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CHIAMAMI "PADRE" ( di don Novello Pederzini)

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 19:35
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21/09/2009 19:28

4.

DIO, NOSTRO PADRE


Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell 'eredità che ci hai promesso.

(Colletta della 19° Domenica del Tempo ordinario)



Dio, nostro Padre



FIN D'ORA SIAMO FIGLI DI DIO!



Due testi fondamentali per comprendere.

1. Il Verbo «venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accol­to. A quanti però lo hanno accolto, ha dato il potere di di­ventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (Gv 1, 11 - 13).

2. «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Caris­simi, fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non èstato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 1-2).



CON SENSO DI STUPORE, QUASI DI ESTASI!



L'Amore del Padre ha fatto di noi dei figli: è incredibile, ma vero!

E l'Apostolo Giovanni, testimone attento e fedele, scrivendo queste cose è preso da un senso di stupore, quasi di estasi!

Non è possibile non commuoversi di fronte a un annuncio come questo!

Non si tratta di una comunicazione ordinaria e scontata, ma di un messaggio che trascende:

- ogni pensiero,

- ogni immaginazione,

- ogni aspettativa.

È un annuncio che innalza l'uomo dalla sua normale condi­zione limitata alla vertiginosa altezza di una vita superiore e divina.

È un salto di qualità senza precedenti e senza confronti!

È ben comprensibile lo stupore dell' Apostolo! Egli ci dice che il Padre, nel suo amore per noi,

- ci unisce realmente al suo Figlio, così da farci una sola co­sa con Lui;

- ci genera, sia pure in maniera diversa, nella stessa genera­zione del suo medesimo Figlio;

- si dona a noi nel suo Figlio, facendosi una sola cosa con Lui;

- ci fa suoi figli, nel Figlio suo;

- ci fa partecipi della sua stessa vita divina.



SIAMO CHIAMATI FIGLI



Quando nasciamo non siamo figli di Dio, ma semplicemente sue creature.



Dio è Creatore perché, nel seme generato dai genitori, Egli infonde l'anima, che è il principio dinamico della vita.

Per diventare suoi figli, occorre un ulteriore intervento so­prannaturale, una seconda generazione.

Cerchiamo di capire.

Figlio è colui che procede da un altro per via di naturale gene­razione.

La generazione è l'origine di un vivente da un altro vivente della stessa specie.

Noi siamo figli dei nostri genitori perché ci hanno generato nella loro identica specie. Un tavolo non può dirsi generato dal falegname, perché il tavolo non è un essere vivente e non pro­viene dal falegname per via di naturale generazione.

Siamo figli dei nostri genitori e, insieme, creature di Dio, per­ché Dio ha infuso in noi quell'anima intelligente che ci fa vive­re e ci fa comprendere.

L'essere uomini, sia maschio che femmina, significa già pos­sedere una grande dignità.

Nella "scala degli esseri" l'uomo è al vertice di una scala che parte dai minerali e prosegue con le piante e gli animali. E anzi, di essi, il signore e il sacerdote, perché tutto è stato creato per lui, e di essi egli è l'interprete intelligente e cosciente per dar lode al Creatore.

È già tanto così!

Ma qui nasce lo stupore: nell'apprendere che il Padre ha volu­to per l'uomo un ulteriore salto di dignità e di qualità, un ulteriore intervento creativo, una seconda generazione.

Questa rigenerazione, ci dice Giovanni,

- non è dovuta al volere di uomo,

- non si realizza attraverso i canali della carne e del sangue,

- non è imposta a nessuno, ma è liberamente offerta a quan­ti accolgono il Figlio di Dio e credono in Lui.

Tutto si opera nel Battesimo, che ci immerge nel mistero della Morte e Risurrezione di Cristo Salvatore e opera quella realtà per la quale diventiamo

- figli di Dio,

- figli nel Figlio,

- figli come il Figlio,

con una sola differenza: Gesù è figlio per natura; noi lo diven­tiamo per partecipazione.



LO SIAMO REALMENTE!



L'amore di Dio verso l'uomo era già motivo di stupore per gli uomini dell'Antico Testamento:

Esclama il Salmista: «che cosa è l'uomo perché te ne ricor­di...?»(Sal8,5).

Il Dio onnipotente e trascendente aveva scelto Israele e aveva stretto con lui un'alleanza sponsale, ma non aveva ancora fatto dell'uomo un suo figlio.

Anche se Dio nell'Antico Testamento veniva, a volte, chiamato Padre, la paternità divina si estendeva a tutto il popolo "nel suo insieme" e in senso metaforico.

È nel Nuovo Testamento che l'uomo:

- entra nel mistero della vita intima divina,

- diviene partecipe di questa vita divina,

- diventa personalmente figlio di Dio. Diviene figlio:

- il singolo uomo,

- il singolo credente,

- il singolo battezzato,

e non l'umanità nel suo complesso, il "popolo di Dio" nel suo insieme, la Chiesa come realtà mistica.



È COLMATO L'ABISSO!



Siamo figli di Dio!

E diventando tali, veniamo in un certo senso a colmare l'abis­so, per sé invalicabile, che separa l'uomo finito dal Dio infi­nito.

Padre è colui che comunica a qualcuno la sua stessa natura. Dio Padre comunica la sua stessa natura al Figlio, che è tale perché è "della stessa sostanza del Padre".

Ma questo unico Figlio, incarnandosi, è divenuto una cosa sola con noi, e noi, in un certo modo, diveniamo "figli nel Figlio".



NELL'UNICO FIGLIO DIVENTIAMO TUTTI FRATELLI



Nell'unico Figlio diventiamo, dunque, tutti fratelli.

Tutti: cioè gli uomini che, senza alcuna distinzione, liberamente accettano di diventare partecipi dell'unica natura divina.

E diventando figli, diventano fratelli, perché acquistano la generazione dal Padre e la comunione col suo unico Figlio.

È dunque questo l'autentico fondamento della cristiana frater­nità: la comune dignità di figli.

Siamo tutti fratelli perché diciamo "Padre" alla stessa Per­sona, e perché il Primogenito, Gesù, ci unisce in Lui in un unico Corpo, in un'unica realtà divina.



"CIO’ CHE SAREMO NON È ANCORA RIVELATO"



Ma non tutto è ancora stato rivelato, e quindi non tutto è anco­ra evidente.

Occorre fare un arduo passaggio da ciò che è visibile a ciò che è invisibile.

Ogni realtà sensibile è segno di una realtà sopra-sensibile. Occorre fare un balzo nella fede per riuscire a immaginare ciò che è ancora nascosto.

Il Regno di Dio sulla terra, la Chiesa, racchiude realtà divine, ma agli occhi terreni, queste realtà sono ben poca cosa~ Basta pensare all'Eucaristia: che cosa c'è di più umile di quella piccola ostia? Eppure è segno e presenza del Corpo di Gesù!

Noi siamo una realtà fragile e mortale, ma già possediamo una tale dignità che ci farà esplodere di gioia nel momento nel

quale essa ci sarà pienamente e definitivamente rivelata. È celebre la frase di J. H. Newman: «Grace is glory in exile. Glory is grace at home» (La grazia è la gloria in esilio. La glo­ria è la grazia giunta a casa).



"GIÀ" E "NON ANCORA"



Il Padre fa di noi dei figli.

Nati da un padre e da una madre che ci hanno trasmesso le real­tà terrene, nel Battesimo siamo rinati a figli delle realtà celesti.

Ora siamo come un feto immaturo, a mezza strada:

- fra il passato e il futuro,

- fra le cose che vediamo e quelle che non vediamo,

- fra il bene e il male,

- fra il rischio di accogliere il dono divino o di rifiutarlo,

in una lotta perenne con le nostre cattive tendenze e con l'azio­ne di Satana che ci ostacola, con ogni mezzo, nel nostro cammi­no incontro alla piena e perfetta figliolanza divina.

Non siamo in una posizione né facile né comoda, e per questo soffriamo:

- di incompletezza, perché non abbiamo ancora la maturità definitiva;

di cecità, perché siamo chiusi nelle cose, non vediamo ancora con chiarezza;

di nostalgia, perché abbiamo già nelle vene il sangue di Dio e siamo costretti a sopportare il sangue turbolento e malato di uomini.'



L'UNICO PROGETTO DEL PADRE: FARCI SUOI FIGLI COMPLETI



Farci suoi figli: non in senso ontologico, perché col Battesimo lo siamo già, ma in senso morale, cioè nel senso di una matu­rità che ci porta a essere figli in senso completo.

La nostra storia terrena non è che la storia della nostra gestazio­ne come figli di Dio.

Siamo come il feto nel seno della mamma.

Noi amiamo il ventre della mamma, ma ne siamo usciti appena abbiamo potuto.

Non basta essere concepiti: bisogna uscire dal seno materno, crescere, svilupparsi in piena autonomia personale.

Il cosmo e la storia sono come il seno immenso e molteplice dove si compie questa nostra gestazione, e tutto è predisposto per questo.

E se l'unico progetto divino è quello di farci pienamente figli, è bello pensare alla presenza di un Padre che lavora per noi e con noi per realizzare il suo progetto.

Il progetto non è finito e il lavoro non è ancora compiuto: se fosse finito, sarebbe già la fine del mondo!

E infatti "tutta la creazione, anelando alla gloriosa manifestazione dei figli di Dio, geme e soffre nei dolori del parto" (cf. Rm 8, 19-22). Chi vive nella fede, è consapevole di stare realizzando in se stesso un piano superiore e a lieto fine.

- Sa di dover andare oltre le realtà contingenti e sensibili.

- Sa che il meglio per lui è nel futuro.

- Sa che il domani sarà meglio dell'oggi.

- Sa che il Padre lo sta attirando, attraverso vie misteriose e spesso dolorose, verso una maturità che sarà piena solo quando riuscirà a vivere totalmente la sua realtà di figlio.

E quando, divenuto pienamente figlio, lascerà questa terra nella quale è stato generato, potrà dire con entusiasmo: finalmente! Finalmente sono giunto a casa, da mio Padre!



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