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dal dialogo: TRANSUSTANZIAZIONE

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2009 07:33
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13/09/2009 07:31
 
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Da: Soprannome MSN7978Pergamena Inviato: 20/09/2005 11.19
Pseudo-Dionigi Areopagita, La gerarchia ecclesiastica, 2,2.12-14

Il vescovo, finita la sacra preghiera davanti all'altare divino, da lì comincia l'incensazione e procede per tutto l'ambito del luogo sacro. Ritornando poi all'altare divino, dà inizio al canto sacro dei salmi, e tutta l'assemblea, distinta nei sacri ordini, ne canta con lui le sacre parole. Poi ha subito luogo la lettura delle sacre Scritture da parte dei ministri, terminata la quale, escono dal sacro edificio i catecumeni, e inoltre gli ossessi e i penitenti: restano invece coloro che sono degni di contemplare e partecipare ai misteri divini.
 
Alcuni ministri restano presso le porte chiuse del santuario, gli altri compiono le funzioni proprie del loro ordine. Quelli che sono nei gradini più alti della gerarchia liturgica, insieme con i sacerdoti pongono sull'altare divino il sacro pane e il calice di benedizione, dopo che tutta l'assemblea ecclesiale ha innalzato l'inno di lode universale. Il vescovo, ripieno di Dio, lo conclude con una preghiera sacra e annuncia a tutti la santa pace. Mentre tutti si baciano si conclude la mistica lettura delle sacre pagine.

Dopo che il vescovo e i sacerdoti si sono lavati le mani con l'acqua, il vescovo sta al centro dell'altare divino e con lui solo i sacerdoti e i ministri di ordine più elevato. Dopo aver inneggiato ai sacri doni di Dio, consacra i divinissimi misteri e mostra a tutti le realtà che celebra, giacenti sotto i sacri simboli; mostrati i doni dell'azione divina accede egli stesso alla sacra comunione con essi, e invita gli altri. Ricevuta e data la divinissima comunione, si abbandona al santo ringraziamento. E mentre la massa sa solo contemplare devotamente i simboli divini, egli, per lo spirito divinissimo, si innalza in beate e spirituali contemplazioni sulle origini sante dei sacramenti, come si addice alla sua dignità gerarchica nella purezza del suo stato di divina contemplazione...
Come potrebbe attuarsi in noi la divina imitazione altrimenti che con la memoria delle sacre opere di Dio, continuamente rinnovata dalle parole e dalle azioni sacre dei vescovi?
 
Facciamo dunque questo in memoria di lui, come dicono le sacre parole (cf. Lc 22,19). Per questo il divino vescovo, in piedi al centro dell'altare di Dio, inneggia alle opere sacre e divine di Gesù, opere da lui compiute per divinissima provvidenza verso di noi, per la salvezza della nostra stirpe, secondo il beneplacito del Padre sacrosanto nello Spirito Santo, come dicono i sacri eloqui.
 
Conclusa la lode (alle opere di Dio) e immersosi con gli occhi dello spirito nella loro contemplazione veneranda e spirituale, procede alla loro mistica consacrazione secondo l'istituzione divina. Perciò, dopo i sacri inni alle opere divine, con devozione e, come si addice a un vescovo, si scusa per le sacre azioni da lui compiute, che tanto superano la sua dignità e anzitutto eleva a Cristo la pia esclamazione: Tu hai detto: Fate questo in memoria di me! (Lc 22,19). Poi prega di diventar degno di tali sacre azioni in cui si imita Dio e di celebrare i divini misteri a imitazione di Cristo e distribuirli con purezza e anche che i partecipanti vi prendano parte con degna devozione.

Compie allora l'atto più sacro [la consacrazione], e mostra l'oggetto della sua lode per mezzo dei sacrosanti simboli che ha innanzi a sé: il pane era coperto, e lo scopre; era intero e lo divide in molti pezzetti; allo stesso modo distribuisce a tutti il contenuto del calice. Amplia così e distribuisce simbolicamente l'unità portando a termine in loro il sacratissimo sacrificio.
 
Infatti la natura unica, semplice e nascosta di Gesù, Verbo divinissimo, umanandosi come noi, per la sua bontà e il suo amore per gli uomini, procedette nella realtà composta e visibile senza mutazione alcuna e operò, per sua bontà, la nostra comunione e unità con lui, fondendo in sommo grado la nostra bassezza alla sua divinità, affinché anche noi, come membra del corpo, fossimo a lui stretti, alla sua vita immacolata e divina, e non fossimo travolti nella morte dalle passioni rovinose, diventando così inetti, disadatti e incapaci di queste membra sane e divine.
 
Infatti, se aspiriamo alla comunione con lui, dobbiamo contemplare la sua vita divinissima nella carne e, imitando la sua santa impeccabilità, sollevarci a uno stato divino e immacolato. In tal modo egli ci donerà la comunione e la somiglianza a lui, come a noi si addice.
 
Questi sono i misteri che il vescovo con gli atti liturgici manifesta quando scopre i doni nascosti, ne divide l'unità in molte parti e attraverso l'intima unione dei doni distribuiti con la persona dei riceventi, rende questi ultimi così sommamente partecipi. Egli attraverso queste cerimonie sensibili ci pone davanti agli occhi Gesù Cristo, l'immagine della nostra vita spirituale. Egli dal profondo della sua divinità per amore degli uomini si umanò pienamente come noi, senza mescolanza alcuna e senza dividersi, nell'unità della sua natura scesa nella nostra molteplicità e nella sua molteplice clemenza invitò il genere umano a partecipare dei suoi beni.
 
A condizione, però, che ci uniamo alla sua vita divina, conformandoci ad essa in quanto ci è possibile, rendendoci così pienamente partecipi di Dio e delle realtà divine.

Dopo che il vescovo ha assunto ed elargito agli altri la divina comunione si dedica alla fine, insieme con tutta la sacra assemblea ecclesiale, al santo ringraziamento. La partecipazione precede il far partecipare e l'assunzione dei misteri precede la loro mistica distribuzione: è questo l'ordine universale e mirabile delle realtà divine: che il capo prima partecipi pienamente e gusti i doni che, per volere divino, deve distribuire, e solo dopo li porga agli altri.
 
Perciò quelli che temerariamente abusano del divino magistero prima di essersene resi degni per la vita e per lo stato, sono da reputare empi e assolutamente estranei ai sacri uffici. Come ai raggi del sole i corpuscoli minutissimi e trasparenti prima si riempiono di splendore irradiato, poi, come piccoli soli, trasmettono agli altri oggetti la luce che da loro trabocca, così nessuno deve osare di guidare gli altri alla luce divina, se in tutto il suo essere non si è reso perfettamente simile a Dio, e se, per ispirazione e decisione divina, non è stato a quel compito di guida dichiarato idoneo.
 
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Vissuto verso la fine del V secolo, quando ormai il cristianesimo era la religione ufficiale dell’impero, Dionigi fu un convinto neoplatonico convertito al cristianesimo e desideroso di determinare un punto di convergenza fra la nuova fede e l’ultima grande filosofia pagana. 
Nella sua dottrina si possono rintracciare i temi centrali del neoplatonismo procliano: 1) Dio (l’Uno di
Proclo) è al di là dell’essere e del conoscere, assolutamente altro, ineffabile. È principio sovraessenziale che risiede nelle tenebre, la “tenebra divina” che è “luce inaccessibile”. Conoscere Dio è non conoscere, negare cioè ogni categoria logica e ontologica; 2) la struttura gerarchica della realtà che deriva per emanazione da Dio e che si articola in una serie di gradi ontologici che trovano la loro fondazione nel processo di comunicazione della bontà divina e la loro perfezione nel ritorno a Dio, che è Bene e Uno; 3) l'unione (hènosis) dell'anima a Dio mediante l'estasi, vale a dire uscendo da sé stessi e appartenendo totalmente a Dio. 

Nel processo creativo, o emanazione, Dio si manifesta: è quindi possibile attribuire a Dio tutti gli aspetti, gli attributi degli esseri creati. Secondo questo metodo si costituisce la teologia affermativa o catafatica che applica a Dio le affermazioni particolari relative agli esseri (Dio è bontà, bellezza, essere, vita, etc.). Ma nessun nome intelligibile può designare propriamente ciò che Dio è, poiché è al di sopra di tutti gli esseri creati designati da questi nomi. La teologia affermativa deve pertanto cedere il passo a quella negativa o apofatica, alla via, cioè, che procede per negazione, così da negare di Dio ogni cosa che possa dirsi delle creature (Dio non è essere, non è vita, non è luce, etc.): questo è il metodo più proprio per parlare di Dio e risalire a lui nelle "tenebre" della sua "luce inaccessibile". Secondo Dionigi, infatti, queste negazioni devono essere intese non già in senso privativo, bensì in senso trascendente, e per questo motivo la teologia negativa può essere concepita come super-affermativa: ad esempio, Dio è super-bene, super-essere, super-vita. 
Poiché Dio è assolutamente estraneo ad ogni forma di conoscenza perché al di là di ogni
affermazione e negazione, e quindi al di fuori di ogni discorso razionale, solo chi supera ogni forma di conoscenza può unirsi al principio del tutto, all'Uno inconoscibile: "Proprio perché non conosce più nulla, conosce al di sopra dell'intelligenza". Al vertice del processo apofatico resta una conoscenza che non è conoscenza, una visione soprarazionale nelle tenebre: "La tenebra divina è luce inaccessibile in cui si dice che risieda Dio". Quindi nella "totale assenza di parole e di pensieri" si realizza l'unione (hènosis) della mente umana con l'Uno.  L'uomo per conoscere Dio si deve unire a Dio, e perché ciò sia possibile deve uscire da sé stesso e diventare uno con Dio mediante l'estasi. La conoscenza di Dio presuppone, pertanto, la divinizzazione dell'uomo.

La tradizione mistica medievale attingerà sempre a Dionigi i grandi temi della ineffabilità divina, della tenebra luminosissima, dell'unione con Dio nell'assenza di ogni conoscenza, nell'unità semplicissima della mente umana. 

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Nota bibliografica:
Dionigi Areopagita, Tutte le opere, Milano: Rusconi, 19973
Ysabel de Andia, L'union à Dieu chez Denys l'Aréopagite, Leiden-New York-Köln: Brill 1996

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Da: Soprannome MSN°Angelo Inviato: 20/12/2005 22.12
E' corretto dire:
 
Noi crediamo nella Consustanziazione: Gesù è presente nel pane e nel vino, ma questi elementi non sono Gesù. (?punto di domanda)
 
Per noi Cattolici non è corretto.
 
"consustanziazione" , è un termine che non esiste nelle Scritture come la Trinità. Sono termini coniati dalla Chiesa, che in teoria i protestanti e i pentecostali che li usano, neppure dovrebbero prenderli in considerazione dal momento che sono termini nati dalla decisione dei vescovi e approvati o disapprovati dal Papa di turno.
Transustanziazione coniato per la prima volta ad uno dei quattro Concili lateranensi dell'anno Mille (fino ad allora si diceva solo "cambia la sostanza ma non mutano le apparenze" espressione che ha trovato consenso nella Chiesa con il termine Transunstare, ossia "cambia la sostanza ma non le apparenze"), venne reso ufficiale al Concilio di Trento perchè non si trovava nessun altro termine adatto a descrivere che cosa avviene nell'Eucarestia. E' un mistero come avvenga ed è un prodigio che non essendo umano, non trova neppure un termine umano adatto alla comprensione.
consustanziazione è il termine adottato dai calvinisti del periodo dopo Lutero (il quale credeva ancora in un primo tempo alla Transustanziazione) insieme alla Chiesa Anglicana. Perciò se si crede alla Consustanziazione o si è calvinisti o  anglicani, scegliete voi, ma cercate di essere coerenti.
 
Le stesse catechesi di oggi, protestanti, convergono a proteggere il termine consustanzia perchè per parlare di Transustanziazione occorrerebbe rivedere anche il ruolo del sacerdozio, abusivamente eliminato da Lutero.
Di conseguenza così credendo, si finisce per essere alla base luterani perchè prima di lui nessuno aveva dubitato del presbitero (anche il termine fu tolto da Lutero e Calvino ma mantenuto dalla Chiesa Anglicana e successivamente in America mantenuto in ambiente protestante ad opera degli Episcopali nati da loro), termine che infatti non viene usato dai Pentecostali ma che è presente fin dal primo secolo.
Ora, dicendo:
 
Gesù è presente nel pane e nel vino, ma questi elementi non sono Gesù.
 
rischieremo di vivere una idolatria, per noi neppure i santi sono "presenti nelle statue" sapendo perfettamente che quelle statue non potrebbero mai essere quel santo.
Nell'Eucarestia avviene una mutazione, e a quanto è stato già detto in questo forum: il pane resta pane, ma la sostanza che compone ciò che noi vediamo muta si trasforma nel vero Corpo e nel vero Sangue di Gesù solo perchè crediamo alle sue parole e crediamo che quel che ha detto è la verità:
 
26 Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28 Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». 29 Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».
30 Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? 31 I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32 Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; 33 il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34 Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35 Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. 36 Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete. 37 Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, 38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. 40 Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno».
 
 
Chi crede nella consustanziazione commette una eresia. I protestanti e i pentecostali dicono che quel cibo che non perisce è la Parola, ed anche noi crediamo che sia la parola, tuttavia qui Gesù non sta parlando delle Scritture nè della sua parola verbale, ma parla della manna caduta dal cielo e parla del suo Corpo dato in cibo e nutrimento sul quale, dice: su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo.
 
Il sigillo sono le sue parole, parola che non perisce e che è la verità e che dice:
 
 
48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
 
59 Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. 60 Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». 61 Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62 E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? 63 È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. 64 Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65 E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio».
66
Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
67
Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». 68 Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; 69 noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». 70 Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici.
 
 
Se questi elementi, come sostengono i protestanti e i pentecostali, non fossero veramente Gesù seppur nulla muta nelle sembianze, vivremo tutti una illusione della Parola di Cristo e tutta la sua Parola assumerebbe esclusivemente contorni di apparenza, simbolismo, ma nulla di vero, nulla di reale ma solo consustanziale, ossia solo simbolico. Non sarebbe più un culto a Dio, ma sarebbe idolatria dove sarebbe l'uomo a procurare l'illusione di una presenza consustanziale e non sarebbe più ad essere Cristo che invece dice: Questo vi scandalizza?
 
67 Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». 68 Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; 69 noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». 70 Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!».
 
 «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
 
O questo cibo è vera carne oppure Gesù avrebbe mentito, terza ipotesi: protestanti e pentecostali hanno capito male!
 
Sia lodato Gesù Cristo!
 
(A Dio piacendo starò fra di voi dopo il giorno 7 gennaio)
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