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Communionis Notio: Lettera ai Vescovi sulla Chiesa intesa come Comunione

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2015 23:42
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L'Autore della Lettera che segue è lo stesso di questa Lettera:
Lettera del Papa ai Vescovi sull'Unità della Chiesa e la revoca alla FSSPX

leggasi anche:

La Dominus Jesus: Documento fondamentale sulla Dottrina della Chiesa




 

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
SU ALCUNI ASPETTI DELLA CHIESA INTESA COME COMUNIONE

INTRODUZIONE

1. Il concetto di comunione (koinonía), già messo in luce nei testi del Concilio Vaticano II(1), è molto adeguato per esprimere il nucleo profondo del Mistero della Chiesa e può essere una chiave di lettura per una rinnovata ecclesiologia cattolica(2). L'approfondimento della realtà della Chiesa come Comunione è, infatti, un compito particolarmente importante, che offre ampio spazio alla riflessione teologica sul mistero della Chiesa, « la cui natura è tale da ammettere sempre nuove e più profonde esplorazioni(3). Tuttavia, alcune visioni cclesiologiche palesano un'insufficiente comprensione della Chiesa in quanto mistero di comunione, specialmente per la mancanza di un'adeguata integrazione del concetto di comunione con quelli di Popolo di Dio e di Corpo di Cristo, e anche per un insufficiente rilievo accordato al rapporto tra la Chiesa come comunione e la Chiesa come sacramento.

2. Tenuto conto dell'importanza dottrinale, pastorale ed ecumenica dei diversi aspetti riguardanti la Chiesa intesa come Comunione, con la presente Lettera, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha creduto opportuno richiamare brevemente e chiarire, ove necessario, alcuni degli elementi fondamentali che debbono essere ritenuti punti fermi, anche nell'auspicato lavoro d'approfondimento teologico.

I

LA CHIESA, MISTERO DI COMUNIONE

3. Il concetto di comunione sta « nel cuore dell'autoconoscenza della Chiesa(4), in quanto Mistero dell'unione personale di ogni uomo con la Trinità divina e con gli altri uomini, iniziata dalla fede(5), ed orientata alla pienezza escatologica nella Chiesa celeste, per quanto già incoativamente una realtà nella Chiesa sulla terra(6).

Affinché il concetto di comunione, che non è univoco, possa servire come chiave interpretativa dell'ecclesiologia, dev'essere inteso all'interno dell'insegnamento biblico e della tradizione patristica, nelle quali la comunione implica sempre una duplice dimensione: verticale (comunione con Dio) ed orizzontale (comunione tra gli uomini). E' essenziale alla visione cristiana della comunione riconoscerla innanzitutto come dono di Dio, come frutto dell'iniziativa divina compiuta nel mistero pasquale. La nuova relazione tra l'uomo e Dio, stabilita in Cristo e comunicata nei sacramenti, si estende anche ad una nuova relazione degli uomini tra di loro. Di conseguenza, il concetto di comunione dev'essere in grado di esprimere anche la natura sacramentale della Chiesa mentre « siamo in esilio lontano dal Signore(7), così come la peculiare unità che fa dei fedeli le membra di un medesimo Corpo, il Corpo mistico di Cristo(8), una comunità organicamente strutturata(9), « un popolo adunato dall'unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo(10), fornito anche dei mezzi adatti per l'unione visibile e sociale(11).
 

4. La comunione ecclesiale è allo stesso tempo invisibile e visibile. Nella sua realtà invisibile, essa è comunione di ogni uomo con il Padre per Cristo nello Spirito Santo, e con gli altri uomini compartecipi nella natura divina(12), nella passione di Cristo(13), nella stessa fede(14), nello stesso spirito(15). Nella Chiesa sulla terra, tra questa comunione invisibile e la comunione visibile nella dottrina degli Apostoli, nei sacramenti e nell'ordine gerarchico, vi è un intimo rapporto. In questi divini doni, realtà ben visibili, Cristo in vario modo esercita nella storia la Sua funzione profetica, sacerdotale e regale per la salvezza degli uomini(16). Questo rapporto tra gli elementi invisibili e gli elementi visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come Sacramento di salvezza.

Da tale sacramentalità deriva che la Chiesa non è una realtà ripiegata su se stessa bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la costituisce: a raccogliere tutti e tutto in Cristo(17); ad essere per tutti « sacramento inseparabile di unit(18).

5. La comunione ecclesiale, nella quale ognuno viene inserito dalla fede e dal Battesimo(19), ha la sua radice ed il suo centro nella Santa Eucaristia. Infatti, il Battesimo è incorporazione in un corpo edificato e vivificato dal Signore risorto mediante l'Eucaristia, in modo tale che questo corpo può essere chiamato veramente Corpo di Cristo. L'Eucaristia è fonte e forza creatrice di comunione tra i membri della Chiesa proprio perché unisce ciascuno di essi con lo stesso Cristo: « nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: ?Perché c'è un solo pane, un solo corpo siamo noi, quantunque molti, noi che partecipiamo tutti a un unico pane' (1 Cor 10, 17)(20).

Perciò l'espressione paolina la Chiesa è il Corpo di Cristo significa che l'Eucaristia, nella quale il Signore ci dona il suo Corpo e ci trasforma in un solo Corpo(21), è il luogo dove permanentemente la Chiesa si esprime nella sua forma più essenziale: presente in ogni luogo e, tuttavia, soltanto una, così come uno è Cristo.

6. La Chiesa è Comunione dei santi, secondo l'espressione tradizionale che si trova nelle versioni latine del Simbolo apostolico a partire dalla fine del IV secolo(22). La comune partecipazione visibile ai beni della salvezza (le cose sante), specialmente all'Eucaristia, è radice della comunione invisibile tra i partecipanti (i santi). Questa comunione comporta una spirituale solidarietà tra i membri della Chiesa, in quanto membra di un medesimo Corpo(23), e tende alla loro effettiva unione nella carità costituendo « un solo cuore ed una sola anima(24). La comunione tende pure all'unione nella preghiera(25), ispirata in tutti da un medesimo Spirito(26), lo Spirito Santo « che riempie ed unisce tutta la Chiesa(27).

Questa comunione, nei suoi elementi invisibili, esiste non solo tra i membri della Chiesa pellegrinante sulla terra, ma anche tra essi e tutti coloro che, passati da questo mondo nella grazia del Signore, fanno parte della Chiesa celeste o saranno incorporati ad essa dopo la loro piena purificazione(28). Ciò significa, tra l'altro, che esiste una mutua relazione tra la Chiesa pellegrina sulla terra e la Chiesa celeste nella missione storico-salvifica. Ne consegue l'importanza ecclesiologica non solo dell'intercessione di Cristo a favore delle sue membra(29), ma anche di quella dei santi e, in modo eminente, della Beata Vergine Maria(30). L'essenza della devozione ai santi, così presente nella pietà del popolo cristiano, risponde perciò alla profonda realtà della Chiesa come mistero di comunione.

II

CHIESA UNIVERSALE E CHIESE PARTICOLARI

7. La Chiesa di Cristo, che nel Simbolo confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica, è la Chiesa universale, vale a dire l'universale comunità dei discepoli del Signore(31), che si fa presente ed operante nella particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi. Tra queste molteplici espressioni particolari della presenza salvifica dell'unica Chiesa di Cristo, fin dall'epoca apostolica si trovano quelle che in se stesse sono Chiese(32), perché, pur essendo particolari, in esse si fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali(33). Sono perciò costituite « a immagine della Chiesa universale(34), e ciascuna di esse è « una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio(35).

8. La Chiesa universale è perciò il Corpo delle Chiese(36), per cui è possibile applicare in modo analogico il concetto di comunione anche all'unione tra le Chiese particolari, ed intendere la Chiesa universale come una Comunione di Chiese. A volte, però, l'idea di « comunione di Chiese particolari », è presentata in modo da indebolire, sul piano visibile ed istituzionale, la concezione dell'unità della Chiesa. Si giunge così ad affermare che ogni Chiesa particolare è un soggetto in se stesso completo e che la Chiesa universale risulta dal riconoscimento reciproco delle Chiese particolari. Questa unilateralità ecclesiologica, riduttiva non solo del concetto di Chiesa universale ma anche di quello di Chiesa particolare, manifesta un'insufficiente comprensione del concetto di comunione. Come la stessa storia dimostra, quando una Chiesa particolare ha cercato di raggiungere una propria autosufficienza, indebolendo la sua reale comunione con la Chiesa universale e con il suo centro vitale e visibile, è venuta meno anche la sua unità interna e, inoltre, si è vista in pericolo di perdere la propria libertà di fronte alle forze più diverse di asservimento e di sfruttamento(37).

9. Per capire il vero senso dell'applicazione analogica del termine comunione all'insieme delle Chiese particolari, è necessario innanzitutto tener conto che queste, per quanto « parti dell'unica Chiesa di Cristo(38), hanno con il tutto, cioè con la Chiesa universale, un peculiare rapporto di « mutua interiorit(39), perché in ogni Chiesa particolare « è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica(40). Perciò, « la Chiesa universale non può essere concepita come la somma delle Chiese particolari né come una federazione di Chiese particolari(41). Essa non è il risultato della loro comunione, ma, nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare.

Infatti, ontologicamente, la Chiesa-mistero, la Chiesa una ed unica secondo i Padri precede la creazione(42), e partorisce le Chiese particolari come figlie, si esprime in esse, è madre e non prodotto delle Chiese particolari. Inoltre, temporalmente, la Chiesa si manifesta nel giorno di Pentecoste nella comunità dei centoventi riuniti attorno a Maria e ai dodici Apostoli, rappresentanti dell'unica Chiesa e futuri fondatori delle Chiese locali, che hanno una missione orientata al mondo: già allora la Chiesa parla tutte le lingue(43).

Da essa, originata e manifestatasi universale, hanno preso origine le diverse Chiese locali, come realizzazioni particolari dell'una ed unica Chiesa di Gesù Cristo. Nascendo nella e dalla Chiesa universale, in essa e da essa hanno la loro ecclesialità. Perciò, la formula del Concilio Vaticano II: La Chiesa nelle e a partire dalle Chiese (Ecclesia in et ex Ecclesiis)(44), è inseparabile da quest'altra: Le Chiese nella e a partire dalla Chiesa (Ecclesiae in et ex Ecclesia)(45). E' evidente la natura misterica di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari, che non è paragonabile a quello tra il tutto e le parti in qualsiasi gruppo o società puramente umana.

10. Ogni fedele, mediante la fede e il Battesimo, è inserito nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Non si appartiene alla Chiesa universale in modo mediato, attraverso l'appartenenza ad una Chiesa particolare, ma in modo immediato, anche se l'ingresso e la vita nella Chiesa universale si realizzano necessariamente in una particolare Chiesa. Nella prospettiva della Chiesa intesa come comunione, l'universale comunione dei fedeli e la comunione delle Chiese non sono dunque l'una conseguenza dell'altra, ma costituiscono la stessa realtà vista da prospettive diverse.

Inoltre, l'appartenenza ad una Chiesa particolare non è mai in contraddizione con la realtà che nella Chiesa nessuno è straniero(46): specialmente nella celebrazione dell'Eucaristia, ogni fedele si trova nella sua Chiesa, nella Chiesa di Cristo, a prescindere dalla sua appartenenza o meno, dal punto di vista canonico, alla diocesi, parrocchia o altra comunità particolare dove ha luogo tale celebrazione. In questo senso, ferme restando le necessarie determinazioni di dipendenza giuridica(47), chi appartiene ad una Chiesa particolare appartiene a tutte le Chiese; poiché l'appartenenza alla Comunione, come appartenenza alla Chiesa, non è mai soltanto particolare, ma per sua stessa natura è sempre universale(48).

III

COMUNIONE DELLE CHIESE, EUCARISTIA ED EPISCOPATO


11. L'unità o comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale, oltre che nella stessa fede e nel comune Battesimo, è radicata soprattutto nell'Eucaristia e nell'Episcopato.

E' radicata nell'Eucaristia perché il Sacrificio eucaristico, pur celebrandosi sempre in una particolare comunità, non è mai celebrazione di quella sola comunità: essa, infatti, ricevendo la presenza eucaristica del Signore, riceve l'intero dono della salvezza e si manifesta così, pur nella sua perdurante particolarità visibile, come immagine e vera presenza della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica(49).

La riscoperta di un'ecclesiologia eucaristica, con i suoi indubbi valori, si è tuttavia espressa a volte in accentuazioni unilaterali del principio della Chiesa locale. Si afferma che dove si celebra l'Eucaristia, si renderebbe presente la totalità del mistero della Chiesa in modo da ritenere non- essenziale qualsiasi altro principio di unità e di universalità. Altre concezioni, sotto influssi teologici diversi, tendono a radicalizzare ancora di più questa prospettiva particolare della Chiesa, al punto da ritenere che sia lo stesso riunirsi nel nome di Gesù (cf. Mt 18, 20) a generare la Chiesa: l'assemblea che nel nome di Cristo diventa comunità, porterebbe in sé i poteri della Chiesa, anche quello relativo all'Eucaristia; la Chiesa, come alcuni dicono, nascerebbe « dal basso ». Questi ed altri errori simili non tengono in sufficiente conto che è proprio l'Eucaristia a rendere impossibile ogni autosufficienza della Chiesa particolare. Infatti, l'unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l'unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile. Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni Chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nelle braccia aperte del Signore ne consegue l'inserimento nel suo Corpo, unico ed indiviso. Anche per questo, l'esistenza del ministero Petrino, fondamento dell'unità dell'Episcopato e della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l'indole eucaristica della Chiesa.

12. Infatti, l'unità della Chiesa è pure radicata nell'unità dell'Episcopato(50). Come l'idea stessa di Corpo delle Chiese richiama l'esistenza di una Chiesa Capo delle Chiese, che è appunto la Chiesa di Roma, che « presiede alla comunione universale della carit(51), così l'unità dell'Episcopato comporta l'esistenza di un Vescovo Capo del Corpo o Collegio dei Vescovi, che è il Romano Pontefice(52). Dell'unità dell'Episcopato, come dell'unità dell'intera Chiesa, « il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è perpetuo e visibile principio e fondamento(53). Questa unità dell'Episcopato si perpetua lungo i secoli mediante la successione apostolica, ed è fondamento anche dell'identità della Chiesa di ogni tempo con la Chiesa edificata da Cristo su Pietro e sugli altri Apostoli(54).

13. Il Vescovo è principio e fondamento visibile dell'unità nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale(55), ma affinché ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita a immagine della Chiesa universale, in essa dev'essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa: il Collegio episcopale « insieme con il suo Capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso(56). Il Primato del Vescovo di Roma ed il Collegio episcopale sono elementi propri della Chiesa universale « non derivati dalla particolarità delle Chiese(57), ma tuttavia interiori ad ogni Chiesa particolare. Pertanto, « dobbiamo vedere il ministero del Successore di Pietro, non solo come un servizio "globale" che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'"esterno", ma come già appartenente all'essenza di ogni Chiesa particolare dal "di dentro" ».(58) Infatti, il ministero del Primato comporta essenzialmente una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena ed universale, ma anche immediata, su tutti, sia Pastori che altri fedeli(59). L'essere il ministero del Successore di Pietro interiore ad ogni Chiesa particolare è espressione necessaria di quella fondamentale mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare(60).

14. Unità dell'Eucaristia ed unità dell'Episcopato con Pietro e sotto Pietro non sono radici indipendenti dell'unità della Chiesa, perché Cristo ha istituito l'Eucaristia e l'Episcopato come realtà essenzialmente vincolate(61). L'Episcopato è uno così come una è l'Eucaristia: l'unico Sacrificio dell'unico Cristo morto e risorto. La liturgia esprime in vari modi questa realtà, manifestando, ad esempio, che ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo(62). Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate da Roma(63).
 

continua.........................

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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IV

UNITA' E DIVERSITA' NELLA COMUNIONE ECCLESIALE

15. « L'universalità della Chiesa, da una parte, comporta la più solida unità e, dall'altra, una pluralità e una diversificazione, che non ostacolano l'unità, ma le conferiscono invece il carattere di ?comunione(64). Questa pluralità si riferisce sia alla diversità di ministeri, carismi, forme di vita e di apostolato all'interno di ogni Chiesa particolare, sia alla diversità di tradizioni liturgiche e culturali, tra le diverse Chiese particolari(65).

La promozione dell'unità che non ostacola la diversità, così come il riconoscimento e la promozione di una diversificazione che non ostacola l'unità ma la arricchisce, è compito primordiale del Romano Pontefice per tutta la Chiesa(66) e, salvo il diritto generale della stessa Chiesa, di ogni Vescovo nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale(67). Ma l'edificazione e salvaguardia di questa unità, alla quale la diversificazione conferisce il carattere di comunione, è anche compito di tutti nella Chiesa, perché tutti sono chiamati a costruirla e rispettarla ogni giorno, soprattutto mediante quella carità che è « il vincolo della perfezione(68).

16. Per una visione più completa di questo aspetto della comunione ecclesiale -unità nella diversità-, è necessario considerare che esistono istituzioni e comunità stabilite dall'Autorità Apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono ed operano. Tale appartenenza alle Chiese particolari, con la flessibilità che le è propria,(69), trova diverse espressioni giuridiche. Ciò non solo non intacca l'unità della Chiesa particolare fondata nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a quest'unità l'interiore diversificazione propria della comunione(70).

Nel contesto della Chiesa intesa come comunione, vanno considerati pure i molteplici istituti e società, espressione dei carismi di vita consacrata e di vita apostolica, con i quali lo Spirito Santo arricchisce il Corpo Mistico di Cristo: pur non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa, appartengono alla sua vita e alla sua santit(71).

Per il loro carattere sovradiocesano, radicato nel ministero Petrino, tutte queste realtà ecclesiali sono anche elementi al servizio della comunione tra le diverse Chiese particolari.

V

COMUNIONE ECCLESIALE ED ECUMENISMO


17. « Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano la fede integrale o non conservano l'unità della comunione sotto il Successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni unita(72). Nelle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche esistono infatti molti elementi della Chiesa di Cristo che permettono di riconoscere con gioia e speranza una certa comunione, sebbene non perfetta(73).

Tale comunione esiste specialmente con le Chiese orientali ortodosse: per quanto separate dalla Sede di Pietro, esse restano unite alla Chiesa Cattolica per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e l'Eucaristia valida, e meritano perciò il titolo di Chiese particolari(74). Infatti, « con la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce(75), poichè in ogni valida celebrazione dell'Eucaristia si fa veramente presente la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica(76).

Siccome però la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro, non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni, la situazione di quelle venerabili comunità cristiane implica anche una ferita nel loro essere Chiesa particolare. La ferita è ancora molto più profonda nelle comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e l'Eucaristia valida. Ciò, d'altra parte, comporta pure per la Chiesa Cattolica, chiamata dal Signore a diventare per tutti « un solo gregge e un solo pastore(77), una ferita in quanto ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia.

18. Questa situazione richiama fortemente tutti all'impegno ecumenico verso la piena comunione nell'unità della Chiesa; quell'unità « che Cristo fin dall'inizio donò alla sua Chiesa e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa Cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli(78). In questo impegno ecumenico, hanno un'importanza prioritaria la preghiera, la penitenza, lo studio, il dialogo e la collaborazione, affinché in una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma, e vedere realizzato il ministero petrino, come è inteso dal Signore, quale universale servizio apostolico, che è presente in tutte le Chiese dall'interno di esse e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia.


CONCLUSIONE

19. La Beata Vergine Maria è modello della comunione ecclesiale nella fede, nella carità e nell'unione con Cristo(79). « Eternamente presente nel mistero di Cristo(80), Ella è, in mezzo agli Apostoli, nel cuore stesso della Chiesa nascente(81) e della Chiesa di tutti i tempi. Infatti, « la Chiesa fu congregata nella parte alta (del cenacolo) con Maria, che era la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui. Non si può dunque, parlare di Chiesa se non vi è presente Maria, la madre del Signore, con i fratelli di lui(82).

Nel concludere questa Lettera, la Congregazione per la Dottrina della Fede, riecheggiando le parole finali della Costituzione Lumen gentium(83), invita tutti i Vescovi e, tramite loro, tutti i fedeli, specialmente i teologi, ad affidare all'intercessione della Beata Vergine il loro impegno di comunione e di riflessione teologica sulla comunione.

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 28 maggio 1992.

Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

+ Alberto Bovone
Arciv. Tit. di Cesarea di Numidia
Segretario




(1) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 4, 8, 13-15, 18, 21, 24-25; Costit. dogm. Dei Verbum, n. 10; Costit. past. Gaudium et spes, n. 32; Decr. Unitatis redintegratio, nn. 2-4, 14-15, 17-19, 22.

(2) Cf. Sinodo dei Vescovi, II Assemblea straordinaria (1985), Relatio finalis, II, C), 1.

(3) Paolo VI, Discorso di apertura del secondo periodo del Conc. Vaticano II, 29-IX-1963: AAS 55 (1963) 848. Cf., ad esempio, le prospettive di approfondimento indicate dalla Commissione Teologica Internazionale, in « Themata selecta de ecclesiologia »: Documenta (1969-1985), Lib. Ed. Vaticana 1988, pp. 462-559.

(4) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 1: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 553.

(5) 1 Gv 1, 3: « Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo ». Cf. anche 1 Cor 1, 9; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 19: AAS 81 (1989) 422-424; Sinodo dei Vescovi (1985), Relatio finalis, II, C), 1.

(6) Cf. Fil 3, 20-21; Col 3, 1-4; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 48.

(7) 2 Cor 5, 6. Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 1.

(8) Cf. ibidem, n. 7; Pio XII, Encicl. Mystici Corporis, 29-VI-1943: AAS 35 (1943) 200ss.

(9) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 11 § 1.

(10) S. Cipriano, De Oratione Dominica, 23: PL 4, 553; cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 4 § 2.

(11) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 9 § 3.

(12) Cf. 2 Pt 1, 4.

(13) Cf. 2 Cor 1, 7.

(14) Cf. Ef 4, 13; Filem 6.

(15) Cf. Fil 2, 1.

(16) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 25-27.

(17) Cf. Mt 28, 19-20; Gv 17, 21-23; Ef 1, 10; Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 9 § 2, 13 e 17; Decr. Ad gentes, nn. 1 e 5; S. Ireneo, Adversus haereses, III, 16, 6 e 22, 1-3: PG 7, 925-926 e 955-958.

(18) S. Cipriano, Epist. ad Magnum, 6: PL 3, 1142.

(19) Ef 4, 4-5: « Un solo corpo e un solo Spirito, come con la vostra vocazione siete stati chiamati a una sola speranza. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo ». Cf. anche Mc 16, 16.

(20) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 7 § 2. L'Eucaristia è il sacramento « mediante il quale nel tempo presente si consocia la Chiesa » (S. Agostino, Contra Faustum, 12, 20: PL 42, 265). « La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo » (S. Leone Magno, Sermo 63, 7: PL 54, 357).

(21) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 3 e 11 § 1; S. Giovanni Crisostomo, In 1 Cor. hom., 24, 2: PG 61, 200.

(22) Cf. Denz.-Schön. 19; 25-30.

(23) Cf. 1 Cor 12, 25-27; Ef 1, 22-23; 3, 3-6.

(24) At 4, 32.

(25) Cf. At 2, 42.

(26) Cf. Rm 8, 15-16.26; Gal 4, 6; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 4.

(27) S. Tommaso D'Aquino, De Veritate, q. 29, a. 4 c. Infatti, « innalzato sulla croce e glorificato, il Signore Gesù comunicò lo Spirito promesso, per mezzo del quale chiamò e riunì nell'unità della fede, della speranza e della carità il popolo della Nuova Alleanza, che è la Chiesa » (Decr. Unitatis redintegratio, n. 2 § 2).

(28) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 49.

(29) Cf. Eb 7, 25.

(30) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 50 e 66.

(31) Cf. Mt 16, 18; 1 Cor 12, 28.

(32) Cf. At 8, 1; 11, 22; 1 Cor 1, 2; 16, 19; Gal 1, 22; Ap 2, 1.8.

(33) Cf. Pontificia Commissione Biblica, Unité et diversité dans l'Eglise, Lib. Ed. Vaticana 1989, specialmente, pp. 14-28.

(34) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1; cf. Decr. Ad gentes, n. 20 § 1.

(35) Decr. Christus Dominus, n. 11 § 1.

(36) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 2. Cf. S. Ilario di Poitiers, In Psalm., 14, 3: PL 9, 301; S. Gregorio Magno, Moralia, IV, 7, 12: PL 75, 643.

(37) Cf. Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 64 § 2: AAS 68 (1976) 54-55.

(38) Decr. Christus Dominus, n. 6 § 3.

(39) Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(40) Decr. Christus Dominus, n. 11 § 1.

(41) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 555.

(42) Cf. S. Clemente Romano, Epist. II ad Cor., 14, 2: Funck, 1, 200; Pastore di Erma, Vis. 2, 4: PG 2, 897- 900.

(43) Cf. At 2, 1ss. S. Ireneo, Adversus haereses, III, 17, 2 (PG 7, 929-930): « nella Pentecoste (...) tutte le nazioni (...) sarebbero diventate un mirabile coro per intonare l'inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio Padre ». Cf. anche S. Fulgenzio di Ruspe, Sermo 8 in Pentecoste, 2-3: PL 65, 743-744.

(44) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1: « [le Chiese particolari]... nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica ». Questa dottrina sviluppa nella continuità quanto già affermato prima, ad esempio da Pio XII, Encicl. Mystici Corporis, AAS 35 (1943) 211: « ...a partire dalle quali esiste ed è composta la Chiesa Cattolica ».

(45) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(46) Cf. Gal 3, 28.

(47) Cf., ad esempio, C.I.C., can. 107.

(48) S. Giovanni Crisostomo, In Ioann. hom., 65, 1 (PG 59, 361): « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra ». Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 2.

(49) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 26 § 1; S. Agostino, In Ioann. Ev. Tract., 26, 13: PL 35, 1612-1613.

(50) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 18 § 2, 21 § 2, 22 § 1. Cf. anche S. Cipriano, De unitate Ecclesiae, 5: PL 4, 516-517; S. Agostino, In Ioann. Ev. Tract., 46, 5: PL 35, 1730.

(51) S. Ignazio D'Antiochia, Epist. ad Rom., prol.: PG 5, 685; cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 3.

(52) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 22 § 2.

(53) Ibidem, n. 23 § 1. Cf. Costit. dogm. Pastor aeternus: Denz.-Schön. 3051-3057; S. Cipriano, De unitate Ecclesiae, 4: PL 4, 512-515.

(54) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 20; S. Ireneo, Adversus haereses, III, 3, 1-3: PG 7, 848-849; S. Cipriano, Epist. 27, 1: PL 4, 305-306; S. Agostino, Contra advers. legis et prophet., 1, 20, 39: PL 42, 626.

(55) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1.

(56) Ibidem, n. 22 § 2; cf. anche n. 19.

(57) Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(58) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 556.

(59) Cf. Costit. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Schön 3064; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 22 § 2.

(60) Cf. supra, n. 9.

(61) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 26; S. Ignazio D'Antiochia, Epist. ad Philadel., 4: PG 5, 700; Epist. ad Smyrn., 8: PG 5, 713.

(62) Cf. Messale Romano, Preghiera Eucaristica III.

(63) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 8 § 2.

(64) Giovanni Paolo II, Discorso nell'Udienza generale, 27-IX-1989, n. 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII,2 (1989) 679.

(65) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 4.

(66) Cf. ibidem, n. 13 § 3.

(67) Cf. Decr. Christus Dominus, n. 8 § 1.

(68) Col 3, 14. S. Tommaso D'Aquino, Exposit. in Symbol. Apost., a. 9: « La Chiesa è una (...) dall'unità della carità, perché tutti sono connessi nell'amore di Dio, e tra di loro nell'amore mutuo ».

(69) Cf. supra, n. 10.

(70) Cf. supra, n. 15.

(71) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 44 § 4.

(72) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 15.

(73) Cf. Decr. Unitatis redintegratio, nn. 3 § 1 e 22; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 4.

(74) Cf. Decr. Unitatis redintegratio, nn. 14 e 15 § 3.

(75) Ibidem, n. 15 § 1.

(76) Cf. supra, nn. 5 e 14.

(77) Gv 10, 16.

(78) Decr. Unitatis redintegratio, n. 4 § 3.

(79) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 63 e 68; S. Ambrogio, Exposit. in Luc., 2, 7: PL 15, 1555; S. Isacco di Stella, Sermo 27: PL 194, 1778-1779; Ruperto di Deutz, De Vict. Verbi Dei, 12, 1: PL 169, 1464-1465.

(80) Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptoris Mater, 25-III-1987, n. 19: AAS 79 (1987) 396.

(81) Cf. At 1, 14; Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptoris Mater, 25-III-1987, n. 26: AAS 79 (1987) 396.

(82) S. Cromazio di Aquileia, Sermo 30, 1: Sources Chrétiennes 1 64, p. 134. Cf. Paolo VI, Esort apost. Marialis cultus, 2-II-1974, n. 28: AAS 66 (1974) 141.

(83) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 69.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/09/2009 15:01
 
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CARD. BERTONE: “FEDELTÀ, PRUDENZA E BONTÀ” LE TRE CARATTERISTICHE DEL VESCOVO

“Fedeltà, prudenza e bontà”: si riassume in queste “tre caratteristiche” l’identikit del vescovo, il cui ministero è un “bene che ci è dato in consegna” e che “non ci appartiene”. Lo ha detto il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, nell’omelia della messa celebrata oggi, nel’ambito del Convegno per i vescovi ordinati negli ultimi dodici mesi, organizzato dalla Congregazione per i vescovi. “La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio” - ha ribadito il cardinale citando le parole pronunciate sabato scorso dal Papa,
nell’omelia per l’ordinazione di 5 nuovi vescovi - e dobbiamo rendere conto di come gestiamo quanto ci viene affidato”. Secondo Benedetto XVI, “la fedeltà è altruismo”.
“Non leghiamo gli uomini a noi”, l’esortazione papale: “non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Poi uno dei passaggi centrali dell’omelia del Papa, citato per intero dal card. Bertone: “Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”.

CARD. BERTONE: “NON ADEGUARE LA FEDE ALLE MODE DEL TEMPO”

La “fedeltà” del vescovo consiste nel “non cercare di adeguare la fede alle mode del tempo”. Ne è convinto il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, che nell’omelia della messa celebrata oggi per i vescovi ordinati nell’ultimo anno ha ricordato che “solo Cristo ha parole di vita eterna, e le sue parole dobbiamo portare alla gente, essendo il bene più prezioso che ci è stato affidato”. “Una tale fedeltà – ha puntualizzato il porporato soffermandosi sulle caratteristiche fondamentali del ministero episcopale - non ha niente di sterile e di statico; è creativa”. Altra caratteristica del vescovo “è la prudenza che nulla a vedere con l’astuzia ed indica il primato della verità, che mediante la “prudenza” diventa criterio del nostro agire”. “La prudenza – come ha spiegato il Papa sabato scorso nell’omelia per l’ordinazione di cinque nuovi vescovi - esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme”. In questa prospettiva, ha spiegato il card. Bertone, “essere prudenti vuol dire essere innanzitutto persone di verità e dalla ragione sincera”. Terza caratteristica del vescovo è infine la bontà, che consiste nel “coltivare un profondo orientamento interiore verso Dio”.

CARD. BERTONE: SERVONO “TESTIMONI CREDIBILI” E “PASTORI SANTI”

“Il popolo cristiano ha bisogno di vedere testimoni credibili e di essere guidato da pastori santi”. Lo ha detto il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, nell’omelia della messa celebrata oggi per i vescovi ordinati negli ultimi dodici mesi, ai quali ha augurato di “essere santi come è stato santo il Curato d’Ars, cioè vivendo il vostro ministero secondo il cuore di Cristo e il cuore materno di Maria”. “Edificare il popolo cristiano prima di tutto con la testimonianza della vita”, l’esortazione del porporato ai nuovi vescovi, a partire dalla consapevolezza che, come diceva san Giovanni Crisostomo, “basta un uomo pieno di zelo per trasformare un popolo”. Di qui la necessità di “approfondire il valore del servizio episcopale”, tema del Convegno in corso in questi giorni a Roma per iniziativa della Congregazione per i vescovi. Il “modello” è Gesù, che “ha imparato l’obbedienza” anche per mezzo della sofferenza: mediante la “mediazione materna di Maria”, cioè “mediante la Chiesa, nostra madre”, ha aggiunto il cardinale, “le sofferenze del nostro ministero, unite alla Croce di Gesù, diventano feconde”. “Sia questo il programma di ciascuno di noi: essere santi per contagiare dell’amore di Dio tutti coloro che sono affidati alla nostra responsabilità di pastori del popolo di Dio”, ha concluso il segretario di Stato vaticano. 

Agenzia Sir

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20/01/2012 11:49
 
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"Riforma" di Benedetto XVI -


ROMA, 19 gennaio 2012 –
E' la "riforma", dice, la chiave di interpretazione del Concilio Vaticano II e dell'evoluzione del magistero, "nella continuità del soggetto Chiesa". È ciò che Lefebvre e i tradizionalisti non hanno mai voluto accettare. Gilles Routhier ricostruisce il passato e il presente della controversia.

Nell'indire un Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II, Benedetto XVI è tornato a insistere sulla necessità di una "giusta ermeneutica" di quell'evento.
La corretta comprensione del Concilio – precisano le istruzioni per l'Anno della fede – non è la cosiddetta "ermeneutica della discontinuità e della rottura", ma quella che lo stesso Benedetto XVI ha definito "l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa".

La definizione è ripresa dal memorabile discorso tenuto dal papa alla curia romana il 22 dicembre 2005. Discorso che fu interpretato all'epoca come prevalentemente diretto a confutare la concezione progressista del Vaticano II come rottura col passato e "nuovo inizio" per la Chiesa.
In realtà, quel discorso – specie nel suo sviluppo finale sul tema della libertà religiosa – aveva come sfondo principale un'altra corrente di pensiero e di azione, quella tradizionalista, e in particolare il seguito del vescovo scismatico Marcel Lefebvre (nella foto).Joseph Ratzinger conosce a fondo i lefebvriani. Da cardinale prefetto della congregazione per la dottrina della fede aveva negoziato e discusso con loro per anni. E da papa ha impegnato molte energie per riconciliarli con la Chiesa.

Un autorevole storico della Chiesa italiano, Giovanni Miccoli, in un recente volume dal titolo "La Chiesa dell'anticoncilio", edito da Laterza, accusa Benedetto XVI di condividere con i lefebvriani una buona parte delle loro tesi di opposizione al Vaticano II.

Ma è così?

Un altro storico della Chiesa e teologo, il canadese Gilles Routhier, professore all'Università di Laval, Québec, e autore di un libro sulla recezione e l'ermeneutica del Concilio tradotto in Italia dall'editrice Vita & Pensiero dell'Università Cattolica di Milano, non è d'accordo.

Su "La Rivista del Clero Italiano", edita anch'essa da Vita & Pensiero, Routhier ha ripercorso, in un ampio saggio in due puntate, l'intero tragitto della controversia tra Roma e i lefebvriani. Ne ha analizzato gli avvicinamenti, le rotture, i cambiamenti di linea. Per concludere che sia l'ermeneutica "della discontinuità e della rottura", sia quella "della continuità", propugnate entrambe a fasi alterne dai lefebvriani e da altre correnti tradizionaliste, restano invincibilmente distanti dall'ermeneutica "della riforma" proposta da Benedetto XVI, con la sua concezione dinamica della tradizione.

Ecco qui di seguito un estratto del saggio di Routhier, con sottotitoli redazionali.

Il testo integrale è nel sito de "La Rivista del Clero Italiano", sui numeri 11 e 12 del 2011:
"Sull'interpretazione del Vaticano II - I e Sull'interpretazione del Vaticano II - II" e sul blog di S. Magister Chiesa.espressonline.it del 19.01.2012

************************************************************

[SM=g1740733] riflettendo, proviamo a rispondere....


L'articolo è molto interessante, anche con i relativi collegamenti, ma.... quanti leggeranno tutti sti papiri? quanti sacerdoti sono davvero così informati? quanti davvero si informano?    
E poi, ma perchè complicare tutto? la fede non doveva essere una espressione semplice?    
Concordo sulla necessità ed urgenza di una giusta, corretta ed unica ermeneutica per la lettura del Concilio, ma è indispensabile associare a questo la CONDANNA UFFICIALE degli errori, di ciò che fu errore, come ragionevolmente spiega lo stesso padre Giovanni Cavalcoli o.p. nel suo eccellente libro contro gli errori di K.Rehner.... attendiamo dal Papa la condanna ufficiale degli errori, altrimenti questa lettura giusta dell'ermeneutica non avverrà mai...    
   
un esempio?    
sulla stessa rivista citata, del Clero, è riportato un articolo di Enzo Bianchi sul "il presbitero e la preghiera".... Undecided    
ora mi fermo e mi domando: che cosa dovrebbe insegnare AD UN PRESBITERO un laico come Enzo Bianchi che ha fondato una comunità dedita alla preghiera SINCRETISTA, dove ognuno vive la preghiera nel modo proprio, dove la Messa è celebrata solo la Domenica e dove il "presbitero" non è altro che uno come degli ospiti non cattolici della sua comunità?  
 
Un altro esempio?    
K.Rehner continua ad essere insegnato ed usato come maestro nei seminari...nei Redemptoris Mater i seminaristi di un altro laico, Kiko,  per i primi due anni, NON studiano come i seminaristi diocesani.... non usano lo stesso programma, ma solo quello di Kiko.....    
e allora, se il Papa non estirpa l'errore e non ammonisce i Vescovi, gli unici e veri Maestri dei Seminari CATTOLICI, a vietare ogni infiltrazione estranea alla preparazione dei presbiteri, chi lo deve fare? Embarassed    
Per la verità il Papa questi allarmi li ha lanciati e nell'Anno Sacerdotale ha ammonito e spinto i Vescovi non solo alla vigilanza, ma anche ad usare l'autorevolezza del proprio bastone.... ma se i Vescovi disobbediscono, che si fa?    
Si resta vigili, si avvertono i cristiani di questi malesseri, e si prega.....
 
 
Insomma..... il discorso sull'ermeneutica mi sta anche bene ma... perchè si continuano a prendere come simbolo di discontinuità mons. Lefebvre con la FSSPX e invece non si prende come discontinuità K.Rehner, Kiko Arguello, Enzo Bianchi, ecc..ecc..ecc...?  
Non sono forse persone come queste, libere di INSEGNARE NELLA CHIESA, anzi spesse volte IMPOSTE dai Vescovi nelle nostre Parrocchie.... che hanno spinto la FSSPX, specialmente oggi, a trincerarsi ancora di più in una giustificazione del proprio stato?  
Non è forse la disobbedienza dei Vescovi al Summorum Pontificum del Papa a sottolineare l'impossibilità di una applicazione autentica della corretta ermeneutica del Concilio? 

Non si vorrà far credere che gli unici che non hanno capito il Concilio nel verso giusto sarebbero la FSSPX, dipinti come i veri nemici di questa ermeneutica?  
E' possibile che qualche Rivista Cattolica, illustre e seguita, scriva un giorno con tutta onestà e con la politica scorretta che spesso i nemici della Chiesa sono dentro e sono fra quelli che dicono di stare con il Papa salvo poi vivere con le proprie idee, disobbedendogli?

VI INVITIAMO A LEGGERE ANCHE QUI: LA RIFORMA DI BENEDETTO XVI E I 50 ANNI DAL CONCILIO, A CHE PUNTO SIAMO?
 
[SM=g1740733]




[Modificato da Caterina63 20/01/2012 12:03]
Fraternamente CaterinaLD

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06.03.2013 09:58

 

Primato Petrino o semplice collegialità fra "pari"?

 

Cari amici, anche a causa della storica rinuncia di Benedetto XVI alla guida attiva della Chiesa, da molte parti si è riacceso un dibattito che vede in testa le schiere progressiste e moderniste nella Chiesa in quella martellante collegialità atta a scardinare il ruolo del Primato Petrino.

Da più parti si invoca, in tal senso, un Successore che possa modificare le più imponenti Dottrine della Santa Chiesa, aggiornandole dicono, alle necessità del nostro tempo. La stessa rinuncia del Pontefice sembra dar credito a questa pressione.

Ma le cose stanno veramente così?

Non ci soffermeremo sulle stravaganti e recidive affermazioni di chi vorrebbe imporre una propria immagine di Chiesa con altrettanti visionari ruoli, né vogliamo perdere il tempo a fare elenchi di nomi assai noti, piuttosto vogliamo aiutare il lettore a comprendere cosa insegna la Chiesa, come ha insegnato fino all'ultimo lo stesso Benedetto XVI anche per comprendere che la sua rinuncia non ha nulla a che vedere con certe proposte di cambiamento.

Resta illuminante un punto indiscutibile: anche i più reazionari, atei o eretici che fossero, tutti guardano alla Sede Petrina come ad un primato unico e fondamentale a tal punto che, diabolicamente, non vogliono rinnegare tale primato, ma sovvertirlo, usarlo per l'edificazione di una chiesa del mondo. Come i preti che vogliono sposarsi tanto per affermare il detto di chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca. O come le donne che pretendono il sacerdozio, dunque non lo rinnegano affatto, ma lo vogliono come rivendicazione di una parità con il maschio.

Sembra davvero ignoto a molti (è stato fatto un piccolo sondaggio a livello parrocchiale ed è risultato che nessun sacerdote conosce questo testo) un importante Documento della CdF firmato dall'allora cardinale Ratzinger in qualità di Prefetto e, naturalmente, firmato e approvato dall'allora Pontefice Giovanni Paolo II, si tratta del testo ufficiale:

Il Primato del Successore di Pietro nel Mistero della Chiesa.

 

Ma facciamo un breve passo indietro.

"Eminenza, c'è chi dice che sia in atto un processo di "protestantizzazione" del cattolicesimo".

La risposta, come al solito, accetta in pieno la battuta: "Dipende innanzitutto da come si definisce il contenuto di " protestantesimo ". Chi oggi parla di "protestantizzazione" della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un'altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista".

(Rapporto sulla Fede - Intervista di V. Messori a J. Ratzinger cap.XI)

 

Nell' approfondire l'argomento, vi invitiamo a munirvi anche di un eccellente tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità del Papa per la Chiesa universale" .

In questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle false interpretazioni che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi.

A pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.

Ratzinger fa emergere e denuncia "i malintesi" sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di "comunione basterebbe accogliere il Mistero della Trinità"...... Sì, dice Ratzinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma non è sufficiente per parlare di "comunione".

e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di "popolo di Dio" e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."

 

Così Ratzinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....

Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "si abbattè una grandinata di critiche da cui ben poco riuscì a salvarsi", in sostanza ci fu un "ammutinamento di molti Vescovi" contro il quale nulla poterono fare (o forse non vollero per timore di un grave scisma) Giovanni Paolo II e lo stesso Ratzinger, se non ribadire l'insegnamento della Chiesa.

Ratzinger rispose allora spiegando ragionevolmente il suo testo sulla base della Scrittura e sulla stessa Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora e poi Pontefice: "potrebbero sembrare possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la grande Chiesa ideata da Dio con a capo Cefa, per rifugiarsi in una immagine empirica delle Chiese nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

 

E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:

"Questo però significa che la Chiesa come tema teologico verrebbe cancellata. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto desolazione. Ma allora non è abbandonata solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."

 

Un altra denuncia portata da Ratzinger nel chiarire i vari aspetti dell'Ecumenismo, è quella secondo la quale basterebbe la presenza di un vescovo e di una chiesa-comunità per stabilire una qualche forma di unità senza soffermarsi sull'essenza dottrinale!

Ratzinger denuncia quel relativismo secondo il quale non pochi teologi, erroneamente, si sono posti la domanda " Con quale diritto la Chiesa cattolica si presenta quale unica Chiesa di Cristo?"

La replica di Ratzinger è precisa: "la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità... (...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa non è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle comunità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussiste pertanto una e indivisa nella Chiesa ideata da Cristo con a capo Pietro..."

E quando venne eletto Pontefice, successore di questo Pietro, Cefa, Benedetto XVI disse il 23 agosto 2005 all'incontro ecumenico di Colonia:

"Non può esserci un vero dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità, certamente, ma soprattutto nella verità.."

Il problema Ratzinger l'aveva individuato molto bene e sta in quel:

"... rifugiarsi in una immagine empirica delle Chiese nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

e in quella grave conseguente conclusione:

"Questo però significa che la Chiesa come tema teologico verrebbe cancellata".

Riguardo così anche ad una ecu-mania volta a smobilitare il Primato Petrino e quindi anche della stessa Chiesa Cattolica, riducendola ad una "inter-paris" con tutte le altre Comunità non cattoliche, così ammoniva il Prefetto diventato Pontefice, sempre nella Communionis Notio:

"Nelle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche esistono infatti molti elementi della Chiesa di Cristo che permettono di riconoscere con gioia e speranza una certa comunione, sebbene non perfetta. (..) Siccome però la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro, non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni, la situazione di quelle venerabili comunità cristiane implica anche una ferita nel loro essere Chiesa particolare.

La ferita è ancora molto più profonda nelle comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e l'Eucaristia valida. Ciò, d'altra parte, comporta pure per la Chiesa Cattolica, chiamata dal Signore a diventare per tutti  un solo gregge e un solo pastore, una ferita in quanto ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia.

(...) In questo impegno ecumenico, hanno un'importanza prioritaria la preghiera, la penitenza, lo studio, il dialogo e la collaborazione, affinché in una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma, e vedere realizzato il ministero petrino, come è inteso dal Signore, quale universale servizio apostolico, che è presente in tutte le Chiese dall'interno di esse e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia".

 

Quindi: e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia, non significa il riconoscimento sincretista di una sorta di "inter-paris" con le altre Chiese particolari (si legga gli Ortodossi) e Comunità Cristiane (si legga i Protestanti che non sono Chiese), o l'appiattimento del ruolo Petrino, infatti leggiamo che per una piena comunione è necessaria: una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma.

Sempre attraverso alcuni interventi di Ratzinger in diverse occasioni, viene spiegato il senso corretto per interpretare questa Communions Notio, ossia questa Comunione tra il Papa e i vescovi.

Egli rammenta che il Vangelo di Matteo pone a Simone, Cefa, l'autorità apostolica superiore, collegata certamente all'istituzione degli altri undici "che agiscono in comunione con lui, ma mai senza di lui, sottolinea Ratzinger....(cfr.Mt.10,1; 18,18).

Pietro ha un primato "autorevole" che include l'insegnamento e la guida sicura, egli è istituito "per primo ed in modo singolare e specifico" (Mt.16,18 ss): senza Pietro non esisterebbe alcun ruolo di vescovo perché nessun vescovo potrebbe darsi il mandato da sé stesso, non vi sarebbe alcuna comunione, al contrario vediamo che ci sono vescovi che nella storia della Chiesa hanno creato la divisione separandosi dalla comunione con Pietro, ma essi non hanno dato origine ad altre Chiese bensì hanno dato origine alla divisione nell' unica Chiesa di Cristo che ha al suo vertice visibile Pietro e i suoi Successori in questa Sede.

Così anche il Vangelo di Marco e di Luca pongono il ruolo di Simone in una posizione unica di autorità all'interno del Sacro Collegio.

Luca nel Vangelo e negli Atti approfondisce la parola "primato" (22,31) dove appunto spetta a Simone e solo a Lui confermare gli altri in questa unica Fede. Questo compito non venne chiesto a tutti gli "Undici", ma solo a Pietro. Questo passo va letto con quello di Giovanni, rammenta Ratzinger, in Gv. 21,15-17 dove l'evangelista sottolinea il passaggio da Gesù "supremo Pastore" a Pietro, guida della comunità che è diventato pastore "in sua vece" (da qui il termine "Vicario" di Cristo)!

 

Questa singolarità, spiega Ratzinger, è unica a Pietro e non può essere dissociata quando si parla di collegialità e di comunione tra i vescovi: Pietro possiede una unicità che non è stata data ad altro!

Se infatti gli Atti presentano Pietro come il garante della Dottrina nella Tradizione Cristiana appena nata, Paolo lo riconosce come l'autorità con cui è necessario ed indispensabile concordare (1Cor.9,5) al contrario, nella giovane comunità, non è mai Pietro che scende a compromessi con i presbiteri o i nuovi vescovi appena nominati, lo stesso Paolo nell'istruire Tito e Timoteo, raccomanda ad essi di attenersi "scrupolosamente" alle istruzioni da lui ricevute, istruzioni per le quali andò fino da Cefa (Galati 1;2) per ottenere conferma della sua predicazione!

All'Udienza generale così spiegò Benedetto XVI:

7 giugno 2006, Pietro, la roccia su cui Cristo ha fondato la Chiesa:

"Le tre metafore a cui Gesù ricorre sono in se stesse molto chiare: Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l'edificio della Chiesa; egli avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto; infine, egli potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. E’ sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro. E' così descritto con immagini di plastica evidenza quello che la riflessione successiva qualificherà con il termine di "primato di giurisdizione".

 

Concetti che più volte Ratzinger aveva ripreso quando da Cardinale rispondeva alle tante domande che gli venivano poste.

Nello spiegare appunto la Nota sulla Comunione dei Vescovi, egli torna a ribadire l'unicità decisionale spettante a Pietro la quale non può essere inglobata nel concetto di collegialità, ma la collegialità quanto l'esercizio petrino non si contrappongono, non possono disgiungersi, pena la divisione.

"Si deve infatti affermare che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del primato nè lo deve relativizzare..."

(CdF il primato del successore n.5 EV 17)

 

La collegialità, spiega Ratzinger, viene semmai confermata dalla presenza di Pietro e dalla sua professione di fede: "Così è stato consegnato ad uno solo ciò che doveva essere comunicato a tutti "

(S.Leone Magno, Discorsi, 4,3- pl 54,150,151)

La stessa Lumen Gentium (n.22) asserisce chiaramente come il Vescovo di Roma è L'UNITA' della Chiesa e i Vescovi nel loro insieme e per mezzo dell'obbedienza rappresentano "la comunione con l'unità", non dunque alla pari ma "con Pietro".

Denuncia così lo stesso Ratzinger che dopo il Concilio Vaticano II sia in casa cattolica quanto in campo ecumenico i due termini  "comunione ed unità" non siano stati  compresi distintamente come è sempre stato, ma di come siano stati gravemente confusi e relativizzati.

 

L'errore principale parte da un documento messo a punto a Monaco dalle frange ribelli: "Documento di Monaco, III, 4 in Enchiridion Oecumenicum 1"

il teso dice: " L'episkopè della Chiesa universale viene affidata dallo Spirito all'insieme dei vescovi locali, in reciproca comunione", Ratzinger allora sottolinea l'errore del Documento dal quale sembra così, che la comunione derivi unicamente dal riconoscimento reciproco bastante di fratellanza e buona volontà senza più alcun riferimento alla "conferma" da parte di Pietro; inoltre, sottolineava allora il card. della Dottrina della Fede che l'insieme sinodale prenderebbe in tal modo il posto del Primato Romano nella "presidenza" della Chiesa! E questo è inaccettabile, infine, tale documento, affermerebbe che tale primato risiederebbe solo nello Spirito Santo (concetto luterano) mentre come ci insegnano i Vangeli e la Tradizione esso venne affidato da Gesù a Pietro e agli altri undici uniti a Lui. E' Pietro che dà il mandato, che conferma e che riconosce la comunione tra i Vescovi, non il contrario.

La Congregazione per la Dottrina della Fede promulgherà, a condanna della Dichiarazione di Monaco e degli altri documenti analoghi, l’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, emanata il 24 maggio 1990 dal Prefetto card. Joseph Ratzinger con l'approvazione di Giovanni Paolo II. Le Comunità di Base, per bocca di don Franco Barbero, dissero al cardinale Ratzinger di occuparsi non già dei teologi ribelli, ma piuttosto di quelli eccessivamente obbedienti. Intervenì ovviamente anche Martini e mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, intimò: «il magistero deve ascoltare di più il popolo di Dio».

Come vediamo i nomi sono sempre gli stessi: il lupo cambia il pelo ma non il vizio.

 

C'è anche un interessante riferimento di Ratzinger al Concilio di Calcedonia quando la Chiesa di allora rigettò il canone 28 il quale dice:

XXVIII. Voto sui Privilegi della sede di Costantinopoli.

"Seguendo in tutto le disposizioni dei santi padri, preso atto del canone [III] or ora letto, dei 150 vescovi cari a Dio, che sotto Teodosio il Grande, di pia memoria, allora imperatore si riunirono nella città imperiale di Costantinopoli, nuova Roma, stabiliamo anche noi e decretiamo le stesse cose riguardo ai privilegi della stessa santissima chiesa di Costantinopoli, nuova Roma.

Giustamente i padri concessero privilegi alla sede dell'antica Roma, perché la città era città imperiale.

Per lo stesso motivo i 150 vescovi diletti da Dio concessero alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l'imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell'antica città imperiale di Roma, eguali privilegi anche nel campo ecclesiastico e che fosse seconda dopo di quella.

Di conseguenza, i soli metropoliti delle diocesi del Ponto, dell'Asia, della Tracia, ed inoltre i vescovi delle parti di queste diocesi poste in territorio barbaro saranno consacrati dalla sacratissima sede della santissima chiesa di Costantinopoli. E’ chiaro che ciascun metropolita delle diocesi sopraddette potrà, con i vescovi della sua provincia, ordinare i vescovi della sua provincia, come prescrivono i sacri canoni; e che i metropoliti delle diocesi che abbiamo sopra elencato, dovranno essere consacrati dall'arcivescovo di Costantinopoli, a condizione, naturalmente, che siano stati eletti con voti concordi, secondo l'uso, e presentati a lui".

 

La Chiesa di Roma - spiegava Ratzinger - non può ritrovarsi in questo perché la sua "maternità" è di natura Apostolica e il suo Primato è di diritto Divino di conseguenza non può scendere a patti o a compromessi equiparandola alle altre Sedi. Per questo la Chiesa insiste molto sul ruolo stesso di Maria nel Cenacolo fino a proclamarla, come lo era già da sempre: Mater Ecclesiae.

E citando sempre il canone 28 di quel Concilio, spiegava il rigetto di tale articolo che la Chiesa manifestò fin dal principio "perchè in base a questo articolo la sede di Costantinopoli poteva rivendicare poteri pari a quelli di Roma a scapito di altri Patriarcati e, dopo la caduta dell'Impero d'Oriente, cominciò infatti a ritenersi quale centro di una ecclesiologia universale verso la quale tutti dovevano sottostare", spostando così il centro della Sede Petrina da Roma a Costantinopoli. E' ovvio che Roma, la Sede Petrina mai e poi mai avrebbe potuto accettare un compromesso di questo genere senza tradire il mandato datole dal Cristo! La Chiesa non difende la "chiesa di Pietro" ma difende un primato legittimo datole dal Cristo, difende il ruolo di Pietro nella Chiesa di Cristo, l'unica Chiesa, così come Pietro, a sua volta, difende il ruolo dei Vescovi in comunione con lui confermandoli nella comune fede, inviandoli nel mondo, assegnando ad essi porzioni di popolo, il gregge di Cristo, non di Pietro o di singoli vescovi come rammenta Gesù stesso a Pietro: "Pasci le mie pecore".

 

E mai avrebbe potuto condividere teorie dette della "traslazione" del primato o come quella della Kidemonia panton secondo cui l'ortodossia doveva essere considerata "un unico organismo con a capo il Patriarca di Costantinopoli", una sorta di "Papa oriental", mentre i vescovi erano i suoi delegati, alla pari, e infatti neppure le altre chiese Ortodosse hanno accettato queste teorie, dando origine alle Chiese dette "autocefale".

Nella sua Lettera ai Vescovi del 2009, proprio per chiarire la questione della Tradizione nella Chiesa associata alla discussione alla FSSPX, il Pontefice Benedetto XVI ha detto:

"Ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel  corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive".

 

Nel discorso che  Papa Benedetto XVI ha tenuto l'anno prima, nel 2008 per la Pentecoste, ritroviamo ripetuti i medesimi concetti che stiamo esprimendo qui:

11 maggio 2008: Cappella Papale nella Solennità di Pentecoste...

dice il Papa :

"Societas Spiritus", società dello Spirito: così sant’Agostino chiama la Chiesa in un suo sermone (71, 19, 32: PL 38, 462). Ma già prima di lui sant’Ireneo aveva formulato una verità che mi piace qui ricordare: "Dov’è la Chiesa, là c’è lo Spirito di Dio, e dov’è lo Spirito di Dio, là c’è la Chiesa ed ogni grazia, e lo Spirito è la verità; allontanarsi dalla Chiesa è rifiutare lo Spirito" e perciò "escludersi dalla vita" (Adv. Haer. III, 24, 1)

(...) La Chiesa che nasce a Pentecoste con a capo già visibilmente Pietro che "prende la parola" non è anzitutto una Comunità particolare – la Chiesa di Gerusalemme – ma la Chiesa universale, che parla le lingue di tutti i popoli. Da essa nasceranno poi altre Comunità in ogni parte del mondo, Chiese particolari che sono tutte e sempre attuazioni della sola ed unica Chiesa di Cristo. La Chiesa cattolica non è pertanto una federazione di Chiese, ma un’unica realtà: la priorità ontologica spetta alla Chiesa universale. Una comunità che non fosse in questo senso cattolica non sarebbe nemmeno Chiesa".

 

E ancora, sull'Osservatore Romano del 4 marzo 2000 troviamo un lungo ma fondamentale articolo del Prefetto della CdF, Ratzinger: L'Ecclesiologia della costituzione «Lumen Gentium».

Partendo dalla crisi della fede e della Liturgia il Cardinale ripercorre una linea chiara atta a spiegare certi errori che partendo da una immagine di Chiesa diversa da quella che la Tradizione ci ha donato, si giunge inevitabilmente a modifiche che nulla hanno a che vedere neppure con il Concilio, ma che sono dei veri tranelli. Dopo aver spiegato l'origine della crisi liturgica, il Prefetto diventato poi Pontefice arriva a discutere sulla falsa immagine di una nuova Chiesa.

Riportiamo ampi stralci da lasciare alla vostra riflessione:

"Vorrei subito anticipare la mia tesi di fondo: il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teologico, ma la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è gettata su singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi prospettive dei Padri conciliari. (..)

L'ecclesiologia di comunione è fin dal suo intimo una ecclesiologia eucaristica. Essa si colloca così assai vicino all'ecclesiologia eucaristica, che teologi ortodossi hanno sviluppato in modo convincente nel nostro secolo. (..)

L'Eucaristia include il servizio sacerdotale della «repraesentatio Christi» e quindi la rete del servizio, la sintesi di unità e molteplicità, che si palesa già nella parola «Communio». (..)

Per tutti questi motivi ero grato e contento, quando il Sinodo del 1985 riportò al centro della riflessione il concetto di «communio». Ma gli anni successivi mostrarono che nessuna parola è protetta dai malintesi, neppure la migliore e la più profonda. Nella misura in cui «communio» divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata.

Come per il concetto di popolo di Dio così si doveva anche qui rilevare una progressiva orizzontalizzazione, l'abbandono del concetto di Dio.

L'ecclesiologia di comunione cominciò a ridursi alla tematica della relazione fra Chiesa locale e Chiesa universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra. Naturalmente si diffuse nuovamente il motivo egualitaristico, secondo cui nella «communio» potrebbe esservi solo piena uguaglianza.

Si è così arrivati di nuovo esattamente alla discussione dei discepoli su chi fosse il più grande, che evidentemente in nessuna generazione intende placarsi. Marco ne riferisce con maggiore insistenza. Nel cammino verso Gerusalemme Gesù aveva parlato per la terza volta ai discepoli della sua prossima passione. Arrivati a Cafarnao egli chiese loro di che cosa avevano discusso fra di loro lungo la via. «Ma essi tacevano», perché avevano discusso su chi di loro fosse il più grande — una specie di discussione sul primato ( Mc 9, 33-37).

Non è così anche oggi? Mentre il Signore va verso la sua passione, mentre la Chiesa e in essa egli stesso soffre, noi ci soffermiamo sul nostro tema preferito, sulla discussione circa i nostri diritti di precedenza. E se egli venisse fra di noi e ci chiedesse di che cosa abbiamo parlato, quanto dovremmo arrossire e tacere.

(..) Vescovo non si è come singoli, ma attraverso l'appartenenza ad un corpo, ad un collegio, che a sua volta rappresenta la continuità storica del «collegium apostolorum».

In questo senso il ministero episcopale deriva dall'unica Chiesa e introduce in essa. Proprio qui diviene visibile che non esiste teologicamente alcuna contrapposizione fra Chiesa locale e Chiesa universale. Il Vescovo rappresenta nella Chiesa locale l'unica Chiesa, ed egli edifica l'unica Chiesa, mentre edifica la Chiesa locale e risveglia i suoi doni particolari per l'utilità di tutto quanto il corpo.

Il ministero del successore di Pietro è un caso particolare del ministero episcopale e connesso in modo particolare con la responsabilità per l'unità di tutta quanta la Chiesa.

Ma questo ministero di Pietro e la sua responsabilità non potrebbero neppure esistere, se non esistesse innanzitutto la Chiesa universale. Si muoverebbe infatti nel vuoto e rappresenterebbe una pretesa assurda. Senza dubbio la retta correlazione di episcopato e primato dovette essere continuamente riscoperta anche attraverso fatica e sofferenze. Ma questa ricerca è impostata in modo corretto solo quando viene considerata a partire dal primato della specifica missione della Chiesa e ad esso in ogni tempo orientata e subordinata: il compito cioè di portare Dio agli uomini, gli uomini a Dio. Lo scopo della Chiesa è il Vangelo, e attorno ad esso tutto in lei deve ruotare.

Questo non vuol dire che nella Chiesa non si debba anche discutere sul retto ordinamento e sulla assegnazione delle responsabilità. E certamente vi saranno sempre squilibri, che esigono correzioni. Naturalmente può verificarsi un centralismo romano esorbitante, che come tale deve poi essere evidenziato e purificato. Ma tali questioni non possono distrarre dal vero e proprio compito della Chiesa: la Chiesa non deve parlare primariamente di se stessa, ma di Dio, e solo perché questo avvenga in modo puro, vi sono allora anche rimproveri intraecclesiali, per i quali la correlazione del discorso su Dio e sul servizio comune deve dare la direzione..."

***

"Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane (32): non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.

Il Romano Pontefice è - come tutti i fedeli - sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione.

Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato. (..)

Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum  in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati. Nel caso del Vescovo di Roma — Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi —, la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa: una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli".

(Il Primato del Successore di Pietro nel Mistero della Chiesa.)

 

I suoi fratelli Vescovi pascolano legittimamente il gregge di Cristo solo in unione effettiva ed affettiva con la Cattedra di Pietro.

Altrimenti si ritorna all’esperienza del IV secolo, quando quasi tutti i Vescovi del mondo si piegarono al volere di un imperatore ariano.

Solo il Papa, e un manipolo di Vescovi fedeli a lui, preservarono la fede cattolica. Il Papa sta lì a ricordare che la Chiesa non è una struttura umana. Anche questo è il motivo per cui così tante culture e così tanti popoli diversi trovano in essa la loro identità diventando membra del Corpo della Chiesa, diventando appunto "cattolici", ossia universali.

Potremmo fare il paragone con una chitarra: la cassa di risonanza, la struttura, la roccia è Pietro, le corde i vescovi, le membra, senza la struttura sia le membra quanto i Vescovi non troverebbero dove accordarsi.

 

Così spiegava mons. Nicola Bux ad Agenzia Fides del 2/7/2009:

"Clemente Romano, raccontando della morte degli apostoli Pietro e Paolo, osserva che l’invidia di alcuni nella stessa comunità cristiana la facilitò.  Dopo duemila anni, il peccato è sempre presente negli uomini.

(...) C’è il tentativo di ridurre la Chiesa ad una agenzia mondiale umanitaria e l’utopia che l’unità delle nazioni possa essere realizzata dagli organismi internazionali e non da Cristo.

Il Cardinale J.H.Newman supponeva che l’apostasia del popolo di Dio, in varie epoche e luoghi, avesse sempre preceduto la venuta degli “anticristi”, tiranni come Antioco e Nerone, Giuliano l’Apostata, i leader atei della Rivoluzione francese, ciascuno un “tipo” o “presagio” dell’anticristo, che sarebbe venuto alla fine della storia, quando il mistero di iniquità avrebbe manifestato la sua insensatezza finale e terribile.

L’incapacità dei credenti di vivere la propria fede, ammoniva Newman, come nelle epoche precedenti, avrebbe condotto “al regno dell’uomo del peccato, che avrebbe negato la divinità di Cristo e innalzato se stesso al suo posto”

(Il Nemico, Cinisello Balsamo 2006, pp. 175-176).

Ma il Signore, anche se dorme sulla barca in tempesta, nel momento finale si risveglierà e placherà i flutti. Poi tornerà da noi e ci chiederà perché abbiamo avuto così poca fede. Nel frattempo portiamo la croce.

Osserviamo il tradimento. Soffriamo.

Scrive ancora Newman: “Lo scopo del diavolo, quando semina la rivoluzione nella Chiesa è gettarla in confusione, perché la sua attenzione sia distratta e le sue energie disperse. In questo modo veniamo indeboliti proprio nel momento della storia in cui avremmo bisogno di essere più forti” .

“Perché il Santo Padre non agisce? Non può imporre a questi prelati l’obbedienza?”. “Lo ha fatto ripetutamente e nel modo più cristiano.

Ma non comanda una polizia, o un esercito. Di recente è stato più fermo con i dissidenti […] La soluzione però non è l’autoritarismo, perché quello getterebbe solo benzina sul fuoco della rivolta.

Il Santo Padre opera finché c’è luce. Richiama noi tutti a Colui che ha portato la croce e che è morto su di essa. Nelle sue mani porta solo questo, una croce; parla sempre del trionfo della Croce. Quelli che non vogliono ascoltare ne risponderanno a Dio” (Ivi,p 402-403)".

***

Vogliamo concludere queste riflessioni con un poema dottrinale e di granitica fede che un Vescovo pronunciò al Concilio Vaticano I, esprimendo in tal modo come è da intendersi l'autentica collegialità.

S.E.R. Monsignor Josè Francisco Ezequiel Moreira, vescovo di Ayacucho (1826-1874)

Breve discorso tenuto al Concilio Vaticano I il 2 luglio 1870

"Eminentissimi presidenti, eminentissimi e reverendissimi padri, dopo le magnifiche orazioni dei sapientissimi vescovi, rinunzio alla mia (..)

Perdonatemi se dirò solo qualche parola in segno di lode e d'amore per la Cattedra di San Pietro, dirò qualche parola che in sè contiene la dottrina dell'Infallibilità, poichè se la fede della Chiesa romana è la fede della Chiesa cattolica, ne segue che questa cattedra di San Pietro, dove si conserva questa fede, sempre e ovunque mantiene la sua forza.

O Santa e benedetta cattedra di Pietro, fondata su Pietro! Tu sei quella cattedra che quando insegna, insegna il Vero. Quando definisci, definisci nello Spirito Santo, quando leghi, leghi con vincoli indissolubili, quando sciogli, veramente e realmente sciogli, quando anatematizzi, anatematizzi con una maledizione celeste, quando dispensi, dispensi con l'autorità ricevuta da Cristo, quando apri, apri il Paradiso e il Purgatorio.

Oh Cattedra!

Chi non ti teme, è già condannato! Chi non ti venera, è maledetto! Chi non ti obbedisce è scismatico, chi si separa da te, è eretico. La tua autorità è divina, il tuo timore santo, la tua dottrina vera, il tuo giudizio retto, il tuo decoro supremo, la tua benedizione celeste.

Non posso qui esimermi dal rendere grazie. O Santa Chiesa Romana, unica tra tutte le chiese apostoliche che non sei venuta mai meno nella fede!

E' venuta meno l'Acaia dove sedeva Andrea, l'Etiopia dove sedeva Matteo, l'India dove sedeva Tommaso, la Siria dove sedeva Filippo, la Giudea dove sedeva Giacomo, la Persia dove sedeva Simone, la Grecia dove sedeva Paolo, Tu invece, Chiesa Romana, dove sedeva Pietro, non sei mai venuta meno, nè mai avverrà che tu venga meno. Ho pregato per te affinchè la tua fede non venga meno e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli, che si affaticano ai remi.

Questa è la lode che esprimo alla Santa Chiesa Romana in ossequio e amore".

 

*********


Maggiori informazioni http://anticlericali-cattolici.webnode.it/news/primato-petrino-e-la-colleggialit%c3%a0-dei-vescovi/
[SM=g1740771]





[Modificato da Caterina63 06/03/2013 11:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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07/09/2015 23:32
 
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CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE



LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
SU ALCUNI ASPETTI DELLA CHIESA INTESA COME COMUNIONE

 

INTRODUZIONE

1. Il concetto di comunione (koinonía), già messo in luce nei testi del Concilio Vaticano II(1), è molto adeguato per esprimere il nucleo profondo del Mistero della Chiesa e può essere una chiave di lettura per una rinnovata ecclesiologia cattolica(2). L'approfondimento della realtà della Chiesa come Comunione è, infatti, un compito particolarmente importante, che offre ampio spazio alla riflessione teologica sul mistero della Chiesa, « la cui natura è tale da ammettere sempre nuove e più profonde esplorazioni(3). Tuttavia, alcune visioni cclesiologiche palesano un'insufficiente comprensione della Chiesa in quanto mistero di comunione, specialmente per la mancanza di un'adeguata integrazione del concetto dicomunione con quelli di Popolo di Dio e di Corpo di Cristo, e anche per un insufficiente rilievo accordato al rapporto tra la Chiesa come comunione e la Chiesa come sacramento.

2. Tenuto conto dell'importanza dottrinale, pastorale ed ecumenica dei diversi aspetti riguardanti la Chiesa intesa come Comunione, con la presente Lettera, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha creduto opportuno richiamare brevemente e chiarire, ove necessario, alcuni degli elementi fondamentali che debbono essere ritenuti punti fermi, anche nell'auspicato lavoro d'approfondimento teologico.

I

LA CHIESA, MISTERO DI COMUNIONE

3. Il concetto di comunione sta « nel cuore dell'autoconoscenza della Chiesa(4), in quanto Mistero dell'unione personale di ogni uomo con la Trinità divina e con gli altri uomini, iniziata dalla fede(5), ed orientata alla pienezza escatologica nella Chiesa celeste, per quanto già incoativamente una realtà nella Chiesa sulla terra(6).

Affinché il concetto di comunione, che non è univoco, possa servire come chiave interpretativa dell'ecclesiologia, dev'essere inteso all'interno dell'insegnamento biblico e della tradizione patristica, nelle quali la comunione implica sempre una duplice dimensione: verticale(comunione con Dio) ed orizzontale (comunione tra gli uomini). E' essenziale alla visione cristiana della comunione riconoscerla innanzitutto come dono di Dio, come frutto dell'iniziativa divina compiuta nel mistero pasquale. La nuova relazione tra l'uomo e Dio, stabilita in Cristo e comunicata nei sacramenti, si estende anche ad una nuova relazione degli uomini tra di loro. Di conseguenza, il concetto di comunione dev'essere in grado di esprimere anche la natura sacramentale della Chiesa mentre « siamo in esilio lontano dal Signore(7), così come la peculiare unità che fa dei fedeli le membra di un medesimo Corpo, il Corpo mistico di Cristo(8), una comunità organicamente strutturata(9), « un popolo adunato dall'unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo(10), fornito anche dei mezzi adatti per l'unione visibile e sociale(11).

4. La comunione ecclesiale è allo stesso tempo invisibile e visibile. Nella sua realtà invisibile, essa è comunione di ogni uomo con il Padre per Cristo nello Spirito Santo, e con gli altri uomini compartecipi nella natura divina(12), nella passione di Cristo(13), nella stessa fede(14), nello stesso spirito(15). Nella Chiesa sulla terra, tra questa comunione invisibile e la comunione visibile nella dottrina degli Apostoli, nei sacramenti e nell'ordine gerarchico, vi è un intimo rapporto. In questi divini doni, realtà ben visibili, Cristo in vario modo esercita nella storia la Sua funzione profetica, sacerdotale e regale per la salvezza degli uomini(16). Questo rapporto tra gli elementi invisibili e gli elementi visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come Sacramento di salvezza.

Da tale sacramentalità deriva che la Chiesa non è una realtà ripiegata su se stessa bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il mistero di comunione che la costituisce: a raccogliere tutti e tutto in Cristo(17); ad essere per tutti « sacramento inseparabile di unit(18).

5. La comunione ecclesiale, nella quale ognuno viene inserito dalla fede e dal Battesimo(19), ha la sua radice ed il suo centro nella Santa Eucaristia. Infatti, il Battesimo è incorporazione in un corpo edificato e vivificato dal Signore risorto mediante l'Eucaristia, in modo tale che questo corpo può essere chiamato veramente Corpo di Cristo. L'Eucaristia è fonte e forza creatrice di comunione tra i membri della Chiesa proprio perché unisce ciascuno di essi con lo stesso Cristo: « nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente al Corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: ?Perché c'è un solo pane, un solo corpo siamo noi, quantunque molti, noi che partecipiamo tutti a un unico pane' (1 Cor 10, 17)(20).

Perciò l'espressione paolina la Chiesa è il Corpo di Cristo significa che l'Eucaristia, nella quale il Signore ci dona il suo Corpo e ci trasforma in un solo Corpo(21), è il luogo dove permanentemente la Chiesa si esprime nella sua forma più essenziale: presente in ogni luogo e, tuttavia, soltanto una, così come uno è Cristo.

6. La Chiesa è Comunione dei santi, secondo l'espressione tradizionale che si trova nelle versioni latine del Simbolo apostolico a partire dalla fine del IV secolo(22). La comune partecipazione visibile ai beni della salvezza (le cose sante), specialmente all'Eucaristia, è radice della comunione invisibile tra i partecipanti (i santi). Questa comunione comporta una spirituale solidarietà tra i membri della Chiesa, in quanto membra di un medesimo Corpo(23), e tende alla loro effettiva unione nella carità costituendo « un solo cuore ed una sola anima(24). La comunione tende pure all'unione nella preghiera(25), ispirata in tutti da un medesimo Spirito(26), lo Spirito Santo « che riempie ed unisce tutta la Chiesa(27).

Questa comunione, nei suoi elementi invisibili, esiste non solo tra i membri della Chiesa pellegrinante sulla terra, ma anche tra essi e tutti coloro che, passati da questo mondo nella grazia del Signore, fanno parte della Chiesa celeste o saranno incorporati ad essa dopo la loro piena purificazione(28). Ciò significa, tra l'altro, che esiste una mutua relazione tra la Chiesa pellegrina sulla terra e la Chiesa celeste nella missione storico-salvifica. Ne consegue l'importanza ecclesiologica non solo dell'intercessione di Cristo a favore delle sue membra(29), ma anche di quella dei santi e, in modo eminente, della Beata Vergine Maria(30). L'essenza della devozione ai santi, così presente nella pietà del popolo cristiano, risponde perciò alla profonda realtà della Chiesa come mistero di comunione.

II

CHIESA UNIVERSALE E CHIESE PARTICOLARI

7. La Chiesa di Cristo, che nel Simbolo confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica, è la Chiesa universale, vale a dire l'universale comunità dei discepoli del Signore(31), che si fa presente ed operante nella particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi. Tra queste molteplici espressioni particolari della presenza salvifica dell'unica Chiesa di Cristo, fin dall'epoca apostolica si trovano quelle che in se stesse sono Chiese(32), perché, pur essendo particolari, in esse si fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali(33). Sono perciò costituite « a immagine della Chiesa universale(34), e ciascuna di esse è « una porzione del Popolo di Dio affidata alle cure pastorali del Vescovo coadiuvato dal suo presbiterio(35).

8. La Chiesa universale è perciò il Corpo delle Chiese(36), per cui è possibile applicare in modo analogico il concetto di comunione anche all'unione tra le Chiese particolari, ed intendere la Chiesa universale come una Comunione di Chiese. A volte, però, l'idea di « comunione di Chiese particolari », è presentata in modo da indebolire, sul piano visibile ed istituzionale, la concezione dell'unità della Chiesa. Si giunge così ad affermare che ogni Chiesa particolare è un soggetto in se stesso completo e che la Chiesa universale risulta dalriconoscimento reciproco delle Chiese particolari. Questa unilateralità ecclesiologica, riduttiva non solo del concetto di Chiesa universale ma anche di quello di Chiesa particolare, manifesta un'insufficiente comprensione del concetto di comunione. Come la stessa storia dimostra, quando una Chiesa particolare ha cercato di raggiungere una propria autosufficienza, indebolendo la sua reale comunione con la Chiesa universale e con il suo centro vitale e visibile, è venuta meno anche la sua unità interna e, inoltre, si è vista in pericolo di perdere la propria libertà di fronte alle forze più diverse di asservimento e di sfruttamento(37).

9. Per capire il vero senso dell'applicazione analogica del termine comunione all'insieme delle Chiese particolari, è necessario innanzitutto tener conto che queste, per quanto « parti dell'unica Chiesa di Cristo(38), hanno con il tutto, cioè con la Chiesa universale, un peculiare rapporto di « mutua interiorit(39), perché in ogni Chiesa particolare « è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica(40). Perciò, « la Chiesa universale non può essere concepita come la somma delle Chiese particolari né come una federazione di Chiese particolari(41). Essa non è il risultato della loro comunione, ma, nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singolaChiesa particolare.

Infatti, ontologicamente, la Chiesa-mistero, la Chiesa una ed unica secondo i Padri precede la creazione(42), e partorisce le Chiese particolari come figlie, si esprime in esse, è madre e non prodotto delle Chiese particolari. Inoltre, temporalmente, la Chiesa si manifesta nel giorno di Pentecoste nella comunità dei centoventi riuniti attorno a Maria e ai dodici Apostoli, rappresentanti dell'unica Chiesa e futuri fondatori delle Chiese locali, che hanno una missione orientata al mondo: già allora la Chiesa parla tutte le lingue(43).

Da essa, originata e manifestatasi universale, hanno preso origine le diverse Chiese locali, come realizzazioni particolari dell'una ed unica Chiesa di Gesù Cristo. Nascendo nella e dallaChiesa universale, in essa e da essa hanno la loro ecclesialità. Perciò, la formula del Concilio Vaticano II: La Chiesa nelle e a partire dalle Chiese (Ecclesia in et ex Ecclesiis)(44), è inseparabile da quest'altra: Le Chiese nella e a partire dalla Chiesa (Ecclesiae in et ex Ecclesia)(45). E' evidente la natura misterica di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari, che non è paragonabile a quello tra il tutto e le parti in qualsiasi gruppo o società puramente umana.

10. Ogni fedele, mediante la fede e il Battesimo, è inserito nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Non si appartiene alla Chiesa universale in modo mediatoattraversol'appartenenza ad una Chiesa particolare, ma in modo immediato, anche se l'ingresso e la vita nella Chiesa universale si realizzano necessariamente in una particolare Chiesa. Nella prospettiva della Chiesa intesa come comunione, l'universale comunione dei fedeli e lacomunione delle Chiese non sono dunque l'una conseguenza dell'altra, ma costituiscono la stessa realtà vista da prospettive diverse.

Inoltre, l'appartenenza ad una Chiesa particolare non è mai in contraddizione con la realtà chenella Chiesa nessuno è straniero(46): specialmente nella celebrazione dell'Eucaristia, ogni fedele si trova nella sua Chiesa, nella Chiesa di Cristo, a prescindere dalla sua appartenenza o meno, dal punto di vista canonico, alla diocesi, parrocchia o altra comunità particolare dove ha luogo tale celebrazione. In questo senso, ferme restando le necessarie determinazioni di dipendenza giuridica(47), chi appartiene ad una Chiesa particolare appartiene a tutte le Chiese; poiché l'appartenenza alla Comunione, come appartenenza alla Chiesa, non è mai soltanto particolare, ma per sua stessa natura è sempre universale(48).




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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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III


COMUNIONE DELLE CHIESE, EUCARISTIA ED EPISCOPATO



11. L'unità o comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale, oltre che nella stessa fede e nel comune Battesimo, è radicata soprattutto nell'Eucaristia e nell'Episcopato.


E' radicata nell'Eucaristia perché il Sacrificio eucaristico, pur celebrandosi sempre in una particolare comunità, non è mai celebrazione di quella sola comunità: essa, infatti, ricevendo la presenza eucaristica del Signore, riceve l'intero dono della salvezza e si manifesta così, pur nella sua perdurante particolarità visibile, come immagine e vera presenza della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica(49).


La riscoperta di un'ecclesiologia eucaristica, con i suoi indubbi valori, si è tuttavia espressa a volte in accentuazioni unilaterali del principio della Chiesa locale. Si afferma che dove si celebra l'Eucaristia, si renderebbe presente la totalità del mistero della Chiesa in modo da ritenere non- essenziale qualsiasi altro principio di unità e di universalità. Altre concezioni, sotto influssi teologici diversi, tendono a radicalizzare ancora di più questa prospettiva particolare della Chiesa, al punto da ritenere che sia lo stesso riunirsi nel nome di Gesù (cf. Mt18, 20) a generare la Chiesa: l'assemblea che nel nome di Cristo diventa comunità, porterebbe in sé i poteri della Chiesa, anche quello relativo all'Eucaristia; la Chiesa, come alcuni dicono, nascerebbe « dal basso ». Questi ed altri errori simili non tengono in sufficiente conto che è proprio l'Eucaristia a rendere impossibile ogni autosufficienza della Chiesa particolare. Infatti, l'unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l'unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile. Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni Chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nelle braccia aperte del Signore ne consegue l'inserimento nel suo Corpo, unico ed indiviso. Anche per questo, l'esistenza del ministero Petrino, fondamento dell'unità dell'Episcopato e della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l'indole eucaristica della Chiesa.


12. Infatti, l'unità della Chiesa è pure radicata nell'unità dell'Episcopato(50). Come l'idea stessa di Corpo delle Chiese richiama l'esistenza di una Chiesa Capo delle Chiese, che è appunto la Chiesa di Roma, che « presiede alla comunione universale della carit(51), così l'unità dell'Episcopato comporta l'esistenza di un Vescovo Capo del Corpo o Collegio dei Vescovi, che è il Romano Pontefice(52). Dell'unità dell'Episcopato, come dell'unità dell'intera Chiesa, « il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è perpetuo e visibile principio e fondamento(53). Questa unità dell'Episcopato si perpetua lungo i secoli mediante lasuccessione apostolica, ed è fondamento anche dell'identità della Chiesa di ogni tempo con la Chiesa edificata da Cristo su Pietro e sugli altri Apostoli(54).


13. Il Vescovo è principio e fondamento visibile dell'unità nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale(55), ma affinché ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita a immagine della Chiesa universale, in essa dev'essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa: il Collegio episcopale « insieme con il suo Capo il Romano Pontefice, e mai senza di esso(56). Il Primato del Vescovo di Roma ed il Collegio episcopale sono elementi propri della Chiesa universale « non derivati dalla particolarità delle Chiese(57), ma tuttavia interiori ad ogni Chiesa particolare. Pertanto, « dobbiamo vedere il ministero del Successore di Pietro, non solo come un servizio "globale" che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'"esterno", ma come già appartenente all'essenza di ogni Chiesa particolare dal "di dentro" ».(58) Infatti, il ministero del Primato comporta essenzialmente una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena ed universale, ma anche immediata, su tutti, sia Pastori che altri fedeli(59). L'essere il ministero del Successore di Pietro interiore ad ogni Chiesa particolare è espressione necessaria di quella fondamentale mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare(60).


14. Unità dell'Eucaristia ed unità dell'Episcopato con Pietro e sotto Pietro non sono radici indipendenti dell'unità della Chiesa, perché Cristo ha istituito l'Eucaristia e l'Episcopato come realtà essenzialmente vincolate(61). L'Episcopato è uno così come una è l'Eucaristia: l'unico Sacrificio dell'unico Cristo morto e risorto. La liturgia esprime in vari modi questa realtà, manifestando, ad esempio, che ogni celebrazione dell'Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l'ordine episcopale, con tutto il clero e con l'intero popolo(62). Ogni valida celebrazione dell'Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l'intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama, come nel caso delle Chiese cristiane separate da Roma(63).



IV


UNITA' E DIVERSITA' NELLA COMUNIONE ECCLESIALE



15. « L'universalità della Chiesa, da una parte, comporta la più solida unità e, dall'altra, unapluralità e una diversificazione, che non ostacolano l'unità, ma le conferiscono invece il carattere di ?comunione(64). Questa pluralità si riferisce sia alla diversità di ministeri, carismi, forme di vita e di apostolato all'interno di ogni Chiesa particolare, sia alla diversità di tradizioni liturgiche e culturali, tra le diverse Chiese particolari(65).


La promozione dell'unità che non ostacola la diversità, così come il riconoscimento e la promozione di una diversificazione che non ostacola l'unità ma la arricchisce, è compito primordiale del Romano Pontefice per tutta la Chiesa(66) e, salvo il diritto generale della stessa Chiesa, di ogni Vescovo nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale(67). Ma l'edificazione e salvaguardia di questa unità, alla quale la diversificazione conferisce il carattere di comunione, è anche compito di tutti nella Chiesa, perché tutti sono chiamati a costruirla e rispettarla ogni giorno, soprattutto mediante quella carità che è « il vincolo della perfezione(68).


16. Per una visione più completa di questo aspetto della comunione ecclesiale -unità nella diversità-, è necessario considerare che esistono istituzioni e comunità stabilite dall'Autorità Apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono ed operano. Tale appartenenza alle Chiese particolari, con la flessibilità che le è propria,(69), trova diverse espressioni giuridiche. Ciò non solo non intacca l'unità della Chiesa particolare fondata nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a quest'unità l'interiore diversificazione propria della comunione(70).


Nel contesto della Chiesa intesa come comunione, vanno considerati pure i molteplici istituti e società, espressione dei carismi di vita consacrata e di vita apostolica, con i quali lo Spirito Santo arricchisce il Corpo Mistico di Cristo: pur non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa, appartengono alla sua vita e alla sua santit(71).


Per il loro carattere sovradiocesano, radicato nel ministero Petrino, tutte queste realtà ecclesiali sono anche elementi al servizio della comunione tra le diverse Chiese particolari.



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V

COMUNIONE ECCLESIALE ED ECUMENISMO

17. « Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano la fede integrale o non conservano l'unità della comunione sotto il Successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni unita(72). Nelle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche esistono infatti molti elementi della Chiesa di Cristo che permettono di riconoscere con gioia e speranza una certa comunione, sebbene non perfetta(73).

Tale comunione esiste specialmente con le Chiese orientali ortodosse: per quanto separate dalla Sede di Pietro, esse restano unite alla Chiesa Cattolica per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e l'Eucaristia valida, e meritano perciò il titolo di Chiese particolari(74). Infatti, « con la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce(75), poichè in ogni valida celebrazione dell'Eucaristia si fa veramente presente la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica(76).

Siccome però la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro, non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni, la situazione di quelle venerabili comunità cristiane implica anche una ferita nel loro essere Chiesa particolare. La ferita è ancora molto più profonda nelle comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e l'Eucaristia valida. Ciò, d'altra parte, comporta pure per la Chiesa Cattolica, chiamata dal Signore a diventare per tutti « un solo gregge e un solo pastore(77), una ferita in quanto ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia.

18. Questa situazione richiama fortemente tutti all'impegno ecumenico verso la piena comunione nell'unità della Chiesa; quell'unità « che Cristo fin dall'inizio donò alla sua Chiesa e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa Cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli(78). In questo impegno ecumenico, hanno un'importanza prioritaria la preghiera, la penitenza, lo studio, il dialogo e la collaborazione, affinché in una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma, e vedere realizzato il ministero petrino, come è inteso dal Signore, quale universale servizio apostolico, che è presente in tutte le Chiese dall'interno di esse e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia.

CONCLUSIONE

19. La Beata Vergine Maria è modello della comunione ecclesiale nella fede, nella carità e nell'unione con Cristo(79). « Eternamente presente nel mistero di Cristo(80), Ella è, in mezzo agli Apostoli, nel cuore stesso della Chiesa nascente(81) e della Chiesa di tutti i tempi. Infatti,« la Chiesa fu congregata nella parte alta (del cenacolo) con Maria, che era la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui. Non si può dunque, parlare di Chiesa se non vi è presente Maria, la madre del Signore, con i fratelli di lui(82).

Nel concludere questa Lettera, la Congregazione per la Dottrina della Fede, riecheggiando le parole finali della Costituzione Lumen gentium(83), invita tutti i Vescovi e, tramite loro, tutti i fedeli, specialmente i teologi, ad affidare all'intercessione della Beata Vergine il loro impegno di comunione e di riflessione teologica sulla comunione.

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 28 maggio 1992.

Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

+ Alberto Bovone
Arciv. Tit. di Cesarea di Numidia
Segretario


(1) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 4, 8, 13-15, 18, 21, 24-25; Costit. dogm. Dei Verbum, n. 10; Costit. past. Gaudium et spes, n. 32; Decr. Unitatis redintegratio, nn. 2-4, 14-15, 17-19, 22.

(2) Cf. Sinodo dei Vescovi, II Assemblea straordinaria (1985), Relatio finalis, II, C), 1.

(3) Paolo VI, Discorso di apertura del secondo periodo del Conc. Vaticano II, 29-IX-1963:AAS 55 (1963) 848. Cf., ad esempio, le prospettive di approfondimento indicate dalla Commissione Teologica Internazionale, in « Themata selecta de ecclesiologia »: Documenta (1969-1985), Lib. Ed. Vaticana 1988, pp. 462-559.

(4) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 1:Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 553.

(5) 1 Gv 1, 3: « Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo ». Cf. anche 1 Cor 1, 9; Giovanni Paolo II, Esort. apost. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 19: AAS 81 (1989) 422-424; Sinodo dei Vescovi (1985), Relatio finalis, II, C), 1.

(6) Cf. Fil 3, 20-21; Col 3, 1-4; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 48.

(7) 2 Cor 5, 6. Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 1.

(8) Cf. ibidem, n. 7; Pio XII, Encicl. Mystici Corporis, 29-VI-1943: AAS 35 (1943) 200ss.

(9) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 11 § 1.

(10) S. Cipriano, De Oratione Dominica, 23: PL 4, 553; cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 4 § 2.

(11) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 9 § 3.

(12) Cf. 2 Pt 1, 4.

(13) Cf. 2 Cor 1, 7.

(14) Cf. Ef 4, 13; Filem 6.

(15) Cf. Fil 2, 1.

(16) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 25-27.

(17) Cf. Mt 28, 19-20; Gv 17, 21-23; Ef 1, 10; Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 9 § 2, 13 e 17; Decr. Ad gentes, nn. 1 e 5; S. Ireneo, Adversus haereses, III, 16, 6 e 22, 1-3: PG 7, 925-926 e 955-958.

(18) S. Cipriano, Epist. ad Magnum, 6: PL 3, 1142.

(19) Ef 4, 4-5: « Un solo corpo e un solo Spirito, come con la vostra vocazione siete stati chiamati a una sola speranza. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo ». Cf. ancheMc 16, 16.

(20) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 7 § 2. L'Eucaristia è il sacramento « mediante il quale nel tempo presente si consocia la Chiesa » (S. Agostino, Contra Faustum, 12, 20: PL 42, 265). « La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo » (S. Leone Magno, Sermo 63, 7: PL 54, 357).

(21) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 3 e 11 § 1; S. Giovanni Crisostomo, In 1 Cor. hom., 24, 2: PG 61, 200.

(22) Cf. Denz.-Schön. 19; 25-30.

(23) Cf. 1 Cor 12, 25-27; Ef 1, 22-23; 3, 3-6.

(24) At 4, 32.

(25) Cf. At 2, 42.

(26) Cf. Rm 8, 15-16.26; Gal 4, 6; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 4.

(27) S. Tommaso D'Aquino, De Veritate, q. 29, a. 4 c. Infatti, « innalzato sulla croce e glorificato, il Signore Gesù comunicò lo Spirito promesso, per mezzo del quale chiamò e riunì nell'unità della fede, della speranza e della carità il popolo della Nuova Alleanza, che è la Chiesa » (Decr. Unitatis redintegratio, n. 2 § 2).

(28) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 49.

(29) Cf. Eb 7, 25.

(30) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 50 e 66.

(31) Cf. Mt 16, 18; 1 Cor 12, 28.

(32) Cf. At 8, 1; 11, 22; 1 Cor 1, 2; 16, 19; Gal 1, 22; Ap 2, 1.8.

(33) Cf. Pontificia Commissione Biblica, Unité et diversité dans l'Eglise, Lib. Ed. Vaticana 1989, specialmente, pp. 14-28.

(34) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1; cf. Decr. Ad gentes, n. 20 § 1.

(35) Decr. Christus Dominus, n. 11 § 1.

(36) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 2. Cf. S. Ilario di Poitiers, In Psalm., 14, 3: PL 9, 301; S. Gregorio Magno, Moralia, IV, 7, 12: PL 75, 643.

(37) Cf. Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 64 § 2: AAS 68 (1976) 54-55.

(38) Decr. Christus Dominus, n. 6 § 3.

(39) Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(40) Decr. Christus Dominus, n. 11 § 1.

(41) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 3:Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 555.

(42) Cf. S. Clemente Romano, Epist. II ad Cor., 14, 2: Funck, 1, 200; Pastore di Erma, Vis. 2, 4: PG 2, 897- 900.

(43) Cf. At 2, 1ss. S. Ireneo, Adversus haereses, III, 17, 2 (PG 7, 929-930): « nella Pentecoste (...) tutte le nazioni (...) sarebbero diventate un mirabile coro per intonare l'inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio Padre ». Cf. anche S. Fulgenzio di Ruspe, Sermo 8 in Pentecoste, 2-3: PL 65, 743-744.

(44) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1: « [le Chiese particolari]... nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica ». Questa dottrina sviluppa nella continuità quanto già affermato prima, ad esempio da Pio XII, Encicl. Mystici CorporisAAS 35 (1943) 211: « ...a partire dalle quali esiste ed è composta la Chiesa Cattolica ».

(45) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(46) Cf. Gal 3, 28.

(47) Cf., ad esempio, C.I.C., can. 107.

(48) S. Giovanni Crisostomo, In Ioann. hom., 65, 1 (PG 59, 361): « chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra ». Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 2.

(49) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 26 § 1; S. Agostino, In Ioann. Ev. Tract., 26, 13: PL 35, 1612-1613.

(50) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 18 § 2, 21 § 2, 22 § 1. Cf. anche S. Cipriano, De unitate Ecclesiae, 5: PL 4, 516-517; S. Agostino, In Ioann. Ev. Tract., 46, 5: PL 35, 1730.

(51) S. Ignazio D'Antiochia, Epist. ad Rom., prol.: PG 5, 685; cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 3.

(52) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 22 § 2.

(53) Ibidem, n. 23 § 1. Cf. Costit. dogm. Pastor aeternus: Denz.-Schön. 3051-3057; S. Cipriano, De unitate Ecclesiae, 4: PL 4, 512-515.

(54) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 20; S. Ireneo, Adversus haereses, III, 3, 1-3: PG 7, 848-849; S. Cipriano, Epist. 27, 1: PL 4, 305-306; S. Agostino, Contra advers. legis et prophet., 1, 20, 39: PL 42, 626.

(55) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 1.

(56) Ibidem, n. 22 § 2; cf. anche n. 19.

(57) Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20-XII-1990, n. 9: AAS 83 (1991) 745-747.

(58) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, 16-IX-1987, n. 4:Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 (1987) 556.

(59) Cf. Costit. dogm. Pastor aeternus, cap. 3: Denz-Schön 3064; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 22 § 2.

(60) Cf. supra, n. 9.

(61) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 26; S. Ignazio D'Antiochia, Epist. ad Philadel., 4: PG 5, 700; Epist. ad Smyrn., 8: PG 5, 713.

(62) Cf. Messale Romano, Preghiera Eucaristica III.

(63) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 8 § 2.

(64) Giovanni Paolo II, Discorso nell'Udienza generale, 27-IX-1989, n. 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII,2 (1989) 679.

(65) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 23 § 4.

(66) Cf. ibidem, n. 13 § 3.

(67) Cf. Decr. Christus Dominus, n. 8 § 1.

(68) Col 3, 14. S. Tommaso D'Aquino, Exposit. in Symbol. Apost., a. 9: « La Chiesa è una (...) dall'unità della carità, perché tutti sono connessi nell'amore di Dio, e tra di loro nell'amore mutuo ».

(69) Cf. supra, n. 10.

(70) Cf. supra, n. 15.

(71) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 44 § 4.

(72) Costit. dogm. Lumen gentium, n. 15.

(73) Cf. Decr. Unitatis redintegratio, nn. 3 § 1 e 22; Costit. dogm. Lumen gentium, n. 13 § 4.

(74) Cf. Decr. Unitatis redintegratio, nn. 14 e 15 § 3.

(75) Ibidem, n. 15 § 1.

(76) Cf. supra, nn. 5 e 14.

(77) Gv 10, 16.

(78) Decr. Unitatis redintegratio, n. 4 § 3.

(79) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, nn. 63 e 68; S. Ambrogio, Exposit. in Luc., 2, 7: PL 15, 1555; S. Isacco di Stella, Sermo 27: PL 194, 1778-1779; Ruperto di Deutz, De Vict. Verbi Dei, 12, 1: PL 169, 1464-1465.

(80) Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptoris Mater, 25-III-1987, n. 19: AAS 79 (1987) 396.

(81) Cf. At 1, 14; Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptoris Mater, 25-III-1987, n. 26: AAS 79 (1987) 396.

(82) S. Cromazio di Aquileia, Sermo 30, 1: Sources Chrétiennes 1 64, p. 134. Cf. Paolo VI, Esort apost. Marialis cultus, 2-II-1974, n. 28: AAS 66 (1974) 141.

(83) Cf. Costit. dogm. Lumen gentium, n. 69.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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