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I 6 peccati contro lo Spirito Santo, i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio

Ultimo Aggiornamento: 16/02/2012 12:13
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Peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio

di padre Giovanni Scalese,
da
Senza peli sulla lingua (05/08/09)


Nel mio post di lunedí scorso affermavo che, secondo me, la grande colpa dell’Europa è l’apostasia; e identificavo questa con uno dei “sei peccati contro lo Spirito Santo”: impugnare la verità conosciuta.

Chi, come me, nella sua infanzia, ha studiato il Catechismo di San Pio X, ricorderà che gli altri cinque peccati sono rispettivamente:
disperazione della salute;
presunzione di sal­varsi senza merito;
invidia della grazia altrui;
ostinazione nei peccati;
impenitenza finale.

E ricorderà pure che «I peccati contro lo Spirito Santo sono dei piú gravi e funesti, perché con essi l’uomo si oppone ai doni spirituali della verità e della grazia, e perciò, anche potendolo, difficilmente si converte» (n. 153). Sarà pur stato troppo schematico e mnemonico, però il Catechismo della dottrina cristiana, io lo trovavo molto comodo e pratico per la sua chiarezza, tanto che vi ho sempre fatto riferimento (pur con qualche adattamento) nell’insegnamento del catechismo ai fanciulli.

Personalmente, trovo molto ben fatti sia il Catechismo della Chiesa Cattolica sia il suo successivo Compendio. Adesso, per esempio, sto usando il
Compendio per fare il catechismo ai seminaristi del primo anno (eh sí, vi sembrerà strano, ma ora nei seminari, durante il primo anno, prima di iniziare qualsiasi altro tipo di formazione, bisogna dare una istruzione catechetica di base, insieme a un avviamento alla vita spirituale e a un’integrazione della preparazione culturale), e non posso proprio lamentarmi: in sintesi c’è tutto.

Però devo riconoscere che certe definizioni cosí precise, chiare e incisive si sono perse. Che cosa dice il CCC a proposito dei peccati contro lo Spirito Santo? «“Qualunque peccato o bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata” (Mt 12, 31). La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna» (n. 1864). Per carità, tutto giusto; il nuovo testo sarà pure biblicamente e teologicamente piú ricco; ma… l’elencazione di quei “sei peccati contro lo Spirito Santo” mi sembrava assai piú esplicita e incisiva.

Mi veniva in mente tale riflessione in questi giorni, a proposito della pillola RU486. Direte: che c’entra?

Nel Catechismo di San Pio X, dopo i “sei peccati contro lo Spirito Santo”, venivano elencati i “quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”:
omicidio volontario;
peccato impuro contro natura;
oppressione dei poveri;
defraudare la mercede agli operai.

Di tali peccati si diceva: «I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, sono dei piú gravi e funesti, perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi, tanto che provocano, piú degli altri, i castighi di Dio» (n. 154).
Tali peccati sono diventati, nel nuovo Catechismo, i “peccati che gridano verso il cielo”: «Gridano verso il cielo: il sangue di Abele (cf Gen 4, 10);
il peccato dei Sodomiti (cf Gen 18, 20; Gen 19, 13);
il lamento del popolo oppresso in Egitto (cf Es 3, 7-10);
il lamento del forestiero, della vedova e dell’orfano (cf Es 22, 20-22);
l’ingiustizia verso il salariato (cf Dt 24, 14-15; Gc 5, 4)» (n. 1867).

Anche qui, le medesime osservazioni: tutto giustissimo; ma non vi sembra che non ci sentiamo affatto coinvolti? Che cosa volete che mi importi del popolo oppresso in Egitto quattromila anni fa? (Fra parentesi devo lamentare che nel Compendio si è persa qualsiasi traccia tanto della bestemmia contro lo Spirito Santo quanto dei peccati che gridano al cielo, sia nel testo che nelle “formule di dottrina cattolica” finali).

Ebbene, mi tornavano in mente i “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio” a proposito della RU486, perché, forse, sarebbe assai piú incisivo, da parte della Chiesa, rammentare agli uomini che l’aborto è un “peccato che grida vendetta al cospetto di Dio” e che, come tale, provoca, piú degli altri, i castighi di Dio. Certamente, nessuno può accusare la Chiesa di silenzio di fronte alla tragedia dell’aborto.
Se c’è una cosa che non si può rimproverare alla Chiesa odierna è uno scarso impegno in difesa della vita. Anche nel caso della pillola abortiva immediata è stata la reazione delle gerarchie ecclesiastiche. Mons. Sgreccia ha ribadito che si tratta di un vero e proprio aborto e, come tale, è un delitto e peccato in senso morale e giuridico e quindi comporta la scomunica latae sententiae. Giustissimo.
 
Pensate però che parlare di scomunica, nella situazione attuale, sia sufficiente? Non credo che la gente oggi sia poi cosí preoccupata di essere scomunicata. Non sarebbe invece costretta a riflettere se le ricordassimo che si tratta di un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio?


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/02/2011 18:36
 
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Intervento del segretario della Conferenza episcopale italiana Mariano Crociata

La testimonianza
via di accesso alla verità


MODENA, 23. Perché la verità deve avere un prezzo? E qual è il rapporto fra la testimonianza e la verità? Attorno a queste due domande - che "denotano entrambe l'indisponibilità e l'inaccessibilità immediata della verità" - si è articolato l'intervento tenuto ieri sera a Carpi (Modena) dal vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), a conclusione del ciclo di incontri "I martedì di Sant'Ignazio" organizzati dalla diocesi sul tema
 
"La verità: una, nessuna o centomila?".

Per monsignor Crociata, in diversi ambiti dell'umano (storico, giudiziario, scientifico), è sempre necessaria una qualche mediazione per accedere alla verità; e in più di un caso entra in gioco la testimonianza, e cioè "la parola con cui qualcuno riferisce di conoscere, per aver visto e saputo qualcosa, per cognizione acquisita e documentata che può offrire".
In questi casi si può dire che la verità abbia un prezzo; prezzo e testimonianza la cui richiesta si fa ancor più esigente quando è in gioco "l'orientamento ultimo della coscienza, le domande e le scelte decisive della vita". La verità assume in questo senso - spiega il segretario generale della Cei - "l'aspetto di ciò che conferisce valore definitivo alla persona e alla sua vita, perché si propone con il carattere del fondamento".

Nella relazione, intitolata Il prezzo della verità e la testimonianza, Crociata invita a non perdere di vista il fondamento antropologico della testimonianza e il suo rapporto costitutivo con la verità. Un rapporto che risalta nella comprensione e nell'esperienza cristiana della realtà. Per questo - afferma il vescovo - "la riscoperta del senso cristiano della verità e della testimonianza ha il valore non solo di riportare all'attenzione una dimensione costitutiva della fede e dell'esistenza credente, ma anche di contribuire alla ricomposizione di una cultura segnata dalla dissociazione e minacciata di dissoluzione".

Ciò vale specialmente in un tempo "in cui tutto ciò che ha a che fare con l'ambito dei valori, delle credenze, della scelta ideale, religiosa e morale tende a essere rigorosamente relegato nel ridotto della coscienza intesa come spazio meramente privato, e in cui lo spazio pubblico viene concepito come ambito di regolamentazione esteriore funzionale a una convivenza ordinata priva di riferimenti ulteriori condivisi". Un tempo dove "la verità viene di fatto espunta dal confronto pubblico e l'identità personale rimossa".

Comprendiamo perché - sottolinea monsignor Crociata - "Benedetto XVI insista sulla necessità, per il bene stesso delle persone e della società intera, di ridare cittadinanza alla presenza di Dio e alla stessa verità dell'uomo".

La presenza testimoniante dei cristiani deve però misurarsi, innanzitutto, con "il carattere giudiziale" della parola e della presenza di Gesù; la sua rivelazione pone delle condizioni, esercita "un giudizio secondo verità e giustizia sull'esistenza e sulla storia dell'uomo".

Di fatto questo carattere ha prodotto in ogni epoca moti di persecuzione, fino a produrre il sacrificio supremo, il martirio, ovvero "il coronamento della vita cristiana nella sua fondamentale e radicale esigenza di fedeltà al Signore".

La situazione culturale odierna - afferma il segretario generale della Cei - "conosce vaste regioni in cui il martirio viene perpetrato in forme e misure perfino superiori a tante epoche del passato", ma "presenta nel nostro Occidente una modalità di rimozione che sposta da Cristo alla Chiesa il termine del rifiuto e del contrasto, sottraendosi al giudizio della verità". La responsabilità dei credenti sta allora "nella capacità di ripresentare al vivo la verità di Cristo e la sfida che egli lancia attraverso la nostra testimonianza resa a quanti sono chiamati a incontrarlo".



(©L'Osservatore Romano - 24 febbraio 2011)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/02/2012 12:13
 
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Un sacerdote risponde

Ho letto che qualcuno dice che sono mortali solo i peccati che intendono ferire direttamente il cuore di Dio, e non quelli commessi per passionalità

Quesito

Caro Padre Angelo,
le ho avevo già scritto riguardo i peccati contro lo Spirito Santo.
Avendo letto ciò che dice il catechismo romano e san Tommaso (sulla summa teologica e sulle questione disputate sul male) sull'argomento mi ero abbastanza tranquillizzato.
Poi, Padre, ho visitato un sito con scritti di un’anima che dialoga con Gesù. In un pezzo dice che il peccato contro Lo Spirito Santo è irremissibile perché volontario. Le do indirizzo (...)
Il sito dice di essere vigilato da 3 sacerdoti.
Aspetto da lei spiegazioni ansiosamente, la ringrazio e la saluto


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. le affermazioni attribuite a quell’anima che parla con Gesù non sono giuste e possono portare a gravi conseguenze.
Per mettere i nostri visitatori in grado di farsene un giudizio ne riporto due stralci.
Il primo: “la stragrande maggioranza degli uomini peccano per ignoranza, per fragilità, per passione, per gioco, per distrazione e per tante cause. A volte cadono nell'abisso del peccato inconsapevolmente, spesso peccano per mancanza di insegnamento, per il cattivo esempio dei loro pastori, per l'insegnamento errato di maestri e genitori e vari educatori. Però in questo peccato non c'è la vera volontà di andare contro Dio, di volere il male appositamente per colpire il cuore di Dio, ma sotto questo peccato si nascondono molteplici cause, tra le quali alcune te le ho elencate”.
Qui verrebbe detto che i peccati commessi per passione o per ignoranza non condurrebbero alla morte e pertanto non sarebbero mortali.
Ecco le conseguenze: un pedofilo, che continua a credere in Dio e dice anche di amarlo, ma ha momenti di fragilità, di debolezza e si lascia prendere dalla passione non commetterebbe un peccato grave.
Ugualmente tutti i peccati carnali, che in genere non vengono compiuti per andare contro Dio o per colpire Dio, ma semplicemente per passione, non sarebbero mortali. Perciò adulterio, prostituzione, fornicazione, sodomia, pornografia, voli charter per vacanze in cui si abusa di minori ecc... non sarebbero mortali.
Anche i trafficanti di droga, che non intendono colpire direttamente Dio nel suo cuore (al quale forse non pensano neanche lontanamente), ma agiscono per avidità di denaro, per passione, non compirebbero azioni gravi.
Ma vediamo che cosa dicono le Scritture.
Si pensi a quanto ha detto Dio per bocca di San Paolo: “O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il suo Regno” (1 Cor 6,9-10).
E ancora: “Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatrie, stregoneria, inimicizie, discordie, gelosie, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come ho già detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Gal 5,19-21).
Come vedi, non viene escluso dal regno di Dio chi intende colpire direttamente il cuore di Dio, ma chi deroga dalla sua volontà espressa nei comandamenti.
Ugualmente San Giovanni, che nella sua prima lettera introduce la distinzione tra peccati che conducono alla morte e peccati che non conducono alla morte, nell’Apocalisse esprime il medesimo concetto: “Per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno di fuoco e di zolfo: questa è la seconda morte” (Ap 21,8).

2. Il Magistero della Chiesa da lungo tempo ha condannato affermazioni del genere.
Si pensi ad esempio a coloro che, nel secolo XVII, avevano introdotto la distinzione tra peccato filosofico e peccato teologico.
Questi dicevano: “Il peccato filosofico è un atto difforme dalla natura razionale o dalla retta ragione; il peccato teologico invece è la libera trasgressione della legge divina.
Il peccato filosofico, per quanto grave, in colui che ignora Dio o non vi pensa attualmente, è sì peccato grave ma non è offesa a Dio né peccato mortale, che distrugge l’amicizia con Dio, e non è degno della la pena eterna” (DS 2291).
Sarebbe peccato mortale invece solo il peccato nel quale si pensa attualmente a Dio e lo si compie direttamente per offenderlo, per colpirlo direttamente al cuore.
Il Papa Alessandro VIII il 24 agosto 1690 condannò questo concetto di peccato mortale.
Ugualmente Giovanni Paolo II in Veritatis splendor afferma:
“In realtà, l’uomo non si perde solo per l’infedeltà a quell’opzione fondamentale, mediante la quale si è consegnato ‘tutto a Dio liberamente’.
Egli, con ogni peccato mortale commesso deliberatamente, offende Dio che ha donato la legge e pertanto si rende colpevole verso tutta la legge; pur conservandosi nella fede, egli perde la grazia santificante, la carità e la beatitudine eterna. La grazia della giustificazione, una volta ricevuta, può essere perduta non solo per l’infedeltà, che fa perdere la stessa fede, ma anche per qualsiasi peccato mortale” (VS 68).
Il Papa, dopo aver ricordato quanto Gesù disse al giovane: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,17) e l’insegnamento di S. Paolo: “tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5,10), continua:
“si dovrà evitare di ridurre il peccato mortale ad un atto di opzione fondamentale, come oggi si suol dire, contro Dio, concepito sia come esplicito e formale disprezzo di Dio e del prossimo sia come implicito e non riflesso rifiuto dell’amore. Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l’uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato. In effetti, in una tale scelta è già contenuto un disprezzo del precetto divino, un rifiuto dell’amore di Dio verso l’umanità e tutta la creazione: l’uomo allontana se stesso da Dio e perde la carità. L’orientamento fondamentale può, quindi, essere radicalmente modificato da atti particolari” (VS 70).

3. Un secondo stralcio delle affermazioni di quell’anima: “un peccato per il quale non pregare, quello che conduce alla morte. Perché, figlia, mi chiederai che non si può pregare per questo? Perché questo è volontario, cioè è la volontà stessa dell'uomo di andare contro Dio, di fare guerra a Dio: è come il peccato di Lucifero quando si è ribellato a Dio, e questa volontà è piena di odio per Dio ed è irremovibile, per cui ogni preghiera diventa vana. E' l'esempio dei farisei, che negavano le Mie opere per invidia e per paura di perdere il potere. E' il peccato contro lo Spirito Santo, perché nega l'evidenza delle opere stesse di Dio, che con linguaggio divino ed eloquente parlano da sole. Per questi è inutile pregare, perché la volontà è irremovibile e il peccato è volontario. E' lo stesso sentimento che permane invariato negli inferi, e per il quale non c'è più possibilità di conversione per queste anime che vi precipitano. Avete capito che cosa si intende per peccato che conduce alla morte? Quindi è inutile pregare per chi rifiuta di capire, perché nessuna spiegazione è accettabile a chi vuole deliberatamente negare la Verità e le opere della Verità”.
Qui vengono confusi i peccati contro lo Spirito Santo con i peccati volontari.
Ora certamente tutti i peccati contro lo Spirito Santo sono peccati volontari, ma non tutti i peccati volontari sono peccati contro lo Spirito Santo.
Ad esempio, se uno ruba volontariamente, non si può dire che abbia commesso un peccato contro lo Spirito Santo.
“L’anima che parla con Gesù” dice che per commettere un peccato mortale ci vuole una volontà è piena di odio per Dio e irremovibile. Come abbiamo visto né san Paolo né san Giovanni affermano questo.
Se i peccati mortali sono solo quelli commessi con l’animo pieno di odio per Dio, bisognerebbe riformare l’insegnamento di sempre della Chiesa e riscrivere il Catechismo della Chiesa Cattolica.
L’autenticità delle rivelazioni private si desume anche dalla loro conformità con l’insegnamento della Chiesa. Se questa conformità non c’è, bisogna concludere che non sono da Dio oppure che sono state mal trascritte o interpretate.

4. Inoltre 1 Gv 5,16 dice: “C’è un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare”.
Come avrai notato: San Giovanni parla del peccato, e “l’anima che parla con Gesù” inizialmente recepisce la giusta versione. Ma poi ad un certo momento cambia il pronome e fa dire a Gesù: Per questi (sottinteso: peccatori) dico di non pregare.
Qui vi sono due problemi da affrontare.
Primo: quali sono i peccati che conducono alla morte?.
La Bibbia di Gerusalemme scrive: “I destinatari della lettera erano forse informati su questo peccato di una gravità eccezionale. Può essere il peccato contro lo Spirito, contro la verità (Mt 12,31) o l’apostasia degli anticristi”.
Secondo: che cosa significa non pregare per questo peccato?
Quando San Giovanni dice di non pregare per questo peccato non intende dire che dobbiamo escludere qualcuno dalla preghiera.
Gesù non ha escluso nessuno dalla sua preghiera.
Quando in croce ha detto: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” non ha inteso escludere i farisei, i sommi sacerdoti, Giuda, ecc... E non intendeva escludere neanche coloro che commettono un peccato contro lo Spirito Santo.
Un commentatore della Bibbia annota: “San Giovanni non proibisce assolutamente di pregare per gli apostati e neppure dice che tali preghiere non saranno mai esaudite. La chiesa infatti prega per essi il Venerdì santo. Ma fa notare che la sua raccomandazione non riguarda tali peccatori e lascia capire che le preghiere fatte per essi più difficilmente saranno esaudite, a motivo senza dubbio dell’indurimento nel male che si verifica in coloro che abbandonano Gesù Cristo e la sua Chiesa”.
Un altro scrive: “San Giovanni non intende affermare che non si deve pregare per i peccatori che sono incorsi in colpe mortali, né che è inutile pregare per essi, ma che per quanto riguarda i fratelli che si sono macchiati di particolari peccati mortali, è opportuno abbandonarli al giusto giudizio di Dio. Questo giudizio di Dio tuttavia non significa una condanna irrevocabile, ma implica un castigo che il Signore nella sua giustizia infligge a questi peccatori perché serva loro di salutare richiamo: in tal modo questi peccatori, tempestivamente puniti da Dio, eviteranno una condanna eterna (cfr. 1 Cor 5,5; 1 Tm 1,20)

5. Pertanto per peccato contro lo Spirito Santo continuiamo a intendere quanto insegna la Chiesa:
“Quando occorrono nella S. Scrittura o nei Padri sentenze che sembrano affermare che per alcuni peccati non c’è remissione, bisogna intenderle nel senso che il loro perdono è oltremodo difficile. Come una malattia vien detta insanabile quando il malato respinge l’uso della medicina, così c’è una specie di peccato che non si rimette né si perdona perché rifugge dalla grazia di Dio, che è il rimedio suo proprio” (Catechismo Romano, c. 5,19).
È questo il motivo per cui S. Tommaso affermava: “Questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro in una maniera quasi prodigiosa” (Somma Teologica, II-II, 14, 3).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica scrive: “La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna” (CCC 1864).

Inoltre preghiamo e offriamo la nostra vita per tutti, anche per quelli per i quali forse la nostra preghiera risulterà vana. Gesù ce ne ha dato l’esempio.

Ti ringrazio per avermi dato l’opportunità di queste precisazioni. Ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo


Pubblicato 26.10.2007

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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