A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Novembre: Festa liturgica di Tutti i Santi e dei Nostri cari Defunti

Ultimo Aggiornamento: 23/10/2011 16:10
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16/09/2009 17:36
 
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[SM=g1740733] Il Primo di Novembre è la Festa di Tutti i Santi e il Due è la Festa dei Defunti....entrambe le due Feste, grandemente Liturgiche, non vanno divise perchè insieme ci rivelano una delle più grandi Dottrine della Chiesa: la Vita dopo la morte...la Giustizia di Dio che si applica verso i Santi, i Beati, i Martiri....e la Misericordia di Dio verso coloro che Defunti sostano ancora in Purgatorio perchè NON ancora purificati ed impreziositi per godere della Eternità beata promessa..ma appunto le chiamiamo ANIME SANTE...

Siamo nel Monastero del Forum, un Monastero un pò speciale perchè al contrario di quello vero dal vivo in cui si fa silenzio, qui siamo obbligati a scrivere, paradossalmente, per tacere.... [SM=g1740733]



Noi non facciamo scuola...vogliamo solo condividere la semplicità della Dottrina in questo spazio di Monastero virtuale e lasciare poi il cuore di ciascuno a meditare, pregare e soprattutto a sperare...

LA CHIESA PERSEGUITATA [SM=g1740720]
Cattolici dell’Ucraina nel periodo del comunismo
.

Per quasi un secolo, dal 1917 al 1991, nell'URSS e specialmente in Ucraina, furono evidenti i segni del sangue versato da migliaia di persone, a causa della loro testimonianza di fede.

Esse subirono diverse forme di persecuzione, sperimentarono l'odio e l’esclusione, la violenza e l’assassinio. Nelle chiese, nei campi di concentramento, nei lager, pagarono il tributo di sangue innocente solo perché “credenti ed appartenenti alla Chiesa cattolica”.

E’ arrivato il tempo di dare un dovuto omaggio a questi eroici confessori della fede cristiana. A tal fine è stato creato questo film—documentario: come affermò Sua Santità Giovanni Paolo II nella visita apostolica in Ucraina, avvenuta nei giorni dal 23 al 27 giugno 2001, il territorio di questo paese, uscito dall’esperienza sovietica, è “monumento di migliaia di cristiani martiri del XX secolo”.

La terra ucraina assorbi il loro sangue, lo conservo come un seme che, al primo sole della speranza, ha cominciato a dare abbondanti frutti.

P. Pavlo Vyshkovskyy omi






[Modificato da Caterina63 06/10/2009 17:10]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/10/2009 16:22
 
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Sante Messe di Suffragio per i Defunti con un pensiero di Misericordia anche per i vivi:

Amici....Venerdì 6 novembre, Primo Venerdì del Mese e se non erro siamo nell'Ottavario....ho richiesto una Santa Messa in Suffragio delle Anime Sante del Purgatorio...e sabato mattina, primo Sabato del mese, sempre alle ore 7.00 come per Venerdì, la Messa sarà per tutti i Sacerdoti, con particolare pensiero a quanti conosco direttamente nella vita e indirettamente qui in internet....chi vuole si unisca nella Preghiera...


                                                              


[Modificato da Caterina63 19/10/2009 16:23]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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20/10/2009 23:08
 
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Monsignor Gänswein
celebra nella sua terra natale
i venticinque anni di messa


Festa in famiglia per monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, che domenica 23 agosto, nella sua cittadina natale di Riedern, in Germania, ha celebrato il venticinquesimo di ordinazione sacerdotale. Alla messa, presieduta nella chiesa di Sankt Leodegar, hanno partecipato numerosi fedeli, amici e familiari di monsignor Gänswein, tra i quali la mamma Gertrud mons. Georg(nella foto).


(©L'Osservatore Romano - 24-25 agosto 2009)

 Auguri di cuore......






E con questa notizia del 24 agosto festeggiavamo....oggi invece abbiamo saputo che è morta la signora Gertrud, mamma di mons. Georg segretario personale del Pontefice....

Molto mi lega... l'aver festeggiato quest'anno il 25° (lui di sacerdozio, e noi di matrimonio) e con queste mamme in trepidante PREGHIERA....e purtroppo anche la morte delle nostre due mamme...dopo aver condiviso questi festeggiamenti....

Signora Gertrude, la porto nelle Preghiere, e una preghiera anche a mons. Georg....

« In paradisum deducant te Angeli; in tuo adventu suscipiant te martyres, et perducant te in civitatem sanctam Ierusalem. Chorus angelorum te suscipiat, et cum Lazaro quondam paupere æternam habeas requiem. »

In paradiso ti accompagnino gli Angeli, al tuo arrivo ti accolgano i martiri e ti conducano nella santa Gerusalemme. Ti accolga il coro degli Angeli e con Lazzaro, povero in terra, tu possa godere il riposo eterno nel cielo...


Venerdì 23 nella chiesa di Sankt Leodegar a Riedern am Wald

Celebrati i funerali di Gertrud Gänswein



"Profondamente colpito ho appreso la triste notizia dell'improvvisa morte della Sua cara mamma, signora Gertrud. È ancora viva davanti ai miei occhi, come quando pochi mesi fa ci siamo incontrati in occasione della festa del Suo giubileo sacerdotale d'argento, con la sua gioia e il suo modo di essere naturale e diretto. Riusciamo a stento a credere che ora lei non sia più tra noi. Di nuovo ci rendiamo conto che non sappiamo né il luogo né l'ora in cui il Signore ci chiama a sé. Sappiamo però di essere sempre nelle mani di Dio".

Con una toccante lettera Benedetto XVI ha voluto essere vicino al suo segretario particolare, monsignor Georg Gänswein, in occasione dei funerali della madre, scomparsa martedì 20 ottobre. Il testo della lettera papale è stato letto da monsignor Winfried König, capo della sezione di lingua tedesca della Segreteria di Stato, al termine del rito esequiale celebrato venerdì 23, nella chiesa di Sankt Leodegar a Riedern am Wald, in Germania.

"Fa male, fa molto male - ha detto monsignor Gänswein nell'omelia - perdere la mamma in modo così improvviso. È quasi impossibile formulare pensieri chiari. La mente, il cuore e l'anima sono sconvolti". Eppure "il dolore, la sofferenza e la tristezza non hanno l'ultima parola, non devono averla". Il momento del commiato terreno - ha affermato - "è caratterizzato piuttosto dalla gratitudine, dalla immensa gratitudine di noi cinque figli verso nostra madre, profondamente buona".

"Ci ha partoriti, ci ha educati nell'amore e nella fede" ha sottolineato il prelato, ricordando che "non le sono servite tante parole per avvicinarci alla fede; è stato il suo esempio personale, l'esempio vissuto giorno dopo giorno, a essere efficace e convincente". Tutta la sua vita di fede "è stata ancorata profondamente alla partecipazione all'anno liturgico", i cui misteri "le erano entrati nella carne e nel sangue". Ma soprattutto ai "molti piccoli segni visibili e invisibili della devozione" che "costituivano elementi irrinunciabili della sua vita quotidiana".

Tra questi monsignor Gänswein ha citato la frequenza ai sacramenti e alla celebrazione eucaristica, la preghiera del rosario, il pellegrinaggio compiuto tutti gli anni presso la tomba di san Nicola di Flue, in Svizzera. Il prelato ha fatto riferimento in particolare all'impegno in un'associazione femminile attiva nel campo caritativo, della quale era stata membro fondatore. E ha rievocato con accenti commossi la sua lunghissima esperienza nel coro della chiesa parrocchiale, dove ha cantato per 63 anni, fino al venerdì precedente il giorno della sua morte.

Una vita, quella della signora Gertrud - ha riconosciuto il figlio - che "non è stata sempre piena di sole". Non le sono state risparmiate infatti "sfide e prove difficili". Ma - ha evidenziato - "dalla fede traeva la forza e la certezza di riuscire a superare queste prove". Perché possedeva "una salda fiducia in Dio, che faceva bene e trasmetteva fiducia" a chi la conosceva o la incontrava. "Lo sguardo alla croce di Cristo - ha sottolineato - l'ha aiutata a portare la propria croce, ma anche a aiutare gli altri a portare la loro":  proprio nella croce "è fiorito il suo amore per Cristo".

Donna dal "cuore lieto" e dalla "gentilezza che conquistava", si è sempre impegnata "volentieri, per convinzione, per propensione, per amore verso le persone". Negli altri ha visto Gesù, "in modo non teorico - ha precisato monsignor Gänswein - ma concreto e pratico". Anche per questo - ha ricordato - amava particolarmente le feste familiari e le piccole e grandi ricorrenze della vita cristiana. "Il buon Dio ha chiesto molto a nostra madre - ha concluso - ma le ha dato molto di più. Il saperlo e il riconoscerlo dona conforto e pace".

La gente del paese si è stretta a monsignor Gänswein partecipando molto numerosa al rito funebre nella chiesa parrocchiale. Con la sorella e i tre fratelli del prelato erano diversi familiari e conoscenti. Molti anche gli amici e i colleghi della Curia romana, tra i quali i monsignori Peter Brian Wells, assessore della Segreteria di Stato, Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, Nicolas Henry Marie Denis Thevenin, della segreteria particolare del cardinale segretario di Stato; padre Hermann Geissler, della Famiglia spirituale L'Opera, capo ufficio della sezione dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede; Domenico Giani, direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, Daniel Rudolf Anrig, comandante del Corpo della Guardia Svizzera Pontificia. Alla celebrazione hanno preso parte, inoltre, Birgit Wansing, del Movimento di Schönstatt, e Christine Felder, della Famiglia spirituale L'Opera.



(©L'Osservatore Romano - 28 ottobre 2009)

[Modificato da Caterina63 27/10/2009 18:41]
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Messa d'Ognissanti a Trinità dei Pellegrini col card. Cañizares



 

La Parrocchia personale di Trinità dei Pellegrini, retta dalla Fraternità San Pietro Domenica primo novembre 2009, Festa di Tutti i Santi Parrocchia personale di Trinità dei Pellegrini alle ore 10,30 S. Messa pontificale in forma straordinaria

celebrata da S.Em. Rev.ma Card. Antonio Cañizares Llovera

Prefetto della S. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti


Ringraziamo il Parroco P. Joseph Kramer, FSSP, per la segnalazione


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29/10/2009 02:03
 
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Stiamo entrando nel Mese dedicato ai Defunti, ricordiamo i nostri Cari e quanti ci hanno amato, quanti ci hanno fatto del bene....ma ricordiamo tutte le Anime anche quelle più dimenticate...

Nel Video che segue il Papa fa visita alla tomba dei suoi genitori ed alla sorella, in compagnia del fratello...


«In paradisum deducant te Angeli; in tuo adventu suscipiant te martyres, et perducant te in civitatem sanctam Ierusalem. Chorus angelorum te suscipiat, et cum Lazaro quondam paupere æternam habeas requiem.»

In paradiso ti accompagnino gli Angeli, al tuo arrivo ti accolgano i martiri e ti conducano nella santa Gerusalemme. Ti accolga il coro degli Angeli e con Lazzaro, povero in terra, tu possa godere il riposo eterno nel cielo...

Requiem aeternam done eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Requiescant in pace. Amen

Vorrei qui fare un Requiem anche per la Mamma di mons. Georg il segretario del Santo Padre, la sig.ra Gertrude di recente tornata alla Casa del Padre come la mia mamma Vanda che mi ha lasciato a gennaio 2009... Un pensiero alle Mamme, ai Genitori che ci attendono nella Patria Celeste!

[SM=g1740717] [SM=g1740720] Gesù confidiamo in TE!

a seguire il video del Papa vi offriamo UNA DECINA DELLA CORONCINA DELLA DIVINA MISERICORDIA CANTATA....

Solo la Divina Misericordia può salvare questo mondo così corrotto e pagano, lontano da Dio. Santa Faustina Kowalska fu una messaggera di Dio. Vi diamo l'opportunità di conoscere questa Santa Corona con una Decina, per il resto vi suggeriamo il sito ufficiale: www.festadelladivinamisericordia.com/page/il-culto-della-divina-misericordia-coron...









[Modificato da Caterina63 29/10/2009 02:04]
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30/10/2009 11:45
 
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IL GIORNO DEI MORTI - L'armonia silente

Cosa significa oggi (2 novembre) la visita ai cimiteri?


Cristiana Dobner

Una delle visite d'obbligo quando si viaggia in un paese straniero è il cimitero, monumentale o moderno che sia. Personaggi illustri e persone comuni, ignote, scompaiono alla vista e rimangono sotto terra. Quanto emerge, troppo spesso, è ancora una volta la pompa con cui si vuole ricordare chi non c'è più, con monumenti, statue, decorazioni. Sembra l'ultimo dono possibile per chi ci è stato vicino ed ora è irreparabilmente lontano, irraggiungibile.
Sulle tombe ebraiche si notano i sassi, deposti da chi viene in vista, arcaico costume del popolo del deserto che, migrando e abbandonando il tumulo del defunto, vi poneva un sasso per farlo riconoscere e per impedire lo scempio delle belve feroci. E, sasso dopo sasso, il cumulo si ergeva.

Fiori, lumini, fotografie, sono segni e richiami. Una sorta di pedaggio culturale che rende riconoscibile un luogo e lo identifica, che suscita nel nostro immaginario ricordi, rimpianti, note dolenti.

Alcuni fra di noi però hanno optato per scelte diverse. La poetessa Antonia Pozzi aveva chiaramente espresso il suo desiderio di non essere consegnata al grembo della terra al Monumentale di Milano, come la sua condizione sociale avrebbe previsto. Dopo il doloroso gesto volontario di abbandono della vita, almeno questa sua volontà fu rispettata. Ora chi salga in Valsassina, al di là delle Grigne, e si avvicini a Pasturo (proprio il borgo dell'Agnese dei Promessi Sposi), sa che a occidente, appena discosto, dal grumo delle case, si apre un piccolo cimitero e qui Antonia rimane, sta, sotto un grande masso fatto scendere a valle dalla quota, con fiori e cespugli semplici di montagna, dominato da una grande statua bronzea di un Cristo, che sembra accogliere e dilatarsi.

Antonia è là, ma come comunicare con lei? Indubbiamente rimane la sua opera poetica e letteraria. Non può esserci però un'altra strada, un'altra modalità? Quella che Antonia ha cercato gridando per tutta la vita?

L'immobilità, la stasi, che caratterizza il giardino cimiteriale incute in tutti uno stato d'animo diverso che, magari, ci si scrolla di dosso una volta guadagnato il cancello d'uscita. Il tarlo interrogativo però lavora e, per vie segrete e cunicoli invisibili, scrive un trama che costringe a rispondersi.

Finiremo proprio così? Rigidi, immobili, senza vita? Anche il tanto conclamato riposo, a lungo andare, non risulterà piuttosto noioso e fastidioso?

Gustav Mahler, che di dolori e sofferenze nella vita ne aveva passate tante da intendersene, nella sua opera musicale ci ha lasciato un affresco del Paradiso che funge da ponte dalla bruna terra a... dove? Con Chi? L'innocenza primigenia esplode, l'incanto travolge, la vita dei beati ammalia: ballano, cantano, saltellano. San Pietro guarda, il buon vino non costa un quattrino, gli angeli cuociono il pane... e poi asparagi, pere, mele, uva buona... Santa Marta sarà la cuoca... ogni cosa si desta alla gioia. Tutto è toccante, poetico. Forse consente di superare l'angoscia che attanaglia quando si tocca con mano che i nostri, quelli che abbiamo amato, non ci sono più.

Quale però il grido sotteso alla vita di Antonia Pozzi, quale il dramma di Mahler? Il nostro, quello di ogni giorno che ci vede avvicinare ad una meta che non possiamo eludere e segna la sconfitta per lo spirito e l'intelligenza della persona umana.

Una giovane ragazza francese l'aveva intuito e sofferto ma aveva anche letteralmente buttato all'aria la dotta teologia dei grandi del suo tempo, consegnandoci una testimonianza vissuta: Teresa di Gesù Bambino aveva assaporato l'Infinito, aveva sperimentato dentro di sé il Volto di Dio e si era interrogata. La risposta fu la sua stessa vita.

Ogni desiderio umano si colma soltanto nel Padre, ricco di misericordia, che ci attende. Allora il riposo eterno non significa il sonno demenziale di chi si astrae da tutto per sfuggire a se stesso, perché lo scacco ormai è evidente e implacabile, ma l'armonia silente che guarda alla storia, alle vicende che ci scuotono ogni giorno, con lo sguardo di chi ha messo la sua mano in quella del Padre e vive il proprio percorso, per tutto il tempo che gli sarà dato, in una donazione che è restituzione gioiosa.

Una volta giunta alla meta, al Volto di Dio, Teresa non si esime dalla fatica, dal lavoro, ma lo svolge tutto nella direzione più sicura, interviene costantemente nella storia, passa il suo Cielo, come aveva detto, a far del bene sulla terra. Allora i piaceri di Mahler e il grido di Antonia, possono rimanere e fare da cornice, perché la bruna terra che ricopre i nostri cari non significa desolazione e cenere, ma gioia piena e vita.

Il nesso, indubbiamente di fede, fra tutti coloro che non vediamo più ma che sono i viventi, mentre noi siamo solo i vivi, diventa un anello rovente di amore che ci insegue e ci marchia perché viviamo trasformando questa nostra storia in un grande gesto di amore, qui, non in Paradiso. Qui, la storia infatti è storia nostra.

Perché se la tomba è tramonto di vita, grida anche quell'alba che non conoscerà fine.

Fonte: Sir







SANTI E DEFUNTI.... festeggiamo due realtà apparentemente in contraddizione: il Primo Novemebre elogiamo i Santi ed è festa, il 2 Novembre ricordiamo i nostri Defunti e non è Festa, ma per la Chiesa si, nella Liturgia questa Messa non è la morte, ma come dice Gesù: "ESSI DORMONO....DORMONO IL SONNO DELLA PACE" in attesa della Risurrezione...
Dormire, nel termine in questione non signifca assenza, al contrario è L'ATTESA...e in questa attesa NOI li ricordiamo, preghiamo per le loro Anime ed essi pregano per noi...

Per la Festa di Tutti Santi:

La prima lettura della Messa di oggi, ripete un brano dell'Apocalisse di San Giovanni, con la visione di tutti i " servi di Dio ".
" E vidi una gran folla, che nessuno poteva contare, di tutte le genti e tribù e popoli e lingue, che stavano di faccia al trono e di faccia all'Agnello, rivestiti di bianche vesti e con palme nelle mani. E gridavano a gran voce: "La salvezza è dovuta al nostro Dio, che è seduto sul trono, e all'Agnello" ".


L'Agnello, come si sa, è la figura del Cristo il quale, nel suo discorso sul monte, aveva rivolto a tutti le promesse dette " le beatitudini " che, sempre nella Messa di oggi, si leggono al Vangelo:
" Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli. Beati i mansueti, perché essi possederanno la terra. Beati coloro che piangono, perché saranno consolati. Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati quelli che soffrono persecuzioni a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli.

" Beati voi, quando vi oltraggeranno e, mentendo, diranno ogni male di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli ".
I Santi sono coloro che si sono meritati la ricompensa del cielo: poveri in spirito, mansueti, tribolati, giusti, misericordiosi, puri, pacifici e perseguitati a causa di Gesù. Tutti Santi. Innumerevoli Santi, come dice chiaramente la Apocalisse.

La santità non è dunque rara, se di Santi è gremito il cielo. I Santi non sono soltanto quelli venerati nel Calendario, che pure sono già molti, ma rappresentano una piccolissima quota dei Santi che, come dice San Giovanni, " nessuno potrebbe contare " tranne Dio.
Nel Calendario, la Chiesa ha segnato soltanto i nomi di coloro la cui vita è stata riconosciuta esemplare. Ma sono santi tutti coloro che si salvano, e sperano di salvarsi per i meriti di Gesù.
Oggi è dunque la grande festa della Chiesa trionfante, che attorno al trono di Dio esulta nella sterminata assemblea dei salvati, mentre, come dice San Giovanni, " tutti gli angeli gridano: "La benedizione e la gloria e la sapienza e il ringraziamento e l'onore e la potenza e la forza del nostro Dio, per i secoli dei secoli" ".

Resta da dire brevemente come e quando venne istituita la festa di Tutti i Santi o, come si dice più latinamente, di Ognissanti.

Anche questa festa venne dalla Chiesa Orientale, e fu accolta a Roma quando il Papa Bonifacio IV tra-sformò il Pantheon, dedicato a tutti gli dei dell'antico Olimpo, in una Chiesa in onore della Vergine e di tutti i Santi.

Ciò avveniva il 13 maggio del 609.
Alcuino, il maestro di Carlomagno, fu uno dei propagatori della festa. Egli era un inglese di York, e i Celti consideravano il 1* novembre giorno di solennità, perché segnava l'inizio della stagione invernale.
Si pensa perciò che lo spostamento della festa, dal 13 maggio al 1* novembre, sia stato determinato da influenze anglosassoni e francesi. Ciò avvenne nel 1475, sotto il pontificato di Sisto IV.

Veniamo ora al 2 Novembre, la Commemorazione di tutti i nostri Defunti:


A quanti sono morti "nel segno della fede" la Chiesa riserva un posto importante nella liturgia: vi è il ricordo quotidiano nella Messa, con il "memento" dei morti, e nell'Ufficio divino con la breve preghiera "Fidelium animae", e vi è soprattutto la celebrazione odierna nella quale ogni sacerdote può celebrare tre Messe in suffragio delle anime dei defunti.
 
La commemorazione dei defunti, dovuta all'iniziativa dell'abate di Cluny, S. Odilone, nel 998, non era del tutto nuova nella Chiesa, poiché, ovunque si celebrava la festa di tutti i Santi, il giorno successivo era dedicato alla memoria di tutti i defunti.

Ma il fatto che un migliaio di monasteri benedettini dipendessero da Cluny ha favorito l'ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell'Europa settentrionale. Poi anche a Roma, nel 1311, venne sancita ufficialmente la memoria dei defunti.

Il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale da Benedetto XV nel 1915. Si è voluta così sottolineare una grande verità, che ha il suo fondamento nella Rivelazione: l'esistenza della Chiesa della purificazione, posta in uno stato intermedio tra la Chiesa trionfante e quella militante. Stato intermedio ma temporaneo, "dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno", secondo l'efficace immagine dantesca. Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo usa l'immagine di un edificio in costruzione.



Scopo della commemorazione di tuttii defunti in passato era quello disuffragare i morti; di qui le Messe, la novena,l’ottavario, le preghiere al cimitero.

Questo scopo naturalmente rimane;ma oggi ne avvertiamo un altro altrettantourgente: creare nel corso dell’announ’occasione per pensare religiosamente,cioè con fede e speranza, allapropria morte. Spezzare la congiura delsilenzio riguardo a essa.

Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino,si possono fare tutte le ipotesi:forse sarà bello, forse sarà brutto;forse sarà ricco, forse sarà povero, forsevivrà a lungo, forse no. Ma di nessunosi dice: forse morirà, forse non morirà.Questa è l’unica cosa assolutamentecerta della vita.
Quando sentiamo chequalcuno è malato di idropisia (al tempodel santo, questa era la malattia incurabile),diciamo: "Poveretto, devemorire; è condannato, non c’è rimedio!". Ma non dovremmo, aggiunge, direla stessa cosa di ogni uomo che nasce:"Poveretto, deve morire, non c’è rimedio"? Un poeta spagnolo dell’Ottocento,Gustavo Bécquer, paragona la vitaumana all’onda che il vento spingesul mare e che avanza vorticosamentesenza sapere su quale spiaggia andrà ainfrangersi; a una candela prossima aesaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti,ignorando quale di essi per ultimobrillerà; e conclude: "Così sono io chemi aggiro per il mondo, senza pensare,da dove vengo, né dove i miei passi micondurranno".

Questa percezione mesta, a voltetragica, della morte è comune a tutti,credenti e non, ma la fede cristiana hauna parola nuova e risolutiva, che oggidovrebbe risuonare nella Chiesa enei cuori, una cosa semplice e grandiosa:che la morte c’è, che è il più grandedei nostri problemi, ma che Cristo havinto la morte! La morte non è più lastessa di prima, un fatto decisivo è intervenuto.Essa ha perso il suo pungiglione,come un serpente il cui velenoè capace solo di addormentare la vittimaper qualche ora, ma non di ucciderla."La morte è stata ingoiata per la vittoria.Dov’è, o morte, la tua vittoria?Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?"(1Cor 15,55).

Il cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto aliberare gli uomini dalla paura della morte (cfr. Eb 12,14), non ad accrescerla.

Ai cristiani angustiati per la morte dialcuni cari, san Paolo scriveva: "Fratelli,non vogliamo lasciarvi nell’ignoranzacirca quelli che sono morti, perché noncontinuiate ad affliggervi come gli altriche non hanno speranza. Noi crediamoinfatti che Gesù è morto e risuscitato;così anche quelli che sono morti, Dio liradunerà per mezzo di Gesù insiemecon lui... Confortatevi, dunque, a vicendacon queste parole" (1Tes 4,13ss).

Ma come ha vinto la morte Gesù?Non evitandola o ricacciandola indietro,come un nemico da sbaragliare. Masubendola, assaporandone tutta l’amarezza.Non abbiamo davvero un sommosacerdote che non sappia compatirela nostra paura della morte! Tre voltenei vangeli si legge che Gesù pianse e,di queste, due furono per un morto. NelGetsemani egli ha provato, come noi,“paura e angoscia” di fronte alla morte.

Che cosa è successo, una volta cheGesù ha varcato la soglia della morte?L’uomo mortale nascondeva dentro disé il Verbo di Dio, che non può morire.Una breccia è stata aperta per sempre attraversoil muro della morte. Grazie aCristo, la morte non è più un muro davantial quale tutto si infrange; è un passaggio,cioè una Pasqua. È una specie di“ponte dei sospiri”, attraverso il quale sientra nella vita vera, quella che non conoscela morte. Confortiamoci a vicenda,anche noi, con queste parole.


Autore:
Domenico Agasso


 CRISTO HA VINTO!!!


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Il Convegno dei santi della vita


XXXI Domenica del Tempo Ordinario, 1° novembre 2009


di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 30 ottobre 2009 (ZENIT.org).-“Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:'Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. (…). Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi'” (Mt 5,1-12).

Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. (…) Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione...” (Ap. 7,9.14).

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (1 Gv 3,1-3).

Alcuni giorni fa mi trovavo a Torino, in quell’oasi di beatitudine che è la “Piccola Casa della Divina Provvidenza” (il “Cottolengo”), per partecipare ad un Convegno sui temi della libertà e della coscienza umana. Il Convegno ha celebrato l’uomo nella sua infinita verità: essere persona che “fa immaginare” Dio, essendo da Dio creata a sua “immagine e somiglianza”, due parole simili che significano “ritratto vivo”.

La persona umana è il vivente ritratto delle Tre Persone divine, riconoscibile nel “significato sponsale” di quel corpo che l’uomo è: significato che consiste nella capacità di esprimere e ricevere fecondamente l’amore. Ritratto veramente essenziale che non è deturpato da nulla di ciò che può accadere esteriormente al corpo, dal concepimento in poi: solamente il peccato ne compromette la divina bellezza.

Entrando nel Cottolengo sono passato sotto un albero imponente, dalla cui chioma dorata, solo un poco sfoltita dall’autunno, mi giungeva un “assordante” concerto di uccellini, come se ogni foglia fosse uno di essi. Fermatomi a guardare in su, non sono riuscito a vederne nemmeno uno ed ho pensato: non credo siano passeri in convegno al Convegno,..forse è uno stormo di migratori in sosta fra i rami più alti. Ma alla sera lo stormo era ancora là a dar lode a Dio con il medesimo giubilo canoro del mattino.

Allora ho pensato a queste parole del libro dell’Apocalisse: “In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che da’ frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni”(Ap 22,2). Il simbolo dell’“albero di vita” in perenne stagione di frutti e con le foglie sempre verdi e salutari, intende qui rappresentare il Paradiso, regno eterno della felicità, della giustizia e della comunione con Dio. Tale indicibile beatitudine è la partecipazione perfetta di tutti i giusti alla Vita divina, la cui caparra terrena è già tale da far giubilare qualunque esistenza mortale. Allora, l’albero sotto cui stavo, così sonoramente brulicante di vita, mi è sembrato un messaggio meraviglioso per il nostro convegno terreno da parte del Convegno celeste di tutti i Santi, la cui gioia piena nella divina Presenza è la meta e il compimento del sentiero della vita di ogni uomo concepito.

Ma ora ci chiediamo: chi sono questi giusti nella gloria? La risposta è notissima: sono quelli descritti nel Vangelo di oggi: “Beati...Beati...Beati...perchè grande è la vostra ricompensa nei cieli”. Sì...beati loro, verrebbe da dire: beatitudine per noi rimandata perchè intanto l’identikit paradossale di Matteo ci trasferisce concretamente nei luoghi orridi della fame e della violenza, della sopraffazione omicida, della miseria materiale e morale, della malattia, della schiavitù di ogni genere…Vengono in mente Madre Teresa, l’Africa che muore di fame, i kamikaze, la Clinica della “buona morte”, i terremoti e gli uragani, gli uccisi nel grembo, gli emarginati delle nostre città…una moltitudine di vittime che oggi siamo perfettamente in grado di contare e quantificare. Li vediamo in televisione, li vediamo per strada, stanno accanto a noi, anche in casa nostra. Eppure anche di tutti costoro Gesù afferma: “Beati...Beati...Beati...”.

L’apostolo Giovanni sembra avere contato il loro numero: “centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele” (Ap 7,4). Pochi, in verità, ma il numero è simbolico ed indica una platea incalcolabile; tuttavia esso sembra una valutazione in qualche modo precisa, se confrontata con “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù popolo e lingua..avvolti in vesti candide e tenevano rami di palma nelle loro mani” (v. 9). Da dove viene questa moltitudine? Giovanni risponde: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (Ap 7,14).

Linguaggio indefinito: cos’è questa grande tribolazione?

E’ il momento della netta divisione tra bene e male che vede il dibattersi ultimo e violento del male, prima del suo annientamento. E’ il tempo in cui si scevera, attraverso la purificazione, ciò che è giusto e ciò che è perverso. E’ quindi la sofferenza che salva, ma anche il giudizio che distrugge” (G. Ravasi, “Apocalisse”, p. 75). La grande tribolazione di questa immensa moltitudine è dunque il momento della verità, una verità che anzitutto riguarda l’identificazione di questa folla sterminata.

Di essa parla anche Giovanni Paolo II: “Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i bambini non ancora nati” (Enciclica “Evangelium vitae”, n° 5). E’ qui sottinteso che “non ancora nati” significa i nove mesi di vita nel grembo, e che i bambini più numerosi sono soprattutto quelli che hanno meno di tre mesi di vita, moltissimi solo poche ore: “noi fin d’ora siamo figli di Dio” (1Gv 3,2), gridano al mondo e ad ognuno di noi.

Questo momento decisivo della storia, descritto dall’Apocalisse come “grande tribolazione”, vede il coinvolgimento materno di Colei che nel libro sacro appare quale “segno grandioso” della vittoria della Vita sulla morte (Ap 12,1s), e nello stesso tempo segno drammatico della continua minaccia satanica sulla vita (Ap 12,1-4). La grande tribolazione, poi, è proprio “la congiura contro la vita” (Evangelium vitae, n°12), tribolazione di inaudita gravità, poiché: “chi attenta alla vita dell’uomo, in qualche modo attenta a Dio stesso” (n° 9).

Scrive infatti Giovanni Paoli II: “Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Il drago vuol divorare “il bambino appena nato, figura di Cristo...figura di ogni uomo, di ogni bambino, specie di ogni creatura debole e minacciata, poiché – come ricorda il Concilio – con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni modo.

Dicendo “con la sua incarnazione” si intende certamente “dal primo istante della sua incarnazione”, e con la precisazione “specie di ogni creatura debole e minacciata”, implicitamente si indica il medesimo momento: l’uomo appena concepito, che più di ogni altro (e più che in ogni altro momento) si trova oggi in condizioni di debolezza e di minacciata sopravvivenza. E’ dunque anzitutto contro la vita dell’uomo nel grembo, specialmente la vita nel suo inizio nascosto, che la società di oggi congiura apertamente per mezzo delle sue legali strutture di omicidio e di peccato.

La “grande tribolazione” è dunque l’offensiva mondiale, culturale e materiale, contro l’uomo non ancora nato e, in particolare, contro l’uomo appena concepito, quando non è ancora avvolto nella protezione della “culla” materna, l’endometrio. I nomi strategici di tale offensiva, in Italia sono: Legge 194, Legge 40, diritto di aborto, salute riproduttiva, diritti delle donne, fecondazione assistita, pillola “del giorno dopo”, RU-486, spirale, farmaci e mezzi vari “intercettivi” e “contragestativi”, ecc.

Le cifre delle vittime di questa guerra non sono quantificabili, poiché si tratta per lo più di omicidi clandestini, ma il loro numero è “una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua” (Ap 7,9).

Allora l’albero cinguettante del Cottolengo, con la nascosta miriade degli uccellini in festa, ben rappresenta questa moltitudine sterminata di bimbi, tutti radunati a Convegno eterno in Paradiso, santi tra i santi, foglie vive lassù dell’immenso Albero della Vita, precocemente staccate quaggiù dalla mano dell’uomo, e che Dio ha predestinato, nelle vie misteriose della sua misericordia, “a guarire le nazioni”, a far crollare “i muri di inganni e di menzogne che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti e leggi ostili alla vita” (Evangelium vitae, n°100).


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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La memoria dei defunti

Dal corpo all'anima


di Carlo Carletti


L'origine della ricorrenza del 2 novembre dedicata alla commemorazione dei defunti si colloca alla fine del primo millennio nell'ambito del monachesimo benedettino cluniacense. È infatti nell'anno 998, che Odilone di Mercoeur, quinto abate di Cluny (circa 961 - 1049), dispone l'inserimento nel calendario liturgico cluniacense di una commemorazione per i defunti "di tutto il mondo e di tutti i tempi" da celebrarsi il secondo giorno del mese di novembre:  "Si decreta dal nostro padre Odilone, su richiesta e con il consenso di tutti i confratelli cluniacensi, che come in tutte le chiese di Dio di tutto il mondo si celebra la festa di Ognissanti nel primo giorno di Novembre, così presso di noi sia celebrata solennemente la commemorazione di tutti i defunti in questo modo:  nel giorno di Ognissanti, dopo il capitolo, il decano e il cellerario faranno una elemosina di pane e vino a tutti i poveri che si presenteranno, come nella cena del Signore; (...) nello stesso giorno dopo i vespri si suoneranno tutte le campane e si celebrerà l'officio dei morti; la messa mattutina (quella del 2 novembre) sarà officiata solennemente e con il suono delle campane; saranno celebrate messe in privato e pubblicamente per il riposo delle anime di tutti i fedeli e sarà offerto del cibo a dodici poveri (Statutum sancti Odilonis de defunctis, pl, 142, colonne 1037-1038).

L'estensione all'intera Chiesa di questa commemorazione sembra potersi rintracciare per la prima volta nell'Ordo Romanus del XIV secolo, dove il giorno del 2 novembre è indicato come anniversarium omnium animarum (Ildefonso Schuster, Liber Sacramentorum, IV, Torino 1932, p. 85).

Nell'antichità - sia tra i pagani sia tra i cristiani - la commemorazione dei defunti seguiva coordinate temporali diverse, circoscritte all'ambito privato e per lo più domestico. Il calendario era mobile, perché corrispondente all'anniversario dei singoli defunti, che per i pagani era il giorno della nascita (dies natalis) per i cristiani quello della morte, anch'esso definito dies natalis, ma inteso - con "slittamento semantico" - come nascita alla vita eterna.



La celebrazione a Roma dei parentalia, come evento pubblico celebrato tra il 13 e il 21 febbraio, non sostituisce la prassi secolare delle commemorazioni gentilizie e familiari (parentatio), ma sostanzialmente la integra, partecipandola all'intera comunità, in una serie di rituali e pratiche, che prevedevano la visita ai sepolcri - che venivano cosparsi di fiori (rosalia, violatio) - e soprattutto la consumazione di un pasto "comune", riservato a parenti e amici del defunto, che si svolgeva il 22 febbraio (caristie).

L'offerta dei fiori e la celebrazione del convito sono espressamente ricordati in un'iscrizione ravennate del III secolo:  un collegio funeraticio dona una somma per la celebrazione anniversaria, ma pone la condizione (sub hac condicione) che "ogni anno il sepolcro sia cosparso di rose e che lì (cioè presso il sepolcro) si svolga anche il banchetto:  quotannis rosas ad monumentum ei spargant et ibi epulentur (Corpus Inscriptionum Latinarum, xi, 132).

A Roma, analogamente, un defunto di nome Caius Turius Lollianus, parlando in prima persona attraverso il suo epitaffio, chiede ai colleghi della sua corporazione (peto vobis collegae), che per il 12 marzo - giorno della sua nascita - siano destinate somme adeguate per la celebrazione:  25 denari per i parentalia, 11 denari e mezzo per l'acquisto delle rose (Corpus Inscriptionum Latinarum, VI, 9626).

Una vivace e realistica "istantanea" di questi riti funerari è quella che si legge in una iscrizione pagana in versi di Satafis nella Mauretania Caesarensis (odierna Aïn el Kebira in Algeria). È la cronaca di un convito funebre consumato per onorare la memoria di una cara congiunta, Aelia Secundula, la mamma della dedicante ufficiale dell'iscrizione, Statulenia Giulia (Corpus Inscriptionum Latinarum, viii, 20277):  "In memoria di Elia Secundula. Noi tutti abbiamo già provveduto a disporre quanto necessario al rituale funerario sull'altare della madre Secundula qui deposta. Abbiamo provveduto ad apparecchiare la mensa di pietra, intorno alla quale ricordare le sue numerose opere virtuose, mentre vengono apprestati e offerti cibi e calici e coperte per imbandire la mensa, affinché possa essere sanata la crudele ferita che ci lacera il cuore quando a tarda ora riprendiamo volentieri ricordi e lodi della buona e pia madre, la dolce vecchietta. Visse settantacinque anni. Nell'anno duecentosessantesimo della provincia fece Statulenia Giulia".

Questo convito, strettamente domestico - come anche indicato dalla dedica suppletiva "i figli alla dolce madre" che si ricava dalla lettura sequenziale delle lettere iniziali (acrostico) e finali (telestico) di ciascun rigo - si svolge nell'anno duecentosessantesimo dell'era locale della Mauretania (che inizia nel 39 dell'era cristiana), corrispondente all'anno consolare 299. È ovvio immaginare che intorno alla tavola vi fossero le klinai ("letti tricliniari") sulle quali si disponevano semisdraiati i commensali, i quali fino a tarda ora si trattengono nel rievocare le virtù della "vecchietta" (vetula) e gli eventi che ne contrassegnarono la vita:  in qua magna eius memorantes plurima facta (...) libenter fabulas dum sera reddimus hora / castae matri bonae laudesque.


Per l'iscrizione di Aelia Secundula è quasi d'obbligo il confronto con un mosaico funerario iscritto su una mensa, inserita al centro di un letto tricliniare nella consueta forma lunata (sigma):  l'impianto fu realizzato verso la fine del IV secolo nella vasta area cimiteriale di Matarès prossima alla città di Timgad (Mauretania Caesarensis, Algeria). Sullo sfondo dell'epigrafe - in sintonia con la funzionalità di un impianto destinato ai banchetti - è rappresentato una variegata e realistica "campionatura" di fauna marina più che appetibile:  vi si distinguono agevolmente uno sciarrano, un pagello, una sardina, una aragosta, una cernia. L'iscrizione mentre ripropone la realtà di un banchetto funerario, qualifica in termini inequivocabili l'identità dei committenti nella formula iniziale:  in Chr(isto) Deo, pax et concordia sit convivio nostro:  "In (nome) di Cristo Dio regni nel nostro banchetto pace e concordia" (L'Année épigraphique, 1979, n. 682).


La concordia e la pax evocate nel mosaico di Timgad richiamano immediatamente uno straordinario (anche per l'eccezionale stato di conservazione) complesso figurativo-epigrafico del cimitero romano dei santi Marcellino e Pietro sulla via Labicana. Si tratta di scritte tracciate a pennello che accompagnano e "danno la parola" a una serie di personaggi rappresentati mentre banchettano, si direbbe, in composta allegria:  i convitati, solo uomini, semisdraiati sui letti tricliniari, richiedono "il bere" alle ancelle (solo donne), chiamandole sempre con i nomi di Irene e Agape:  Agape misce nobis ("Agape versaci da bere"), Irene por(ri)ge calda ("Agape dammi [acqua] calda" (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, vi 15942-1594). La ricorrenza per ben dodici volte dei medesimi nomi (Agape e Irene) induce legittimamente a supporre che questi forme onomastiche - peraltro diffusissime nella tarda antichità - rivestano la doppia funzione di designare, seppur genericamente, le inservienti e nel contempo evocare i concetti espressi nelle due forme onomastiche, vale a dire "pace" e "carità".

I commensali si rivolgono alle ancelle con espressioni tipicamente conviviali che, seppure ellittiche, consentono di decifrare tipo e qualità della bevanda consumata:  la menzione dell'aggettivo sostantivato "calda" (sincope per calidam) traduce esattamente la prassi abituale dei romani che bevevano vino stemperato con acqua calda o fredda:  una miscela, che nel linguaggio comune veniva appunto denominata mixtio, come indica ad esempio un graffito pompeiano (Corpus Inscriptionum Latinarum, iv, 1292) e, ancor più dettagliatamente, la dedica di un collegium fabrorum che, in occasione del giorno della nascita dell'imperatore Adriano, provvede alla distribuzione gratuita di pane e vino (le sportulae) e al relativo servizio:  panem et vinum et caldam praestari placuit (Corpus Inscriptionum Latinarum, vi, 33885). In età romana il vino puro (merum), se non miscelato con acqua calda o fredda e talvolta con miele (mulsum), era praticamente imbevibile, perché denso, amaro, eccessivamente alcolico.


Le coppie lessicali-onomastiche concordia-pax e Agape-Irene sono ambedue funzionali a evocare, a Timgad come a Roma, l'atmosfera che presiedeva o doveva presiedere allo svolgimento di un convito funerario; ma a Roma non passa inosservata la presenza del termine identitario agape (caritas) in luogo di concordia, meno ideologicamente connotato. Non è allora pura casualità che nelle iscrizioni funerarie di Roma, accanto alle normative e diffusissime in pace / en eirene, si leggano le acclamazioni greche èis agàpen, en agàpe, metà agàpes nonché il calco latino in agape (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, i 2976; vi, 15869; iv, 12185; i, 3025, 3426, 3781; iv, 12469; v, 14282) e che nell'onomastica di Roma si osservi una notevolissima diffusione dei nomi Irene e Agape (tecnicamente si tratta di cognomina):  il primo largamente impiegato fin dal I secolo anche in ambiente pagano, il secondo pressoché esclusivo dei cristiani; l'uno e l'altro (e soprattutto Irene) particolarmente diffusi in ambiente servile e libertino (Die Griechischen Personennamen in Rom. Ein Namenbuch, I-III, von Heikki Solin, Berlin - New York, 2003², pp. 458-463, 1277-1278).

Queste testimonianze sono solo una esemplificazione di un fenomeno di enorme portata che soprattutto tra i secoli iii e vi si manifesta in tutta l'area mediterranea, con una documentazione rilevante che si estende dalle testimonianze archeologiche a quelle epigrafiche e figurative. L'epicentro di queste pratiche funerarie si localizza soprattutto in Africa donde - come sembra - si estende rapidamente a tutta l'area del Mediterraneo con particolare incidenza in Spagna (Cartagena, Italica, Tarragona), a Malta, in Sardegna (Cornus e Turris Libisonis), a Roma (nelle catacombe e nel sepolcreto dell'Isola Sacra).

Una lettura storico-culturale di questo fenomeno epocale fa emergere una inscindibile interrelazione tra la commemorazione privata del dies mortis e la relativa pratica del banchetto funerario. Due momenti - tra loro complementari - di un evento commemorativo periodico, definito e regolato in codici rituali che, nel corso della tarda antichità e particolarmente nel bacino mediterraneo occidentale, è condivisa e praticata sia dalla componente pagana sia da quella cristiana della società tardoantica. Il terreno su cui si sviluppa e dal quale prende alimento non è quello di uno specifico "religioso", ma piuttosto quello della "memoria condivisa", in cui si sedimentano i vincoli familiare e sociali, trasversali alle diverse identità. C'è al fondo - per dirla con Gabriel Sanders - quella "sincronia dei discorsi sulla morte", il cui ingrediente qualificante e coesivo è il rifiuto istintivo che la vita oppone all'irruzione, sempre umanamente traumatica, dell'evento ultimo.

Ma queste pratiche non perdurano all'infinito:  alla fine della tarda antichità vengono progressivamente abbandonate e con l'inizio dell'alto medioevo tendono progressivamente a scomparire o, quantomeno, a modificarsi. Le cause prossime di questo mutamento si possono cogliere in due fattori concomitanti. In primo luogo vi è l'abbandono dei cimiteri suburbani e il rientro dei morti nell'ambito stesso della città, dove le deposizioni di concentrano all'interno stesso delle chiese o in prossimità di esse, creando un'unità inscindibile tra cimitero ed edificio di culto. Ai grandi spazi funerari del suburbio succedono le superfici anguste e comunque definite delle chiese e questo aspetto produce un progressivo mutamento comportamentale nel rispetto stesso delle sepolture, che sempre più frequentemente vengono manomesse e riutilizzate; anche l'uso dell'iscrizione funeraria si riduce sensibilmente e finisce per essere monopolizzata dalle élites cittadine laiche ed ecclesiastiche, che talvolta manifestano la preoccupazione per la intangibilità delle loro sepoltura lanciando terribili minacce verso i potenziali violatori.
 
In secondo luogo c'è un progressivo cambiamento di mentalità, una più consapevole percezione del mistero della morte, già sollecitata da figure di spicco come Agostino e Gregorio Magno:  la sollicitas verso i defunti si sposta progressivamente dal sepolcro, dal corpo corruttibile e si volge verso l'anima.

Agostino indica proprio nella sua Africa il luogo dove, in occasione dei rituali funerari, più che altrove si manifestavano eccessi incompatibili con l'identità vocazionale dei cristiani:  "Se l'Africa per prima cercasse di eliminare siffatti disordini (cioè le ubriachezze e le dissolutezze dei conviti), meriterebbe di essere degna di imitazione da parte di tutti gli altri Paesi:  e invece noi, mentre nella maggior parte dell'Italia e in tutte o quasi tutte le altre Chiese transmarine essi non esistono (...) come possiamo ancora esitare nel correggere una usanza così abominevole? (Epistolae, 22, 1, 4).

La risposta di Agostino è quella, di stringente coerenza, esposta nel De cura pro mortuis gerenda, scritto appositamente per rispondere ai preoccupati quesiti che gli poneva Paolino di Nola circa la liceità e l'utilità delle sepolture ad sanctos:  "In definitiva noi pensiamo di poter essere di aiuto ai morti soltanto suffragandoli devotamente con il sacrificio eucaristico, con le preghiere, con le elemosine (...) Riguardo poi alle onoranze del corpo qualunque cosa si faccia, non porta alcun vantaggio alla sua salvezza, ma è un dovere di umanità per quell'affetto naturale per il quale - come diceva Paolo (Efesini, 5, 29) - nessuno ha mai avuto in odio la propria carne" (18, 22).

Non diversamente Gregorio Magno insisteva, forse più che sant'Agostino, sul ruolo fondamentale della celebrazione eucaristica. Al suo nome non a caso è collegata la pratica delle "trenta messe" da celebrare per trenta giorni consecutivi e passate alla storia appunto come "messe gregoriane". Origine e motivazioni di questa iniziativa sono raccontate con toni vivaci e immaginifici in un passo dei Dialoghi (4, 57, 14):  "Erano ormai passati trenta giorni dalla morte di Giusto (un monaco confratello di Gregorio) e io cominciai ad avere compassione di lui (...) e mi chiedevo se vi fosse qualche mezzo per liberarlo (con allusione al Purgatorio). Allora, chiamato il priore del nostro monastero, Prezioso, accorato gli dissi:  da tanto tempo, ormai, quel nostro fratello morto è nel tormento del fuoco. Gli dobbiamo un atto di carità (...) Va', dunque, e da oggi, per trenta giorni consecutivi, abbi cura di offrire per lui il Santo Sacrificio".

Il progressivo prevalere di pratiche specificamente cristiane - preghiera, sacrificio eucaristico, elemosine - apriva nuove prospettive spirituali, mentali e comportamentali ormai diverse rispetto alle consuetudini ancestrali. Soprattutto per iniziativa delle comunità monastiche maturò un nuovo "modello", che poneva la comunità cristiana (e con ruolo prevalente la gerarchia) al centro della commemorazione dei defunti, accanto o addirittura in sostituzione della famiglia:  l'Eucaristia, celebrata in occasione dei funerali e degli anniversari della morte, l'evocazione di tutti i defunti nel corso della messa (memento), la distribuzione delle elemosine ai poveri, contribuirono a "spiritualizzare" un culto che per secoli si era mosso tra i confini non sempre definiti del sacro e del profano. Da queste trasformazioni derivano indotti collaterali che avranno fortuna secolare.

È intorno alla metà dell'VIII secolo che cominciano a costituirsi le prime forme associative - da cui le confraternite - costituite da vescovi e abati, con lo scopo di assicurare il conforto religioso ai "soci" defunti, con la celebrazione di messe "speciali" e la recitazione del Salterio. Un'associazione di questo tipo è quella, ad esempio, che si costituisce ad Attigny nel 762 per iniziativa di ecclesiastici (vescovi e abati) che accolgono però anche laici:  i primi si impegnano a far recitare cento volte il Salterio, celebrare personalmente trenta messe e farne celebrare personalmente altre cento alla morte di ciascun socio; i secondi contribuiscono con donazioni alle diverse comunità religiose rappresentate nell'associazione.

Il numero degli aderenti a queste pie confraternite diviene col tempo così alto, che i loro nomi durante le celebrazioni, anziché essere pronunciati, sono tacitamente ricordati deponendo sull'altare i libri memoriales o libri vitae:  elenchi di defunti, talvolta lunghissimi, come quello del monastero di Reichnau (chiesa di Niederzell dedicata a Pietro e Paolo) che arrivò nel tempo a contenere oltre quarantamila nomi. Generalmente trascritti su supporti pergamenacei, gli elenchi erano talvolta incisi sulle lastre d'altare (sempre a Reichnau), ovvero sul retro di dittici eburnei tardo antichi, come nel caso della riutilizzazione di un celebre esemplare - prodotto nel V secolo a Costantinopoli - reimpiegato alla fine del VII secolo in Provenza per accogliere anche qui una lunga lista, che si apre con una serie di oltre trecento nomi di vescovi e si chiude con la menzione dei sovrani franchi succedutisi fra il 575 e il 662.


Nella società cristiana altomedievale - acquietati i dibattiti sull'aldilà e sui tempi e i modi della sorte immediata delle anime - si andava ormai imponendo il principio che l'unica morte da temere era quella dell'anima e che dunque solo a essa doveva rivolgersi la sollicitas dei sopravvissuti. In questo nuovo ordine di "idee" l'angoscia per la morte fisica e il timore del giudizio cui era destinata l'anima furono convogliate verso una prospettiva penitenziale, mentre l'"esperienza visibile" della ineluttabile consunzione del corpo si proponeva come elemento di forte impatto per la denuncia e il disprezzo delle realtà mondane e, nel contempo, come motivo di riflessione verso la "conversione".

Gli ammonimenti di sant'Agostino erano ormai penetrati in profondità nella Chiesa occidentale. La grandiosità delle esequie, la pratica delle commemorazioni possono consolare quelli che restano ma non recano alcun vantaggio a quelli che se ne vanno" (magis sunt vivorum solatia, quam subsidia mortuorum). E in questa nuova prospettiva il vescovo di Ippona aveva richiamato la parabola del povero Lazzaro (Luca, 16, 19-22):  "se per il ricco vestito di porpora tutta la servitù familiare allestì un funerale splendido agli occhi degli uomini (in cospectu hominum), molto più splendido agli occhi di Dio (sed multo clariores in cospectu Domini) ne fu allestito un altro per quel povero pieno di piaghe da parte degli Angeli, i quali non lo deposero in un mausoleo di marmo, ma lo innalzarono nel seno di Abramo" (De cura, 2, 4).


(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Festa di Ognissanti a Savona. Un bell'articolo

di LORENZO GRAZIOLI

Exsultate iusti in Domino: rectos decet collaudatio… Esultate o giusti nel Signore: ai retti si addice lodarLo. Così recita l’introito della Santa Messa, secondo il rito di San Pio V, nella festa di Tutti i Santi.Tra qualche giorno, il Primo di novembre, la Chiesa ricorderà tutti i Santi, secondo il Martirologio romano: “in un’ unico giubilo di festa la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo, per essere incitata dal loro esempio…”.

Sono giorni di festa ma soprattutto, per i fedeli, di raccoglimento e preghiera – ancora viva la tradizione in alcuni luoghi dell’ottavario dei defunti – nonché periodo di vissuto famigliare e ricordo dei propri cari scomparsi. Capita spesso che anche chi ha perso la fede, abbia in questo periodo momento di riflessione sulla vita e d’incontro.Interessante la storia e la contestualizzazione di oggi, nella nostra provincia, di questa importante solennità.

Savona e la nostra terra di Liguria legano in modo particolare con quest’antica memoria, seguita nel calendario dalla Commemorazione dei Defunti.Festa che già dal III secolo d.C. veniva celebrata il 13 maggio.Alcuino, il maestro di Carlomagno, fu uno dei propagatori della festa.Egli era un inglese di York e i Celti consideravano il 1° novembre giorno di solennità, perché segnava l’inizio della stagione invernale.Si pensa perciò che lo spostamento della festa, dal 13 maggio al I novembre, sia stato determinato da influenze anglosassoni e francesi.Nel 835 Papa Gregorio Magno spostò la festa di Ognissanti, dedicata a tutti i Santi del Paradiso, dal 13 maggio al primo novembre, come avveniva già da tempo in Francia. Lo stesso Papa Gregorio III fece costruire all’interno della Basilica Vaticana la cappella di Ognissanti.

La stretta associazione con la commemorazione dei defunti, celebrata il giorno successivo, fu istituita solo nel 998 d.C. L’abate Odilone di Cluny diede disposizioni per celebrare il rito dei defunti a partire dal vespro del primo novembre. Il giorno seguente era invece commemorato con un’Eucarestia offerta al Signore, “pro requie omnium defunctorum”, un’usanza che ben presto si diffuse in tutta l’Europa cristiana e che fu ufficialmente istituzionalizzata da Papa Gregorio IV.Fu però Papa Sisto IV – Francesco della Rovere (1414-1484), 212° Papa della Chiesa Cattolica dal 1471 che, nel 1474, rese obbligatoria la solennità in tutta la Chiesa d’Occidente, per celebrare la comunione tra la Chiesa gloriosa e la Chiesa ancora pellegrinante e sofferente.

Ancora oggi è possibile ascoltare “l’Introito” in apertura; secondo il Rito di San Pio V anche a Savona, dopo le disposizioni del Santo Padre Benedetto XVI contenute nel “motu proprio Summorum Pontificum” entrato in vigore il 14 settembre 2007.

La Messa in latino, secondo il Rito romano antico, si terrà come di solito presso l’oratorio savonese dei santi Pietro e Caterina di via dei Mille, nel giorno di Ognissanti alle 17,30, organizzata dalla sezione “Beato Ottaviano” dell’associazione “Una voce”, in collaborazione con la diocesi di Savona e Noli. Celebrerà il Parroco di Sant’Ambrogio di Varazze don Giulio Grosso.

Dopo i primi sei mesi di “sperimentazione” abbiamo incontrato alcuni fedeli savonesi che hanno già partecipato alla messa “vetus ordo”.“In questo clima di esultanza e solennità si dischiudono i tesori della Forma Straordinaria del Rito Romano, comunemente detta Messa di San Pio V, Tridentina o Gregoriana: varietà di nomi che rispecchia momenti successivi di una crescita organica ed ininterrotta che, dall’età apostolica a San Gregorio Magno e dal Concilio di Trento al Beato Giovanni XXIII consegna a noi questo venerabilissimo rito“.

Si dichiarano soddisfatti, ci manifestano anche come fino ad ora le celebrazioni siano state molto partecipate, seguite da gran numero di fedeli.Così continuano ricordando le disposizioni del Papa e come essi restano in seno alla Chiesa Cattolica; rimarcando ogni loro adesione al Concilio Vaticano II, in continuità con la dottrina ed il magistero di Santa romana Chiesa; respingendo ogni accusa o supposizione fattasi anche nella nostra Diocesi.

“Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso” (Lettera di accompagnamento al MP Summorum Pontificum”).Per questo il Papa, dichiarando espressamente che l’antico messale non è mai stato abrogato, ha riconosciuto che i fedeli rimasti legati ad esso godono di vero e proprio diritto alla Celebrazione secondo la Forma Extraordinaria e che, contrariamente a quanto purtroppo si sente ancora ripetere, una richiesta in tal senso non è sinonimo né di sconfessione o rifiuto del Concilio né di manie estetiche o intellettuali (Amore per il latino o per i bei paramenti) né tantomeno di scisma lefebvriano”. Continuano: “Nulla è più attuale di una risposta viva ai “Cercatori” di Dio, di una liturgia in cui sia pure per un momento ti sfiorino sotto forme visibili le realtà eterne ed in cui la dottrina non resta sterile bagaglio intellettuale o abbellimento personale ma alimenta la vita dell’anima; nulla è più attuale del silenzio che restituisce l’uomo a se stesso e che diventa Sacro nel momento in cui egli può immergersi nell’intimo colloquio con Dio; nulla è più moderno di un rito che sperimenta tutte le possibilità della comunicazione non verbale (si pensi che la psicologia più recente ha riconosciuto che in un colloquio la comunicazione verbale pesa solo per il 10 % circa; tutto il resto è non verbale) per trasmettere verità e grazia ad un tempo, attraverso forme colori e gesti; e nessuno è più libero del fedele che, nel silenzio e nella contemplazione, si avvicina all’eterno come ritiene più opportuno, perché importante è che sia unica la Meta,non il mezzo”. In diverse parti del mondo, nella Chiesa Cattolica, convivono credenti appartenenti a riti diversi (copto, armeno, orientali…); basti pensare al vicino “ambrosiano”.

Queste non sono solo ricchezze culturali, ma strade che i fedeli possono percorrere per avvicinarsi a Dio, a Cristo ; contemplare nella preghiera, accostarsi al Vangelo e viverlo.Spesso le divisioni, non fatte dai fedeli, sono più rimarcate da chi ha ruoli nelle gerarchie della chiesa.Ma in questa festività , in cui tutta la Chiesa, quella con la “C” maiuscola, deve tendere a percorrere la via della Santità, sul modello dei Santi, nella luce di Cristo e sulla parola del Vangelo, dovrebbe sapersi mostrare rispettosa e madre verso tutti i sui Figli; solo da noi la “diversità” crea scandalo. Così nell’ augurio a tutti di vivere al meglio questi due importanti giorni, di Tutti i Santi e della Commemorazione dei Defunti; perché, come il Papa ci ha ricordato nella sua prima enciclica, “Deus Caritas est”.


Fonte: Il Ponente

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/11/2009 10:41
 
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Ognissanti

di padre Giovanni Scalese dal suo blog: "Senza peli sulla lingua"

Quando si è bambini, si ha la massima stima e fiducia di alcune persone (i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, ecc.); a scuola ci educano al culto degli eroi; al catechismo ci propongono l’esempio dei santi. Anche se sappiamo che nel mondo ci sono alcuni “cattivi” (da cui dobbiamo guardarci attentamente), siamo convinti che la maggior parte dell’umanità sia “buona”. Poi, col passare degli anni, a poco a poco, incominciamo ad aprire gli occhi e ad accorgerci che la realtà è un tantino diversa da come ci era stata dipinta: scopriamo che i genitori non sono cosí perfetti come ce l’immaginavamo; gli insegnanti cosí sapienti come avevamo creduto; i sacerdoti cosí santi come ci erano apparsi. Studiando piú seriamente la storia, veniamo a sapere che quelli che ci erano stati presentati come eroi non erano poi tali. L’unica categoria che tiene sembrerebbe quella dei santi. OK, gli uomini sono quello che sono, però ci sono stati almeno alcuni che sono stati capaci di vivere a pieno la loro umanità. Leggendo le vite dei santi, restiamo affascinati dal loro esempio e nasce in noi il desiderio di imitarli: Si ille et iste, cur non ego?

Gli anni continuano a passare e ci accorgiamo che non è poi cosí facile riprodurre in noi l’esempio dei santi. Quello che era stato un motivo di entusiasmo e di fervore, diventa un motivo di frustrazione. A poco a poco incomincia a insinuarsi un dubbio: ma sarà poi vero che i santi hanno fatto quel che ne scrivono gli agiografi? Divenuti sempre piú scettici e vittime dello spirito ipercritico, incominciamo a sospettare che si tratti esclusivamente di un genere letterario. E cosí, sotto la spinta di nuove scoperte e rivelazioni, anche l’immagine dei santi comincia a ridimensionarsi. Giusto un esempio: Madre Teresa, che avevamo sempre immaginato completamente assorta in Dio, per anni visse nella piú assoluta oscurità e aridità. Ma allora... anche lei era come noi?

Sí, anche lei era come noi. Tutti i santi erano come noi, dei poveri uomini come noi, peccatori come noi. Allora incominciamo a capire che certe cose strane che leggevamo nelle vite dei santi avevano un senso: quando dicevano di essere dei peccatori, non era un modo di dire, né tanto meno una forma di umiltà pelosa; era la pura e semplice verità. Quando leggevamo che si confessavano tutti i giorni, non era perché fossero scrupolosi, ma perché sentivano effettivamente il bisogno della misericordia di Dio. Quando ci parlavano delle loro tentazioni e noi pensavamo che si trattasse di una specie di commedia, in realtà avevano sperimentato le stesse tentazioni che noi quotidianamente sperimentiamo e, lungi dall’averle sempre superate vittoriosamente, spesso forse ci sono caduti come noi quasi immancabilmente ci cadiamo. A quel punto i santi cessano di essere gli eroi a cui guardavamo con ammirazione (e frustrazione) e cominciano a essere nostri fratelli, in tutto simili a noi.

Ma allora dove sta la loro santità? Non sta certo nei loro sforzi, molto probabilmente destinati al fallimento come i nostri; ma nella grazia, che si è servita di loro, nonostante i loro limiti e le loro debolezze (o forse proprio per questo), per compiere meraviglie. L’unico grande merito dei santi è stato quello di aver permesso alla grazia di operare in loro. Quest’oggi, prima che celebrare le virtú e i meriti dei santi, celebriamo la grazia di Dio, che ha saputo trasformare delle povere creature in strumenti della sua potenza.

[SM=g1740717] [SM=g1740720]

seguono le riflessioni in video di padre Claudio Traverso....

Preghiamo per questi Sacerdoti che tanto ci donano con la loro vocazione
.... [SM=g1740734]






[SM=g1740733]
Fraternamente CaterinaLD

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01/11/2009 12:54
 
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Anche i morti annunciano con il loro corpo incorrotto una vita di santità.
In questo video sono stati mostrati i corpi incorrotti di 120 monaci ortodossi vissuti e sepolti in un monastero di Kief e i crani che secernono una particolare sostanza oleosa. Cose "dell'altro mondo" ma che si possono vedere in questo mondo a testimonianza che la fede è corroborata da segni del soprannaturale.

[Modificato da (Teofilo) 01/11/2009 12:55]
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Bellissimo il video riportato da Teofilo che ci ricollega all'Angelus di Benedetto XVI


       tutti i Santi


Cari fratelli e sorelle!

L’odierna domenica coincide con la solennità di Tutti i Santi, che invita la Chiesa pellegrina sulla terra a pregustare la festa senza fine della Comunità celeste, e a ravvivare la speranza nella vita eterna.
Ricorrono quest’anno 14 secoli da quando il Pantheon – uno dei più antichi e celebri monumenti romani – fu destinato al culto cristiano e intitolato alla Vergine Maria e a tutti i Martiri: "Sancta Maria ad Martyres".
Il tempio di tutte le divinità pagane veniva così convertito alla memoria di coloro che, come dice il Libro dell’Apocalisse, "vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello" (Ap 7,14).
Successivamente, la celebrazione di tutti i martiri è stata estesa a tutti i santi, "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua" (Ap 7,9) – come si esprime ancora san Giovanni.

In questo
Anno Sacerdotale, mi piace ricordare con speciale venerazione i santi sacerdoti, sia quelli che la Chiesa ha canonizzato, proponendoli come esempio di virtù spirituali e pastorali; sia quelli – ben più numerosi – che sono noti al Signore.
Ognuno di noi conserva la grata memoria di qualcuno di essi, che ci ha aiutato a crescere nella fede e ci ha fatto sentire la bontà e la vicinanza di Dio.

Domani, poi, ci attende l’annuale Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Vorrei invitare a vivere questa ricorrenza secondo l’autentico spirito cristiano, cioè nella luce che proviene dal Mistero pasquale. Cristo è morto e risorto e ci ha aperto il passaggio alla casa del Padre, il Regno della vita e della pace. Chi segue Gesù in questa vita è accolto dove Lui ci ha preceduto.

Mentre dunque facciamo visita ai cimiteri, ricordiamoci che lì, nelle tombe, riposano solo le spoglie mortali dei nostri cari in attesa della risurrezione finale. Le loro anime – come dice la Scrittura – già "sono nelle mani di Dio" (Sap 3,1).

Pertanto, il modo più proprio ed efficace di onorarli è pregare per loro, offrendo atti di fede, di speranza e di carità. In unione al Sacrificio eucaristico, possiamo intercedere per la loro salvezza eterna, e sperimentare la più profonda comunione, in attesa di ritrovarci insieme, a godere per sempre dell’Amore che ci ha creati e redenti.

Cari amici, quanto è bella e consolante la comunione dei santi! E’ una realtà che infonde una dimensione diversa a tutta la nostra vita. Non siamo mai soli!

Facciamo parte di una "compagnia" spirituale in cui regna una profonda solidarietà: il bene di ciascuno va a vantaggio di tutti e, viceversa, la felicità comune si irradia sui singoli. E’ un mistero che, in qualche misura, possiamo già sperimentare in questo mondo, nella famiglia, nell’amicizia, specialmente nella comunità spirituale della Chiesa. Ci aiuti Maria Santissima a camminare spediti sulla via della santità, e si mostri Madre di misericordia per le anime dei defunti.

     


[Modificato da Caterina63 01/11/2009 22:17]
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03/11/2009 19:24
 
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Nelle Grotte vaticane per la commemorazione dei defunti

Il Pontefice in preghiera
sulle tombe dei suoi predecessori

Pope Benedict XVI visits the tomb of the late Pope John Paul II under Saint Peter's Basilica on All Souls Day at the Vatican November 2, 2009.



Nel giorno della commemorazione dei fedeli defunti, nella basilica di San Pietro, Benedetto XVI ha pregato sulle tombe dei suoi predecessori. Lunedì pomeriggio, 2 novembre, alle ore 18, il Papa è sceso nelle Grotte vaticane, dove - dopo un momento di raccoglimento davanti al sepolcro del principe degli Apostoli - ha guidato la preghiera in suffragio dei Pontefici. Letture e canti hanno scandito la celebrazione, alla quale hanno partecipato il cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica, con il vescovo Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro; l'arcivescovo James Michael Harvey, prefetto della Casa pontificia, con i monsignori Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e Alfred Xuereb, della segreteria particolare. Ha diretto il rito monsignor Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, assistito dal cerimoniere monsignor Francesco Camaldo. Al termine il Papa si è inginocchiato a pregare davanti alle tombe di Giovanni Paolo II, Giovanni Paolo I, Paolo VI, Pio XII, Pio XI e Benedetto XV.


(©L'Osservatore Romano - 4 novembre 2009)
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04/11/2009 19:09
 
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I saluti del Papa all'udienza di oggi 4.11.2009


Nel salutare i pellegrini italiani, rivolgo un cordiale benvenuto alle Religiose di diverse Congregazioni che partecipano al corso promosso dall'Usmi, ed auspico che esso susciti in tutte un rinnovato impegno a testimoniare la presenza e l'amore di Dio.

Saluto le Suore di Santa Dorotea di santa Paola Frassinetti, che celebrano il Capitolo Generale e assicuro la mia preghiera affinché l'importante evento sia per l'Istituto momento di riflessione e di rilancio nell'azione spirituale e missionaria.

Saluto con affetto il Cardinale Salvatore De Giorgi, che accompagna il nutrito gruppo di genitori e amici del Movimento "Ragazzi in cielo" e, nel ricordo sempre vivo di quanti sono prematuramente scomparsi per incidenti o malattie, incoraggio tutti, specialmente i genitori a coltivare la speranza nella vita eterna fondata nella morte e risurrezione di Cristo.
Molti di questi "Ragazzi in cielo" facevano parte della Federazione Italiana Esercizi Spirituali.

Rivolgo ora un pensiero speciale alla Comunità Papa Giovanni xxiii, fondata dal compianto don Oreste Benzi, morto due anni or sono.
Cari amici, la feconda eredità spirituale di questo benemerito sacerdote sia per voi stimolo a far fruttificare nella Chiesa e per il mondo la provvidenziale opera da lui iniziata a favore degli ultimi della nostra società. Vi accompagno volentieri con la preghiera.

Saluto infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli.
Ricorre oggi la memoria liturgica di San Carlo Borromeo, Vescovo insigne della Diocesi di Milano, che, animato da ardente amore per Cristo, fu instancabile maestro e guida dei fratelli. Il suo esempio aiuti voi, cari giovani, a lasciarvi condurre da Cristo nelle vostre scelte quotidiane; incoraggi voi, cari ammalati, ad offrire la vostra sofferenza per i Pastori della Chiesa e per la salvezza delle anime; sostenga voi, cari sposi novelli, a fondare la vostra famiglia sui valori evangelici.




Appello per la pace nello Sri Lanka



È una ragazza nigeriana appena liberata dalla schiavitù della prostituzione a presentare al Papa, al termine dell'udienza, le storie di dolore e speranza di "poveri, disabili, persone sole e disperate che insieme danno vita alla Comunità Giovanni XXIII". A due anni dalla morte del fondatore don Oreste Benzi "siamo venuti in tremila per dire che la nostra opera di carità è tutta nel cuore della Chiesa" spiega il responsabile Giovanni Paolo Ramonda.

Di carità "da realizzare nella giustizia e con competenza scientifica" sono venuti a parlare al Papa i responsabili dell'Oasi Federico che in Calabria hanno fondato il Centro per tutti - Benedetto XVI, con una innovativa metodologia inclusiva per i disabili capace di fare scuola nel mondo. "Al Papa abbiamo portato il dono di questo centro d'avanguardia e l'invito a visitarlo" dice Matilde Leonardi, presidente del comitato scientifico.

Un appello per la pace in Sri Lanka è stato presentato insieme al Pontefice dai capi delle diverse religioni, "con particolare riferimento alla situazione dei profughi e agli aiuti economici" dice monsignor Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, arcivescovo di Colombo. Martedì 3 la delegazione ha incontrato il cardinale Bertone, segretario di Stato. Prossimi appuntamenti all'Unione europea e ai ministeri degli Esteri a Parigi e Londra.

L'attività ecumenica del Centro san Clemente di Kiev è stata illustrata al Papa dal direttore Konstantin Sigov e da padre Filaret Egorov, ortodossi del Patriarcato di Mosca. "Il Centro - spiegano - promuove un progetto culturale cristiano adatto alla realtà di un Paese post-comunista".

Con don Paolo Gariglio, rappresentante dell'associazione "Ragazzi in cielo", il Papa ha ricordato i due giovani sacerdoti maltesi fidei donum a Torino morti nel 2007 e nel 2009, don Joe Galea e don Joshua Muscat. Quindi dal sindaco di Bucarest, Sorin Oprescu, ha ricevuto l'assicurazione dell'impegno dell'amministrazione in favore della cattedrale cattolica minacciata dalla costruzione di un grattacielo. All'udienza erano anche presenti il parroco e il sindaco di Marktl am Inn, paese natale di Joseph Ratzinger.





 


(©L'Osservatore Romano - 5 novembre 2009)


                                Pope Benedict XVI waves at pilgrims gathered on Saint-Peter's square at the Vatican as he leaves after his weekly general audience on November 4, 2009.

[Modificato da Caterina63 04/11/2009 19:10]
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06/11/2009 12:41
 
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Santa Messa in suffragio dei Vescovi e Cardinali defunti nel corso dell'anno
Basilica Vaticana

LUX AETERNA


[SM=g1740733]



REQUIEM AETERNAM




[SM=g1740717] [SM=g1740720]


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06/11/2009 22:45
 
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«Noi possiamo soccorrere e anche liberare le Anime dal­le pene del Purgatorio con preghiere, indulgenze, elemosime ed altre opere buone e sopra tutto con la S. Messa» (Cate­chismo di S. PIO X).


Vi ricordiamo di consultare :

Meditiamo:



Quante volte facciamo i commossi e i generosi di fronte ad episodi di sofferenze umane e poi, con imperdonabile leggerezza, non ci curiamo di chi terribilmente soffre nel Purgatorio! C'è sovente, purtroppo tanta premura di entrare in pos­sesso dell'eredità dei Defunti, ma altrettanta negligenza nel dimenticare le loro sofferenze.

Se è dovere di carità soccorrere chiunque si trova nella necessità, è chiaro che al primo posto vanno messe le Anime del Purgatorio; tanto più che abbiamo sempre la possibilità di farlo. La precedenza va data a quelle cui siamo legati da doveri particolari di giustizia e di carità: i nostri familiari, gli ami­ci, le persone che ci hanno fatto del bene, sia spirituale che materiale. Siamo anche particolarmente obbligati verso quelle Ani­me che possono trovarsi in Purgatorio per colpa nostra, per­ché scandalizzate da cattivi esempi, oppure non aiutate mentre erano in vita.
Molto efficace è il suffragio inviato a quanti ci hanno fatto soffrire: questa carità torna utilissima sia a chi la fa, sia a chi la riceve. E infatti molto virtuoso amare i nostri ne­mici, come vuole il Vangelo: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt. 5, 45). Perdonate e vi sarò perdonato. Date e vi sarò dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarò versata in grembo, perché con la misura con cui mi­surate, sarò misurato a voi in cambio» (Lc. 6, 37.3.

Leggiamo, a proposito, nella vita di S. Margherita Maria: «Due anime del Purgatorio per le quali la santa pregava, le furono mostrate entro le prigioni della divina Giustizia, dove l'una soffriva incomparabilmente più dell'altra. La prima si lamentava di se stessa per le mancanze com­messe contro la carità che deve regnare nelle Comunità reli­giose. Queste colpe le avevano attirato, tra le altre punizio­ni, quella di non prendere parte alcuna ai suffragi che la Co­munità offriva a Dio per le proprie Religiose. In quei terribili patimenti che ella offriva, non riceveva altro sollievo che quello delle preghiere di tre o quattro Reli­giose verso le quali ella aveva avuto in vita minor stima e mi­nor carità».

Una categoria di Anime che deve ancora sollecitare par­ticolarmente la nostra carità fraterna sono quelle più abban­donate, quelle alle quali nessuno pensa.
Se consideriamo che ogni giorno scendono nel Purgato­rio decine e decine di migliaia di Anime, è facile comprendere che per tante di esse non c'è chi fa una preghiera. E’ vero che a tutte vengono applicati i suffragi universali della Chie­sa; tuttavia, queste povere Anime si trovano in una situazio­ne meno fortunata rispetto a quelle che hanno qualcuno che si ricorda di loro. Grande carità, perciò, è l'aiutarle. Queste Anime, va pure ricordato, sono anche molto sen­sibili al nostro aiuto e lo ricambiano sempre con grazie pre­ziose.

Come tutto può essere grazia per noi, così tutto può di­venire grazia per chi soffre nel Purgatorio. E però da notare che l'efficacia di tutte queste opere buone dipende essenzialmente dallo stato di grazia di chi le compie. «il tralcio che non è unito alla vite, dice Gesù, non può dare frutto» (cf. Gv 15,4).
E S. Paolo: «Se anche distribuis­si tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere brucia­to, se non ho la carità, niente mi giova» (1 Cor 13,3).

E' necessario, perciò, che chi desidera compiere opere di misericordia per i Defunti, sia unito a Cristo con l'amore. Dalla intensità di questo amore (il quale ha per fondamento l'osservanza dei dieci Comandamenti: Gv 15,10) dipende il merito delle nostre opere buone e quindi l'efficacia dei suf­fragi per i nostri Morti.

Voler essere migliori, per poter salvare i peccatori e libe­rare le Anime del Purgatorio: è un proposito santo, gradito a Dio. E quanta riconoscenza e quanta gloria troveremo in Cielo!

«Il Santo Sacrificio, afferma il Concilio di Trento, è of­ferto per i vivi e per i morti; le Anime del Purgatorio si pos­sono aiutare con i suffragi dei vivi e specialmente con il San­to Sacrificio della Messa».

A Roma, durante la celebrazione della S. Messa, nella Chiesa di S. Paolo alle Tre Fontane, S. Bernardo vide una scala lunghissima che saliva fino al Cielo. Per essa salivano e scendevano tantissimi Angeli, portando dal Purgatorio al Paradiso le Anime liberate dal S. Sacrificio di Gesù, rinno­vato dai Sacerdoti sugli altari di tutta la terra.
La S. Messa è infatti il Sacrificio di Gesù ed ha perciò un infinito valore espiatorio. Gesù Immolato è la vera vittima di «espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 2,2); e il suo San­gue viene sparso «in remissione dei peccati» (Mt 26,2.
Che cosa detiene le Anime nel Purgatorio, se non i pec­cati commessi in vita? Per tre volte, prima della Comunio­ne, il Sacerdote insieme ai fedeli ripete questa ardente invo­cazione: Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi! Recitiamo sempre questa preghiera col deside­rio di liberare dal peccato le nostre Anime e quelle che sof­frono nel fuoco purificatore.

Il S. Curato d'Ars, nei suoi «Catechismi», così parlava della S. Messa: «Tutte le opere buone riunite insieme non equivalgono al S. Sacrificio della Messa, perché esse sono opera degli uo­mini, mentre la S. Messa è l'opera di Dio. Anche il martirio è niente in confronto, perché è il sacrificio che l'uomo fa a Dio della propria vita: la Messa invece è il sacrificio che Dio fa all'uomo del suo Corpo e del suo Sangue.

«Un santo Sacerdote pregava per un suo amico. Dio gli aveva fatto conoscere che egli era in Purgatorio. Pensò che non poteva fare niente di meglio che offrire per lui il Santo Sacrificio della Messa. «Quando fu al momento della consacrazione, prese l'ostia fra le mani e disse: Padre Santo ed eterno, facciamo un cambio: Voi tenete l'anima del mio amico in Purgatorio e io tengo il Corpo del vostro Figlio nelle mie mani: -liberate il mio amico e io Vi offro vostro Figlio con tutti i meriti del­la sua passione e morte. «Nel momento della elevazione dell'Ostia, vide l'anima del suo amico, tutta splendente di gloria, che saliva al Cie­lo».
Per partecipare alla S. Messa nel modo più efficace per noi e per le anime del Purgatorio, è richiesto di fare devota­mente la Comunione: «O anime cristiane e devote, esclama S. Bonaventura, volete dare delle vere prove d'amore ai vostri Defunti? Vole­te inviare loro validi aiuti e la stessa chiave del Cielo? Fate sovente per loro la S Comunione!».

Dice S. Francesco di Sales: «Anime fedeli che piangete inconsolabili la perdita dei vostri Cari, io non vi proibisco le lacrime! Sì, piangete pure la loro morte, ma addolcite le vo­stre lacrime con il balsamo soave della preghiera, la quale, più di tutte le dimostrazioni esteriori, torna utile a voi e alle Anime che la morte vi ha rapito».

Gesù, in una apparizione a S. Gertrude, le disse: «Io provo un grandissimo piacere per le preghiere a Me rivolte a favore dei Defunti; soprattutto quando sono fatte con devo­zione. Esse ridiscendono ad ogni istante sulle Anime del Purgatorio, come una rugiada benefica che mitiga e addol­cisce le loro pene ed abbrevia il tempo della loro prigionia».

Qualunque preghiera, qualsiasi pratica devota, comuni­taria o individuale, può essere offerta alle Anime purganti, dovunque essa venga fatta: in casa, in chiesa, per via, sul la­voro...; purché fatta col cuore.

Tra le preghiere più utili a suffragare i nostri Morti, sono da ricordare: - Il Salmo 129 (Dal profondo a te grido, o Signore). - L 'eterno riposo. - La Coroncina dei Defunti. - il S. Rosario.

Un'anima liberata dal Purgatorio disse a S. Domenico, il grande apostolo del Rosario: «In nome delle Anime purganti, io vi scongiuro di predicare in tutto il mondo la devozione al S. Rosario. La SS.ma Vergine e gli Angeli godono di questa preghiera e le Anime liberate pre­gano in Cielo per i loro liberatori».

- La Via Crucis e i Cinque Pater-Ave-Gloria alle S. Piaghe del Signore: «Ogni sguardo d'amore a Gesù Croci­fisso è da Lui corrisposto con tenerezza paterna e tanto lo commuove che lo dispone a concedere quanto gli si doman­da per i vivi e per i morti» (S. Gertrude).
Nella sua autobiografia, S. Teresa d'Avila scrive: «Nel giorno dei Morti, essendomi riti­rata nella mia cella per recitare l'Ufficio dei Defunti, mi sen­tii fortemente ostacolata dal Maligno che voleva impedirme­lo. Lo misi in fuga con l'acqua santa e potei fare in pace la mia preghiera, finita la quale, vidi salire dal Purgatorio al Cielo parecchie anime, liberate da quel suffragio».

E’ bene pregare per i Defunti specialmente in queste cir­costanze: passando vicino ai Cimiteri (oh, se potessimo ve­dere quante Anime sono lì in attesa d'un suffragio!); quan­do incontriamo un accompagnamento funebre e quando vi partecipiamo; quando sentiamo notizie di incidenti, disastri o morti di persone conosciute o no. Niente ci costa la recita di un'Ave Maria o di una giacu­latoria, oppure l'offerta di quanto stiamo facendo. E invece carità preziosa che dà gioia a chi la fa e sempre ritorna in be­nedizioni da parte di chi la riceve.

Il cristiano, il quale confessa i propri peccati con le dovute disposizioni o fa un atto di pentimento perfetto (dolore di aver offeso Dio) con il pro­posito di confessarsi al più presto, ottiene il perdono della colpa commessa e della pena eterna, dovuta al peccato mortale; non sempre però ottiene il perdono della pena temporale che dovrà scontare in questa vita (con preghiere, penitenze, elemosine, pellegrinaggi ecc.), oppure nel Pur­gatorio. L'Indulgenza è la remissione della pena temporale do­vuta per i peccati; viene concessa dalla Chiesa, la quale, come ministra della Redenzione, autoritativamente dispen­sa ed applica il tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi.
L'indulgenza è parziale o plenaria, secondo che libera in parte o in tutto dalla pena tèmporale. Le indulgenze, sia parziali che plenarie, possono sem­pre essere applicate ai Defunti. L'indulgenza parziale si acquista anche più volte al giorno, con qualsiasi preghiera, sacrificio od opera buona. L'indulgenza plenaria, invece, si acquista una sola volta al giorno e richiede che sia compiuta l'opera prescritta e si adempia a tre condizioni: Confessione sacramentale, Co­munione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. Richiede inoltre che sia escluso ogni at­taccamento al peccato, anche veniale. Se manca la piena disposizione o non sono poste le tre condizioni, l'indulgen­za è solo parziale. La Confessione sacramentale, per chi non ha commesso colpe gravi, è sufficiente che sia stata fatta entro i venti giorni.

L'opera prescritta per acquistare l'indulgenza plenaria, può essere: - la recita di una corona del Rosario (cinque misteri), oppure - l'esercizio della Via Crucis (il venerdì o nei giorni di Quaresima). Si aggiunge il Padre nostro e l'Ave Maria, secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. L'Indulgenza della Porziuncola si acquista il 2 agosto, visitando la Chiesa parrocchiale e recitando il Padre nostro e il Credo, secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. Nella Commemorazione dei Defunti (2 novembre) si ac­quista l'indulgenza plenaria (una sola volta) visitando una chiesa e recitando il Padre nostro e il Credo, secondo le in­tenzioni del Sommo Pontefice. Dal 1° all'8 novembre, si acquista l'indulgenza plenaria con la visita al Cimitero, pregando per i Defunti (qualun­que preghiera) e aggiungendo il Padre nostro e il Credo, per il Papa.

Le SS. Messe Gregoriane.

Si tratta della celebra­zione ininterrotta di trenta SS. Messe a suffragio di un'Anima del Purgatorio. La pia pratica è nata così. Un monaco del Convento di S. Gregorio Magno aveva accettato, senza il consenso del superiore, tre scudi d'oro da un suo beneficato: mancanza gravissima contro il voto di povertà, professato dai mona­ci, per la quale era incorso nella pena di scomunica. Essendo il monaco deceduto poco tempo dopo, S. Gre­gorio, per dare una lezione esemplare a tutta la Comunità monastica, non solo continuò a lasciarlo nella scomunica, ma lo fece seppellire fuori del Cimitero comune, gettando nella sua fossa i tre scudi d'oro. Qualche tempo dopo, preso da compassione, il Santo chiamò l'economo del monastero e gli disse: «Il nostro confratello è tormentato dalle pene del Purgatorio: inco­mincia subito per lui la celebrazione di trenta SS. Messe, senza interromperla». Il monaco ubbidì; ma, per le troppe occupazioni, non pensò a contare i giorni. Una notte, gli apparve il monaco defunto e gli disse che se ne andava al Cielo, libero dalle sue pene. Si contò allora il numero delle SS. Messe celebrate in suo suffragio e si trovò che erano precisamente trenta. D'allora invalse l'uso di far celebrare trenta SS. Messe per i Defunti, dette appunto Gregoriane dal nome di S. Gregorio: uso che è tuttora in vigore nei monasteri bene­dettini e trappisti e che Dio con molte rivelazioni ha fatto conoscere essergli molto gradito (Dialoghi, IV, 10).

Si può qui rispondere ad una critica facile a sentirsi: «Vedi, si dice, basta avere del denaro e te la cavi anche nell'altra vita. Certa gente fa di qua ciò che vuole e poi, con la celebrazione di Messe, si compra anche il Paradiso». Sentite cosa risponde un'Anima del Purgatorio: «Delle preghiere della terra, in Purgatorio si riceve solo quel tanto che Dio vuole che ciascun'anima riceva secondo le disposi­zioni meritate. E’ un nuovo dolore aggiunto agli altri per queste povere Anime: il vedere cioè che le preghiere che si fanno per la loro liberazione, vengono applicate a chi ne è più degno. «Il sollievo di ciascun'anima dalle pene è proporziona­to al suo merito. Le une ricevono di più, le altre di meno. «La Madre I. non ha avuto alcun beneficio dalle SS. Messe fatte celebrare in suo suffragio. Le religiose non hanno alcun diritto di disporre dei loro beni: ciò è contro la Povertà».

(Manoscritto del Purgatorio)




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Dicono Gesù e Maria: PREGATE, PREGATE, PREGATE......

rispondiamo con i Santi: PREGHIAMO, PREGHIAMO, PREGHIAMO.....


CORONCINA ALLE CINQUE PIAGHE PER LE ANIME ABBANDONATE
(se non avete questa coroncina, usate una comune Corona del Rosario)


                                                coroncina cinque piaghe

Meditando sulle cinque piaghe di nostro Signore Gesù Cristo.


Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto. Gloria al Padre.
 
Dove normalmente si dice il Mistero, si dica quanto segue:

I. Mio Redentore, adoro profondamente la piaga della tua Mano destra e Ti ringrazio per il dolore che in essa volesti soffrire per la nostra salvezza. In questa piaga racchiudo le Anime del Purgatorio abbandonate da tutti e particolarmente da coloro che utilizzano per loro fini egoistici il denaro da esse lasciato e che avreb­be dovuto essere impiegato in opere di carità o comun­que in suffragi per loro sollievo. Dio Eterno, Redentore e Padre delle nostre anime, Ti prego di consolare con la tua infinita clemenza quelle povere Anime afflitte.

Pater, 5 Ave Maria, Gloria, L’eterno riposo.



II. Mio caro Gesù, adoro profondamente la piaga della tua Mano sinistra e Ti ringrazio per il dolore che in essa sopportasti per Mio caro Gesù, adoro profondamente la piaga della tua Mano sinistra la nostra salvezza. In questa piaga racchiudo le Anime dei genitori abbandonati nel Purgatorio dai loro figli ingrati. Abbi compassione, eterna Sapienza increata, del dolore che soffrono que­ste Anime infelici nel vedersi abbandonate proprio da coloro che hanno amato e cresciuto.

Pater, 5 Ave Maria, Gloria, L'eterno riposo.


III. Mio Salvatore, adoro profondamente la Piaga del tuo Costato che fu prodotta dalla lancia di un sol­dato dopo la tua morte. In essa racchiudo le Anime dei poveri del mondo, a qualsiasi nazionalità appartengano. Al tuo Cuore squarciato affido le Anime di coloro che sono vissuti nella fame e tra gli stenti e forse neppure ora hanno qualcuno che si occupi di loro e le aiuti.

Pater, 5 Ave Maria, Gloria, L'eterno riposo.


IV. Eterno Figlio fatto uomo per la mia liberazione, adoro profondamente la piaga del tuo Piede destro e Ti ringrazio del dolore in essa sopportato per donarmi il Paradiso. In questa Piaga racchiudo le Anime dei bam­bini vittime dell'aborto o comunque della violenza, accoglili tra le tue braccia amorevoli e perdona anche i loro genitori e quelli che hanno perpetuato i delitti mostruosi contro gli innocenti perché come i tuoi car­nefici Gesù, non sapevano valutare l'enormità del pec­cato che stavano commettendo. Ricorda, Padre miseri­cordioso, che sono anch'essi tuoi figli amati.

Pater, 5 Ave Maria, Gloria, L'eterno riposo.


V. Eterno Figlio fatto uomo per donarci la vita, adoro profondamente la piaga del tuo Piede sinistro e Ti rin­grazio del tormento in essa sofferto per renderci felici. In questa piaga racchiudo le Anime di coloro che hanno operato per la rovina delle famiglie, e quelle dei giova­ni che hanno impostato la loro vita nelle frivolezze senza preoccuparsi dei valori sacri che la tua legge ci propone. Gesù mio, se avessero conosciuto Te avrebbe­ro potuto comprendere le meraviglie dell'amore vero e la dolcezza della tua vicinanza, ma forse nessuno ha parlato loro della felicità e della pace che solo il tuo amore sa dare. Abbi misericordia, Gesù, Dio-Amore, supplisci alle loro mancanze con il tuo amore purissi­mo e lavale con il tuo Sangue prezioso affinché siano presto purificate e possano giungere a saziarsi della gioia senza fine.

Pater, 5 Ave Maria, Gloria, L'eterno riposo

De profundis.

De profundis clamavi ad te, Domine: * Domine, exaudi vocem meam.

Fiant aures tuae intendentes, in vocem deprecationis meae.

Si iniquitates observaveris, Domine: * Domine, quis sustinebit?

Quia apud te propitiatio est, * et propter legem tuam sustinui te, Domine.

Sustinuit anima mea in verbo eius, * speravit anima mea in Domino.

A custodia matutina usque ad noctem, speret Israël, in Domino.

Quia apud Dominum misericordia, * et copiosa apud eum redemptio.

Et ipse redimet Israël, * ex omnibus iniquitatibus ejus.

Requiem aeternam dona eis, Domine: et lux perpetua luceat eis.

Requiescant in pace. Amen.

Indulgenza di tre anni. Plenaria se recitato ogni giorno per un mese intero.



Dal profondo a te grido, o Signore;Signore, ascolta la mia voce.Siano i tuoi orecchi attentialla voce della mia preghiera. Se consideri le colpe, Signore,Signore, chi potrà sussistere?Ma presso di te è il perdono:e avremo il tuo timore.Io spero nel Signore,l'anima mia spera nella sua parola. L'anima mia attende il Signorepiù che le sentinelle l'aurora.Israele attenda il Signore,perché presso il Signore è la misericordiae grande presso di lui la redenzione.Egli redimerà Israeleda tutte le sue colpe.





Preghiamo:

Signore Gesù, per avvalorare maggiormente le nostre deboli suppliche, Ti preghiamo umilmente di offrire Tu stesso all'Eterno Padre il terribile dolore prodotto dalle Piaghe dei Piedi, delle Mani e del Costato, insieme col Sangue preziosissimo, con l'agonia e con la tua morte. Preghiamo anche Te, addolorata Vergine Maria, di pre­sentare al Padre insieme alla dolorosa Passione del tuo Figlio tanto amato, i sospiri, le lacrime e tutte le soffe­renze che hai sofferto per le sue pene, affinché, per i meriti del vostro dolore e del vostro amore, le Anime che si trovano tra le fiamme del Purgatorio siano libe­rate e possano giungere in Cielo per cantare in eterno la divina misericordia.

Amen.


                                                                      Image
Fraternamente CaterinaLD

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[SM=g1740733] Amici, un'altro anno è trascorso e ci ritroviamo a meditare sulla Festa di TUTTI I SANTI ma anche sulla Memoria dei nostri Cari Defunti....


Le vetrine sono già attrazzate per Halloween, non muoviamo la solita guerra mediatica di chi è pro o contro, il vero Cattolico non è colui che sceglie il "male minore" ma colui che sa trarre un BENE da tutto....inoltre Halloween vuol dire FESTA DI TUTTI I SANTI... era la festa in cui i Cristiani, IN CRISTO, VINCEVANO L'INCOMPRENSIBILE MORTE....

Oggi Halloween serve per ESORCIZZARE la Morte nel modo peggiore e dunque ci sono Cristiani che la vietano, cattolici che la combattono, cattolici che ne restano indifferenti, altri che sono solo più confusi....

E allora vi offriamo anche queste meditazioni:
Halloween? si, grazie, ma quello CATTOLICO, ossia LA FESTA DI TUTTI I SANTI!



Dal mio canto voglio qui ricordare la mia Mamma, unendo le mie preghiere a quanti di voi hanno perduto un proprio Caro....Essi non ci hanno lasciato per sempre, quanto piuttosto CI ATTENDONO PER STARE INSIEME NELL'ETERNITA'....
questo è l'autentico Halloween, FESTA DI TUTTI I SANTI, che ci attendono in Cristo nostro Signore e nostro Dio



Perché i Santi: l’editoriale di padre Lombardi

Fra poco più di una settimana la Chiesa celebrerà la
Solennità di Tutti i Santi. Ieri è stata avviata la fase diocesana della causa di Beatificazione di un grande testimone della fede, il cardinale vietnamita Xavier Nguyên Van Thuân, mentre il 17 ottobre scorso il Papa ha proclamato 6 nuovi Santi facendo accorrere in San Pietro pellegrini di tutto il mondo. Ascoltiamo in proposito la riflessione del nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per “Octava Dies”, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

Le canonizzazioni del 17 ottobre sono state un po’ particolari. Soprattutto due fra i nuovi Santi hanno mobilitato un interesse molto speciale nei loro Paesi. Parliamo di Mary MacKillop e il Fratel André Bessette. Gli altri Santi e Sante erano italiani, spagnoli, polacchi…e perciò – pur grandissimi - non erano una novità assoluta…Ma l’Australia non aveva ancora avuto una santa e anche il Canada aveva minore familiarità con le canonizzazioni. Gruppi di migliaia di pellegrini hanno affrontato viaggi lunghissimi e costosi per essere presenti in Piazza San Pietro; molti giornalisti e troupes televisive sono venuti a Roma per scrivere articoli, fare reportages, interviste, dirette sulla cerimonia e gli altri festeggiamenti. Di solito i media si muovono quando capiscono che c’è un interesse popolare ampio e diffuso.

Insomma. La Chiesa propone solennemente nei Santi dei modelli di vita cristiana, ma lo fa riconoscendo quello che il popolo perlopiù ha già capito: che certe persone incarnano il Vangelo con esemplarità straordinaria, e così diventano per chi li incontra degli amici spirituali, delle guide affascinanti per arrivare all’amore di Dio, alla fede, alla speranza.

Le canonizzazioni sono il riconoscimento che lo Spirito di Dio soffia in persone comuni, come Mary e Fratel André, e produce frutti di virtù che sono fonte di conforto e luce per moltissimi altri. La canonizzazione è veramente una festa. Alcuni santi vengono riconosciuti solennemente; la grande maggioranza non diventano universalmente famosi, ma diffondono ugualmente attorno a loro fede, speranza, amore. Questo è il lato più bello della Chiesa. Nella Chiesa tutto il resto è al servizio di uomini e donne di ogni Paese e condizione, perché possano camminare incontro a Dio sulle vie della santità. Impariamo a vedere la Chiesa in questa prospettiva e a rinnovarla continuamente, cominciando da noi. 

Radio Vaticana




[Modificato da Caterina63 23/10/2010 14:23]
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29/10/2010 21:21
 
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Una sintesi della teologia delle esequie cristiane

Riprendo da ZENIT questa riflessione di don Enrico Finotti, parroco di S. Maria del Carmine a Rovereto (Trento), che apparirà prossimamente sulla rivista di formazione liturgica “Liturgia 'culmen et fons'”. Si tratta di un utilissimo "ripasso" dogmatico in vista del 2 novembre. Per non scindere la sana dottrina cristiana dalla pastorale e dalla predicazione, finendo per svuotare queste ultime. La dottrina - certamente - non è tutto. Ma è senza dubbio la spina dorsale, lo scheletro che supporta i muscoli e gli altri organi. Togli l'impalcatura dottrinale e casca tutto lo sforzo pastorale, soprattutto nel caso della morte e del senso cristiano dei riti funebri.


LA TEOLOGIA DELLE ESEQUIE CRISTIANE


Uno degli errori oggi più diffusi è quello di sottovalutare le basi teologiche e impostare dei progetti pastorali senza il fondamento dottrinale, con esclusiva attenzione alle urgenze sociologiche. In tal modo tutto diventa fragile e, in poco tempo, anche un progetto alquanto elaborato viene travolto dal passare di quelle opinioni momentanee che l’hanno generato. Questa insipienza, tipica del relativismo, porta a non dedicare sufficiente tempo ed energie alla formazione teologica e, non considerandone adeguatamente la sua necessità essenziale, tutta la costruzione è posta in stato permanente di crollo. E’ ciò che avviene anche nel tessuto ecclesiale, quando miriadi di pubblicazioni e interminabili riunioni producono frutti effimeri e bruciano inutilmente le migliori intenzioni. Di qui lo stato diffuso di spossatezza e di inefficacia, che debilita i pastori e i fedeli.

Anche riguardo alle esequie ecclesiastiche, una pastorale intelligente, duratura ed efficace sul popolo di Dio, non può che basarsi su una solida teologia, che illumini e giustifichi il senso dei riti liturgici. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI è maestro di questa rifondazione teologica a tutto l’agire della Chiesa e il suo magistero, se accolto con docilità, porterà la Chiesa a quella solidità di pensiero e di azione, che è intrinseca alla rivelazione divina e che non ammette il dubbio sistematico e la vaporosità di una ricerca mai conclusa e fine a se stessa. Per questa urgente opera di rifondazione teologica il Papa esordisce indicando come prima emergenza proprio la Liturgia, culmen et et fons’ della vita della Chiesa. Le sue omelie, in particolare, introducono i fedeli nella celebrazione dei santi Misteri in linea con la più classica tradizione mistagogica dei Padri, costituendo un esempio di alto profilo per tutti i sacerdoti.

Le esequie cristiane si rapportano alle due dimensioni costitutive dell’uomo: l’anima e il corpo. La Chiesa eleva il pio suffragio per l’anima immortale del defunto, nella speranza della sua eterna salvezza, e ne onora con una degna sepoltura il corpo esanime, nell’attesa della sua risurrezione.
I riti esequiali descrivono e trasmettono fondamentali articoli di fede, che costituiscono la ‘forma’ interiore e il senso dei riti esteriori trasmessi dalla tradizione liturgica.
Possiamo allora individuare i principali dogmi che vi sono sottesi.

1. L’immortalità dell’anima

Nelle esequie cristiane spira una presenza soprannaturale, che ci fa percepire che l’anima del defunto non è estinta nel nulla, ma è viva, perché immortale. Sta ora sul versante ultraterreno, è uscita dal regime della fede ed è entrata nella dimensione dell’ eternità. Pur separata dal corpo, sussiste nell’esercizio, per quanto misterioso ma reale, delle sue facoltà spirituali. Tale certezza fa delle esequie una celebrazione di vita e di profonda serenità, pur nell’amarezza delle lacrime per il distacco e apre i credenti all’attesa di un rinnovato incontro con chi vive e ci aspetta lassù, come ben si esprime una monizione del rito delle esequie: “…di nuovo infatti, potremo godere della presenza del fratello nostro e della sua amicizia e, questa nostra assemblea, che ora con tristezza sciogliamo, lieti un giorno nel regno di Dio ricomporremo” (Rito delle Esequie, n. 73).

2. Il purgatorio

La Chiesa sa bene che ogni uomo è peccatore e, nonostante il lavacro battesimale, a causa della concupiscenza, la vita della Grazia è fragile e l’itinerario terreno faticoso e incerto. Al di là del perdono sacramentale, elargito ordinariamente mediante il sacramento della Penitenza, la Giustizia divina esige una adeguata riparazione, prima che l’anima possa accedere alla gloria: è il dogma del purgatorio. La Chiesa, dunque, non presume mai nei suoi figli quello stato perfetto di santità, che solo Dio può riconoscere e, umilmente, invoca misericordia, eleva il suffragio e si mantiene sotto il giogo della penitenza. Per questo lo stile della liturgia esequiale è penitenziale: nel colore (viola o nero), nell’addobbo (assenza di fiori), nel tenore delle orazioni e nei canti. La Chiesa non ‘canonizza’ il defunto, ma lo affida a Dio con il cuore contrito ed umiliato e aspetta solo da Lui la lode. In qualche modo, nelle esequie, la Chiesa, secondo la parabola evangelica del banchetto nuziale (Lc 14, 7ss.), pone il defunto all’ultimo posto, steso a terra ai piedi della ‘santa mensa’, e attende che Dio stesso, e solo Lui, sorga e dica “Amico, passa più avanti” (Lc 14, 10).

3. La comunione dei Santi

La Chiesa sa di poter comunicare misteriosamente con i Defunti, di poterli affidare realmente alla misericordia di Dio, di avere con loro una misteriosa solidarietà soprannaturale e ricevere il beneficio di una invisibile e valida intercessione. Per questo educa i suoi figli, ancora peregrini qui in terra, a mantenere una continua comunione con coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e dormono il sonno della pace. Le persone amate e tutti quelli che ci hanno fatto del bene ci seguono, ci amano con carità soprannaturale e intercedono per noi secondo i disegni di Dio. Essi ci attendono là dove ogni lacrima sarà asciugata e si vedrà il volto di Dio. S. Cipriano afferma tutto ciò con squisita dolcezza: “Là ci attende un gran numero di nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri ormai della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza” (Lit. Ore, Uff. lett. venerdì 34° sett. ord.).
Soffermiamoci a questo punto a considerare gli effetti che la secolarizzazione sta oggi producendo, entrando violentemente nella liturgia esequiale della Chiesa. Il cuneo che ne consente l’ingresso è costituito da un concetto di ‘pastorale’ intesa ormai solo come accondiscendenza sociologica all’ambiente, senza più riferimento al Mistero della fede.

La mentalità secolarizzata dominante cancella totalmente i dogmi della fede sopra esposti e svuota di conseguenza lo spirito e la lettera dei riti liturgici stabiliti dalla Chiesa, che vengono devitalizzati, alterati e, infine, omessi e reinventati.
Mentre le esequie ecclesiastiche sono celebrazioni vive nel presente e rivolte al futuro, aperte alla speranza teologale e alla luce mirabile di ciò che ancora non vediamo, le esequie secolarizzate sono irreversibilmente rivolte al passato, travolte dal flusso inesorabile del tempo e fragili come la memoria psicologica. Infatti, se il defunto è nel nulla e di lui non rimane niente come persona viva, se insomma l’immortalità dell’anima è negata, resta solo il triste ricordo, totalmente sul versante del passato e inesorabilmente sempre più flebile, fino alla sua graduale dissoluzione. Per questo la secolarizzazione accentra la celebrazione sulla commemorazione del defunto. Essa, infatti, è il perno rituale nelle esequie profane. Ma la commemorazione è sguardo al passato. La persona commemorata né vive, né più ritornerà. Di essa rimangono solo le sue idee, il suo esempio e le sue opere: tutte realtà compiute dalla persona estinta, ma prive del soggetto vivo che le ha prodotte e quindi affidate alla interpretazione positiva o negativa dei posteri, come anche alla loro totale obliterazione.

Se l’anima non vive più, diventa del tutto inutile la preghiera di suffragio per l’eventuale purificazione ultraterrena. Col dogma dell’immortalità dell’anima cade pure quello sul purgatorio e quello della comunione dei Santi. Così in linea con la secolarizzazione si farà ampio uso dell’elogio.
Non resta, infatti, che celebrare con enfasi quei ‘fasti’, che ora sono retaggio della memoria di chi ha conosciuto il defunto. La compiacenza verso i parenti o verso le istituzioni a cui apparteneva esige che un grande elogio funebre consoli chi resta e giustifichi l’ideologia o l’istituzione a cui il defunto aderiva. Ebbene la commemorazione e l’elogio stanno inquinando in modo esteso le esequie cristiane, sia in certe omelie, come soprattutto in interventi disseminati nel tessuto del rito esequiale e proposti in momenti rituali e luoghi sacri del tutto impropri. La ‘canonizzazione’ del defunto si manifesta anche nei riti: l’uso facile di paramenti bianchi e canti di superficiale sentimentalismo stanno corrompendo la liturgia esequiale cristiana, che da molte parti non esiste più nella sua vera identità. Gli applausi sono i prodotti secolaristici delle acclamazioni liturgiche e un buonismo livellante sta cancellando ogni annunzio rigoroso del dogma della fede. Quella sobrietà e delicata circospezione che la Chiesa raccomanda, sia nel ricordare il defunto, come nel proporlo ad eventuale esempio ai fedeli, sta cedendo di fronte all’irruzione del costume dominante, che ormai costringe e assedia con modelli imposti violentemente dall’opinione.

Le esequie si rapportano anche al corpo del defunto, che sta per ricevere degna sepoltura. Ed anche verso di esso i riti della Chiesa rivelano e comunicano importanti dogmi di fede, che completano quelli già sopra descritti.

4. Il peccato originale

Il corpo quando è vitale sta in posizione eretta, ma, appena la vita lo abbandona, cade a terra e rimane disteso. Tutti gli uomini non possono che constatare questo fatto fisico. E’ quindi questa la posizione più naturale del corpo esanime nelle esequie. La Chiesa però non si ferma a questo dato e annunzia un mistero più profondo: l’uomo muore a causa del peccato originale, secondo le stesse parole del Signore Dio “…polvere tu sei e in polvere tornerai!” (Gen 3, 19). Deponendo il corpo dei suoi defunti, la Chiesa proclama la realtà del peccato originale, di cui la morte corporale è frutto e immagine. Essa non è secondo il piano di Dio, infatti: Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi, ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo (Sap 1, 13.2, 24). In tal senso il Miserere (Sl 50) è parte tradizionale delle esequie cristiane: ‘nel peccato mi ha concepito mia madre’. Il corpo disteso a terra, quasi a contatto con essa, proclama in modo visivo il nostro essere peccatori, pagandone il prezzo con la perdita dell’immortalità e portando nella nostra carne fino alle ultime conseguenze il castigo divino, pronunziato fin dalle origini: “…tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto…” (Gen 3, 19).

5. L’ultima penitenza

La morte corporale è l’ultimo atto della necessaria penitenza dovuta al peccato. Tutti, per quanto eminenti in santità, devono passare per questo estrema prostrazione penitenziale. Il Signore stesso, senza peccato, ha voluto subire nella sua morte e sepoltura, quella abissale umiliazione penitenziale che ci ha redenti. Ed ecco che il corpo senza vita del defunto, deposto davanti all’altare, in qualche modo celebra il suo ultimo atto penitenziale: il giacere esanime sulla terra. Lo aveva ben compreso S. Francesco di Assisi, che in prossimità della morte, volle farsi deporre dai suoi confratelli sulla nuda terra e così esalare l’ultimo respiro. Lo comprese il Papa Paolo VI, che volle il suo feretro a contatto con la terra e in tal modo ispirò la forma più eloquente del rito cristiano delle esequie. Ma il defunto non giace da solo, la tradizione pone sulla bara la Croce. Egli giace in misteriosa solidarietà col mistero della sepoltura del Signore e lo Spirito custodisce la sua carne in attesa del risveglio.

6. La risurrezione della carne

Il feretro è vigilato dal Cero pasquale, che dal suo candelabro illumina le tenebre della morte: è Cristo risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (1 Cor 15, 20). Se la croce sulla bara annunzia la solidarietà con la morte del Signore, il Cero pasquale annunzia la futura risurrezione di questa medesima carne, che ora sta esanime e immota. Poi quel corpo sarà deposto nel cimitero, ossia nel dormitorio, termine cristiano per affermare il misterioso ma vero risveglio nell’ultimo giorno. Tutto quindi parla di vita, anche per la carne e non solo per l’anima; e questa è la novità più tipica dell’escatologia cristiana, che annunzia una salvezza integrale della totalità della persona, anima e corpo.

Ed ecco, che, appena la secolarizzazione invade il rito cristiano delle esequie, pure questi altri dogmi della nostra fede vengono letteralmente cancellati e alla loro rimozione segue, inevitabile, una liturgia di sostituzione, che interpreta la nuova visione. Se cade il dogma del peccato originale, cade quello della penitenza quale necessità per il peccato e, se già l’anima è estinta nel nulla, ancor più il corpo è ormai inteso come materiale inerte, senza la profondità propria del mistero di Dio, che lo risusciterà. Anche riguardo al corpo nelle esequie secolarizzate lo sguardo è irrimediabilmente rivolto al passato: non c’è l’orizzonte luminoso sul Dio dei viventi e l’attesa dell’opera meravigliosa, che Egli compirà nel giorno della risurrezione. I riti allora dovranno interpretare la visione dell’uomo terreno, ormai privo del trascendente. Il corpo subisce la fatua celebrazione di ciò che fu nel passato mediante il tumolo, monumento celebrativo che vuole interpretare la personalità dell’estinto. Si metterà in luce il suo ruolo, la sua autorità, il suo genio, la sua opera, ma al contempo si creerà una graduazione di classi in base al censo, o al ruolo sociale.

Comunque sarà oscurata sia la fondamentale realtà della morte che tutti accomuna, sia dell’umile penitenza che è intrinseca allo stato del corpo morto. Il tumolo potrà avere diverse tipologie, che da quelle storiche arrivano a quell’ingombro di oggetti, cari al defunto, che oggi coprono, talvolta banalmente la bara, ma rappresenta sempre il segno eloquente di quella commemorazione rivolta irrimediabilmente al passato e ormai priva di vita, che sarà tanto più accentuata quanto più si eclisserà il senso della trascendenza e il compimento ultimo nel futuro di Dio. Non si intende qui considerare le diverse forme storiche, assunte anche dalla liturgia della Chiesa, ma assicurare che in ogni forma antica o nuova non venga mai compromesso il carattere cristiano e i diversi aspetti del dogma della fede che vi sono connessi e che nelle modalità rituali devono essere ben visibili.

E’ altresì evidente che nella celebrazione profana delle funerali il tumolo col cadavere elevato e onorato diventa l’icona centrale, il punto ottico di attrazione, ma nella celebrazione esequiale cristiana, invece, nessuno dovrà mai attentare alla centralità, al primato e alla sacralità dell’altare. Anche il corpo esanime del defunto è orientato all’altare, davanti ad esso sta prostrato e da esso, sul quale si compie il Sacrificio incruento della Croce, scaturisce la sorgente viva della salvezza eterna dell’anima e il soffio vitale che risusciterà la carne nell’ultimo giorno. A nessuno, dunque, è lecito attentare alla maestà dell’altare!
Un ultimo dogma della fede sta a fondamento del carattere proprio delle esequie cristiane:

7. Il giudizio particolare da parte dell’unico giudice costituito da Dio, il Signore Gesù Cristo.

Occorre non dimenticare ciò che afferma l’Apostolo: Io neppure giudico me stesso… Il mio giudice è il Signore (1 Cor 4, 4). La Chiesa, ispirando a sobrietà la commemorazione del defunto ed evitando un superficiale elogio, sa bene che solo Dio è il giudice e solo Cristo sa quello che c’ è nel cuore dell’uomo (Gv 2, 25). Quello che di una persona apparve in vita potrebbe essere una ingannevole maschera, infatti l’uomo guarda all’apparenza, ma Dio guarda al cuore (1 Sam 16, 7). S. Agostino afferma: “Quale uomo infatti è in grado di giudicare un altro uomo? Il mondo è pieno di giudizi avventati. Colui del quale dovremmo disperare, ecco che all’improvviso si converte e diviene ottimo. Colui dal quale ci saremmo aspettati molto, ad un tratto si allontana dal bene e diventa pessimo…. Che cosa sia oggi ciascun uomo, a stento lo sa lo stesso uomo. Tuttavia fino a un certo punto egli sa cosa è oggi, ma non già quello che sarà domani…” (dal ‘Discorso sui pastori’). Per questo la Chiesa si discosta dal giudizio e lo affida a Dio, restando in profonda adorazione del Suo giusto verdetto.

Ciò non succede nelle esequie secolari, che impostano inevitabilmente la loro celebrazione sul mero tessuto dell’apparenza umana dell’estinto e si pronunziano solo sulla corteccia superficiale delle sue opere esteriori. Lo sguardo umano non può, infatti, andare oltre a ciò che appare e il mistero della persona rimane velato. Solo Dio penetra quel velo, scruta le facoltà interiori e pronunzia un giudizio vero, inappellabile e definitivo. Anzi, mediante l’elogio, tale apparenza tende ad essere potenziata e, omessa ogni scoria e debolezza, viene idealizzata, perché non resta altro che ciò che appare. Non raramente poi la verità oggettiva in ordine al bene e al male viene oscurata da una commemorazione riduttiva, posta a servizio delle tante umane convenienze di coloro che rimangono. Certo non si intende delegittimare la giusta commemorazione e il dovuto elogio, se il defunto veramente lo merita. Infatti le esequie del Giusto dovrebbero essere il suo ultimo atto di evangelizzazione e la consegna alla Chiesa, che lo ha generato, della sua estrema testimonianza di fedeltà e di vita in Cristo. Tuttavia sono diversi i toni, sobri gli accenni, umili i ricordi, contenuti i tempi e mai dovrà essere incrinato o in qualche modo oscurato il primato di Cristo e del suo Mistero. Egli è il Protagonista e con Lui la Chiesa, non dissociabile da Lui Sposa. In realtà ogni intervento indebito sul rito liturgico delle esequie espone il defunto ad un protagonismo che non deve avere e strumentalizza la fede e la liturgia al servizio del piccolo orizzonte di ciò che noi percepiamo.

Se non si interviene con urgenza e determinazione nella liturgia esequiale, come in molti altri campi della vita della Chiesa attuale, si arriverà, in un futuro molto prossimo, ad essere posti al servizio delle opinioni e del costume dominante e si potrebbe seriamente rischiare che l’eresia sia attribuita all’ortodossia, resa minoritaria, e a coloro che con tutte le forze cercano di mantenersi fedeli al dogma della fede e alla disciplina della Chiesa.
Che una solida teologia sia a fondamento di una nobile liturgia e l’intelligente obbedienza alle prescrizioni della Chiesa offra al popolo di Dio una edificante e degna celebrazione delle esequie dei figli di Dio


Testo presto da: http://www.cantualeantonianum.com/#ixzz13mFMtEm5


                                                                    Pope Benedict XVI diffuses incense on the coffin of late Cardinal Tomas Spidlik, of the Czech Republic, during his funeral service, inside St. Peter's Basilica, at the Vatican, Tuesday, April 20, 2010. Cardinal Spidlik died in Rome on April 16 at the age of 90.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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29/10/2010 21:25
 
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Il colore liturgico per i funerali e la Commemorazione dei defunti è ancora il nero. Chi dice il contrario è "fuori strada"

Per l'approssimarsi del 2 Novembre, un appello accorato in favore del colore liturgico nero.

Scriveva (il profetico) Pio XII di venerata memoria nella sua enciclica "
Mediator Dei" sulla Sacra Liturgia (1947) a proposito delle innovazioni temerarie che sentiva turbinare intorno a sè già al suo tempo, con il pretesto del presunto "ritorno all'antico":

È certamente cosa saggia e lodevolissima risalire con la mente e con l'anima alle fonti della sacra Liturgia, perché il suo studio, riportandosi alle origini, aiuta non poco a comprendere il significato delle feste e a indagare con maggiore profondità e accuratezza il senso delle cerimonie; ma non è certamente cosa altrettanto saggia e lodevole ridurre tutto e in ogni modo all'antico. Così, per fare un esempio, è fuori strada chi vuole restituire all'altare l'antica forma di mensa; chi vuole eliminare dai paramenti liturgici il colore nero; chi vuole escludere dai templi le immagini e le statue sacre; chi vuole cancellare nella raffigurazione del Redentore crocifisso i dolori acerrimi da Lui sofferti; chi ripudia e riprova il canto polifonico anche quando è conforme alle norme emanate dalla Santa Sede.
     
Queste parole, pur valide e confermate tuttora per la messa di Paolo VI dall'Ordinamento Generale del Messale Romano al num. 346  sono rese  - come spesso succede nell'odierna e superopzionale liturgia latina - carta straccia da un semplice "oppure": l'insidiosa alternativa al ribasso. 
Infatti il numero 346 dell'Ordinamento in vigore afferma con forza: "Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l’uso tradizionale". L'uso tradizionale, in Italia, fino agli anni '70 era (e sarebbe ancora), per i funerali e la commemorazione dei defunti, il nero.
Quindi, secondo il capoverso e) Il colore nero si può usare, dove è prassi consueta, nelle Messe per i defunti. Peccato che in tutto l'orbe latino sarebbe prassi consueta questo colore, a parte il Giappone che godeva già di un'eccezione, perchè il colore del lutto è laggiù il bianco e non nero. Purtroppo, prima, il paragrafo d) aveva introdotto già fatto scattare l'opzione: d) Il colore viola si usa nel tempo di Avvento e di Quaresima. Si può usare negli Uffici e nelle Messe per i defunti
Si può fare così oppure colà. La regola sarebbe il nero, ma visto che lo vogliamo eliminare e non possiamo, si son detti gli estensori della riforma, facciamo una bella opzione, poi screditiamo quello che si è sempre fatto e ritenuto ovvio e così introduciamo dovunque la seconda scelta.
E con questo "oppure", anche a causa del neo-cristiano-falso-povero uso di risparmiare sulle casule e paramenti, il nero è andato scomparendo: tanto si può usare il viola. La stessa fine ha fatto il rosaceo, che per sole due domeniche all'anno, non ha proprio la minima possibilità di sopravvivere ai tagli del budget in sacrestia!

Così è velocemente sparito un colore, il nero, che faceva parte integrante del linguaggio religioso della morte e del lutto. E' rimasto tenacemente fino ad oggi come colore socialmente atteso per il funerale (e vestito dai convenuti), ma è sparito dai presbiteri e dai presbitéri. E questo con oltraggiose motivazioni ideologiche del tipo: "è lugubre, fa pensare alla morte, ma noi celebriamo la risurrezione, mica la morte!". Allora - se proprio fosse vera questa la motivazione - si abbia il coraggio di passare direttamente al bianco, come fanno negli Stati Uniti, dove tutti i cattolici ormai sono sepolti con il colore dei Santi e dei Beati confessori. Il viola invece dice penitenza: ma la penitenza è per i vivi, che penitenza deve fare ormai il povero defunto? Il viola dice attesa (Avvento): oramai, per il caro trapassato, è tardi per attendere, non aspetta più nulla, l'incontro è già avvenuto.
Il viola - infine - nell'unione di blu e rosso parla dell'unione fra divino e umano: ma nel defunto noi vediamo invece la separazione dell'anima dal corpo, lo spirito torna al creatore e il corpo alla terra.
Il viola, dunque, non ha nessuna delle proprietà simboliche necessarie per significare la morte, nè la speranza della risurrezione. Tuttavia, pur di eliminare il nero (come già presagiva Pio XII parlando di andare "fuori strada") è stato comunque  introdotto questo colore per le celebrazioni funebri.. 

Se invece si ha la fortuna di possedere nell'armadio della propria chiesa qualche pianeta funebre di un tempo, o si fa un giro sui cataloghi più recenti dei fornitori liturgici, si vedrà con sorpresa che i paramenti neri hanno una proprietà speciale. Sono sempre ricamati o intessuti di argento o d'oro.
Proprio per motivi simbolici. Stanno a dire, con il linguaggio del colore che si usa solo per le occasioni funebri:  tutto sembra nero, come la morte, la fine, la mancanza di vita, ma si intravvede - invece - sul nero la luce (oro e argento) che viene dalla speranza, anzi dalla certezza della fede nel Signore Risorto. E' lui la luce che illumina e anzi risalta meglio sullo sfondo oscuro della presente situazione di morte, lutto e distacco.
Antropologicamente rispettosi della serietà della morte e insieme teologicamente annuncianti l'irrompere della luce eterna che viene dal Risorto: questo sono i paramenti neri, mai aboliti da nessuno, ma semplicemente nascosti dall'ignoranza del clero e dal credere alle "leggende sacrestane" messe in giro dagli innovatori a tutti i costi.

QUINDI: consiglio per chi vuole fare un bel regalo alla sua Chiesa, magari in memoria di un familiare defunto. Andate su Ebay e ordinate una (o più) delle casule e delle stole che ora vi segnalo. Costano poco, sono belle, e saranno certamente accolte e apprezzate dalla vostra parrocchia:
Immagine oggetto     Immagine oggetto      Immagine oggetto     Immagine oggetto   Immagine oggetto   Immagine oggetto   Immagine oggetto   Immagine oggetto
Se poi potete spendere di più potete salvare qualcuna delle pianete antiche e ricamate che si trovano in giro, cacciate dalle sacrestie e vendute per due soldi trenta-quarant'anni fa, e adesso ricercate e rivendute (agli unici che possono usarle, i preti) a caro prezzo!



Testo presto da: http://www.cantualeantonianum.com/2010/10/il-colore-liturgico-per-i-funerali-e-la.html#ixzz13mHlyT3m
Fraternamente CaterinaLD

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Un vescovo zelante recluso in purgatorio


Da Cordialiter:

Nel libretto intitolato “I nostri morti – La casa di tutti”, Don Giuseppe Tomaselli narra un fatto che fa riflettere. Un giorno, un anziano sacerdote gli disse che viaggiando tanto per l'Europa, l'Asia e l'Africa, aveva avuto modo di conoscere numerosi religiosi e prelati; ma l'uomo più santo che aveva conosciuto era stato Mons. Giovanni Battista Marenco, il zelantissimo vescovo della diocesi di Massa Carrara, morto il 22 ottobre 1921. Dopo circa sette anni dal decesso, in un convento di suore salesiane accadde un fatto sorprendente. Un giorno, verso l'imbrunire, la suora portinaia era nel cortile. Il portone era chiuso. Con sua meraviglia vide sotto i portici un ecclesiastico che passeggiava col capo chino e meditabondo. La suora domandò tra sé chi fosse quella persona, e come aveva fatto ad entrare se il portone era chiuso. Avvicinatasi riconobbe Mons. Marenco.

- Eccellenza, e voi qui?... Non siete morto?...
- Mi avete lasciato in Purgatorio!... Ho lavorato tanto in questo Istituto e non si prega più per me!
- In Purgatorio?... Un Vescovo così santo?...
- Non basta esser santi davanti agli uomini; bisogna essere tali davanti a Dio!... Pregate per me!...

Ciò detto, sparì. La Suora corse ad informare la superiora, e l'indomani tutte e due si diressero alla volta di Torino, per narrare il fatto al Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Filippo Rinaldi, il quale indisse pubbliche preghiere nel Santuario di Maria Ausiliatrice, onde intensificare i suffragi. Dopo una settimana Mons. Marenco riapparve nello stesso Istituto, dicendo: Sono uscito dal Purgatorio!... Ringrazio della carità!... Prego per voi! -

Questo fatto deve far riflettere. Se un vescovo zelantissimo e di grande virtù è stato tenuto per anni a soffrire atrocemente in purgatorio, figuriamoci cosa accade a quelle anime che conducono una vita rilassata e peccaminosa, e che si salvano per un pelo, dopo aver fatto in fin di vita una Confessione appena accettabile...


******************************

 FACCIAMO CELEBRARE MESSE DI SUFFRAGIO PER I NOSTRI DEFUNTI E PER LE ANIME DEL PURGATORIO, SPECIALMENTE QUELLE PIù DIMENTICATE ED ABBANDONATE!

Fraternamente CaterinaLD

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01/11/2010 15:36
 
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 01.11.2010 e l'accorato appello del Papa dopo la strage di ieri in una Chiesa a Bagdad e l'uccisione di 50 cristiani DURANTE LA MESSA: uno dei due sacerdoti è stato ucciso con un colpo di pistola alla testa mentre stava celebrando la Messa....

Alle ore 12 di oggi, Solennità di tutti i Santi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

La solennità di Tutti i Santi, che oggi celebriamo, ci invita ad innalzare lo sguardo al Cielo e a meditare sulla pienezza della vita divina che ci attende.
Siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1Gv 3,2): con queste parole l’apostolo Giovanni ci assicura la realtà del nostro profondo legame con Dio, come pure la certezza della nostra sorte futura. Come figli amati, perciò, riceviamo anche la grazia per sopportare le prove di questa esistenza terrena – la fame e sete di giustizia, le incomprensioni, le persecuzioni (cfr Mt 5,3-11) – e, nel contempo, ereditiamo fin da ora ciò che è promesso nelle beatitudini evangeliche, “nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell’uomo che Gesù inaugura” (
Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano 2007, 95).

La santità, imprimere Cristo in sé stessi, è lo scopo di vita del cristiano.

Il beato Antonio Rosmini scrive: “Il Verbo aveva impresso se stesso nelle anime dei suoi discepoli col suo aspetto sensibile … e con le sue parole … aveva dato ai suoi quella grazia … con la quale l’anima percepisce immediatamente il Verbo” (Antropologia soprannaturale, Roma 1983, 265-266). E noi pregustiamo il dono e la bellezza della santità ogni volta che partecipiamo alla Liturgia eucaristica, in comunione con la “moltitudine immensa” degli spiriti beati, che in Cielo acclamano in eterno la salvezza di Dio e dell’Agnello (cfr Ap 7,9-10). “Alla vita dei Santi non appartiene solo la loro biografia terrena, ma anche il loro vivere ed operare in Dio dopo la morte. Nei Santi diventa ovvio: chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino” (Enc.
Deus caritas est, 42).

Consolati da questa comunione della grande famiglia dei santi, domani commemoreremo tutti i fedeli defunti. La liturgia del 2 novembre e il pio esercizio di visitare i cimiteri ci ricordano che la morte cristiana fa parte del cammino di assimilazione a Dio e scomparirà quando Dio sarà tutto in tutti.

La separazione dagli affetti terreni è certo dolorosa, ma non dobbiamo temerla, perché essa, accompagnata dalla preghiera di suffragio della Chiesa, non può spezzare il legame profondo che ci unisce in Cristo.

Al riguardo,
san Gregorio di Nissa affermava: “Chi ha creato ogni cosa nella sapienza, ha dato questa disposizione dolorosa come strumento di liberazione dal male e possibilità di partecipare ai beni sperati” (De mortuis oratio, IX, 1, Leiden 1967, 68).

Cari amici, l’eternità non è “un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità” (Enc. Spe salvi, 12).

Alla Vergine Maria, guida sicura alla santità, affidiamo il nostro pellegrinaggio verso la patria celeste, mentre invochiamo la sua materna intercessione per il riposo eterno di tutti i nostri fratelli e sorelle che si sono addormentati nella speranza della risurrezione.

DOPO L’ANGELUS

Ieri sera, in un gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Bagdad, ci sono state decine di morti e feriti, fra i quali due sacerdoti e un gruppo di fedeli riuniti per la Santa Messa domenicale. Prego per le vittime di questa assurda violenza, tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio, che è casa di amore e di riconciliazione. Esprimo inoltre la mia affettuosa vicinanza alla comunità cristiana, nuovamente colpita, e incoraggio pastori e fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza. Davanti agli efferati episodi di violenza, che continuano a dilaniare le popolazioni del Medio Oriente, vorrei infine rinnovare il mio accorato appello per la pace: essa è dono di Dio, ma è anche il risultato degli sforzi degli uomini di buona volontà, delle istituzioni nazionali e internazionali. Tutti uniscano le loro forze affinché termini ogni violenza!


Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i partecipanti alla manifestazione “La corsa dei Santi”, promossa dai Salesiani per sostenere progetti di solidarietà in situazioni di estremo bisogno, come ad Haiti e in Pakistan. Saluto inoltre il gruppo di ragazzi di Modena che si stanno preparando al Sacramento della Confermazione. A tutti auguro pace e serenità nella spirituale compagnia dei Santi.

                                              Pope Benedict XVI delivers his blessing during the Angelus noon prayer he celebrated from the window of his studio overlooking St. Peter's square at the Vatican, Sunday, Oct. 31, 2010.


[Modificato da Caterina63 01/11/2010 15:38]
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02/11/2010 00:35
 
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Carità fraterna verso le anime sante del purgatorio


da Cordialiter

Sant'Alfonso Maria de Liguori insegna che la carità fraterna va effettuata anche nei confronti delle anime del purgatorio, le quali hanno molto bisogno delle nostre preghiere per poter essere liberate più in fretta da quel luogo di espiazione.

Infatti San Tommaso d'Aquino afferma che la carità cristiana si estende non solo ai vivi, ma anche a tutti coloro che sono morti in stato di grazia.

Le anime del purgatorio patiscono sofferenze ben più atroci di qualsiasi altra pena di questa terra; pertanto hanno bisogno del nostro soccorso, poiché da sé stesse non possono aiutarsi.

È bene offrire per esse anche qualche digiuno o qualche altra mortificazione.

Quando assistiamo alla Messa, giova molto applicare loro i benefici del Santo Sacrificio del Redentore, poiché questo è un gran suffragio per quelle anime, le quali sanno essere ben grate con noi e ci fanno ottenere da Dio grazie grandi, e ancor di più ce ne ottengono quando finalmente giungono in paradiso.

************************

Vi ricordiamo e vi invitiamo in questo tempo, almeno, di far celebrare sante Messe di Suffragio sia per i propri Cari quanto per le Anime del Purgatorio!

 L'offerta della santa Messa, chiariamolo ancora una volta, NON è una tariffa del "tanto mi dai, tanto ti do...." LA MESSA E' GRATIS, I SACRAMENTI NON SI PAGANO, l'offerta è necessaria per le spese che ci sono, ci sono spese da affrontare per il luogo: la luce, il riscaldamento, la manutenzione....le candele, ed è un contributo alla Comunità...inoltre l'offerta è un INCENTIVO DI RINUNCIA PER NOI, infatti è più gradita a Dio quando, rinunciando a qualcosa, offriamo ciò che avremo speso per altro, OFFRENDOLO PER UNA SANTA MESSA DI SUFFRAGIO...


Fraternamente CaterinaLD

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02/11/2010 23:44
 
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[SM=g1740733] Condivisione



2 Novembre, la mia prima Messa per i Defunti nella forma Straordinaria!
"Straordinaria", ma come è possibile definirla tale se per la prima volta che vi ho partecipato è stato come se fossi ritornata davvero a Casa?
Ogni anno vado a questa Santa Messa ed ogni anno ne uscivo sempre più insofferente, inappagata, vuota e soprattutto triste!
Ho sempre dato la "colpa" alla mia distrazione, alle mille faccende che forse, dicevo, mi impediscono di concentrarmi come vorrei....
Sono sempre andata con tutte le migliori speranze e buoni propositi, per uscirne ogni volta con mestizia...
Oggi ho detto "basta"! Voglio provare davvero da cosa dipende, cosa devo fare?
Mio figlio ripartiva per Milano e gli ho detto: "ci salutiamo qui, è la stessa cosa, ti accompagna papà alla stazione, io ti seguirò dalla Messa, NON posso rinunciarci...abbiamo i nostri Defunti per i quali pregare e le Anime del Purgatorio da ricordare..."
Per andare a san Simonin il Piccolo ci vogliono da casa circa 25/30 minuti a piedi, ho preso la Corona: primo mistero Doloroso, il Getsemani.... giusto il tempo per meditare il Rosario e per accompagnarmi con le Ave Maria!
Arrivo in Chiesa, il clima è davvero da Golgota, o se preferite da Getsemani!

Tutto è allestito per la Santa Messa, la presenza del feretro coperto con il drappo nero e la Croce e le 4 candele ai lati, offre immediatamente un clima di PREGHIERA, di silenzio, di partecipazione, di ricordo dei propri Cari, un ricordo per le Anime del Purgatorio, specialmente le più abbandonate e dimenticate!
Faccio in tempo a cominciare i 100 Requiem per le Anime che attendono da noi questo caro ricordo!
Inizia la Santa Messa, Padre Konrad sembra davvero di sapere dove ci sta conducendo, nell'anticamera del Paradiso.... è così fortemente concentrato su ciò che deve fare che sembra proprio di VEDERE Cielo e Terra incontrarsi, sull'Altare, il silenzio fatto di mestizia e tuttavia reso sacro e mistico dal canto squisitamente Sacro, toglie ogni tristezza, non è tristezza ciò che si prova bensì si accende un desiderio di Paradiso incredibile ed un desiderio di sapere che proprio in questi momenti il Signore, impietosito dal suo Servo, accoglierà certamente molte Anime dal Purgatorio, soccorrerà in questi momenti SACRI le Anime di quanti stanno morendo e spesso oggi abbandonati e senza Sacramenti.... quanti santi pensieri giungono in questi momenti!

Pensieri di Paradiso, di autentica salvezza, di forte desiderio di sentirsi e vedersi SALVATI grazie alla Santa Messa che stiamo vivendo!
I due cantori, davvero persone giovani e appassionati, intonano la Sequenza, il foglietto ci aiuta a seguirla sia in latino quanto in italiano, le parole sono davvero piene di VITA; è incredibile che mentre commemoriamo i Defunti, non c'è sentore di morte, ma bensì DI VITA...

[SM=g1740717] Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae
ne me perdas illa die.

....
Ricorda, o Gesù pio,
che io sono la causa della tua venuta;
non lasciare che quel giorno io sia perduto.


***
Era la prima volta che udivo queste parole nel contesto della Santa Messa..cantate, supplicate... ma perchè abbiamo perduto questi tesori? Come è potuto accadere?

Preces meae non sunt dignae,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne

****
Le mie preghiere non sono degne;
ma tu, buon Dio, con benignità fa’
che io non sia arso dal fuoco eterno
.

****
Perchè si teme di insegnare queste parole che sgorgano davvero da un cuore contrito e ben cosciente di avere bisogno di Gesù per essere salvato....Come si può pensare che le nostre preghiere siano più degne cambiando la Liturgia, imponendo stravaganze e cancellando Sequenze liturgiche? Come si può pensare che rendendo la Messa per i Defunti più "allegra" e senza più distinzione, senza più i paramenti neri che aiutano invece ad entrare dentro il MISTERO DELLA MORTE RESA UN PASSAGGIO?
Non lo so, non ho risposte, ma so quello che ho vissuto stasera, e che non finirò mai di ringraziare il Signore per aver suggerito al Santo Padre, Suo Vicario in terra, di dare a TUTTI l'opportunità di RITORNARE davvero alla sorgente....
Si!
Dobbiamo ritornare alla sorgente!! Non agli "stravaganti archeologismi" come ammoniva Pio XII le cui parole comprendo pienamente da stasera....ma a quella sorgente che nella Messa detta erroneamente "antica", conserva invece l'impronta DELL'ETERNITA', conserva il passato, ci fa vivere nel presente aprendoci le porte verso il futuro....
Io non so come si risolverà questo gravissimo danno che è stato fatto a migliaia di fedeli, in qualità di "pecorella del piccolo gregge" so di dovermi e potermi fidare della Chiesa, MIA MADRE e del Santo Padre, Vicario di Cristo in Terra, il "Babbo mio dolce!"
Ma so anche che da parte mia dovrò e devo fare la mia parte, dare il mio contributo, pregare, offrire piccoli sacrifici, impegnarmi, divulgare e sperare!

Oggi il Signore mi ha concesso di "vivere" un pezzo di Paradiso, di sentirmi vicina ai miei amati Defunti VIVI IN CRISTO, mi sono sentita davvero vicina alla sofferenza delle Anime del Purgatorio, oggi per la prima volta alla Messa per i Defunti ne sono uscita morendo a me stessa, desiderando il Paradiso, pregando per chi ancora non l'ha raggiunto!

Gesù:
Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis


***
Prego supplice e in ginocchio,
il cuore contrito, come ridotto in cenere,
prenditi cura del mio destino.
***
pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen



***
pio Signore Gesù,
dona a loro la pace.
Amen


************************


Questo splendido canto, consacrato dall'uso centenario della Chiesa in occasione delle messe per i defunti, fu scritto verso il 1250, con tutta probabilità dal francescano Tommaso da Celano, primo e autorevole biografo di Francesco d'Assisi.
Il testo non si trova nei Messali anteriormente alla seconda metà del XIII secolo e fa la sua comparsa proprio nei Messali dell'Ordine Francescano come "prosa de mortuis", pur anonima. Si sa che il Messale serafico e le rubriche di Aimone di Faversham (ministro generale dei Francescani), mutuati dal Messale della Curia Romana, furono poi a loro volta adottati dalla stessa Chiesa Romana, con le feste e i testi che intanto vi erano entrati. E così il Dies irae, dalla liturgia francescana transitò alla liturgia della Chiesa Latina. La diffusione rapidissima e il favore popolare di questa sequenza sono una testimonianza del fatto che essa è stata prestissimo portata in tutta Europa grazie all'itineranza francescana e all'uniformità della liturgia serafica, la quale era molto apprezzata dal popolo.


Il Dies irae presenta il pensiero e le meditazione del Giudizio universale, il secondo dei quattro novissimi, le realtà ultime: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso. Una meditazione quanto mai appropriata per i vivi che partecipano ad una commemorazione dei defunti, la quale richiama, oltre alla fede, anche la responsabilità personale nell'aldiquà per godere con i santi nell'aldilà. Il Dies irae, che ispirò capolavori altissimi come quelli di Haydn, Mozart e Verdi, cadde purtroppo sotto la scure della riforma postconciliare. Aveva resistito all'attacco di Pio V che aveva vietato tutte le sequenze, abbondantissime all'epoca, tranne 5, salvando - anzi prescrivendo in modo universale - la popolare sequenza dei defunti.
Giovanni XXIII, nel 1962 aveva reso opzionale il suo uso nelle messe quotidiane per i defunti. Nel rito moderno semplicemente non si trova più il testo di questa sequenza nei lezionari. Oggi solo quattro sono le sequenze superstiti: Pasqua (Victimae Pascalis), Pentecoste (Veni Sancte Spiritus), Corpus Domini (Lauda Sion) e B.V.M. Addolorata (Stabat Mater, anche questa di origine francescana).
Ma grazie alla flessibilità del rito romano contemporaneo, nulla in realtà vieta di cantare questa sequenza ai funerali o il giorno della commemorazione dei defunti, magari alla fine della celebrazione, per tenere un certo clima di raccoglimento e di preghiera per i propri cari trapassati: "Pie Iesu Domine dona eis requiem".



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La Sequenza:


Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla
teste David cum Sybilla.

Quantus tremor est futurus,
Quando judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus.


Tuba, mirum spargens sonum
per sepulcra regionum
coget omnes ante thronum.


Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.


Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.


Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet, apparebit:
nil inultum remanebit.


Quid sum miser tunc dicturus?
quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?


Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.


Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae
ne me perdas illa die.


Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus:
tantus labor non sit cassus.


Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.


Ingemisco, tamquam reus,
culpa rubet vultus meus
supplicanti parce, Deus.


Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.


Preces meae non sunt dignae,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.


Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.


Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.


Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis.


Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus.


Huic ergo parce, Deus:
pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.

***********************


Giorno dell’ira sarà quel giorno
dissolverà il mondo terreno in cenere
come annunciato da David e dalla Sibilla.


Quanto terrore verrà
quando giungerà il giudice
a giudicare severamente ogni cosa.


La tromba diffondendo un suono stupefacente
tra i sepolcri del mondo
spingerà tutti davanti al trono.


La Morte si stupirà, e anche la Natura
quando risorgerà ogni creatura
per rispondere al giudice.


Sarà portato il libro scritto
nel quale tutto è contenuto,
dal quale si giudicherà il mondo.


E dunque quando il giudice si siederà,
ogni cosa nascosta sarà svelata,
niente rimarrà invendicato.


In quel momento che potrò dire io, misero,
chi chiamerò a difendermi,
quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?


Re di tremenda maestà,
tu che salvi per grazia chi è da salvare,
salva me, fonte di pietà.


Ricorda, o Gesù pio,
che io sono la causa della tua venuta;
non lasciare che quel giorno io sia perduto.


Cercandomi ti sedesti stanco,
mi hai redento patendo la Croce:
che tanta fatica non sia vana!


Giusto giudice di retribuzione,
concedi il dono del perdono
prima del giorno della resa dei conti.


Comincio a gemere come un colpevole,
per la colpa è rosso il mio volto;
risparmia chi ti supplica, o Dio.


Tu che perdonasti Maria di Magdala,
tu che esaudisti il buon ladrone,
anche a me hai dato speranza.


Le mie preghiere non sono degne;
ma tu, buon Dio, con benignità fa’
che io non sia arso dal fuoco eterno.


Assicurami un posto fra le pecore,
e tienimi lontano dai capri,
ponendomi alla tua destra.


Smascherati i malvagi,
condannati alle aspre fiamme,
chiamami tra i benedetti.


Prego supplice e in ginocchio,
il cuore contrito, come ridotto in cenere,
prenditi cura del mio destino.


Quel giorno sarà un giorno di lacrime,
quando risorgerà dalla cenere
il peccatore per essere giudicato.


Perdonalo, o Dio:
pio Signore Gesù,
dona a loro la pace. Amen.





Testo preso da: www.cantualeantonianum.com/2010/10/canti-per-i-defunti-la-sequenza.html#ixzz1...





[SM=g1740738]
[Modificato da Caterina63 16/11/2010 11:35]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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03/11/2010 08:46
 
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Messaggio per le esequie delle vittime: Benedetto XVI condanna il gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad

Una feroce violenza contro persone inermi


I cristiani sono oggetto di efferati attacchi che vogliono minare la fiducia e la convivenza civile

Da anni in Iraq i cristiani "sono divenuti oggetto di efferati attacchi" che "vogliono minare la fiducia e la civile convivenza". Lo scrive Benedetto XVI nel messaggio inviato a monsignor Athanase Matti Shaba Matoka, arcivescovo di Baghdad dei Siro-Cattolici, in occasione delle esequie - celebrate oggi, martedì 2 novembre - delle vittime del gravissimo attacco terroristico sferrato domenica scorsa contro la cattedrale siro-cattolica della capitale irachena. Secondo le ultime notizie, la battaglia, durata tre ore, tra i miliziani del gruppo Stato islamico in Iraq, considerato espressione dell'organizzazione terroristica internazionale Al Qaeda, e le forze di pronto intervento irachene, ha provocato 58 morti, tra i quali donne e bambini, oltre a due giovani sacerdoti. Ottanta sarebbero i feriti.
 
Di seguito il testo del messaggio.


Profondamente commosso per la violenta morte di tanti fedeli e dei Rev.di Sacerdoti Tha'ir Saad e Boutros Wasim, desidero, in occasione del Sacro Rito delle esequie, farmi spiritualmente partecipe, mentre prego che questi fratelli e sorelle siano accolti dalla misericordia di Cristo nella Casa del Padre.
Da anni questo amato Paese soffre indicibili pene e anche i cristiani sono divenuti oggetto di efferati attacchi che, in totale disprezzo della vita, inviolabile dono di Dio, vogliono minare la fiducia e la civile convivenza.
Rinnovo il mio appello affinché il sacrificio di questi nostri fratelli e sorelle possa essere seme di pace e di vera rinascita e perché quanti hanno a cuore la riconciliazione, la fraterna e solidale convivenza, trovino motivo e forza per operare il bene.
A tutti voi, cari fratelli e figli, giunga la mia confortatrice Benedizione Apostolica, che volentieri estendo ai feriti e alle vostre famiglie così duramente provate
.
 

BENEDICTUS PP. XVI


Già lunedì scorso, sopra riportato, durante l'Angelus nella solennità di Tutti i Santi, il Papa aveva condannato "la feroce violenza contro persone inermi" a Baghdad. 


(©L'Osservatore Romano - 2-3 novembre 2010)




Indulgenze Per l'ottava dei defunti



La Chiesa ci propone per suffragare le anime del Purgatorio anche la pratica delle "indulgenze". Queste ottengono la remissione della pena temporale dovuta per i peccati. Ogni colpa, anche dopo il perdono, lascia come un debito da riparare per il male commesso. La Chiesa traendo dal suo tesoro "spirituale", costituito dalle preghiere dei Santi e dalle opere buone compiute da tutti i fedeli, quanto è da offrire a Dio perché Egli "condoni" alle anime dei defunti quella pena che altrimenti essi dovrebbero trascorrere nel Purgatorio.


L’indulgenza più nota è legata alla commemorazione di tutti i defunti, il 2 novembre, mediante: visite alle tombe, celebrazione Eucaristica al cimitero, visita a una Chiesa.

Si può lucrare l’indulgenza plenaria a partire dal mezzogiorno del 1° novembre a tutto il 2 novembre.

Si può lucrare una sola volta ed è applicabile solo ai defunti. Visitando una Chiesa, (si reciti almeno un Padre nostro e il Credo).

A questa si aggiungono le tre solite condizioni Confessione, Comunione, preghiera secondo le intenzioni del Papa (Pater, ave, gloria).

Queste tre condizioni possono essere adempiute anche nei giorni precedenti o seguenti il 2 novembre. Nei giorni dall’1 all’8 novembre chi visita il cimitero e prega per i defunti può lucrare una volta al giorno l’indulgenza plenaria, applicabile ai defunti, alle condizioni di cui sopra.


                          Pope Benedict XVI prays in front of late Pope John Paul II's tomb in the Vatican Grotto at the Vatican November 2, 2010.

La preghiera di Benedetto XVI nelle Grotte Vaticane sulle tombe dei Papi

La preghiera in privato in suffragio dei Pontefici che lo hanno preceduto e di tutti i fedeli defunti. Come da tradizione, Benedetto XVI ha trascorso così parte del pomeriggio di ieri, 2 novembre, sostando in raccoglimento nelle Grotte della Basilica Vaticana. Il servizio di Alessandro De Carolis:


In ginocchio davanti alle tombe che custodiscono l’ultimo riposo di chi lo ha preceduto alla guida della Chiesa universale, ma con il cuore aperto sul popolo di Dio sparso nel mondo, dal bambino neobattezzato a chi è giunto al termine della sua esistenza. Dalla filigrana del breve rito presieduto nelle Grotte Vaticane, traspaiono i sentimenti di Benedetto XVI legati alla Commemorazione dei defunti:

“In queste Grotte Vaticane affidiamo alla misericordia del Padre coloro che hanno il loro sepolcro e attendono la risurrezione della carne. In particolare Papa Giovanni Paolo II e gli altri sommi pontefici che hanno svolto il servizio di pastori della Chiesa universale, perché siano partecipi dell’eterna liturgia del cielo”.

La preghiera dei fedeli che segue la lettura del Salmo abbraccia tutte le intenzioni che abitano il cuore del Papa: la protezione di Dio della Chiesa, il ridestarsi del “desiderio di santità” nei credenti, la conversione del cuore per chi è lontano da Dio, l’educazione dei giovani “al dono gioioso di sé”, una nuova forza alla speranza di chi è povero o soffre, fino all’ultima richiesta: perché il pensiero della Risurrezione di Cristo accompagni “l’ultimo respiro dei moribondi” e la misericordia divina arrivi a tutti i defunti. Una preghiera completa, quasi un “Urbi et orbi” nascosto, levato non lontano dalla tomba di Pietro e suggellato da un’invocazione che esprime l’essenza della fiducia cristiana:

“…Ascolta la preghiera che rivolgiamo a Te per tutti coloro che hanno lasciato questo mondo. Apri le braccia della tua misericordia e ricevili nell’assemblea gloriosa della santa Gerusalemme”.

 Radio Vaticana


*********


Pope Benedict XVI prays on the tomb of St. Peter in St.Peter's Basilica at the Vatican on November 2, 2010 for All Souls Day.


Pope Benedict XVI prays in front of late Pope John Paul II's tomb in the Vatican Grotto at the Vatican November 2, 2010.




[Modificato da Caterina63 03/11/2010 15:59]
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La festa del santo arcivescovo di Milano nel quarto centenario della canonizzazione

Carlo Borromeo
un pastore dei nostri tempi


di Giovanni Coppa
Cardinale diacono di San Lino
 

San Carlo Borromeo è stato un altro grandissimo esempio di vita sacerdotale, anche lui con la vita e con le opere, e non si è risparmiato nel ministero pastorale e nella santificazione dei sacerdoti. La lettera del Papa per l'Anno sacerdotale fa in certo modo anche il suo ritratto, quando, parlando del Curato d'Ars, dice che "cercava di aderire totalmente alla propria missione e vocazione mediante un'ascesi severa... Egli teneva a freno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze alla sua anima sacerdotale".
 
Così ha fatto anche san Carlo, vivendo il sacerdozio come totale conformazione a Cristo. Sebbene vissuto solo 46 anni, san Carlo ebbe una vita intensissima, che i biografi dividono in quattro periodi. Nel primo entra giovanissimo nello stato ecclesiastico con laute prebende, e conduce, secondo lo spirito del tempo, una vita moralmente sana, ma fastosa e mondana. Aveva 21 anni, quando lo zio Giovan Angelo Medici è creato Papa col nome di Pio iv; Carlo è chiamato a Roma, e in pochi mesi, a 22 anni, è nominato cardinale diacono, cardinale prete e Amministratore della diocesi di Milano. Svolge importanti incarichi nella Curia e in Roma.

Il secondo periodo comincia a 24 anni, con la morte improvvisa del fratello Federico, capitano generale della Chiesa. Carlo cambia vita, rinuncia a ogni vanità del mondo, lascia ai poveri i suoi redditi personali, e decide di consacrarsi definitivamente a Dio con la riforma della propria condotta e l'impegno più generoso al servizio della Chiesa.

A 25 anni è ordinato sacerdote, cinque mesi dopo vescovo, a 26 preconizzato arcivescovo di Milano. Prende parte all'ultima stagione del Concilio di Trento e aiuta lo zio Papa nell'attuazione fedele e decisa del Concilio. Pio iv lo ama molto, anche se non approva le sue austerità; lo tiene vicino a sé per la sua dedizione alla Chiesa, la saggezza dei consigli, la forza della disciplina; si dice che perfino chiamava Carlo "il suo occhio destro".

Alla morte di Pio iv comincia il terzo periodo, quando, a 27 anni, può finalmente raggiungere Milano, dove vuol essere, a imitazione di Gesù, un vero Buon Pastore che precede tutti con l'esempio, disposto a dare anche la vita per il suo gregge. Visita instancabilmente la grande diocesi, mette ordine tra i canonici e il clero - un canonico gli sparerà un colpo di fucile, a 31 anni, mentre sta pregando in cappella - favorisce l'apostolato dei laici mediante le innumerevoli confraternite e istituzioni della diocesi, specie quelle dedicate al culto dell'Eucaristia e all'esercizio della carità; è sempre personalmente presente nelle iniziative pastorali; dedica moltissime ore alla preghiera; dorme quattro o cinque ore per notte.

A 38 anni, quando Milano è colpita dalla peste, inizia l'ultimo periodo della sua vita. Vede nell'epidemia, con i suoi 18.000 morti, un richiamo del Cielo a migliorare ancor più la diocesi, e un castigo dei peccati; egli si dà perciò a una vita ancora più austera, e al dovere della riparazione. Mentre tutte le autorità civili fuggono, egli rientra a Milano da una visita pastorale, si dedica anche di persona agli appestati, stabilisce un direttorio per la loro cura, indice una processione di penitenza, a cui partecipa a piedi scalzi, portando la croce con la reliquia del santo Chiodo.

Da allora aumenta le penitenze, prende un solo pasto al giorno, eccetto nelle grandi feste, sta a pane, acqua, frutta e legumi. L'amore alla Passione del Signore lo fa andare da Milano a Torino a piedi, per ben quattro volte, a venerare la Sindone. La sua intensa preghiera alimenta la sua santità di vescovo, tutto preso dal Signore per il bene delle anime. San Carlo ha realizzato perciò in modo eroico l'ideale del vescovo-pastore dei tempi moderni, con una viva sensibilità per l'organizzazione efficiente della diocesi per diffondere il Vangelo nella società. In questo modo ha avuto un influsso enorme sulla Chiesa, non solo italiana, ma specialmente a Milano.

L'insegnamento di san Carlo Borromeo è di carattere schiettamente pastorale-legislativo:  si doveva dare esecuzione al Concilio di Trento, e sistemare definitivamente la disciplina nella Chiesa.

Esso consta di omelie tenute in sei concili provinciali; e in undici sinodi diocesani; di innumerevoli editti, decreti e istruzioni; di regole e costituzioni; di lettere pastorali. I temi trattati riguardano tutti gli aspetti della vita ecclesiale, dai più importanti, di carattere teologico-ascetico, a dettagli minuti come gli arredi sacri e la suppellettile liturgica. Le sue opere furono pubblicate appena cinquant'anni dopo la morte, a Milano e ad Augsburg. In edizioni parziali moderne si trovano le lettere, documenti riguardanti ordini religiosi, e soprattutto le omelie, che dànno preziosi insegnamenti ai vescovi nei concili provinciali, e ai sacerdoti nei sinodi diocesani. Paolo vi ne fece pubblicare 12, in un volume che donò ai padri conciliari del Vaticano ii (S. Caroli Borromaei orationes xii, Romae 1963).

Da questo volume ecco alcuni passi più importanti. Parlando ai vescovi nel concilio provinciale del 1576, san Carlo traccia, a 38 anni, il programma della sua missione episcopale:  "Certamente, se amiamo Cristo, com'è nostro dovere; se serviamo la gloria di Cristo; se desideriamo la propagazione del regno di Cristo; se vogliamo far piacere a Cristo; siamo tenuti a dimostrarlo con una insigne carità verso il gregge a noi affidato, non solo a parole, ma con i fatti. E questo faremo, Padri, se non ci lasceremo atterrire dalle fatiche, indebolire dalle difficoltà, fiaccare dalla lotta con Satana nostro nemico, e se non lasceremo mai di svolgere l'opera iniziata; ma, infiammati dall'amore di Dio, e preoccupati di essere Vescovi virtuosi, ci sforzeremo sempre di migliorare il popolo a noi affidato, di illuminarlo, di perfezionarlo, e, col continuo sforzo della perfezione, di introdurlo nelle dimore celesti".

Nei sinodi san Carlo si rivolge ai suoi sacerdoti per stimolarli ai loro doveri con insistenti richieste. Li esorta allo studio.

La più bella omelia da lui tenuta è quella in cui ricorda ai sacerdoti i loro obblighi quali la preparazione alla Messa, lo studio serio per la predicazione.

San Carlo, afferrato totalmente da Cristo, è stato un innamorato del sacerdozio, il dono più grande che Dio abbia fatto agli uomini.

"Nulla è più gradito a Dio, che diventiamo i collaboratori del suo Figlio; nulla fa più piacere a Cristo, che trovare chi porti insieme con Lui questo giogo; nulla rafforza di più la santa madre Chiesa, che vedere i suoi figli partorire in tal modo le anime. In fin dei conti, i sacerdoti svuotano l'inferno, abbattono il demonio, distruggono il peccato, aprono il Paradiso, riempiono i seggi vuoti del Cielo, allietano gli Angeli, glorificano la Santissima Trinità, e preparano a se stessi corone eterne, che non marciscono".



(©L'Osservatore Romano - 4 novembre 2010)








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[SM=g1740717] [SM=g1740720]

Si sono presi mio marito. E io, signora Coletta, ora aiuto i loro figli


                                 Signora Coletti

                   

Cinque anni fa stupì l’Italia perdonando i terroristi che a Nasiriyah le avevano portato via Giuseppe. Oggi porta avanti la missione di pace del “brigadiere dei bambini” nel mondo. A cominciare dall’Iraq

di Lucia Bellaspiga
«Se amate quelli che vi amano che merito avete? Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori». Chi pronunciava queste parole davanti alle telecamere dei giornalisti che affollavano la sua casa di San Vitaliano (Napoli) a poche ore dalla strage di Nasiriyah era Margherita Coletta. Era il 12 novembre del 2003. In braccio teneva Maria, 2 anni appena, e da poche ore aveva saputo che suo marito, il vicebrigadiere dei Carabinieri Giuseppe Coletta, era tra i morti del sanguinoso attentato in Iraq. L’abisso le si leggeva in faccia, il suo era il volto del dolore, palpabile, disumano, ma in quel momento la sua fede di granito, più forte dei trecento chili di tritolo che avevano squassato la sua esistenza e quella di altre diciotto famiglie italiane, reggeva di fronte alla prova: «La nostra vita è tutta qua dentro», diceva a se stessa e ai giornalisti indicando il Vangelo.

Una prova che Margherita, 33 anni soltanto, aveva già dovuto affrontare: poco tempo prima il loro bambino, Paolo, era morto di leucemia. Giuseppe allora era arrabbiato con Dio, per un anno non era più entrato in chiesa, Margherita no, lei anche in quei giorni era la più forte:
«Noi non possiamo conoscere i disegni di Dio, ma abbiamo un’unica grande certezza ed è che Dio ci ama. Lui non può volere il nostro male, dunque se ha permesso questo è per darci un giorno un bene maggiore. Io non posso capire, ma mi fido e mi affido».

Le stesse parole che, con strazio ancora più grande, piegata dal dolore ma mai spezzata, mi ha ripetuto quei giorni di cinque anni fa: «Credevo di aver già dato abbastanza al Signore. Mi sentivo sicura, pensavo che non mi avrebbe più chiesto altro dopo la morte di Paolo, ma non funziona così», mi ha detto sorridendo della sua ingenuità. «Il Signore più ci ama e più esige, e non chiede mai più di quanto ciascuno può dargli. Da me sapeva che poteva chiedere tanto, evidentemente…». E poi un’altra certezza, fondata sulla prima: «Noi non ci siamo divisi, nemmeno la morte ha potuto farlo. Giuseppe è salito al cielo da Paolo e io sono rimasta qui con Maria, ma un giorno saremo ancora tutti insieme. Vorrà dire che avrei dovuto attendere quattro mesi di missione in Iraq prima di rivederlo, invece aspetterò qualche anno».

Così diceva e così dice. Ma soprattutto così vive: non predica da uno scranno né teorizza da una cattedra, ma con semplicità estrema e disarmante riferisce ciò che vive sulla sua pelle. Da questa consapevolezza discende il suo diritto di parlare.
L’immagine di quella ragazza con il Vangelo in mano allora fece il giro d’Italia e non solo, entrò nelle nostre case e scosse le nostre coscienze. A chi le chiedeva come potesse perdonare lei opponeva la sua logica rigorosa e ineluttabile, anch’essa fondata sulla fede: «Gesù ci ha lasciato il comandamento di perdonare settanta volte sette, cioè sempre… Non vedo allora perché debba sembrare così eccezionale se un cristiano perdona: per un credente semmai dovrebbe essere strano il contrario».

«Tutta la sua vita è stata eroica»

E Giuseppe? Chi c’era dietro l’uniforme del giovane vicebrigadiere? Quale motivazione lo aveva spinto a partire per le missioni di pace all’estero? Ed era un eroe? Il fatto di morire dilaniato da un’autobomba basta per essere definito tale? Nella retorica delle cerimonie spesso è così.
Ma Giuseppe era un uomo degno di essere amato e scelto da una donna come Margherita. Lascio a lei le parole per spiegarlo: «Io penso che mio marito non ha fatto nulla di straordinario il giorno che l’hanno ucciso, la sua straordinarietà è nei 38 anni vissuti al servizio degli ultimi, non certo in una bomba che gli è scoppiata addosso. Anzi, quel giorno in fondo, come direbbe lui, si è lasciato fregare. È un’intera esistenza che ti fa eroe, non la sfortuna di un evento… Se proprio dobbiamo usare questo termine, preferirei dire che mio marito ha fatto della sua vita un atto eroico».

Un eroismo che per concretizzarsi non ha scelto la guerra ma la via dell’amore per il prossimo, in primo luogo i bambini. La svolta è avvenuta il giorno in cui Paolo è morto e in suo padre è nata l’esigenza di andare ovunque miseria, violenza e malattia mettessero a repentaglio la vita di tanti bambini come il suo. Per Paolo non c’era più nulla da fare, ma molto invece si poteva per milioni di altri figli sparsi nel mondo e in ognuno vedeva quello che aveva perduto. Sono centinaia le foto che lo ritraggono circondato da bambini in Albania, Kosovo, Bosnia e poi Iraq, decine le testimonianze che raccontano di quel Carabiniere che, cascasse il mondo, riusciva a fare arrivare dall’Italia container di giocattoli, cioccolato, medicinali, attrezzi per la scuola, omogeneizzati, latte in polvere, soluzione fisiologica per neonati…
 
E proprio a Nasiriyah quelle incubatrici che mancavano: «Non è accettabile che bambini sani mi muoiano in braccio solo perché qui gli ospedali sono così poveri che non c’è un’incubatrice, che manca il cibo per nutrirli», telefonava alla moglie. E Margherita dall’Italia provvedeva, seguiva le sue istruzioni, bussava alle porte che lui, con la sua contagiosa voglia di fare e una vitalità che spaccava le montagne, era riuscito a guadagnare alla sua causa. A Nasiriyah lo chiamavano “il brigadiere dei bambini” e quando spariva sapevano tutti dov’era, nell’ospedale pediatrico a dare una mano, a spendersi fino all’ultima energia, sempre con quel suo sorriso di ragazzone ironico e contento.

L’abbraccio di Giovanni Paolo II

La sua prima “missione all’estero”, in fondo, era stata però sotto casa, in un altro ospedale pediatrico, il Santobono di Napoli in cui era morto suo figlio: dopo il funerale, Giuseppe si fece forza e tornò tante volte tra i piccoli malati oncologici anche se ciò gli costava un dolore insopportabile. In seguito andò a cercarli altrove, i bambini, dove soffrono di più, dove infuria la guerra, in terre lontane. Lì ritrovò la sua pace e quel Dio da cui in fondo non si era mai allontanato. In Albania addirittura, senza rivelare nulla a Margherita, esaudì il suo più grande desiderio, si preparò al sacramento della Cresima e, in combutta con il suo comandante, organizzò a sorpresa il viaggio affinché lei lo raggiungesse in missione: «Sei una moglie eccezionale – le ha scritto quel giorno – e, non potendoti risposare, ti ho scelto come madrina».

Il 15 novembre del 2003, dopo quattro mesi di Iraq, lui e i suoi compagni sarebbero tornati a casa. Ma il 12 novembre, tre giorni prima, un camion carico di tritolo si avventa sulla caserma dei Carabinieri a Nasiriyah e uccide diciannove italiani: la più grave perdita di nostri uomini dalla Seconda guerra mondiale. Paradossalmente proprio il 15 novembre i ragazzi tornano, ma nella stiva di un aereo militare, avvolti nei tricolore. Quello stesso giorno Margherita riceve l’abbraccio di Giovanni Paolo II: è andata in incognito in Sala Nervi, confusa tra gli ottomila dell’Unitalsi ricevuti dal Papa, ma la gente l’ha riconosciuta, è la vedova che due giorni prima alla televisione aveva scioccato tutti parlando di perdono, e l’applauso è lunghissimo. Al Papa sussurra di pregare perché Gesù continui a darle quella forza di cui ha bisogno, lui, già molto malato, le risponde con una carezza e la sua silenziosa benedizione.

Il seme di Nasiriyah, titolo che io e Margherita oggi abbiamo dato al libro che racconta tutto questo, è il grano che deve morire per dar vita alla pianta. È Paolo che muore ma è anche la folla di bambini che vivono grazie a Giuseppe e senza di lui oggi non sarebbero al mondo. È Giuseppe che muore ma è anche l’associazione subito dopo fondata da sua moglie per continuare le sue missioni nel mondo. “Giuseppe e Margherita Coletta – Bussate e vi sarà aperto”, si chiama. I primi che hanno bussato sono proprio i figli degli iracheni: di chi le aveva preso tutto.

La commozione di Ritanna Armeni

Nella prefazione al libro, scritta dall’inviato del Tg5 Toni Capuozzo, la morale: «C’è molto male, in giro, ma anche il bene sa essere contagioso». Nella postfazione di Ritanna Armeni, giornalista non credente, la più bella gratificazione: «Nella vicenda di Giuseppe e di Margherita c’è una risposta alla guerra che non conoscevo, che non smentisce quello che di peggio si pensa di essa, ma afferma una capacità per me non immaginabile di trascenderlo e superarlo… Giuseppe Coletta era andato in Iraq in missione di pace. E mai definizione appare più vera… Nel carabiniere Coletta c’è una normalità nell’abnegazione e una semplicità nel dono della vita che supera l’eroismo, o meglio lo riconduce alla normalità della vita. Margherita, sua moglie, è una donna cui la fede ha dato una saggezza che è, per chi scrive, inspiegabile, e quindi specialissima… Dalla guerra – ci dicono – si può uscire migliori, si può trovare la ragione per fare del bene. Ecco, questo non lo sapevo e neppure lo immaginavo. E questo mi sembra davvero un miracolo».



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[SM=g1740717] [SM=g1740720]

Absolve, Domine,
animas omnium fidelium defunctorum
ab omni vinculo delictorum.
Et gratia tua illis succurente,
mereantur evadere iudicium ultionis,
et lucis æternae beatitudine perfrui.

Assolvi, Signore, le anime di tutti i fedeli defunti da tutti i vincoli dei loro peccati, possano meritare di superare il giudizio finale per la tua grazia, e godano la beatitudine della luce eterna.

(Tractus della Missa pro Defunctis)


Testo presto da: www.cantualeantonianum.com/#ixzz14go4sx20



[SM=g1740738]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/11/2010 19:01
 
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Memorie funerarie dei Pontefici dal tardoantico all'alto medioevo

san Leone Magno (Festa Liturgica 10 novembre)
 e gli epitaffi perduti



di Carlo Carletti
 

Un tratto tipico e senza dubbio "nuovo" che emerge nella produzione epigrafica romana tra la fine del mondo antico e l'alto medioevo è costituito dalle iscrizioni funerarie dei Papi. Nella loro complessità queste scritture esposte si configurano come immediato specchio di rifrazione dell'immagine che dei suoi vescovi la Chiesa di Roma volle definire e consegnare alla posterità attraverso un vettore - come appunto quello scritto sulla pietra - destinato per sua natura a una durata senza tempo.

Per tutto il III secolo e fino all'età costantiniana l'epitaffio del vescovo non è uno speciale e distintivo prodotto di nicchia, ma si uniforma totalmente alla prassi in uso nell'ambito della comunità:  lo testimoniano eloquentemente i pochi esemplari superstiti, tutti concentrati nella cripta dei Papi del cimitero di San Callisto - il primo cimitero dei vescovi di Roma storicamente documentato - dove si conservano gli originali marmorei di Ponziano (230-235), Antero (235-236), Fabiano (236-250), Lucio i (253-254), Eutichiano (275-283) (Inscriptiones Chistianae Urbis Romae, IV, 10670, 10558, 10694, 10645, 10584).

La loro memoria funeraria - come quella in uso tra i comuni fedeli - si risolve in una struttura testuale minimale che trasmette alla posterità il solo nome personale, senza altri riferimenti retrospettivi alla storia individuale della vita terrena.

Questa modalità di "scrivere la morte", presente con sorprendente sistematicità e con un altissimo tasso di diffusione (oltre l'80 per cento) nelle più antiche aree cimiteriali della città, si propone come riflesso della concezione egalitaria e universalistica di san Paolo, che era stata fatta propria da Papa Callisto nella realizzazione del suo modello di Chiesa e che trova le sue prime testimonianze epigrafiche proprio nel cimitero che da lui prese il nome:  "Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo" (1 Corinzi, 12, 13) nel quale "non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna" (Galati, 3, 28).

Uno stile epigrafico, indubbiamente "antisistema", che perdurò per circa un secolo, manifestando una diversità concettuale profonda rispetto alla consolidata prassi non-cristiana, che almeno a partire dall'età augustea, prevedeva che si trasmettessero alla memoria dei posteri le storie retrospettive dei defunti:  dati biometrici, ruolo nella famiglia e nella società, meriti, onori.

Con l'avvento dell'era costantiniana, e con una sensibile accelerazione nel corso della seconda metà del iv secolo (l'epoca delle conversioni di massa) il repertorio della prassi epigrafica dei cristiani si riappropria massicciamente di tutti gli elementi retrospettivi che erano stati "ideologicamente" esclusi nel secolo precedente:  si riconsegnano alla posterità le storie terrene dei singoli e delle famiglie, che ormai esibiscono la loro adesione alla religio divenuta licita con l'esposizione dei segni cristologici e si avvia l'uso del "distintivo" che - sul piano formale - indicava una dichiarata adesione.
A questa nuova prassi si conforma anche l'epitaffio del vescovo, che da puro e semplice epitaffio minimale diventa elogium e acquisisce non di rado carattere di manifesto ideologico. La prima iscrizione funeraria episcopale del iv secolo di cui conosciamo il testo - quella di Liberio - non ha più nulla in comune con lo stile esibito negli epitaffi episcopali del secolo precedente:  il vescovo è ricordato e commemorato con una lunghissima composizione in versi, che ne propone cursus honorum, meriti, pregi, virtù (Inscr. Christ. ix 24831):  è solo il primo di una lunga serie che proseguirà nel tempo a venire senza soluzione di continuità.

A una prima osservazione delle iscrizioni episcopali romane la prima constatazione è l'altissimo tasso di distruzione e dispersione degli originali:  un livello di "mortalità epigrafica" così alto non trova riscontro in altri complessi epigrafici tipologicamente omogenei. Basti considerare che allo stato attuale, dal pontificato di Liberio (352-355) a quello di Gregorio Magno (590-604) non rimane alcuna iscrizione integra:  soltanto  pochi  e  minuti  frammenti degli epitaffi di Bonifacio ii (530-532:  Inscr. Christ. ii, 4153) e Gregorio Magno (Inscr. Christ. ii 4156).

Per i due secoli successivi la situazione non è diversa:  nessun originale integro, soltanto due frammenti appartenenti agli elogia di Sabiniano (604-606:  Inscr. Christ. ii 4157) e di Bonifacio iv (608-615:  Inscr. Christ. ii 4159); il primo e unico epitaffio pontificale integro è quello celebre - per la sua straordinaria fattura grafica ed estetica -di Adriano i (772-795), attualmente esposto nel portico della basilica Vaticana (Monumenta Epigraphica Christiana saeculo xiii antiquiores, i, "In Civitate Vaticana" 1943, tav. ii, i).

Per un numero consistente di epitaffi papali alla perdita degli originali epigrafici si aggiunge anche la mancanza di testimonianze di tradizione indiretta. Molte iscrizioni non ebbero nemmeno la buona sorte di essere copiate né dai visitatori dell'alto medioevo né dal presbitero Pietro Mallio che al tempo di Alessandro iii (1159-1181) ebbe cura di registrare e localizzare - all'interno della basilica Vaticana - le sepolture dei Papi con relative iscrizioni, né di essere ricordate da Giovanni Diacono (Gregorii Magni vita iv, 68) quando accenna ai Pontefici deposti vicino alla sepoltura di Gregorio Magno. In sintesi dei sessantuno Papi che si succedono da Liberio ad Adriano i, e dunque dal 355 al 795, soltanto di 34 su 61 rimangono i testi degli epitaffi o la notizia dell'esistenza di un epitaffio. Questa cancellazione della memoria funeraria non può superficialmente essere imputata alla sola selezione del tempo, ma anche alla colpevole disattenzione dei molti che, nel corso di centoventi anni (dal 1506 al 1626), parteciparono alla costruzione della nuova basilica rinascimentale.

Dei molti originali epigrafici di cui non è rimasta traccia se ne conserva - in un caso del tutto eccezionale - fedele testimonianza non attraverso una copia seriore manoscritta, ma attraverso una seconda versione epigrafica, che non necessariamente doveva riproporre quella archetipica in tutte le sue parti:  è l'epitaffio dedicato in replica a Leone Magno, il primo dei vescovi romani a essere deposto nella basilica Vaticana nella parte centrale del porticus pontificum in prossimità del secretarium. Di qui alla fine del vii secolo per iniziativa di Sergio i (687-670) fu traslato presumibilmente al centro del porticus:  in questa circostanza, mirata evidentemente ad assicurare una maggiore visibilità e accessibilità alla sepoltura del Pontefice ormai obliterata dalle tombe dei successori, fu rifatto anche l'epitaffio ed evidentemente si distrusse l'originale del quale non è pervenuta traccia alcuna nemmeno nelle copie dei visitatori del primo alto medioevo.

Nell'esordio del nuovo epitaffio, noto per tradizione indiretta attraverso una copia conservata nella Sylloge Virdunensis (Inscr. Christ. 4148), si rende puntualmente ragione della motivazione che sollecitò il trasferimento dei resti mortali di Leone:  "Per il primo il corpo di questo Pontefice fu qui sepolto, perché era degno di una sepoltura nella rocca di Pietro (in arce Petri). Dopo di lui sotto l'egregia dimora furono raccolte le spoglie di vati e maestri, che ancora vedi. Ma Leone il Grande, curando come pastore i recinti e il gregge cristiano, era da tempo custode della rocca (ianitor arcis erat). Come testimone (superstes) anche dalla tomba continua a ricordare ciò che aveva fatto, affinché il lupo insidioso non devastasse l'ovile di Dio". La menzione della arx Petri costituisce, sul piano pastorale e su quello ideologico, la cifra caratterizzante della parte introduttiva della composizione, che rappresenta Leone come pastore del gregge cristiano (ovilis Dei) e come inflessibile custode della rocca munita, appunto la arx Petri.

L'azione di Leone, concentrata soprattutto tra il 446 e il 458 in una energica difesa dell'ortodossia in seguito alla ripresa della controversia cristologica in Oriente, è espressamente ricordata nella parte centrale del suo elogium come aspetto centrale e caratterizzante del suo pontificato:  di questo intervento - si dice - sono "testimoni gli scritti inviati a sostegno della retta dottrina, che gli animi devoti osservano e che la turba perversa teme" (Testantur missi pro recto dogmate libri / quos pia corda colunt, quos parva turba timet). I missi pro recto dogmate libri si riferiscono senza alcun dubbio al Tomus ad Flavianum, una lettera dogmatica inviata a Flaviano, patriarca di Costantinopoli e acerrimo avversario del monaco monofisita Eutiche, in cui Leone esponeva compiutamente il suo pensiero, riaffermando il principio che nella persona di Cristo si unificano distintamente senza confusione le due nature, umana e divina.

Questa prima istanza, inviata alla assise del concilio di Efeso del 449, non ebbe il successo sperato:  non fu nemmeno letta né fu dato ascolto alcuno al rappresentante del Papa (e poi suo successore) il diacono Ilario, che protestò energicamente in latino, ma non potè nulla opporre alle repliche che gli venivano rivolte in greco:  Leone più tardi in una lettera alla Augusta Pulcheria (Epistula 95 del 20 luglio 451) stigmatizzò duramente quanto accaduto con la celebre invettiva, che a Efeso non fu emesso un giudizio ma fu perpetrato un latrocinio:  quidquid in illo Efesino non iudicio sed latrocinio potuit perpretari. Ma il successivo concilio di Calcedonia del 451 decretò il trionfo di Leone e il suo Tomus fu integralmente accolto.

Gli esiti di questa azione vincente sono riproposti nell'elogium in efficace forma allegorica:  "(Leone) - rappresentato come suggerito dal suo nome (anfibologia) nella sembianza del leone che ruggisce - ruggì e lasciò attoniti gli animi pavidi delle belve feroci (gli eretici) e le pecore obbedirono ai comandi del proprio pastore (rugiit et pavida stupuerunt corda ferarum / pastorisque sui iussa sequuntur oves). Quando esplose questa difficilissima e complessa congiuntura "fu buona ventura per la Chiesa di Roma che si trovasse ad affrontarla... la personalità di maggior rilievo tra tutti i vescovi di Roma anteriori a Gregorio Magno capace come lui, tra l'altro, di distinguersi in ambito letterario grazie alla perizia nell'esprimersi, sia nelle omelie che nelle lettere (il Tomus ad Flavianum è appunto una lettera) con grande proprietà di forma, funzionale e insieme raffinata, che riflette bene personalità dell'uomo" (Manlio Simonetti).

La parte finale dell'elogio leoniano sintetizza la vicenda che condusse alla traslazione delle spoglie del Pontefice e al rifacimento del suo epitaffio per iniziativa di Sergio i:  il tema è introdotto con la sottolineatura della asimmetria tra la grandezza dell'opera di Leone e l'inadeguatezza del luogo della sua sepoltura, resa ormai invisibile dal progressivo sovrapporsi di trentadue deposizioni, succedutesi nel corso di duecentoventisei anni dal 461 (morte di Leone) al 687 (morte di Conone) predecessore di Sergio i:  "(Leone) aveva trovato sepoltura nella parte estrema del pavimento della basilica (dove) ormai lo nascondono i numerosi sepolcri dei Pontefici (pontificum plura sepulchra). Io, Papa Sergio, ispirato da amore divino, di lì lo feci trasferire sulla facciata del sacro tempio, adornando lo splendido sepolcro di marmo prezioso, sul quale coloro che pregano vedono le cose che vi sono sopra; e poiché in vita brillò di straordinarie virtù, tanto più elevata sarà la gloria del Pontefice (ultima pontificis gloria maior erit)".

All'elogium vero e proprio segue la rituale subscriptio in prosa con la menzione del dedicante Sergio e dei dati biometrici e obituari di Papa Leone:  "Sedette nell'episcopato ventuno anni, un mese, tredici giorni. Fu deposto il dieci novembre e fu qui traslato dal beato Papa Sergio il ventotto giugno della prima indizione". Nell'originale latino della subscriptio è da emendare l'erronea menzione della deposizione, dovuta a distrazione del lapicida o del seriore copista dell'iscrizione:  iii idus novembres (cioè 11 novembre) in luogo di iv idus novembres (cioè il 10 novembre), come peraltro autorevolmente attestato dal Martyrologium Hieronimianum.

Il luogo della nuova sepoltura fatta allestire da Sergio i - contrariamente a quanto ipotizzato da Louis Duchesne (Liber Pontificalis, i, p. 375) - fu certamente resa più visibile e accessibile per i devoti, ma rimase nell'ambito dell'avancorpo della basilica, cioè all'interno porticus pontificum, dove in origine era stata ubicata. La traslazione all'interno della basilica avvenne solo nella metà del ix secolo per iniziativa di Leone iv (847-855).

L'elogio fatto ricompilare da Papa Sergio è, come si è visto, tutto concentrato sull'azione di Leone come pastore e come difensore dell'ortodossia e, pertanto, non se ne ricorda - come peraltro di norma nel genere dell'epitaffio pontificale - l'attività edilizia, che pure fu intensa e continuativa con numerosi interventi di tutela e restauro, di alcuni dei quali rimane memoria epigrafica.

Un esemplare, ancora perfettamente integro e di notevole livello qualitativo sul piano estetico e tecnico-esecutivo, è una grande iscrizione marmorea polimetra (Inscr. Christ. ii 4783:  distici elegiaci vv. 1-12; giambi vv. 13-16), collocata nella parte superiore della controfacciata della basilica di San Paolo fuori le Mura.

La composizione ricorda in dettaglio i lavori fatti eseguire dall'antistes Christi - Papa Leone - per restituire l'edificio al popolo di Dio (la plebs sancta) e al culto consueto (solita officia) del beatus doctor mundi (Paolo), in seguito ai danni provocati da un incendio. Gli ultimi quattro versi sono riservati alla riconoscente lode per la devota e vigile attività (fidelis atque pervigil labor) dei due ecclesiastici imprenditori, il presbitero Felix e il protodiacono della sede apostolica Adeodatus, cui fu affidata l'esecuzione dei lavori:  l'uno e l'altro come concreto segno di gratitudine ebbero il privilegio di essere sepolti nella stessa basilica paolina, nel 471 (Inscr. Christ. ii, 4958) e nel 474 (Inscr. Christ., ii, 4926). Sempre nell'ambito della basilica ostiense, un'altra iscrizione attestava l'intervento voluto da Leone per la riattivazione della fontana posta al centro dell'atrio (Inscr. Christ., ii 4785):  una lunga incuria l'aveva di fatto disseccata (perdiderat laticum longaeva incuria cursus) e solo la provida pastoris per totum cura Leonis ne consentì la restituzione alla sua funzione e all'uso dei fedeli:  haec ovibus Chr(ist)i larga fluentia dedit.

Al tempo di Leone, e forse alla sua diretta iniziativa, sono da attribuire i cicli decorativi a mosaico esposti sulla facciata di San Pietro in Vaticano e sull'arco trionfale di San Paolo fuori le Mura, come attestato da due iscrizioni (Inscr. Christ. ii, 4102, 4784):  quella di Fl. Avitus Marinianus, console del 423, che insieme alla consorte Anastasia, in scioglimento di un voto ottiene da Papa Leone la concessione di intervenire nella basilica petrina (quae precibus papae Leonis mai provocata sunt atque perfecta), e quella di Galla Placidia che, a completamento dell'iniziativa promossa dal padre Teodosio, porta a termine la decorazione musiva di San Paolo:  Placidiae pia mens operis decus omne paterni / gaudet pontificis studio splendere Leonis. L'attenzione tutta particolare di Leone per i monumenti rievocativi della coppia apostolica, trovava il suo corrispettivo nella tradizione dei sermoni annuali pronunciati il 29 giugno, nell'anniversario della festa liturgica di Pietro e Paolo.

In quello del 29 giugno del 441 i due apostoli vengono esaltati come artefici primari del nuovo ruolo assunto dalla città di Roma:  "Sono questi (Pietro e Paolo) che ti hanno innalzato all'alto onore di divenire, come nazione santa, popolo eletto, città sacerdotale e regale, per la presenza in te della sacra sede di Pietro, la capitale del mondo e di esercitare un ruolo di governo più ampio per la divina religione..." (Sermo, 82, 1).

Nel suburbio della città venne poi edificata la basilica di Santo Stefano al terzo miglio della Via Latina, per la munificenza della nobile matrona Demetria, appartenente alla nobile famiglia degli Anici. La realizzazione del culmen Stephani - l'edificio dedicato al protomartire - è rievocata in una lunga iscrizione in versi, come esito concreto del mandato testamentario affidato dalla nobile dedicante a Papa Leone:  haec tibi, papa Leo, votorum extrema suorum tradidit.

La complessiva azione di Papa Leone nell'ambito pastorale, dottrinale ed ecclesiale trova significativa sintesi nell'attributo elogiativo Magnus - mai prima usato per un vescovo di Roma - che nella struttura testuale e formale dell'epitaffio a lui dedicato, si propone come vero e proprio supernomen ex virtute.


(©L'Osservatore Romano - 10 novembre 2010)
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20/11/2010 00:49
 
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Un canto per Cristo Re dei Martiri


[SM=g1740717]

Come ci mostra l'introito della solennità di Cristo Re dell'Universo, la regalità di Gesù viene presentata secondo Ap 5,12 che recita:

Dignus est Agnus qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem et sapiéntiam, et fortitúdinen, et honórem. Ipsi glória et impériun in sæcula sæculórum.
V. (Ps. 71,1) Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.


Degno è l'Agnello che è stato ucciso, di ricevere forza, e divinità e sapienza, e fortezza ed onore. A lui gloria e potere nei secoli dei secoli.
V. (sal 71,1) Dio dà al Re il tuo giudizio, al Figlio del Re la tua giustizia.


Il Signore dell'universo è un Agnello sacrificato. Ma a lui, per la sua risurrezione gloriosa, Dio ha concesso forza e potere su ogni principato e potestà, fino al termine dei secoli.
Gesù è il re crocifisso, e nella croce vediamo insieme il giudizio di Dio sul mondo e la giustizia donata a chi, per la fede, è chiamato a diventare figlio di Dio.
I martiri che accompagnano l'Agnello e hanno lavato nel suo sangue le loro vesti sono la scorta d'onore al Re rivestito d'un manto del colore del suo sangue.


Quest'introito della solennità di Cristo Re è stato splendidamente eseguito dal coro della cattedrale cattolica di Westminster in occasione della Messa votiva del Preziosissimo Sangue, celebrata dal Papa Benedetto XVI nella recente visita al Regno Unito. Ve ne propongo la registrazione e lo spartito.

RIVOLGIAMO UN PENSIERO AI CRISTIANI UCCISI IN IRAQ E IN TANTE ALTRE PARTI DEL MONDO, ANCHE IN PAKISTAN DOVE UNA DONNA CRISTIANA E' STATA CONDANNATA A MORTE PER NON AVER ABIURATO A CRISTO PER L'ISLAM....

Testo preso da: www.cantualeantonianum.com/#ixzz15m6pwphi



[SM=g1740738]




[SM=g1740733] ATTENZIONE.... IL THREAD CONTINUA IN QUESTA NUOVA PAGINA:
Novembre: Festa liturgica di Tutti i Santi e dei Nostri cari Defunti (2)
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=...





[Modificato da Caterina63 23/10/2011 16:10]
Fraternamente CaterinaLD

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