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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Lettera aperta alla FSSPX di Padre Giovanni Scalese ed altre LETTERE APERTE per cercare e trovare la Verità nella carità

Ultimo Aggiornamento: 03/08/2012 13:45
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giovedì 30 luglio 2009

Scalese scrive una lettera aperta a Fellay.

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Eccellenza Reverendissima,

Non so se questa "lettera aperta" giungerà mai nelle Sue mani. Io l'affido agli angeli, perché Gliela recapitino personalmente. Già altra volta avevo scritto un articolo avendo in mente la vostra Fraternità; lo pubblicai su questo blog (fu il mio primo post), ed esso giunse miracolosamente a destinazione: fu ripreso dai vostri siti e definito "molto interessante".

Questa volta mi rivolgo a Lei, perché so che sono in corso i preparativi dei colloqui dottrinali con la Santa Sede, da voi a lungo richiesti e finalmente, con la remissione della scomunica, accordati da Papa Benedetto XVI. A quanto mi risulta, Lei è già stato a Roma per prendere i primi contatti con la Congregazione per la Dottrina della Fede.

Personalmente, sono sempre stato del parere che non ci sia bisogno di "colloqui" per la riammissione nella comunione della Chiesa cattolica. L'unica cosa necessaria, a parer mio, dovrebbe essere la professione di fede prevista dai sacri canoni. Una volta che condividiamo la stessa fede, dovremmo essere in piena comunione. Sul resto, che non è compreso in quella professione di fede, ritengo che sia sempre possibile discutere liberamente, ma stando all'interno, non all'esterno della Chiesa. L'accettazione di un Concilio, che si è autodefinito "pastorale", non dovrebbe, secondo me, essere una condizione per la riammissione nella comunione ecclesiastica. Sono d'accordo che sia quanto mai urgente una riflessione sul valore e l'interpretazione del Vaticano II; ma non mi sembra che questo debba essere oggetto di una trattativa fra la Santa Sede e la Fraternità di San Pio X; mi sembra piuttosto un problema che riguarda l'intera Chiesa. È per questo motivo che ho proposto piú volte da questo blog che il prossimo Sinodo dei Vescovi sia dedicato all'interpretazione del Concilio.

Ma tant'è: a quanto pare, sia da parte vostra, sia da parte della Sede Apostolica un chiarimento sul Vaticano II è considerato come una condizione previa a qualsiasi altro tipo di accordo. Di qui la necessità di "colloqui dottrinali". Orbene, visto che tali colloqui dottrinali ci saranno, mi permetta di darLe qualche consiglio. Non perché pretenda di saperne piú di Lei, ma solo per esprimerLe, in spirito di fraterna carità, quel che sento in questo delicato momento.

Innanzi tutto, quando verrà a Roma per discutere con la CDF, non venga nella veste di colui che contesta o, peggio, rifiuta il Concilio. Questo significherebbe il fallimento immediato di qualsiasi dialogo. Venga piuttosto come uno che accetta il Vaticano II per quello che esso ha voluto essere, ed è effettivamente stato, cioè un concilio pastorale. Dica pure al Card. Levada che l'unica cosa che voi rifiutate — e su questo siamo tutti d'accordo — è l'assolutizzazione e l'ideologizzazione del Concilio, non il Concilio in quanto tale. Gli dica pure che voi trovate nei documenti del Vaticano II alcuni testi ambigui. Anche su questo, il Card. Levada dovrebbe convenire con Lei. Lo stesso Paolo VI trovò ambigua la trattazione della collegialità episcopale fatta dalla Lumen gentium, tanto è vero che sentí il bisogno di allegare a quella costituzione una "Nota praevia". Aggiunga che, essendoci delle ambiguità nei testi conciliari, si rende necessaria un'opera di interpretazione. Ma, per favore, non si presenti con la pretesa di essere Lei o la Sua Fraternità gli interpreti autorevoli del Concilio. Chieda piuttosto che sia la Sede Apostolica a dare un'interpretazione autentica dei passi piú oscuri. Qualcosa è stato già fatto (la detta "Nota praevia"; la spiegazione del significato dell'espressione "subsistit in"), ma molto rimane ancora da fare. Il criterio generale di tale interpretazione è stato già indicato da Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: l'ermeneutica della riforma in contrapposizione all'ermeneutica della discontinuità e della rottura. E gli dica che voi, su questo, non solo siete pienamente d'accordo col Santo Padre, ma volete mettervi a sua completa disposizione per aiutarlo in quest'opera di rilettura del Concilio nel solco della ininterrotta tradizione della Chiesa.

Eccellenza Reverendissima, sono sicuro che su quanto ho scritto finora Lei si trovi in buona misura d'accordo. Mi pare di percepirlo dal tono dei Suoi ultimi interventi, molto piú concilianti e possibilisti di un tempo. Ma so pure che deve fare i conti, all'interno della Fraternità, con posizioni piú massimaliste, che La mettono in guardia dall'essere troppo arrendevole nei confronti della Santa Sede. A mio modesto parere, dovrebbe far capire a questi Suoi confratelli che non c'è nulla da guadagnare, in questo momento, a irrigidirsi su posizioni intransigenti. Il Santo Padre ha già fatto molti passi verso di voi; ora sta a voi fare qualche passo verso di lui.

Questo non significa cedere sui vostri principi; perché, se veramente avete a cuore le sorti della Chiesa, non c'è luogo migliore, per far valere quei principi, che la Chiesa stessa. Rimanendone fuori, voi lascerete la Chiesa in balia di quelle forze distruttive che la stanno a poco a poco portando alla rovina. Finché voi continuerete a rifiutare il Concilio, queste forze avranno buon gioco a dire: "Vedete? Loro sono fuori della Chiesa, perché rifiutano il Concilio; noi siamo la vera Chiesa, perché accettiamo, difendiamo e attuiamo il Concilio". Se anche voi accettate il Concilio, rimarranno spiazzati; e a quel punto si rivelerà chi è veramente cattolico e chi non lo è; chi interpreta il Concilio alla luce della tradizione e chi lo interpreta ideologicamente, appellandosi a un suo preteso "spirito".

Questo non significa neppure tradire l'eredità dell'Arcivescovo Lefebvre. Lei sa meglio di me che il vostro Fondatore partecipò al Concilio, dando un notevole contributo alle discussioni e all'elaborazione dei suoi documenti, che approvò e firmò nella loro totalità. Come mai? Non si rendeva conto delle ambiguità in essi contenute? Evidentemente sperava che se ne potesse dare un'interpretazione ortodossa. Fu solo quando vide che l'interpretazione e l'applicazione del Concilio era diventata monopolio dei modernisti che irrigidì le sue posizioni. Sono convinto che, se avesse visto che c'era spazio nella Chiesa per continuare le sue battaglie dall'interno, non sarebbe mai giunto a una rottura con la Sede Apostolica. Ora che questo spazio esiste, ed è lo stesso Sommo Pontefice a offrirvelo, mi sembrerebbe sciocco non sfruttare questa occasione irripetibile. Si tratta di scegliere se rimanere nel seno della Chiesa e di lí svolgere un ruolo, certamente difficile, ma prezioso per la salvaguardia della tradizione e la rivitalizzazione della Chiesa stessa; oppure preferire di rimanere ai margini o addirittura fuori della Chiesa, col rischio di trasformarsi nel tralcio separato dalla vite, destinato a seccare.

Eccellenza, mi scusi se mi sono permesso di intervenire su tali delicate questioni. La posso assicurare che, da parte mia, non c'è alcuna pretesa e alcun interesse, c'è solo il desiderio di vedere il ristabilimento della piena comunione nella Chiesa. La Chiesa ha bisogno di voi e voi avete bisogno della Chiesa.

Colgo l'occasione per confermarmi, con sensi di distinto ossequio, dell'Eccellenza Vostra Rev.ma

dev.mo

Giovanni Scalese, CRSP

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Per comprendere la Lettera di padre Giovanni, è utile approfondire anche come egli stesso combatta quelle amare e false interpretazioni dopo il Concilio che tanti danni hanno recato alla Chiesa...

dal blog di padre Giovanni Scalese, traggo stamani una stupenda riflessione sul "frutto amaro del Concilio"
http://querculanus.blogspot.com/2009/06/il-frutto-piu-amaro-del-concilio.html


Il frutto piú amaro del Concilio
Sul primo post di questo blog elencavo una serie di frutti non previsti e non desiderati del Concilio Vaticano II:

«La riforma liturgica ha rese deserte le chiese; il rinnovamento della catechesi ha diffuso l’ignoranza religiosa; la revisione della formazione sacerdotale ha svuotato i seminari; l’aggiornamento della vita religiosa sta mettendo a rischio l’esistenza di molti istituti; l’apertura della Chiesa al mondo, nonché favorire la conversione del mondo, ha significato la mondanizzazione della Chiesa stessa».

Successivamente, a proposito di tali frutti, ho parlato di "eterogenesi dei fini". Nei giorni scorsi, ripensando alle reazioni scomposte di alcuni (non tanto semplici fedeli, quanto soprattutto Vescovi) a certi fatti (prima il motu proprio Summorum Pontificum, poi la remissione della scomunica ai quattro Vescovi lefebvriani, ora la decisione della Fraternità San Pio X di procedere a nuove ordinazioni sacerdotali), stavo riflettendo che c'è un altro frutto non previsto e non desiderato, forse il piú amaro di tutti: la divisione all'interno della Chiesa.

Fra gli obiettivi del Concilio c'era l'ecumenismo, inteso in senso ampio, sia come ristabilimento dell'unità dei cristiani, sia come perseguimento dell'unità della famiglia umana, attraverso il dialogo interreligioso e la collaborazione con gli uomini di buona volontà. Che cosa non si è fatto in questi anni per realizzare tali obiettivi? In certi casi si è messa a rischio la stessa identità di cristiani cattolici pur di trovare qualche punto in comune con i fratelli non-cattolici o non-cristiani o non-credenti. Saremmo ingiusti se dicessimo che non ci sono stati punti risultati; ma certo questi sono notevolmente al di sotto delle aspettative.

Ora, oltre a tali scarsi risultati, dobbiamo prendere atto che si sono create nuove divisioni, questa volta all'interno della Chiesa cattolica stessa. Che divisioni, nella Chiesa, ci siano sempre state (fin dalle origini), è un dato di fatto. Che sia necessario che ci siano divisioni, lo dice San Paolo (1 Cor 11:19 "perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi"). Che non ci si debba scandalizzare di tutto ciò, siamo d'accordo. E però si rimane un po' male nel constatare che il Concilio, annziché creare unità, ha provocato nuove divisioni.

È vero — ce lo ha ricordato lo stesso Pontefice in non ricordo piú quale occasione — è successa la stessa cosa dopo tutti i concili. Ma in quei casi posso capirlo, perché si trattava di concili dogmatici, che definivano dottrine, che a qualcuno potevano apparire nuove. Prendiamo come esempio il Vaticano I: capisco che ad alcuni la definizione dell'infallibilità pontificia poteva sembrare una novità rispetto alla tradizione della Chiesa. Per questo stesso motivo posso capire che ad alcuni certe "novità" del Vaticano II siano potute apparire come una rottura con la tradizione. Ma faccio fatica a capire l'atteggiamento di quanti quotidianamente si appellano al Concilio e al suo "spirito" e poi si mostrano tanto accaniti contro i loro fratelli tradizionalisti. Il Vaticano II non è stato un Concilio dogmatico; non ha definito nessuna nuova dottrina; il suo unico scopo era quello di trovare un nuovo "stile": ciò che era in ballo non erano i contenuti, ma il modo di proporre i contenuti di sempre. E invece che cosa è avvenuto? Si è assolutizzato ciò che era relativo, trasformandolo cosí in ideologia, senza rendersi conto di rinnegare cosí nei fatti ciò che si afferma a parole: si parla di dialogo, unità, carità; forse si praticano tali virtú coi "lontani", ma poi non si ammette alcuna tolleranza verso i fratelli della stessa Chiesa.

Nella sua lettera ai Vescovi del 10 marzo 2009, Benedetto XVI spiegava che il motivo principale che lo aveva indotto a revocare la scomunica ai quattro Vescovi lefebvriani era esattamente la fedeltà al Concilio:

«Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani – per l’ecumenismo – è incluso nella priorità suprema ... Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimonianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’inimicizia – è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell’Enciclica Deus caritas est».

Non so se i tradizionalisti condividano tale prospettiva: essere oggetto di quell'ecumenismo da loro spesso criticato! Ma da un punto di vista "conciliare", ciò che ha fatto il Papa dovrebbe essere scontato: la carità, la riconciliazione, che devono essere praticate con tutti gli uomini, devono essere esercitate, innanzi tutto, all'interno della Chiesa. Potrebbe sembrare ovvio; ma, a quanto pare, non lo è. Il Santo Padre, nella sua lettera, è stato costretto a constatare con amarezza che

«A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi — in questo caso il Papa — perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo».

Dopo tanti bei discorsi, ecco il risultato. Forse il Vaticano II dovrebbe costituire una lezione per la Chiesa: nessun Concilio aveva mai scritto tanti documenti, diciamo pure, tanti bei documenti, con i quali non si può non essere d'accordo. Ed ecco, che cosa sono stati capaci di produrre tali documenti? Divisione. Certo, tale risultato non è stato in alcun modo voluto: si voleva l'unità, ed è arrivata la divisione. Proprio perché non voluto, tale risultato non può essere addebitato al Concilio. Eppure, c'è qualcosa non torna. Forse, all'origine del Concilio c'è stato un pizzico di presunzione, di voler giudicare il passato e di essere in grado di riformare la Chiesa con le nostre mani. Forse è mancata al Vaticano II la modestia, l'umiltà di chi sa che la fedeltà al Vangelo non è frutto di umana pianificazione, ma puro dono della grazia.


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Come non condividere queste riflessioni?

e possiamo approfondire ulteriormente.....
 

Paolo VI fin da subito ebbe modo di piangere, letteralmente, su questi frutti amari già ben visibili ai suoi tempi tanto da fargli dire: sono stato incompreso, sono stato abbandonato da tutti!
Come laica che è vissuta in quegli anni drammatici, cresciuta e formata, la contestazione che vivevamo non era solo politica... erano fiumi di battezzati che scendevano nelle piazze per rivendicare un "amore libero" finendo per colpire ed entrare anche dentro la Chiesa proprio in qualità di MEMBRA di questo Corpo che avrebbe dovuto (come è sempre stato e sempre sarà) resistere agli attacchi infernali....

Ero a Roma e ricordo bene queste contestazioni tanto da rammentare di come le suore Domenicane ci facevano pregare il Rosario, a braccia spalancate affinchè la Chiesa venisse risparmiata dall'ondata impazzita della rivolta....questo ricordo lo custodisco gelosamente nel cuore perchè crescendo questa pratica "tradizionale" è andata spegnendosi nelle Parrocchie in nome di che cosa?

Come laica credo che il frutto più amaro del Concilio, non in quanto strumento, ma in quanto alle sue stesse stupende conclusioni, sia stato proprio L'IMPOVERIMENTO  della Tradizione di stampo anche (dico anche perchè non è solo questo) devozionale PURO, semplice, che richiamava la nostra attenzione di adolescenti a non abbracciare la contestazione che tanto andava di moda, quanto di continuare a supplicare Colui che solo poteva difendere la Chiesa da questi tremendi attacchi esterni ed interni...
Come dissi con dolore, mi venne insegnato letteralmente ad "odiare"  i così detti "Tradizionalisti" , ad odiare nel senso che negli anni '80 ci veniva detto che erano loro il "fumo di Satana"  di cui parlava Paolo VI, che erano loro il dolore della Chiesa e che andavano evitati come la peste....ci dissero che il Catechismo san Pio X era stato vietato dalla NUOVA CHIESA NATA DAL CONCILIO perchè vecchio e superato e NON più utile alla situazione attuale della Chiesa...come laici cosa dovevamo fare?

Abbiamo creduto a questi pastori, abbiamo abbracciato "il vento nuovo del Concilio", abbiamo abbandonato la strada "vecchia" per quella nuova senza sapere dove stessimo andando, fidandoci di chi ci guidava...

La stessa figura i Giovanni Paolo II, a causa della strumentalizzazione dei Media, veniva presentata come "finalmente un Papa MODERNO", poi con il tempo mi chiedevo: ma perchè, san Pio X non fu un Papa "moderno" del suo tempo? e così tutti i Papi che venivano eletti, non venivano forse visti come un VENTO NUOVO nel proprio tempo?
Cominciavo a chiedermi, da laica: perchè questa voglia di NUOVO E DI NOVITA'?
Credo che il frutto più amaro del Concilio sia stato anche questa ondata di "voglia di nuovo" ed ebbi a tremare meditando le parole di san Paolo:
1Timoteo 4

1 Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, 2 sedotti dall'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza.

1Timoteo 1

1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.
3 Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse 4 e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. 5 Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6 Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, 7 pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che dànno per sicure.
8 Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; 9 sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, 10 i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, 11 secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato.

*******************

e non siamo noi forse, come battezzati, membra del Corpo di Cristo, diventati tutto questo drammatico elenco paolino? Non abbiamo sostenuto forse l'aborto e il divorzio? non abbiamo avuto sacerdoti che hanno contestato e contestano alla Chiesa le sue Leggi?
Come non tremare davanti a questi moniti? Non è tutto questo frutto della divisione scaturita da quel NON voler più usare i termini come scomunica, ERESIA, descritto da Giovanni XXIII in apertura del Concilio? Non si è forse confuso l'uso della Divina Misericordia con un tacito consenso alla deriva dottrinale etica, morale e liturgica imposta in nome di una falsa interpretazione delle volontà stesse del Concilio?

Se il Papa come ragionevolemente dice che "non erano queste le intenzioni dei Padri conciliari", si continua tuttavia ad omettere chi, potendo agire autorevolmente per evitarlo, NON lo fece.... e i laici cosa potevano fare? Ne ho conosciuti molti che si sono RITIRATI o di spontanea volontà o perchè costretti, dalle attività parrocchiane, per continuare nel silenzio del proprio Calvario di andare avanti in obbeienza si alla Chiesa, ma rigettando ogni diabolica illusione sul concetto di NUOVO...

Non era una Chiesa NUOVA di cui avevamo bisogno, ma di UN CUORE NUOVO DENTRO DI NOI e questa mancata visione credo sia scaturita proprio da quella superbia e presunzione di essere "NOI" gli autori di una Chiesa DIVERSA che attirasse gli uomini con ogni compromesso possibile, rigettando anche il proprio passato rifarsi una "verginità" con un bel Mea Culpa, VERGOGNARSI DEL PROPRIO PASSATO, dimenticando che non era e non è questa la sua Missione....
Da questa deriva non potevano che scaturire frutti acerbi che non potevano e non possono maturare....

I Tradizionalisti (FSSPX) sono stati tratti in errore anche dal comportamento dei laici i quali, ingannati dalla realtà dei fatti, si opponevano ad essi senza cercare una via di dialogo già a suo tempo, ma bensì noi vedevamo loro come il "fumo di satana" (come preti e vescovi insegnavano, Dio ne è testimone!) e loro ovvaiamente ci vedevano come frutto della rottura del Concilio... impossibile in questa ottusità poter trovare una strada del dialogo...

Benedetto XVI che ha avuto parole di rispetto e di dolore per questi Tradizionalisti nel MP dove li descrive come "persone che hanno sofferto" e sottolineando di ben saperlo perchè egli stesso fu testimone...non è semplicemente un "riformatore", ma è un richiamo visibile della voce di Dio sul peccato più grave che abbiamo commesso: quello della divisione....quello della rottura...
Il tutto non si potrà riparare in un anno o due, occorre RIPARTIRE DAL CUORE NUOVO formato nella Tradizione che custodisce il Deposito della Fede...e non da una nuova Chiesa o da una Chiesa del passato....





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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stupenda parodia (seria) di padre Giovanni sul suo blog: senza peli sulla lingua....

Qualcuno scrisse che acune innovazioni del Conclio Vaticano II hanno portato alla BUROCRATIZZAZIONE della Chiesa COMPLICANDONE I MECCANISMI... Occhi al cielo
possiamo dargli torto?
Allora gustatevi questa rflessione di padre Giovanni.... Ghigno

E se provassimo a semplificare un po' la "questione lefebvriana"?

Vi ricordate l'UCAS? Se ne parlava qualche anno fa: Ufficio Complicazione Affari Semplici. Nonostante passino gli anni e i tempi cambino, ho l'impressione che continui a essere un ufficio molto affollato, con una fila interminabile di aspiranti fuori della porta in attesa di essere assunti e con un sacco di clienti.

Io da parte mia ho sempre cercato di starne alla larga; anzi, ho aperto un ufficio per mio conto: l'USAC (Ufficio Semplificazione Affari Complicati).
Per il momento ne sono fondatore, direttore e unico impiegato (mi tocca anche aprire la porta e rispondere al telefono). Clienti, pochi.
A tutt'oggi non ho ricevuto nessuna richiesta di impiego.

Non solo, ma spesso il nostro lavoro non è molto apprezzato, è guardato con una certa sufficienza, quando non è addirittura disprezzato.
La concorrenza (l'UCAS) ci considera degli sprovveduti, quasi che non ci rendessimo conto della complessità della realtà. E invece è proprio perché siamo pienamente consapevoli che la realtà è estremamente complessa di suo, che abbiamo aperto l'ufficio.
C'è stato un momento in cui, in preda alla depressione, siamo stati tentati di chiudere baracca e burattini e dedicarci ad altra attività. Ma poi, a un certo punto, prima di gettare la spugna, abbiamo voluto fare un ultimo tentativo: perché non provare ad adottare qualche nuova strategia di marketing per offrire i nostri servizi a un maggior numero di utenti? Forse, allargando il mercato, qualcuno scoprirà che, oltre l'UCAS (che tutti conoscono), esiste anche l'USAC (che finora nessuno conosce), e potrebbe magari incominciare ad apprezzare il nostro lavoro. Cosí, abbiamo messo da parte le vecchie scartoffie e abbiamo deciso di metterci sul web.
È andata bene.

Avevamo preparato uno studio sul Concilio, che fino ad allora nessuno aveva preso sul serio; diffuso su internet, ha subito suscitato interesse. Ah, dimenticavo, nel frattempo abbiamo stretto una collaborazione con un ufficio corrispondente in Francia; è gestito da una donna (una certa Beatrice); anche lei è sola, ma piú efficiente di una squadra. Ebbene, Beatrice ha tradotto lo studio in francese, ed è avvenuto un piccolo miracolo: è stato ripreso da diversi siti (dalla Francia poi è rimbalzato di nuovo in Italia), ed è stato trovato "molto interessante" dai lefebvriani.

 Ho l'impressione che quello studiolo un piccolo merito ce l'abbia. Non avete notato come ora la posizione dei lefebvriani sul Concilio sia molto piú sfumata? Prima era un "no" secco (anche dopo il discorso del Papa alla Curia Romana), adesso è un "ni": "Non siamo contro tutto il Concilio, ma solo contro alcuni punti...".
È già un grande passo avanti.
È vero che nel frattempo c'è stato il motu proprio Summorum Pontificum, è vero che c'è stata la revoca della scomunica, è vero che c'è stata la mazzata del caso Williamson; tutto vero, ma nessuno mi toglie dalla mente che un piccolo, piccolissimo contributo sia venuto anche dal lavoro del nostro ufficio.
Se non altro, grazie ad esso, i lefebvriani si sono accorti che è possibile discutere del Concilio da dentro la Chiesa, senza il bisogno di restarne fuori.

Io mi sono permesso di criticare il Concilio; eppure sono in piena comunione col Papa, col mio Vescovo e con i miei Superiori religiosi. Nessuno finora ha pensato di sospendermi a divinis né, tanto meno, di scomunicarmi, per aver liberamente espresso le mie idee in proposito. Perciò se lo posso fare io, perché non potrebbero farlo anche loro?

A questo punto, imbaldanzito dall'imprevisto successo riportato dal nostro ufficio, mi son detto: perché non fare un altro passetto avanti? Perché non provare a dipanare la matassa, che appare ancora cosí ingarbugliata? Io ci provo; tanto, non c'è niente da perdere. Al massimo la concorrenza (l'UCAS) potrà farsi quattro risate alle nostre spalle, compiangendoci per la nostra inguaribile ingenuità e dabbenaggine.

Il Santo Padre, nella sua recente lettera ai Vescovi, ha tenuto a precisare che a questo punto, dopo la remissione della scomunica, il problema non è piú di carattere disciplinare, ma esclusivamente dottrinale: "I problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l'accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi".

A quanto pare, i lefebvriani hanno accolto favorevolmente questo approccio del Pontefice: "La Fraternità Sacerdotale San Pio X assicura Benedetto XVI della sua volontà di affrontare le discussioni dottrinali riconosciute «necessarie» dal Decreto del 21 gennaio" (Comunicato di Mons. Fellay del 12 marzo 2009). Io stesso, devo essere sincero, lí per lí ho preso per buona questa impostazione. Poi però, riflettendoci, a poco a poco sono giunto alla conclusione che non è questo l'approccio migliore. Vogliamo dunque provare a semplificare il piú possibile la questione, ridurla ai suoi termini essenziali?

Personalmente credo che i "colloqui dottrinali" tra la FSSPX e la Congregazione per la Dottrina della Fede potrebbero concludersi in non piú di mezz'ora. Cerchiamo di immaginare la scena. Card. Levada: "Siete pronti a emettere la professione di fede secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica?". Mons. Fellay: "Non solo pronti, ma impazienti." Card. Levada: "OK. Si proceda". Mons. Fellay:

"Io Bernard Fellay credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel Simbolo della fede, e cioè:
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesú Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morí e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato.

Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.

Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo".


A questo punto, non c'è altro da aggiungere. Questo basta per sanare lo "scisma lefebvriano". Non c'è bisogno di firmare nulla: la professione di fede va emessa (can. 833), non firmata. Se proprio si vuole firmare un pezzo di carta, si può sottoscrivere un protocollo in cui ci si sottomette al Romano Pontefice e ci si impegna a osservare le vigenti leggi della Chiesa (Codice di diritto canonico del 1983). A volere, può seguire un brindisi; ma il tutto può tranquillamente concludersi in mezz'ora.

Ciò fatto, ci si può immediatamente traferire negli uffici degli altri dicasteri della Curia Romana e iniziare la procedura per il riconoscimento giuridico della Fraternità. A questo punto vado in crisi, perché non so quali siano i dicasteri competenti (bisognerà proprio che prima o poi il nostro ufficio si rassegni ad assumere, finanze permettendo, un consulente legale).  

 Suppongo che, se si vuole arrivare alla costituzione di una Prelatura personale (come nel caso dell'Opus Dei) o di varie Amministrazioni apostoliche (come nel caso di Campos in Brasile), ci si debba rivolgere alla Congregazione dei Vescovi. Ma, siccome nella Fraternità sono comprese anche delle comunità religiose, per queste ci si dovrà rivolgere alla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Ma non è questo ora il problema. È ovvio che in questo secondo passaggio non si può pretendere di sbrigarsela in mezz'ora; la procedura sarà necessariamente lunga: si tratta di approvare gli statuti (il diritto particolare o proprio) di queste nuove entità ecclesistiche.

Rimane aperta una questione, quella della sospensione a divinis. Ripeto, non abbiamo ancora un consulente legale; ma ritengo che con la regolarizzazione giuridica della Fraternità, tale censura decada automaticamente. Anche se cosí non fosse, non mi sembra un grande problema revocarla in maniera esplicita. A questo punto, lo "scisma lefebvriano" dovrebbe essere definitivamente rientrato.

Qualcuno penserà: l'USAC, nella sua smania di semplificare, si è dimenticato di un elemento fondamentale, l'accettazione del Concilio Vaticano II. Non ci siamo dimenticati affatto. Personalmente ritengo che il Concilio in sé, come qualsiasi altro atto magisteriale, non possa essere oggetto di contrattazione: o lo si accetta o lo si rifiuta. Se si emette la professione di fede, esso viene implicitamente accettato: "Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo".

Tutt'altra questione è l'interpretazione del Concilio.

Ma questo non è un problema da discutere con i lefebvriani. Questo è un problema dell'intera Chiesa. E non mi sembra che, a tutt'oggi, si abbiano le idee molto chiare (nonostante il magistrale intervento del Papa del 22 dicembre 2005).

Mi chiedo che cosa potrebbe esigere il Card. Levada da Mons. Fellay riguardo al Vaticano II, se neppure noi sappiamo come dobbiamo interpretare questo Concilio. 

A proposito di tale questione, certo non secondaria, il nostro ufficio (l'UCAS) una sua proposta ce l'avrebbe: perché non convocare un sinodo straordinario (oppure la prossima assemblea ordinaria) esattamente su questo tema: "L'interpretazione del Concilio Vaticano II a 50 anni dalla sua convocazione"? In questo sinodo, ovviamente, anche i lefebvriani potrebbero dare il loro contributo. Ma ciò che è importante è che si tratta di una riflessione che l'intera Chiesa deve fare. E prima la facciamo, meglio è.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Una bellissima lettere, i miei complimenti a padre Giovanni Scalese.

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20/09/2009 16:38
 
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Alla FSSPX, oltre alla Lettera aperta di padre Scalese che naturalmente facciamo nostra....vogliamo rammentare che nella Chiesa molte persone non hanno mai rinunciato di combattere la Buona Battaglia...e per questo hanno vissuto anni drammatici pur rimanendo all'interno della Chiesa...spesse volte emarginati, accusati di tradizionalismo, come se ci dovessimo vergognare di difendere la vera Tradizione....basti vedere come viene accusato oggi il Pontefice dagli stessi Cattolici solo perchè ha riportato la Sacra Liturgia della Messa ad alte vette...

Segue così un elenco breve per comprendere come non pochi Cattolici combattono la stessa battaglia iniziata da mons. Lefebvre...
Sosteniamo il Pontefice e di certo le cose miglioreranno...

Annuncio: CONCILIO ED ANTI-CONCILIO: le false interpretazioni
 
Caterina639233 10/03/2009 22.24 by Caterina63
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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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12/09/2010 00:17
 
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Continua la riflessione da parte di padre Giovanni Scalese....

L'esperienza della tradizione

Sono svariati mesi che non mi occupo della Fraternità sacerdotale di San Pio X. Dopo l’inizio dei “colloqui dottrinali” con la Santa Sede, nell’ottobre 2009, solo una volta ho interrotto il silenzio che mi ero imposto: in séguito alle parole pronunciate da Mons. Fellay il 2 febbraio 2010 a proposito degli stessi colloqui (si veda il mio post del 6 febbraio).

Nel post del 19 ottobre 2009 spiegavo i motivi che suggerivano il silenzio: non sarebbe stato corretto interferire in alcun modo sulla delicatissima “trattativa” in corso. Ciò non significava affatto che io “credessi” in quei colloqui. Quale fosse la mia posizione in proposito, lo avevo messo in chiaro nel post del 18 marzo 2009; ma, visto che le due parti erano convinte della loro utilità, mi auguravo di cuore che quei colloqui potessero essere coronati da successo.

A quanto pare, però, essi sono entrati in una fase di stallo (mi viene da aggiungere: e non poteva essere altrimenti). Forse per questo, durante l’estate si è diffusa la voce che il Papa stia pensando a un motu proprio, nel quale, per giungere a una piena riconciliazione, chiederebbe alla FSSPX esclusivamente di sottoscrivere il Catechismo della Chiesa cattolica (come è avvenuto recentemente con i gruppi anglicani che hanno chiesto di ristabilire la piena comunione con Roma). La notizia è stata accolta con soddisfazione da tutti i fedeli legati alla tradizione, ma ha destato anche le preoccupazioni dell’ala massimalista del movimento lefebvriano (si veda qui).

Personalmente, se effettivamente si giungesse a un accordo su queste basi, ne sarei ben felice; ma ho i miei dubbi che ciò possa avvenire. La reazione del Vescovo Williamson appare assai significativa; e sono convinto che la sua posizione sia condivisa dalla maggioranza della Fraternità. Ma il problema non sta solo nell’atteggiamento della FSSPX; dobbiamo considerare la cosa in sé stessa, oggettivamente: che cosa è giusto — meglio, necessario, indispensabile — chiedere ai lefebvriani per riammetterli alla piena comunione con la Chiesa cattolica?

Finalmente, se la notizia del motu proprio è vera, si è capito che non si può chiedere loro l’accettazione del Concilio Vaticano II, un concilio che si è autodefinito “pastorale” e che, in alcuni punti, può essere — e di fatto è — messo in discussione. Ora, forse sulla scia di quanto avvenuto con gli anglicani, si vorrebbe chiedere alla FSSPX l’accettazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Potrebbe sembrare un’idea ragionevole, che era stata in qualche modo già ventilata un anno fa e che io stesso avevo condiviso (si veda il post del 19 ottobre 2009).

Ma, se ci pensiamo bene, anche questa soluzione — a prescindere dalle reazioni dell’altra parte, ma solo in linea di principio — non è la piú corretta. Non certo perché il Catechismo della Chiesa cattolica sia, come vuole Williamson, “sostanzialmente modernista, ma in maniera sommessa”; bensí perché i catechismi — tutti i catechismi — sono anch’essi testi “pastorali”, legati al tempo e al luogo in cui sono stati composti. Non a caso oggi non usiamo piú il Catechismo del Concilio di Trento, ma il Catechismo della Chiesa cattolica; non perché uno sia giusto e l’altro sbagliato, ma semplicemente perché il secondo è piú adatto all’epoca in cui viviamo. Che il CCC non sia un assoluto lo dimostra il fatto che, dal momento in cui è stato pubblicato (1992), esso è già stato modificato (nel 1997) a proposito della pena di morte (nn. 2266-2267). Un catechismo non contiene solo il dogma nella sua purezza, ma cerca di presentarlo adottando le categorie proprie di un determinato periodo storico. Perché obbligare qualcuno ad accettare come definitivo un testo che, pur nella sua autorevolezza, conserva un carattere contingente e quindi può essere fatto oggetto, almeno su alcuni punti, di legittime riserve (come di fatto è avvenuto a proposito della pena di morte)?

Io mi vado sempre piú convincendo che l’unica cosa che si possa — e si debba — chiedere ai lefebvriani (come a chiunque altro) è la professione di fede: se essi sono disposti a emetterla, sono cattolici; se si rifiutano, non lo sono. E a nulla varrebbero i colloqui dottrinali, anche se durassero per anni.

Che poi ci possano essere delle divergenze su alcuni punti, soprattutto riguardo al Concilio Vaticano II, mi sembra piú che legittimo. Dove sta scritto che tutti la dobbiamo pensare allo stesso modo a proposito della libertà religiosa, dell’ecumenismo o del dialogo inter-religioso? Si tratta forse di dogmi di fede? È proprio uno scandalo se qualcuno la pensa in maniera diversa? Non è piuttosto uno stimolo per approfondire le questioni? Ho l’impressione che talvolta si voglia allargare indebitamente il campo dell’ortodossia; pensare che, per essere cattolici, tutti dobbiamo avere la stessa opinione su tutto; che non ci sia spazio per un legittimo pluralismo. I dogmi di fede, tutto sommato, non sono poi cosí tanti: una volta che ci ritroviamo tutti nella professione della medesima fede, possiamo discutere sul resto, purché lo si faccia con carità e senza reciproche scomuniche. Vale sempre l’antico adagio: In necessariis unitas; in dubiis libertas; in omnibus caritas.

Jesus di agosto ha riportato un fatto di cui non ero a conoscenza, avvenuto esattamente 34 anni fa, l’11 settembre 1976: Paolo VI ricevette a Castel Gandolfo Mons. Lefebvre, il quale si rivolse al Papa con queste parole: «Ci lasci fare, Santità, l’esperienza della Tradizione. Che ci sia, in mezzo a tutte le esperienze attuali, l’esperienza di ciò che è stato fatto per venti secoli». L’autore dell’articolo, lo storico Giovanni Miccoli, ricorda che Paolo VI, un mese dopo, rispose negativamente alla richiesta dell’Arcivescovo. Non mi sento di giudicare Papa Montini: probabilmente aveva ragione, in quel momento, a rigettare l’istanza. Era troppo importante, in quel momento, essere tutti uniti, sotto la guida di Pietro, nell’attuazione delle riforme volute dal Concilio. Come si può vedere da quanto riportato da Miccoli, la grande preoccupazione di Paolo VI era che si potesse intaccare l’“autorità apostolica del Concilio” (che non può essere in alcun modo messa in discussione neppure oggi) e — aggiungo io — la sua personale autorità pontificia.

Ma oggi la situazione è cambiata: il rinnovamento conciliare è stato attuato; semmai, è giunto il momento di fare una verifica e un bilancio di tale rinnovamento. Non c’è nulla di scandaloso se vengono messe in risalto alcune carenze e si suggeriscono possibili rimedi: è già avvenuto su molti aspetti; può avvenire su altri. In questi anni nella Chiesa sono sorte tante esperienze diverse, con i loro pregi e i loro limiti, ma tutte legittime.

Possibile che non ci sia spazio anche per l’“esperienza della tradizione”? La richiesta che Mons. Lefebvre rivolse a Paolo VI 34 anni fa mi sembra piú che legittima: non pretendeva che tutta la Chiesa lo seguisse nella sua strada (come sembrerebbe talvolta che vogliano i lefebvriani odierni…); chiedeva solo che gli fosse permesso di percorrere un cammino diverso, senza escludere o giudicare i cammini altrui («… in mezzo a tutte le esperienze attuali…»). Come si può negare tale possibilità oggi, che a tutti viene concesso di seguire il proprio carisma? L’unica cosa che si deve esigere dai lefebvriani, oltre alla professione della medesima fede, è di rimanere fedeli allo spirito del loro fondatore: fare, sí, l’esperienza della tradizione, ma senza avere la pretesa che quell’esperienza sia esclusiva e normativa per tutti. A queste condizioni, l’esperienza della tradizione potrà tornare a costituire una ricchezza per tutta la Chiesa e, a loro volta, i suoi seguaci potranno beneficiare delle ricchezze delle altre legittime esperienze ecclesiali.


*******************************************

Caro Padre Giovanni,
in sostanza condivido integralmente le sue riflessioni tuttavia, nella possibilità di un approfondimento, c'è un passo che non mi è chiaro...
Lei sostiene che una "professione di fede" risolverebbe la questione...ma ci sono alcuni aspetti da considerare:

- tale professione di fede non fu chiesta neppure ai Vescovi olandesi che firmarono l'eretico "catechismo"...
si disse che "l'obbedienza" con la quale "permisero" l'aggiunta di Note come correzione, fu sufficienti a ricucire lo strappo...eppure in quel catechismo si metteva in dubbio perfino la Risurrezione di Cristo....la professione di fede sarebbe dovuta essere obbligatoria...

- la professione di fede, in tal senso, si fa se si nega qualcosa....a prescindere dalle ricadute fuori luogo di taluni come Williamson, quale Articolo di fede la FSSPX avrebbe rinnegato?
Il Concilio non è un articolo di fede, ma uno strumento dal quale scaturiscono dei Documenti....e se tale Concilio non ha aggiunto dottrine e non ne avrebbe modificato le presistenti, a quale dottrina ci riferiamo perchè facciano la professione di fede? non la fanno con il Credo? Non credono forse nel Papa e nella Chiesa una santa, cattolica ed apostolica?

- l'esempio lampante di chi rigettò veramente un Concilio lo abbiamo, sono i Vetero Cattolici che rinnegarono il Vaticano Primo e abbiamo visto come si sono ridotti: si all'aborto, si al divorzio, in Italia abbiamo la prima donna prete... eppure il cardinale di Milano brinda con lei facendosi fotografare, il cardinale di Milano 30 anni fa ha concesso in prestito una parrocchia cattolica.... a Milano, per la Festa di Pentecoste e per il Corpus Domini, i Vetero sono INVITATI e partecipano insieme....(da quest'anno per la verità no, con la donna prete i rapporti si sono complicati).... perchè allora tutte queste pretese con la FSSPX che nella Dottrina e nei Comandamenti e nel Catechismo (anche se quello detto di san Pio X sempre valido!) non hanno mai rigettato nulla?

- infine, come ho predetto, sono d'accordo con lei nel suo discorso complessivo, e non posso però fare a meno di chiedermi: può davvero un Concilio, per quanto santo, essere usato - in questo tempo di grave crisi e di grave apostasia - come strumento di "professione di fede" quando nel testo di indizione di apertura fu detto chiaramente che:

- Per questo motivo, come obbedendo ad una voce interiore e suggerita da una ispirazione venuta dall’alto, abbiamo giudicato essere ormai maturi i tempi per offrire alla Chiesa cattolica e a tutta la comunità umana un nuovo Concilio Ecumenico che continuasse la serie dei venti grandi Concili, che hanno ottimamente contribuito nel corso dei secoli all’incremento della grazia celeste negli animi dei fedeli e al progresso del cristianesimo.

 Nota mia: non credo che la FSSPX sia contraria a questo progetto fedele.... ma l'interpretazione del Concilio, è stata altrettanto fedele?

è pienamente consentaneo che il Concilio che sarà celebrato illustri più chiaramente quei punti della dottrina e presenti quegli esempi di fraterna carità dai quali, se rispettati, i cristiani separati da questa Sede Apostolica saranno spinti più vivamente a tale unità, e quasi si aprirà ad essi la strada per raggiungerla.

Nota mia: potrebbe essere davvero contraria la FSSPX a queste affermazioni se "fossero state davvero rispettate" ? La dottrina doveva essere più chiaramente ILLUSTRATA, ma non è avvenuto, non ci sono state le conversioni, anzi, abbiamo perduto molto gregge... le conversioni ci sono state quando, negli anni '80, il sacerdozio alle donne aveva preso la mano fra gli anglicani e con il coronamento oggi, con Benedetto XVI di un ottimo riavvicinamento grazie al Summorum Pontificum: è stata opera del Concilio o non forse il fatto che dall'altra parte hanno esagerato con l'eresia?
Da parte dei Luterani non abbiamo avuto alcuna significativa comversione.... due pastori molti noti, americani, sono entrati nella Chiesa Orotodossa perchè "la Tradizione era più tangibile".... non è un mistero che Bartolomeo I abbia detto in una intervista, prima della visita del Papa in Turchia, che difendere la Tradizione nella Liturgia sarebbe stato "un ulteriore passo di avvicinamento" accusando il dopo Concilio di aver avanzato con una liturgia che aveva diviso maggiormente...
ergo?

e ancora leggiamo:

- Vogliamo di conseguenza e ordiniamo che al Concilio Ecumenico da Noi indetto partecipino i Diletti Figli Nostri Cardinali di S. R. C., i Venerabili fratelli Patriarchi, i Primati, gli Arcivescovi e i Vescovi, sia residenziali sia titolari, e inoltre tutti gli ecclesiastici che per diritto devono intervenire al Concilio Ecumenico.


Nota mia: che ci facevano 6 Protestanti nella Commissione liturgica che a quanto pare diedero il loro parere, praticamente a Concilio chiuso, che influì non poco sulla "nuova" Messa? Davvero si può obbligare un cattolico di accettare questa intrusione?
 

altra espressioni di Giovanni XXIII
:

 

2. Ora, dopo avere ripetutamente ponderata la cosa, abbiamo deciso di fissare l’inizio della celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II per il giorno 11 di ottobre di quest’anno. Abbiamo scelto tale data soprattutto perché si ricollega al ricordo del grande Concilio di Efeso, che ha la massima importanza nella storia della Chiesa.


Insomma, il Concilio Vaticano II, pur predicando bene e pur ammettendo che si doveva guardare agli altri Concili passati, ha completamente ignorato che l'influenza protestante era fatta di persone che negavano certi Concili, li rifiutano ancora oggi... e noi stiamo qui a discutere contro dei fratelli, nella fede, chiedendo loro l'obbligo di una professione di fede, rinnegando ad essi ospitalità e Chiese parrocchiali.... mentre poi si INVITANO E SI OSPITANO e si danno chiese parrocchiali ai protestanti che negano il sacerdozio cattolico, negano la Presenza reale, negano il primato petrino, alcuni negano perfino la Verginità di Maria...
Ma se invece di pretendere da loro una professione alla fede che NON hanno mai rinnegato, si cominciasse ad accoglierli con tutta onestà, prestandogli qualche chiesa invece di distruggerla e di venderla come sta accadendo, non sarebbe meglio e non si farebbe prima?

Poi senza dubbio il Papa potrà chiedere loro una forma di accettazione adeguata al caso unico e specifico in cui si trova la FSSPX....
Del resto si fa così con tutti fuorchè con loro...e si deve un grazie a Benedetto XVI che ha rotto il ghiaccio, muovendosi di sua iniziativa senza attendere il parere dei Vescovi per la revoca della scomunica...e neppure la sua Lettera ai Vescovi del febbraio 2009 ha convinto ancora i Vescovi a muoversi come ha fatto lui...
Non si può predicare la Carità e poi pretenderla a senso unico!

Grazie per questi approfondimenti!
Le sono sempre grata, fraternamente CaterinaLD

[Modificato da Caterina63 12/09/2010 00:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/09/2010 09:27
 
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Con un breve scambio di email, avevo mandato a padre Giovanni le mie riflessioni, postate nel messaggio precedente, con le quali sottolineavo le mie perplessità...
gentilmente mi rispose che mi avrebbe risposto con un nuovo articolo, ed eccolo, lo posto a seguire...ringraziando padre Giovanni e trovandomi così in perfetta comunione d'intenti con la sua risposta...


Due postille

Permettetemi di fare due postille al post di sabato scorso “L’esperienza della tradizione”.


1. Vi si parlava di “professione di fede”. Davo per scontato che fosse chiaro a che cosa mi riferissi, perché ne avevo trattato piú volte nel blog. Ma, a quanto pare, tale riferimento non era poi cosí ovvio. Giustamente, non posso pretendere che i miei lettori abbiano letto o anche semplicemente ricordino tutti i miei post.

La professione di fede a cui facevo riferimento è quella richiesta dal diritto ad alcune categorie di fedeli (can. 833). La «formula approvata dalla Sede Apostolica», di cui a quel canone, è la seguente (l’avevo già pubblicata nel post del 18 marzo 2009):


«Io N. N. credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel Simbolo della fede, e cioè: 

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesú Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morí e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato. 

Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.

Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo».


Tale formula è stata pubblicata nel 1988. Se ne può trovare il testo ufficiale latino negli Acta Apostolicae Sedis, 81 (1989), pp. 104-106 (il volume può essere scaricato dal sito della Santa Sede). Il testo italiano, corredato da una nota di presentazione, può essere consultato ibidem.

L’emissione della suddetta professione di fede non ha alcunché di straordinario. Essa viene solitamente pronunciata nell’atto di assumere un ufficio da esercitare a nome della Chiesa (e in tal caso viene accompagnata dal “Giuramento di fedeltà”, che potete trovare subito dopo la professione di fede nei luoghi citati). Io stesso l’ho emessa piú d’una volta, quando sono diventato diacono e quando sono stato nominato superiore.

Si potrebbe obiettare che fra le categorie di persone elencate nel can. 833 non ci sono coloro che chiedono di entrare nella piena comunione con la Chiesa cattolica. Va notato che il Codice di diritto canonico non considera mai questo caso, al contrario di quanto fa, per comprensibili motivi, il Codice dei canoni delle Chiese orientali. E con questo veniamo alla seconda postilla.


2. Potrebbe sembrare che la mia proposta di richiedere ai lefebvriani l’emissione della professione di fede sia una idea peregrina. In realtà, si tratta della prassi prevista nei casi di ammissione alla piena comunione con la Chiesa cattolica. 

Il Concilio Vaticano II, nel suo decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, parlando delle Chiese orientali (che costituiscono la situazione piú somigliante a quella della FSSPX), afferma:

«Questo sacro Concilio inculca di nuovo ciò che è stato dichiarato dai precedenti sacri Concili e dai Romani Pontefici, che cioè, per ristabilire o conservare la comunione e l'unità bisogna “non imporre altro peso fuorché le cose necessarie” (At 15:28)».

Come accennato, il Codice dei canoni delle Chiese orientali dedica un intero titolo a “I battezzati acattolici che convengono alla piena comunione con la Chiesa cattolica” (cann. 896-901). Il can. 896 richiama l’insegnamento conciliare appena esposto. Il can. 897 poi esplicita quali sono le “cose necessarie” da imporre:

«Il fedele cristiano di qualche Chiesa orientale acattolica dev’essere accolto nella Chiesa cattolica con la sola professione di fede cattolica, premettendo una preparazione dottrinale e spirituale adeguata alla condizione di ciascuno».

Ora, mi chiedo: se agli ortodossi, che cattolici non sono, può essere chiesta solo la professione di fede, perché ai lefebvriani, che fino a prova contraria cattolici sono, deve essere chiesto di piú (accettazione del Concilio Vaticano II o del Catechismo della Chiesa cattolica)?

Il can. 897 CCEO parla di “professione di fede cattolica”, senza specificare di che cosa si tratti. Ne troviamo la formula nel “Rito dell’ammissione alla piena comunione della Chiesa cattolica di coloro che sono già stati validamente battezzati”, contenuto nell’appendice al Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti. La rubrica al n. 15 afferma:

«[Dopo l’omelia] la persona che deve essere ammessa recita con i fedeli presenti il simbolo Niceno-Costantinopolitano, che viene sempre detto in questa Messa. Poi il candidato, invitato dal celebrante, aggiunge da solo queste parole:

Credo e professo tutte le verità
che la santa Chiesa cattolica crede, insegna
e annunzia come rivelate da Dio».

Non si vuole usare la professione di fede prescritta per chi assume un ufficio da esercitare in nome della Chiesa? OK, si usi la professione di fede prevista nel Rito di ammissione alla piena comunione con la Chiesa cattolica (che in tre righe dice magnificamente tutto ciò che va detto). Ma, per favore, non si chieda ai lefebvriani piú di quanto si chiede ai non-cattolici.






[Modificato da Caterina63 16/09/2010 09:28]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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17/01/2011 19:53
 
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Fraternità San Pio X e Santa Sede. Un libro attacca il Papa

di Massimo Introvigne

Vescovo FSSPX
 

Come è noto, sono in corso da mesi conversazioni fra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), allo scopo di esplorare le condizioni teologiche e canoniche di una riconciliazione, dopo la remissione delle scomuniche da parte di Benedetto XVI ai quattro vescovi consacrati senza autorizzazione di Roma nel 1988, un gesto — come il Papa ha spiegato molte volte — che inizia e non conclude il dialogo, dal momento che i problemi dottrinali rimangono non risolti.

Si afferma spesso che il successo di queste conversazioni è pregiudicato da azioni di disturbo di cattolici che, a diverso titolo, non vedono con favore il rientro della Fraternità Sacerdotale San Pio X nella piena comunione con Roma.

Può darsi che in questi sospetti ci sia anche qualche cosa di vero.

Dobbiamo chiederci però se qualche volta a mettere a  rischio il buon esito del dialogo non sia la stessa Fraternità San Pio X. Nelle ultime settimane da questa sponda sono infatti venute critiche durissime a Benedetto XVI e alla sua proposta di leggere il Concilio Vaticano II secondo una "ermeneutica della riforma nella continuità" rispetto al Magistero precedente della Chiesa.

Non mi riferisco tanto alle reazioni all'annuncio di un nuovo incontro interreligioso ad Assisi, per molti versi prevedibili, anche se l'immagine evocata nell'omelia del superiore della Fraternità mons. Bernard Fellay il 9 gennaio 2011 a Parigi, di "diavoli in volo su Assisi", seguita dalla domanda retorica "È questa la continuità?", non è proprio un esempio di linguaggio moderato.

Sembra più grave la pubblicazione, a fine 2010, di un libro di un altro dei vescovi cui è stata rimessa la scomunica, mons. Bernard Tissier de Mallerais, dal titolo "L'étrange Théologie de Benoît XVI. Herméneutique de continuité ou rupture?" ("La strana teologia di Benedetto XVI. Ermeneutica di continuità o rottura?", Le Sel de la Terre, Avrillé 2010), opera che si presenta come una critica completa del Magistero del Papa e in particolare della sua ermeneutica del Vaticano II.

Una nota degli editori (p. 7) apre dando già il tono dell'opera: "La teologia  di Benedetto XVI si allontana in modo impressionante dalla teologia cattolica. È la causa principale della crisi attuale nella Chiesa".

Il volume intende ricostruire il pensiero del teologo Joseph Ratzinger e di Benedetto XVI — tra i due, insiste l'autore, c'è davvero continuità e non rottura — come fondato su una filosofia personalista e sulla pretesa d'importare nella teologia la filosofia moderna, in particolare quella di lingua tedesca, dal kantismo alla nozione heideggeriana dell'essere, così diversa da quella classica, passando per la fenomenologia. Così facendo, secondo mons. Tissier de Mallerais, Ratzinger/Benedetto XVI s'illude di cristianizzare la filosofia moderna come il Medioevo aveva cristianizzato il pensiero greco.

Ma, a differenza di quest'ultimo, la filosofia moderna secondo l'autore è intrinsecamente anticristiana, e non ne può nascere nulla di buono.

Se ci si mette su questa strada, insiste il volume, non si propone una versione cristiana della filosofia moderna, ma si riducono le nozioni fondamentali della fede cristiana a una loro versione diluita e depotenziata sulla base di questa stessa filosofia. Il risultato finale ha poco in comune con l'autentica fede cristiana e arriva nientemeno che a "una negazione peggiore di quella di [Martin] Lutero [1483-1546]" (p. 73) della dottrina cattolica. Infatti un confronto tra Ratzinger/Benedetto XVI e Lutero porta alla domanda: "quale dei due è cristiano?" (p. 75), e la risposta suggerita è che il padre del protestantesimo salva almeno una nozione della Redenzione cristiana, mentre con l'attuale Pontefice, interpretando in modo riduttivo la Redenzione sulla base del soggettivismo e del personalismo della filosofia moderna, si rischia di scivolare fuori del cristianesimo.

Problema per problema, i giudizi sono tutti ugualmente radicali. Anche quando nei testi del Papa è conservato il linguaggio cristiano, il significato sarebbe sempre deformato dal personalismo e dal soggettivismo, i quali conducono a un umanitarismo di cui l'autore denuncia le assonanze e le derivazioni massoniche. Leggiamo così: "Il diritto conciliare alla libertà religiosa è una mancanza di fede. Sostenendo questo diritto, Benedetto XVI manca di fede" (p. 96). "Ecco [...] un Papa che si disinteressa della realtà dell'Incarnazione, che pratica l''epochè' sulla materialità della Redenzione e che nega la regalità a Nostro Signore Gesù Cristo" (p. 97). "Benedetto XVI,nella sua enciclica 'Spe salvi' [...] non capisce più la bella definizione che san Paolo dà della fede" (pp. 100-101). 

Già i modernisti si servivano della filosofia moderna. Ma, dal momento che quest'ultima rispetto all'epoca della crisi modernista ha continuato la sua corsa diventando ancora più radicalmente lontana dal cristianesimo, quello del Papa sarebbe "un supermodernismo scettico. Per concludere, dirò che siamo di fronte oggi a un modernismo rinnovato, perfezionato" (p. 103).

L'ermeneutica della riforma nella continuità di Benedetto XVI riferita al Vaticano II si risolve, secondo l'autore, in un tentativo di mascherare la dipendenza dei testi fondamentali del Concilio, su alcuni dei quali del resto il teologo Ratzinger ha avuto una diretta influenza, dalla filosofia moderna. Come tale l'ermeneutica proposta da Benedetto XVI non è un programma ma un "anti-programma", che nega tutta la tradizione cattolica. E "gli avvocati di questo anti-programma disincarnano, de-crocifiggono e scoronano Gesù Cristo con più brio di [Immanuel] Kant [1724-1804] e [Alfred] Loisy [1857-1940]" (p. 104). Insomma, "la mancanza di fede di cui soffre Benedetto XVI si spiega [...] con la sua ermeneutica" (p. 106).

Di questo processo secondo mons. Tissier de Mallerais fa le spese soprattutto la nozione di Redenzione, che una teologia infeudata alla filosofia moderna, con il suo ottimismo personalista, non è più capace di concepire nel suo riferimento costitutivo alle esigenze della giustizia divina provocata dal peccato degli uomini, ma può soltanto ridurre a manifestazione della misericordia, in cui Cristo viene piuttosto a confermare e a celebrare una grandezza e dignità della persona umana fondate su premesse filosofiche moderne affatto estranee al cristianesimo.

Rispetto al teologo Ratzinger, "alla fine Benedetto XVI non segna nessun pentimento, continua a non arrivare ad accettare il mistero della Redenzione" (p. 110). Né potrebbe essere un punto d'incontro il "Catechismo della Chiesa Cattolica" del 1992, in cui al contrario si esprime la teologia dell'allora cardinale Ratzinger, così che "la giustizia divina e le sue esigenze sono uccise dal 'Catechismo'"(p. 167).

Il testo, un autentico "tour de force", dichiara fin dal suo inizio la natura di "pamphlet" (p. 11) e l'appartenenza al "genere polemico" (ibid.). Come tutti i "pamphlet" è costruito con il metodo delle citazioni selettive. Queste mostrano certamente che il Magistero cattolico recente, dal Concilio a Benedetto XVI, ha voluto prendere in esame le domande e le istanze poste dalla cultura e dalla filosofia moderne. Ma da questo non discende affatto che il Magistero abbia mutuato da filosofie contemporanee lontane dal cristianesimo anche le risposte, né sul punto il testo, al di là del notevole vigore polemico, convince.

Alla fine, il libro non è tanto interessante per quanto afferma di Benedetto XVI ma per quanto rivela della mentalità di chi lo ha scritto e di chi lo diffonde. Infatti, quanto al tema dei rapporti fra la Fraternità Sacerdotale San Pio X e la Santa Sede, forse il libro aiuta a comprendere che il problema non riguarda solo la liturgia, o solo qualche estremista presente nella Fraternità. Suoi esponenti di primissimo piano proclamano, per iscritto, un rifiuto totale di Benedetto XVI e del suo Magistero. Il cammino del dialogo, che pure continua, sembra irto di difficoltà.


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Alcune riflessioni....

Questa uscita di Introvigne non la comprendo....
prima egli stesso critica il sistema dell'estrapolare singole frasi di chi sopra ci costruisce poi gialli e affini, poi però quando li usano loro, questi metodi, allora è tutto permesso....

C'è un errore che fa il vescovo della FSSPX ed è  che tale teologia NON è semplicemente di Benedetto XVI, ma è la via scelta dal Concilio....

Possiamo ricamarci su quanto vogliamo e girare il Concilio quanto vogliamo che negare il fatto che sia subentrata una "nuova teologia" nella Chiesa è un dato di fatto...
un esempio?

la "teologia" di K.Rahner è una realtà sconcertante ancora oggi insegnata nei SEMINARI e che è stata sottolineata come errore e rasente l'eresia, dal libro di padre Giovanni Cavalcoli O.P. ...

nel suo ottimo libro sugli errori di Karl Rahner "Il Concilio tradito", a pag. 13, spiegando gli errori dottrinali, osserva:
"Ad un attento confronto di entrambe le opere, ci si accorge che il "Corso" di Rakner e il "Catechismo" non sono due modalità semplicemente diverse di esporre la medesima dottrina cattolica, ma sono, per molti aspetti, due modalità contraddittorie, in modo tale che per certe tesi rahneriane, alla luce del Catechismo, appaiono come vere e proprie eresie o errori prossimi all'eresia. Sarà compito di questo libro dimostrare questo grave assunto, proprio confrontando il "Corso" col Catechismo e in generale con la dottrina della Chiesa pre e postconciliare..."
E a tal riguardo, alla Nota (7) dice:
"Data questa situazione, da varie parti si auspica un intervento chiarificatore da parte della Chiesa."

Ora....è vero che Benedetto XVI stesso prese le distanze da Rahner... ma tuttavia TUTTI ATTENDIAMO ANCORA CHE RAHNER E I SUOI ERRORI VENGANO CONDANNATI DALLA CHIESA... ma questo non sta avvenendo... ed è ovvio che si fa presto poi a dare la colpa al Papa su di una teologia sbagliata...

Il problema è che le denuncie della FSSPX non sono affatto campate in aria, ma sbagliano i modi con i quali denunciano  E SBAGLIANO OBBIETTIVO che non può mai essere il Pontefice...


Inoltre il libro che non è uscito a fine 2010 ma nel settembre 2010 e del quale si conosco diversi stralci già in rete.... come mai solo adesso suscita questo interesse?
Insomma... io non dico di tacere su questi errori che commette la FSSPX ma almeno di non fare titoli così provocatori che davvero penalizzano non solo i dialoghi in corso, ma la stessa fiducia che Benedetto XVI ha verso la FSSPX....e che non può ridursi ad un TITOLO della presentazione di alcuni errori teologici che per altro sono invece spesso chiariti dallo stesso Pontefice anche se in una forma che può non soddisfare i così detti "tradizionalisti"....
C'è anche il libro di Cristina Siccardi a favore di mons. Lefebvre... spero che non si voglia dire che la Siccardi abbia scritto contro Paolo VI....

MA ATTENZIONE...... cari amici  della FSSPX a volte si ha come l'impressione che siate troppo sulla difensiva a tal punto da voler cercare a tutti i costi l'eresia da parte dei Pontefici recenti, e con questo, di chiudervi a prescindere dalla VERITA' stessa, da ogni reale necessità di unificazione....
In alcuni campi della FSSPX si odono attacchi ai gruppi legati alla Tradizione viventi NELLA CHIESA e che non senza fatica combattono le vostre medesime battaglie, ma non hanno da voi alcun apprezzamento, o peggio, si ode inutili attacchi e perfino il divieto di collaborazione....

Insomma, amici della FSSPX, non voi avete il monopolio dell'infallibilità.... nessuno ce l'ha se non CON PIETRO.... ed è davvero DIABOLICO perseverare ostinatamente "nell'impugnar la Verità rivelata" (uno dei peccati gravi contro lo Spirito Santo) per attaccare il Sommo Pontefice e pretendere di trovare in lui i germi dell'eresia solo per continuare a sostenere la credibilità di una SEPARAZIONE che si vuole continuare ad alimentare....

Carissimo mons. Bernard Tissier de Mallerais, non si renda complice DELL'INFALLIBILITA' DELLE SUE OPINIONI, esiste la Chiesa che non è una sorta di museo dentro il quale la Tradizione non conoscerebbe alcun progresso
....al contrario, la Tradizione SI ARRICCHISCE DEL VECCHIO E DEL NUOVO... senza entrare in conflitto, ma ricevendo DALLO SPIRITO SANTO  quella corretta INTERPRETAZIONE che conduce alla Chiesa  ALLA VERITA' INTERA NON ANCORA RAGGIUNTA....
CIO' CHE NOI OGGI NON COMPRENDIAMO, NON SIGNIFICA NECESSARIAMENTE ERESIA....DOBBIAMO FIDARCI DI PIETRO, RAGIONEVOLMENTE... fargli "le pulci" per ogni cosa che dice, non giova a nulla e a nessuno...

NOI combattiamo la medesima battaglia.... eppure non siamo spesso ragionevolmente presi in considerazione da voi, come se noi vivessimo in continua eresia ed apostasia, in balia dell'ignoranza più oscura.... san Padre Pio la pensava diversamente...
RITORNARE ALLE SORGENTI DI MONS. LEFEBVRE, SIGNIFICA ANCHE NON CHIUDERSI, AL CONTRARIO, EGLI PUR VEDENDO CON LA FSSPX UNO STATO ECCEZIONALE DI NECESSITA', AVREBBE DI CERTO APERTO IL PROPRIO CUORE A BENEDETTO XVI.... lo si comprende da molti suoi scritti....



[Modificato da Caterina63 07/03/2011 12:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Quando un vescovo oppressore finisce con l'avere ragione...

I fatti. La Fraternità San Pio X, come ogni anno, organizza un pellegrinaggio ad un santuario mariano in diocesi di Carcassonne (Francia), Notre Dame de Marceille. Il sacerdote della Fraternità (abbé Noach) scrive per tempo una lettera rispettosa al vescovo di Carcassonne, Mons. Planet (tra l'altro: l'incaricato della Conferenza Episcopale per redigere la relazione al Papa sull'applicazione del motu proprio) onde avere il permesso di accedere e celebrare nel santuario; ma ne ottiene un rifiuto. Con una lettera anche abbastanza piccata, il vescovo risponde infatti
Fino alla conclusione positiva delle conversazioni romane in corso, non intendo accogliere la Fraternità San Pio X nelle chiese della diocesi. Essa d'altronde non ha l'intenzione di accogliermi nelle sue. Ho fatto delle proposte che mantengo: se i vostri preti mi chiedono la giurisdizione per confessare, se utilizzate gli Oli Santi della diocesi, se sarò io a confermare i ragazzi delle vostre scuole, allora tutto sarà appianato.
In una lettera successiva il vescovo rincara la dose e vieta anche di occupare i terreni di proprietà diocesana vicini al santuario (comunque in restauro), arrivando sgradevolmente a minacciare le vie legali.

Questi fatti sono narrati con costernazione ed indignazione da La Porte Latine, il sito ufficiale del distretto francese della FSSPX.

Sembra a tutta evidenza che siamo di fronte all'ennesimo capitolo di persecuzione episcopale contro i tradizionalisti (anche se andrebbe indagata quell'offerta - sincera? e avrebbe il vescovo i poteri per fare quanto scrive, senza attendere la riconciliazione con Roma? - di conferire giurisdizione per la confessione e di cresimare); e l'abbé Noach non manca di rimarcare la diversa accoglienza fatta ad islamici, anglicani e persino frammassoni.

Sembra, dicevamo. Perché questo vescovo sa anche muoversi sul piano mediatico e non disdegna di far apparire sul Forum Catholique, il forum dei tradizionalisti francesi, una sua spiegazione dei fatti, che capovolge interamente la prospettiva. Eccola:
Ogni questione ha un suo inizio. L'inizio è la pubblicazione sul bollettino Le Seignadou, dicembre 2009, bollettino della FSSPX, priorato Saint-Joseph-des-Carmes, di un articolo che attacca le comunità Ecclesia Dei della mia diocesi. L'articolo terminava così: «Ma permettetemi di dire e ripetere che chiunque vuol essere fedele alla Chiesa nella sua tradizione dottrinale, morale e liturgica, non può affidare la sua fedeltà alla custodia di questi istituti che si dicono in piena comunione con il vescovo capo e pastore della diocesi».
Le offerte di accogliere questi preti se mi chiedono l'autorizzazione a confessare, se utilizzano gli oli santi della diocesi e se sono io (con il Pontificale tridentino) che cresimo nelle loro chiese, sono state fatte sei anni fa, ben prima di ogni conflitto, e restano valide.
I puntini di sospensione nella mia lettera del 5 febbraio u.s. rimpiazzano le parole [originariamente omesse nel testo riportato da La Porte Latine]: "L'accesso all'interno della Basilica è in ogni caso impossibile, l'edificio è in restauro e il culto non riprenderà fino alla domenica delle Palme".
+ Alain PLANET

Ecco: chi ha ragione? A questo punto, è fuor di dubbio, il vescovo. Certa hybris si paga, e non basta certo essere tradizionalisti od avere meriti pur incancellabili nella difesa della Messa antica, per avere sempre ragione. Quei puerili attacchi agli altri Istituti tradizionalisti oltre ad avere - l'ho già detto in passato - il gusto sgradevolissimo dell'interesse di bottega e delle beghe tra frati, finiscono per rendere agevole il compito a chi la Tradizione intende ostacolare; non parliamo poi dell'argomento, ecclesiologicamente scandaloso, di stare alla larga da chi si proclama in comunione con il vescovo diocesano.
Enrico

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Embarassed Caro Enrico, ragionevolmente ti chiedi: "Ecco, chi ha ragione? ".....    
   
questo Vescovo dovrebbe avere a cuore principalmente la cura delle ANIME DA SALVARE... e non un muro contro muro a riguardo della giurisdizione....  ANCHE QUANDO AVESSE ED HA RAGIONE DA VENDERE...  
Per carità! il Vescovo ha ragione di avanzare le sue richieste, la Diocesi è affidata a lui, e Lui ne è il responsabile, tuttavia è lampante il tristo CONNUBIO FRA IL POTERE E IL BRACCIO DI FERRO IMPOSTO NON CON LA CARITA',  come si dovrebbe  dire ad un Vescovo che dovrebbe dare LA TESTIMONIANZA di tale Carità... quanto piuttosto, IGNORANDO LE ANIME DA SALVARE, ci si preoccupa di salvaguardare IL PROPRIO POTERE....  e questo senza dubbio DEVE SOPRATTUTTO RIFLETTERSI SU QUANTI, NELLA FSSPX, APPROFITTANO DELLA SITUAZIONE PER AVANZARE ESSI STESSI CON UN INUTILE BRACCIO DI FERRO, IMPONENDO A LORO VOLTA AL VESCOVO, DI DOVER PRENDERE DELLE DURISSIME MISURE.... Cry  
   

Ascoltiamo le stesse parole di Benedetto XVI nella sua Lettera ai Vescovi a riguardo proprio di come comportarsi nei loro confronti, E LA FSSPX FACCIA UNO SFORZO PER RENDERSI PRESENTABILE AL PROPRIO VESCOVO.... dice il Papa:    

Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio.    
(...) Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto.    
Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che "ha qualche cosa contro di te" (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione? (...)  Può essere totalmente errato l’impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme?    
(...)  Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?    
(...) A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo.    
   
E ancora, l'altro giorno il Papa ha incontrato i Seminaristi di Roma ed ha detto:    
   
... bisogna accettare, sopportare e animare tutte le persone, quelle simpatiche e quelle non simpatiche. E se sentiamo di avere un problema con la comunità, con le istituzioni della Chiesa, dobbiamo anche tenere presente che è bello camminare in una grande compagnia di tutti i secoli, avere amici in cielo e in terra e in tutte le parti del mondo”.    
   
Quanta IDOLATRIA che si cela in que dire "io sto con il Papa" e poi ignorare le sue richieste....E QUESTO VALE ANCHE PER LA FSSPX...NON SOLO PER NOI O IL VESCOVO.... quanta umiltà e sofferenza si cela spesso, invece, dietro chi contestando certe scelte del Pontefice alla fine, poi, VIVE una testimonianza di alta sublimazione di se stessi nella Carità e nella Verità dottrinale bimillenaria della Chiesa e dunque seguendo PIETRO di e in ogni tempo.... così come c'è sofferenza anche dietro le decisioni del Vescovo che si vede costretto a doversi DIFENDERE....e a difendere, ragionevolmente, quel campo DELLA TRADIZIONE ancora vivo DENTRO la Chiesa e sottoposto alla giurisdizione del Vescovo.... il braccio di ferro non giova a nessuno, se si VUOLE qualcosa, occorre anche porsi UMILMENTE per riceverla... NESSUNO HA DIRITTI, TUTTO E' DONO specialmente riguardo ai DONI DI DIO che sono stati consegnati ai VESCOVI IN COMUNIONE CON PIETRO.... (cfr.1Corinzi cap. 4 )  
Cry 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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15/04/2011 23:52
 
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Lettera del P. Giovanni Cavalcoli O.P. alla F.S.S.P.X

Riportiamo, dal sito Riscossa Cristiana, una bella lettera del P. Giovanni Cavalcoli O.P. alla FSSPX. Tra i frutti del Motu Proprio c'è senz'altro un nuovo clima nelle discussioni con la stessa Fraternità: aumenta il rispetto da parte di chi discute con loro, e stanno diminuendo, da parte degli eredi spirituali di Mons. Lefebvre, quelle uscite pamplettistiche che il Pontefice ha definito "cose stonate – superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc.", pur aggiungendo di "aver ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori" (Cf. Lettera ai Vescovi del 10 marzo 2009).


Cari Fratelli della Comunità S.Pio X,

Premetto che il titolo della vostra Fraternità – S.Pio X – mi incute profondo rispetto per questo grande Papa, nel quale vedo, sia pure in diverso contesto storico, un modello attualissimo anche per i Pontefici del nostro tempo.

In secondo luogo mi ha colpito la serietà dell’impegno che vi siete assunti nel vostro indirizzo nei miei confronti, elaborato con quello stile di controversia dignitosa ed argomentata, che si ritrova nella tradizione degli antichi Padri del mio Ordine e che io mi son sempre proposto a modello della discussione teologica, uno stile purtroppo spesso perduto nei dibattiti del nostro tempo, che tendono o a banalizzarsi sul piano degli argomenti ad hominem, o sono vittime della sofistica, per non parlare di quando si scade sul piano dell’insulto, della truffa o del sarcasmo.

Ho letto sul vostro sito la vostra risposta al mio articolo recentemente apparso su Riscossa Cristiana, nel quale formulo delle obiezioni al vostro modo di atteggiarvi nei confronti delle dottrine del Concilio Vaticano II, da voi giudicate non infallibili e quindi errate o quanto meno facoltative. Approfitto ancora una volta di Riscossa Cristiana, che gentilmente e generosamente ospita anche questo nostro dibattito, per replicare alle vostre posizioni.

Dico subito che non concordo su molti punti del vostro scritto, ma ciò non toglie la mia ammirazione per il tono dello scritto stesso. E forse questa è la cosa più importante, perché quando manca la carità a nulla serve la verità.

Rispondo, come si suole in questi casi, per partes. Comincio con la critica che voi fate al fatto che ho paragonato il vostro modo di usare la Tradizione nei confronti delle dottrine conciliari, al modo col quale i protestanti respingono il Magistero della Chiesa. Voi dite che il paragone non regge, perché voi, a differenza dei protestanti, accettate il Magistero della Chiesa, mentre essi lo respingono in blocco.

E’ vero, lo riconosco, sono stato esagerato, tanto più che so con quanto zelo voi respingete gli errori dei protestanti che purtroppo oggi rivivono nel modernismo postconciliare. Tuttavia, consentitemi di insistere su questo punto: voi accettate questo Magistero solo fino al Concilio escluso, perché ritenete che il Magistero del Concilio e del postconcilio non sia infallibile ed abbia insegnato delle falsità che rinnegano la Tradizione.

E fate questo non accogliendo docilmente e fiduciosamente quello sviluppo della Tradizione che è insegnato dal Concilio in continuità con la precedente fase della Tradizione, come sua esplicitazione e spiegazione, ma permettendovi di considerare la Tradizione direttamente, per conto vostro, senza usare la mediazione di essa che vi dona il Magistero del Vaticano II.

Non è questo lo stesso metodo che i protestanti usano per respingere il Magistero, con la sola differenza che mentre essi pretendono di basarsi sulla Bibbia, voi pretendete di basarvi sulla Tradizione? Convengo tuttavia che voi siete molto più vicini a Roma di loro, perché voi almeno accogliete la Tradizione e tutto il Magistero infallibile sino al Concilio, mentre loro respingono tutto questo.

Vi manca solo l’accettazione dello sviluppo della Tradizione operato dal Concilio, ossia quelle “dottrine del Concilio”, che il Santo Padre vi invita ad abbracciare per essere in piena comunione con la Chiesa Cattolica.

Quanto al nostro dovere di cattolici di stare al Magistero attuale della Chiesa pur conservando - “custodisci il deposito” - e venerando quello del passato, che comunque resta vero ed immutabile, non ci siamo intesi. Voi fate una questione di tempo, come se io usassi come criterio di verità il semplice tempo presente nel quale oggi il Magistero ci parla con la sua viva voce (Tradizione orale).

Ma io non faccio questione di tempo ma di verità, nel senso che il modo col quale oggi, grazie agli insegnamenti del Concilio, conosciamo la Parola di Dio, la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione, è migliore e più vero di quello del preconcilio. Conosciamo meglio e più a fondo la stessa immutabile verità di fede consegnata una volta per sempre da Cristo alla sua Chiesa. Esiste una crescita nella verità, verso la pienezza della verità, una conoscenza sempre migliore della stessa, identica ed immutabile verità.

Insegnamento attuale non vuol dire semplicemente un insegnamento pronunciato adesso, ma vuol dire esplicitazione o migliore conoscenza di un insegnamento passato, il quale conteneva implicite virtualiter ciò che adesso è stato esplicitato.

La categoria dell’attualità che ho usato non fa tanto riferimento al tempo, all’oggi, ma ad un atto conoscitivo o a un fatto epistemologico: si tratta di una conoscenza migliore di quella passata aventi entrambe per oggetto la medesima verità di fede eodem sensu eademque sententia.

Chi in questo senso resta fermo ed irrigidito nel passato e si rifiuta di progredire (ecco il sano progressimo), resiste allo Spirito Santo, che conduce alla pienezza della verità, e siccome per ipotesi si tratta di un progresso in materia di fede, ne viene la conseguenza che chi non vuol riconoscere questa nuova conoscenza, cade nell’eresia, se l’eresia è rifiuto di una verità di fede. Coloro per esempio che non hanno accettato il dogma calcedonese ma sono rimasti fermi a Nicea, hanno rifiutato la professione di fede di Calcedonia e con ciò stesso sono caduti nell’eresia. Piena ortodossia non è dunque una qualunque accettazione di una verità di fede, ma l’accettazione di questa verità nel grado di esplicitazione che è attuato dalla Chiesa del nostro tempo.

Non bisogna confondere la saldezza nella fede, la conservazione del deposito o la fedeltà al dato rivelato – doveri sacrosanti – con la rigidezza di chi non vuol avanzare, col rifiuto di camminare e di aprirsi a quanto la Chiesa ci fa conoscere di nuovo rispetto a quanto sapevamo prima, perché questo nuovo non è rottura con l’antico, ma è con esso in continuità, non è negazione o smentita, ma migliore comprensione di quanto già sapevamo, in se stesso immutabile perchè è Parola di Dio.

Voi mi direte: questa tesi della continuità è una semplice affermazione. Ma come la dimostri? Noi abbiamo la netta impressione del contrario. Ebbene, cari Fratelli, mi sto preparando, insieme con amici teologi, a scrivere un libro, se Dio me lo permetterà, nel quale voglio appunto dimostrare questa continuità relativamente ad alcuni punti importanti dibattuti ormai da cinquant’anni. Come cattolici dobbiamo credere ai Papi del postconcilio che ci ricordano questa continuità. Come teologi la dobbiamo dimostrare ai dubbiosi o a coloro ai quali sembra il contrario.

D’altra parte riconosco che in tanta quantità di documenti emanati dal Concilio e con un linguaggio non sempre preciso ed univoco, privo di canoni come sono sempre stati usati nei precedenti Concili, non è facile orientarsi per discernere dov’è che il Concilio tratta di quelle materie di fede o prossime alla fede circa le quali il Concilio non può errare né insegnarci il falso. Personalmente ritengo che siano poche le proposizioni presentanti un carattere di novità e da credersi per fede.

Il Papa vi ha invitati ad accogliere le “dottrine del Concilio”. Vi faccio una proposta: attraverso i vostri rappresentanti che stanno trattando con la S.Sede perché possiate essere riammessi, come certo desiderate e come il Papa desidera, alla piena comunione con Roma, chiedete al Santo Padre: Santità, Lei ci invita ad accogliere le dottrine del Concilio. Bene, siamo disposti. Ma ci dica quali.

Considerando d’altra parte che nel Concilio ci sono dottrine dogmatiche e dottrine pastorali, è chiaro a tutti che non tutte le dottrine del Concilio sono infallibili o di fede, ma non ci è impedito ritenere che certi provvedimenti o indicazioni pastorali siano sbagliati. Ed a ciò è da addebitarsi una delle cause della crisi attuale, non alle dottrine dogmatiche del Concilio, che sono salutari ed hanno fatto avanzare la conoscenza del dato rivelato della Scrittura e della Tradizione.

Quanto alla questione dell’infallibilità del Magistero della Chiesa e quindi del Concilio, voi citate quella forma di infallibilità che corrisponde al dogma solennemente definito. Ora è vero che nel Concilio non esistono proposizioni di questo genere; tuttavia ve ne sono, che toccano materia di fede o prossima alla fede, le quali sono anch’esse infallibili, benchè non siano dogmi definiti.

Per questo la vostra tesi, secondo cui “non tutte le proposizioni (anche a contenuto dogmatico) contenute negli atti di un Concilio Ecumenico godono dell’infallibilità, ma solo quelle per le quali risulti chiara e indubitabile la volontà di definire e obbligare la Chiesa Universale in materia di fede e costumi”, non corrisponde a verità. In realtà, come è insegnato nell’Istruzione Ad Tuendam Fidem che vi ho già citato, possono esistere dottrine in materia di fede o prossima alla fede che godono della qualifica dell’infallibilità, benchè non si tratti di dogmi definiti.

Infatti il suddetto documento aggiunge, nel can.750 del nuovo Codice di Diritto Canonico, al primo comma che tratta delle dottrine solennemente definite, un secondo comma che tratta ancora di verità di fede, ma senza intenzione di definire, e tuttavia, trattandosi di materia di fede, si parla ancora di dottrina “infallibili”.

Ebbene è questo genere di dottrine che è presente nel Concilio e non semplicemente come ripetizione di dottrina già insegnate, ma come insegnamenti nuovi nel senso di esplicitazione di dottrine già definite.

Per esempio, la famosa tesi che “la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica”, come ha già spiegato un recente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, è un insegnamento nuovo, ma che non è da considerarsi falso o in contrasto con l’insegnamento tradizionale, per il quale la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica.

Il Concilio si pone dal punto di vista dell’esistenza concreta della Chiesa e considera come elementi di Chiesa si trovino anche al di fuori dei suoi confini vivibili, cosa che non smentisce ma conferma il primato del cattolicesimo su tutte le altre religioni; mentre la definizione precedente considera l’essenza sovratemporale della Chiesa nella sua divina perfezione, a prescindere da altre formazioni religiose che in forme inferiori partecipano in qualche modo per somiglianza di quella divina perfezione.

Ed è possibile dimostrare la verità di questo assunto. Del resto, trattandosi qui di verità di fede tradizionale, è impensabile che un Concilio ecumenico, pronunciandosi su questa materia seppur in forma nuova, possa insegnarci il falso, portarci fuori strada o comunque insegnare qualcosa di non coerente con quanto ha insegnato in precedenza, perché vorrebbe dire che la Chiesa tradisce la sua missione e quindi quando Cristo le ha promesso di assisterla sino alla fine del mondo, la ha ingannata, cosa evidentemente assurda e blasfema per un cattolico al solo immaginarla.

Dice infatti l’Ad Tuendam Fidem a proposito dei due commi del can.750: “Il magistero della Chiesa insegna una dottrina da credere come divinamente rivelata (1° comma) o da ritenere in maniera definitiva (2°comma), con un atto definitorio oppure non definitorio. … Nel caso di un atto non definitorio viene insegnata infallibilmente una dottrina del magistero ordinario ed universale” (gli insegnamenti del Concilio). … “Tale dottrina può essere confermata o riaffermata dal Romano Pontefice, anche senza ricorrere ad una definizione solenne. … Di conseguenza, quando su una dottrina non esiste un giudizio nella forma solenne di una definizione, ma questa dottrina, appartenente al patrimonio del depositum fidei, è insegnata dal magistero ordinario ed universale” (come avviene oggi per gli insegnamenti del Concilio) … “essa allora è da intendersi come proposta infallibilmente”, n.9.

Non è vero che il Concilio non impone dottrine e non condanna errori; solo che fa ciò con un linguaggio semplicemente dichiarativo o espositivo, nella forma descritta dal secondo comma e non dal primo, per cui, in base al dettato del secondo comma, quegli insegnamenti del Concilio continuano a possedere la nota dell’infallibilità.

Voi ponete giustamente i requisiti per l’infallibilità delle definizioni solenni, ma trascurate o ignorate che tutti quei requisiti, come risulta dall’Ad Tuendam Fidem, non sono necessari per l’infallibilità delle dottrine dogmatiche di secondo grado o non definite, che comunque il documento chiama “definitive”, ma, per l’infallibilità di questo livello inferiore, è sufficiente che si tratti del Magistero della Chiesa, Pontificio o conciliare, che insegna o sviluppa temi contenuti nel deposito rivelato, si tratti di Scrittura o si tratti di Tradizione, si tratti o non si tratti di dogmi già definiti.

Voi invece fate un salto indebito: dal fatto che il Concilio non definisce nuovi dogmi (e ciò è vero), voi concludete che le nuove dottrine dogmatiche del Concilio non sono infallibili e quindi sono false per il solo fatto che non godono di quel tipo di infallibilità che è proprio delle dottrine definite o dogmi dichiarati come tali.

Invece perché ci sia dottrina infallibile, sempre da come risulta dall’Ad Tuendam Fidem, non è necessario che un Magistero conciliare abbia o manifesti esplicitamente l’intenzione di definire, ma è sufficiente che definisca di fatto anche senza dichiaralo formalmente: ciò che conta è che tratti materia di fede, ossia insegni verità di fede le quali chiariscono o esplicitano dogmi già definiti o testi della Scrittura o dati della Tradizione. Ed è esattamente quello che ha fatto il Concilio.

Per questo voi fate un salto assolutamente illegittimo allorchè, restringendo il concetto di infallibilità alle sole definizioni esplicite solenni, che avvengono rarissimamente, voi asserite che “gli insegnamenti del Papa e dei vescovi in materia di fede non sono sempre infallibili” e che “in linea di principio, seppure eccezionalmente e in epoche di crisi gravissima, non è impossibile che cadano in errore persino in materia di fede”.

E dite inoltre che “nessun insegnamento del Concilio Vaticano II può essere definito "infallibile" ("in sensu diviso"): né a titolo di una definizione solenne e straordinaria (mancando l’intenzione espressa), né a titolo del Magistero Universale Ordinario (perché nel caso di un Concilio la Chiesa docente non è "dispersa" in tutto il mondo, caratteristica specifica del MOU, e sopratutto le novità professate nel Concilio mancano dell’universalità verticale cioè temporale necessaria a un vero Magistero ordinario che non è altro che un’eco della Tradizione), e neanche nei punti in cui riprende gli insegnamenti degli altri Concili o della Tradizione (in questo caso gli insegnamenti sono "assolutamente e definitivamente veri", ma non "infallibili" se non "in sensu composito")”, e quindi che è possibile che “vi siano degli errori del genere nei testi del Concilio e nel "Magistero" successivo visto che non è stato esercitato il privilegio d’infallibilità non essendo presenti tutte le condizioni richieste”.

Noto che, sempre da quanto risulta dall’Ad Tuendam Fidem, il Magistero di secondo grado non è sic et simpliciter soltanto quello dei vescovi sparsi nel mondo, ma può essere anche quello dei vescovi in quanto, dopo un Concilio, benchè sparsi nel mondo, insegnano quello che il Concilio in forma straordinaria, ma non necessariamente con volontà di definire, ha insegnato in materia di fede, aggiungendo nuove visioni a quanto già si sapeva.

Dico allora che non vi accorgete che con la vostra interpretazione dell’infallibilità vi precludete l’acquisizione di un immenso patrimonio di dottrina sicura e di fede, che non si trova solo nel Vaticano II, ma in tutta la storia della Tradizione e di nuovo, forse senza accorgervene, tornate ad avvicinarvi ai protestanti, con la sola differenza che mentre essi dichiarano fallibile qualunque proposizione del Magistero, voi ritenete infallibili solo i dogmi definiti e non anche – come invece la Chiesa vi chiede di fare – le proposizioni semplicemente dichiarative prive dell’esplicita volontà definitoria.

Per sapere cosa è di fede e cosa non è di fede, non è necessaria la forma o il modo più o meno solenni o le dichiarazioni esplicite da parte della Chiesa, ma basta verificare che sia la Chiesa a parlare e che ci parli di ciò che Cristo ci insegna o di ciò che essa ha dedotto dogmaticamente dagli insegnamenti di Cristo valendosi della Scrittura e della Tradizione. Le definizioni solenni e straordinarie sono fatte per i duri d’orecchi o per contrastare l’opposizione degli eretici o per chiarire precedenti insegnamenti.

Non cambia il contenuto o la certezza di fede rispetto alle semplici dichiarazioni, ma semplicemente il modo di insegnarlo. Che la Madonna fosse Immacolata la Chiesa lo sapeva già da prima, solo che con la definizione dogmatica ha voluto proclamarlo col massimo della solennità e della pubblicità.

Ma per i discepoli del Signore, fiduciosi nella saggezza e nell’autorevolezza della Santa Madre Chiesa, non c’è bisogno che essa, quando espone la dottrina cattolica, alzi la voce, suoni la tromba o rafforzi il suo dire con speciale enfasi, ma basta che essa parli. Intelligenti pauca. L’importante è avere orecchi. Chi esige troppe condizioni per l’infallibilità mostra una diffidenza che non si addice alla santa semplicità del vero credente, una volta che egli ha compreso che si tratta di materia di fede o di Parola di Dio.

E per dirimere l’apparente contraddizione tra il prima e il poi, non deve fidarsi presuntuosamente del proprio giudizio, ma chiedere umilmente e fiduciosamente alla Madre che gli spieghi, al di là dell’apparente contraddizione, la continuità ed ai teologi che la dimostrino, per cui questi non devono oscurare ciò che è già oscuro o, peggio, essere a loro volta diffidenti. I teologi non devono creare o aggravare i dubbi, ma risolverli, altrimenti mettono in pericolo la fede del popolo di Dio e spingono alla disobbedienza al Magistero.

Il nuovo del Concilio non vi deve turbare o scandalizzare. La vostra Madre non vi ha tradito, ma, come fanno le mamme con i figlioletti che a volte si impuntano e non voglio camminare o per sfiducia nella mamma o per paura del nuovo, la vostra Madre nel Concilio vi chiede di procedere e, come dice il Signore, a guardare che “già le messi biondeggiano” (Gv 4,35).

Chi vi inganna e crea confusione e divisioni non è la Madre Santa, “colonna e fondamento della verità”, semper idem, come diceva il grande ed incompreso Card.Alfredo Ottaviani, ma sono certi figli degeneri, traditori, mestatori, ambiziosi, falsificatori e non interpreti del Concilio, ispirati dal diavolo, - quanto se ne rendono conto? - il cui nome è: modernisti. Chiamiamoli col loro nome.

Dirli “progressisti” è un favore che a loro facciamo, è uno scudo che a loro fa comodo e dietro al quale scorrettamente si riparano da quarant’anni, approfittando di un appellativo in sé lecito ed onesto. Dopotutto progredire è un dovere per tutti. E’ ora invece che gettino la maschera e che li manifestiamo per quello che sono. Preghiamo per la loro conversione e, come dice l’Apostolo, “chi crede di stare in piedi, stia attento a non cadere” (I Cor 10,12).

Con rispetto e cordialità fraterna


Padre Giovanni Cavalcoli, O.P.


Bologna, 9 aprile 2011

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 SEGUE LA RISPOSTA



[Modificato da Caterina63 17/04/2011 09:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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17/04/2011 09:21
 
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La FSSPX risponde a padre G. Cavalcoli Op, che la accusa di protestantesimo
Presentiamo uno studio dottrinale di notevole interesse, elaborato dal Distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X: il testo non è firmato e, quindi, rappresenta la posizione ufficiale del Distretto stesso e quella ufficiosa dell’intera Fraternità, in quanto riteniamo altamente improbabile, per non dire impossibile, che un tale documento sia uscito, in un momento così delicato, senza l’avallo dei vertici supremi. Riteniamo particolarmente interessante pubblicarlo, anche perché vi emergono, in maniera involontaria e, quindi, ancor più veritiera, le posizioni fondamentali sostenute dai “lefebvriani” nei colloqui con Roma. Al di là di prese di posizione individuali, di contrapposizioni di persone, di indiscrezioni varie… emerge qui il vero volto degli eredi di Lefebvre: i contenuti dottrinali che sono causa della loro nascita e ragione della loro esistenza. Messainlatino ritiene sia giusto e utile sottoporre all’attenzione e al giudizio dei suoi lettori questo importante testo.



Le critiche di Padre Cavalcoli


Padre Giovanni Cavalcoli, sacerdote e teologo domenicano, in un suo articolo del 28 febbraio 2011, «La Tradizione contro il Papa» (pubblicato da riscossacristiana.it) tenta di dimostrare come l'atteggiamento dei cosiddetti "lefebvriani" sia incompatibile con un atteggiamento autenticamente cattolico. I "lefebvriani" avrebbero, secondo il Padre, ceduto a una tentazione, tentazione alla quale hanno ceduto anche protestanti e modernisti (ed ecco che gli estremi opposti sembrerebbero incontrarsi), e cioé «quella di crearsi la convinzione gratuita ed infondata che per sapere infallibilmente che cosa Cristo ci ha insegnato non c'è bisogno di stare agli insegnamenti o all'interpretazione del Magistero vivente ed attuale - per esempio quello di un Concilio -, ma è sufficiente porsi a contatto diretto e personale o con la Scrittura o con la Tradizione. Il primo è stato l'errore di Lutero ed oggi dei modernisti, soprattutto in campo esegetico; il secondo è l'errore dei lefebvriani». I "lefebvriani" non si renderebbero conto che «ogni Concilio è testimone della Tradizione, ma di un suo stato più avanzato, in base al quale si giudicano le fasi precedenti e non viceversa. (...) Avviene così che come i protestanti pretendono di giudicare l'insegnamento dei Papi alla luce di un contatto diretto e soggettivo con la Scrittura, trovando nei Papi un'infinità di errori, similmente i lefebvriani pretendono di giudicare gli insegnamenti del Magistero posteriore al 1962 (come ha osservato lo stesso Benedetto XVI) alla luce di un contatto immediato e parimenti soggettivo con la Tradizione, essi pure credendo di trovare nel Concilio e nei Papi del postConcilio una falsificazione di certi dati della Tradizione». Ma non è tutto: «i protestanti, i modernisti ed i lefebvriani non si accorgono che con questo loro atteggiamento, per quanto si annoverino tra di loro teologi dotti e dottissimi, finiscono con la pretesa di avocare a sé quel dono di infallibilità che Cristo non ha assicurato né ai teologi né agli esegeti né agli storici della Chiesa, ma ai soli Vescovi, successori degli Apostoli, uniti al Papa e sotto la guida del Papa».

Padre Cavalcoli poi risponde ai «pretesti speciosi quanto inconsistenti» a cui i "lefebvriani" si appigliano per sottrarsi al «dovere di accettare le dottrine del Concilio». I pretesti sarebbero soprattutto due: «1. si dice che il Concilio è solo pastorale e non dottrinale; 2. si afferma che nel Concilio non sono stati definiti nuovi dogmi e che quindi le sue dottrine non sono infallibili. Quindi, conclusione,- essi dicono- possiamo correggere il Papa e il Concilio in base alla "Tradizione"». Ecco la risposta del Padre: «non è vero che gli insegnamenti del Concilio sono solo pastorali, ma si danno, come hanno affermato più volte i Papi del postConcilio, anche insegnamenti dottrinali, come tali infallibili, giacché perché si dia dottrina infallibile - ossia assolutamente e perennemente vera - non è necessario, come la Chiesa stessa insegna (Vedi Istruzione “Ad tuendam fidem” della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1998), che il Magistero dichiari esplicitamente o solennemente che una data proposizione è di fede, ma è sufficiente che di fatto si tratti di materia di fede. Questo pronunciamento viene qualificato dalla detta Istruzione come “definitivo” ed “irreformabile”, il che è come dire infallibile».

La conclusione di Padre Cavalcoli appare abbastanza chiara: i lefebvriani non si possono dire veramente cattolici, visto che il loro atteggiamento è analogo a quello dei protestanti e che rifiutano il Magistero attuale del Papa e dei Vescovi, regola immediata di fede, nonché gli insegnamenti irreformabili dunque infallibili dell'ultimo Concilio. Solo che, se la conclusione gode di qualche apparenza di verità, sembra dovuto al fatto che Padre Cavalcoli faccia una grande economia delle distinzioni: distinzioni che però sono necessarie per capire la posizione di Mons. Lefebvre e di quelli che lo seguono, i cosiddetti "tradizionalisti". Riprendiamo allora le critiche mosse dal Padre.


I lefebvriani: inconsapevolmente protestanti?


In primo luogo i "lefebvriani" commetterebbero un errore nei confronti della Tradizione della Chiesa e del Magistero attuale analogo a quello dei protestanti nei confronti della Scrittura. L'analogia si può esprimere con l'equazione: il protestantesimo sta alla Scrittura come i lefebvriani stanno alla Tradizione. Certo, trovare punti di incontro tra le posizioni più disparate non è cosa difficile, ma l'analogia potrebbe essere interessante in quanto effettivamente evidenzia una difficoltà, qualcosa di "anormale": il fatto che delle persone che si dicono cattoliche si oppongano a un "magistero attuale e vivente" come hanno fatto gli eretici, in special modo i protestanti. Solo che questo "come" su cui si fonda l'analogia può essere preso in sensi diversi: "come" può indicare la semplice somiglianza del "fatto", oppure anche la somiglianza nel modo e nel valore dei fatti. In quest'ultimo caso il comportamento dei lefebvriani tenderebbe all'eresia, ma la somiglianza nel primo caso non prova niente necessariamente: se il fatto di opporsi a un "magistero attuale" è un atto la cui liceità è in assoluto possibile anche se in circostanze straordinarie, l'analogia non ci può dire se i lefebvriani si trovino o no effettivamente in queste circostanze. Per sapere oggettivamente quale valore dare all'analogia si dovevano fare delle distinzioni che il Padre non ha fatto. La prima importante distinzione è che rifiutare ogni insegnamento della Chiesa docente in quanto tale, come fanno i protestanti, è evidentemente e in ogni caso illecito, mentre rifiutare qualche insegnamento di un vescovo o persino di un Papa per ragioni gravissime, come vedremo, può essere lecito. Altra distinzione: per i protestanti, ricorrere alla Scrittura senza la Tradizione e la mediazione del Magistero è una questione di principio, principio che costituisce un punto di partenza "a priori". Per i tradizionalisti invece, ricorrere al Magistero passato senza o contro il Magistero (1) attuale è una questione di fatto e non di principio. I tradizionalisti riconoscono come cattolici che la regola di fede per i membri della Chiesa di un'epoca determinata è "di norma" e prima di tutto l'insegnamento "vivente" dei pastori della Chiesa. In questo la fede e dottrina dei tradizionalisti concorda con quella di Padre Cavalcoli. Se i tradizionalisti fanno opposizione all'insegnamento attuale, è solo "a posteriori" e a causa di una serie di circostanze eccezionali. Per questo, prendendo l'analogia qualitativamente e non secondo una somiglianza superficiale, risponde di più al vero negare l'analogia tra protestanti e lefebvriani visto che il rapporto tra protestanti e Scrittura (regola immediata di fede per principio, a-priori e in ogni caso) non è come il rapporto tra lefebvriani e Magistero passato (regola immediata che non esclude l'insegnamento attuale per principio e in ogni caso, ma solo "a posteriori" e in circostanze di gravità eccezionale).

La somiglianza superficiale notata da Padre Cavalcoli nasconde un'altra differenza essenziale tra l'atteggiamento dei lefebvriani e quello protestante: prendere la Scrittura come regola immediata di fede non è come prendere il Magistero passato come regola di fede. La ragione è che tra Scrittura e "Magistero regola immediata" c'è una differenza essenziale (la Scrittura è insufficiente rispetto all'oggetto totale della fede e richiede in ogni caso la mediazione della Chiesa, il Magistero passato no), mentre tra Magistero passato e "Magistero regola immediata" la differenza è al massimo accidentale: tra Magistero attuale in quanto tale e Magistero passato in quanto tale la differenza è cronologica e non sostanziale. Il Magistero passato è stato attuale e l'attuale sarà passato. Perciò, come vedremo, il periodo di tempo che separa l'atto di fede del fedele dal Magistero passato non impedisce di per sé la funzione regolativa di quest'ultimo in materia di fede e costumi. Evidentemente questo non prova ancora che i tradizionalisti facciano bene, ma almeno impedisce di classificarli frettolosamente nel rango degli eretici o quasi-eretici.

Se ci limitassimo dunque alla sola analogia del "fatto", la somiglianza dei rapporti perde il suo valore. Potremmo pure dire, per esempio, che Lutero è stato condannato da Papa Leone X come Sant’Atanasio è stato condannato da Papa Liberio. Ma quale valore ha questa analogia? Quale rapporto tra l'eresiarca e il grande difensore della Tradizione? Lo stesso vale per l'analogia tra protestanti e "lefebvriani": è un'analogia superficiale che poggia sul solo "fatto", nascondendo le differenze essenziali che permetterebbero di distinguere tra posizione illecita e posizione lecita.


Il Magistero passato e la regola immediata della fede


Il Padre poi obietta che secondo la dottrina cattolica per sapere infallibilmente che cosa Cristo ci ha insegnato c'è bisogno di stare agli insegnamenti del Magistero attuale e che non è sufficiente porsi a contatto diretto e personale con la Scrittura o la Tradizione o col Magistero passato. Come abbiamo detto, l'obiezione sarebbe efficace se per i tradizionalisti l'opposizione all'insegnamento attuale fosse una questione di principio come lo è per i protestanti e se il rapporto avesse lo stesso valore nei due casi. Ma il problema è un altro e il Padre sembra non voler affrontarlo rifuggendo le distinzioni: posto che di norma (2) l'insegnamento attuale del Papa e dei vescovi è regola immediata per la fede (perché è il più adatto ad indicare in modo perfettamente chiaro e comprensibile il contenuto della fede ai fedeli di una data epoca storica), ci si chiede se questo principio sia assoluto oppure se soffra delle eccezioni. Se l'insegnamento del Papa o dei vescovi fosse sempre infallibile, il principio sarebbe assoluto. Ma non è così. Il Padre non può negare che non ogni insegnamento uscito dalla bocca del Papa e dei vescovi è infallibile (lo vedremo chiaramente parlando delle condizioni dell'infallibilità). Quindi l'errore nell'insegnamento attuale è possibile. Non si può negare almeno in linea teorica questa possibilità. Ora è evidente che, in questa ipotesi teoricamente possibile, quell'insegnamento attuale erroneo non potrebbe essere "per sé" regola immediata di fede. Potrebbe essere regola per i fedeli al limite solo "per accidens" se i fedeli, non avendo la certezza di essere di fronte ad un errore, per prudenza e per rispetto, aderissero comunque a quell'insegnamento.

Ma ecco che interviene un'altra possibilità che il Padre non può scartare "a priori": la possibilità che i membri della Chiesa, nella eventualità rarissima di un insegnamento attuale erroneo, si rendano conto con certezza di questo errore, ricorrendo al Magistero passato o alla Tradizione. Padre Cavalcoli non può pretendere che il ricorso al Magistero strettamente attuale sia l'unico mezzo per sapere infallibilmente la vera dottrina. Preso in modo strettissimo e quasi "matematico", questo principio porterebbe all'assurdo: infatti l'insegnamento che il Papa ha dato due giorni fa non è più "attuale" in senso stretto, ancor di meno quello di un Concilio che ha avuto luogo 50 anni fa. Ad essere precisi, la verità è che per un atto di fede attuale di un membro della Chiesa, la regola prossima è sempre un insegnamento passato (almeno di qualche istante). Perciò, sebbene sia vero che l'insegnamento "attuale" come lo intende il Padre, sia "di norma" la regola più certa e immediata (in quanto più capace di adattarsi alle situazioni ed esigenze di comprensione dei fedeli ad un dato momento storico), un Magistero un pochino anteriore a quello "attuale" (ma anche uno lontano nel passato) può essere regola immediata di fede, visto che, grazie a una ricerca storica qualche volta anche abbastanza facile, un membro della Chiesa può sapere con certezza morale ciò che in passato la Chiesa ha voluto insegnare.

Anzi non si può escludere che in certi casi l'insegnamento di un Magistero anteriore a quello attuale sia più chiaro di quello del Magistero presente. In questo senso, quando il Padre dice che "ogni Concilio è testimone della Tradizione, ma di un suo stato più avanzato, in base al quale si giudicano le fasi precedenti e non viceversa", la frase potrebbe essere giusta come norma generale, ma non si può escludere in assoluto che, in tempi di crisi, le affermazioni chiare del passato possano chiarire o giudicare le affermazioni ambigue o errate di un insegnamento presente: è questo il senso del famoso "Commonitorium" di San Vincenzo di Lérins (V secolo), grande difensore della Tradizione. In esso si legge: «Cosa farà il cristiano cattolico se qualche piccola parte della Chiesa si staccherà dalla comunione, dalla fede universale? Quale altra decisione prendere, se non preferire alla parte cancrenosa e corrotta il corpo nel suo insieme che è sano? E se qualche altro nuovo contagio cerca di avvelenare non più una piccola parte della Chiesa, ma tutta quanta, allora sarà sua massima cura attenersi all’antico, che evidentemente non può essere sedotto da alcuna novità menzognera». E la storia sta a mostrare che questa non è una supposizione puramente teorica ma che, in tempi appunto di crisi (pensiamo alle ambiguità di papa Liberio durante la crisi Ariana, oppure le ambiguità di Papa Onorio I che favorirono l'eresia monotelita, come affermò il suo successore nel primato Leone II) si possa realmente dare questa situazione: contra factum non fit argumentum. La crisi che viviamo da 50 anni è un altro "factum" che mostra che questa possibilità può divenire realtà. La stessa «ermeneutica della continuità» cara a Benedetto XVI è una confessione palese di questa possibilità: ci si riferisce direttamente alla Tradizione e al Magistero passato per comprendere "correttamente" gli insegnamenti del Concilio, suscettibili di interpretazioni "progressiste": in questo caso la regola immediata e determinante è il Magistero anteriore, ciò che è regolato o determinato è l'interpretazione di un insegnamento conciliare posteriore. È assurdo pretendere che l'insegnamento dei Papi precedenti non possa essere per noi regola immediata di fede: basta poter conoscere con certezza il contenuto della fede mediante l'espressione della Chiesa docente. L'insegnamento del Concilio Vaticano II non è più un insegnamento attuale in senso stretto eppure il Padre non sembra negargli lo statuto di «regola immediata della fede». E il Concilio Vaticano I sarebbe troppo lontano perché i membri della Chiesa possano riferirvisi direttamente? Le definizioni del Concilio di Trento non sarebbero più comprensibili per noi? No anzi: si può dire in tutta verità che quei due grandi Concili, grazie anche al ricorso che fecero alla "rigida" terminologia e dottrina scolastica, siano più adatti ad essere compresi dai tempi posteriore rispetto al Concilio Vaticano II che ha cercato di sposare la terminologia e i modi di pensiero di un'epoca particolare. I fatti lo mostrano in modo eloquente: quale di questi Concili ha posto più problemi e difficoltà di interpretazione cioè di "ermeneutica"? La risposta è ovvia. Il Concilio Vaticano I o quello di Trento sono dunque meglio qualificati per assumere il ruolo di regola della fede.

Bisogna allora concludere che non è impossibile ricorrere direttamente al Magistero passato, alla Tradizione, e in tempi di crisi dell'autorità, rendersi conto di una eventuale ambiguità o persino di una contraddizione tra gli insegnamenti dell'autorità attuale e l'insegnamento perenne ed infallibile della Chiesa.

Sembra che Padre Cavalcoli sia rimasto indietro nel dibattito attuale: invece di negare "a priori" la posizione dei tradizionalisti negandone la possibilità, è molto più ragionevole discutere sul fatto se si dia o no la situazione eccezionale che invocano. Ma il Padre non riesce comunque a capire questa opposizione dei tradizionalisti per un altro e forse più importante motivo: un'opposizione persino rarissima e straordinaria è comunque illecita poiché le dottrine del Concilio e del Magistero attuale che sono in gioco sarebbero irreformabili e infallibili. Riducendo le condizioni richieste per l'esercizio dell'infallibilità, Padre Cavalcoli vede la presenza di questo privilegio nell'esercizio di un magistero che i tradizionalisti contestano. Evidentemente, se le cose stessero come dice il Padre, l'atteggiamento dei lefebvriani sarebbe inammissibile. Ritorneremo su questo problema dopo aver chiarito un altro punto: quello del significato preciso dell'infallibilità.


I lefebvriani sono infallibili?


Illustriamo il punto esaminando un'ulteriore obiezione che Padre Cavalcoli rivolge ai lefebvriani. Potrebbe infatti dire ai tradizionalisti: «anche qualora questo Magistero attuale non fosse infallibile, sembra che per opporsi prudentemente bisognerebbe essere dotati di quell'infallibilità che negate agli unici che sono in grado di possederla». In altre parole il Padre chiede ai tradizionalisti: siete o no infallibili? (la risposta sarebbe «no naturalmente»). Allora se non lo siete vi potete sbagliare e quindi avete il dovere di dare il beneficio del dubbio all'autorità suprema sopratutto dal momento che gode o almeno può godere dell'infallibilità.

L'obiezione riposa in realtà su un'altra ambiguità. Somiglia molto a una vecchia obiezione degli scettici che pretendevano grazie ad essa che fosse impossibile avere delle certezze assolute: se possiamo sempre sbagliarci, perché l'infallibilità non è un privilegio naturale dell'uomo, come essere veramente in possesso di una verità assoluta, visto che affermandola dobbiamo essere coscienti che cadere in errore non è mai impossibile per noi?

Per rispondere pienamente, bisogna servirsi di una distinzione logica forse un po’ sottile, sulla quale si passa velocemente nei corsi di logica, ma che risolve la difficoltà. Si tratta di chiarire una ambiguità nel concetto di «infallibilità». L'infallibilità di un soggetto si può esprimere con quello che in logica si chiama una proposizione modale: «è impossibile che questa persona si sbagli». In una modale si distingue tra il "dictum" («questa persona si sbaglia») e il "modus" («è impossibile che»). Ora in questo tipo di modale il "modus" può dare due significati differenti alla proposizione. Infatti la proposizione modale può essere presa "in sensu composito" (il "dictum" è preso come soggetto e il "modus" come "predicato") oppure "in sensu diviso" (i termini del "dictum" si trovano divisi tra soggetto e predicato e il "modus" è preso avverbialmente rispetto alla copula). Per chiarire il concetto ecco un esempio classico: prendiamo la modale «possibile est sedentem stare» («è possibile che colui che è seduto stia in piedi»). "In sensu composito" il "dictum" è preso in modo unitario e il "modus" come predicato. Il senso è: "sedentem stare est possibile" cioè "che colui che è seduto stia in piedi è possibile". In questo caso la proposizione è falsa perché lo stato di chi è seduto è incompossibile con lo stato di chi sta in piedi. "In sensu diviso" il dictum rappresenta il soggetto e il predicato, il modo invece è preso avverbialmente. Il senso è «sedens possibiliter stat» cioè «è possibile per chi è seduto stare in piedi». In questo secondo caso la proposizione è vera perché colui che è seduto conserva nello stesso momento la possibilità di cambiare stato, sta in piedi "in potenza".

Se applichiamo la distinzione all'infallibilità, «l'impossibilità di sbagliarsi» assume due valori fondamentalmente diversi. L'uno è un privilegio soprannaturale, l'altro è la semplice condizione di chi, dicendo la verità, si trova in uno stato di incompossibilità con la condizione di chi dice un errore. La frase: «è impossibile che un bambino che recita bene il Credo si sbagli», "in sensu composito" significa «che un bambino nell'atto di recitare effettivamente il Credo si sbagli al tempo stesso, è impossibile», dire il Credo e dire un errore sono stati incompossibili. La proposizione in questo caso è vera e il bambino in un certo senso è infallibile ("in sensu composito" appunto). Non si tratta di un privilegio straordinario ma del semplice fatto che la contraddizione è irrealizzabile. Invece in "sensu diviso" significa «che un bambino che recita il Credo non ha la possibilità o potenza di sbagliarsi» e allora la proposizione è falsa poiché il bambino persino nel momento di dire il Credo conserva la "potenza" di sbagliarsi, ed effettivamente successivamente potrebbe cadere in errore. In questo senso ("diviso") l'infallibilità è privilegio del Papa in quanto, quando sono riunite le condizioni richieste, cioè quando il Papa ha intenzione di obbligare la Chiesa intera e di utilizzare la sua potestà nella sua pienezza in materia di fede, grazie all'assistenza estrinseca, ma reale ed efficace dello Spirito Santo, il Papa non ha quella possibilità, quella "potenza" di cadere in errore. Notiamo che tra i due casi ("sensu diviso" e "composito") di "infallibilità", nella conseguenza tra la verità di una affermazione e l'impossibilità di sbagliarsi, esiste un rapporto inverso: nel caso di infallibilità "in sensu diviso", privilegio soprannaturale del Papa, la verità di una sua affermazione è conseguenza dell'infallibilità, mentre nell'infallibilità "in sensu composito" accade il contrario: "l'infallibilità" è conseguenza della verità dell'affermazione.

Ritornando ai "lefebvriani": non c'è nessuna pretesa di essere infallibili per privilegio soprannaturale ("in sensu diviso"). Ogni tradizionalista conserva sempre la potenza di cadere in errore. Ma il Padre Cavalcoli non può negare a nessuno la possibilità di arrivare a delle conclusioni certe mediante ragionamenti rigorosi, ricorrendo ai dati evidenti della Tradizione e agli insegnamenti certi del Magistero passato, e di essere coscienti di questa certezza. Nella misura in cui aderiamo a una conclusione certa, o a una verità contenuta chiaramente nella Tradizione, "non ci possiamo sbagliare" ("in sensu composito"). È in gioco l'oggettività della ragione e la sua capacità di cogliere il vero, come anche di sottomettersi a una regola più certa e più alta. Se diciamo la verità, il nostro stato è incompossibile con quello di chi afferma un errore: siamo, in un certo senso, "infallibili" ("infallibilità" che è conseguenza della verità della proposizione e non l'inverso, come invece accade nel privilegio di infallibilità papale). Nessun bisogno di un'assistenza particolare e straordinaria dello Spirito Santo.


Il Concilio Vaticano II: un Concilio fallibile


Certo, per opporsi all'insegnamento di un Papa o anche dei vescovi, ci vogliono delle cause gravissime, una certezza almeno morale che l'autorità nella Chiesa è nell'errore e che lavora contro il bene comune della Chiesa stessa. Il Padre Cavalcoli ci dice che questo è impossibile ma, se gli insegnamenti del Papa e dei vescovi in materia di fede non sono sempre infallibili, vuol dire che in linea di principio, seppure eccezionalmente e in epoche di crisi gravissima, non è impossibile che cadano in errore persino in materia di fede, e allora non è difficile che quest'insegnamento vada anche contro il bene comune della Chiesa.

Tuttavia il Padre sembra escludere questa possibilità visto che «perché sia dottrina infallibile - ossia assolutamente e perennemente vera (3) - non è necessario... che il Magistero dichiari... solennemente che una data proposizione è di fede, ma è sufficiente che di fatto si tratti di materia di fede». Così quello che per il Concilio Vaticano I e per i teologi era una condizione necessaria ma non sufficiente (perché ci vogliono altre tre condizioni) per il Padre diventa una condizione sufficiente anche da sola. Ricordiamo la definizione data dal Concilio Vaticano I dell'infallibilità papale: «Proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa» (DS 3074). Conseguentemente a tale definizione, i teologi hanno sempre sostenuto la necessità del verificarsi di quattro condizioni per poter avere pronunciamento infallibile straordinario: 1. da parte della persona stessa del Papa, che parli come Dottore e Pastore di tutti i Cristiani (così non è infallibile come persona privata, come Vescovo della città di Roma o in quanto "principe temporale" dello Stato della Chiesa); 2. da parte del modo in cui parla è necessario che faccia sapere chiaramente l'intenzione di definire con la sua suprema autorità un punto del dogma (quindi non esercita l'infallibilità se, anche rivolgendosi a tutti i cristiani, insegna la dottrina in modo espositivo o esortativo, oppure persino quando vuole obbligare, ma senza chiedere un assenso interno di fede); 3. da parte dell'oggetto della definizione, bisogna che sia una dottrina riguardante la fede o i costumi (l'infallibilità non si estende alle materie scientifiche per esempio, e persino nel testo stesso della definizione, l'infallibilità non si estende ai punti storici, filosofici o dogmatici che precedono o seguono la proposizione definita); 4. da parte del termine della definizione (cioè il soggetto a cui è indirizzata), è necessario che obblighi tutta la Chiesa come dottrina da credersi e che questo obbligo risulti con certezza (cosa che può sapersi grazie alle formule che accompagnano la definizione come: «dottrina tutti i fedeli devono credere o professare», oppure se i negatori della definizione sono dichiarati «scomunicati» o «estranei alla fede»).

Queste condizioni sono richieste non solo quando il Papa si pronuncia da solo, ma anche quando è riunito in Concilio con i vescovi (4). Infatti tutti i teologi ammettono che non tutte le proposizioni (anche a contenuto dogmatico) contenute negli atti di un Concilio Ecumenico godono dell'infallibilità, ma solo quelle per le quali risulti chiara e indubitabile la volontà di definire e obbligare la Chiesa Universale in materia di fede e costumi. Il criterio dell'infallibilità deve essere preso in un senso piuttosto ristretto ed è questo senza dubbio il pensiero della Chiesa, manifestatoci dal Codice di Diritto Canonico (1917) can. 1323 §3: «Declarata seu definita dogmatice res nulla intelligitur, nisi id manifeste constiterit» («Nulla deve essere ritenuto dogmaticamente dichiarato o definito se ciò non risulti in modo manifesto»).

Perciò, per quanto riguarda la "materia di fede" che secondo Padre Cavalcoli basterebbe ad assicurare l'infallibilità, se si intende la stessa cosa di "verità di fede", evidentemente ogni insegnamento del Papa o dei vescovi "in materia di fede" sarebbe infallibile almeno "in sensu composito" (solo che in questo caso dovremmo negare che si tratti effettivamente di "materia di fede" in quei punti nei quali l'insegnamento conciliare dice cose "nuove"). Ma questa concezione della condizione richiesta per l'infallibilità non è di molto aiuto poiché, se questa fosse una delle condizioni date dal Concilio Vaticano I che rendono visibile l'infallibilità, i fedeli dovrebbero anzitutto rendersi conto della verità della dottrina prima di sapere di trovarsi di fronte all'esercizio dell'infallibilità. Ma allora questo privilegio del Magistero perderebbe la sua funzione di "regola della fede" e tutta la sua utilità che è appunto quella di indicare la verità e non di presupporne la conoscenza. Bisogna allora intendere per "materia di fede" semplicemente e in modo generale "ciò che riguarda la fede" (5). Chiunque può allora rendersi facilmente conto se il Papa o i vescovi parlano di "ciò che riguarda la fede", costituendo così un buon criterio di visibilità. Soltanto che, giustamente, non essendo in questo senso una condizione sufficiente per l'infallibilità, il Papa o un Concilio potrebbero parlare "in materia di fede" e (se non ci sono le altre condizioni espressamente menzionate nel Concilio Vat. I) non essere infallibili, cioè potersi sbagliare "in materia di fede" (poiché "i contrari appartengono allo stesso genere", "l'errore nella fede" e "la verità di fede" sono entrambi in questo senso "materia di fede").

È vero, come dice Cavalcoli, che gli insegnamenti del Concilio Vaticano II non sono solo pastorali, ci sono molti insegnamenti dottrinali: anche la libertà religiosa, la collegialità e l'ecumenismo sono insegnamenti che non hanno il valore di disposizioni pastorali, bensì hanno valore di principio, effettivamente riguardano la fede. Ma ciò non è sufficiente per l'infallibilità: il Padre trasforma una condizione necessaria ma non sufficiente in una condizione necessaria e sufficiente. Invece è necessaria inoltre l'intenzione di dare un insegnamento definitivo che obblighi in maniera assoluta la Chiesa Universale. Ora "la pastoralità" del Concilio non esclude pronunciamenti in materia di fede (anzi ogni pastorale deve essere fondata su principi dottrinali), ma di fatto ha escluso l'intenzione di esercitare l'infallibilità, di imporre un insegnamento definitivo obbligante tutta la Chiesa (e una successiva dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede non cambia il valore che l'intenzione del Papa e dei vescovi ebbe al momento del Concilio). Di solito l'esercizio dell'infallibilità è presente in un Concilio Ecumenico poiché non manca mai l'intenzione definitoria, ma il Concilio Vaticano II, si sa, ha voluto essere diverso dagli altri proprio nel suo rapporto con il resto della Chiesa e il mondo, senza imporre dottrine e condannare errori (due aspetti necessari della volontà definitoria) e sta in questo la sua "pastoralità": più nella sua "forma" che nella sua "materia" insomma. Così nessun insegnamento del Concilio Vaticano II può essere definito "infallibile" ("in sensu diviso"): né a titolo di una definizione solenne e straordinaria (mancando l'intenzione espressa), né a titolo del Magistero Universale Ordinario (perché nel caso di un Concilio la Chiesa docente non è "dispersa" in tutto il mondo, caratteristica specifica del MOU, e sopratutto le novità professate nel Concilio mancano dell'universalità verticale cioè temporale necessaria a un vero Magistero ordinario che non è altro che un’eco della Tradizione), e neanche nei punti in cui riprende gli insegnamenti degli altri Concili o della Tradizione (in questo caso gli insegnamenti sono "assolutamente e definitivamente veri", ma non "infallibili" se non "in sensu composito").


Conclusione


Tenendo conto di tutte queste considerazioni, bisogna concludere che: in teoria e "a priori",

1.è possibile che, quando non ci siano le condizioni necessarie e sufficienti all'infallibilità, ci sia un errore nell'insegnamento del Papa o dei vescovi in casi peraltro rari ed eccezionali;

2.che questo errore minacci gravemente il bene comune della Chiesa;

3.che altri vescovi, sacerdoti e fedeli si rendano conto con certezza di questo errore;

4.che dunque sia lecito opporsi, con il dovuto rispetto, ma fermamente. Concretamente è possibile:

5.che vi siano degli errori del genere nei testi del Concilio e nel "Magistero" successivo visto che non è stato esercitato il privilegio d'infallibilità non essendo presenti tutte le condizioni richieste;

6.che dei vescovi, sacerdoti e fedeli si rendano conto di questi errori ricorrendo a un Magistero "più o meno anteriore a quello attuale", chiaro, costante e infallibile;

7.che si oppongano con il dovuto rispetto ma fermamente agli insegnamenti attuali per il bene comune della Chiesa e la professione integrale della fede. Quanto a sapere se sia effettivamente così, le prove certe abbondano in 50 anni di crisi e non rientra nelle intenzioni di quest'articolo esporle, ma al limite è questo che il Padre doveva contestare, qui sta «il discorso da fare»: il vero dibattito attuale deve discutere la situazione concreta e non escludere aprioristicamente delle possibilità che appaiono evidenti.


Note


(1) Utilizzando il termine "Magistero" lo prendiamo nel senso che sembra dargli il Padre Cavalcoli cioè in senso puramente soggettivo. Per il Padre sembra che sia degno del nome di "Magistero" ogni insegnamento proveniente dai soggetti della Chiesa docente: il Papa e i vescovi. Si potrebbe però discutere se sia sufficiente l'attività del soggetto insegnante per qualificare il Magistero e se non sia pure necessaria una condizione da parte dell'oggetto dell'insegnamento, cioè che si tratti di un oggetto effettivamente in continuità con la Tradizione divino-apostolica. In questo caso, l'insegnamento erroneo di un Papa o di un vescovo non meriterebbe il titolo di "Magistero"; nel caso opposto, potrebbe darsi un "Magistero" effettivamente erroneo. Faremo astrazione di questo dibattito interessante e quando parliamo di "Magistero attuale" prenderemo il termine nel senso puramente soggettivo che abbiamo detto, preferendo tuttavia la semplice espressione di "insegnamento attuale del Papa e dei vescovi" per evitare ambiguità.

(2) Si può avvicinare questa norma a quella generale dell'obbedienza dovuta ai superiori ecclesiastici: è chiaro che "di norma" gli inferiori devono obbedire ai loro superiori, ma, come nel caso dell'insegnamento, se appare un'opposizione evidente con una regola superiore e certa, non solo è lecito, ma può anche essere doveroso "disobbedire".

(3) Notiamo anche che la definizione data dell'infallibilità dal Padre non è esatta: il fatto che un soggetto pronunci una dottrina assolutamente vera non lo rende infallibile nel senso del privilegio d'infallibilità presa "in sensu diviso": sarebbe solo "infallibile in sensu composito".

(4) L'opinione più comune dei teologi è che il Concilio Ecumenico e il Papa non sono due soggetti adeguatamente distinti, quindi l'infallibilità di un Concilio sarebbe la stessa infallibilità del Papa, solo con una maggiore estensione soggettiva (cioè un più grande numero di soggetti partecipano ad essa). In ogni caso il Concilio Ecumenico non gode della suprema potestà se non in quanto le sue definizioni e i suoi decreti sono "informati" dalla stessa potestà del Papa. Si tratterebbe dunque della stessa infallibilità papale che si esercita quando il Papa è da solo, come nel Magistero pontificio straordinario, oppure quando il Papa è riunito con i Vescovi nel quadro di un Concilio Ecumenico.

(5) Ovviamente, in una definizione dottrinale che è di fatto infallibile, l'oggetto è per forza di cose una verità rivelata o connessa alla rivelazione. In questo senso i teologi parlano dell'oggetto primario dell'infallibilità (le verità formalmente rivelate) e l'oggetto secondario dell'infallibilità (le verità che non sono in sé contenute nella rivelazione ma che sono connesse alle verità formalmente rivelate in modo da risultare necessarie alla custodia dell'integrità del "depositum fidei"). Vogliamo solo dire che, da un punto di vista logico, la condizione di "materia di fede e costumi" affinché sia veramente un segno che ci indica quando il Papa può esercitare la sua infallibilità, deve essere presa nel senso generale di "qualcosa che riguarda la fede e i costumi" ed è riconosciuta in questo modo dal fedele in un momento logico anteriore alla conoscenza dell'oggetto in quanto "verità di fede". Così se il Papa volesse imporre all'intelletto dei fedeli la soluzione di un'equazione matematica, il fedele saprebbe che la prerogativa dell'infallibilità non è messa in gioco; invece se il fedele si trovasse di fronte a un discorso riguardante "il numero delle volontà in Cristo", saprebbe che il Papa può in questo caso obbligare il suo assenso di fede (se si manifestano anche le altre condizioni), senza aver bisogno di sapere prima di dare il suo assenso alla definizione quante siano effettivamente le volontà in Cristo.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/04/2011 11:24
 
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I tradizionalisti? Devono essere più proficui.

"Ecco, io ti servo da tanti anni, non ho mai trasgredito ad un tuo comando e tu non mi hai mai dato neppure un capretto per fare festa con i miei amici" (Lc 15:29). E' di certo umanamente comprensibile la reazione stizzita del fratello maggiore nella parabola evangelica del figliol prodigo. Ma non tutto ciò che è umano risulta accettabile per chi si professa cristiano.

Ed è indubbio, se non è così vorrei essere smentito, che parecchio di tale spirito trapela, non sempre soltanto tra le righe, in molti interventi di taluni esponenti delle congregazioni "Ecclesia Dei" quando si cimentano ad analizzare la tematica dei colloqui teologici fra la FSSPX e le autorità romane. Si respira infatti spesso un malcelato fastidio per l'importanza attribuita dal S. Padre a tali colloqui, una mal dissimulata speranza che essi falliscano e un senso di scavalcamento "a destra" reperibile anche in taluni movimenti laicali di antica osservanza lefebvriana. E pensare che, a differenza del personaggio evangelico, anche alcuni istituti come il Buon Pastore, secondo il loro attuale orientamento ecclesiale, sono stati anch'essi dei "figliuoli prodighi" per circa diciassette anni! Viene allora ancor più spontanea la similitudine con la nota favola esopica della "volpe e l'uva". Già; visto che a noi un tale onore non è stato concesso, è meglio delegittimare lo strumento ed auspicarne l'inutilità.

Tutto ciò però, oltre che poco edificante, presenta indubbiamente un retrogusto di "piccola bega da condominio" di insignificante lite di orizzonte ristretto e, in fin dei conti, attrae poco i fedeli tradizionalisti. E' ben vero che anche la FSSPX, specialmente in Francia, spesso non si dimostra tenera nei confronti degli "Ecclesia Dei". Gli argomenti addotti dai lefebvriani duri e puri però, seppur a volte esagerati, si riferiscono ad argomenti di portata generale: la Fede, la morale, la liturgia, questioni, in altre parole, assai meno di bottega. Ma perchè, in fin dei conti, agli istituti "Ecclesia Dei" è stata negata, fino ad oggi, la possibilità di accedere ai colloqui teologici? Perchè inoltre, e la qual cosa affligge molto tali congregazioni, non è stato loro concesso di avere vescovi propri? Alla prima domanda è relativamente facile rispondere. Visto che lo scopo dei colloqui è quello di trovare un accordo dottrinale fra la FSSPX e Roma, non ha senso che vi prenda parte chi un accordo lo ha già raggiunto a suo tempo.

La seconda questione risulta più complessa. L'idea che si ricava da alcune indiscrezioni ed impressioni personali è che il mondo "Ecclesia Dei" appaia, almeno agli occhi della Curia romana, eccessivamente frammentato, poco coeso al proprio interno ed animato da troppe rivalità di carattere personalistico. In altre parole, inaffidabile. Non so se tali impressioni siano giustificate e fino a che punto. Certo si tende assai più di frequente a porre l'accento degli osservatori sulle supposte divisioni interne della FSSPX ma tale struttura, al di là dei desideri malevoli, in fin dei conti, si dimostra assai più solida e disciplinata di altre realtà. In conclusione di queste mie semplici considerazioni vorrei precisare che non mi sento avversario degli Istituti "Ecclesia Dei". Comprendo le ragioni, senz'altro nobili, per cui alcuni di essi sono nati.

Non ho difficoltà a riconoscere loro alcuni meriti come quello di essere, tranne poche eccezioni, riusciti a difendere la Liturgia Tradizionale quando molti prevedevano un loro graduale "assorbimento" nella cosiddetta forma ordinaria. E' innegabile tuttavia che la loro battaglia, ammesso che ci sia, può essere portata avanti con armi spuntate e sostanzialmente poco efficaci. Sono infatti completamente soggetti all'autorità dei Vescovi e, chi si azzarda a dissentire, rischia di essere cacciato o quanto meno emarginato. Noto altresì una difficoltà ad emanciparsi completamente dal proprio passato ed a pensarsi a prescindere dalla questione FSSPX. La cosiddetta sindrome del transfuga condiziona ancora troppo tali congregazioni.

Sembra che molti loro esponenti, anche a distanza di decenni, si sentano ancora preoccupati soprattutto di giustificare, di fronte a sè stessi ed ai fedeli, le scelte che li portarono a separarsi, a suo tempo, dalla Fraternità. Il tempo probabilmente rimarginerà anche queste ferite dolorose. Bisognerebbe però fare uno sforzo già da adesso. La S. Chiesa ha infatti bisogno di tutti ed i tradizionalisti hanno il dovere di usare le proprie energie in modo più proficuo. .

Marco BONGI


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Vi invitiamo anche a prendere visione di quanto segue:

Approfondimento e aggiornamenti dei Dialoghi della FSSPX con la Santa Sede (2)



Fraternamente CaterinaLD

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Gnocchi e Palmaro: meglio che i lefebvriani accettino l’accordo con Roma (per salvare Roma)

Monsignor Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Da Il Foglio

L’accordo si farà oppure no? Il dialogo fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, fondata da monsignor Marcel Lefebvre, è entrato in una fase decisiva. L’esito di questo dialogo sta a cuore innanzitutto a Benedetto XVI, che lo ha promosso e alimentato personalmente; sta a cuore a tutti i sacerdoti, i religiosi e i laici che fanno parte della Fraternità; e sta a cuore a tutta quella più vasta parte del mondo cattolico che lefebvriana non è, ma che si colloca nell’area della tradizione. Per motivi diversi, anche il cattolicesimo progressista e il mondo laico osservano con grande attenzione, e qualche nervosismo.

Insomma: la partita che si sta giocando è importante e difficile, ma l’accordo non è impossibile. Molte resistenze potrebbero cadere, se solo si considerasse che, per quanto si discuta di questioni dottrinali, lo si fa per via diplomatica, anche perché è in discussione la sistemazione canonica della Fraternità San Pio X. Ci si muove su un terreno misto dove è fondamentale distinguere i piani, operazione oggettivamente non sempre facile.

Da qui il moto sussultorio con cui procede la vicenda. Se si può comprendere il disorientamento di Roma davanti alle esitazioni della Fraternità San Pio X, si deve comprendere anche la perplessità della Fraternità San Pio X quando lamenta che Roma chiede quanto non ha chiesto a nessun altro per potersi fregiare della sdrucciolevole categoria ecclesiale detta “piena comunione”.

A questo punto, nessuna delle due parti può pretendere di far pagare all’altra un prezzo inesigibile: da un lato, Roma non può chiedere alla Fraternità San Pio X di rinnegare la sua identità; dall’altro, i lefebvriani non possono pretendere che Roma perda la faccia, con una resa incondizionata e con una fiabesca rimessa in forma dell’attuale mondo cattolico, che è obiettivamente un coacervo di molte contrastanti cose.

Il successo della trattativa richiede uno sguardo che sappia tenere insieme fede e realismo. Da una parte, una visione soprannaturale: il credere che la Chiesa è a Roma, comunque e in ogni caso, nonostante stia attraversando una delle crisi più gravi della sua storia; dall’altra, la strada stretta del realismo, che punti a dare alla Fraternità San Pio X la possibilità di “fare l’esperienza della tradizione”, secondo una formula che fu coniata proprio da monsignor Marcel Lefebvre.

Per quanto possa sembrare sproporzionato, la responsabilità maggiore investe gli eredi di Lefebvre. Nella storia della Chiesa ricorre spesso la figura del nano che si carica sulle spalle il gigante. Si tratta di un compito che, oltre al rigore dottrinale e morale, richiede umiltà e carità e la consapevolezza che Roma si aiuta stando a Roma. Ma più passa il tempo, più si rischia di pensare che esista solo un’alternativa tra due vie: la sirena di chi invita a non concludere perché le condizioni della Chiesa sono troppo gravi; e la sirena di chi invita a concludere senza discutere perché in fondo va tutto bene. L’una e l’altra via non si confanno al senso più intimo di un’istituzione come la Fraternità San Pio X, sorta in seguito alla indiscutibile crisi abbattutasi sulla Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Come spesso capita quando si prospetta un bivio, in realtà esiste una terza alternativa che, in questo caso, recita più o meno così: la questione deve essere conclusa al più presto proprio perché la situazione è grave, in vista del bene di tutta la Chiesa.

In tale operazione, la Fraternità San Pio X non può essere lasciata sola davanti a una responsabilità tanto grande. E in questo fa da garante Benedetto XVI. Non si può negare che questo Papa abbia caratterizzato il proprio pontificato rimettendo in onore la Messa gregoriana, ritirando la scomunica ai vescovi della Fraternità e avviando i colloqui dottrinali sui punti caldi: tutte condizioni richieste dagli eredi di Lefebvre. Questo fatto non può essere ignorato né dalla Fraternità San Pio X, nè dai negoziatori che rappresentano Roma. I quali sanno benissimo che c’è più cattolicesimo nella comunità lefebvriana, pur canonicamente irregolare, che in molte comunità regolarissime interne al mondo cattolico. E’ giunta l’ora di mettere fine a questo paradosso, con un atto di buona volontà e insieme di buon senso. Da entrambe le parti.


*************


[SM=g1740738] il mio personale appello:

Un grazie di cuore ad Alessandro e Mario..... forse le nostre singole voci non sarebbero mai giunte a mons. Fellay, ma ma queste due voci si, potrebbero giungere e portare molto buon frutto...
 
mons. Fellay, lei è Vescovo e non solo di una piccola porzione di gregge a causa della situazione canonica.... ma con l'Ordinazione lei e gli altri 4 Vescovi lo siete di tutta la Chiesa e in questo gregge ci siamo anche noi, ci sono molti cattolici che hanno bisogno di Vescovi come voi, ma con certi paradossi, come ben spiegano Alessandro e Mario, non si costruisce la Chiesa, nè si pone riparo ai tanti errori fatti...
 
Vi imploro, come direbbe santa Caterina da Siena, vi imploro ad aiutare il Papa dentro la Chiesa con quel diritto che l'Ordinazione vi ha dato quale onere, quale martirio, è giunta l'ora di tornare anche canonicamente!  
Sono convinta che anche mons. Lefebvre la pensa, oggi, così.... altrimenti la sua battaglia a cosa sarebbe servita?  
Era giusto stare canonicamente fuori fino a quando non sarebbero stati riconosciuti certi errori, ed è stato fatto, Benedetto XVI lo ha fatto, per il resto si può lavorare con una regolamentazione canonica perchè è giusto che nella Chiesa ci siano anche delle regole da abbracciare, anche quando non ci piacciono molto e sono causa di forti incomprensioni.  
Attualmente la spaccatura del mondo Tradizionale sta aumentando anche a causa della vostra posizione, se Voi accoglierete la mano tesa dal Papa, vedrete, il mondo Tradizionale si compatterà e si lavorerà meglio per la Chiesa... 

Coraggio! è il momento buono, rammentate il momento in cui anche per il Signore era giunto il momento di sacrificarsi.... per questo Egli era venuto, ed è per questo che mons. Lefebvre ha fatto ciò che ha fatto, ora è il momento di salire davvero sul Calvario...  
Un ricordo quotidiano nel Rosario!  
[SM=g1740720] Christus Vincit!



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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01/08/2012 11:16
 
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“Senza la fede è impossibile piacere a Dio” – Eb. XI, 6...

 
Commenti settimanali di
di S. Ecc. Mons. Richard Williamson
Vescovo della Fraternità Sacerdotale San Pio X

28 luglio 2012
 
Pubblichiamo il commento di S. Ecc. Mons. Richard Willamson relativo alla impossibilità di accettare il conciliarismo che vige oggi nella Chiesa, anche se si trattasse della celebrazione della S. Messa tridentina; a maggior ragione nell'eventualità di un accordo pratico fra Roma e la FSSPX.
Questi commenti sono reperibili tramite il seguente accesso controllato:
http://www.dinoscopus.org/italiano/italianiprincipale.html

 
Infezione conciliare

I cattolici che desiderano mantenere la fede, possono assistere ad una Messa tridentina celebrata da un sacerdote che fa parte della Chiesa conciliare, per esempio, appartenente all’Istituto Cristo Re o alla Fraternità San Pietro? La risposta dev’essere che, di regola, un cattolico non può assistere a tale Messa, anche se si tratta di una Messa tridentina e anche se è degnamente celebrata.
Quale può essere la giustificazione per una tale norma apparentemente rigida?

La ragione fondamentale è che la Fede cattolica è più importante della Messa.
Se, non per colpa mia, non posso assistere alla Messa anche per lungo tempo, ma mantengo la fede, posso ancora salvare la mia anima; se invece perdo la fede, ma in qualche modo continuo ad assistere alla Messa, non potrò salvare la mia anima (“Senza la fede è impossibile piacerea Dio” – Eb. XI, 6). Cosicché io assisto alla Messa per vivere la mia fede e, conoscendo l’interdipendenza di fede e culto, io assisto alla vera Messa per conservare la vera fede.
Non mantengo la fede allo scopo di assistere alla Messa.

Ne consegue che se la celebrazione di una Messa tridentina è accompagnata da circostanze che rischiano di minare la mia fede, a seconda della gravità del rischio non posso assistere a tale Messa. È per questo che, nonostante le Messe celebrate dai preti ortodossi scismatici possano essere valide, la Chiesa, quand’era sana, usava proibire ai cattolici di assistervi sotto pena di peccato grave, perché, visto che il credo e il culto sono interdipendenti, il culto non cattolico minaccia la fede dei cattolici. Ora, nel corso dei secoli l’Ortodossia ha causato un danno enorme alla Chiesa cattolica, ma questo è paragonabile alla devastazione operata nella Chiesa, in sole poche decine di anni, dal conciliarismo? Se dunque ai cattolici è stato vietato di assistere alla Messa accompagnata dalle circostanze ortodosse, non è normale che la Chiesa sana proibisca l’assistenza alla Messa tridentina accompagnata dalle circostanze conciliari?

Ma cosa s’intende per circostanze conciliari?
La risposta che s’impone è: ogni circostanza che, in un tempo più o meno lungo, finisce col farmi pensare che il Concilio Vaticano II non sia stato un immane disastro per la Chiesa. Tale circostanza potrebbe consistere, per esempio, in un simpatico sacerdote che crede che non ci sia alcun problema nel celebrare o la nuova o la vecchia Messa, e che predica e agisce come se il Concilio non presentasse alcun serio problema. Il conciliarismo è così pericoloso perché può essere praticato in modo da sembrare cattolico, tale che io possa perdere la fede senza – o quasi senza – rendermene conto.

Naturalmente, il buon senso permette di prendere in considerazione tutta una serie di circostanze particolari. Per esempio quella di un buon sacerdote che, intrappolato nella Chiesa conciliare, potrebbe aver bisogno del mio incoraggiamento per incominciare a venirne fuori, proprio attraverso la mia assistenza alle sue prime celebrazioni della vera Messa. Ma la regola generale deve rimanere quella che io non debbo avere niente a che fare con una vera Messa celebrata in un contesto conciliare. Come conferma, si guardi a come Roma, con l’Istituto del Buon Pastore, abbia iniziato permettendogli di celebrare esclusivamente la vera Messa: Roma sapeva che una volta che l’Istituto avesse abboccato all’amo ufficiale, alla fine avrebbe potuto sicuramente tirarlo nella sua rete conciliare. Infatti, sono bastati appena cinque anni.

Questo è il pericolo di ogni accordo pratico senza previo accordo dottrinale fra Roma e la Fraternità San Pio X. Fino a quando Roma crederà nella sua dottrina conciliare non potrà non utilizzare un tale accordo per spingere la FSSPX in direzione del Concilio, e il contesto di ogni Messa celebrata dalla FSSPX diverrebbe conciliare, se non rapidamente, certo nel lungo periodo.
Uomo avvisato è mezzo salvato.
 
Kyrie Kyrie eleison.

Londra, Inghilterra




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[SM=g1740733]riflessione........

La fede cattolica è più importante della Messa?

 

Prima di addentrarci nell'argomento voglio farvi conoscere questo fatto vero:

 

Un Padre domenicano della Provincia delle Filippine, P. Florentino Castarñon, fu incaricato dal suo Superiore nel 1951 di partire missionario per le isole Babuyanes. Gli abitanti di quelle isole non vedevano infatti un missionario da varie generazioni. L'ultimo era stato ancora un domenicano, che prima di lasciarli aveva detto loro: Se verrà qualcuno da voi a presentarsi come ministro della vera religione, accoglietelo solo se viene col Rosario. Quando dunque, dopo circa un secolo, videro arrivare quel Padre, osservarono subito che aveva la corona. Vedendola appesa alla sua cintura, felicissimi lo accolsero tra loro.

Il missionario, visitandoli, restò meravigliato anzitutto di vedere che tutti erano regolarmente battezzati e conoscevano bene i principali misteri della fede. Come mai? Tra loro uno era incaricato di riunirli tutte le domeniche per la recita del Rosario. Poi provvedeva a battezzare i bambini. Così per  un secolo. La gente, essendo domenica, recitava sempre i misteri gloriosi (e aveva dimenticato gli altri), ma essi erano stati sufficienti per conservare quel popolo nella fede cattolica.

(Da una lettera del Provinciale a tutti i religiosi, del 29/10/1972)

 

Per un secolo questa gente non aveva più ricevuto l'Eucaristia, non aveva avuto più la Messa, eppure seppero conservare la fede cattolica. Ci è lecito pensare ragionevolmente che le persone che si sono succedute in questo secolo, che sono morte professando questa fede, e che per grazia si sono mantenute lontano da qualche peccato mortale, si sono tutte salvate perché si mantennero fedeli alla fede che avevano ricevuto. Inoltre abbiamo le molte promesse della Vergine Santa a chi si fosse prodigato con il Suo Rosario.

La domanda che ci siamo posti è curiosa ma attualissima, perché alcuni ambienti tradizionalisti affermano che il vero cattolico per conservare la vera fede non deve andare alla Messa "della Chiesa conciliare" anche se celebrasse il rito antico, quindi non può andare neppure alle Messe celebrate dalla Fraternità san Pietro, per esempio, o da altri ambienti tradizionali in comunione con Roma.

Ora, se è vero che è più importante la fede cattolica della Messa è anche vero che la situazione nella quale sarebbe difficile o impossibile andare alla Messa, non è quella paventata da mons. Williamson, ma piuttosto come esposto anche da quel racconto, l'impedimento deve avere ben altre ragioni: Messe invalide, sacerdoti sospesi, messe protestanti, assenza di preti, o come nel caso attuale della chiesa cinese costruita sulla creazione di vescovi non riconosciuti dal Pontefice e dunque senza il mandato, ecc...

In questi casi la fede cattolica ben conservata e vissuta, sarà sufficiente a salvare le anime dei fedeli che verrebbero a trovarsi in queste situazioni. Ma per mons. Williamson anche se una Messa autentica, persino "tridentina" (termine sbagliato, ma sopportabile) venisse celebrata in san Pietro o in ambienti sani alla Tradizione, questa non dovrà essere presa in considerazione dal vero fedele cattolico!

Le contraddizioni sono palesi.

Se è vero come ricorda mons. Williamson: “Senza la fede è impossibile piacere a Dio” – Eb. XI, 6, egli altrettanto dimentica che questa fede di cui parla ha bisogno di essere confermata da Pietro: ego autem rogavi pro te, ut non deficiat fides tua. Et tu, aliquando conversus, confirma fratres tuos ”.  / ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc.22,32).

Secondo il ragionamento di mons. Williamson Gesù avrebbe così smesso di pregare per Pietro da ben 50 anni, e quindi da ben 50 anni Pietro non sarebbe più in grado di "confermare i fratelli nella fede", in compenso Gesù avrebbe delegato a mons. Williamson la potestà petrina.... ossia, è lui ora che "conferma" i fedeli nella fede e decide quale Messa essi possano o non possano assistere, e peggio, una Messa per esempio, celebrata da un Sacerdote della Fraternità san Pietro come avviene a Roma nella Chiesa della SS.ma Trinità o a Venezia o altrove, non sarebbe valida semplicemente perché non sono "lefebvriani", perché hanno fatto compromessi con la Roma del Concilio....

Se non rammento male di recente lo stesso mons. Fellay ha ammesso e riconosciuto che persino la Messa riformata celebrata dal Papa è valida, anche se per ovvie ragioni essi sostengono che non è legittima, resta palese che quella Messa è riconosciuta valida, mentre qui mons. Williamson arriva ad affermare che non sarebbe valida neppure quella  nella forma antica celebrata dalla FSSP o dall'Istituto Cristo Re...

Rammentiamo a mons. Williamson che tutti i fedeli hanno il dovere e persino l'obbligo di obbedire ai propri Vescovi, sì, ma quelli in comunione con Roma. E non potrebbe essere diversamente giacché le rivendicazioni da lui mosse, potrebbero (e lo sono) essere mosse in altri ambienti, per altri problemi, per altri argomenti come quello dei vescovi che vogliono il sacerdozio femminile o il clero sposato, o basti pensare ai seguaci del vescovo Donato detti donatisti, o altre diavolerie, e trovare seguaci, molti fedeli seguaci quando questi seguissero appunto un vescovo non in comunione con Pietro. Un vescovo potrebbe dire quello che vuole, ma la fede di cui parliamo e che è senza dubbio superiore alla Messa in tal senso, deve essere confermata da Pietro e non da mons. Williamson!

Inoltre egli neppure insinua ma afferma, che persino la Messa antica celebrata da un sacerdote della FSSP metterebbe a rischio la fede autentica del cattolico. Questa è superbia bella e buona!

Che il "conciliarismo" sia ed è pericoloso concordo pienamente, ma non è l'unico, mons. Williamson, a combatterlo. In questi anni si sono generati termini e slogan che stanno davvero compromettendo la buona riuscita della correzione degli abusi avvenuti non a causa del Concilio ma in suo nome!

Ciò che dobbiamo cercare è la comprensione di cosa volesse dare alla Chiesa e al mondo il Concilio, dice infatti l'ultimo Documento ufficiale redatto dalla FSSPX:

"Per tutte le novità del Concilio Vaticano II che restano viziate da errori, e per le riforme che ne sono derivate, la Fraternità può solo continuare ad attenersi alle affermazioni e agli insegnamenti del Magistero costante della Chiesa; essa trova la sua guida in questo Magistero ininterrotto che, con la sua azione di insegnamento,trasmette il deposito rivelato in perfetta armonia con tutto ciò che la Chiesa intera ha sempre creduto, in ogni luogo."

Questo "magistero ininterrotto" si è forse interrotto 50 anni fa, oppure lo si intende ancora oggi in continuità? Delle due l'una, non si scappa: se esso è interrotto allora si è sedevacantisti, ma non è così che la pensa mons. Fellay. Se questo magistero è invece ininterrotto va da se che almeno nella Messa di sempre celebrata in ambienti tradizionali in comunione con Roma, si deve fare lo sforzo di trovarsi "in un cuore solo e in un anima sola" e non sobillare i fedeli ad una sommossa liturgica senza senso dopo la grande fatica che tutto il mondo della tradizione, rimasta sempre fedele al Papa, sta portando avanti.

Non dunque il Concilio in sé ma "quelle novità... che restano viziate da errori" portate avanti in nome del Concilio, devono essere rimosse attraverso il Magistero Petrino e non attraverso soluzioni arbitrarie e soggettive.

Sia la fede cattolica quanto la Messa, non sono fatti soggettivi, la Chiesa vive e si esprime sia nella fede quanto nella Liturgia, in modo oggettivo e proprio questo ha sempre evitato alla Chiesa il rischio di una fede del fai da te.... il fatto che ci siano degli abusi non può mettere in discussione la Messa nella forma antica che oggi si è tornata a celebrare in tutta la Chiesa!

Infine e come esempio, mons. Williamson scrive:

"Naturalmente, il buon senso permette di prendere in considerazione tutta una serie di circostanze particolari. Per esempio quella di un buon sacerdote che, intrappolato nella Chiesa conciliare, potrebbe aver bisogno del mio incoraggiamento per incominciare a venirne fuori, proprio attraverso la mia assistenza alle sue prime celebrazioni della vera Messa. Ma la regola generale deve rimanere quella che io non debbo avere niente a che fare con una vera Messa celebrata in un contesto conciliare. Come conferma, si guardi a come Roma, con l’Istituto del Buon Pastore, abbia iniziato permettendogli di celebrare esclusivamente la vera Messa: Roma sapeva che una volta che l’Istituto avesse abboccato all’amo ufficiale, alla fine avrebbe potuto sicuramente tirarlo nella sua rete conciliare. Infatti, sono bastati appena cinque anni".

Ma questo è assurdo!

Innanzi tutto il caso avvenuto con l'Istituto Buon Pastore non è una conferma, semmai è l'esempio chiaro che a Satana da molto fastidio che Roma abbia dato a questi ambienti il carattere della Tradizione attraverso la Liturgia.... in secondo luogo il mons. coinvolto in quello scambio di lettere (vergognoso) è stato spostato di sede... semmai ciò può solo confermarmi che dove si è attentato a fare un danno, Qualcuno questo non lo ha permesso, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi!

Poi "un sacerdote intrappolato nella Chiesa conciliare" ?? suvvia! Quindi secondo mons. Williamson tutti i cinquemila vescovi sparsi nel mondo sarebbero intrappolati e di conseguenza non idonei a celebrare la Messa..... tutti i 400mila Sacerdoti (secondo i dati dell'annuario pontificio del 2011) sparsi nel mondo tra diocesani e religiosi, sarebbero intrappolati e non idonei a celebrare la Messa.... ma allora scusate, la promessa di Cristo è stata una menzogna! Le porte degli inferi avrebbero già prevalso e da 50 anni a questa parte noi avremmo sacerdoti "intrappolati" in una chiesa matrigna.... suvvia!!

Di conseguenza la fede sarebbe rimasta incorrotta soltanto nella FSSPX e soltanto sotto l'ala ministeriale di mons. Williamson che a questo punto sarebbe papa di se stesso....

Non possiamo tacere di fronte a tanta superbia!

Non possiamo tacere semplicemente perché tutto questo non è affatto vero e mons. Williamson non rende giustizia neppure alle dichiarazioni più equilibrate fatte da mons. Fellay: " Noi ci uniamo agli altri cristiani perseguitati nei diversi paesi del mondo, che soffrono per la fede cattolica, spesso fino al martirio. Il loro sangue versato in unione con la Vittima dei nostri altari è la prova del rinnovamento della Chiesa in capite et membris, secondo il vecchio adagio «sanguismartyrum semen christianorum». "

A tal proposito, fra questi martiri del nostro tempo citati da mons. Fellay, segnalo il caso di un ragazzo di 15 anni. Nell'attentato di qualche mese fa in Nigeria questi giovani erano alla Messa quando un ordigno ha ucciso il prete mentre celebrava l'Eucaristia e ha fatto una strage tra i fedeli. La mamma di questo ragazzo ucciso, intervistata, ha detto: " Avevo chiesto a mio figlio di non andare alla Messa perché eravamo stati minacciati, tutto il villaggio, sapevamo che sarebbe potuto accadere qualcosa di grave, ma lui mi ha detto: < Mamma, sono un  cristiano e Gesù mi aspetta alla Messa, non voglio mancare....>, io sono davvero orgogliosa di lui...", queste sono le ultime parole di un giovane cattolico, martire a soli 15 anni, che stava alla Messa della Chiesa Cattolica in comunione con il Papa.

 

LDCaterina63

[Modificato da Caterina63 03/08/2012 13:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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