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Bioblioteca LITURGICA (termini e significati su tutto ciò che riguarda la Liturgia)

Ultimo Aggiornamento: 25/08/2010 11:47
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NON sarà inserito tutto il materiale ivi contenuto, perciò andate a consultare il sito se qui non troverete ciò che cercate...oppure contatteli personalmente... [SM=g1740722]


ACCLAMATIO


L'acclamazione in antico erano le grida con cui più persone, generalmente riuniti in assemblea, manifestavano la loro approvazione per una cosa o per qualcuno. Nell'antica Roma era detta acclamazione la cerimonia decretata al generale vincitore, e poi l'elezione dell'imperatore da parte delle truppe a viva voce e senza ricorso ai voti, usanza rimasta fino a poco tempo addietro anche tra le forme legittime di elezione del Pontefice Romano.


Le acclamazioni liturgiche sono invece brevi formule riservate all'assemblea per rispondere alle preghiere, alle letture, alle ammonizioni durante i sacri misteri.
Al saluto del sacerdote:
- Dominus vobiscun si acclama:
- Et cum spiritu tuo;
alle litanie:
- Kyrie eleison:
- Christe eleison (forse di origine pagana; Christe eleison è di origine occidentale, e non era nota in Oriente: Greg. M., Registrum, IX, Ep. 26: PL 77, 956).


L'acclamazione Amen, usata già nella sinagoga, esprime l'assenso alle preghiere solenni (Giust., I Apol. 65, 3-4) e all'eucaristia: "Non otiose dicis tu Amen, iam in spiritu confitens quod accipies Corpus Christi. Cum ergo tu petieris, dicit tibi sacerdos Corpus Christi et tu dicis Amen, hoc est Verum. Quod confitetur lingua teneat affectus" (Ambr., De Sacram., IV, 25: SCh 25 bis, 116; Aug., Serm. 272; 334, 362).
Essa è una delle poche parole importate dall'ebraico senza cambiamento, per l'eccezionalità della frequenza sulla bocca del Salvatore (28 volte in Mt, e duplicata 26 volte in Gv); la sua radice dal verbo aman, la collega al verbo ‘rafforzare' o ‘confermare' (I Paralipomenon, xvi, 36; Ps., cv, 48; Tobias, ix, 12); nei LXX è tradotta con genoito, genoito, e nella Vulgata con fiat, fiat; il testo Massoretico ha Amen, Alleluia; il Talmud afferma che Amen non veniva detto nel tempio ma solo nella sinagoga (Edersheim, The Temple, p. 127), ma con ciò non è detto che fosse proibito nel tempio, ma solo che la risposta dell'assemblea era ritardata per non interrompere la solennità del rito e rispondere con una formula meno sintetica.

L'uso liturgico è implicito in I Cor., xiv, 16: pos erei to amen epi te se eucharistia.
La ''Didache'' o ''Insegnamento dei Dodici Apostoli'', riporta l'Amen solo una volta e in compagnia di maranatha, come una giaculatoria dell'assemblea. Strano che non si trovi nel Pater.
La preghiera di S. Policarpo, A.D. 155, prima del martirio si conclude con Amen'', e si aspetta la fine della preghiera prima di dar fuoco alla pira. Nelle Constitutioni Apostoliche solo tre volte è chiaramente indicato l'Amen assembleare, cioè dopo il Trisagion, dopo la Preghiera d'Intercessione, e al momento di ricevere l'Eucaristia. Serapione attesta nella metà del secolo IV che ogni preghiera dell'anaphora era conclusa dall'Amen, il cui significato certamente sfuggiva.


L'interpretazione di Augustine e dello Ps.-Ambrogio sebbene non risulti esatta: verum est, è tuttavia vicina al senso generale. La Congregatione dei Rites (n. 3014, 9 Giugno 1853) l'ha inspiegabilmente tolto dalla formula battesimale, mentre è rimasta in Oriente, sia sulla bocca degli astanti, sia su quella del ministro. Strano anche che alla benedizione del diacono l'Amen lo dica il celebrante e così nel rito dell'Unzione e della Riconciliazione.

Nel rito mozarabico della benedizione episcopale è ripetuto ad ogni invocazione, e così pure dopo ogni petizione del Pater. Già S. Giustino Martire (A.D. 151) attesta l'Amen dopo la grande preghiera consecratoria (Justin, I Apol., lxv, P.G., VI, 428). E' strano che nella riforma liturgica siano stati aboliti tutti gli Amen, oggetto di controversia per l'interpretazione della recita segreta del Canone. Un'altra anomalia era l'omissione dell'Amen prima del Pater nella messa pasquale celebrata dal papa.

Il valore numerico delle lettere greche dell'Amen (=99: alpha=1, mu=40, epsilon=8, nu=50), lo fa apparire nelle iscrizioni, a volte con valore magico.

Nella liturgia romana l'Alleluia (cf Ap 19,1-6) è l'acclamazione al vangelo (non in Quaresima: Reg. Ben. c. 15).
Sozomeno (HE VII, 19: PG 67, 1475) disapprova che la chiesa romana lo canti solo la domenica di Pasqua. Giovanni Diacono (Ep. ad Senarium, 13: ST 59, 178) attesta che era cantato durante il tempo pasquale. Agostino ne spiega il senso in Serm. 254, 256, 362.

Deo gratias e Laus tibi, Christe sono acclamazioni dopo le letture e il vangelo. Deo gratias è attestata in ambito benedettino quando il portinaio riceve un ospite (Reg. Ben. 66). Laus tibi, Christe è di origine gallicana e si ispira alle liturgie orientali.

Il Sanctus è un canto ma può essere considerato un'acclamazione che chiude il prefazio e anticipa la proclamazione della gloria di Dio con gli angeli (Tert., De Orat., 3). La parte acclamatoria è Hosanna in excelsis, che precede e segue il versetto Benedictus qui venit, aggiunto al tempo di Cesario (Serm. 72,2: CCL 103, 307), ma le Constitutiones Apostolorum (VIII, 13) lo pongono alla comunione. Acclamazioni recenti sono state collocate dopo il racconto dell'istituzione eucaristica nel canone romano e negli altri formulari per la celebrazione della messa.

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ANAFORA
Iteratio verbi unius vel plurimorum vrborum in initio sententiarum sequentium

it: per me si va nella città dolente,

per me si va nell'eterno dolore,

per me si va tra la perduta gente



Nell'etimologia di anafora c'è il doppio significato di annuncio, dar notizia a una personalità e quello di offerta innalzata (a)na\-fe/rw) a vantaggio della comunità. Il termine è usato sia dai pagani che dai cristiani, ma i cristiani esaltano l'offerta del sacrificio di culto (Hbr 13,15 e 1Ptr 2,5).

Anafora è:

1. l'azione dell'offerta eucaristica,
2. il formulario impiegato nell'azione eucaristica;
3. la materia offerta nell'eucaristia (equivalente di prosfora/);
4. il velo liturgico che ricopre le specie eucaristiche.

Di queste quattro acceziòni la più usata nel linguaggio liturgico è la prece sacerdotale eucaristica. Le liturgie celebrate in una lingua differente dal greco non l'hanno tradotta. I siri i copti e gli etiopi, pur servendosi di parole semitiche come qûdd s o qûrb n , continuano a usare annafûra o anfûra, segno di continuità della terminologia arcaizzante.

La chiesa siro-occidentale chiama così quella parte dell'eucaristia che va dal bacio di pace fino alla comunione, la chiesa etiopica, eclettica, l'intera liturgia eucaristica, le altre, la parte che va dal bacio di pace fino alla dossologia finale. Storicamente emerge come sostitutivo di eucaristia, eulogia, frazione del pane e approfondisce l'idea dell'offerta come sacrificio. Nel verbo ana-phero la teologia eucaristica sottolinea l'idea di elevazione-ascensione (Const. Ap. 2,58- Funk 161; Giov. Cris., Hom. IV c.Anom., PG 48, 734).

Le famiglie delle anafore - Premesso che non si devono confondere le famiglie liturgiche con le omonime famiglie confessionali, [nota: Ad es. l'anafora alessandrina di s. Marco è praticamente ignorata nel patriarcato di Alessandria; le chiese bizantine usano quelle di Basilio e del Crisostomo, di struttura antiochena; la chiesa etiopica quelle siriache, adottate in epoca medievale, sotto l'influsso della chiesa sira.] la classificazione comprende la famiglia siro-orientale (impropriamente detta caldaica), l'antiochena (o siro-occidentale), l'alessandrina.

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ANAMNESI


Il termine greco a)na/mnhsij significa ricordo, e assume nell'uso liturgico il senso tecnico di rievocazione dei grandi momenti della pasqua salvifica di Cristo con riferimento alla consegna data ai discepoli nell'ultima Cena - secondo 1Cor 11,24-25 e Lc 22,19 - "tutte le volte che farete ciò, fatelo in memoria di me".

L'anamnesi è celebrazione che rende presente un evento della storia della salvezza. La Tradizione Apostolica chiarisce i due momenti essenziali di quest'opera salvifica: la morte e la risurrezione, per agganciarsi immediatamente all'oblazione del pane e del calice, come "azione di grazie" (eucharistia), perché siamo ammessi a compiere un servizio sacerdotale (ministrare). Il canone romano, attestato dal De Sacramentis (IV, 27), menziona la discesa all'inferno e la gloriosa ascensione. Si potrebbe ravvisare in questi sviluppi, come nel richiamo alla passione anziché alla morte, un'origine siriaca. Proprio presso i Siri questi formulari conosceranno i più ampi sviluppi.

L'antica anafora mesopotamica degli Apostoli (Addai e Mari) evocava "questo grande terribile, santo, vivente e divino mistero della passione, della morte, della sepoltura e della risurrezione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo".
Le Costituzioni Apostoliche invece del sobrio schema della Tradizione Apostolica una lunga anafora, che svolge tutte le tappe dell'Economia della salvezza, movendo dalla creazione (VIII, 38). Il rilievo dato alla prospettiva escatologica si ritrova nelle recensioni dell'anafora gerosolimitana di s.Giacomo, nell'insieme delle anafore siriache ed egiziane e in alcuni Post Pridie ispanici.

Teologia dell'anamnesi - Rispondendo alla direttiva di Cristo di rinnovare gli atti del suo ultimo pasto in sua memoria (ei)j th\n e)mh\n a)na/mnhsin), i formulari di anamnesi polarizzano l'azione. L'intero rito eucaristico infatti, e più particolarmente la grande preghiera in forma di azione di grazie (eucharistia), l'anafora, costituisce il Memoriale, in tutta la ricchezza semantica che nella tradizione biblica implicano i termini azkarah, sacrificio d'oblazione di farina, olio e incenso, "che, come rievocazione, il sacerdote fa salire in fumo dall'altare" (Lev. 2,1-2) e zikkaron, celebrazione pasquale: "Quel giorno sarà per voi di ricordo" (Ex 12,14).

Questo ricordo pasquale non ha cessato di arricchirsi spaziando per tutta l'ampiezza del disegno salvifico. La tradizione liturgica greca ha infatti privilegiato il termine qusi/a (ciò che si fa salire in fumo) per indicare il carattere sacrificale della celebrazione eucaristica e che i cristiani di Siria la chiamano "Qorban", oblazione.

Le anafore d'Alessandria (s.Marco greco e s.Cirillo copto), di Gerusalemme (s.Giacomo e i derivati siriaci), di Cappadocia (s.Basilio e le varie recensioni) danno la prospettiva globale del disegno di salvezza, partendo dall'opera della creazione, le tappe delle antiche Alleanze, fino alla manifestazione decisiva mediante l'incarnazione di Cristo e la sua offerta sacrificale sulla croce, in cui si compie il passaggio (pascha) al Padre. L'intero formulario dell'anafora va considerato in senso pieno come anamnesi.
In Occidente, fino alla riforma liturgica, si è badato agli aspetti dell'anamnesi di preferenza Cristologici, mentre il biblico "memoriale" come attuazione del piano salvifico, è stato inadeguatamente esposto.

Ne sono derivate, durante e dopo il Medioevo, riduzioni che hanno gravato sull'interpretazione del carattere sacrificale dell'oblazione eucaristica.

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BENEDICTIO


La benedizione (bar k, eulogein - ber kâh, eulogia) è, nell'Antico Testamento, una confessione pubblica della potenza di Dio ed anche il favore concesso da Dio all'uomo. Le cose, campi e proprietà, sono benedette perché giovano al popolo. Ma la fonte di ogni benedizione è Dio, benché anche l'uomo possa benedire. In Cristo "siamo stati benedetti con ogni benedizione spirituale" (Eph 1, 3) e la chiesa ha ricevuto la facoltà di benedire.


Le antiche formule di benedizioni cristiane risentono l'influsso giudaico o paolino, o sono connesse con elementi eucaristici.

Per Ambrogio Benedictio est sanctiticationis et gratiarum votiva collatio (PL 14, 707).

La benedizione costitutiva conferisce una disposizione permanente al servizio divino (vesti liturgiche). Un tipo più solenne si ha utilizzando l'olio di consacrazione (chiesa). Nella benedizione invocativa, la persona o l'oggetto non sono mutati permanentemente (malato) e implica l'intercessione della chiesa in suo favore (CE 2, 164).

Tra le benedizioni, le principali sono quelle di ordinazione (dette talora di consacrazione) del vescovo, presbitero, diacono, suddiacono e ordini minori, nonché quelle di designazione di vedove e vergini. I catecumeni venivano benedetti prima del congedo dall'assemblea eucaristica e varie volte durante il catecumenato. L'assemblea veniva benedetta prima di sciogliersi e talora durante l'eucaristia. Categorie speciali sono le benedizioni super populum.

Di benedizioni nuziali parla Ignazio di Antiochia (+107) da parte del vescovo (Ad Polyc., PG 5, 723); Tertulliano dal Padre celeste (Ad Ux.: PL 1, 1415; DePud.: PL2, 1038; Ambr., Ep. 19: PL 16, 984; Cir. Al., In Joann.: PG 73, 223).
La formula più antica di benedizione per Abati e badesse si trova nel Gregorianum.
I più antichi riferimenti di benedizione di oggetti sono connessi con l'eucaristia, l'agape e l'iniziazione cristiana. Olio, formaggio, olive, frutta, fiori offerti al vescovo sono benedetti, come il calice e il pane, le lampade per la preghiera serale e l'olio per l'iniziazione.

Il Gelasianum contiene le benedizoni del cero pasquale e del fonte, i maggiori sacramenti, la solenne benedizione degli oli (Gel. 382ss). In questa fase sono introdotti oggetti connessi col culto, quali l'altare, il calice e la patena. Al tempo del Supplementum Anianense l'ambito degli oggetti da benedire si era ampiamente esteso sotto l'influsso monastico, e includeva luoghi quali il refettorio, dormitorio, scrittorio, cucina, granaio.

Le Constitutiones Apostolorum dicono che benedire è compito del vescovo e del presbitero, che non deve essere usurpato dal diacono o da un laico, Ippolito invece attesta che le mani sono imposte sul catecumeno dalla sua guida sia chierico sia laico (Ipp., n. 19).

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IL SACERDOTE, MINISTRO DI SANTIFICAZIONE


di Javier Echevarriá Rodriguez

La missione dei sacerdote, in quanto ministro di santificazione, si dispiega nella pienezza delle proprie virtualità d'edificazione della Chiesa solo se il presbitero, toccato nella profondità del proprio essere da questa specifica chiamata che lo identifica sacramentalmente con Cristo sacerdote, sa esprimere in tutti gli aspetti della sua vita la totalità del " sì " pronunziato un giorno al dono di Dio. La missione ricevuta, e consapevolmente assunta, lo chiama a fare della propria esistenza un continuo olocausto d'amore. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha definito il rapporto intimo e continuo del sacerdote con Cristo come un incontro personale, vivo, a occhi spalancati, con cuore palpitante.

Cercare la santità per santificare: a questo ci obbliga il nostro ministero, di qui la necessità che la prima cura del sacerdote debba rivolgersi anzitutto alla sua stessa vita spirituale.

Com'è noto, il n. 2 del decreto Presbyterorum Ordinis, nelle intenzioni dei padri conciliari, risponde all'interrogativo sulla natura del presbiterato.

" Dato che i presbiteri hanno una loro partecipazione nella funzione (munus) degli Apostoli, ad essi è concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù fra i popoli mediante il sacro ministero del vangelo, affinché l'oblazione dei popoli sia accetta, santificata nello Spirito Santo " (PO 2). Il capoverso esordisce cosi, offrendo la sintesi del ministero presbiterale fondato sulla partecipazione nella missione apostolica. Il testo riprende le parole in cui san Paolo presenta se stesso come " minister Christi Iesu ad gentes, consecrans evangelium Dei, ut fiat oblatio gentium accepta, sanctificata in Spiritu Sancto " (Rm 15, 16). Il concilio, insomma, estende ai presbiteri ciò che l'Apostolo delle genti dice di sé.

Il ministero dei presbiteri, come quello di san Paolo, mira a questo: che i popoli, accogliendo il vangelo, diventino un sacrificio spirituale gradito a Dio, poiché santificato nello Spirito e dallo Spirito. Qui sta il nucleo della missione sacerdotale: la gloria di Dio attraverso la santificazione degli uomini.

Il ministero di santificazione dei presbiteri è al servizio dei fedeli non limitatamente al minimo essenziale: esso va ben oltre e si spinge fino alle vette della santità. Una conclusione che appare necessaria proprio in considerazione del suo fine: far sì che tutta la Chiesa sia offerta a Dio come sacrificio universale per mezzo di Cristo, suo capo e sposo.

Su questo cammino di santità, che tutti siamo chiamati a percorrere, ci sovviene l'aiuto materno di Maria. " La Madonna - ha scritto il beato Josemaria Escrivá - ci insegna a metterci in rapporto con Gesù, a cercarlo e a riconoscerlo nelle diverse circostanze della giornata e, in modo particolare, in questo istante supremo - in cui il tempo si unisce con l'eternità - del Santo Sacrificio della Messa: Gesù con gesto di sacerdote eterno attrae a sé tutte le cose, per porle, divino afflante Spiritu, con il soffio dello Spirito Santo, alla presenza di Dio Padre. "




[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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