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Negli studi del giovane Ratzinger sacerdote teologo, vescovo e cardinale...

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2012 16:59
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Negli studi del giovane Ratzinger

La Rivelazione come in una «disputatio» medievale


Le ricerche di Joseph Ratzinger sono sempre state profondamente legate alla riflessione teologica del suo tempo, come emerge già dall'autobiografico Aus meinem Leben. Erinnerungen (1927-1977), uscito nel 1998 ma pubblicato l'anno precedente in traduzione italiana, e come ha ricostruito Gianni Valente in una serie di articoli su "30Giorni" e poi nel volume Ratzinger professore (2008).

L'indagine su "popolo e casa di Dio in sant'Agostino" - suggerita al giovane chierico dall'ordinario di Teologia fondamentale nella facoltà teologica dell'università di Monaco di Baviera, Gottlieb Söhngen (1892-1971), e condotta tra il 1950 e il 1951 - nasceva dal dibattito ecclesiologico che attraversa la prima metà del Novecento e cercava strade nuove dopo la riproposizione, nella Mystici corporis (1943) di Pio xii, del concetto di "corpo mistico" come descrizione della natura teologica della Chiesa.

Similmente, il tema scelto per la tesi di abilitazione alla libera docenza universitaria s'inseriva nella riflessione teologica di lingua tedesca negli anni Cinquanta sulla categoria di storia della salvezza. Ancora su suggerimento di Söhngen, il giovane Ratzinger si ripromise di indagare la prospettiva di san Bonaventura sulla Rivelazione, per scoprire eventuali corrispondenze con la categoria di "storia della salvezza" al centro degli interessi della ricerca teologica contemporanea.

Il lavoro fu ultimato e consegnato nell'autunno 1955; correlatore della tesi era ex officio Michael Schmaus (1897-1993), allora ordinario di Teologia sistematica e medievalista insigne della facoltà teologica, che si rivelò subito aspramente critico del lavoro, non senza l'interferenza di motivi personali (era nota la sua rivalità con Söhngen). Il consiglio di facoltà rinviò dunque l'elaborato a Ratzinger con l'invito a tener conto delle osservazioni di Schmaus; ma una revisione completa secondo le sue indicazioni avrebbe richiesto molto, troppo tempo, pregiudicando l'impegno di Ratzinger come docente universitario.

Fu allora che si profilò una soluzione:  la parte finale della tesi, dedicata alla teologia della storia di Bonaventura, aveva superato quasi indenne le critiche di Schmaus; pur collegata al resto della tesi, essa rappresentava una ricerca a sé stante ed era ricca di "materiale esplosivo", perché il giovane Ratzinger vi mostrava il profondo legame bonaventuriano con la teologia della storia di Gioacchino da Fiore, le cui infiltrazioni nel movimento francescano il ministro generale aveva pur combattuto con energia e decisione. Ratzinger presentò così per l'esame dell'abilitazione solo la parte finale della sua ricerca, dopo avervi apportato i necessari ritocchi durante l'estate del 1956.
Nel febbraio 1957 il consiglio di facoltà accettò il lavoro, pubblicamente difeso il 21 di quel mese dal teologo, non ancora trentenne, in una memorabile seduta che richiamò, anche per il confronto fra Schmaus e Söhngen, il clima di una accesa disputatio medievale. Il 1° gennaio 1958 Ratzinger fu nominato libero docente dell'università di Monaco e l'anno seguente l'editore Schnell & Steiner diede alle stampe Die Geschichtstheologie des heiligen Bonaventura, tradotto in inglese (1971), francese (1988) e italiano (1991, 2008).

A mezzo secolo di distanza, vede ora la luce la tesi integrale sul concetto di Rivelazione e sulla teologia della storia in Bonaventura, una novità assoluta e da tempo attesa. (paolo vian)





                      Pope Benedict XVI blesses pilgrimes as he celebrates the Angelus prayer from the balcony of his summer residence in Castelgandolfo near Rome on September 13, 2009.


Presentato il secondo volume delle «Gesammelte Schriften» di Joseph Ratzinger

Bonaventura e la storia della salvezza



È una vera e propria editio princeps - cioè una prima edizione - il secondo volume delle Gesammelte Schriften di Joseph Ratzinger, edite a cura di Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Ratisbona e splendidamente realizzate da Herder. Dopo la Theologie der Liturgie. Die sakramentale Begründung christlicher Existenz uscita nel 2008, è stato infatti appena pubblicato, per la prima volta, il testo integrale della grande tesi di abilitazione alla docenza che il giovane Ratzinger dedicò alla comprensione della Rivelazione e alla teologia della storia di san Bonaventura (Offenbarungsverständnis und Geschichtstheologie Bonaventuras). Dedicato con "gratitudine" al fratello monsignor Georg Ratzinger nel suo ottantacinquesimo compleanno, il volume è stato presentato all'autore domenica 13 a Castel Gandolfo dal vescovo Müller insieme alla curatrice Marianne Schlosser e ad altri membri dell'Institut Papst Benedikt XVI. di Ratisbona e lunedì 14 a Ratisbona a monsignor Ratzinger. Del volume pubblichiamo, in una nostra traduzione, il testo che Benedetto XVI ha voluto premettervi per introdurlo. 


Libri di Razinger Dopo la pubblicazione dei miei scritti sulla liturgia segue ora nell'edizione generale delle mie opere un libro con studi sulla teologia del grande francescano e Dottore della Chiesa Bonaventura Fidanza. Fin dall'inizio è stato evidente che quest'opera avrebbe contenuto anche i miei studi sul concetto di Rivelazione nel santo, condotti assieme all'interpretazione della sua teologia della storia, negli anni 1953-1955, ma finora inediti.

Per completare tutto questo lavoro il manoscritto avrebbe dovuto essere rivisto e corretto secondo le moderne modalità editoriali, cosa che io non mi sono sentito in grado di fare. La professoressa Marianne Schlosser di Vienna, profonda conoscitrice della teologia medievale e in particolare delle opere di san Bonaventura, si è degnamente offerta di svolgere tale lavoro necessario e di certo non facile. Per questo non posso che ringraziarla di tutto cuore. Discutendo del progetto ci siamo subito trovati d'accordo che non si sarebbe tentato di rielaborare il libro dal punto di vista contenutistico e di portare la ricerca allo stato attuale.

Più di mezzo secolo dopo la stesura del testo, questo avrebbe significato in pratica scrivere un nuovo libro. Inoltre desideravo fosse un'edizione "storica", che offrisse così com'era un testo concepito in un lontano passato, lasciando alla ricerca la possibilità di trarne utilità anche oggi. Della cura editoriale svolta tratta l'introduzione della professoressa Schlosser, che con i suoi collaboratori ha investito molto tempo e molto impegno dedicato all'allestimento di un'edizione storica del testo, confidando nel fatto che teologicamente e storicamente valesse la pena renderlo accessibile a tutti nella sua interezza.

Nella seconda parte del libro viene nuovamente presentata la Teologia della storia di san Bonaventura come fu pubblicata nel 1959. san Bonaventura

I saggi che seguono sono tratti, con poche eccezioni, dallo studio sull'interpretazione della Rivelazione e della teologia della storia. In alcuni casi sono stati adattati per poter costituire un testo in sé completo, modificandoli leggermente secondo il contesto. L'idea di aggiornare il manoscritto e presentarlo come libro al pubblico, dovetti abbandonarla temporaneamente assieme al progetto di uno studio commentato dell'Hexaëmeron, perché l'attività di esperto conciliare e le esigenze della mia docenza accademica erano così impegnative  da  rendere  impensabile la ricerca medievalistica. Nel periodo postconciliare la situazione teologica mutata e la nuova situazione nell'università tedesca mi assorbirono così tanto che rimandai il lavoro su Bonaventura al periodo successivo al pensionamento. Nel frattempo il Signore mi ha condotto lungo altre vie e così il libro viene pubblicato ora nella sua forma presente. Auspico che altri possano svolgere il compito di commentare l'Hexaëmeron.
 

In un primo momento l'esposizione del tema dell'opera potrebbe apparire sorprendente e di fatto lo è. Dopo la mia tesi sul concetto di Chiesa di sant'Agostino, il mio maestro Gottlieb Söhngen mi propose di dedicarmi al medioevo e in particolare alla figura di san Bonaventura, che fu il più significativo rappresentante della corrente agostiniana nella teologia medievale. Per quanto riguarda il contenuto ho dovuto affrontare la seconda importante questione di cui si occupa la teologia fondamentale, ovvero il tema della Rivelazione. A quel tempo, in particolare a motivo della celebre opera di Oscar Cullmann Christus und die Zeit (Zürich, 1946), il tema della storia della salvezza, specialmente il suo rapporto con la metafisica, era diventato il punto focale dell'interesse teologico. Se la Rivelazione nella teologia neoscolastica era stata intesa essenzialmente come trasmissione divina di misteri, che restano inaccessibili all'intelletto umano, oggi la Rivelazione viene considerata una manifestazione di sé da parte di Dio in un'azione storica e la storia della salvezza viene vista come elemento centrale della Rivelazione. Mio compito era quello di cercare di scoprire come Bonaventura avesse inteso la Rivelazione e se per lui esistesse qualcosa di simile a un'idea di "storia della salvezza".

È stato un compito difficile. La teologia medievale non possiede alcun trattato de revelatione ("sulla Rivelazione") come invece accade nella teologia moderna. Inoltre, dimostrai subito che la teologia medievale non conosce neanche un termine per esprimere da un punto di vista contenutistico il nostro moderno concetto di Rivelazione. La parola revelatio, che è comune alla neoscolastica e alla teologia medievale, non significa, come si è andato evidenziando, la stessa cosa nella teologia medievale e in quella moderna. Per questo ho dovuto cercare le risposte alla mia impostazione del problema in altre forme linguistiche e di pensiero e addirittura modificarla rispetto a quando mi ero avvicinato all'opera di Bonaventura. Innanzitutto bisognava condurre difficili ricerche sul suo linguaggio. Ho dovuto accantonare i nostri concetti per capire cosa Bonaventura intendesse per Rivelazione. In ogni caso si è dimostrato che il contenuto concettuale di Rivelazione si adattava a un gran numero di concetti:  revelatio, manifestatio, doctrina, fides, e così via. Soltanto una visione d'insieme di questi concetti e delle loro asserzioni fa comprendere l'idea di Rivelazione in Bonaventura. 


Benedetto XVI Il fatto che nella dottrina medievale non esistesse alcun concetto di "storia della salvezza" nel senso attuale del termine, è stato chiaro fin dall'inizio. Tuttavia due indizi dimostrano che in Bonaventura era presente il problema della rivelazione come cammino storico. Innanzitutto si è presentata la doppia figura della Rivelazione come Antico e Nuovo Testamento, che ha posto la questione della sintonia fra l'unità della verità e la diversità della mediazione storica posta sin dall'età patristica e poi affrontata anche dai teologi medievali. A questa forma classica della presenza del problema del rapporto tra storia e verità, che Bonaventura condivide con la teologia del suo tempo e che tratta a suo modo, si aggiunge in lui anche la novità del suo punto di vista storico, nel quale la storia, che è proseguimento dell'opera divina, diviene una sfida drammatica.

Gioacchino da Fiore (+ 1202) aveva insegnato un ritmo trinitario della storia. All'età del Padre (Antico Testamento) e all'età del Figlio (Nuovo Testamento, Chiesa) doveva seguire un'età dello Spirito Santo, nella quale con l'osservanza del Discorso della montagna si sarebbero manifestati spirito di povertà, riconciliazione fra greci e latini, riconciliazione fra cristiani ed ebrei, e sarebbe giunto un tempo di pace. Grazie a una combinazione di cifre simboliche l'erudito abate aveva predetto l'inizio di una nuova età nel 1260. Intorno al 1240 il movimento francescano si imbatté in questi scritti che su molti ebbero un effetto elettrizzante:  questa nuova età non era forse iniziata con san Francesco d'Assisi? Per questo motivo all'interno dell'Ordine si venne a creare una tensione drammatica fra "realisti", che volevano utilizzare l'eredità di san Francesco secondo le possibilità concrete della vita dell'Ordine quale era stata tramandata, e "spirituali", che invece puntavano alla novità radicale di un periodo storico nuovo.

Come ministro generale dell'Ordine, Bonaventura dovette affrontare l'enorme sfida di questa tensione, che per lui non era una questione accademica, ma un problema concreto del suo incarico di settimo successore di san Francesco. In questo senso la storia fu improvvisamente tangibile come realtà e come tale dovette essere affrontata con l'azione reale e con la riflessione teologica. Nel mio studio ho cercato di spiegare in che modo Bonaventura affrontò questa sfida e mise in rapporto la "storia della salvezza" con la "Rivelazione".

Dal 1962 non avevo più ripreso in mano lo scritto. Quindi per me è stato entusiasmante rileggerlo dopo così tanto tempo. È chiaro che l'impostazione del problema così come il linguaggio del libro sono influenzati dalla realtà degli anni Cinquanta. Oltre tutto per le ricerche linguistiche non esistevano i mezzi tecnici che abbiamo ora. Per questo motivo l'opera ha i suoi limiti ed è evidentemente influenzata dal periodo storico in cui è stata concepita. Tuttavia, rileggendola ho ricavato l'impressione che le sue risposte siano fondate, sebbene superate in molti dettagli, e che ancora oggi abbiano qualcosa da dire. Soprattutto mi sono reso conto che la questione dell'essenza della Rivelazione e il fatto di riproporla, che è il tema del libro, hanno ancora oggi una loro urgenza, forse anche maggiore che in passato.
 
Al termine di questa prefazione desidero aggiungere al ringraziamento alla professoressa Schlosser anche quello al vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller, che attraverso la fondazione dell'Institut Papst Benedikt XVI. ha reso possibile la pubblicazione di quest'opera e ha seguito, con attiva partecipazione, il processo editoriale dei miei scritti. Ringrazio inoltre i collaboratori dell'Istituto, il professor Rudolf Voderholzer, il dottor Christian Schaller, i signori Franz-Xaver Heibl e Gabriel Weiten. Non da ultimo ringrazio l'editrice Herder, che si è occupata della pubblicazione di questo libro con l'accuratezza che la caratterizza.

Dedico l'opera a mio fratello Georg per il suo ottantacinquesimo compleanno, grato per la comunione di pensiero e di cammino di tutta una vita.

Roma, solennità dell'Ascensione di Cristo 2009.

BENEDETTO XVI


(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2009)


                This handout picture released by the Vatican Press Office on January 17, 2009 shows Pope Benedict XVI (L) greeting his brother, Monsignor Georg Ratzinger,  during a concert by the Regensburger Domspatzen (Regensburg Cathedral Choir) to celebrate Monsignor Ratzinger's 85th birthday in the Sistine Chapel at the Vatican.
               mons. Georg Ratzinger

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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PAPA: AVEVO PENSATO DI TORNARE AGLI STUDI DOPO LA PENSIONE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 15 set.

Joseph Ratzinger intendeva approfondire i suoi studi sulla teologia di San Bonaventura quando finalmente fosse cessato il suo servizio attivo nella Chiesa, prima come docente, poi come arcivescovo e infine come capo dicastero della Curia Romana.
Un obiettivo, dunque, piu' volte rinviato e che ormai non potra' raggiungere.

Per questo ha deciso che i suoi scritti sull'argomento siano pubblicati cosi' come li aveva abbandonati 45 anni fa.
''Nel periodo postconciliare la situazione teologica mutata e la nuova situazione nell'università tedesca mi assorbirono così tanto che rimandai il lavoro su Bonaventura al periodo successivo al pensionamento.
Nel frattempo il Signore mi ha condotto lungo altre vie e cosi' il libro viene pubblicato ora nella sua forma presente''
, scrive il Papa nella prefazione al secondo volume delle ''Gesammelte Schriften di Joseph Ratzinger'', anticipata oggi dall'Osservatore Romano (e qui sopra postata).

Il volume, dedicato al fratello, mons, Georg Ratzinger, e' a cura di Gerhard Ludwig Muller, vescovo di Ratisbona, ed e' pubblicato da Herder grazie al contributo dell'Institut Papst Benedikt XVI pubblichiamo la premessa preparata nella scorsa primavera da Benedetto XVI.

''Dal 1962 - scrive il Papa - non avevo piu' ripreso il manoscritto. Quindi per me e' stato entusiasmante rileggerlo dopo così tanto tempo, e rileggendolo ho ricavato l'impressione che le sue risposte siano fondate, sebbene superate in molti dettagli, e che ancora oggi abbiano qualcosa da dire. Soprattutto mi sono reso conto che la questione dell'essenza della Rivelazione e il fatto di riproporla, che e' il tema del libro, hanno ancora oggi una loro urgenza, forse anche maggiore che in passato''.

''L'idea di aggiornare il manoscritto e presentarlo come libro al pubblico, dovetti abbandonarla temporaneamente - confida il Pontefice - assieme al progetto di uno studio commentato dell'Hexaemeron, perche' l'attivita' di esperto conciliare e le esigenze della mia docenza accademica erano cosi' impegnative da rendere impensabile la ricerca medievalistica.
Auspico - conclude - che altri possano svolgere il compito di commentare l'Hexaemeron''.



Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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«Ciò che li colpì fu il mistero come tale...»


Ripubblichiamo un articolo di Gianni Cardinale in cui vengono riportati ampi stralci della relazione tenuta il 25 settembre 1997 da Joseph Ratzinger al Congresso eucaristico di Bologna. L’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, partendo da un’antica leggenda sull’origine del cristianesimo in Russia, ripropose gli elementi essenziali dell’insegnamento di san Paolo sull’Eucaristia


di Gianni Cardinale

Particolare della <I>Crocifissione</I>, Giotto e bottega, Basilica inferiore di San Francesco, Assisi

Particolare della Crocifissione, Giotto e bottega, Basilica inferiore di San Francesco, Assisi

La lezione che il cardinale Joseph Ratzinger ha tenuto nel vecchio palasport di Bologna è stato uno dei momenti più reali del Congresso eucaristico nazionale che si è celebrato nella città felsinea dal 20 al 28 settembre. Anche l’Avvenire, il giornale di proprietà della Cei, ha definito il 25 settembre, giorno in cui il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha parlato, il “Ratzinger-Day”.
A dire il vero sui mass media hanno fatto notizia più che altro le affermazioni fatte dal porporato bavarese nel corso della successiva conferenza stampa. Rispondendo a una domanda sugli eretici che nei secoli passati sono stati mandati al rogo, Ratzinger ha detto: «La Chiesa deve essere sempre tollerante; chiediamo dunque al Signore perdono per questi fatti e per non ricadere in questi errori».


Pochi invece hanno valorizzato la lezione vera e propria, titolata Eucaristia come genesi della missione. Eppure si è trattato di un discorso veramente magistrale, esempio di una catechesi che lascia trasparire stupore e rispetto per il mistero della fede.

«Il mistero come tale fa brillare alla ragione la potenza della verità»
Ratzinger inizia con un racconto: «Un’antica leggenda sulle origini del cristianesimo in Russia narra che al principe Vladimiro di Kiev, che era alla ricerca della vera religione per il suo popolo, si erano presentati l’uno dopo l’altro i rappresentanti dell’islam provenienti dalla Bulgaria, i rappresentanti del giudaismo e gli inviati del Papa provenienti dalla Germania, che gli proponevano ciascuno la loro fede come quella giusta e la migliore di tutte. Il principe sarebbe però rimasto insoddisfatto di tutte queste proposte.
La decisione sarebbe invece maturata quando i suoi inviati ritornarono da una solenne liturgia, alla quale avevano preso parte nella chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Pieni di entusiasmo essi avrebbero riferito al principe: “E giungemmo presso i Greci e siamo stati condotti laddove essi celebrano la liturgia per il loro Dio... Non sappiamo se siamo stati in cielo o sulla terra... abbiamo sperimentato che là Dio abita fra gli uomini...”». «Ciò che li colpì fu», aggiunge poi Ratzinger, «il mistero come tale, che proprio andando al di là della discussione fece brillare alla ragione la potenza della verità».


Questo racconto offre a Ratzinger lo spunto per dare un giudizio su come normalmente oggi si concepisce e si pratica la liturgia: «Il parlare come si è fatto a partire dagli anni Cinquanta di liturgia missionaria è un discorso almeno ambiguo e problematico. In molti ambienti di liturgisti esso ha condotto in modo veramente eccessivo a fare dell’elemento istruttivo nella liturgia e della sua comprensione anche per gli esterni il criterio primario della forma liturgica. Anche la teoria secondo cui la scelta delle forme liturgiche dovrebbe avvenire a partire da punti di vista “pastorali”, suggerisce lo stesso errore antropocentrico».

Dopo questa introduzione Ratzinger affronta la prima parte della sua lezione, dal titolo: “La teologia della croce come presupposto e fondamento della teologia eucaristica”. «Se quindi cerchiamo di cogliere il legame fra Eucaristia e fede secondo Paolo», dice il prefetto dell’ex Sant’Uffizio, «vi è innanzitutto l’interpretazione della morte in croce di Cristo con categorie cultuali, che costituisce il presupposto interiore di ogni teologia eucaristica. Solo a fatica percepiamo ancora la grandezza di questa intuizione. Un evento in sé profano, l’esecuzione di un uomo nel più crudele dei modi possibili, viene descritto come liturgia cosmica, come apertura del cielo serrato, come l’avvenimento, nel quale ciò che in tutti i culti è ultimamente inteso e invano cercato, finalmente diventa realtà». «Stando così le cose, si può dire che la teologia della croce è teologia eucaristica e viceversa. Senza la croce l’Eucaristia rimarrebbe vuoto rituale, senza l’Eucaristia la croce sarebbe soltanto un crudele evento profano».

«Segno di un nuovo inizio»

Nella seconda parte della sua lezione Ratzinger ripropone la “Teologia eucaristica nella prima Lettera ai Corinzi”. «Se l’agnello rappresenta innanzitutto Cristo, di conseguenza il pane diviene simbolo dell’esistenza cristiana. Il pane azzimo diventa segno di un nuovo inizio: essere cristiani viene presentato come continua festa a partire dalla nuova vita». «L’Eucaristia stessa […] traspare in realtà come il permanente fondamento della vita dei cristiani, come la forza che informa la loro esistenza. […] L’Eucaristia è molto di più che una liturgia e un rito, ma d’altra parte fa vedere anche che la vita cristiana è più di un impegno morale…». «Il vero e più profondo fine della creazione e a sua volta dell’essere umano voluto dal creatore è proprio questo divenire una cosa sola, “Dio tutto in tutti”. L’“eros” della creatura viene assunto dall’“agape” del creatore e diviene così quel santo beatificante abbraccio, di cui parla sant’Agostino». «L’Eucaristia non offre nessuna certezza quasi magica della salvezza. Essa esige sempre la nostra libertà. E pertanto rimane anche sempre il pericolo della perdita della salvezza, rimane necessario lo sguardo sul giudizio futuro».
A questo punto il cardinale affronta «l’ultimo e più importante testo eucaristico della prima Lettera ai Corinzi, nel quale allo stesso tempo è contenuto il racconto paolino dell’istituzione: 11, 17-34». Commentando questo testo Ratzinger afferma: «Il timore reverenziale è una condizione fondamentale per una vera Eucaristia, e proprio il fatto che Dio diviene così piccolo, così umile, si consegna a noi e si dà nelle nostre mani, deve accrescere la nostra riverenza e non può lasciarci fuorviare nella distrazione e nell’autosufficienza. Se noi ci rendiamo conto che Dio è presente e ci comportiamo di conseguenza, allora anche gli altri potranno rilevare questo in noi, come gli inviati del principe di Kiev, che sperimentarono il cielo nel mezzo della terra».

«L’incarnazione non è un’idea filosofica, ma un evento storico»

A tale proposito il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede fa una osservazione capitale: «Nella dottrina dell’Eucaristia e nel messaggio della risurrezione Paolo si inserisce con grande decisione nell’obbedienza della tradizione, che vincola fino alle singole parole, perché in essa la realtà più santa e quindi quella che veramente sostiene giunge a noi. Paolo, lo spirito impetuoso, creatore, che a partire dal suo incontro con il risorto e dalla esperienza della sua fede e del suo ministero ha aperto al cristianesimo nuovi orizzonti, nell’ambito centrale della fede è in verità il fedele amministratore, che non “adultera” ( 2 Cor 2, 17) la parola, ma la trasmette come prezioso dono di Dio, che è sottratto al nostro arbitrio e proprio così ci arricchisce tutti». «Perciò», continua Ratzinger, «sono speculazioni false e profondamente contrarie al messaggio biblico, quando oggi ci si dice che anche se i doni dell’area mediterranea erano pane di frumento e vino, in altre culture si dovrebbe usare come materia del sacramento ciò che per questa cultura sarebbe caratteristico. L’incarnazione, alla quale si fa appello in proposito, non è però un qualsiasi principio filosofico generale, secondo cui lo spirituale dovrebbe sempre prendere corpo ed esprimersi in corrispondenza delle diverse situazioni. L’incarnazione non è un’idea filosofica, ma un evento storico, che proprio nella sua singolarità e verità è il punto di inserzione di Dio nella storia e il luogo del nostro contatto con lui. Se la si considera, così come la Bibbia esige, non come principio, ma come evento, allora la conseguenza è esattamente il contrario: Dio ha legato sé stesso a un ben determinato punto storico con tutte le sue limitazioni e vuole che la sua umiltà divenga la nostra.

Lasciarsi congiungere con l’incarnazione significa accogliere questo autovincolamento di Dio: proprio questi doni estranei agli altri ambienti culturali – anche a quello germanico – divengono per noi il segno del suo agire unico e singolare, della sua unica figura storica. Essi sono il segno della sua venuta fra di noi, di colui che per noi è lo straniero e che per mezzo dei suoi doni ci rende vicini. La risposta alla condiscendenza divina può essere solo umile obbedienza, che nella tradizione ricevuta e nella fedeltà ad essa riceve in dono la certezza della sua vicinanza». «Paolo», conclude il porporato, «con forza esige l’autoesame dei comunicandi: “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (
1 Cor 11, 29). Chi vuole un cristianesimo solo come lieta novella, nella quale non vi può essere la minaccia del giudizio, lo falsifica. La fede non rafforza l’alterigia della coscienza addormentata, l’autosufficienza di coloro che dichiarano norma della loro vita i loro propri desideri e riducono la grazia in tal modo a una svalutazione di Dio e dell’uomo, perché Dio comunque non potrebbe e non sarebbe in grado che dire di sì a tutto. Certamente però l’uomo che soffre e che lotta sa che “Dio è più grande del nostro cuore” ( 1 Gv 3, 20) e che in ogni fallimento io posso essere pieno di fiducia, perché Cristo ha sofferto per me e ha pagato in anticipo anche per me».


«La vera essenza della mistica cristiana»

La terza parte della lezione affronta il tema de “Il martirio, la vita cristiana e il ministero apostolico come realizzazione dell’Eucaristia”. In essa Ratzinger descrive il martirio di san Policarpo quale «divenire eucaristia del cristiano». Poi analizza il versetto 12, 1 della Lettera ai Romani, dove «l’apostolo esorta i Romani, a “offrire come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” i loro corpi, cioè loro stessi, infatti questo è il loro “culto spirituale”». Ratzinger pone una particolare attenzione all’«ultima espressione, che in verità è intraducibile. In greco si dice logikè latreia – culto logico». «Troviamo la stessa parola», afferma il porporato, «anche nel Canone Romano, laddove immediatamente prima della consacrazione si prega perché la nostra offerta divenga rationabilis. È troppo poco, anzi falso, se traduciamo, divenga ragionevole. Noi preghiamo piuttosto perché essa divenga un sacrificio del Logos. In questo senso noi preghiamo per la trasformazione dei doni, e tuttavia ancora una volta non solo per questo, ma la preghiera va esattamente nella direzione che intende la Lettera ai Romani: noi chiediamo che il Logos, Cristo, che è il vero sacrificio, assuma noi stessi nella sua offerta, ci “renda logos”, ci renda, come dice la parola, veramente ragionevoli, così che il suo sacrificio divenga il nostro e venga accolto da Dio come nostro, possa essere a noi imputato».

«Sono convinto», aggiunge Ratzinger, «che il Canone Romano con la sua invocazione ha colto la vera intenzione anche dell’esortazione paolina di Romani 12». Così san Paolo e quindi il Canone Romano «ci fanno comprendere la vera essenza della mistica cristiana. La mistica dell’identità, nella quale il Logos e l’interiorità dell’uomo si fondono, viene superata per mezzo di una mistica cristologica: il Logos, che è il Figlio, ci rende figli nella comunione sacramentale vissuta. E se noi diventiamo sacrificio, quando noi stessi diventiamo secondo il Logos, questo non è un processo limitato allo spirito, che lascia il corpo dietro di sé come qualcosa di lontano da Dio. Il Logos stesso è divenuto corpo e si dà a noi nel suo corpo. Per questo noi veniamo invitati a offrire i nostri corpi come culto secondo il Logos, cioè a essere attirati in tutta la nostra esistenza corporea nella comunione con Cristo».


«Perché la missione sia qualcosa di più che una propaganda...»

Nella conclusione Ratzinger, come corollario alle riflessioni precedenti, è tornato al titolo della sua lezione (Eucaristia come genesi della missione) e ha richiamato la figura di santa Teresa di Lisieux: «Perché la missione sia qualcosa di più che una propaganda per una certa idea o della pubblicità per una determinata comunità – perché essa provenga da Dio e a lui conduca –, essa deve trarre origine da una profondità maggiore che non quella dei piani di azione e delle strategie da essi ispirati. Essa deve avere un’origine, che si trovi in un luogo più alto e più profondo che non la pubblicità e la tecnica della persuasione. “Non l’opera della persuasione, ma qualcosa di veramente grande è il cristianesimo”, disse una volta in modo molto suggestivo sant’Ignazio di Antiochia. La forma e il modo con cui Teresa di Lisieux è patrona delle missioni, ci può aiutare a comprendere come ciò si deve intendere».

[SM=g1740733]

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