione fondata e rispettosa” di ciò che è stato il Concilio. Una “corretta esegesi” che – se vuole essere tale - si deve basare sugli Atti ufficiali raccolti in ben “62 grossi tomi”.

Molti però – ha rilevato – sono ricorsi a scritti privati e diari personali di padri ed esperti conciliari al fine di diminuire l’importanza dei documenti finali per far emergere il cosiddetto “spirito” del Concilio: tutto questo in contrasto con gli esiti ufficiali dell’assise che sarebbero stati egemonizzati dagli uomini di Curia e che quindi non rappresenterebbero l’anima vera del Vaticano II. Si tratta – ha detto – di una tendenza storiografica “ideologica”, che “punta solo sugli aspetti innovativi, sulla discontinuità rispetto alla Tradizione” quasi che col Concilio fosse nata “una nuova Chiesa”, fosse cioè avvenuto il passaggio “ad un altro Cattolicesimo”.

In particolare gli studiosi del Gruppo di Bologna – ha sottolineato mons. Marchetto – “sono riusciti con ricchezza di mezzi, industriosità di operazioni e larghezza di amicizie, a monopolizzare ed imporre” un’immagine del Concilio “distorta e contraddittoria, del tutto mistificatrice”. Secondo questi studiosi da quell’evento sarebbe dovuta nascere una Chiesa “democratizzata” con l’abbandono “del riferimento alle istituzioni ecclesiastiche, alla loro autorità e alla loro efficienza come il centro e il metro della fede”.

Il Concilio avrebbe partorito cioè un nuovo tipo di fedele cattolico non più legato “alla dottrina, e soprattutto a una singola formulazione dottrinale”: premessa “per un superamento dell’ecclesiocentrismo, e perciò per una relativizzazione della stessa ecclesiologia”.“Ancora più radicale” del “vortice ideologico” del gruppo di Bologna – nota il presule - è la posizione di Hans Küng.

Corretta ermeneutica invece – sottolinea – è vedere nel Concilio una “sintesi di Tradizione e rinnovamento” non “una rottura, una rivoluzione sovvertitrice” ma una “evoluzione fedele” come ha ricordato Benedetto XVI
nel celebre discorso alla Curia Romana, il 22 dicembre 2005: “l’ermeneutica della discontinuità e della rottura” - disse – “si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media” ma “ha causato confusione”. Invece, “l'ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa … che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso”, “silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti”


Fonte, Radio Vaticana


Fraternamente CaterinaLD

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10/11/2009 14:25
 
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1989-2009: vent’anni fa la fine del Muro di Berlino


I cardinali Mindszenty, Slipji e tanti altri festeggeranno in cielo l'anniversario della caduta del Muro dell'odio e della menzogna rappresentato dal comunismo, vergogna del secolo XX (e anche, purtroppo, di oggi).

1945: gli Alleati schiacciano la Germania hitleriana. 1947: scoppia la “Guerra Fredda” fra le democrazie occidentali e l’ex alleato sovietico. Come scrisse Winston Churchill, “an iron courtain” - un sipario di ferro - è sceso sull’Europa”. La Germania, oltre a perdere la Prussia Orientale a vantaggio di Urss e Polonia, nel 1949 sarà divisa in due Stati separati dai fiumi Oder e Neiße. I Länder di Pomerania, Mecklemburgo, Brandeburgo e Sassonia, già zona di occupazione sovietica, saranno accorpati in una nuova creatura politica artificiale: la Repubblica Democratica Tedesca (RDT), una delle più rigide “democrazie popolari” dell’Est europeo, con capitale Pankow, un sobborgo di Berlino.

Nel resto del Reich sconfitto prenderà vita la Repubblica Federale Tedesca (RFT), con capitale Bonn, nella Renania del Nord -Westfalia. La vecchia capitale imperiale, Berlino, profondamente incuneata nel territorio della nuova repubblica comunista, era stata occupata da tutte e quattro le potenze alleate e suddivisa in altrettanti settori: quello sovietico era di gran lunga il più esteso.

Con l’aggravarsi della frattura fra Ovest ed Est la frontiera fra i due Stati tedeschi diventa sempre più impenetrabile, e nel 1952 viene chiusa del tutto. A Berlino si poteva ormai accedere attraverso un’unica autostrada ‒ perennemente costeggiata da carri armati e mezzi militari tedesco-orientali in manovra, a fine dimostrativo e deterrente ‒, una sola linea ferroviaria oppure per via aerea, ma solo con voli di compagnie americane, inglesi o francesi. A seguito di alcuni contrasti diplomatici fra russi e occidentali il 24 giugno 1948 l’autostrada e la ferrovia erano state bloccate dai sovietici, che avevano tolto anche la corrente ai settori occidentali della città. Gli alleati, invece di reagire militarmente, preferirono attuare una grande prova di forza, dando vita a un colossale ponte aereo che per oltre un anno, fino all’ottobre del 1949 – i russi rimuoveranno il blocco nel maggio di quell’anno –, rifornirà i berlinesi delle zone occidentali di generi di necessità di ogni tipo. È l’epopea dei cosiddetti “Rosinenbomber” (bombardieri all’uva passa), perché, oltre ai viveri, gli aerei, in segno di solidarietà, paracadutavano migliaia di piccole scatole di dolci per bambini.

All’inizio degli anni 1950 la spinta a emigrare a ovest cresce, a misura dell’accentuarsi della pressione del socialismo reale sulla popolazione tedesco-orientale e, all’opposto, del boom economico della Germania federale. Berlino, per la sua posizione e per il suo statuto formalmente quadripartito, dopo il 1952 diventa il luogo migliore per espatriare: si calcola che circa 2,5 milioni di tedeschi dell’Est passeranno a ovest attraverso la ex capitale fra il 1949 e il 1961. Nell’estate del 1961 poi il flusso di fuggitivi supererà le decine di migliaia.

Pankow e Mosca decideranno così di arrestare l’emorragia alzando una barriera, che impedisca l’accesso alla zona libera. Nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1961, l’Armata Popolare inizia la costruzione di uno sbarramento, prima fatto di filo spinato, poi, quasi subito, di elementi prefabbricati di cemento e di pietra. Quando fu ultimato il muro era una barriera di cemento alta circa tre metri e mezzo fitta di torrette – 302 – e posti di osservazione e costeggiato da campi minati, trappole, reticolati, alta tensione, che circondava completamente Berlino Ovest, la quale si trovò così ridotta a una enclave all’interno della RDT. Per Walter Ulbricht (1893-1973), segretario della SED, il partito marxista tedesco-orientale, che ancora in giugno smentiva le voci dell’imminente erezione di una barriera fra Est e Ovest, il muro ha una funzione “antifascista”, ovvero lo scopo di proteggere l’Est dalle infiltrazione di agenti occidentali e dalla propaganda capitalista.
Il Muro taglia la città lungo una linea lunga 45 chilometri e separa la zona occidentale dalla RDT per un perimetro di oltre cento chilometri.

I soli varchi di passaggio fra Berlino Est e Ovest, riservati ai cittadini tedeschi federali e agli stranieri, sono otto, i più famosi il Checkpoint Charlie e la stazione della metropolitana nei pressi della Friedrichstrasse. Altri sei saranno creati per l’uscita verso il territorio della RDT. I lavori interno al muro negli anni non si arrestano: sempre nuovi possibili punti di evasione vengono occlusi, lo spessore della barriera viene aumentato, viene costruito un secondo muro, parallelo al primo, e rafforzati i dispositivi anti-fuga.

La polizia popolare, la famigerata Volkspolizei, i “Vopo”, iniziano a sparare su coloro che fuggono correndo o chiusi nei portabagagli delle auto o calandosi dalle finestre degli edifici posti sul confine o varcando a nuoto il fiume Sprea. La prima vittima è Peter Fechter (1944-1962), un giovane muratore di Berlino Est, colpito il 17 agosto alla schiena e lasciato in terra ad agonizzare per un’ora. L’ultima a essere falciata dai Vopo un altro giovane, Chris Gueffroy (1968-1989), studente, stroncato da dieci proiettili il 6 febbraio 1989. Nel corso degli anni le vittime del fuoco della polizia comunista saranno all’incirca 230. Per questo, pur di fuggire, i berlinesi cominceranno a realizzare diversi tunnel sotto il muro.

In Occidente il muro diverrà “Die Mauer”, “The Wall”, “il Muro” per antonomasia, il “muro della vergogna”, ossia il più clamoroso simbolo dell’oppressione comunista della libertà dei popoli. Così entrerà nella letteratura, nelle canzoni, nel cinema.
Quando il presidente americano John Fitzgerald Kennedy (1917-1963), nel suo viaggio a Berlino nel giugno del 1963, poco prima di morire assassinato, pronuncia la celebre frase “Ich bin ein Berliner”, sono anch’io un berlinese, in quanto uomo libero, lo farà soprattutto in funzione anti-muro.

Nel 1989 la difficoltà dell’URSS di Mikhail Gorbaciov di tenere in piedi l’impero, si farà sentire in maniera sempre più pesante sui dirigenti comunisti tedeschi totalmente dipendenti da Mosca. Oltre a ciò, la figura carismatica del papa polacco Giovanni Paolo II (1920; 1978-2005), fin dal suo primo viaggio in Polonia all’inizio del pontificato, aveva suonato una campana a morto per il sistema comunista. E nel 1989 alla testa degli Stati Uniti,il grande avversario, non c’era più un “democratico”, fautore della “coesistenza pacifica” ‒ quella politica di “distensione” e “contenimento” che aveva contribuito in ultima analisi a prolungare la vita all’impero socialcomunista ‒ come John Kennedy, ma il conservatore, nonché gagliardo anti-comunista, Ronnie Reagan.

La popolazione tedesco-orientale, percependo i segnali di scollamento e le crepe nel regime, comincerà ad agitarsi e a scendere in piazza, protestando sempre più numerosa e rumorosa. Ma il muro, che all’ovest era diventato una palestra per writers di ogni genere, rimane ancora in pieno funzionamento.
Nell’estate di quell’anno ai tedeschi dell’Est si apre inaspettatamente una via di fuga: le ambasciate della Germania federale a Praga, a Varsavia e a Budapest, che hanno cessato di essere repubbliche socialiste. In quei mesi si verificherà un vero e proprio assalto alle tre residenze, che si troveranno un giorno per l’altro a ospitare migliaia di profughi dalla RDT. La svolta clamorosa si avrà quando l’Ungheria, il 23 agosto inizia a smantellare la cortina di ferro e il 10 settembre, decide di aprire il confine con l’Austria. Allora il flusso di esuli diverrà una valanga inarrestabile di persone in fuga verso la libertà.

I vertici tedesco-orientali tenteranno di salvare il salvabile, sostituendo il segretario del partito comunista e il capo del governo. Ma sarà inutile. La protesta di massa dilaga. La sera del 9 novembre 1989 il governo comunista annuncia una riforma della legge sui viaggi all’estero. Si trattava solo di aperture, ma la gente volle intendere significava che il muro sarebbe stato rimosso. Migliaia di persone, quella stessa notte, si aduneranno pacificamente davanti al muro, ancora presidiato dai soldati, mentre migliaia di berlinesi occidentali faranno lo stesso dall’altra parte del muro, increduli e in attesa. Sono numerosi i filmati su YouTube che documentano quella magica notte.

Qualcuno nel caos di quel momento darà l’ordine ai soldati di ritirarsi, così che, fra lacrime ed abbracci, migliaia di tedeschi da entrambi i lati, irromperanno a ovest attraverso i checkpoint o scavalcando il muro. Familiari, amici, sconosciuti potranno finalmente incontrarsi dopo 29 anni.
Poi, pezzo dopo pezzo, nell’indifferenza dei Vopo, la gente comincerà a picconare, a scalpellare, a martellare, a graffiare la barriera di cemento per aprirvi dei varchi sempre più ampi, finché il passaggio fu reso facile.
Il 3 ottobre 1990 la Germania, fra la commozione generale, verrà riunificata all’incirca – mancherà solo la Prussia Orientale rimasta russo-polacca – nei confini del 1919.

C’è da chiedersi come sia stato possibile che questo tragico simbolo dell’“Impero del male” – così il presidente americano Ronald Reagan (1911-2004) chiamerà l’impero comunista –, che ha popolato per anni l’immaginario dell’Occidente, sia potuto svanire in un soffio.
La causa prima, come detto, va vista nel progressivo abbandono del regime tedesco-orientale da parte della casa-madre moscovita, troppo alle prese con la sua crisi interna per curarsi dell’impero “esterno”. L’implosione dell’economia socialista portava a esiti rovinosi e impediva non solo di mantenere un’Armata Rossa all’altezza dell’esercito americano, ma anche solo di sostenere quel minimo di struttura militare in grado di conservare l’impero. Alla RDT toccherà la stessa sorte che porterà al distacco dall’URSS, ancor prima della sua fine, i Paesi baltici e le repubbliche centro-europee: Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria – diverso, molto più sanguinoso, sarà il percorso della Iugoslavia “eretica”.
Inoltre, la politica sovietica in quegli anni cercava di presentare un volto il più possibile amichevole nei confronti dei Paesi occidentali dai quali dipendeva sempre di più per alimentare una popolazione che l’economia socialista stava portando alla fame: il Muro e la Germania divisa rappresentavano un ingombrante ostacolo, di certo il più vistoso, in tale prospettiva. Privato del sostegno di Mosca – le truppe di stanza in Germania orientale non usciranno dalle caserme –, il “re”, il tiranno, si scoprirà nudo. I dirigenti della SED capiranno che la loro parabola è alla fine, perché esercitano un potere legale totale, ma ormai del tutto privato del consenso popolare e nemmeno più garantito dai carri armati sovietici.

L’impatto dell’evento sarà colossale: la caduta del muro, insieme alla fine dell’URSS, due anni dopo, metterà in moto processi che cambieranno radicalmente lo scenario internazionale: l’impero dell’ideologia socialcomunista di obbedienza sovietica si dissolverà, la Guerra Fredda finirà, gli Stati Uniti rimarranno l’unica superpotenza, la Russia, dopo un lungo periodo di “disordine”, tornerà a fasti imperiali, si riattizzeranno quei conflitti interetnici che il socialismo aveva soffocato, riemergeranno soggetti che il confronto ideologico aveva fatto dimenticare: religioni, tribù, clan, sette, nazioni, e tornerà in auge non più la lotta per i “massimi sistemi” ma quella per il petrolio e per il gas, per l’acqua e per il grano, per il Califfato, per la umma.

Da
Il Timone

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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28/03/2010 00:20
 
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Molto interessante  Sorriso

poichè l'indice è lungo e i contenuti anche, per i testi CLICCATE QUI

ANNI 1500 - BAGLIORI DI COMUNISMO IN EUROPA

CAP. I - ALBORI DELL'ANABATTISMO
CAP. II - L'ANABATTISMO DI WITTEMBERG A FRANKENHAUSEN
CAP. III - LE REAZIONI
CAP. IV - FONDAZIONE DELLA COLONIA COMUNISTA DELLA MORAVIA
CAP. V - ORGANIZZAZIONE DELLA COLONIA COMUNISTA DELLA MORAVIA
CAP. VI - MELCHIORRE HOFFMANN E GIOVANNI MATHIAS
CAP. VII - REGIME POLITICO E RELIGIOSO DELLA CITTA DI MUNSTER
CAP. VIII - L'ANABATTISMO A MUNSTER
CAP. IX - DALLA REPUBBLICA ALLA DITTATURA
CAP. X - IL TRAMONTO DELL'ANABATTISMO

 

CAP.I - ALBORI DELL'ANABATTISMO

L'anabattismo nacque dalla Riforma, ma ne fu figlio maledetto, e fin dal nascere fu ripudiato dai grandi Riformatori che furono concordi nel proclamarlo degenere. Ma allorché ai fondamentali princìpi religiosi che lo componevano si sovrapposero i princìpi politici e sociali, non fu sufficiente e prudente il solo ripudiarlo, ma lo si combattè aspramente, perseguitandolo fino alla estirpazione, cattolici e protestanti insieme, con quei sistemi di pietà umana che, nei religiosi più che nei laici, caratterizzarono il secolo XVI.

Sembrava quasi che nell'aspra lotta fra luterani, cattolici, zuinglisti e calvinisti questa setta, che aveva per programma fondamentale nel campo religioso la Rigenerazione o il nuovo battesimo, e nel campo sociale la comunità dei beni, riuscisse a riunire di tratto in tratto i nemici di ieri, perché si potessero scagliare con maggiore efficacia contro comune nemico di oggi. Gli è che, mentre cattolici e protestanti combattevano spiegando i loro stendardi a fianco a quelli dei principi della loro parte, e questi sfruttavano tale lotta per le loro mire politiche, gli anabattisti combattevano insieme i potenti, religiosi o laici, cattolici o protestanti, nobili, ricchi, privilegiati, tutti, insomma, quelli che nella società del secolo XVI rappresentavano l'enorme massa inerte soprastante ed opprimente la massa che produce e lavora per sostenerne il peso.

LUTERO, che si era spinto molto oltre all'inizio delle sue veementi predicazioni contro il potere di Roma e pareva volesse coinvolgere nel turbine da lui scatenato il potere costituito e sfruttatore ai propri fini del pensiero e dell'azione umana, giudicò in seguito buon partito frenare i suoi impeti e retrocedere lungo la via temeraria e pericolosa intrapresa, rivelandosi accorto politico ed opportunista oltre che tribuno. Così prima ripudiò i “visionari”, in seguito si accanì sempre più contro di essi, incitando i principi a distruggere la setta che minacciava sconvolgere l'edilizio sociale dalle sue fondamenta falsando le parole del Vangelo ed alterandone a scopo di sedizione i concetti.
“Io credo che tutti gli anabattisti e contadini - diceva egli - debbano morire, perché essi attaccano i principi e i magistrati. Nessuna misericordia, nessuna tolleranza è dovuta ai contadini, ma l'indignazione degli uomini e di Dio. È dunque lecito e giusto trattarli come cani rabbiosi”.
Lutero intuiva che il dilagare del comunismo sotto la bandiera di ardite riforme religiose avrebbe spazzato via l'edificio che egli veniva innalzando faticosamente di fronte alla Chiesa romana.
“L'Altissimo - aveva egli predicato - mi manda a voi per additare alla vostra esecrazione il pontefice abominevole che vi spoglia e vi opprime. Popolo, giù il papato !”.

Le spogliazioni e l'oppressione erano dunque considerate da lui nel solo campo religioso e spirituale; poco importava che i miseri, cattolici o luterani che fossero, restassero miseri ; che i principi, i nobili, i privilegiati seguitassero a sfruttare le plebi rurali ed urbane per distillare moneta dal loro sudore. Bastava che il Papato fosse abbattuto, che si apportasse una rivoluzione nella interpretazione della Sacra Scrittura, che, insomma non si uscisse dal campo spirituale.
Il padrone cambiava la piuma al cappello, ma restava pur sempre il padrone. Scriveva infatti Borne:
“Dopo la Riforma, essendosi i principi impadroniti dei beni e delle entrate della Chiesa, l'imposta del fisco succedette alle gratuite oblazioni, il codice penale al purgatorio” - e aggiungeva - “Le feste religiose furono diminuite, cresciuti i giorni di lavoro e in conseguenza le fatiche del volgo. Fa orrore il leggere le persecuzioni che Lutero esercitava, e le feroci imprecazioni che vomitava contro il popolo.
Allorché alcuni signori di buone intenzioni interrogavano Lutero se i servizi personali, se altre angherie e altri pesi onde erano gravati i loro contadini non fossero contrari alle massime del Vangelo, e se dovessero abolirle, rispondeva egli che i villani (o paesani) diverrebbero insolenti se più non fossero curvati sotto i pesi”.

II popolo, il contadino specialmente, poco o nulla intendeva delle dotte dispute iniziatesi a Wittemberg. II contadino, abituato alla solitudine dei campi, costretto ad un lavoro diuturno e senza posa e più a contatto quindi con la natura, ne sentiva instintivamente la parola, credeva ciecamente in Dio, lo adorava semplicemente, secondo le tradizioni secolari, e non chiedeva a Lui che vivere in pace, vivere comunque del proprio lavoro senza peccare, sentendo che il bene e il male sono al disopra di ogni interpretazione umana della volontà di Dio, e interpretando Dio solamente col cuore. Ciò intesero i primi anabattisti, i quali disprezzavano ogni dotta disputa in materia religiosa, considerandola sterile e dannosa, a meno che non vi fossero costretti ; qualcuno di essi giunse sino al punto di errare per le campagne, soffermarsi con i contadini a chiedere come essi, col cuore, interpretassero parole della Bibbia che loro leggeva e traduceva.
Questi contadini si interessavano dunque alle dotte e violente dispute fra cattolici e protestanti come chi, avendo faticosamente arato e seminato il suo campicello, veda penetrarvi un gruppo di cavalieri, che lo scelgono come terreno di lotta e che vi combattono percuotendo e sommovendo le zolle e devastandole con le zampe ferrate dei propri cavalli per un fine che egli ignora; ignora tutto, tranne che il suo povero campo è rovinato, che egli ha lavorato solo per offrire ad altri il modo per sgozzarsi meglio.

Se l'anabattismo ebbe tanto largo seguito, fervore di fede e somma di sacrifici fra i contadini paesani e gli umili in genere, ciò fu dovuto sopratutto al contenuto sociale del programma di fede, all'odio lungamente accumulato e alla speranza di redenzione.
Onde la distinzione fra guerra degli anabattisti e guerra dei contadini è fuori luogo : esse furono una sola cosa, ribellione generosa spinta fino al più puro eroismo, ma spesso degenerata nel furore omicida, che sempre sarà caratteristica di ogni ribellione che ha il germe nella povertà e nella materiale sofferenza e non in un principio astratto.
Già verso la fine del XV secolo si ebbero vari moti di contadini, moti isolati e di breve durata e senza alcun carattere religioso o un organico programma sociale. Ne accenna appena Martino Crusius (Annal. Svev. Parte III). Il Weber parla di moti scoppiati nella regione di Algau (Svevia), ove era l'abbazia Campodunense, forte di 72 parrocchie. I sudditi di questa abbazia si riunirono in una lega chiamata “Bereinigung S. Georgen Schild des Bunders im Land zu Schwaben”. Dopo aver commessi, al dire di Weber, vandalismi e predonerie, furono finalmente domati. Altra rivolta consimile scoppiò nel 1493 in Alsazia ; essa aveva per insegna lo zoccolo del contadino. Nel principio del secolo XVI i moti si rinnovarono in Alsazia e ne scoppiarono altri nel ducato di Wurtemnerg, in Svizzera, in Carnia.
Nel 1515 il prete SCHLAPPER, impietosito della sorte degli umili e specie dei contadini, aveva chiesto invano ai principi che ne mitigassero le tristi condizioni, ed esponeva domande eque che si compendiavano nella esortazione: “Trattateli secondo il Vangelo!”.
Ma le sue richieste non ebbero esito.
NICOLA STORK (Pelargo), TOMMASO MÙNZER, MASSIMO STUBNER, più tardi, raccolsero il grido di dolore degli oppressi, grido che nella lotta fra luterani e cattolici restava inascoltato dagli uni e dagli altri. Essi si possono considerare i veri iniziatori della lotta ingaggiata con nobili propositi, degenerata in follia e violenze, e infine soffocata dalla coalizione degli interessi e dei privilegi minacciati.


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per il resto  CLICCATE QUI


e da non trascurare questo:

Papa Leone XIII, il Papa della Dottrina Sociale della Chiesa e del Rosario



[Modificato da Caterina63 28/03/2010 00:25]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Rafforzamento o indebolimento del comunismo?

By arpatoblog

Il comunismo mondiale ha subìto indubbiamente un’evoluzione dai tempi di Padre Tyn ad oggi. Con lo scioglimento del sistema sovietico alcuni hanno parlato di “crollo del comunismo”. Ma in realtà non è così. Esso continua a sussistere in Cina, in vari paesi del mondo e dello stesso vecchio blocco sovietico, anzi qua e là è in aumento. E sussiste, come è noto, nella stessa Italia.

Ma che cos’ha in comune il comunismo dei tempi di Padre Tomas con quello di oggi? Notando le trasformazioni subìte, alcuni si chiedono perché i comunisti continuano ancora a chiamarsi tali. Indubbiamente anche in passato il comunismo è stato un movimento eterogeneo: un conto fu quello di Stalin, un conto quello di Tito, un conto il comunismo polacco, un conto quello cubano, un conto quello gramsciano. Indubbiamente comune è il richiamo a Marx, Engels e Lenin. Ma già problematico è stato da alcune parti l’aggancio a Stalin, giudicato come volgarizzazione grossolanamente materialistica dell’umanesimo fattore di degradazione della democrazia e della libertà.

Fattore comune è indubbiamente l’ateismo sulla base di un’idea della conoscenza di tipo realistico-materialistico-dialettico di origine hegeliano-feuerbachiana, con una concezione dell’uomo come essere collettivo-sociale (Gattungswesen) fattore e liberatore di se stesso nel corso della storia e mediante l’azione politico-culturale, il lavoro e l’assoggettamento della natura, dall’alienazione religioso-capitalistica dall’alienazione religioso-capitalistica con prospettiva di una società senza classi e l’abolizione dello Stato.

Altri princìpi, come quello della lotta di classe, della proprietà statale dei mezzi di produzione, della rivoluzione violenta, della dittatura del proletariato, della comunione dei beni, della lotta aperta contro la religione, sembrano essere da molte parti e in vari modi e misure accantonati o attenuati, per essere sostituiti da apporti o complementi provenienti da altre correnti filosofiche.

In tal modo si è dato spazio al pacifismo, all’ecologia, ai diritti umani, alle istanze etiche, alla libertà della persona, alla proprietà privata, alla libertà di mercato, al dinamismo bancario, a un certo interesse per le religioni e addirittura per le mistiche, soprattutto di tipo negativo, che richiamano in qualche modo – per esempio  il buddismo ed Heidegger – la tematica dell’ateismo. Qua e là si fa l’occhiolino persino al  tradizionale nemico, massimo esponente del pensiero “di destra”, Federico Nietzsche.

Si direbbe che il comunismo abbia saputo correggersi su alcuni punti e sia divenuto più umano o meno disumano, si sia accostato ai valori della coscienza, dello spirito, della giustizia, della democrazia, della sapienza, della stessa religione.

Si tratta di un mutamento sincero o di una tattica, della quale già parlava Lenin, per acquistare credito nei paesi dove il comunismo non è al governo, onde poi, una volta conquistato il potere, mettere in atto, anche con la forza, il programma comunista di abolizione della proprietà privata, di estinzione dello Stato e di distruzione della religione e di edificazione della società comunista atea e materialista, come è già stata notoriamente prevista e descritta da Marx?

Padre Tyn non aveva dubbi nel sostenere la seconda di queste alternative. E mostrava come in tutto il mondo il comunismo segua ed abbia seguìto la suddetta tattica. Quando gli amici gli facevano notare la moderazione del comunismo italiano, pur riconoscendo la crudeltà del comunismo cecoslovacco, egli regolarmente rispondeva confermando la sua tesi: In Italia non comandano i comunisti, al contrario della Cecoslovacchia, dove sono al potere.

D’altra parte come non riconoscere che il pontificato di Papa Giovanni XXIII, specialmente con la famosa enciclica Pacem in terris e  lo stesso Concilio Vaticano II hanno lasciato una traccia positiva nei rapporti tra cattolici e comunisti? Come non riconoscere che ci sono stati un travaso di idee, un rasserenamento del clima ed un abbattimento di steccati, in certa misura positivi? Come non riconoscere un qualcosa di positivo nella teoria della “convivenza pacifica” di Krusciov e della Glasnost di Gorbaciov?

Il pontificato di Giovanni Paolo II ha ricordato, soprattutto con la calibrata condanna della “teologia della liberazione”, i punti di contrasto fra cattolicesimo e comunismo, ma nel contempo, grazie alla sapiente collaborazione del Segretario di Stato Card.Casaroli, ha saputo ottenere lo scioglimento pressoché pacifico del blocco sovietico, avvenimento che, considerando come di solito va la storia in queste circostanze, ha del miracoloso. In questo contesto abbiamo la cosiddetta “rivoluzione di velluto” in Cecoslovacchia senza colpo ferire, esattamente come Padre Tomas aveva chiesto alla Madonna nell’offrire la sua vita per la Chiesa nella sua patria.

A che cosa mira attualmente il comunismo internazionale? Alla conquista del mondo secondo il puro programma di Marx o secondo un abile rimescolamento di carte, sempre sostanzialmente ateo ed antropocentrico, ma nella convinzione di rispondere alle esigenze della storia moderna?

E noi cattolici che dobbiamo fare? Siamo capaci di condurre i comunisti a Cristo, come ha fatto ed ha voluto fare Padre Tyn, distinguendo il rispetto per la persona dalla condanna dell’errore?

Oppure cincischiamo nella morta gora del dialogo progressista?





Piccola ulteriore riflessione da parte mia:

Se consideriamo il detto: il lupo cambia il pelo ma non il vizio, e l’associamo alla profetica lezione di padre Tomas Tyn, possiamo comprendere che il comunismo si è semplicemente rafforzato perchè in questi ultimi 40 anni ha trovato dei grandi alleati: i cattolici “non praticanti”….

Si comprendo, è una assurdità, ma è così, l’aborto e il divorzio in Italia passarono grazie ai voti dei cattolici convinti dai “bravi comunisti” che ciò fosse una conquista della libertà e giammai un male… ma davvero eravamo così ignoranti e sprovveduti oppure eravamo già un branco di “non praticanti”, fanatici della libertà acquisita?
Libertà da che cosa poi?
Dalle dottrine della Chiesa ovvio, la lezione inflitta a Paolo VI all’uscita dell’Humanae Vitae è tristemente indimenticabile!

Certo, il comunismo è cambiato, questo si, dalla Russia specialmente i cambiamenti si son visti…Putin la Notte di Pasqua accendeva un cero davanti al Patriarca Kirill e il Presidente è stato ripreso più volte a baciare l’Icona della Vergine Theothokos…

Mi viene un dubbio: ma non è che forse siamo diventati NOI un pò più comunisti, specialmente in Italia?
Battute a parte è indiscutibile che questa commistione fra catto-comunisti e l’ideologia della sinistra, abbia fatto una sorta di tregua e di accordo… non è un caso che esponenti della sinistra che si dicono cattolici, difendono l’aborto, il divorzio e perfino i Pacs o i DICO….

No signori, il lupo cambia il pelo, ma non il vizio….sta a noi abbracciare il peccatore ma denunciando con fermezza l’errore e dove si annida il peccato!
E padre Tomas Tyn aveva visto giusto!

Benedetto XVI sull'aereo che lo portava a Praga disse: "Comunismo basato sulle menzogne"

INTERVISTA A BENEDETTO XVI "Senza verità si distrugge la libertà"    

 Praga - Sull’aereo che lo portava a Praga, Benedetto XVI ha voluto rendere omaggio all’ex presidente ceco Vaclev Havel che, ha ricordato il Pontefice, "ha dato all’Europa un messaggio di cosa è libertà e di come dobbiamo vivere ed elaborare la libertà". "Come ha detto Havel la dittatura è basata sulla menzogna e se se la menzogna andasse separata, se nessuno mentisse più, se viene alla luce la verità c’è anche la libertà. Così è elaborato questo nesso tra libertà e verità perché libertà non è libertinismo né arbitrarietà".
A Praga per la prima tappa del viaggio apostolico di tre giorni nella Repubblica Ceca il santo Padre ha subito spiegato il messaggio di libertà che, inquesti giorni, è venuto a portare proprio nel cuore dell'Europa.

La denuncia di Benedetto XVI Se la Repubblica Ceca è il paese più secolarizzato dell’Europa Centrale (il 51 per cento dei cittadini si dichiarano atei) e quello dove si fanno meno figli (le morti superano le nascite), per Benedetto XVI tutto questo ha delle cause ben precise. "Non si deve sottovalutare - ha detto nel discorso all’aeroporto Starà Ruzyne di Praga - il costo di quarant’anni di repressione politica". "Una particolare tragedia per questa terra - ha ricordato il Papa proprio all’inizio del suo viaggio di tre giorni - è stato il tentativo spietato da parte del Governo di quel tempo di mettere a tacere la voce della Chiesa. Nel corso della vostra storia, dal tempo di San Venceslao, di Santa Ludmilla e Sant’Adalberto fino a San Giovanni Nepomuceno, vi sono stati - ha ricordato il Papa alla popolazione ceca - martiri coraggiosi la cui fedeltà a Cristo si è fatta sentire con voce più chiara e più eloquente di quella dei loro uccisori".

Testimoni da seguire "Quest’anno - ha continuato il Papa - ricorre il quarantesimo anniversario della morte del Servo di Dio il cardinale Josef Beran, arcivescovo di Praga. Desidero rendere omaggio a lui e al suo successore, il cardinale Frantisek Tomasek, che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente, per la loro indomita testimonianza cristiana di fronte alla persecuzione. Essi, ed altri innumerevoli coraggiosi sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne, hanno mantenuto viva la fiamma della fede in questo Paese". "Ora che è stata recuperata la libertà religiosa, faccio appello a tutti i cittadini della Repubblica - ha continuato il Santo Padre - perché riscoprano le tradizioni cristiane che hanno plasmato la loro cultura ed esorto la comunità cristiana a continuare a far sentire la propria voce mentre la nazione deve affrontare le sfide del nuovo millennio".

Riscoprire le radici cristiane "Se l’intera cultura europea è stata profondamente plasmata dall’eredità cristiana, ciò - ha sottolineato Benedetto XVI - è vero in modo particolare nelle terre ceche, poichè, grazie all’azione missionaria dei Santi Cirillo e Metodio nel nono secolo, l’antica lingua slava fu per la prima volta messa in iscritto. Apostoli dei popoli slavi e fondatori della loro cultura, essi a ragione sono venerati come Patroni d’Europa. E' poi degno di menzione il fatto che questi due grandi santi della tradizione bizantina incontrarono qui missionari provenienti dall’Occidente latino".

[Modificato da Caterina63 10/04/2010 10:15]
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21/08/2010 18:28
 
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Un antidoto....di Rino Cammilleri


Jan Waclav Makhaiski, socialista polacco dei primi anni del Novecento, così lasciò scritto: “Il socialismo è il regime sociale basato sullo sfruttamento degli operai da parte degli intellettuali di professione”. Jean-François Revel (cfr. “La conoscenza inutile”, Longanesi 1989): “Nel 1982 il prof. Bertell Ollman, dell’università di New York, si felicitava constatando: -Una rivoluzione culturale marxista si svolge oggi nelle università americane- (Wall Street Journal, 14 marzo 1982). Il suo manuale (‘Alienazione: la concezione marxista dell’uomo nella società capitalista’) era utilizzato in più di cento università americane come testo obbligatorio, sino a raggiungere la settima ristampa”. Uno può pensare che il manuale fosse obbligatorio perchè “contro” il marxismo. Invece no. “Guenter Lewy scriveva nello stesso anno sulla Policy Rewiew: -Le idee estremiste hanno guadagnato terreno e sono penetrate in profondità nei college e nelle università, dove si trovano centinaia, forse migliaia, di professori apertamente socialisti-“.





Falso ideale


Il comunismo di oggi, in modo più accentuato di altri simili movimenti del passato, nasconde in sé un’idea di falsa redenzione. Uno pseudo-ideale di giustizia, di uguaglianza e di fraternità nel lavoro, pervade tutta la sua dottrina, e tutta la sua attività d’un certo falso misticismo, che alle folle adescate da fallaci promesse comunica uno slancio e un entusiasmo contagioso, specialmente in un tempo come il nostro, in cui da una distribuzione difettosa delle cose di questo mondo risulta una miseria non consueta. Si vanta anzi questo pseudo-ideale come se fosse stato iniziatore di un certo progresso economico, il quale, quando è reale, si spiega con ben altre cause, come con l’intensificare la produzione industriale in paesi che ne erano quasi privi, valendosi anche di enormi ricchezze naturali, e con l’uso di metodi brutali per fare ingenti lavori con poca spesa.

[Brano tratto dall'Enciclica "Divini Redemptoris" del Sommo Pontefice Pio XI].






[Modificato da Caterina63 16/09/2010 09:47]
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29/11/2010 19:38
 
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Nel XX secolo migliaia di testimoni della fede furono barbaramente ridotti al silenzio dal totalitarismo d'impronta sovietica

Le memorie senza volto del comunismo


Dagli archivi del cardinale Franz König storie di ordinaria persecuzione

di Jan Mikrut
Pontificia Università Gregoriana


Attraverso l'esperienza maturata come responsabile dell'Ufficio cause di beatificazione dell'arcidiocesi di Vienna e curatore della redazione del nuovo Martirologio della Chiesa austriaca per l'anno 2000 e la collaborazione col Comitato nuovi martiri, che si occupava di elaborare le statistiche dei martiri cristiani per il grande Giubileo, ho potuto avere una visione mondiale delle persecuzioni del XX secolo.

Il 24 giugno 2010 è stato aperto nell'Archivio dell'arcidiocesi di Vienna il "Kardinal-König-Archiv". Agli studiosi sono stati messi a disposizione 2.000 cartoni, contenenti il prezioso materiale riguardante la vita del cardinale fino al 1958. Oltre alla biblioteca privata del porporato sono stati messi a disposizione documenti personali, fotografie e lettere.

Il XX secolo, caratterizzato dai grandi totalitarismi - il comunismo e il nazionalsocialismo - ha lasciato fino a oggi prove tangibili del grande coraggio nella fede dimostrato da numerosi martiri che, col sangue, dimostrarono il loro legame con Cristo e con la Chiesa. Noi oggi tenteremo di dare un volto e un nome a qualcuno di questi testimoni ridotti al silenzio con brutalità.

Giovanni Paolo II ha sottolineato la necessità di riscoprire la memoria dei martiri e la loro testimonianza. I martiri cristiani sono coloro che hanno annunciato il Vangelo dando la vita per amore. Questa testimonianza dei martiri cristiani doveva essere riscoperta di nuovo dalla Chiesa proprio adesso, quando il XX secolo, così ricco di grandi eroi della fede, volgeva al tramonto. Il martire è un grande testimone di Cristo e, soprattutto ai nostri giorni, è segno visibile di quell'amore che riassume ogni altro valore. La sua richiesta fu ben accolta e le Chiese nazionali e gli ordini religiosi iniziarono a preparare le liste e a raccogliere i documenti ancora esistenti sui propri martiri.


Nelle statistiche preparate della Commissione nuovi martiri per il Grande Giubileo del 2000 si contano 12.692 martiri, così ripartiti:  dall'Europa 8.670, dall'Asia 1.706, dall'Africa 746, dall'America del nord e del sud 333, dall'Oceania 126. Un gruppo particolare è dato dai 1.111 martiri dell'Unione Sovietica. Nella statistica della vecchia Europa si contano 3.970 preti diocesani, 3.159 religiosi e religiose, 1.351 laici, 134 seminaristi, 38 vescovi, 2 cardinali, 13 catechisti. In totale in Europa abbiamo avuto 8.667 testimoni di Cristo.

Nel contesto mondiale tra i martiri si annoverano 5.173 preti diocesani, 4.872 religiosi e religiose, 2.215 laici, 124 catechisti, 164 seminaristi, 122 vescovi, 4 cardinali e 12 catecumeni.

Il XX secolo è stato il periodo dei totalitarismi, delle due guerre mondiali, delle rivoluzioni, dei tragici genocidi e delle infinite persecuzioni religiose. Tra tutte le tragedie sopra accennate, la persecuzione più grande fu la battaglia organizzata contro il cristianesimo dal comunismo internazionale. Solo il Libro nero del comunismo curato da Stéphane Courtois offre una provvisoria statistica di 85 milioni di morti causati dal totalitarismo comunista.

In Russia vivevano da secoli anche altre confessioni cristiane, oltre a ebrei e musulmani; ma chiunque non condividesse la nuova ideologia atea dei comunisti doveva essere allontanato con forza dalla società. Nascono così i cosiddetti Gulag, dal russo "Direzione principale dei campi di lavoro correttivi". Il numero di morti nei Gulag è ancora oggetto di indagine:  una stima provvisoria parla di tre milioni. L'incredibile persecuzione dei numerosi oppositori politici è ben nota anche grazie alle pubblicazioni scritte dagli stessi detenuti, il più famoso dei quali fu Aleksander Solzenicyn, che nel suo Arcipelago Gulag ha raccontato la tragedia dei detenuti, ha fatto conoscere la parola Gulag e l'esistenza stessa di questi campi.

La Chiesa ortodossa russa contava nel 1917 circa 210.000 membri del clero, 100.000 monaci e oltre 110.000 preti diocesani. Circa 130.000 furono fucilati nel periodo 1917-1941. Dei 300 vescovi presenti nel 1917 in Russia, 250 di loro furono fucilati. Gli altri membri del clero sopravvissero in diverse prigioni e campi di concentramento, sottoposti a ogni genere di persecuzione. Nel 1941, nel primo periodo della guerra con la Germania, si trovavano in libertà solo quattro vescovi. È difficile presentare un numero preciso delle vittime,  secondo  le  valutazioni  il  numero totale oscilla tra 500.000 e un milione.

Sul territorio dell'Unione Sovietica c'erano anche altre confessioni cristiane. Tra loro i cattolici di rito romano e bizantino. Nel 1917 vivevano in Russia circa 2 milioni di cattolici con circa 1.000 sacerdoti e 6.400 chiese. I cattolici romani sono stati perseguitati come minoranza straniera. La maggior parte dei cattolici presenti su questo territorio erano cittadini di origine polacca. Nel periodo 1917-1939 subirono persecuzioni sia per motivi politici che religiosi, ma la situazione peggiorò dopo il 17 settembre 1939, quando i comunisti russi invasero la Polonia e sterminarono l'intellighenzija cattolica. La popolazione di origine polacca fu deportata in Siberia e in Kazakhstan, dove dovette iniziare una vita in diaspora insieme con altri popoli.

Il gesuita Walter Ciszek fu arrestato nel 1941 e condannato ai lavori forzati; deportato nei campi di lavoro in Siberia vi rimase per 23 anni, subendo ogni sorta di vessazione solo per il fatto di essere sacerdote cattolico. Dopo la sua liberazione fu scambiato dai comunisti con due spie sovietiche, arrestate in Europa occidentale. Dopo il 1963 visse negli Stati Uniti, fino alla morte, avvenuta nel 1984. Le sue memorie sono raccolte nel libro With God in Russia. La sua causa di beatificazione è stata avviata nel 1990.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del nazionalsocialismo, il sistema comunista trovò terreno fertile in Europa. Lo schema era ben collaudato:  la Chiesa cattolica con le sue strutture rappresentava il vecchio sistema da cui liberarsi; la religione fu declassata a strumento di manipolazione da parte dei preti e delle loro istituzioni. Il nuovo sistema ateo doveva liberare la società dall'influenza della Chiesa. Il marxismo-leninismo diventa il nuovo sistema politico-economico. Nel 1945 l'esercito russo liberò dal nazionalsocialismo tedesco grandi territori dell'Europa:  Albania, Austria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania, Polonia, Romania, Ungheria. Nei Paesi dove i precedenti governi erano nazionalsocialisti come Austria, Germania, Slovacchia e Ungheria l'Armata rossa entrò come il vincitore con il diritto del bottino di guerra.

Moltissime furono le vittime di queste rappresaglie e tra queste numerosi sacerdoti e suore. Per l'esercito russo anche i rappresentanti della Chiesa furono responsabili delle tragedie causate dai nazionalsocialisti e per questo molti sacerdoti uccisi nei primi giorni dopo la liberazione furono dichiarati pericolosi nemici del comunismo.

I vescovi europei - rappresentati dai presidenti di tutte le conferenze episcopali del continente, radunati il 3 ottobre 2010 a Zagabria alla quarantesima sessione plenaria del Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa (Ccee) - hanno dedicato attenzione a grandi vescovi dei Paesi del blocco comunista come Alojzije Stepinac (1898-1960) in Croazia, József Mindszenty (1892-1975) in Ungheria e Stefan Wyszynski (1901-1991) in Polonia. Il cardinale Peter Erdö ha citato la figura del porporato incarcerato per cinque anni a causa della sua fedeltà a Dio, il cardinale József Mindszenty, e uno dei membri della Chiesa che fu vittima del comunismo, il cardinale Stefan Wyszynski. Questi grandi uomini della Chiesa furono pronti a testimoniare la loro fedeltà fino al martirio. Il porporato ungherese ha definito il periodo del comunismo, senza entrare nei dettagli, come tempo difficile e complesso. I santi e i beati come Alojzije Stepinac portano nel buio la luce di Cristo e sono nostri esempi e nostri patroni celesti.

Non mi sembra necessario raccontare qui i dettagli della vita del beato cardinale Stepinac, perché prima e dopo la beatificazione sono stati pubblicati numerosi libri che offrono un ampio profilo biografico in una storia politicamente complicata come quella della Croazia. Alla fine della guerra, dopo la fuga di Ante Pavelic e del suo governo, Stepinac rimase al suo posto a Zagabria. I comunisti avevano già iniziato a perseguitare la Chiesa. Nel marzo 1945, la Chiesa croata pubblicò una lista di sacerdoti uccisi con 149 nomi. Tito cercò di convincere l'arcivescovo Stepinac a staccarsi da Roma e fondare una Chiesa cattolica indipendente dalla Santa Sede. Ma Stepinac si oppose con forza:  "Nessun cattolico, anche a costo della vita, può eludere il suo foro supremo, la Santa Sede, altrimenti cessa di essere cattolico".

Le vicende di due sacerdoti dell'arcidiocesi di Vienna in Austria sono illuminanti della situazione:  Johann Wolf (1892-1945) parroco a Kaltenleutgeben e Rudolf Frank (1902-1945) da Niedersulz vicino Vienna, ambedue uccisi dall'esercito russo. Johann Wolf era un prete apprezzato, orgoglioso testimone di Cristo. Dopo la partenza dei tedeschi la popolazione locale cercò di nascondersi dove poteva:  i russi cercavano alcol e oggetti di valore da portare con loro come bottino di guerra, ma, soprattutto, cercavano vendetta per le gravi perdite subite in battaglia, bruciando le case e uccidendo civili. Anche il parroco Wolf fu ucciso nella canonica insieme con sua sorella e alcuni profughi che cercavano di nascondersi.

Rudolf Frank si diede da fare per difendere e nascondere le donne che subivano stupri dai soldati russi, ubriachi:  infatti nella zona di Niedersulz in Bassa Austria ci sono moltissime vigne e grandi cantine e i soldati vi trovarono grandissime quantità di vino. Domenica 15 aprile 1945 la popolazione aspettava l'arrivo dei russi. Si raccontava della particolare brutalità dei nuovi occupanti e in modo particolare le famiglie pensavano a un luogo dove nascondere le donne. Il sacerdote riunì nella canonica circa 300 donne, sperando di poter organizzare meglio la protezione. I soldati russi arrivarono in canonica il 16 aprile, ma il parroco chiuse le porte e si rifiutò di aprire. Un comportamento del genere era intollerabile per i nuovi padroni:  il prete fu picchiato, ma i soldati andarono via. Il giorno seguente, martedì 17 aprile, tornarono di nuovo e il sacerdote nuovamente bloccò la porta sperando di poter proteggere le donne nascoste nella canonica ma questa volta un soldato sparò due volte e ferì mortalmente il parroco.

L'Albania fu il primo Paese europeo a dichiararsi ateo e a essere governato secondo l'ideologia comunista. Nel 1967 fu ufficialmente introdotto l'ateismo come fondamento per la vita della società e fu proibita ogni forma di culto religioso. Il governo dichiarò con orgoglio che l'Albania era diventato il primo Stato ateo del mondo. Nella nuova costituzione del Paese, approvata nel 1976, all'articolo 37 recitava "lo Stato non riconosce alcuna religione e sostiene la propaganda atea per infondere alle persone la visione scientifico-materialista del mondo". Il governo procedette alla confisca di moschee, chiese, monasteri e sinagoghe. Gli edifici di culto furono trasformati in musei o uffici pubblici, magazzini, cinema, stalle per animali. Ai genitori fu proibito dare ai figli nomi con riferimenti religiosi. In seguito furono uccisi a Tirana i primi due sacerdoti, Lazër Shantoja e Mark Gjani. Nel 1947 fu ucciso a Scutari il gesuita Ndoc Saraci.
 
Un anno dopo, nel 1948, furono fucilati i vescovi Gjergj Volaj e Frano Gjini e, nel 1949, dopo terribili torture, morì in prigione l'arcivescovo di Tirane-Durrës Vincenz Nikollë Prennushi. Colpire duramente la comunità cattolica significava cancellare la lunga e tollerante tradizione del Paese per far posto alla nuova e aggressiva ideologia comunista. In Albania furono uccisi 5 vescovi, 60 sacerdoti, 30 religiosi francescani, 13 gesuiti, 10  seminaristi  e 8 suore. La lista non è  ancora  completa,  mancano  i  martiri laici uccisi durante il periodo comunista.
 
Tra le figure di spicco della resistenza religiosa va in primo luogo ricordato coraggioso padre Mikel Koliqi (1902-1997), creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1994. Padre Mikel Koliqi era stato condannato ai lavori forzati già nel 1945, con la banale accusa di ascoltare le stazioni straniere della radio.

In Romania numerosi vescovi, monaci e preti furono arrestati dalla polizia segreta e molti laici vennero reclusi nei campi di lavoro. Come esempio di persecuzione ricordo la vita di monsignor Anton Durcovici (1888-1951), eroico vescovo della diocesi di Iasi in Romania al confine con la Repubblica Moldava. Nel 1948 la Chiesa romano-cattolica in Romania era organizzata in cinque diocesi, 694 parrocchie, 1.225 chiese e 835 sacerdoti. La Chiesa greco-cattolica aveva cinque diocesi, 2.536 chiese, 1.794 parrocchie, 1.788 sacerdoti.

La pacifica convivenza delle varie nazionalità e culture che da secoli vivevano in pace e tolleranza fu improvvisamente distrutta dal nuovo sistema politico del dopo guerra. I comunisti per principio non volevano condividere il potere con nessun altro gruppo politico o religioso.

Già dall'inizio le organizzazioni religiose erano oggetto di un'organizzata persecuzione da parte del governo comunista. Centinaia di sacerdoti furono arrestati e in seguito portati nei campi di lavori forzati, dove, maltrattati, molti morivano in poco tempo.

Il 26 giugno 1949 Durcovici fu arrestato mentre viaggiava su un tram insieme con un altro sacerdote, Rafael Friedrich. In quel periodo furono arrestati tutti i cinque vescovi e la Chiesa rimase senza guida, a parte alcuni sacerdoti ancora in libertà. Il vescovo dovette subire terribili maltrattamenti, privato del cibo e nel totale isolamento, senza bagno. Per farlo soffrire ancora di più i poliziotti gli tolsero i vestiti. Un sacerdote prigioniero, incaricato della pulizia del corridoio, poté avvicinarsi alla porta della cella senza destare sospetti e dire qualche parola a voce bassa al suo vescovo. Lui riconobbe la sua voce e lo informò in lingua latina, sconosciuta ai poliziotti, che stava soffrendo molto ed era ormai prossimo alla morte per la fame e per le ferite; sdraiato sul pavimento tra la sporcizia e gli escrementi, per lui non era più possibile muoversi. Alla fine del brevissimo colloquio chiese al sacerdote prigioniero di dargli l'assoluzione dei peccati in caso di morte e anche la sua benedizione. Probabilmente già il 10 dicembre il  coraggioso vescovo e martire Anton Durcovici morì nella sua cella.

Secondo le informazioni fornite dagli studiosi rumeni, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, dei circa 3.331 sacerdoti cattolici, di ambedue i riti, ne furono uccisi circa 1.405.
In Slovenia la storia ebbe lo stesso percorso. Anton Vovk (1900-1963) venne nominato vescovo (e poi arcivescovo) di Ljubljana il 26 novembre 1959. Giovanni XXiii lo definì "martire del XX secolo". Dopo la seconda guerra mondiale vescovi, sacerdoti e fedeli subirono una dura repressione. Alla fine della guerra circa 300 sacerdoti e religiosi sloveni furono espulsi dal partito comunista. Alcuni furono uccisi senza processo, altri ancora furono condannati dai tribunali popolari senza nessuna ragione, spesso patirono lunghi anni di prigione. Nel solo maggio 1945 furono arrestati 50 preti. Negli anni 1945-1961 furono condannati senza processo 425 sacerdoti. Lo stato comunista ridusse pesantemente la libertà di culto e proibì ogni attività fuori dalle parrocchie.

Il vescovo Anton Vovk era solito viaggiare con i mezzi pubblici, accompagnato, per motivi di sicurezza, da altri sacerdoti. Anche il 20 gennaio 1952 viaggiava in compagnia di altre persone da Ljubljana a Nové Mesto per la benedizione dell'organo nella chiesa parrocchiale di Stopice. Sullo stesso treno si trovavano anche agenti della polizia, che avevano progettato un attentato ai suoi danni. Appena il treno entrò in una galleria, sulle vesti del vescovo fu gettato un liquido maleodorante e infiammabile. Alla stazione di Nové Mesto il vescovo scese dal treno, ma fu subito assalito da un gruppo di persone che lo costrinsero a risalire, non prima però di aver gettato della benzina sulla sua veste e aver appiccato il fuoco. La folla, invece di intervenire in suo aiuto, gridava con furore:  "brucia diavolo, crepa diavolo!". Anche la polizia non intervenne.

Il vescovo non perse il sangue freddo e si liberò dai vestiti in fiamme. Il fuoco aveva provocato gravi ferite sul volto e sulla gola, dove il collarino di plastica gli procurò una cicatrice che gli rimase per tutta la vita. Quando le fiamme si spensero un poliziotto lo accompagnò nel vicino edificio della stazione, dove fu di nuovo aggredito da un gruppo di attivisti comunisti. Con la scusa di espletare le formalità fu ritardata l'opera del medico. Portato finalmente nell'ospedale fu medicato sommariamente e rimandato subito a Ljubljana con il primo treno disponibile. Dopo una grave malattia, l'arcivescovo Anton Vovk morì il 7 luglio 1963. L'inchiesta diocesana della causa di beatificazione si è conclusa il 12 ottobre 2007 e il 26 ottobre i documenti sono stati portati in Vaticano.

Uno dei più grandi desideri irrealizzati di Giovanni Paolo II fu quello di poter visitare la Russia, ma riuscì solo a visitare alcuni Paesi della dissolta Unione Sovietica. La visita in Ucraina fu un'occasione per pregare insieme a un milione di fedeli, ma anche per commemorare, quel 27 giugno 2001, il sacrificio di 27 martiri, di cui 9 vescovi, sacerdoti e laici elevati alla gloria degli altari. Le persecuzioni in Ucraina iniziano con l'arrivo dell'Armata rossa, nel marzo 1944. L'arcivescovo Andrej Szeptickyi, già vecchio e malato, morì il 1° novembre 1944. I comunisti, ancora negli ultimi giorni della guerra, arrestarono tutti i vescovi greco-cattolici sul territorio nazionale.

Il loro destino fu contrassegnato da numerose prigionie, processi farsa o inesistenti, totale isolamento nei campi di lavoro, lontani dalle loro comunità. Il beato vescovo di Mukachevo, Theodore Romzha (1914-1947) fu il più giovane vescovo della Chiesa greco-cattolica. Nel 1946 lo Stato sovietico incorporò le diocesi greco-cattoliche nel patriarcato ortodosso di Mosca. Solo la diocesi greco-cattolica di Mukachevo funzionava ancora. I servizi segreti cercavano da tempo un modo per uccidere il vescovo Theodore Romzha. In Unione Sovietica i sacerdoti non avevano diritto di spostarsi senza autorizzazione della milizia così anche il vescovo chiese un permesso per poter visitare una parrocchia. Questa informazione fu usata dai persecutori per organizzare un falso incidente stradale e uccidere il vescovo senza destare sospetti, temendo una reazione della popolazione. Il 27 ottobre 1947 l'auto del vescovo fu investita da un pesante camion ma il vescovo, vedendo gli attentatori armati con spranghe di ferro, ancorché ferito, riuscì a fuggire e venne ricoverato in gravissime condizioni all'ospedale di Mukachevo. Con il passare dei giorni le sue condizioni stavano migliorando. Ma un'infermiera, il 1 novembre 1947, lo uccise avvelenandolo con il curaro. Il 27 giugno 2001, Theodore Romzha è stato proclamato beato da Giovanni Paolo II a Leopoli.

La vita di Josyf Ivanovyc Slipyj illustra al meglio la situazione ucraina. Il 22 dicembre 1939 fu consacrato arcivescovo con diritto di successione, diventò capo della Chiesa Cattolica Ucraina il 1 novembre 1944. Slipyj fu arrestato l'11 aprile 1945. Dopo un processo farsa nel 1946, venne condannato per attività antisovietica a otto anni di prigionia, che scontò nei diversi Gulag. Nel 1954 venne di nuovo riportato in Siberia, questa volta per quattro anni. Nel 1959 sopportò un secondo processo e una nuova condanna, questa volta a sette anni di Gulag. Fu nominato cardinale in pectore fin dal 1960 e il 22 febbraio 1965 arcivescovo maggiore da Paolo VI. Slipyj morì il 7 settembre 1984.

Anche in Ungheria l'arrivo dell'Armata rossa segna l'inizio delle persecuzioni. Il sacrificio del vescovo di Gyor, Vilmos Apor, e la lotta per i diritti umani fatta da József Mindszenty, sono solo i due esempi più noti. La rottura con la Santa Sede si consumò il 4 aprile  1945,  con  la  partenza  del nunzio monsignor Angelo Rotta da Budapest. I comunisti russi portarono in Ungheria un gruppo di comunisti ungheresi, preparati a Mosca, con il compito di prendere il potere politico nel Paese. La Chiesa cattolica in Ungheria fu dichiarata un'organizzazione contraria agli interessi dei sovietici. Nel 1948 fu proclamata la separazione fra Stato e Chiesa e i sacerdoti dovettero restringere le loro l'attività all'interno delle chiese. Il Partito comunista ungherese desiderava con tutti mezzi prima  di  tutto  diffondere  l'ideologia materialista fra i giovani e la classe operaia.

Pio xii nominò il 15 settembre 1945 József Mindszenty nuovo arcivescovo di Esztergom. Mindszenty si impegnò a difendere le posizioni della Chiesa, i suoi diritti e la stabilità delle sue istituzioni senza compromessi politici. Il nuovo potere intensificò la campagna diffamatoria contro Mindszenty e la Chiesa cattolica. I comunisti speravano di riuscire a far spostare Mindszenty dall'Ungheria, con l'aiuto del Vaticano. Visto che questi tentativi fallirono, decisero di arrestarlo a Esztergom il 26 dicembre 1948. In un processo farsa, l'8 febbraio 1949, fu condannato all'ergastolo ma venne liberato durante la rivoluzione nel 1956. Il 4 novembre 1956 si rifugiò nell'ambasciata americana, dove restò fino al 1971, quando gli fu consentito di recarsi a Vienna. Nelle trattative ebbe un ruolo importante l'arcivescovo di Vienna, il cardinale Franz König.

Vilmos Apor nacque il 29 febbraio 1892 ad Alba Julia. Nel 1894 la famiglia si trasferì a Vienna dove Vilmos frequentò la scuola; successivamente completò i suoi studi tra l'Ungheria e l'Austria. Il 24 agosto 1915 venne ordinato sacerdote. Nell'agosto 1918 venne nominato parroco di Gyula:  aveva 26 anni e fu il più giovane parroco d'Ungheria. Consacrato vescovo il 24 febbraio, prese possesso della diocesi il 2 marzo 1941. Nello stesso anno l'Ungheria entrò in guerra a fianco della Germania. Quando in Ungheria furono introdotte le leggi razziali, Apor prese posizione in favore delle vittime dell'ingiustizia e tentò tutto ciò che era in suo potere per proteggere gli abitanti della sua diocesi.

Quando il 19 marzo 1944 le truppe tedesche invasero l'Ungheria, Apor condannò in cattedrale il razzismo antiebraico. Si oppose, in una lettera del 28 maggio 1944, diretta al ministro degli Interni, alla costruzione di un ghetto a Gyor, pur conoscendo le conseguenze a cui sarebbe andato incontro. Iniziata la deportazione in massa, creò gruppi di soccorso lungo il percorso dei convogli, salvando da morte migliaia di ebrei. Nel frattempo l'avanzata dell'Armata rossa era preceduta da terrificanti notizie circa il comportamento dei soldati. Egli aprì il suo palazzo a tutti coloro che cercavano rifugio.
Nel Natale del 1944, le truppe sovietiche iniziarono l'invasione, stuprando donne e uccidendo chiunque si opponesse. Il 28 marzo 1945, Mercoledì santo, Apor andò incontro ai primi soldati russi:  li accolse con calma dichiarando che quanti si trovavano nel castello erano posti sotto la sua protezione. Non si allontanò dall'ingresso e vegliò giorno e notte per proteggere i trecento rifugiati. Verso la sera del Venerdì santo si presentarono all'ingresso dei sotterranei alcuni soldati russi, guidati da un maggiore, e cercarono di trascinare fuori le ragazze. Il vescovo si oppose e i soldati spararono, colpendolo con tre proiettili. Fu subito trasportato in ospedale dove, nonostante l'operazione, il 2 aprile 1945 morì. Il 9 novembre 1997, Vilmos Apor è stato proclamato beato da Papa Giovanni Paolo II.

La storia della Polonia è da sempre legata alla storia del cristianesimo. La Chiesa e la Nazione dovettero spesso dimostrare la loro forza contro il tragico destino degli ultimi secoli. La posizione geografica tra la Germania a Ovest e la Russia a Est ha spesso determinato la difficile storia del Paese. Il sistema comunista propagato dai Russi non ha trovato, nonostante grandi sforzi e persecuzioni d'ogni tipo, terreno fertile.

Nel 1944 con l'Armata rossa viene instaurato da Mosca un governo polacco comunista, imposto da Stalin. Quando arrivavano i soldati russi non c'era più salvezza per tutti coloro che non condividevano quella visione della società, fossero essi persone o istituzioni. Dopo la tragedia di Katyn, dove morirono 22.000 ufficiali polacchi, uccisi dai servizi segreti per ordine di Stalin, solo un piccolo gruppo della società polacca diede il benvenuto ai soldati russi, che liberarono il Paese dai nazionalisti tedeschi. Dopo milioni di morti nei campi di concentramento sul territorio polacco - organizzati da Berlino nel centro geografico del nuovo Reich per economizzare sui costi per l'annientamento di quelli che Adolf Hitler considerava popoli senza diritto alla vita - si passava adesso al criminale sistema dell'Unione Sovietica, con migliaia di campi di concentramento ben funzionanti anche dopo la seconda guerra mondiale. Mentre a Norimberga l'Unione Sovietica condannava i crimini di guerra commessi dalla Germania, milioni di persone vivevano e lavoravano in condizioni disumane nei numerosi Gulag in Siberia.

Dall'inizio, oltre all'intellighenzija del Paese, la Chiesa cattolica con i suoi sacerdoti costituiva un obiettivo primario del potere comunista. Questi, appena tornati da un campo di concentramento speciale a Dachau in Germania, dovettero subire altri atti di violenza da parte del nuovo governo. Non tutti i rappresentanti della Chiesa ebbero il coraggio di resistere ancora. Dalle recenti ricerche degli storici emerge che non tutti ebbero un comportamento eroico come Stanislaw Suchowolec un sacerdote di 31 anni, picchiato dagli agenti segreti e poi finito soffocato nella sua casa, alla quale qualcuno in una notte del 1989 aveva appiccato il fuoco. O come Stefan Niedzielak, un prete di 75 anni, rapito e ammazzato brutalmente a Varsavia. Un esempio particolare di fedeltà e coraggio è quello dimostrato da un giovane sacerdote, Jerzy Popieluszko, sequestrato dagli agenti dei servizi segreti dello Stato, torturato e infine gettato nella Vistola nel 1984. La lista dei sacerdoti polacchi perseguitati dai sevizi segreti del ministero degli Interni è lunga, anche se il vero numero delle persone discriminate probabilmente non si saprà mai:  resteranno nella memoria solo i personaggi più famosi o quelli uccisi in odium fidei.

I grandi protagonisti della Chiesa in quel difficile periodo furono i cardinali Stefan Wyszynski a Varsavia e il futuro Papa, Karol Wojtyla, a Cracovia. L'apparato dello Stato, messo in movimento per controllare e frenare le attività della Chiesa, si mostra oggi, dopo la conoscenza di tanti dettagli, veramente impressionante. Alcuni nuovi aspetti li possiamo conoscere dai documenti del processo diocesano di beatificazione di Popieluszko.

Per un lungo tempo la polizia segreta preparò una relazione giornaliera sullo stato delle attività della Chiesa. Queste relazioni finivano sui tavoli dei personaggi più importanti nel Paese, come il generale Wojciech Jaruzelski e i membri del comitato centrale del Partito comunista polacco e del governo. Le oppressioni contro la Chiesa cattolica vengono sistematizzate con una legge del 1962. In questo stesso anno Stefan Wyszynski, insieme con altri vescovi polacchi, pubblicò un'importante lettera pastorale contro l'ateismo. Dall'agosto del 1980 Popieluszko era diventato un leader del movimento dei lavoratori Solidarnosc, collaborando con numerosi oppositori del governo polacco e nello stesso momento un avversario del governo. Ben presto le sue parole divennero popolari e spesso ripetute in varie occasioni sindacali:  "per rimanere un uomo libero bisogna vivere nella verità. Non ci possiamo far governare dalla menzogna".

Popieluszko svolse in questo difficile periodo per tutto il movimento Solidarnosc un'ampia opera di sostegno materiale e spirituale dei lavoratori e si mantenne in stretto contatto con gli intellettuali dell'opposizione e con le strutture clandestine di Solidarnosc. Le autorità politiche in Polonia temevano la sua influenza e si fecero sempre più frequenti le proteste alla Curia e al nuovo primate di Polonia, l'arcivescovo di Varsavia Józef Glemp.

Nel telegiornale del 20 ottobre tutta la Polonia seppe ufficialmente, grazie alle notizie raccontate da alcuni ben informati oppositori, che don Popieluszko era stato rapito. Nella chiesa di San Stanislao a Varsavia, dove abitava il sacerdote accorsero migliaia di persone a pregare per la sua libertà. Non si sapeva ancora che il sacerdote era già stato ucciso e che il suo corpo si trovava sul fondo del lago vicino a Wloclawek. Il 30 ottobre la stessa televisione polacca diffuse la notizia del ritrovamento del corpo di don Popieluszko.

Il cardinale Joseph Ratzinger ha visitato la sua tomba a Varsavia, nel prato verde presso la chiesa di San Stanislaw Kostka, il 25 maggio 2002. Sulla libro che raccoglie le frasi lasciate dalle persone che visitano la tomba dell'eroico sacerdote Ratzinger ha scritto in italiano le seguenti parole:  "Il Signore benedica la Polonia, dando sacerdoti con lo spirito evangelico di Popieluszko". Dal 1984 circa diciotto milioni di pellegrini si sono recati a pregare su quella tomba.

Il processo di beatificazione di don Jerzy  Popieluszko fu aperto l'8 febbraio 1997 a Varsavia. La fase diocesana durò 4 anni e furono raccolti numerosi documenti e interrogati 44 testimoni. Il 3 maggio 2001 ebbe inizio in Vaticano il processo super martyrio. Il 19 dicembre 2009 il Pontefice ha firmato il decreto del martirio del Servo di Dio don Jerzy Popieluszko. La beatificazione fu celebrata a Varsavia, sulla piazza centrale della città, il 6 giugno 2010. Le nuove generazioni dei giovani cattolici del mondo intero conosceranno il suo martirio per mano dei comunisti.

La Chiesa non solo è sopravvissuta alle sanguinose persecuzioni perpetrate dal regime comunista ma, grazie al sangue dei martiri, è stata rafforzata per affrontare con rinnovato vigore il XXI secolo. Talvolta i persecutori hanno potuto toglierle la voce, ma mai la memoria. E la memoria trasmessa di bocca in bocca diventa storia, e la storia rende sovente giustizia ai perseguitati. Sono uomini e donne, vecchi e bambini, laici e sacerdoti, spose e consacrate, zar e contadini. Ciascuno con un nome da ricordare. Perché è dovere di ogni cristiano fare memoria, e non solo della frazione del pane, che è il corpo di Cristo, ma anche della frazione di quel corpo mistico, che è la Chiesa.


(©L'Osservatore Romano - 29-30 novembre 2010)

RICORDA:



La fame di Lenin contro la Chiesa

a cura di Rino Cammilleri
26-02-2011

Tra il 1921 e il 1922 il regime bolscevico, con la sua politica di confisca di cibo e sementi, provocò una terribile carestia che fece 25 milioni di morti nella regione del Volga. Il patriarca ortodosso Tichon offrì i beni della Chiesa ortodossa ma Lenin pretese anche la cessione dei vasi sacri. All’inizio del marzo 1922 l’American Relief Administration aveva accumulato tanti aiuti nei porti russi da mettere in crisi i trasporti. Infatti, alla fine dell’anno la Russia bolsevica esportò un milione di tonnellate di grano.

Ma a Lenin interessava la lotta alla Chiesa. Il Vaticano mise a disposizione una somma pari ai beni confiscati agli ortodossi ma Lenin la rifiutò. Il 19 marzo, in piena carestia, Lenin aveva presentato un memorandum al Politburo. In esso si diceva chiaramente: «Questo momento non è soltanto eccezionalmente favorevole ma ci offre il novantanove per cento di probabilità di distruggere il nemico e di assicurarci per decenni le condizioni di cui abbiamo bisogno. È adesso e soltanto adesso, quando nelle regioni afflitte dalla carestia c’è il cannibalismo e le strade sono ricoperte da centinaia se non da migliaia di corpi, che possiamo (e dunque dobbiamo) proseguire nell’acquisizione dei beni della Chiesa con la più feroce e spietata determinazione, non fermandoci di fronte a nulla pur di sopprimere ogni forma di resistenza» (Michael Burleigh, In nome di Dio, Rizzoli, p. 64).







[Modificato da Caterina63 26/02/2011 12:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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20/04/2011 22:55
 
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CATTIVI MAESTRI. Inchiesta sui nemici della Verità



Alessandro Gnocchi & Mario Palmaro, Cattivi maestri. Inchiesta sui nemici della verità, Piemme 2009, pp. 192,  ISBN-13: 9788838410703, euro 16.

Sconto su: http://www.theseuslibri.it/


Recensione di Francesco Natale e 1° capitolo del libro.


Gnocchi e Palmaro mettono a segno un altro centro perfetto con questo gustosissimo e originalissimo libro. Libro che si presenta come unacollatio di 30 schede, legate tra loro da un originale filo narrativo che si ispira al romanzo noir americano. Nelle 30 schede troveremo la «fedina penale», per così dire, delle 30 tipologie di cattivi maestri responsabili della morte dell'«uomo moderno». Abbiamo così l'«Archistar», ovvero l'architetto di grido che non vede l'ora di cementare ed inscatolare ogni residuo di tradizione architettonica o paesaggistica anche solo lontanamente legata alla Civiltà Cristiana, pur essendo a modo suo ecumenicamente devoto. Abbiamo il «Cattonotaio», ovvero l'opposto, per certi versi del «Cattoprogressista» ma altrettanto dannoso, perché il suo conservatorismo si concretizza non tanto nella sana difesa delle sane tradizioni, quanto più nel far della Fede una sequenza infinita ed inutile (nella migliore delle ipotesi) di atti notori: parte in quarta a difesa della vita ma accetta il compromesso sulla Legge 40 in quanto «inevitabile». Ecco poi scendere in campo il «pauperista che veste Prada»: colui che continua a parlare della bellezza del deserto e del suo silenzio ma non rinuncia ad un vernissage o ad un talk show di grido. Poveri i giovani, quindi, che finiscono nelle mani del «catechista ridens», il quale per rendere - bontà sua - più interessante il Credo o il Pater Noster né remixa una versione rap o ragamuffin.



Per chi volesse poi salvare il pianeta da questo così volgare eccesso di antropizzazione, imperdibile l'«ambientalista illuminato», ennesimo relitto del 1989 berlinese che pensa davvero di salvare il pianeta evitando di tirare lo sciacquone del WC o vivendo in perenne penombra perché l'energia elettrica inquina (ed è prodotta dalle multinazionali, aggiungiamo noi). Colui che a Dio ha sostituito la raccolta differenziata e, come molti altri cattivi maestri ha la caratteristica di «indignarsi» ogni due per tre. Per chi volesse dimagrire senza spendere una fortuna dal dietologo, suggeriamo di aderire alla weltanschauung del «radicale libero», prontissimo a (laici) digiuni quaresimali ogni qual volta una tonaca «ingerisce» (leggi: esprime una legittima e talvolta doverosa opinione) nella politica italiana. Occhio al «predicatore incontinente» che ha due principali caratteristiche: non parla mai del Papa e appena dice qualcosa di pur vagamente ortodosso se ne scusa immediatamente. E' il principale responsabile dell'epidemia di narcolessia che affligge innumerevoli parrocchie in tutto il globo. Doppiamente colpevole, poiché abusa di uno spazio unico è privilegiato: è il solo che possa, a pieno diritto, parlare per venti minuti ad una platea senza contraddittorio alcuno. E via via imparerete a conoscere e a difendervi dal «filosofo postmoderno», dal pericolosissimo «vaticanoterzista», dall'insopportabile «scienziato in talare» e dal pessimo «semi-cristiano».

Ora, al di là della condivisibilità o meno dell'approccio sicuramente ortodosso (ma mai pedante) degli autori, questo libro, nella sua scorrevolezza e nella sua felicità di contenuti, rappresenta davvero un formidabile vademecum per quanti desiderino smascherare e sbugiardare i tanti, tantissimi falsi profeti che animano televisione, patinate testate giornalistiche, sfilate e prime teatrali. E' un libro scritto di cuore e viscere, galvanizzato da una vis comica degna dell'Asterix di Goscinny e Uderzo. E il grandissimo merito che và ai due autori è soprattutto quello di avere individuato nelle sue molteplici sfaccettature il Grande Nemico dei tempi moderni: la tiepidezza. L'incapacità di osare, il costante timore che le proprie idee, nelle quali si dice di credere, possano sempre e comunque recare offesa a qualcuno, rendendo così ogni confronto potenzialmente gustoso e «futurista» una insulsa passeggiata sulle uova, un assolo (noiosissimo) di burocrazia dialettica. In questo senso appare evidente la valenza metapolitica dell'opera, poiché, pur non parlando quasi mai apertamente di politica, Gnocchi e Palmaro individuano punto dopo punto i limiti e le lacune che affliggono troppo spesso il dibattito politico, sia sui temi cosiddetti «sensibili» che sulle bagatelle da consiglio comunale.

Cattivi Maestri susciterà un vespaio di polemiche e sarà sicuramente messo all'indice, in particolare nell'ambiente dei cosiddetti «cattolici adulti», o, meglio, secondo la vulgata degli autori, «adulterati». Della qual cosa non possiamo che compiacerci... come se ne compiaceranno gli autori. Niente male davvero, considerando che tutto si concentra in 252 pagine che leggerete in una notte o poco più... per poi tornare a rileggerne paragrafi o capitoli ogni volta che sarete colti dal sospetto (fondato) di aver incontrato sul vostro cammino un cattivo maestro.



CATTIVI MAESTRI
Inchiesta sui nemici della Verità
ALESSANDRO GNOCCHI & MARIO PALMARO

Istruzioni per l’uso
Guardatevi dai falsi profeti
che vengono a voi in veste di pecore,
ma dentro son lupi rapaci.
Dai loro frutti li riconoscerete.
(Mt 7, 15-16)
Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti
e faranno grandi portenti e miracoli,
così da indurre in errore,
se possibile, anche gli eletti.
(Mt 24, 24)
Eppure, ce l’avevano detto
Se prima d’ora nessuno ci avesse avvisato, questo libro sarebbe uno scoop da premio Pulitzer o, a scelta, un’autocertificazione per il ricovero in manicomio. Ma due millenni or sono, nel Vangelo, Gesù ci ha messi in guardia senza mezzi termini da falsi cristi, falsi profeti, lupi rapaci in veste di pecora che cercheranno di indurre in errore anche gli eletti: in quarantacinque parole ha descritto l’ostilità del mondo in cui il cristiano dovrà servire la Verità sino alla fine dei tempi. E sarebbe difficile sostenere il contrario, visti i frutti che cadono a terra giorno dopo giorno in questo giardino maleolente che si chiama mondo moderno. Dall’aborto all’eutanasia, dal pansessualismo alla corruzione, dallo sfascio della famiglia all’edonismo sono tutti frutti che crescono sulla pianta coltivata con amorevole cura dai Cattivi Maestri della modernità e concimata con la corruzione della fede e della dottrina cattoliche.
Anche per oggi, niente premi
Ci era stato detto. Dunque, non può sorprendere più di tanto se ora qualcuno si prende la briga di stilare un repertorio di questi falsi cristi, un inventario dei loro pensieri, una dispensa ragionata delle loro imprese. Non c’è proprio niente di straordinario, può farlo chiunque.
Basta un pizzico di spirito d’osservazione e un pizzico di senso critico, ingredienti di cui sono dotate tutte quelle persone di buon senso che faticano sempre di più a orizzontarsi nel mondo presente. Perciò, più che altro, quelle che seguono sono pagine di un diario buttate giù un po’ per sfogo e un po’ per trovare conforto tra persone assennate. Nulla di sensazionale, solo semplice, banalissima, normalissima cronaca. Insomma, niente Pulitzer, ma in compenso niente manicomio.
Sì, però, niente manicomio, ma in compenso niente Pulitzer.
Naturalmente, si dice Pulitzer tanto per dire, per parlare di qualche cosa di inarrivabile perché, con quello che s’è scritto in queste pagine, non si può puntare neanche all’ultimo premiolino vuoi della parrocchietta fuori mano vuoi dell’Arciqualsiasicosa. A meno di non incappare in qualche premiatore disposto a stilare per se stesso l’autocertificazione di cui sopra. E, per la verità, una volta è persino capitato. I due scriventi sono ancora a piede libero, il premiatore non sappiamo.
Due libri in uno
Ora, bisogna sapere che a queste considerazioni si è arrivati quando l’editore si è trovato sul tavolo il cosiddetto manoscritto. «Voi due non cambierete mai…»
Proprio così, «Voi due non cambierete mai…» con tre sconsolati ed eloquenti puntini di sospensione al termine della frase. E giù con una geremiade che ci ha strappato il cuore: la catena di librerie cattolicamente corretta che si rifiuta di vendere libri firmati Gnocchi & Palmaro, le altre librerie sparse ma non meno cattolicamente corrette che prendono a male parole gli incauti avventori che ne facciano richiesta, le parrocchie e i centri culturali cattolici che disdicono conferenze dei due autori e persino gli amici che si affrettano a spiegare ai medesimi che, insomma, un po’ va bene, ma quando si esagera, si esagera e poi bisogna stare attenti a fare i nomi. «Ma voi perché volete mettere nei guai proprio me?» ha concluso l’editore.
Come potevamo rispondergli che lo facciamo per amicizia?
È stato lì che abbiamo avuto l’idea, non diciamo brillante, ma sufficiente per uscire dall’imbarazzante situazione: «Allora facciamo un romanzo».
Avete mai provato a proporre un romanzo a un editore?
Se anche foste Alessandro Manzoni redivivo, la prima risposta sarebbe la stessa fornita a ogni aspirante romanziere dal giorno dell’invenzione della stampa a oggi: «La narrativa non funziona».
Però, il nostro editore ha commesso l’errore di esitare una frazione di secondo di troppo nel dirci che “la narrativa non funziona” e noi l’abbiamo preso per un sì. Chi tace acconsente: ci siamo alzati, gli abbiamo stretto la mano e ce ne siamo andati.
Terminato il romanzo, ci siamo ripresentati e abbiamo deposto il lavoro sulla sua scrivania.

Quella che segue è la semplice e asettica trascrizione del dialogo.
Editore: «E questo cosa sarebbe?».
Noi: «Un giallo».
E: «Ah… e come si intitola?».
N: «Cattivi Maestri».
E: «E di che cosa parla?».
N: «È un’inchiesta sui nemici della Verità».
E: «Inchiesta sui nemici della verità».
N: «Verità in maiuscolo».
E: «Va bene, Verità in maiuscolo. Quindi è la stessa solfa del saggio».
N: «Sì e no».
E: «E allora che cosa facciamo».
N: «L’editore è lei».
E: «Lei in maiuscolo».
N: «Va bene, Lei in maiuscolo, però adesso sono ugualmente affari suoi».
E: «Non solo. La firma ce la mettete voi».
N: «Be’, noi pensiamo che le due cose si possano integrare. Ogni capitolo del giallo può fare da introduzione a una delle sezioni del saggio. Senza contare che chi vuole può leggere solo il saggio oppure solo il giallo. Oltre tutto, in questo modo il lettore prende due libri al prezzo di uno».
E: «Due libri al prezzo di uno: sai che affare mi avete messo tra le mani…».
L’obiezione non era priva di senso, e abbiamo pensato bene di abbandonare l’ufficio lasciando i due manoscritti sulla scrivania. Poi abbiamo atteso con calma, fino a quando un corriere ci ha recapitato a casa le bozze: due libri in uno, doppio lavoro.
Per la verità, le nostre mogli, che continuano a essere una a testa, sono sempre le stesse e non mancano di un certo senso pratico, hanno aggiunto: doppie rogne. Ma si sa come sono le mogli.
Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro
Domenica 14 giugno 2009
Festa del Corpus Domini
Le inchieste dei fratelli Santommaso
Primo Capitolo
«È morto, siamo arrivati tardi» disse Ag Santommaso. Con noncuranza professionale aveva posato due dita sulla carotide del poveretto steso per terra e ne stava certificando il trapasso all’altro mondo. Un colpo di stiletto al cuore, brutta fine per il polacco.
Già perché il cadavere era quello del polacco, o cos’altro fosse, che aveva comperato gli stiletti di Levousé. Io ero sdraiato poco più in là, su un pavimento fetido, paralizzato dallo spavento e non ancora sicuro di averla scampata veramente. Non avevo un graffio, eppure ero certo che la morte mi avesse sfiorato. Eccome mi aveva sfiorato. La tigre aveva tentato di portarsi via la mia anima.
«Le è andata bene» biascicò sottovoce Mp. «Se avessimo tardato un minuto, sarebbe all’altro mondo a far compagnia a questo poveretto.»
«Poveretto un corno» risposi. «Questo signore, qualche giorno fa aveva comperato trenta stiletti d’oro. Non vi dice niente la cosa?»
«Lo sappiamo, glieli ha venduti Levousé.»
«Quindi ci siete andati anche voi.»
«Sì, prima di lei.»
«Ecco perché quel vecchio malefico sorrideva quando ho inventato la scusa dell’articolo per il giornale…»
«Ci vada piano coi giudizi, a volte gli uomini e le cose non sono ciò che sembrano.»
«Cosa vorrebbe dire?»
«Voglio dire che non è certo nella bottega di Levousé che troverà l’assassino.»
«E perché?»
«Perché la bottega di Levousé è il nostro ufficio.»
«E Levousé sarebbe il vostro capo?»
«Adesso non esageriamo» intervenne Ag. «A tutto c’è un limite. Diciamo che Levousé è una specie di segretario, di portinaio, di fattorino. Ma, soprattutto, è il miglior informatore che ci sia sulla piazza. Lei non ha idea di quante cose viene a sapere quell’ometto stando chiuso nella sua stamberga.»
«Ma l’odore selvatico che c’è là dentro…»
«Glielo diciamo sempre di non esagerare con il grasso di tigre nell’intruglio che bolle in continuazione sul fornello. Ma lui sostiene che fa bene per un sacco di cose. Ha tentato persino di farcelo assaggiare, ma abbiamo declinato. Comunque, vede bene che, anche per gli odori, bisogna fare attenzione. Bisogna avere naso.»
«Dunque, Levousé non c’entra.»
«Si metta tranquillo» riprese Mp. «Levousé sta con i buoni. Le concediamo che l’aspetto è piuttosto inquietante, ma, coi tempi che corrono, non si può fare tanto gli schizzinosi.»
«Però lui non è…»
«Non è…?»
«Lui non è… cattolico come voi.»
«Glielo abbiamo già detto che non sempre gli uomini sono ciò che sembrano. Levousé è cattolico, apostolico e romano.»
«Convertito?»
«Convertito e praticante.»
«Quindi è più a posto di me che a Messa ci vado ogni tanto.»
«Quindi è più a posto di lei che a Messa ci va ogni tanto. E nel suo lurido portafogli tiene un santino immacolato di san Massimiliano Kolbe. E in quello che lei magari scambia per un portamonete custodisce un rosario preziosissimo che ha pagato molto caro: il disprezzo della sua famiglia, quando ha deciso di farsi cattolico, apostolico e romano.»

E così, Levousé mi aveva fatto fesso due volte. Per di più, il polacco, o cos’altro fosse, era morto stecchito e adesso bisognava ricominciare da capo. Mi misi seduto per terra, mi grattai la pera e cominciai a pensare. Le mie povere rotelle dovevano fare un gran fracasso, perché i fratelli Santommaso si voltarono contemporaneamente per capire che cosa stessi elucubrando.
Be’, stavo pensando. Mica l’avranno avuta loro l’esclusiva della messa in moto della materia grigia.
«Se non è troppo spaventato» mi disse Ag «adesso può venire a caccia con noi. Però l’avvisiamo… la porteremo in un posto ben peggiore di questo, vedrà dei veri e propri mostri.»
Fui sul punto di rifiutare, ma mi seccava da matti far la figura dello smidollato davanti a quei due damerini.
«Va bene» dissi «basta che non ci sia la puzza irrespirabile che si sente qua dentro.»
«Niente paura, la porteremo nel salotto più esclusivo della città.»
Credo di non aver mai provato in vita mia soddisfazione più grande di quella sera. Avreste dovuto vedere la faccia dei premiati fratelli Santommaso quando, giunti sulla porta del salotto più esclusivo della città, si trovarono davanti a una scenetta che proprio non si sarebbero aspettati. L’attrazione della serata era nientemeno che il cattolico apostolico e romano Levousé. Un Levousé quasi irriconoscibile, elegantissimo, accessoriato, profumato, dall’eloquio perentorio e irresistibile. Stava tenendo banco sulla questione femminile e sui destini del comunismo che, a suo dire, non avrebbe fallito e non sarebbe affatto morto: «La rivoluzione non è finita» diceva davanti a uno stuolo di damazze in adorazione. «La rivoluzione ha solo preso altre vie. Non si può sempre fare con il mitra in mano e impiccando i reazionari…»
A questo punto risero persino gli uomini: da quello con il pullover di cashmere rosso sangue a quello con il completo antracite alta finanza.
«Non entriamo» disse sottovoce Mp. «Finché non ci nota nessuno, ascoltiamo e prendiamo nota. Soprattutto, ricordiamoci nomi e facce.»
«E poi?» chiesi io, che non difettavo di un certo senso pratico.
«Poi improvvisiamo.»
«Allora, dobbiamo improvvisare subito» feci io, che non difettavo di un certo senso pratico, mentre alle nostre spalle arrivavano, con studiato ritardo, il Fondatore del giornale più anticattolico sulla piazza e un bonzo buddista tutto pavesato di arancione.
Senza volerlo, fu il Fondatore a risolvere la situazione.
Ag, con la sua giacca di velluto e la pipa in bocca, venne subito liquidato come un vetraio che avesse appena finito di stuccare una finestra. A Mp, in uniforme da ordinario di filosofia del diritto, venne spiegato che, se era venuto per le ripetizione del ragazzino, aveva sbagliato orario.
«Lei, invece, mio caro…» disse voltandosi verso di me il Fondatore «non ci siamo mai visti… Venga, venga, vedrà che ce la spassiamo questa sera».

E fui risucchiato dal suo charme nel salotto dove tutti, Levousé compreso, ora avevano occhi solo per lui. Non feci in tempo a girarmi per chiedere consiglio ai fratelli Santommaso.
La porta si era chiusa e, immediatamente, mi assalì un tremendo odore di tigre. Il Fondatore si sedette in poltrona, posò le mani sui braccioli e fece cenno che avrebbe volentieri ascoltato.
Levousé, che mi aveva riconosciuto, non si perse d’animo.
Mi ignorò completamente, continuò a parlare e prese a spiegare al comunista in cashmirino rosso e alla signora buddista sull’orlo della menopausa che, in fondo, pensavano la stessa cosa: «Guardate che Marx, dietro al suo materialismo, ha nascosto il fatto che la materia non esiste. È una delle versioni più geniali della gnosi. Attraverso l’esaltazione della materia, viene proclamata la sostanziale esistenza del solo spirito. I corpi non contano nulla, sono creati da un dio cattivo e se ne può fare quello che si vuole. Si possono macellare nelle rivoluzioni o renderli luminosi nella meditazione, ma non cambia nulla».
Il Fondatore, ammirato, assentiva.
Ogni tanto, mi lanciava un’occhiata complice e io, bevendo, ammiccavo. Intanto, continuavo a chiedermi perché non mi avesse cacciato con i due Santommaso. Forse, mi stava leggendo nel pensiero, perché alzò un solo dito dal bracciolo e questo, anche per me che non lo avevo mai visto, significava che dovevo avvicinarmi. Non si disturbò a guardare verso di me. Quando annusò la mia presenza e capì che avrebbe potuto parlare sottovoce, disse: «Cravatta ineccepibile, si riconoscono subito le persone di classe». Poi, con lo stesso dito alzato, mi congedò. In effetti, le cravatte erano il mio punto forte. E quella sera ne portavo una uguale a quella del Fondatore.

Nel frattempo, Levousé parlava, il Fondatore ascoltava e io bevevo cercando di non pensare all’odore di jungla e di tigre che mi avvolgeva. A ogni pensiero di Levousé, il salotto assentiva e a ogni assenso del salotto l’odore entrava sempre di più nel mio cervello. Ecco perché bevevo.
Devo riconoscerlo, non sono un uomo da cocktail. Posso reggere anche una bottiglia abbondante di whisky, ma gli intrugli proprio non fanno per me. Al quarto Negroni ero completamente partito. Al quinto, quando Levousé disse con aria ilare e trullare «Signori, tutti qua, si gioca a shangai », non riuscii a contenere la fase più sonora della digestione, urlai che sapevo benissimo chi fosse e stramazzai sul tappeto persiano da centomila euro.
Quando mi risvegliai, il Fondatore era ancora seduto in poltrona, con le mani sui braccioli e mi guardava con lo stesso sorriso complice con cui lo avevo lasciato giusto un attimo prima di rovinare per terra. «La mia cravatta deve proprio averlo colpito» borbottai mentre cercavo di rialzarmi.
«Più che altro, lo ha colpito uno stiletto. Dritto al cuore» disse Ag Santommaso. «Certo che se, ogni volta che si risveglia, accanto a lei c’è un morto, c’è da sperare di non farle mai la balia…»
«Non penserete che sono stato io?»
«No.»
«È stato Levousé. Quell’omuncolo non mi è mai piaciuto.»
«Più avanti lo verifichiamo.»
«Dovevate sentirlo.»
«Sì, ma ora è meglio sgombrare. Tra poco qui sarà pieno di curiosi.»
«E gli altri dove sono andati?»
«Hanno tagliato la corda. Non è molto chic, però è molto radical. Quando hanno scoperto che uno di loro aveva fatto fuori il Fondatore, hanno pensato bene di lasciare un ubriacone sconosciuto sul posto e di chiamare la polizia. Sarà bene togliere subito il disturbo.»
Ci infilammo giù per le scale di servizio mentre la polizia faceva irruzione dall’ingresso principale.
«Avreste dovuto sentirlo il vostro amico Levousé. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. Eppure faceva dei discorsi da mistico, parlava del disprezzo dei corpi, del dio malvagio che li ha creati. Pare che non ci sia che l’anima per lui… Un vero teologo.»
«No, caro amico» intervenne Mp. «Questa è pessima teologia.»
«Come sarebbe a dire?»
«Chi disprezza i corpi disprezza Dio che li ha creati. San Tommaso, Somma Teologica, Parte Prima, Questione 65. Secondo la tesi di certi eretici, tutto questo mondo visibile non fu creato dal Dio buono, ma da un primo essere malvagio. Ma tale posizione è assolutamente insostenibile. Tutto ciò che esiste, anche le cose materiali, hanno l’essere e possono averlo solo da un principio unico, cioè da Dio.»
Non ebbi il tempo di gustarmi san Tommaso come avrei dovuto. In quel momento, nel vicoletto buio, a pochi passi da noi, un Levousé cencioso e dimesso stava camminando malfermo e contrariato verso il suo negozietto. Non riuscii ad agguantarlo, perché quattro mani d’acciaio mi bloccarono appena tentai di scattare.
«Ogni cosa a suo tempo» disse Ag Santommaso. Aveva ripreso a fumare la pipa e la cosa mi rassicurò. I conti con Levousé erano solo rimandati. Nel frattempo avremmo avuto agio di mettere ordine nelle nostre idee e buttare giù qualche appunto. Facce, tipi, idee, nomi: avevamo tutto in testa. Non avrei mai potuto farne un pezzo per il mio giornale.
Ma i fratelli Santommaso dissero che sapevano loro a chi passare il materiale. Due loro amici, evidentemente due pazzi della loro risma, ne avrebbero fatto volentieri un libro, un’inchiesta sui nemici della Verità. Be’, qui avevano materiale per cominciare il loro libro alla grande.
Li ho conosciuti, poi, questi due amici: la fotografia sputata dei Santommaso, simpatici preciso a loro, con il gusto di mettersi nei guai preciso a loro, con la fissa di Tommaso d’Aquino preciso a loro. A ogni modo, con le schede segnaletiche che trovate qui di seguito, devo dire che hanno fatto un buon lavoro.
Scheda 1
EUTANASIA DI UNA RIVOLUZIONE
Il comunista terminale
A conoscenza di chi scrive, in Occidente è rimasto un solo vero, serio e solido comunista. Si chiama Carlo R. ed è uno che si commuove pensando ai bei tempi di Baffone, piange al suono dell’Internazionale, non vede l’ora di morire per farsi avvolgere nella bandiera rossa con falce e martello e assomiglia a Pino Rauti. Carlo R., che abita nel Levante genovese e recita a memoria brani della Messa in latino e interi capitoli del Don Camillo, quando lo si interpella sulla caduta del muro di Berlino ha un tuffo al cuore e, con enfasi non priva di dolore, proclama: «Per me non è caduto un cacchio». In realtà, Carlo R. non si esprime in linguaggio così urbano, ma in una gustosa parlata ligure che tradurre sarebbe come profanare. Chi ha pratica di mondo può immaginarla.
Questo capitolo non tratta di lui, che, come Peppone, vive nel sogno di un socialismo profumato dalla redenzione del proletariato. Tratta di coloro che respirano avidamente il fetore nauseabondo dell’idea comunista in putrefazione.
Qui non si parla di un vivo che teme di morire, ma di moribondi convinti di essere in buona salute.
Carlo R. non è un comunista terminale. Lui non ha esultato quando, nel novembre 2008, l’ex deputato di Rifondazione comunista Guadagno Wladimiro, meglio conosciuto come Vladimir Luxuria, ha trionfato all’Isola dei Famosi battendo in finale Belen Rodriguez. Non sapeva che la vittoria in un reality show di un omosessuale che si è pompato il seno, rifatto il naso, depilato permanentemente e autodefinito transgender è una vittoria del proletariato.

Carlo R. è rimasto indietro di due o tre aggiornamenti della rivoluzione. Tanto che, fin dal 2006, all’epoca della candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del suo partito, aveva commentato il fatto con espressioni così colorite e così politicamente scorrette da finire sotto accusa per deviazionismo fascio-clerico-leghista. Nuovo tipo di deviazionismo che, in seguito agli aggiornamenti della rivoluzione, ha sostituito quello borghese, in base al quale oggi anche i cosiddetti probi viri del partito finirebbero diritti sul banco degli imputati.
Contrariamente a Carlo R., il comunista terminale vede nella causa del transgender Luxuria la nuova frontiera della rivoluzione e, da questo punto di vista, ha perfettamente ragione. Ha capito che la rivoluzione procede di negazione della distinzione in negazione della distinzione. Il comunista terminale ha compreso che il processo rivoluzionario parte dalla negazione delle diversità dovute alla vita sociale, alla cultura, ai costumi, alle tradizioni per arrivare fino alla presunzione di cancellare la diversità più evidente decretata dalla natura: quella tra maschio e femmina. La proclamazione dell’equivalenza tra uomo e donna è l’esercizio massimo e ultimo dell’ideologia rivoluzionaria, oltre il quale c’è solo la negazione della distinzione tra uomo e Dio. Ma, si sa, per il rivoluzionario Dio non esiste, altrimenti non sarebbe rivoluzionario.
Il comunista terminale vive beato in un mondo infettato dall’ideologia egualitaria in cui esiste una sola eccezione: lui stesso. Lui, secondo la migliore applicazione della prassi leninista, appartiene all’avanguardia che ha il dovere e il diritto di tracciare la strada lungo la quale poi procederà il popolo bue: uguale, ma non del tutto. Le cattedre non gli mancano, perché ha smesso da tempo di fare l’operaio e si è dato alle professioni intellettuali. Insegna nella scuola pubblica e privata, lavora nelle case editrici, ha colonizzato i giornali, fa televisione, non di rado si esibisce dai pulpiti.

Semina, coltiva, raccoglie. Poi, quando è il momento, proclama la vittoria, come ha fatto «Liberazione» con il trionfo di Luxuria sull’Isola dei Famosi.
«Un duello epico» ha scritto il quotidiano comunista.
«Vladimir contro Belen, la trans contro la donna vera. Il risultato, strepitosamente, spariglia le carte. […] Il momento più brutto è stato quando si sono trovate l’una davanti all’altra.
Belen, la donna bella, secondo il pregiudizio l’unica donna vera, contro Vladimir la pasionaria, la donna che ha scelto di essere donna. Due donne, due storie, due modelli, due culture. Lì siamo rimasti col fiato sospeso, abbiamo temuto che Vladimir non ce la facesse.»
Ma poi Vladimir ce l’ha fatta. E allora gli italiani, che quando votano alle elezioni sono dei poveri imbecilli perché fanno vincere Berlusconi, quando invece tele votano all’Isola dei Famosi diventano dei raffinati intellettuali perché fanno vincere il compagno transgender Guadagno Wladimiro. Non fa niente se la televisione, fino al giorno prima, è stata considerata spazzatura per minorati mentali: il giorno dopo diventa uno strumento della rivoluzione, una corazzata Potëmkin che spara sui cattivi soldati zaristi del terzo millennio.
Come aveva scritto Karl Marx: «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta in tragedia e la seconda in farsa». E qui, come si può immaginare, la tragedia è passata da un pezzo. Ma non fa nulla, perché il comunista terminale, con grande sprezzo del ridicolo, vive dei miasmi esalati dalla tragedia in avanzato stato di decomposizione.
Aiutata da pietosa e farsesca eutanasia, munita del conforto dei suoi cinici cari è morta una fase della rivoluzione e, dal suo stesso cadavere, ne nasce un’altra. Si volta pagina.
Così, aiutato anche dal fatto che il cashmere logora chi non ce l’ha e che il toscano adesso si fuma nei salotti, il comunista terminale ha sterzato decisamente sul versante “radical”. Visto che “chic” lo era già, come resistere alla tentazione di mettere insieme le due cose? E infatti non ha resistito.

Al diavolo le volgari rivendicazioni salariali, al diavolo le nuove povertà e al diavolo anche le vecchie. È arrivato il momento di radicaleggiare. Chi meglio del compagno terminale Fausto Bertinotti, nonostante ora sia stato messo un po’ in ombra dalle batoste elettorali, incarna il prototipo del cattivo maestrino dalla penna rossa esperto di rivoluzione permanente? Durante l’ultimo governo Prodi, Bertinotti era presidente della Camera, terza carica dello stato, e da quell’autorevole scranno nel 2007 spiegò che serviva «una grande battaglia politica e culturale in Parlamento e nel paese sui Dico e sui diritti civili. Come ai tempi del divorzio».
Qui bisogna aprire una parentesi perché il suo successore alla terza carica dello stato, onorevole Gianfranco Fini, pur appartenendo al fronte politico opposto, sostiene gli stessi argomenti. Sarà la presidenza della Camera che produce effetti indesiderati. Ma di questo ci occuperemo nell’apposita sezione.
Ora chiudiamo la parentesi perché il compagno terminale Bertinotti sostenne che la battaglia culturale e politica sui Dico sarebbe stata possibile solo mettendo insieme «sinistra radicale e riformista, laici e liberali». E, sino a qui, l’onorevole Fini non è ancora arrivato.

Non sfuggirà che il fondatore di un partito chiamato Rifondazione comunista, riferendosi al suo schieramento, non parlò di “comunisti” ma di sinistra radicale. Tale terminologia spiega un fenomeno del quale bisogna prendere atto: quel che resta del vecchio Pci, nei diversi tronconi che vanno da Fassino a Bertinotti, Diliberto, Luxuria e Nichi Vendola, si è trasformato in una sorta di partito radicale di massa: più agguerrito, più numeroso e persino, se mai fosse possibile, più cinico del plotoncino pannelliano.
Detto questo, non stupisce se il povero Carlo R. si è trovato alle corde, accusato di deviazionismo fascio-clerico-leghista quando ha espresso il proprio parere sulla candidatura di Guadagno Wladimiro nelle file del partito che avrebbe dovuto rifondare il comunismo. Il povero Carlo R. è rimasto al Pci che faceva il Pci. Al partito che, come ricordava Massimo Caprara che ne fu il braccio destro, ebbe in Palmiro Togliatti un deciso avversario dell’aborto. Al partito che, con l’inserimento della norma sui corpi sociali nella Costituzione, non pensava certo di dare il via libera al matrimonio degli omosessuali. Al partito che espulse per indegnità morale Pier Paolo Pasolini a causa della sua omosessualità.
Con ciò, non si vuole rimpiangere Togliatti e il suo Pci.

Ma solo mettere in guardia i gonzi che pensano di poter trattare impunemente con gli eredi di quella storia e di quei metodi. La piazza evocata dal comunista terminale non è altro che un immenso Hotel Lux, l’albergo al civico 10 di via Gorkij a Mosca in cui ai tempi del Komintern dimoravano gli alti funzionari del partito e i capi dei partiti comunisti stranieri. Ruth Fischer von Mayenburg lo ricorda così: «Qui si discuteva, si cospirava e a volte si taceva in preda a un’angoscia di morte. Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie».
La von Mayenburg fu tra i fortunati che riuscirono a sopravvivere alle purghe staliniane degli anni Trenta. Allora tentò persino di giustificare quella carneficina di compagni traditori in nome dei grandi ideali e del grande fine ultimo della rivoluzione. Se avesse immaginato che i suoi sogni sarebbero naufragati sull’Isola dei Famosi con Vladimir Luxuria al comando di Simona Ventura, avrebbe certamente seguito l’insegnamento marxista completando il suo pensiero all’incirca così: «Qui c’erano lacrime, sogni, tragedie che un giorno diventeranno farse».
In effetti, la deriva dei cattivi maestri della sinistra ton sur ton fa pensare a Marx: ma non a Karl, a Groucho.
Eppure non c’è niente da ridere.
IDENTIKIT
• Dove opera
Parlamento (quando riesce a farsi eleggere), cattedre, scrivanie, strapuntini, reality show, non di rado i pulpiti. Disdegna le piazze, così rozze.
• Come riconoscerlo
Cashmere, pantaloni con le pence, scarpe su misura, cravatta all’uncinetto: se parla di operai, è un industriale; se si lamenta perché Cortina è sovraffollata, è lui.
• Come difendersi
Avvicinatevi con una pagnotta, un etto di mortadella e un bottiglione di Manduria. Dategli del tu e offrite con generosità. Se per caso accetta, allora dovete anche prenderlo in braccio come fece Benigni con Berlinguer. Ma non ce ne sarà bisogno, fuggirà prima. Voi non siete Benigni.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Cosa resta dei No Global "cattolici"?


 

di padre Piero Gheddo*

MILANO, martedì, 19 luglio 2011 (ZENIT.org).- Dieci anni fa (20-22 luglio 2001) si svolgeva a Genova il G8. Gli otto Grandi del mondo si riunivano per discutere su come, nel tempo della globalizzazione, aiutare i “paesi in via di sviluppo”, specialmente quelli dell’Africa nera. Però in quei giorni vennero alla ribalta non i poveri che soffrono la fame, ma i “No Global” che manifestavano contro gli 8 Grandi e nelle frange estreme mettevano a ferro e fuoco la città di Genova.

Nel movimento No Global, circa il 60% dei 200.000 manifestanti erano cattolici, venivano da parrocchie e associazioni cattoliche. Le guide, Vittorio Agnoletto, Luca Casarini e altri si proclamavano cattolici, ma l’ideologia che i No Global esprimevano non era certamente ispirata dalla fede.

D’altra parte, il “Manifesto delle Associazioni cattoliche ai leader del G8”, firmato il 7 luglio da decine di associazioni cattoliche e istituti religiosi e anche missionari, era la chiara prova di una sudditanza dei cattolici alla corrente dei contestatori di professione, che si ispirano al marxismo e al laicismo.

Si ripeteva lo schema del Sessantotto. I cattolici all’origine della protesta del 1968, come del 2001; all’inizio, in ambedue i casi, le gerarchie cattoliche tentano il dialogo con i giovani contestatori, mostrando una notevole apertura alle loro ragioni. Ma poi, nel 1968 come nel 2001, la Chiesa si accorge ben presto che la buona fede e l’indubbia generosità dei giovani non bastano a moderare gli eccessi della protesta e l’apporto culturale dei cattolici viene fagocitato dalle altre componenti del movimento. Era successo nelle assemblee di occupazione delle università nel Sessantotto, succede nei cortei e nelle manifestazioni del luglio 2001 a Genova.

Oggi, dieci anni dopo, i No Global sono praticamente scomparsi, la storia ha dimostrato che la globalizzazione non è un’invenzione dei paesi ricchi per opprimere meglio quelli poveri, ma è “il treno dello sviluppo”: i popoli che riescono a salirci sopra si sviluppano (specie in Asia e America Latina), gli altri rimangono indietro, cioè i popoli di gran parte dell’Africa nera, che nel 1970 partecipavano al 3% del mercato globale, oggi fra l’uno e il due per cento!

Il sociologo cattolico Paolo Sorbi, passato attraverso le esperienze del Sessantotto e di Lotta Continua, stigmatizzava i No Global cattolici perché la loro fede e identità era stata del tutto oscurata: “I contestatori cattolici corrono il rischio di trasformarsi nei reggicoda di una grande razionalizzazione borghese”. Beppe del Colle scriveva su Famiglia Cristiana: “L’impressione più forte suscitata dal terribile G8 di Genova è di generale sconfitta… Hanno perso i Grandi, ma hanno perso anche i piccoli, i presunti ‘nemici della globalizzazione’, che si sono rivelati furiosi demoni del Nulla, vandali odiatori di tutto quello che ha senso per le persone civili”.

Ferdinando Adornato denunziava su Il Giornale “l’inganno culturale” in cui erano caduti i cattolici:

“Non si sfugge alla sensazione che alcuni settori del mondo cattolico rischino di restar vittime di un grande inganno culturale già commesso nei dintorni del Sessantotto, quando migliaia di ragazzi furono portati a confondere la Fede con la Rivoluzione, la Testimonianza evangelica con la Violenza… L’inganno consiste nell’annacquare totalmente l’identità cristiana nei riti di una comune e indistinta protesta contro l’egoismo e le disuguaglianze sociali”.

Il sociologo Giuseppe De Rita si chiedeva ironicamente su Avvenire: “A cosa è servita la presenza cattolica nelle manifestazioni e nei cortei di Genova? E cosa ne resta dopo il calor bianco raggiunto in quei giorni?”. Gianni Baget Bozzo scriveva sul Giornale: “Genova ha raggiunto due vertici: la più violenta manifestazione del nichilismo anti-occidentale e un singolare impegno dei movimenti cattolici italiani per le tesi antiG8… Così la Chiesa ha offerto ai nichilisti anti-occidentali una copertura religiosa e al tempo stesso una massa numerica che è servita a coprire l’azione dei violenti”.

Ero a Genova nel luglio 2001 (nella casa del Pime a Nervi), ho partecipato all’inizio della prima manifestazione e alla sera ho avuto, allo stadio Carlini, una animata conversazione con un buon gruppo di giovani, sotto uno striscione che dichiarava: “Un altro mondo è possibile”. Io suggerivo: “Il mondo nuovo è possibile, ma solo a partire da Cristo”. Un discorso che suscitava ironia e opposizione: noi crediamo in Cristo, ma cosa c’entra questo nei problemi politici e economici del G8? Mi torna alla mente il grande e caro Davide Turoldo, che in un dibattito sul Vietnam, a Torino nel 1973, tuonava: “Ricordati Gheddo, che il socialismo è l’unica speranza dei poveri!”. Dopo il G8 di Genova, in un dibattito alla televisione su questo tema, alla mia proposta di convertirci a Cristo come modello di amore al prossimo, che ha donato la sua vita per gli altri, una personalità dichiaratamente cattolica (vivente), ha commentato: "La conversione a Cristo è un fatto personale e non è importante. L'importante è amare l'uomo ...". Ma come "amare l'uomo"? Per noi cristiani la verità sull'uomo ha un nome preciso e nessun altro nome: Cristo.

Ripensando alle discussioni infuocate di quegli anni, il motivo fondamentale di dissenso che ancor oggi mi separa dagli epigoni cattolici del movimento No Global è questo. I cattolici dovrebbero sapere che l’unica vera e decisiva rivoluzione che salva l’uomo e l’umanità l’ha compiuta Cristo duemila anni fa. L’esperienza dei missionari conferma che il contributo essenziale della Chiesa alla crescita di un popolo e alla sua liberazione da ogni oppressione non è l'aiuto materiale o tecnico, quanto l'annunzio di Cristo: una famiglia, un villaggio, diventando cristiani passano da uno stato di passività, negligenza, divisione, ad un inizio di cammino di crescita e di liberazione. Il perché mi pare evidente e andrebbe ripreso e approfondito dai No Global cattolici e portato coraggiosamente alla ribalta nelle manifestazioni.

Non capisco perché in Italia, anche nelle riviste missionarie, questi discorsi si fanno poco o nulla e sembra quasi che noi ci siamo fatti missionari per distribuire cibo, costruire scuole, condividere la vita dei poveri, protestare contro il debito estero e la vendita delle armi ai paesi poveri... Insomma non mi risulta chiaro, nell'animazione e nella stampa missionaria in Italia, che il primo vero dono che noi portiamo ai popoli è la fede in Cristo, che trasforma la vita e la società, creando un modello nuovo e più umano di sviluppo.

I cari e illusi confratelli e suore missionarie, che hanno recentemente manifestato in Piazza San Pietro, qualificandosi come tali, contro la politica italiana che vuol privatizzare la gestione dell’acqua, hanno solo contribuito ancora una volta a far apparire i missionari come “operatori sociali”. E’ solo un esempio di una tendenza generale che, nata nel Sessantotto, è riemersa a Genova nel 2001 e continua tuttora.

Il 2 dicembre 1992 l’arcivescovo di Milano, card. Carlo Maria Martini, parlando ai missionari del Pime impegnati nella stampa e nell’animazione missionaria in Italia, citava le lettere di San Francesco Saverio, dicendo che “ancor oggi quelle lettere hanno una forza comunicativa straordinaria. Noi vorremmo che la nostra stampa missionaria fosse sempre così, cioè che avesse questa forza comunicativa del Vangelo, proprio attraverso le notizie sulla diffusione del Vangelo… Ridateci lo stupore del primo annunzio del Vangelo, ridatelo alle nostre comunità, non soltanto ai cristiani delle terre di missione, ma anche a noi, perché questo stupore riscaldi il cuore di tutti”.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

 

Fraternamente CaterinaLD

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DICHIARAZIONE DELLA SANTA SEDE: ORDINAZIONE EPISCOPALE NELLA DIOCESI DI SHANTOU (PROVINCIA DI GUANGDONG, CINA CONTINENTALE), 16.07.2011

TESTO IN LINGUA ITALIANA

Riguardo all’ordinazione episcopale del Rev. Giuseppe Huang Bingzhang, avvenuta giovedì 14 luglio corrente, si precisa quanto segue.

l) Il Rev. Giuseppe Huang Bingzhang, ordinato senza mandato pontificio e quindi illegittimamente, è incorso nelle sanzioni previste dal canone 1382 del Codice di Diritto Canonico. Di conseguenza, la Santa Sede non lo riconosce come Vescovo della diocesi di Shantou, ed egli è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana.
Il Rev. Huang Bingzhang era stato informato da tempo che non poteva essere approvato dalla Santa Sede come candidato episcopale, dato che la diocesi di Shantou ha già un Vescovo legittimo; più volte al Rev. Huang era stato richiesto di non accettare l’ordinazione episcopale.

2) Da varie fonti di informazione la Santa Sede era al corrente che alcuni dei Vescovi, contattati dalle Autorità civili, avevano manifestato la propria volontà di non partecipare ad un’ordinazione illegittima, mettendo in atto anche forme di resistenza: nonostante ciò, i Presuli sarebbero stati obbligati a prendervi parte.
In merito alla loro resistenza è bene rilevare che tale atto rimane meritorio davanti a Dio e suscita apprezzamento in tutta la Chiesa. Uguale apprezzamento va anche a quei sacerdoti, a quelle persone consacrate e a quei fedeli che hanno difeso i propri pastori, accompagnandoli in questo difficile momento con la preghiera e condividendone l’intima sofferenza.

3) La Santa Sede riafferma il diritto dei cattolici cinesi di poter agire liberamente, seguendo la propria coscienza e rimanendo fedeli al Successore di Pietro e in comunione con la Chiesa universale.
Il Santo Padre, avendo appreso questi avvenimenti, ancora una volta si rammarica di come viene trattata la Chiesa in Cina e auspica che si possano superare al più presto le presenti difficoltà.

Dal Vaticano, 16 luglio 2011

Bollettino Ufficiala Santa Sede

Card. Zen: gli atei vogliono dirigere la Chiesa cattolica


Lettera del Vescovo emerito di Hong Kong sulle ultime ordinazioni illecite


 

ROMA, giovedì, 28 luglio 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo la traduzione in italiano realizzata da ZENIT di una lettera che il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, Vescovo emerito di Hong Kong e attualmente membro della Commissione della Santa Sede per la Chiesa cattolica in Cina, ha reso nota attraverso l'agenzia UCANews circa le ultime ordinazioni episcopali illecite svoltesi per imposizione del Governo di Pechino.

* * *

E' assurdo sentire le dichiarazioni politicamente corrette dei burattini dello Stato che difendono le politiche di Pechino.

In questi ultimi giorni, i fedeli cattolici dentro e fuori la Cina hanno seguito con tristezza e indignazione le parole pronunciate da Anthony Liu Bainian e dai reverendi Joseph Guo Jincai, Johan Fang Xingyao e Joseph Yang Yu, che già spiccano per essere scismatici, ma la dichiarazione di ieri dell'Amministrazione dello Stato per le Questioni Religiose (SARA) è arrivata all'estremo dell'assurdità.

Potremmo comprendere che il Governo vada in difesa dei suoi burattini dicendo che sono politicamente corretti, o lodando il loro coraggio nel resistere alla pressione straniera, ma ora si è iniziato a lodare la loro “ardente fede cattolica”, e a dire che le ordinazioni senza il mandato papale sono necessarie per “il normale governo della Chiesa e per le attività pastorali ed evangelizzatrici”. Ciò è del tutto assurdo e ridicolo, visto che, come alcuni esperti hanno segnalato, il Governo sta “dirigendo” la Chiesa cattolica.

Sono ciechi? Non hanno avuto l'opportunità di vedere come la Chiesa cattolica lavora nel resto del mondo? La situazione speciale della Cina costringe il Governo a dirigere una Chiesa che semplicemente non può più essere riconosciuta come cattolica? Loro stessi stanno diventando lo zimbello del mondo!

I nostri leader possono prendersi un po' di tempo dal loro impegno nella lotta di potere per prestare attenzione a questa “piccola comunità” di cattolici? Perché non si permette ai nostri fratelli e alle nostre sorelle di vivere pacificamente la loro vita di fede? Non è un diritto riconosciuto nella Costituzione?

Hanno definito la scomunica della Santa Sede negli anni '50 la “causa” e l'ordinazione illegittima dei Vescovi l'“effetto”. Stanno sfacciatamente distorcendo la realtà.

Dalle ultime ordinazioni illegittime e dall'VIII Congresso Nazionale di Rappresentanti Cattolici, tutti hanno potuto capire che il SARA e l'Associazione Patriottica Cattolica Cinese hanno deciso di portare la Chiesa in modo aperto e impenitente su una via che porta all'indipendenza dalla Chiesa e di scegliere e ordinare unilateralmente i propri Vescovi.

Lasciamo allora che trovino qualcuno con peso sufficiente come Martin Lutero o il re Enrico VIII per dare un nuovo status alla loro nuova Chiesa, ma non hanno il diritto di usurpare il titolo di “Chiesa cattolica”.

Attraverso la violenza, limitano le libertà personali, offendendo anche la dignità di coscienza. Omettono totalmente l'autorità e l'amabilità del nostro Santo Padre e si azzardano ancora a dire di avere una sincera volontà di dialogo. E' la più grande menzogna del mondo! Solo la codardia e l'egoismo delle Nazioni impediscono di far intendere la loro disapprovazione.

Si dice che “Gli occhi delle persone sono illuminati”. A Leshan molta gente ammira l'efficienza amministrativa del reverendo Paul Lei Shiyin, ma si deve sapere che non è idoneo ad essere Vescovo; a Shantou è possibile che ci sia gente che sostiene le ambizioni del reverendo Joseph Huang Bingzhang, ma la maggior parte dei fedeli cattolici della Cina rifiuterà questi “opportunisti” e si manterrà sempre al fianco del Papa.

Nessuno sa quanto durerà questo duro inverno, ma i nostri fedeli non hanno paura, o supereranno le loro paure con fede e preghiera, che daranno loro la forza di imitare i martiri canonizzati e gli innumerevoli eroi che vivono la fede, per dare una coraggiosa testimonianza di Nostro Signore Risorto.

Cari fratelli e sorelle nella fede, vi salutiamo – attraverso un fratello che prova quasi vergogna di vivere in libertà.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740771]la strana amicizia di Paolo VI con CIPPICO.... e la Zanti...



QUEI VESCOVI FINIRONO FUCILATI A CAUSA DEL SOSTITUTO MONTINI?

Pio XII e Montini, sostituto

Questi teologi hanno, del resto, la piena simpatia di Paolo VI, che sembra assai affine a certa cultura “francese”. Oltre a questa affinità letteraria, che altre affinità ha con loro? Perchè vi ripose tanta fiducia? E particolare predilezione mostrò a Congar, definendolo «la più grande testa della Chiesa». Tuttavia, Congar, ne fu anche il massimo demolitore della Chiesa.

Comprendere Paolo VI sarebbe come vincere un terno al Lotto! Perdonate il paragone che non nasce da una mancanza di rispetto, ma sorge spontaneo osservando la realtà dei fatti. E’ il Papa che ha combattuto, attraverso le udienze del mercoledì, il dilagare delle false interpretazioni del Concilio, ma al tempo stesso è colui che è sembrato tacere ed applaudire alla devastazione liturgica e, sistematicamente dottrinale, che avveniva sotto i suoi occhi. Quando andava, per esempio, in visita nelle Parrocchie, non vedeva forse come si celebrava la liturgia fra canti sguaiati e il suono delle chitarre? E’ stato il primo Papa a girare il mondo: non vedeva cosa accadeva nella Chiesa e il tutto suffragato proprio da quella Teologia moderna e “Nouvelle” da lui corteggiata attraverso i suoi amici teologi?

C’è, a tal proposito, un aneddoto assai chiarificatore: lo scrittore Julien Green, un anglicano che si convertì al cattolicesimo – per altro, grazie proprio alla Messa antica che sottolineava quella Presenza Reale che fu causa di divisione – stupefatto nel verificare che il nuovo rito era così simile a quello che aveva conosciuto nella sua infanzia protestante, si girò verso la sorella, che gli stava accanto, e tristemente le disse: ” Ma allora, perché ci siamo convertiti?”

Me c’è di più! Padre Josè-Apeles Santolaria de Puey y Cruells, che è anche avvocato e giornalista, ha scritto un libro, “Papi in libertà” in cui descrive alcuni aspetti della situazione assai interessanti. Li riporto, anche e un poco condensati, perché vale la pena di leggerli.

Il vero scontro fra l’ala conservatrice e i due estremi della Chiesa, progressista e modernista, non avvenne con il Concilio Vaticano II come molti pensano, ma bensì nel conclave del 1958, durante il quale si pensò di eleggere un Pontefice innovatore… progressista, ma non modernista.

L’uomo chiave dell’ala innovatrice era Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano dal 1954. La sua era, tuttavia, un’elezione (quasi) impossibile, in quanto non era stato fatto cardinale poiché – ed anche qui non è un segreto – Pio XII gli negò la porpora per ragioni che ancora non sono state del tutto chiarite, ma che si possono individuare con il racconto di un vicenda che ci terrà impegnati per un poco ma che è importante conoscere per gettare luce sulla personalità di Montini.

Negli anni cinquanta, mons. Montini, all’epoca sostituto della Segreteria di Stato, mantenne dei colloqui segreti con il Cremlino, senza che Pio XII ne fosse al corrente.

I fatti furono questi.

Pio XII aveva mandato, in incognito, dall’altra parte della Cortina di ferro, alcuni vescovi, con l’intenzione di aiutare la Chiesa perseguitata nei Paesi dell’Est. A questi aveva anche dato l’incarico di fare alcune consacrazioni di altri vescovi.

Qualcosa, però, andò storto.

Improvvisamente, questi vescovi inviati dal Papa furono tutti arrestati dal governo moscovita: alcuni furono fucilati, altri furono mandati nei Gulag della Siberia, senza alcun processo e senza informare la Santa Sede.

Pio XII, appena lo seppe, ne fu profondamente costernato, e pianse lacrime amare. Non si dava pace e non capiva che cosa fosse accaduto, viste le mille precauzioni prese per mantenere segreta la presenza dei vescovi. Nel 1954, però, il mistero fu svelato. L’arcivescovo di Riga (Lettonia) comunicò personalmente a Pio XII una informazione importantissima ricevuta dal vescovo luterano di Uppsala (Svezia) che, a sua volta, l’aveva saputo direttamente dai servizi segreti occidentali: il KGB aveva saputo della presenza dei vescovi clandestini niente meno che da “informazioni dalla Segreteria di Stato”!

Sembra che Pio XII piangesse amaramente al solo pensiero di essere stato tradito dalla Segreteria più importante. Senza perdersi d’animo, tuttavia, aprì immediatamente un’indagine e scoprì i contatti che c’erano stati tra Montini e il governo dei “rossi” a sua insaputa, ossia “contatti non ufficiali”.

Fu questo il momento in cui, immediatamente e sotto l’apparenza di una promozione, predispose il repentino trasferimento di Montini alla sede ambrosiana. Inoltre, alla consacrazione del nuovo successore di sant’Ambrogio, che ebbe luogo a San Pietro, Pio XII non fu presente e Montini se ne andò appunto, senza il tradizionale “cappello rosso”, un fatto che stupì tutti in Vaticano, ma anche nella sede ambrosiana.

Rimane da chiedersi come mai Pio XII fu così buono con Montini, compiendo una scelta che, nonostante l’allontanamento da Roma, garantiva comunque un certo prestigio al futuro Paolo VI. Il fatto è che probabilmente Pio XII non aveva avuto le prove che cercava. Certo, sapeva che Montini intratteneva “contatti non ufficiali” con l’oltre Cortina, ma non aveva avuto le prove dell’alto tradimento tanto da incolparlo della morte dei vescovi inviati di nascosto dal Pontefice. Se Pio XII avesse avuto prove più sicure di certo avrebbe preso misure più drastiche del promoveatur ut amoveatur.

Dal canto suo e a onore del vero, Montini fu in un certo senso innocente della morte di quei vescovi, ma agì imprudentemente nel prendere la decisione di intrattenersi in colloqui non ufficiali alle spalle del Pontefice!

 

Il più ributtante e misterioso personaggio dell'ultimo mezzo secolo di storia vaticana: l'ex padre Alighiero Tondo, in arte "Cippico". In borghese, con altri due fresconi di chierici

Il vero colpevole della drammatica vicenda fu un padre gesuita, Alighiero Tondi, alias “Cippico”, per altro subordinato di Montini, che le guardie, messe da Pio XII a vigilare la Segreteria, scoprirono in fragrante nell’atto di fotocopiare dei documenti segreti. Così padre Tondi venne prima scomunicato e poi consegnato alla giustizia italiana che lo condannò a due anni di prigione, durante i quali si sposò – con rito civile – con l’amante Carmen Zanti, militante del Partito Comunista e obbediente tassativamente a Palmiro Togliatti.

Il seguito della vicenda, tutt’oggi, lascia sbigottiti. Inizialmente, infatti, il Tondi e la sua compagna emigrarono in Germania dell’Est, dove lui divenne segretario del dittatore comunista Walter Ulbricht ed ottenne anche la cattedra di ateismo nell’Università Marxista-Leninista. Poi, quando Paolo VI fu eletto, la coppia ritornò in Italia: mentre la Zanti ricevette incarichi prestigiosi nel Partito Comunista italiano, Tondi venne preso come funzionario civile in Vaticano. Inoltre, Paolo VI legalizzò quel matrimonio canonicamente nel 1965.

Ma non finisce qui: quando la Zanti morì (con il funerale che divenne il pretesto di una grande manifestazione comunista), il Tondi, rimasto vedovo, chiese di essere riabilitato come sacerdote. Concessione che gli venne data niente meno che da Giovanni Paolo II nel 1980! Inoltre, gli venne anche conferito il titolo di monsignore con la carica di “prelato d’onore” e mantenne un importante posto nella curia romana. Se le prostitute ci passano innanzi nel regno dei cieli, pare che pure sulla terra sia la stessa cosa: in Vaticano soprattutto.

Questo epilogo è, per certi versi, incomprensibile dal momento che Paolo VI non giustificò mai, attraverso uno scritto, l’evoluzione di questa situazione, né il Tondi formulò mai le proprie scuse né richieste di perdono, né fece mai abiura dei suoi anni vissuti da professore presso la cattedra ateistica dell’Università Marxista. Si dice solo che rimasto vedovo “si ravvide”: nulla di più, però, su tutta la vicenda.

Questa vicenda, seppur non fa luce sull’argomento del nostro colloquio, ci aiuta però a comprendere meglio la figura, assai complessa ed enigmatica, di Paolo VI. Ci sono, tuttavia, altre domande che tutti ci poniamo ma che probabilmente non troveranno mai una risposta eloquente: come mai lo stesso Giovanni Paolo II finì per promuovere le iniziative di Paolo VI come il cardinalato a de Lubac? o il posto in Vaticano al Tondi, nella Curia Romana con il titolo di monsignore?

L’atteggiamento incomprensibile e volubile della complessa personalità di Paolo VI lo si evince anche quando perfino l’ala progressista, già abbondantemente impregnata dai modernisti che vi si erano infiltrati (lupi travestiti, e neppure tanto, da agnelli) che lo aveva prescelto fin dal conclave del 1958, eleggendo Roncalli solo come transizione in attesa di avere Montini cardinale, rimase da lui profondamente delusa…

Paolo VI, che sembrava il grande innovatore e il propugnatore delle cause dell’ala modernista, si arrestò infatti di fronte alle questioni etiche e morali, difendendo la dottrina della Chiesa categoricamente fino a scrivere la Humanae Vitae, la Mysterium Fidei, la Marialis Cultus, con la proclamazione solenne di Maria Mater Ecclesiae, e pronunciando il famoso “Credo”, a chiusura del Concilio, che salverà lo stesso Pontefice da ogni dubbio circa l’ortodossia della fede, facendolo trasparire come il Papa del progresso della Chiesa, ma non certo modernista, come gli infiltrati avrebbero voluto. Da qui le loro delusioni, ma anche le delusioni da parte dell’ala conservatrice a causa delle ambiguità prodotte dalle azioni del Pontefice che sembravano contraddire, sovente, gli stessi atti ufficiali proclamati attraverso i documenti sopra citati.

In questo modo, Paolo VI si trovò completamente solo, incompreso sia dall’ala progressista (nella quale erano i modernisti a tirare le fila) che lo aveva eletto, sia dall’ala conservatrice che temeva le sue idee innovatrici, spesso improvvise e arbitrarie. Incompreso o meno, resta palese che Paolo VI agì tante volte in modo contraddittorio, con uno stile tutto suo spesso autonomo come quando, appunto, operò di nascosto, alle spalle di Pio XII.

I Papi che seguirono Paolo VI ebbero così a che fare con una eredità gravosa: rendere credibile un’ immagine di Chiesa che da una parte si mostrava come “amica del mondo”, rinunciando ai fasti e al simbolo del potere temporale e spirituale che era la tiara, e dall’altra parte ne condannava ancora una volta i vizi e i peccati. La capacità della Chiesa di essere credibile non partiva più dalla sua dottrina, ma dalla capacità del Pontefice di renderla credibile.

Quanto questa rivoluzione sia stata giusta o meno lo dirà la storia. Certo è che la crisi della Chiesa comincia proprio da quando ne venne intaccata l’immagine, specialmente a partire dalla Liturgia, ma questa è un altra pagina…


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/11/2011 23:48
 
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IL CASELLARIO GIUDIZIARIO DEI…

 

CATTOCOMUNISTI

 

Come ho iniziato la raccolta indifferenziata

di scorie radiottive di falsi profeti

Il “casellario giudiziario” dei cattocomunisti. Il catechista della Cisl che scoprì che Cristo fu il “primo comunista”. Così cominciai a raccogliere informazioni sui progressisti. Quell’ebreo che stimava il cardinale Martini ma odiava padre Pio. La terra dove “dio” è il nome di quanto la scienza non ha ancora spiegato. Cristo non ha dato soluzioni politico-economiche





    Mi si spezza il cuore quando vedo sacerdoti occuparsi più di legalità che di sacralità. La missione del sacerdote è annunziare la parola di Dio e amministrare i sacramenti, occuparsi della redenzione delle anime. A combattere la mafia, per esempio, ci deve pensare l’autorità civile. Un aiuto sociale chiunque me lo può dare. Il perdono sacramentale me lo può dare solamente il sacerdote.

di Ester Maria Ledda


IL “CASELLARIO GIUDIZIARIO” DEI CATTOCOMUNISTI

Nel mio profilo Facebook ho creato un album intitolato “Cattocomunisti”, in cui ho inserito vari personaggio del mondo cattolico moderno e contemporaneo che hanno, per così dire, sporcato il cattolicesimo con il marxismo. Al momento vi sono quasi 180 fotografie, ma il numero è destinato, purtroppo, ad aumentare vertiginosamente. Il Mastino (sì, lui: Margheriti Mastino) lo ha inteso come “casellario giudiziario”, ma non sono affatto queste le mie intenzioni. Non ho nessuna intenzione di giudicare le persone – alcune in vita, altre decedute – inserite nell’album, perché io sono una peccatrice come loro, forse più di loro. Quello che contesto è la loro visione dottrinalmente sbagliata, quando non proprio eretica, del cattolicesimo. Quell’album è, in realtà, una segnalazione di pericolo. È un avvertimento per tutti quei fedeli che avranno a che fare con i cosiddetti “cattocomunisti” affinché non perdano il cammino della vera dottrina cattolica.

IL CATECHISTA DELLA CISL CHE SCOPRÌ CHE CRISTO FU IL “PRIMO COMUNISTA”

La prima volta che ho pensato di creare questa segnalazione di pericolo è stata esattamente dieci anni fa. Stavo facendo un corso per operatori fiscali presso la CAF della CISL cittadina. Una mattina il nostro istruttore, il responsabile del CAF, invitò noi iscritti a prendere un caffè al bar. Mentre parlavano, ci disse che era anche un catechista degli adulti presso la sua parrocchia. Si dichiarava compiaciuto del fatto che molti dei suoi “ragazzi” aveva appreso appieno il famoso “spirito del Concilio” di dossettiana memoria. Ovvero quell’ermeneutica – errata – del Vaticano II definita da Benedetto XVI “della discontinuità e della rottura”.

Ai “conciliaristi” non importa il Vaticano II in quanto tale – la stragrande maggioranza dei vescovi non ne ha letto neppure i documenti – ma l’intenzione dei teologi modernisti che vi presero parte: creare una “nuova” Chiesa; una Chiesa che fosse l’antitesi di quella di poco prima, di sempre, quella “pre-conciliare”. Una Chiesa non divina ma umana, o meglio, umanista, talora umanitatistica.

Al sentire della “mordenizzazione” dei cattolici, una delle iscritte al corso si disse compiaciuta. Aggiunse che era atea, in quanto comunista, ma che le piaceva Gesù, perché lo riteneva il primo vero comunista della storia: un progresso ulteriore: fin poco prima era stato “il primo socialista”, stante la vulgata e la manipolazione ideologica. Il catechista della CISL approvò con soddisfazione. “Il marxismo, ripulito dal materialismo e dall’ateismo, è – disse – la più alta e nobile applicazione del cristianesimo”. Io rimasi allibita, ma anche indignata. Gli domandai da quale magistero pontificio attingesse quell’affermazione. Lui scrollò le spalle e rispose che non si rifaceva a nessun pontefice, ma a Karl Rahner. Io gli ricordai che Pio XI, nell’enciclica “Divini Redemptoris”, decretò solennemente che il marxismo è “intrinsicamente perverso”, aggiungendo che i vescovi non dovevano permettere che i fedeli si lasciassero ingannare dalle belle – ma false – promesse di questo. Conclusi dicendo che tra un semplice teologo e un papa, io sceglievo quest’ultimo. Fortunatamente il discorso terminò così.

COSÌ COMINCIAI A RACCOGLIERE INFORMAZIONI SUI PROGRESSISTI

Ma da quel giorno cominciai a raccogliere informazioni su tutti quei personaggi (sedicenti) cattolici che con la loro “nouvelle theologie” – di cui abbiamo parlato in questo sito – confondevano le coscienze dei fedeli. Avevo preparato tutto per costruire un sito web che catalogasse queste “guide cieche”, ma lasciai perdere perché, con grande tristezza, vi erano moltissimi vescovi. Dal momento che una delle caratteristiche dei “cattolici del dissenso” è la critica costante al papa e ai vescovi, non volevo fare la figura dell’ipocrita.

Perché ho cambiato idea e ho creato l’album? Ho cambiato idea perché tre frasi di tre vescovi fedeli al papa e alla Tradizione mi hanno illuminato. La prima è una frase del cardinal Giuseppe Siri: “Il cattolico segua il papa, che non può sbagliare (sulla fede e la morale, nda) perché ha la grazia di stato”. La seconda è una frase del cardinal Giovanni Colombo: “Quando il vescovo dice una cosa e il papa un’altra, fate quello che dice il papa, perché quello che sbaglia sicuramente è il vescovo”. La terza frase è dell’arcivescovo inglese Patrick O’Donoghue: “Se sentite qualche cattolico dire o insegnare qualcosa che va contro l’insegnamento e la disciplina della Chiesa, come salvaguardati dal papa, gentilmente ma fermamente sfidatelo, fosse un catechista laico, un insegnante, un diacono, un prete, o perfino un vescovo”.

Così non ho perso tempo: ho tirato fuori dal “cassetto digitale” del computer tutto il materiale che avevo raccolto e creato l’album “Cattocomunisti”. Ho aggiunto anche altre informazioni che ho ricavato da ricerche recenti in internet. Da allora alcuni mi hanno sostenuto, altri mi hanno consigliato di essere più cauta, altri invece mi hanno quasi sbranata perché ho inserito nell’album personaggi “intoccabili”. Faccio qualche nome per rendere l’idea: Carlo Maria Martini, Dionigi Tettamanzi, Bruno Forte, Tonino Bello, Giuseppe Dossetti, Antonio Mazzi, Andrea Riccardi, Luigi Ciotti, Ersilio Tonini, David Maria Turoldo, Karl Rahner, Giacomo Lercaro, Carlo Carretto, ecc… Tutti questi personaggi sono stimatissimi dal mondo. E questo la dice lunga. I discepoli di Cristo non possono essere stimati dal mondo, perché non sono del mondo. Questo si ripete in tutti i secoli.

QUELL’EBREO CHE STIMAVA IL CARDINALE MARTINI MA ODIAVA PADRE PIO

Un santo amatissimo dalla cristianità, san Pio da Pietrelcina, un santo “tradizionale”, è stato perseguitato in vita e in morte. Non molti anni fa uno storico agnostico di origini ebraiche ha scritto un libro, spacciandolo per lavoro storico, sul frate di Pietrelcina con l’intento di denigrarlo. Lo ha definito “piccolo chimico”, per affermare che si procurava da solo le stigmate, nonché “clerico-fascista”, in quanto responsabile indiretto di uno scontro che ci fu a San Giovanni Rotondo tra fascisti e social-comunisti negli anni ‘20 del XX secolo. Questo “storico canta-storie” – non faccio il nome perché non voglio fargli altra pubblicità – è però un grande ammiratore del cardinal Martini e sperava che diventasse il successore, nel 2005, di Giovanni Paolo II. Fortunamante lo Spirito Santo non è interessato ai pareri mondani. E’ anche lo stesso “storico” giudeo che nell’ultimo libro già dalla copertina ha sostenuto che se dalle mura degli edifici pubblici italiani scomparisse il crocefisso, per incanto questo diventerebbe finalmente un paese “più giusto, onesto, moderno” e via discorrendo.

Quello che mi spaventa di più dei cattocomunisti è la visione che hanno di Cristo Gesù e della Chiesa. Per loro Gesù non è YHWH, ma una specie di messia socio-religioso. Da ciò la divisione tra il “Cristo della fede” e il “Gesù storico”. E non pensano alla Chiesa come alla Sposa di Cristo, all’umanità riconciliata con Dio, ma come una specie di organizzazione non governativa che si occupata di assistenzialismo. Credono che il cuore del cristianesimo consista nell’attivismo sociale, anziché nella ricerca dell’intimità col Figlio di Dio.

Non hanno neppure nessuna venerazione per la Madonna. Ma non mi stupisce, perché la nostra Mamma celeste è la nemica delle eresie. Una volta, prima di ogni messa, si recitava il rosario, ora non è più così. Senza contare che la Madonna, a Fatima, ha ricordato che l’inferno esiste e non è vuoto affatto. Mentre i teologi odierni lo immaginano – se esiste – vuoto. Anche perchè fosse pieno, hanno la consapevolezza che sarebbero loro a riempirlo: quasi una rimozione psicologica la loro.

LA TERRA DOVE “DIO” E’ IL NOME DI QUANTO LA SCIENZA NON HA ANCORA SPIEGATO

La Teologia della Liberazione sostiene che la liberazione è conseguenza della presa di coscienza della realtà socio-economica. La salvezza cristiana non può ottenersi senza la liberazione economica, politica, sociale e ideologica, come visibili segni della dignità umana, della “Grazia” magari pure. La situazione attuale della maggioranza contraddice, a sentir loro, il disegno divino e la povertà è un peccato sociale. Questo “è essere cattolici in modo nuovo” e di vedere il mondo dal punto di vista dei poveri, degli oppressi, degli sfruttati. Questo modo di concepire la “liberazione” è lo stesso di un ateo, Gene Roddenberry, il creatore di “Star Trek”. Non a caso Enzo Bianchi sostiene che anche un ateo può avere una vita veramente felice.

Roddenberry immaginava la terra del XXIII e del XXIV senza povertà, senza oppressione. Un pianeta in cui la vita media è delle persone è di circa 200 anni; la medicina ha trovato le cure per tutte le malattie e la morte arriva solamente per invecchiamento. Un paradiso terrestre dove tutti sono felici perché, finalmente, è stata eliminata ogni forma di sofferenza. Naturalmente non esiste più la religione. I terrestri hanno preso coscienza che non esiste nessuna divinità. “Dio” era il nome dato a ciò che la scienza non era ancora riuscita a spiegare, oppure si trattava di essere viventi di altri pianeti più “sviluppati” di noi. L’umanità è diventata l’artefice del proprio fine ultimo, la divinità di se stessa. Che mondo miserabile!

A questa umanità atea, che ha l’arroganza di essere felice senza Dio, risponde la Bibbia: «Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito e non ho più bisogno di nulla”. E non sai di essere fra tutti il più infelice, il più miserabile, il più cieco e il più nudo» (Ap 3, 17).

CRISTO NON HA DATO SOLUZIONI POLITICO-ECONOMICHE

Cristo è venuto a liberarci dalla miseria e dall’oppressione del peccato. Non ha dato nessuna soluzione economica, politica o sociale. Ha detto chiaramente che il nostro fine ultimo è la ricerca di Dio, tutto il resto ci sarò dato dopo. Adamo ed Eva, col peccato originale, non hanno perso una terra di delizie, l’immunità alla sofferenza, o l’immortalità del corpo: HANNO PERDUTO DIO! I santi sono uomini che soffrono moltissimo nelle loro vite, eppure hanno il sorriso stampato sulle labbra e gli occhi pieni di gioia. Perché? Perché HANNO RITROVATO DIO! San Massimiliano Kolbe non temeva la morte del corpo, temeva il peccato, la causa della morte dell’anima.

Questo non signifca che non devo sfamare il povero, anzi. Devo aiutare il mio prossimo, ma non posso aiutarlo con le ideologie, perché non servono a nulla, anzi sono il principio di ogni castigo, il primo anello di una catena, che di volta in volta sarà sempre più grossa e pesante. Non posso idolatrare il sociale. Perché nelle mense dei poveri della Caritas, per esempio, prima dei pasti non si dice più la preghiera di ringraziamento a Dio? Così fanno i pagani, non i cristiani.

Quando ho avuto bisogno di un aiuto economico, una donna meravigliosa, una degna figlia di santa Caterina da Siena, una santa, mi ha aiutata. Quando l’ho ringraziata con tutto il cuore, sapete cosa mi ha detto? “No, non ringraziare me. Ringrazia la Provvidenza”. Mi ha fatto del bene più con quella frase che con l’aiuto economico necessario. Perché mi ha ricordato che tutto è Grazia.

Mi si spezza il cuore quando vedo sacerdoti occuparsi più di legalità che di sacralità. La missione del sacerdote è annunziare la parola di Dio e amministrare i sacramenti, occuparsi della redenzione delle anime. A combattere la mafia, per esempio, ci deve pensare l’autorità civile. Un aiuto sociale chiunque me lo può dare. Il perdono sacramentale me lo può dare solamente il sacerdote.

Alla fine del film “Giovanna d’Arco” di Luc Besson, c’è un colloquio illuminante fra la futura santa e il vescovo difensore. Il prelato cerca in tutti i modi di convincerla a ritrattare tutto. Giovanna rifiuta e domanda al vescovo perché voglia farla peccare dichiarando il falso. “Perché sono un vescovo e ho il dovere di salvare la tua vita”, risponde l’uomo. “Voi siete un vescovo e avete il dovere di salvare la mia anima”, replica Giovanna.

Del “Gesù messia socio-politico-economico” non so che farmene. Ho disperatamente bisogno del Cristo-Dio, perché è l’unico che può salvare la mia anima.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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martedì 9 ottobre 2012

Ecco perché il Concilio Vaticano II non condannò il comunismo (De Mattei)


Ecco perché il Vaticano II non condannò il comunismo

L’Unione Sovietica e i Paesi del blocco ricattarono i vertici ecclesiastici affinché il sinodo non approvasse petizioni contro gli orrori staliniani


Roberto de Mattei


Come tutti gli eventi storici, anche il Concilio Vaticano II ha avuto le sue ombre e le sue luci.

Poiché in questi giorni se ne evocano soprattutto le luci, mi sia permesso ricordarne una vasta zona d'ombra: la mancata condanna del comunismo. Erano gli anni '60 e aleggiava un nuovo spirito di ottimismo incarnato da Giovanni XXIII, il «Papa buono», Nikita Kruscev, il comunista dal volto umano, e John Kennedy, l'eroe della «nuova frontiera» americana. Ma erano anche gli anni in cui veniva innalzato il muro di Berlino (1961) e i sovietici installavano i missili a Cuba (1962). L'imperialismo comunista costituiva una macroscopica realtà che il Concilio Vaticano II, il primo «concilio pastorale» della storia, apertosi a Roma l'11 ottobre 1962 e conclusosi l'8 dicembre 1965, non avrebbe potuto ignorare.

In Concilio vi fu uno scontro tra due minoranze: una chiedeva di rinnovare la condanna del comunismo, l'altra esigeva una linea «dialogica» e aperta alla modernità, di cui il comunismo pareva espressione. Una petizione di condanna del comunismo, presentata il 9 ottobre '65 da 454 Padri conciliari di 86 Paesi, non venne neppure trasmessa alle Commissioni che stavano lavorando sullo schema, provocando scandalo.
Oggi sappiamo che nell'agosto del '62, nella città francese di Metz, era stato stipulato un accordo segreto fra il cardinale Tisserant, rappresentante del Vaticano, e il nuovo arcivescovo ortodosso di Yaroslav, monsignor Nicodemo, il quale, come è stato documentato dopo l'apertura degli archivi di Mosca, era un agente del KGB. In base a questo accordo le autorità ecclesiastiche si impegnarono a non parlare del comunismo in Concilio.
Era questa la condizione richiesta dal Cremlino per permettere la partecipazione di osservatori del Patriarcato di Mosca al Concilio Vaticano II (si veda: Jean Madiran, L'accordo di Metz, Il Borghese, Roma 2011). Un appunto di pugno di Paolo VI, conservato nell'Archivio Segreto Vaticano, conferma l'esistenza di questo accordo, come ho documentato nel mio Il Concilio Vaticano II. Una storia non scritta (Lindau, 2010).

Altri documenti interessanti sono stati pubblicati da George Weigel nel secondo volume della sua imponente biografia di Giovanni Paolo II (L'inizio e la fine, Cantagalli, 2012).Weigel ha infatti consultato fonti come gli archivi del KGB, dello Sluzba Bezpieczenstewa (SB) polacco e della Stasi della Germania Est, traendone documenti che confermano come i governi comunisti e i servizi segreti dei Paesi orientali penetrarono in Vaticano per favorire i loro interessi e infiltrarsi nei ranghi più alti della gerarchia cattolica. A Roma, negli anni del Concilio e del postconcilio, il Collegio Ungherese divenne una filiale dei servizi segreti di Budapest. Tutti i rettori del Collegio dal 1965 al 1987, scrive Weigel, dovevano essere agenti addestrati e capaci, con competenza nelle operazioni di disinformazione e nell'installazione di microspie. L'SB polacco, secondo lo studioso americano, cercò persino di falsare la discussione del Concilio sui punti peculiari della teologia cattolica come il ruolo di Maria nella storia della salvezza. Il direttore del IV Dipartimento, il colonnello Stanislaw Morawski, lavorò con una dozzina di collaboratori esperti in mariologia per preparare un pro-memoria per i vescovi del Concilio, in cui si criticava la concezione «massimalista» della Beata Maria Vergine del cardinale Wyszynski e di altri presuli.

La costituzione Gaudium et Spes, sedicesimo e ultimo documento promulgato dal Concilio Vaticano II, volle essere una definizione completamente nuova dei rapporti tra la Chiesa e il mondo. In essa mancava però qualsiasi forma di condanna al comunismo. La Gaudium et Spes cercava il dialogo con il mondo moderno, nella convinzione che l'itinerario da esso percorso, dall'umanesimo e dal protestantesimo, fino alla Rivoluzione francese e al marxismo, fosse un processo irreversibile. Il pensiero marx-illuminista e la società dei consumi da esso alimentata era in realtà alla vigilia di una crisi profonda, che avrebbe manifestato i primi sintomi di lì a pochi anni, nella Rivoluzione del '68. I Padri conciliari avrebbero potuto compiere un gesto profetico sfidando la modernità piuttosto che abbracciarne il corpo in decomposizione, come avvenne.
Ma oggi ci chiediamo: erano profeti coloro che in Concilio denunciavano l'oppressione brutale del comunismo reclamando una sua solenne condanna o chi riteneva, come gli artefici dell'Ostpolitik, che occorreva trovare un compromesso con la Russia sovietica, perché il comunismo interpretava le ansie di giustizia dell'umanità e sarebbe sopravvissuto uno o due secoli almeno, migliorando il mondo?

Il Concilio Vaticano II, ha affermato recentemente il cardinale Walter Brandmüller, presidente emerito del Pontificio Comitato per le Scienze Storiche, «avrebbe scritto una pagina gloriosa se, seguendo le orme di Pio XII, avesse trovato il coraggio di pronunciare un ripetuta ed espressa condanna del comunismo». Così purtroppo non accadde e gli storici devono registrare come un'imperdonabile omissione la mancata condanna del comunismo da parte di un Concilio che si proponeva di occuparsi del problemi del mondo a lui contemporaneo.di Roberto de Mattei, autore di Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau 2010, vincitore del Premio Acqui Storia 2011 e tradotto o in corso di traduzione in cinque lingue
 
 Il Giornale, 9 ottobre 2012


[SM=g1740758] breve riflessione..... la descrizione dei fatti è inappuntabile.... ma oggi è anche bene rammentare allo stesso Prof. De Mattei, però, che lo stesso Giovanni Paolo II si lamentò dell'assenza della denuncia al Comunismo del Concilio, e i fatti sono riportati dal cardinale Biffi nel suo libro Memorie di un Cardinale.... e che dunque fece in modo di riparare al danno denunciando il comunismo nel CATECHISMO della Chiesa Cattolica....

Proprio nel Compendio del Catechismo a firma di Ratzinger, si nomina questo rifiuto dell'ideologia comunista:
512. Che cosa si oppone alla dottrina sociale della Chiesa?

2424-2425

Si oppongono alla dottrina sociale della Chiesa i sistemi economici e sociali, che sacrificano i diritti fondamentali delle persone, o che fanno del profitto la loro regola esclusiva o il loro fine ultimo. Per questo la Chiesa rifiuta le ideologie associate nei tempi moderni al «comunismo» o alle forme atee e totalitarie di «socialismo». Inoltre, essa rifiuta, nella pratica del «capitalismo», l'individualismo e il primato assoluto della legge del mercato sul lavoro umano.

Ora nel Catechismo la condanna c'è.... andiamo avanti in questo Annus Fidei

[SM=g1740733]




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Domenica Festa di Cristo Re.... e allora, cerchiamo di ricordare i CRISTEROS
CRISTIADA: il film che in Italia non possiamo vedere!

L’Italia é un paese clericale? Sarà. Ma intanto “CRISTIADA”, il film che racconta il massacro dei Cattoli...ci messicani voluto negli anni ’30 dal locale governo massonico (con l’aiuto degli Stati Uniti) non viene proiettato nelle sale del Bel Paese. Chissà perché…

C’é stato un tempo -nemmeno troppo lontano- in cui erano i Cattolici a recitare (loro malgrado) il ruolo che oggi tocca, per esempio, ai Palestinesi: erano i Cattolici quelli brutti, cattivi, incivili e “nemici del Progresso”, meritori, pertanto, di essere cancellati dalla storia (magari a suon di bombe, come si fa tutt’oggi con altre genti…). E anche allora gli Stati Uniti d’America -perenni portatori della democrazia e della civiltà- erano in prima fila in quest’opera di purificazione dell’umanità…
Stiamo parlando del drammatico periodo degli anni ’30, quando l’allora presidente messicano Plutarco Elias Calles, massone e anticlericale di origine turco-israelita, scatenò una terrificante persecuzione anticattolica, in cui migliaia di fedeli, consacrati e laici, furono torturati e massacrati con una furia sanguinaria paragonabile solo a quella dei coevi Ataturk, Stalin e Hitler.

Il massacro, sponsorizzato e promosso dai vicini USA -che fornirono persino carri armati e aviazione per schiacciare la resistenza cattolica- suscitò tuttavia una risposta popolare talmente forte da culminare in una vera e propria ribellione di massa passata alla storia come la rivolta dei Cristeros.
Oggi, dopo decenni di oblio e di cancellazione dalla memoria (e soprattutto dai libri di storia), la rivolta del popolo messicano in difesa della sua fede é diventata un film; eppure, proprio nella (presunta) clericalissima Italia, nessuno ha pensato di mandarlo nelle sale. Troppo scomodo, forse, mostrare un’aspetto della storia così distante dalla vulgata laicista ancora imperante nella cultura italica …scomodo, forse, anche per troppi cattolici ormai abituati ad “indignarsi” e a “fare memoria” solo di ciò che é politicamente corretto condannare e/o ricordare…

Comunque, avendo qualche “anima pia” faticato a sottotitolare in italiano la pellicola inglese, siamo contenti, nonostante tutto, di potervi fornire una visione online del film CRISTIADA; un film “per ricordare” e “fare memoria” …come si usa dire oggi! BUONA VISIONE
cliccando nel collegamento troverete da scaricare il primo e secondo tempo.....

VIVA CRISTO RE!!


http://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2012/11/cristiada/

Primo Tempo:
http://www.viddler.com/v/760849f1
Secondo Tempo:
http://www.viddler.com/v/4e929662

nessuna vendetta, nessuna rivendicazione,
solo la giusta MEMORIA, L'AMORE DI CRISTO RE, VINCITORE
....


 "...desidero porre nuovamente sotto il dolce sguardo di Nostra Signora di Guadalupe questo Paese e tutta l’America Latina e i Caraibi.
Affido ciascuno dei suoi figli  alla Stella della prima e della nuova evangelizzazione, che ha animato con il suo amore materno la storia cristiana di queste terre, dando caratteristiche particolari ai grandi avvenimenti della loro storia, alle loro iniziative comunitarie e sociali, alla vita familiare, alla devozione personale e alla Misiòn continental che ora si sta svolgendo in queste nobili terre.
In tempi di prova e dolore, Ella è stata invocata da tanti martiri che, al grido “Viva Cristo Re e Maria di Guadalupe”, hanno dato una perenne testimonianza di fedeltà al Vangelo e di dedizione alla Chiesa.
Supplico ora che la sua presenza in questa cara Nazione continui a richiamare al rispetto, alla difesa e alla promozione della vita umana e al consolidamento della fraternità, evitando l’inutile vendetta ed allontanando l’odio che divide.
Santa Maria di Guadalupe ci benedica e ci ottenga, per sua intercessione, abbondanti grazie dal Cielo".

BENEDETTO XVI
ANGELUS León, Parco Expo Bicentenario - V Domenica di Quaresima, 25 marzo 2012





[Modificato da Caterina63 23/11/2012 22:31]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740758] DOSSETTI E IL DOSSETTISMO, UN APPROCCIO IDEOLOGICO ALLA FEDE (testo di una mia conferenza, svoltasi il 9 ottobre 2010 a Lucca)

di Piero Mainardi il giorno Sabato 10 settembre 2011 alle ore 6.30 ·

LUCCA, 9 OTTOBRE 2010

 

DOSSETTI E IL DOSSETTISMO. UN APPROCCIO IDEOLOGICO ALLA FEDE

 

INTRODUZIONE - Ho esitato a lungo prima di scegliere il titolo per questo intervento. Tra l'altro, pensando al titolo avevo immaginato anche quest'altro titolo possibile, cioé Dossetti, ovvero dell'inquietudine cattolica. Perché una ragione psicologica all'attivismo straordinario di questo personaggio deriva proprio dall'irrequietezza con cui ha vissuto il suo impegno politico prima, ed ecclesiale poi, incapace, perché teso certamente alla grandezza della fede, di accettare i limiti con cui questa poteva essere vissuta, praticata e predicata sia nella politica, sia nelle comunità cristiane, sia nella Chiesa.

Ed è un limite enorme, questo, che lo ha portato ad un ipercriticismo ea un attivismo dove, in nome del meglio, si è spesso perso il bene possibile. La contrapposizione ideale non deve tuttavia far venir meno l'onestà intellettuale e capisco che con un titolo del genere la dimensione spirituale di un personaggio come Dossetti sembra venirne inevitabilmente ridotta. Dunque prima di entrare nel vivo del mio intervento voglio anch'io rendere in qualche modo omaggio a un personaggio che pur distantissimo dalle mie convinzione resta un fratello nella fede, dotato di una intelligenza e di un acutezza straordinarie, e usando le parole che il card.
Biffi ha speso per lui, pur criticandolo aspramente, si può dire che “è stato un autentico uomo di Dio, un asceta esemplare, un discepolo generoso del Signore che ha cercato di spendere totalmente per lui la sua unica vita. Sotto questo profilo egli resta un raro esempio di coerenza cristiana, un modello prezioso seppur non facile da imitare”.

Resta comunque impossibile tacere dei limiti di quella che è stata non solo la sua opera in campo politico ,ma anche e soprattutto in seno alla Chiesa cattolica pensando in particolar modo al suo lascito raccolto e sviluppato dai suoi eredi, riferendomi non solo alla sinistra politica cattolica dei vari Bindi e Prodi ma soprattutto all'opera culturale intrapresa dalla cosiddetta “officina bolognese”, cioè dal Centro di studio da lui fondato a Bologna all'indomani del suo “abbandono” politico oggi trasformato in Istituto superiore di scienze religiose, e divenuto anche Fondazione, che da anni egemonizza l''intellighentzia cattolica soprattutto in relazione alla interpretazione della rieczioen conciliare.

 

PERCHE' UN APPROCCIO IDEOLOGICO? Per ideologia intendo una costruzione della mente che intende imporsi sulla realtà, anche quando questa naturalmente gli resiste. Allora occorre qui, ripercorrendo sinteticamente le tappe del percorso politico-culturale di Dossetti vedere che genere di ideologia si sviluppa e in che modo si è venuta formando.

 

GENESI DEL DOSSETTISMO NEL PERIODO BELLICO - La genesi remota del Dossettismo l'abbiamo negli anni durante la guerra alla Università Cattolica di Milano (dove Lazzati, Dossetti e Fanfani insegnavano e tramite l'Istituto della regalità, voluto da padre Gemelli, conobbero La Pira) quando padre Gemelli formò un gruppo di studio riservato sui messaggi Radionatalizi del pontefice da cui comprendere quali indicazioni operative e culturali venivano dal papa per il dopoguerra.

Già qui possiamo vedere in nuce alcune tematiche che nei dossettiani diverranno una costante.

A proposito della storia, mentre il pensiero cattolico e del pontefice insistevano sui temi dell'apostasia di cui la guerra costituiva una conseguenza, Dossetti dà una lettura diversa, una lettura che incide pure nella sua relazione con il depositum fidei: “esiste una legge universale e costante dell'economia della grazia, la legge dello sviluppo germinale del cristianesimo e dell'approfondimento progressivo della verità rivelata”. E' una sottolineatura importante perché significa dare un valore particolare al divenire storico, quasi una seconda rivelazione, o meglio un ausilio alla comprensione della Rivelazione che consente a Dossetti di evitare una “interpretazione rigida” della tradizione cristiana, e di valorizzare le “conquiste” della storia in quanto portatrice di “acquisizioni e precisazioni continue della verità”. Dossetti parla di una “forza teoretica delle acquisizioni concettuali”, per cui secondo Giuseppe Pombeni, un studioso del pensiero del sacerdote bolognese, si potrebbe dedurre che in qualche modo l'elaborazione di una corretta dottrina sulla società sia sufficiente a garantire le verità di fede senza bisogno di interventi esterni del magistero.

E' questo un fronte che rimarrà aperto per tutta la vicenda umana di Dossetti: una concezione della storia, sostanzialmente progressiva e certificata dall'opera dello Spirito Santo che concorre non solo ad approfondire le verità di fede, ma anche a chiarire e a rendere sempre meglio la distinzione tra le realtà naturali e quelle spirituali rispetto alla cui comprensione la Chiesa gli sembra in ritardo e soprattutto utilizzante uno strumento inadeguato, quale quello della dottrina sociale. Ai suoi occhi tale strumento non riconosce pienamente il valore intrinseco delle realtà naturali (Stato, politica, economia, diritto) e tenderebbe in tal modo a clericalizzare l'azione politica del laicato cattolico, tenendolo sotto la tutela della Gerarchia.

Sempre nel periodo bellico possiamo rinvenire altri frammenti di quella che diverrà successivamente un pensiero strutturato ed omogeneo: Lazzati afferma per esempio che della storia moderna occorre accettare le conquiste politiche del liberalismo che tuttavia non sono sufficienti epr garantire una completa e reale partecipazione popolare (altro concetto chiave): occorre superare il capitalismo con una concezione del diritto che diventi “progettazione della società” (ancora un concetto chiave, dove il verbo progettare è altamente rivelativo). E inoltre invita i cattolici a non aver paura dell'intervento dello Stato.

Anche Fanfani porta una visione della storia ottimistica, in cui l'evoluzione e il progresso sono continui nel processo storico e il cristianesimo ne costituisce il motore. E questo nonostante la guerra in corso.

La Pira dà una lettura del processo storico in linea con la visione tradizionale, parla di civitas cristiana fino alla Riforma. Dopo si parla di apostasia, ma il socialismo e il comunismo non sono l'ultima e la più terribile tappa, all'epoca, di tale apostasia, bensì una reazione. Comincia a delinearsi una lettura del comunismo e del marxismo benevola, nella quale, si disconosce la potenza disgregatrice filosofica di tale ideologia per renderla un utile strumento di analisi socio-economica con cui confrontarsi e talora da utilizzare.

Qual'è allora il compito dei cattolici? Lavorare con un progetto politico-filosofico che ha per oggetto la costruzione di una nuova società, non esplicitamente cristiana (come si potrebbe dedurre dalla formazione di un partito su base confessionale) ma nella quale i cristiani lavorino sui suoi meccanismi e sulla sua ispirazione affinché sia possibile rifrangervi le esigenze fondamentali della persona umana adempiendo in tal modo alle “premesse metafisiche e religiose dell'Evangelo”. Discostandosi apertamente dalla visione tradizionale e pacelliana di una società apertamente e visibilmente cristiana)

Ancora Dossetti, in una lettera scritta ai parroci durante la resistenza il 7 marzo 1945 lettera ai parroci, afferma: “La Dc non vuole e non può essere un movimento conservatore, ma vuole essere permeato dalla convinzione che tra l'ideologia e l'esperienza del liberalismo capitalista e l'esperienza, se non l'ideologia, dei nuovi grandi movimenti anti-capitalisti, la più radicalmente anticristiana non è la seconda ma la prima...”.

 

NELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA E NELLA COSTITUENTE – Possiamo quindi già isolare alcuni elementi che diverranno i cardini del dossettismo. Prende corpo l'idea di realizzare uan società non più esplicitamente cristiana, ma implicitamente cristiana. A tal proposito diventa determinante l'incontro con il pensiero e la riflessione del filosofo francese Jacques Maritain sulla Nuova cristianità, ovvero una città secolare o profana che si ispirerebbe a una visione della realtà non più teocentrica ma antropocentrica, costituita da un umanesimo, detto integrale (perché aperto alla trascendenza), che condurrebbe ad una società non più sacrale come nel Medioevo, ma ad ma ad animazione cristiana dove la testimonianza evangelica dei cristiani costituirebbe il lievito e il fermento silenzioso che penetrerebbe le realtà naturali.

In una visione della storia considerata progressiva (qui differenziandosi dal Maritain di Umanesimo integrale, che la considerava ambivalente, fatta cioè di guadagni e perdite) lo sfondo ideale su cui lavorare e costruire la nuova civiltà è quella della democrazia, sostanziale e reale – dirà quarant'anni dopo Dossetti - intesa come realizzazione concreta degli ideali cristiani attraverso una attiva attiva partecipazione politica popolare e di una democrazia economica e sociale.

In tale nuovo contesto culturale si sarebbe altresì reso necessario utilizzare gli strumenti concettuali e le analisi che il pensiero moderno offriva per realizzare una nuova sintesi col pensiero cristiano (questo valeva anche per aspetti del socialismo e del comunismo).

I nemici di tale società sono rappresentati dal fascismo, incarnazione di tutti i mali e in particolare di quelli della società italiana (si usa la lettura laica gobettiana di fascismo autobiografia di una nazione), il liberalismo e la borghesia che rappresentano una cancrena individualista che dimidia e corrompe la democrazia nel diritto, nelle istituzioni e nell'economia. Accanto a questi nemici cominciano a comparire anche i limiti della Chiesa cattolica, qui soprattutto in relazione all'uso della dottrina sociale: una corretta analisi sui fini e sulla natura delle realtà naturali per i dossettiani la renderebbe superflua.

Si fa strada l'idea del diritto come strumento di progettazione sociale e di educazione di un popolo e l'idea della positività di una forte presenza dello Stato nell'economia.

Costituendosi come alternativa al centrismo degasperiano la corrente dossettiana può esprimere tra il '46 e il '47 al massimo le proprie potenzialità ideali in tre luoghi: costituendo l'associazione Civitas Humana nella quale vennero elaborate le proprie tesi poi pubblicate sul periodico Cronache Sociali; all'interno della Democrazia cristiana, soprattutto nel movimento giovanile; e nell'assemblea costituente avendo al possibilità in tale sede di incidere direttamente sulle linee fondamentali del nuovo Stato.

Del primo incontro di Civitas Humana si ha uno schema ciclostilato attribuito a Dossetti nel quale si sviluppano e si precisano i contenuti già prima sottolineati: si sottolinea il carattere epocale della crisi di civiltà a cui la Chiesa dovrebbe far corrispondere un adeguamento delle sue strutture e dei suoi metodi d'azione, e una più approfondita coscienza di verità già implicite (che implicherebbero un nuovo tipo di rapporto tra Stato e Chiesa, tra azione cattolica e azione politica). Da ciò si dedurrebbe la necessità di abbandono della mentalità di difesa propria dalla Riforma cattolica in poi che investe anche difesa di principi e realtà che «ritenevamo intangibili ormai travolti», tra cui l'iniziativa privata così come è concepita in Occidente, una concezione della democrazia formale, individualistica e parlamentare, l'idea di interclassismo, il concetto individualistico di persona.

Si teme l'americanizzazione, anche a livello ecclesiale, mentre si hanno parole di ammirazione per i piani quinquennali sovietici, come pur criticando il PCI sul piano ideologico ne subisce il fascino del modello organizzativo e della tensione etica, accogliendone certi frammenti ideologici. Si ritiene il tripartitismo (PCI, DC, PSI) necessario.

Si comincia ad affermare che il problema italiano è rappresentato dal cattolicesimo italiano e da un clero e un laicato, rappresentato dall'Azione Cattolica non all'altezza della situazione.

Per i dossettiani la costituente rappresentò la grande occasione per concretizzare la propria visione politica nell'architettura (termine caro a La Pira) di uno Stato che fosse capace di plasmare ed educare la società attraverso la sua Carta Costituzionale.

A Dossetti verrà riconosciuto il merito di aver saputo inserire nella carta costituzionale, con l'art. 7, il Concordato e i patti lateranensi ma per i dossettiani era fondamentale fare della Costituzione un modello di sistema politico, nell'ambito di una più generale concezione del diritto come strumento del fare politica. I dossettiani giudicarono il momento della costituente e la Costituzione come esperienza qualificante del loro gruppo e momento centrale del rinnovamento politico-culturale-sociale da imprimere all'Italia per gli anni a venire, rappresentando la sintesi e la convergenza delle principali esperienze politiche del '900, esempio assieme alla Resistenza di un accordo concreto tra le “forze di progresso”. Si registrano peraltro molteplici convergenze con Togliatti, come la proposta di Dossetti, approvata dal leader del PCI, in cui si accetta la proprietà privata “frutto del lavoro e del risparmio, ma come 'proprietà personale' da rendere accessibile a tutti” (espressione volutamente ambigua).

Così anche Fanfani che nella terza sottocommissione afferma: «l'attività privata, ammessa e protetta, è armonizzata ai fini sociali da diverse forme di controllo periferico e centrale, determinata dalla legge».

Gianni Baget Bozzo nota che con tali formule non si indica un diritto individuale di iniziativa economica, perché tale iniziativa era vista solo come funzione sociale e, come tale soggetto a un controllo pubblico di tipo corporativo. Il controllo sociale diveniva così il principio per un'attività che non era vista come un diritto del singolo, ma solo come una funzione sociale.

Per Fiorentino Sullo (ex uomo politico democristiano) «il compromesso cattolico marxista, che è alla base del compromesso istituzionale, celava un proposito segreto dei coautori, esattamente antitetico l'uno all'altro. Ciascuno nel proprio linguaggio apparentemente convergente, vedeva il punto di partenza per una evoluzione contrastante».

In tal modo la Costituzione diveniva lo strumento pedagogico con cui il diritto costruiva il nuovo Stato ed educava l'italiano alla democrazia, mentre il partito diveniva formava l'italiano democratico e il partito lo strumento di formazione di una nuova classe dirigente cattolica capace di incarnare e difendere questi nuovi valori, identificati nel pluralismo nella libertà politica, nel regime democratico che divenivano la realizzazione visibile, politica e spirituale del cristianesimo. Era l'umanesimo della Nuova cristianità maritainiana.

Baget Bozzo conferma che il quadro concettuale di massima entro cui agiva questo gruppo era il fine maritainaiano della Nuova cristianità esprimentesi in un umanesimo integrale che aveva bisogno della grazia e della Chiesa. Tuttavia, evidenzia Baget Bozzo, restava solo un umanesimo.

A smentire i piani dossettiani arriva però lo straordinario successo elettorale del 18 aprile '48, che fu certamente un successo condizionato dalla straordinaria attività dei Comitati Civici di Luigi Gedda, espressione della volontà del pontefice che esprimevano non solo un forte anticomunismo ma anche una volontà di ricostruzione cattolica della nazione italiana. Un successo che imbarazzò persino De Gasperi e che irritò e suonò come una sconfitta per i Dossettiani.

Nonostante la crescente penetrazione delle idee dossettiane tra i quadri e nel movimento giovanile DC a Rossena nell'agosto del '51 Dossetti decise a sorpresa di sciogliere la corrente e di dimettersi da parlamentare.

Inizialmente si concentrò sul piano culturale tentando un incontro col filosofo Balbo, poi la scelta religiosa, la fondazione all'ombra dell'arcivescovo Giacomo Lercaro del Centro di documentazione a Bologna.

Scrive Baget Bozzo «la DC è sostanzialmente inutilizzabile come strumento per la realizzazione dell'utopia della 'nuova Cristianità', cioè di una società silenziosamente animata dai valori evangelici, seppur priva di qualsiasi simbolo e segno cristiano esteriore»

 

“La nostra cristianità, la cristianità italiana non consentiva le cose che io auspicavo nel mio cuore. Non le consentiva a me e non le avrebbe consentite a nessun altro in quei momenti”. Dirà 40 anni dopo.

 

Da qui la necessità di un cambio di polarità, scrive Baget Bozzo, per seguire il medesimo obbiettivo utopico, anche se il superamento del maritainismo comporta che, nella visione di Dossetti, l'interiorizzazione dei valori e dei segni e simboli cristiani si faccia sempre più radicale fino al loro totale dissolvimento.

 

Pronunciati i voti religiosi nel '56 e consacrato sacerdote nel '59 troverà nell'annuncio del Concilio ecumenico e nello stile pastorale di Giovanni XXIII una insperata conferma alle sue tesi sul cambiamento epocale garantito dallo Spirito Santo e che stavolta coinvolgeva direttamente la Chiesa.

Col suo gruppo bolognese lavorò alacremente per realizzare una edizione critica che raccogliesse tutte le decisioni dei precedenti concili ecumenici e parteciperà come perito al Concilio per il card. Lercaro cui scriverà i discorsi e consulente e collaboratore per vari altri vescovi.

 

DOSSETTI AL CONCILIO - Dossetti prende il Concilio come la grande occasione di trasformazione in profondità della Chiesa cattolica e lavorerà intensamente e spesso in taluni casi anche in maniera decisiva su molti temi trattati dal Concilio: la collegialità della Chiesa, la tematica della Chiesa come mistero piuttosto che come societas perfecta, il tema della Chiesa-povera, della pace, dei laici, dell'ecumenismo.

Un attivismo irrefrenabile ma già discutibile sul piano delle modalità. Il suo principale collaboratore, Giuseppe Alberigo, descrive il clima e l'effetto del Concilio in tali termini:«si manifesta con un'energia dirompente, inattesa e coraggiosa. Problemi che erano stati rimossi nei decenni precedenti vengono alla ribalta, talora anche con virulenza (dal celibato ecclesiastico ai rapporti con gli altri cristiani, dalla passività dei fedeli comuni, alla diffidenza verso l'ideologia socialista). Secolari meccanismi ecclesiali di compensazione e di controllo appaiono improvvisamente inadeguati, l'antica autorevolezza della Curia appare ormai usurata e i metodi consueti (accentramento, condanne) appaiono vecchi, rifiutati dalla coscienza comune … [Questa la loro idea della Chiesa preconciliare e di Pio XII]. Speranze e attese a lungo dissimulate esplodono alla luce del sole, istanze represse trovano spazi neppure sognati. Il primato della ripetitività, della conservazione e dell'obbedienza passiva è tendenzialmente sostituito dalla ricerca, dalla creatività, dalla responsabilità personale» [nasce qui l'idea del cattolico adulto, della fede matura].

Questo è il modo inaccettabile con cui Dossetti e il suo gruppo intesero porsi al Concilio.

Ma come nota ancora Baget Bozzo «È difficile non cogliere in questo ragionamento – da cui emerge evidentemente un'interpretazione del Concilio come momento di soluzione di continuità, di rottura col passato e con la Tradizione e di radicale rinnovamento nella vita della Chiesa – un forte pathos rivoluzionario».

Coerente a questa lettura, tutta politica e oltranzista del Concilio, Dossetti è inquieto per le modalità ecclesiali, secondo le quali il Concilio stesso procede, che sono ben lontane dalla logica assembleare di confronto-scontro tra maggioranza e minoranza che lui tenta di instaurare.

 

Tanto per dare un'idea dei toni e dei sentimenti che il gruppo bolognese esprimeva vi cito un ricordo tratto dal Diario di Angelina Nicora, moglie di Alberigo «I moderatori [i quattro cardinali moderatoti di cui Dossetti agiva da segretario] la cui autorità avrebbe dovuto estremamente aumentare dopo il successo del 30 ottobre, sono stati posti sul banco d'accusa come colpevoli da uomini insignificanti come Carli, vescovo di Segni; uomini inintelligenti e teologicamente vuoti come Siri, da uomini conservatori e reazionari come Ottaviani, Ruffini e alcuni nord-americani. Il conservatorismo nordamericano ha largamente parlato in Concilio».

Ancora un'altra testimonianza del modo politico di agire di Dossetti è rappresentata dall'ormai famosa espressione del cardinal Suenens che lo definì “partigiano del Concilio”. Lui accettava questa definizione affermando che «abbiamo in qualche modo contribuito con la nostra azione precedente anche all'esito del Concilio, si è potuto fare qualcosa al Concilio in funzione anche di un'esperienza storica vissuta nel mondo politico, anche da un punto di vista tecnico assembleare ha contato qualcosa. Perché nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare, sorretta da Mortati, ha capovolto le sorti del Concilio stesso. Suenens mi disse un giorno: “ma lei è un partigiano del Concilio!”. Io agivo da partigiano».

Un ammissione che trasforma Dossetti e il suoi gruppo dirigente in una specie di partigiani di una “sorta di guerra dl liberazione contro i curiali che cercano con ogni mezzo di frenare, ritardare e svuotare il rinnovamento della Chiesa da lui perseguito, anche approfittando della morte di Giovanni XXIII e dell'ascesa al soglio pontificio di Paolo VI” commenta Baget Bozzo.

Sempre Alberigo afferma che: «Dossetti ha vissuto il Concilio come progetto ma con un'attitudine creativa a un'occasione dello Spirito».

Il suo contributo più importante apportato al Concilio riguarda la Collegialità, con la quale associa il collegio episcopale all'esercizio del governo della Chiesa con Pietro e sotto Pietro, quando utilizzando al sua esperienza parlamentare, maturata soprattutto alla Costituente, riuscì ad imporre un regolamento e dei quesiti di voto che orientassero l'Assemblea sul tema della collegialità istituendo una specie di referendum.

Questo è il maggior contributo al Concilio ma, come nota ancora acutamente Baget Bozzo, fu un contributo pericoloso che tendeva a rendere dialettica un'Assemblea che cerca come criterio abituale l'unanimità.

Paolo VI comprese che Dossetti voleva innescare un aperto scontro dialettico alimentando e ricorrendo alle categorie conservatore/progressista. Il Papa ne colse la pericolosità giungendo ad affermare che «quello non è il posto di Dossetti», il quale, anche su richiesta del segretario generale del Concilio Cardinal Pericle Felici, dovrà dimettersi da tale incarico.

 

Ma non è l'unica pericolosità che il papa scorgeva au questo punto tanto che al termine della Lumen Gentium fece inserire una Nota esplicativa previa con la quale si esplicavano le modalità e lo spirito con cui doveva intendersi l'esercizio della Collegialità. Era evidente il tentativo, neppure troppo velato da parte dei dossettiani (e ovviamente non solo da parte loro) di demonarchizzare e democratizzare («si voleva superare il modello monarchico e che la coscienza attuale della fede esigesse una organizzazione più comunitaria» - scrive Alberigo) la Chiesa partendo dall'esercizio del suo potere utilizzando il pur legittimo richiamo teologico alla collegialità. Prova ne sia che a tutt'oggi la Scuola di Bologna mette in dubbio che la Nota esplicativa previa possa intendersi quale reale espressione della volontà conciliare.

 

Così come l'espressione “Popolo di Dio”, recuperata dall'Antico Testamento, è enfatizzata per sottolineare non solo la valorizzazione dell'essere cristiani in forza del Battesimo, ma per sottolineare una dignità paritaria tra laicato e clero (foriera di confusione ai limiti della interscambiabilità).

Nella stessa direzione democratizzante va l'enfasi che i dossettiani pongono sulla Chiesa particolare rappresentata dalla Diocesi e dalla parrocchia, dalle Conferenze episcopali e dai Sinodi. Tutte strutture evidentemente legittime ma potenzialmente inquinate da una visione parlamentaristica e democratica che appartengono alle categorie della politica moderna, ma non alla Chiesa.

Se politicamente si poteva parlare di ideologia democratica, in termini ecclesiali Dossetti parla di ecclesiologia, di comunione in questo caso; ma aldilà dei suoi ricercati fondamenti teologici appare

abbastanza evidente ritenere tale ecclesiologia come riflesso ideologico nella Chiesa dell'ideologia democratica.

Un altro aspetto legato a mio avviso alla concezione ideologica di Dossetti è l'esaltazione della Chiesa come mistero contrapposta a quella fino ad allora corrente, ma non richiamata dal Concilio, di Societas perfecta, che a suo giudizio ingabbierebbe troppo giuridicamente la Chiesa.

Ancora una volta il concetto è teologicamente, evidentemente, fondato ed esatto, ma Dossetti tende a piegarlo in nome della sua concezione dell'azione dello Spirito Santo sulla storia e sulla Chiesa rischiando di far perdere i contorni di ciò che è definito e certo rispetto a ciò che non lo è. Viene così presentata un'immagine di Chiesa «dinamica in corpo vivo e in continuo divenire sotto l'impulso dello Spirito». Ma confessa Alberigo: «erano suggestive premesse per l'uscita dall'età costantiniana, per un superamento del trionfalismo ed una declericalizzazione.»

vorrei citare anche, visto che per lui fu un impegno qualificante, il problema teologico ed ecclesiologico della povertà, anche culturale, scrivendo per il cardinal Lercaro che «la povertà della Chiesa non può prescindere da un riconoscimento di sé stessa “culturalmente povera”;... che abbia il coraggio di rinunziare alle sue stesse ricchezze culturali del passato, per proporre sempre più, in modo spoglio ed essenziale, la ricchezza divina del messaggio evangelico».

E ancora su Chiesa e cultura. Dossetti era convinto che senza la revisione profonda della propria paideia, la Chiesa cattolica non sarà in grado di rinnovare il rapporto con la cultura moderna. Rinnovamento che dovrebbe essere guidato dal riconoscimento da parte della Chiesa stessa di essere ed accettare di essere culturalmente povera, abbandonando la sicurezza basata su un sistema razionale per confidare piuttosto nella «ricchezza assoluta del libro sacro». Tale rinnovamento avrebbe dovuto svolgersi secondo due direzioni, quella dei vescovi-dottori e dei laici-teologi. Evidente anche qui il salto e l'esclusione del magistero e la crescita, a suo danno, della figura del teologo e di quella dei laici.

Anche in questo caso mi sembra di poter istituire un parallelismo sul piano politico tra la funzione dell'intellettuale laico nella formazione della coscienza politico-civile con quella del teologo rispetto alla coscienza religiosa.

Sulla guerra e sugli armamenti, proprio negli anni della massima aggressione comunista, Dossetti vorrebbe impegnare solennemente la Chiesa a dichiarare:«inequivocabilmente la pace come dono evangelico primario», ma il Concilio non sarà così drastico, suscitando in lui una profonda delusione.

Infatti il Concilio per Dossetti e i suoi fu anche una mezza delusione: abbiamo visto come la Nota esplicativa previa non l'abbiano digerita; nonostante l'espressione “Popolo di Dio”, il documento Apostolicam actuositatem sui laici viene giudicato contraddittorio con tale espressione; Dossetti rimane deluso sui temi della pace, sul ridimensionamento dei caratteri originari dell'ecumenismo, dall'immaturità della Gaudium et spes, dalla mancata canonizzazione di Giovanni XXIII che avrebbe richiesto per la chiusura del Concilio, sul carattere troppo cristologico e poco pneumatologico del Concilio. Per lui i testi del Concilio pur costituendo una base positiva di partenza per la sua riforma della Chiesa e della cristianità italiana, in realtà rappresentarono una parziale delusione, considerandoli come una sorta di compromesso fra le varie componenti cattoliche presenti al Concilio., come riconosce Baget Bozzo, ma senza dubbio attraverso la sua azione e la sua scuola ha loro fornito loro non pochi argomenti.

Rievocando tale periodo Alberigo afferma: «la prospettiva del trentennio trascorso consente di chiedersi se Dossetti non abbia intravisto in filigrana oltre al concilio “reale”, al quale ha dato un contributo leale e spesso molto rilevante, anche un altro concilio. Il Concilio “nuova Pentecoste” auspicato da Giovanni XXIII, un concilio capace di una scelto obbediente allo Spirito sino a una trasfigurazione. Un Concilio nel quale l'ascolto della parola di Dio e il confronto con la parola dell'umanità sapessero coniugarsi al servizio dell'uomo, come aveva visto sul letto di morte papa Giovanni. In Dossetti i due livelli hanno vissuto una identificazione fino al '62-3, mentre dal '64 una progressiva divaricazione...». Si apre la prospettiva di un Concilio incompleto e letto male se non tradito (soprattutto da Paolo VI), eventualmente da completare. Ecco svilupparsi quell'idea di Spirito del Concilio che consente di andare oltre i testi, ecco l'ipotesi e la prospettiva di un Concilio Vaticano III.

 

CONCLUSIONI - Salieri, coautore con Baget Bozzo del bel saggio su Dossetti, parla di una “sottile linea gnostica “ «Nel suo atteggiamento di apocalittica demonizzazione dell'avversario politico si può cogliere l'eco della concezione dualistica che accomuna tutti i movimenti gnostici: un dualismo che è insieme cosmologico e antropologico: il mondo e i figli della luce da un lato e il mondo e i figli delle tenebre dall'altro».

E ancora: «Dossetti adottava l'interpretazione gobettiana del fascismo di autobiografia della nazione, cioè una visione azionista rivoluzionaria che interpreta l'antifascismo come una lotta perenne contro un male oscuro … pericolo occulto per la democrazia. Spostando l'attenzione sulle tematiche religiose, è difficile non cogliere assonanze tra la polemica dossettiana condotta in nome della Chiesa spirituale dei poveri [ecco l'eccessiva sottolineatura dello Spirito Santo in Dossetti] contro la Chiesa istituzionale, e la concezione, di chiara ascendenza gnostica, di Gioacchino da Fiore che, secondo de Lubac, “sferzando la decadenza della chiesa del suo tempo, non propone una semplice riforma morale, un ritorno alle origini, alla verità immutabile della Chiesa, propone invece un'altra chiesa, un suo superamento sostanziale. Non è un riformatore, ma piuttosto un rivoluzionario”». Fatto questo che spiega la simpatia per i movimenti rivoluzionari come il comunismo ( ma precedentemente tutti quanti e con certezza, La Pira, Fanfani e lo stesso Dossetti aveva simpatizzato in misura più o meno ampia per il fascismo), colti nel loro carattere di eresia cristiana.

Un altro autore che, analogamente a Baget Bozzo per conoscenza personale, ha criticato lucidamente Dossetti è il cardinal Giacomo Biffi che, nelle sue memorie autobiografiche, riflettendo dopo una serata trascorsa ad ascoltare racconta: «ci intrattenne sul tema che per lui era il problema più rilevante, anzi lo scopo stesso del suo impegno politico sul come associare il più compiutamente possibile gli individui alla vita dello Stato».

«La partecipazione elettorale non è sufficiente – spiegava -, il coinvolgimento del singolo deve essere continuo, quasi quotidiano, in modo che tutti i problemi comuni, che via via si presentano, siano affrontati e risolti con l'apporto determinante di tutti».

«Lo strumento attivo di questo collegamento permanente tra base e vertice è il partito --- Ne deriva che se si vuol costruire una società pienamente democratica, la necessità per ognuno di noi di appartenere a un partito a sua libera scelta, non solo iscrivendosi, ma anche intervenendo senza pause nella sua attività, contribuendo ai suoi dibattiti in vista della formazione di una linea di condotta concordata … i partiti comunicheranno poi ai vertici statuali questa molteplice e cangiante volontà popolare, orientando di giorno in giorno la linea degli organismi rappresentativi».

«Ci siamo a poco a poco resi conto – prosegue il Cardinal Biffi – che il suo modo di fare politica si connotava, per così dire, di una “intransigenza teologica”, che non favoriva la concretezza della sua presenza nell'arengo della “cosa pubblica”. Addirittura lo conduceva a una immancabile “inconcludenza” che al nostra mentalità di milanesi faticava a capire ed accettare … Ad una analisi successiva e più meditata il progetto schematico offertoci … ci è apparso tipico più di un ideologo, che non sente il bisogno di uscire dalla cerchia delle sue intuizioni, che non di un politico che non perde mai di vista la realtà effettuale ...».

«Credo però – prosegue Biffi – che sia consentita una riserva più radicale. Si percepisce il riaffiorare di alcuni temi che, fin dal principio, erano rilevanti in Dossetti. C'è prima di tutto una considerazione positiva, in sé apprezzabile, dello Stato come di una realtà che va sorretta da tutti e mantenuta viva nella coscienza comune …

In secondo luogo traspare qui l'idea della necessità di avvalorare il partito … donandogli una robusta base ideale, una copiosa consistenza, dei quadri autosufficienti che lo rendessero autonomo dagli apporti confessionali ed ecclesiastici …

L'approdo di queste “attenzioni” dossettiani non era però appagante. Il risultato era una visione delle cose che nella pubblica convivenza metteva in rilievo solo tre fattori determinanti: lo stato, il partito, il singolo. Ciò che appariva del tutto assente dall'analisi di Dossetti era la “società”: la società con i suoi raggruppamenti spontanei e le sue libere aggregazioni, che logicamente e spesso anche storicamente precedono non solo i partiti ma lo Stato stesso, come è il caso per esempio della famiglia. In una parola non c'è traccia del principio di sussidiarietà.

C'è da dire che quella dimenticanza non era solo di Dossetti: era di tutta quella giovane area cattolica …

Di fatto, anche per l'autorevolezza e il prestigio di Dossetti questo approccio alla problematica civile e sociale, con questa deplorevole negligenza, è stato condiviso da tutte le forze considerate “più aperte” fino ai nostri giorni.

Questa assenza di un punto qualificante della dottrina sociale cattolica (o almeno questa scarsa considerazione) è uno dei limiti più vistosi del dossettismo politico e dei movimenti che poi vi si sono ispirati o vi si ispirano».

Pur riconoscendogli importanti qualità spirituali il cardinal Biffi si domanda se Dossetti potesse considerarsi anche un teologo, “sul serio, ricco di verità e affidabile”. «Ci sono forti motivi per dubitarne – spiega il porporato - . Parlando con Pietro Scoppola e Leopoldo Elia nel '84 sulla sua opera al Concilio lo legge alla luce della sua partecipazione alla Costituente “nel momento decisivo proprio la mia esperienza assembleare ha capovolto le sorti del Concilio stesso”».

«Ma come è possibile – a chi abbia qualche consuetudine di contemplazione della realtà trascendente della Chiesa – confrontare e porre in relazione un'accolita disparata di uomini lasciati alle loro forze, ai loro pensieri terreni, con la convocazione di tutti i successori degli apostoli, assistita dallo Spirito Santo da essi quotidianamente invocato? Un presbitero legittimamente ammesso alle loro discussioni non può ritenere di avere funzioni di “manovratore strategico” /tanto meno di “capovolgere”); la sua presenza è per aiutare i vescovi, se gli riesce, a chiarirsi e a enucleare al meglio quella verità rivelata che essi (solo maestri, in senso proprio e pertinente, del Popolo di Dio) già possiedono sia pure implicitamente.

Di più, nella stessa circostanza Dossetti addirittura si compiaceva di “aver portato al Concilio – anche se non fu trionfante – una certa ecclesiologia che era riflesso anche dell'esperienza politica fatta. Ma che tipo di “ecclesiologia” poteva scaturire da una tale ispirazione e da queste premesse “mondane”? ».

«Dossetti – prosegue Biffi – è stato teologicamente un autodidatta … il rischio è: di ripiegarsi su sé stessi e di ritenere fonte della verità le proprie letture e la propria acutezza; più specificatamente il rischio di finire col compiacersi di un sapere incontrato e perfino di arrivare a un'ecclesiologia incongrua e a una cristologia lacunosa.

È stato appunto il caso di don Dossetti che nell'apprendimento della “Scientia dei, Christi et Ecclesiae” non ha avuto maestri. A chi gli avesse chiesto da dove avesse preso le sue intenzioni, le sue prospettive di rinnovamento, le sue proposte di riforma, egli avrebbe ben potuto rispondere: “dalla mia mente e dal mio cuore”».

Una conferma di queste perplessità il cardinal Biffi la trovò anche nelle riserve espresse da don Divo Barsotti (che di Dossetti fu direttore spirituale e che lo diffidò dal proseguire il suo sodalizio con Alberigo) «che era teologo autentico e di solida formazione [che] si rese conto ben presto delle lacune e delle anomalie del pensiero dossettiano. Don Divo prima di tutto disapprovava un'ossessione primaria e permanente per la politica, che alterava la sua prospettiva generale; in secondo luogo deprecava la sua insufficiente fondazione teologica. E mi confidava, alla fine dei suoi giorni, di essere ancora molto preoccupato degli influssi che la “teologia dossettiana” continua» a esercitare su certe aree della cristianità”.

Ecco perché per Dossetti ritengo necessario parlare di “approccio ideologico alla fede”.

[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Papa, la teologia della liberazione, il marxismo (Prima parte)

Liberare la Chiesa da qualsiasi interpretazione ideologica


20 APRILE 2013

1. “Il Signore liberi la Chiesa da qualsiasi interpretazione ideologica”

Papa Francesco suscita entusiasmo e ammirazione tra la gente semplice per l’autenticità della sua persona, che si rivela in tutti i suoi comportamenti e atteggiamenti e per l’amore evangelico che manifesta soprattutto verso gli ultimi (ha commosso la celebrazione del Giovedì Santo nel carcere minorile di Casal del Marmo).

Il Papa, vivendo e annunciando con semplicità il Vangelo, dà speranza a tanti uomini e donne che hanno perso il senso e la gioia di vivere e infonde fiducia e ottimismo nelle persone che lo vedono e lo ascoltano.

L’ intellighenzia che legge tutta la realtà, qualunque essa sia, in chiave ideologica, non ha visto nell’elezione del nuovo Pontefice il soffio dello Spirito Santo: giornalisti e opinionisti sono già scesi in campo definendo il Papa o un conservatore o un progressista.

Secondo il Pastore valdese Alessandro Esposito, il Pontefice è un conservatore.

Scrive:

“In effetti il nuovo pontefice, sotto il profilo etico e dogmatico, non lascia intravedere alcuna possibilità per il rinnovamento in seno al cattolicesimo romano e può essere considerato in tutto e per tutto un fedele prosecutore del conservatorismo osservato in merito nell’arco dei due ultimi pontificati (sotto i quali, non va dimenticato, è avvenuta la quasi totalità delle nomine cardinalizie che compongono l’attuale conclave): basti, a tale proposito, dare una rapida scorsa ai commenti di Bergoglio relativi a tematiche quali l’aborto e l’eutanasia, che riprendono, radicalizzandole, le tesi elencate nel documento approvato dai vescovi latinoamericani e ratificato da papa Benedetto XVI nel corso della «V Conferenza Generale dell’episcopato dell’America Latina e dei Caraibi» tenutasi ad Aparecida, Brasile, dal 13 al 31 maggio del 2007. Ancora più eloquenti le dichiarazioni rilasciate dal primo papa gesuita della storia in seguito alla decisione presa dal governo argentino il 9 luglio del 2010 di riconoscere il matrimonio di persone dello stesso sesso, da lui definito, senza mezzi termini, una «mossa del diavolo» contro cui mobilitare una a suo avviso ineccepibile e improcrastinabile «guerra di Dio»”[1].

Secondo  Paolo Farinella, autore di Habemus Papam, il Papa è un rivoluzionario.

Così inizia un suo articolo apparso su “Micromega”:

“Si è avverata la profezia del mio romanzo Habemus papam, Francesco, riedito nel 2012 da Gabrielli Editori con il titolo «Habemus papam. La leggenda del papa che abolì il Vaticano». Il nome c’è già. Ora aspettiamo che abolisca il Vaticano, se non lo fanno fuori prima. Le premesse ci sono, la primavera anche e Bertone e i suoi complici facciano le valigie”[2].

Così termina il suo articolo:

“Infine, un papa latinoamericano, è una svolta nella storia della Chiesa: finisce la Chiesa italiana, eurocentrica e comincia la Chiesa universale, la Chiesa della periferia, la Chiesa dei poveri, nella speranza che inizi anche l’era di una Chiesa povera.Il papato di Ratzinger è stato solo una parentesi quadra che ha fatto perdere otto anni di tempo. Ora, in attesa che lo facciano fuori, speriamo che abbia la forza di fare piazza pulita, cominciando a dare un segno, chiamando in Vaticano, magari facendolo segretario di Stato, mons. Carlo Maria Viganò […]”[3].

Il Papa parla della Chiesa dei poveri e della Chiesa della periferia, ma non in senso pauperistico. Il cardinale Ortega Y Alamino ha diffuso il testo che l’allora Cardinale Bergoglio aveva presentato alle Congregazioni generali prima della sua elezione al soglio pontificio. E’ scritto nel testo:

“Pensando al prossimo Papa: un uomo che, dalla contemplazione di Gesù Cristo e dall’ adorazione a Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti ad essere madre feconda che vive la dolce e confortante gioia dell’evangelizzazione”.

E’ questa la Chiesa che desidera il Papa ed è questa la Chiesa descritta negli Atti degli Apostoli: la Chiesa che annuncia il Kerigma e rialza chi è caduto, che soccorre l’orfano e la vedova e predica l’amore al nemico.

Non è la chiesa auspicata dalla teologia della liberazione che confonde la redenzione dal peccato, quindi dalla morte ontologica, con la liberazione dalle strutture economiche e sociali ingiuste presenti nel mondo, intese come “strutture di peccato”.

Secondo la teologia della liberazione, “la redenzione – scrive Ratzinger – diventava un processo politico, al quale la filosofia marxista forniva gli orientamenti di fondo. La fede da “teoria” si trasformava in prassi, in un’azione concreta e liberatrice”[4].

Il Papa non “realizza” affatto la teologia della liberazione, come è stato scritto da un’autorevole personalità ecclesiastica, perché è pienamente consapevole dei pericoli in cui va incontro la Chiesa quando la lettura del Vangelo è inquinata dall’ideologia.

Infatti il Pontefice, durante l’omelia tenuta durante la Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta (19 aprile 2013), ha affermato:

“Quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla” e ha concluso l’omelia dicendo: “Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, che porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”.

“Che il Signore liberi la Chiesa da qualsiasi interpretazione ideologica”, e in particolare da quella marxista, che è l’anima della teologia della liberazione, e ha prodotto e produce tanti mali nel mondo.



NOTE

[1] A. Esposito, Bergoglio, non facciamone un santo, Blog di Micromega, 14 marzo 2013.

[2] P. Farinella, Francesco I, il nome è un programma. Abolirà anche il Vaticano?, Blog di Micromega, 14 marzo 2013.

[3] Ibidem.

[4] J. Ratzinger, La fede e la teologia ai giorni nostri, in Aa. Vv., Cristianesimo e marxismo, Mondadori, Milano 1969, p. 22.






Il Papa, la teologia della liberazione, il marxismo (Seconda parte)
Secondo alcuni teologi, i cristiani possono accettare il marxismo come strumento scientifico utile per realizzare il cambiamento sociale

27 APRILE 2013

2. Il marxismo secondo il magistero dei Papi

2.1 Da Pio IX a Leone XIII

Papa Francesco non soltanto non condivise mai le tesi della teologia della liberazione, ma, anzi, le condannò pubblicamente nel 1979 a Puebla, durante la sua partecipazione al Consiglio Episcopale Latinoamericano [1].

Non poteva condividere questa interpretazione della fede intesa come prassi liberatrice, secondo la quale «di fronte a un mondo che non corrisponde alla bontà di Dio», i teologi della liberazione si battevano (e si battono) per il superamento di questa situazione tramite, scrive Ratzinger, «un mutamento radicale delle strutture del mondo, le strutture del peccato» [2].

Il magistero sociale della Chiesa, al quale Papa Bergoglio ha sempre pienamente aderito, insegna che l’origine dei mali esistenti nel mondo va ricercata non nelle strutture economiche e sociali ingiuste, ma nel “cuore” dell’uomo, che può essere risanato soltanto da Gesù Cristo, vivente nella Chiesa. E’ scritto nel Vangelo: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» [3].

Alcuni teologi sostengono che il marxismo, anche nella sua versione leninista, può essere accettato dai cristiani come uno strumento scientifico utile per realizzare il cambiamento sociale, prescindendo dalla sua visione atea e materialistica della realtà. Afferma Carmona:

Il marxismo leninismo non può essere accettato dal cristiano come una filosofia integrale, poiché egli possiede una sua concezione del mondo e dell’uomo che è trascendente e umanista, però può utilizzare il marxismo leninismo come un mezzo utile per il cambiamento sociale dato che si è dimostrato un mezzo efficiente e umano. Non per questo il marxismo leninismo sarà accettato nella sua totalità, ma piuttosto nei suoi elementi scientifici storicamente provati che configurano una Praxis di costruzione umanista di nuova società [4].

Secondo Popper il marxismo non è scientifico perché non è confutabile [5]. Esso consiste in una visione totalizzante del mondo, il cui centro è rappresentato dal potere economico.

Scrive in proposito il filosofo: «Marx scoprì l’importanza del potere economico, ed è comprensibile che ne abbia esagerato la portata. Egli e i marxisti vedono il potere economico dappertutto» [6].

Secondo Popper la teoria di Marx è “olistica”, cioè fornisce un’interpretazione totalizzante dell’uomo e della società [7]. Questa interpretazione totalizzante è atea e materialistica ed è il fondamento teorico-pratico del comunismo e del socialismo, entrambi concordemente condannati da tutti i papi[8].

Il primo Papa che si pronunciò con un’enciclica contro “le tenebrose insidie” del comunismo fu Pio IX nel 1846, quando ancora non era stato pubblicato il Manifesto del Partito Comunista (1848). Nell’enciclica Qui Pluribus (1846) viene sottolineato che il comunismo non rispetta il diritto naturale, sconvolge l’ordine sociale, è violento e perseguita ogni religione. E’ scritto:

"A questo punta la nefanda dottrina del Comunismo, come dicono, massimamente avversa al diritto naturale; una volta che essa sia ammessa, i diritti di tutti, le cose, le proprietà, anzi la stessa società umana si sconvolgerebbero dal fondo. A questo aspirano le tenebrose insidie di coloro che, in vesti di agnelli, ma con animo di lupi, s’insinuano con mentite apparenze di più pura pietà e di più severa virtù e disciplina: dolcemente sorprendono, mollemente stringono, occultamente uccidono; distolgono gli uomini dalla osservanza di ogni religione, e fanno scempio del gregge del Signore " [9].

Nel 1849 Pio IX scrisse un’altra enciclica, Nostis et nobiscum, nella quale affermò che il comunismo e il socialismo, appellandosi falsamente agli ideali di libertà e di uguaglianza, violano tutti i diritti umani e divini, istigano gli operai alla violenza e li utilizzano per rovesciare governi legittimamente costituiti, per depredare le proprietà altrui e, in particolare i beni della Chiesa. E’ scritto:

E per ciò che riguarda questi corrotti sistemi e dottrine, è già noto a tutti che essi, abusando dei nomi di libertà e di uguaglianza, cercano di insinuare nel volgo gli esiziali principi del Socialismo e del Comunismo.

È evidente poi che gli stessi maestri del Comunismo e del Socialismo, sebbene agiscano per via e con metodi diversi, hanno infine quel comune proposito di far sì che gli operai […] si agitino in continue turbolenze e a poco a poco si addestrino a più gravi delitti; intendono poi valersi dell’opera loro al fine di abbattere il governo di qualunque superiore autorità, di rubare, saccheggiare, invadere dapprima le proprietà della Chiesa e poi quelle di tutti gli altri; di violare infine tutti i diritti divini e umani, distruggendo il culto divino e sovvertendo l’intera struttura della società civile[10].

Leone XIII nel 1891 scrisse l’enciclica Rerum Novarum[11], nella quale viene affrontata la “questione sociale” ed è condannato sia il liberalismo selvaggio che il socialismo, perché il primo non rispetta la dignità della persona considerandola non come il fine, ma come lo strumento dello sviluppo economico, e il secondo, nato come reazione alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori presenti nei sistemi capitalistici, incita gli operai alla lotta di classe e quindi all’odio verso i padroni, proponendo la trasformazione della proprietà da privata a collettiva e danneggiando così non soltanto i legittimi proprietari, ma anche gli stessi operai. E’ scritto:

"A rimedio di questi disordini, i socialisti, attizzando nei poveri l’odio ai ricchi, pretendono si debba abolire la proprietà, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e dello Stato. Con questa trasformazione della proprietà da personale in collettiva, e con uguale distribuzione degli utili e degli agi tra i cittadini, credono che il male sia radicalmente riparato. Ma questa via, invece che risolvere le contese, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché manomette i diritti dei legittimi proprietari, altera le competenze dello Stato, e scompiglia tutto l’ordine sociale.

Con l’accumulare pertanto ogni proprietà particolare, i socialisti, togliendo all’operaio la libertà di investire le proprie mercedi, gli rapiscono il diritto e la speranza di trarre vantaggio domestico e di migliorare il proprio stato, e ne rendono perciò infelice la condizione"[12].


*

NOTE

[1]</a> Cfr. G. Santambrogio, Quando Bergoglio condannò la teologia della liberazione, in “Il Sole 24 Ore”, 14 marzo 2013.

[2] J. Ratzinger, La fede e la teologia ai giorni nostri, cit., p. 22.

[3] Mc 7, 20-23

[4] E. Carmona, Dal messaggio originario dell’evangelo al confronto con la rivoluzione marxista, in Aa. Vv., Cristianesimo e marxismo, Mondadori, Milano 1969, p. 52.

[5] Cfr. K. R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 1996, p. 225 e segg.

[6]Ibidem, p. 149.

[7] Cfr. ibidem, pp. 156-157.

[8] L’ultima parte dell’articolo è tratta dal mio libro : M. Moscone, I cattolici e le forze politiche dal Risorgimento a oggi, Prefazione di A. Gaspari, IF Press, Morolo (Fr) 2011.

[9] Pio IX, Qui pluribus, 9 novembre 1946.

[10] Idem, Nostis et nobiscum, 8 dicembre 1849.

[11] La Rerum Novarum è il fondamento della dottrina sociale della Chiesa, le encicliche sociali successive sono: Quadragesimo Anno di Pio XI, Mater et Magistra di Giovanni XXIII, Octogesima adveniens di Paolo VI, Centesimus Annus di Giovanni Paolo II.

[12] Leone XIII, Rerum Novarum,15 maggio 1891, n. 4.






Il Papa, la teologia della liberazione, il marxismo (Terza e ultima parte)
Per Pio XI, il comunismo spoglia l’uomo della vera libertà e della sua dignità

da Zenit del 4 MAGGIO 2013
MAURIZIO MOSCONE

2.2. Da Pio XI ad oggi

Pio XI, nell’enciclica Quadragesimo Anno (1931), riconobbe che nel socialismo sono presenti anche delle verità, ma affermò che un cattolico non può essere socialista perché il cristianesimo e il socialismo propongono ideali di società tra di loro contraddittori. E’ dichiarato nell’enciclica: «Se il socialismo, come tutti gli errori, ammette pure qualche parte di vero (il che del resto non fu mai negato dai Sommi Pontefici), esso tuttavia si fonda su una dottrina della società umana, tutta sua propria e discordante dal vero cristianesimo. Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista»1

Pio XI, nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937, condannò «il comunismo bolscevico e ateo minaccia tremenda per la civiltà umana»2 e evidenziò come il comunismo fosse un grave pericolo per l’intera umanità, perché esso «mira a capovolgere l’ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà»3.

Il Papa in questa enciclica denunciò, come si evince dai titoli dei paragrafi sotto riportati, le falsità intrinsecamente connesse all’ideologia comunista, i rischi che l’affermazione di tale ideologia comporta per la salvaguardia dei diritti dell’individuo e della famiglia, il disprezzo per la libertà personale e l’odio antireligioso manifestato dai comunisti, le persecuzioni da essi perpetrate contro i cristiani e le “violenze furibonde” commesse in nazioni di tradizione cattolica:

– La dottrina del comunismo ha un falso ideale di giustizia, di eguaglianza e di fraternità.

– L’uomo viene spogliato della vera libertà e della sua dignità.

– Distruzione dei valori fondamentali del matrimonio e della famiglia.

– Persecuzione anticristiana del comunismo in Russia e in Messico

– Orrori del comunismo in Spagna

– Il comunismo è antireligioso per natura e lotta contro tutto ciò che è divino

– Il comunismo ha imposto la schiavitù a milioni di uomini.

Pio XI rilevò che nei confronti dei crimini commessi dal comunismo si era manifestata la «congiura del silenzio nella stampa mondiale»4 e affermò che non era «ammessa alcuna collaborazione con il comunismo»5 perché esso è “intrinsecamente perverso”. Il Papa si appellò quindi ai vescovi perché mettessero in guardia i fedeli da non farsi ingannare e li invitassero a non collaborare con i “senza Dio”. E’ scritto:

Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per i primi come vittime del loro errore e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l’antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l’odio dei “senza Dio”6.

Il comunismo fu condannato da Pio XII perché “materialistico e anticristiano” e, per questo motivo, decretò nel 1949 la scomunica per i cattolici che sostengono e diffondono il comunismo. E’scritto nel decreto: «Il comunismo […] è materialistico e anticristiano; i capi dei comunisti infatti, anche se a parole talvolta professano di non combattere la Religione, nella realtà tuttavia, sia nella dottrina che nell’azione, si mostrano contro Dio e contro la vera Religione e la Chiesa di Cristo»7.

Giovanni XXIII nel 1959, in continuità con Pio XII, estese la scomunica a «quanti danno il voto ai candidati che, anche se assumono il nome cristiano, nella pratica si associano ai comunisti e ne favoriscono l’azione»8. Quindi la scomunica riguarda tutti gli elettori cattolici che votavano per candidati i quali, pur dichiarandosi cristiani, collaboravano con i comunisti.

Paolo VI riaffermò il magistero dei suoi predecessori, sostenendo, nell’enciclica Octogesima adveniens del 1971, che «il cristiano deve perseguire i valori della solidarietà e del servizio», ma «rifiutando l’adesione all’ideologia marxista»9.

Giovanni Paolo II espresse una condanna totale nei confronti del marxismo, considerandolo una ideologia antiteista e antiumana. Il Papa scrisse nell’enciclica Centesimus Annus del 1991: «Il marxismo aveva promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell’uomo, ma i risultati hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore»10.

Nell’enciclica Veritatis Splendor del 1993, Giovanni Paolo II affermò che il marxismo fa parte delle ideologie «che legavano la politica ad una concezione totalitaria del mondo»11.

Benedetto XVI, durante un incontro con il clero romano svoltosi nel 2006, disse che il XX secolo è stato caratterizzato da «due ideologie distruttive: fascismo-nazismo e comunismo» e sottolineò che «proprio in questo secolo, che si è opposto alla fede della Chiesa, il Signore ci ha dato una catena di grandi Papi, e così un’eredità spirituale che ha confermato, direi, storicamente, la verità del Primato del Successore di Pietro»12.

Giovanni Paolo II fa parte sicuramente di questa “catena di grandi Papi” e, avendo sperimentato personalmente la brutalità delle dittature naziste e comuniste, ha conosciuto le “ideologie del male” che hanno ispirato i due regimi totalitari. Queste ideologie del male «sono profondamente radicate ― scrive il Papa in Memoria e identità ― nella storia del pensiero europeo»13 e, «mentre il Signore ha concesso al nazismo dodici anni di esistenza e dopo dodici anni il sistema è crollato»14, il comunismo anche se «è caduto a motivo dell’insufficienza socio-economica del suo sistema, […] ciò non vuol dire che sia realmente respinto come ideologia e come filosofia»15.



NOTE

1 Pio XI, Quadragesimo Anno, 15 maggio 1931, n. 120. La seconda e la terza parte dell’articolo è tratta dal mio libro: M. Moscone, I cattolici e le forze politiche dal Risorgimento a oggi, Prefazione di A. Gaspari, IF Press, Roma 2011.

2 Id., Divini Redemptoris, 19 marzo 1937, n. 1.

3 Ivi, n. 3.

4 Riguardo al rapporto esistente tra la diffusione del comunismo e il silenzio della stampa mondiale, Pio XI afferma:

Un potente aiuto al diffondersi del comunismo è una vera congiura del silenzio in una grande parte della stampa mondiale non cattolica. Diciamo congiura, perché non si può altrimenti spiegare che una stampa così avida di mettere in rilievo anche i piccoli incidenti quotidiani, abbia potuto per tanto tempo tacere degli orrori commessi in Russia, nel Messico e anche in gran parte della Spagna, e parli relativamente così poco d’una sì vasta organizzazione mondiale quale è il comunismo di Mosca. Questo silenzio è dovuto in parte a ragioni di una politica meno previdente, ed è favorito da varie forze occulte le quali da tempo cercano di distruggere l’ordine sociale cristiano (ivi, n. 18).

5 Ivi, n. 58.

6 Ibid.

7 Decreto Congregazione del Santo Uffizio, 1 luglio 1949.

8 Decreto Congregazione del Santo Uffizio, 25 marzo 1959.

9 Paolo VI, Octogesima adveniens,14 maggio 1971, n. 15.

10 Giovanni Paolo II, Centesimus Annus,1 maggio 1991,n. 24.

11 Id., Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 101.

12 Benedetto XVI, Incontro con il clero della Diocesi di Roma, 2 marzo 2006.

13 Giovanni Paolo II, Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, Rizzoli, Milano 2005, p. 18.

14 Ivi, p. 26.

15 Ivi, p. 63.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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